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Blog Entries pubblicato da M&M

  1. M&M

    Scherzi a parte
    Un piccolo preambolo e poi la faccio breve.

    La mia apparizione sul web in campo fotografico oramai data 20 anni. Quando sono arrivato nel 2003 l'ho fatto perché riprendevo con la fotografia e volevo imparare.
    Ho finito per impegnarmi ad imparare per poi ... insegnare agli altri.
    E a diventare gestore di siti (plurale).
    L'impegno è stato tanto. La passione impegnata tanta.
    Ma - e Max me ne è testimone - è rimasta la speranza, diventata sempre più utopica, di avere tanti amici online in una sorta di comunione di conoscenza, di informazioni, di stimoli, di voglia di fotografia, di Nikon, di incontrarsi a fotografare. Di fare.
    Io ho messo il mio, dal primo momento al ... 31/12/2022. Mi siete testimoni che nell'ultimo semestre ho moltiplicato le proposte di partecipazione fotografica. Con le gallerie fotografiche, gli incontri virtuali e fisici, le manifestazioni. La rivista Nikonland Magazine di cui mancano solo gli ultimi dettagli per il battesimo.
    Ma se possibile, nel tempo è venuto sempre ... meno l'apporto esterno. Sia dei più anziani che dei più giovani. Financo dei redattori che mi sono ritrovato - mio malgrado - a redarguire per una partecipazione rarefatta oltre ogni modo.
    Non sto più a cercare le cause. Identifichiamo tre punti giusto per avere qualcosa cui dare la colpa
    la convinzione che Nikonland sia di Max e di Mauro. E quindi in collo a loro l'onere di tenerlo vivo la pigrizia indotta dai social network che hanno male abituato alla frequentazione distratta (tipo il comune Joe appeso alla maniglia della Metropolitana mentre va in ufficio e, anziché come una volta, sfogliare il giornale, sfoglia distrattamente il web col telefonino mettendo al più un like o un commento di pochi monosillabi) la pigrizia indotta da cause demografiche e da ridotta volontà di aprirsi alle sfide, che poi è collegata simpaticamente al punto due. E' troppo comodo mettere like a quello che fanno gli altri.
    Non si deve nemmeno "aprire" il computer, come ha scritto un ... iscritto che ho avuto l'ardire di rimbrottare qualche mese fa, chiedendogli di vedere qualche sua fotina sinceramente non mi importa più indagare oltre, né provare a trovare rimedio. Ritengo di non dovere niente a nessuno, di avere, semmai dei crediti da esigere che però sono inesigibili, e di aver dato abbastanza e di essere in posizione di potermi e dovermi oramai godere la pensione.
    Se agli iscritti e ai visitatori di Nikonland non interessa fotografare con me, non interessa condividere con me quello che sanno o che scoprono, nemmeno quello che hanno intenzione di comprare. Se non interessa farmi vedere le foto che fanno con i loro macchinari.
    Se nemmeno oramai seguono più i miei consigli perché il tale su Youtube o il talaltro altrove lo ha consigliato meglio (!) e qui ci vengono più che altro per abitudine e per passare il tempo, perché in generale hanno "perso interesse" (cit.), a questo punto per me fa lo stesso.
    ***
    ecco, volevo essere breve e non lo sono stato. Ma non vorrei essere criticato per essere quello che non si fa capire o per quello che già ha più volte fatto discorsi del genere e poi non è successo nulla.
    Non è questa, una di quelle volte.
    Ho deciso di farmi forza e di cambiare atteggiamento. Prendendo esempio dal virtuoso capo Navajo Valerio "Due Zeta Nove".
    Nel 2023 ci sarà una nuova versione di me, da do# a reb. 

    quindi la gente vuole i social network ?
    Ebbene, d'ora in poi mi troverà sui nostri canali social :
    Su Telegram per dei telegrammi. Una fotina una frase al più di 12 sillabe.
    Su Instagram per una fotina e al più una frase di commento.
    ma qui, dove ho raggiunto oltre 1.000 articoli e 56.000 messaggi (tra nuovo e vecchio sito), passerò il tempo nei miei club a parlare di musica o di storia militare (tanto per lo più là parlo da solo, non mi aspetto compagnia).
    Ma niente più foto, niente intrattenimento, niente articoli generali, tranne quelli relativi a materiale fotografico importante o pervenutomi per le mie relazioni.
    Niente di niente fino a nuovo ordine.
    Dovesse cambiare il panorama - cosa di cui dubito - e ci fosse un cambio di tendenza da parte vostra, vedrò come e cosa fare se ne avrò ancora voglia.
    Come mi ha insegnato il capo Valerio "Due Zeta Nove".
  2. M&M

    Recensioni : violoncello
    A Golden Cello Decade 1878-1888
    Steven Isserlis, violoncello, Connie Shih, pianoforte
    hyperìon, dicembre 2022, formato 96/24
    ***
    Le riviste inglesi stravedono per questo disco.
    Non dico che non ci sia del valore, Isserlis vale da solo il biglietto ed è molto ben coadiuvato.
    Ma il repertorio qui registrato non è di quelli che mi fanno ingolosire troppo.
    Ammettere che di tutto il programma i brani che mi hanno attirato di più sono quelli di Dvorak mi costa fatica.
    La sonata di Strauss è difficile da digerire persino per me che mangio violoncello e pane a colazione.
    Mentre quella della Le Beau è veramente il paradiso del cantabile.
    Sarà che all'ascolto trovo il pianoforte troppo forte e avanti, a tratti aggressivo, e il violoncello un pò troppo scuro, cosa che mi costringe ad abbassare il volume (l'opposto che mi capita con il disco di Debussy di Osborne per la stessa casa discografica che ho appena recensito).
    Il risultato probabilmente rende più negativa l'esperienza di ascolto di quanto la musica non meriterebbe. Ma purtroppo tant'è.
    Colpa mia perché gli interpreti sono eccellenti ed hanno all'attivo collaborazioni di pregio.
  3. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Gustav Mahler Sinfonia n. 3
    Abba Larsson, contralto
    Clara Schumann Jugendchor
    Coro femminile dello Stadtischer Musikverein di Dusseldorf
    Dusseldorfer Symphoniker
    Adam Fischer

    AVI 2018, formato 48/24
    ***
    Mi pare che in concerto Adam Fischer abbia già completato il ciclo ma esce sul finire del 2018 questo quinto disco registrato però nel 2017, praticamente in contemporanea con la 5a sinfonia.

    il progetto è patrocinato dalla Tonhalle di Dusseldorf e prodotto insieme alla radio Deutschelandfunk.

    il contralto è la svedese Anna Larsson, cantante di grande esperienza con all'attivo la seconda e la terza di  Mahler con Abbado nel 1997 e nel 2008, la terza ancora con Gergiev nel 2012, il Ring con Thielemann, una splendida Alto Rapsodie di Brahms con Dausgard per la Bis e specializzata nel repertorio tedesco  tardoromantico ma non solo.

    Anna Larsson
    Adam Fischer - da non confondere col più noto fratello Ivan che incidentalmente sta anche egli completando il ciclo mahleriano con la Budapest Orchestra e la Channel Classic - é un allegro settantenne che ha passato anni a registrare l'integrale delle sinfonie di Haydn (Nimbus/Brilliant) e di Mozart (Dacapo) ed ha all'attivo l'album dedicato a Salieri della Cecilia nazionale.

    Questo quinto volume dell'integrale mahleriana si caratterizza per l'estrema coerenza con gli altri e la grandissima qualità e dinamica "tellurica" delle registrazioni.
    Sinceramente credo che non sapremo mai quale dei due fratelli giungerà al punto più alto di questa gara familiare, personalmente trovo molto difficile confrontare in dettaglio differenti integrali di Mahler (c'è anche la ventura che io non abbia mai ascoltato per intero né la 2a né l'8a e quindi non potrei nemmeno onestamente farlo).
    Trovo la direzione di Adam nel complesso più personale - non che quella di Ivan non lo sia, intendiamoci - e senza eccessi.
    Questa terza in particolare mi ha colpito per avere scelto di descrivere un quadro estremamente nitido e del tutto privo di sensazionalismi.
    I quasi 34 minuti del primo movimento dipingono una marcia ritmata, militare ma composta, lasciando parlare gli strumenti senza farli ... latrare.
    Il finale è intimo, il secondo semplicemente delizioso.
    I due movimenti corali perfetti con la Larsson cui credo non ci sia bisogno di insegnare nulla.
    Volendo tirare le somme, una interpretazione che sintetizza anche tutte le altre dello stesso ciclo. Molto focalizzata, basata sui ritmi più che sulle dinamiche, con tempi tranquilli, evitando per quanto possibile quelle sguaiatezze tipiche del sinfonismo di Mahler.
    L'amore di Adam Fischer (e della famiglia Fischer) per Mahler è palese in ogni nota e credo che questo dovebbe essere il presupposto primo per registrare ancora capolavori che oramai vantano discofrafie sconfinate.
    Come sia, siamo nel campo delle opinioni ma io credo che alla fine avremo due cicli degni di stare vicini a quelli di Kubelik e di Inbal.
    Per la terza il mio riferimento era quella di Abbado registrata dal vivo a Lucerna (con la stessa cantante).
    Questa è più intima e cantabile e registrata decisamente un paio di gradini sopra.
    Chi l'avrebbe mai detto che a Dusseldorf ...  !
  4. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    The Scriabin Ravel Connection
    Aidan Mikdad, pianoforte
    Linn Records, 2 dicembre 2022, 96/24
    ***
    Sonata-Fantasia n.2 di Scriabin, Preludio e Notturno per la mano sinistra Op. 9 di Scriabin, Ravel, Gaspard de la Nuite
    Le note biografiche del suo sito dicono classe 2001, diplomato nel giugno 2021 al conservatorio di Amsterdam.
    "Nel corso degli anni, ha ricevuto la guida di Sergei Babayan, Dmitri Bashkirov, Nelson Goerner, Richard Goode, Klaus Hellwig, Martin Helmchen, Claudio Martinez Mehner, Ferenc Rados, Sir András Schiff, Jean-Yves Thibaudet, Igor Levit e Arie Vardi."
    Oltre ad Arcadi Volodos, che recentemente ha invitato Aidan Mikdad a condividere il palco con lui al TivoliVredenburg di Utrecht.
    Astro nascente ? Speriamo.
    Certo io sono rimasto folgorato già dalle prime note della sua meravigliosa seconda sonata di Scriabin.
    Attratto - non dal suo nome - ma dal marchio Linn Records e dal titolo suggestivo.
    Senza indagare troppo a lungo su queste connessioni, io amo il primo Scriabin, più vicino al primo Ravel, che l'ultimo Ravel, troppo avanzato, persino per l'ultimo Debussy.
    Le opere qui proposte sono del 1891-1897. Il Gaspard di Ravel è del 1908.
    Mikdad affronta Scriabin con rispetto, senza voler a tutti i costi dimostrare quanto è bravo.
    La dizione è libera, anche i tempi. Ma qui si fa musica, non filologia.
    Il suono del suo piano cresce frase dopo frase con le due mani molto indipendenti per volume e dinamica. Ma il tocco rimane vellutato, gentile, pur virile in ogni fraseggio.
    Come viene confermato nel secondo movimento della sonata. Dinamico, ma con rallentamenti che seguono le improvvise accelerazioni - di ritmo e di volume - del tema principale.
    Il primo movimento della sonata pare che sia stato ispirato dal mare e si vuole in qualche modo collegare a Ondine di Ravel.
    Mentre il Preludio e Notturno per la mano sinistra è connesso a Ravel più che dal materiale melodico o dall'impostazione dalla necessità. Scriabin soffriva in quel periodo di una tendinite alla mano destra che per un paio di anni gli impedì di usarla a pieno.
    Mentre Ravel compose il famoso concerto per la mano sinistra per l'invalido di guerra Paul Wittgestein.
    In Scriabin, Mikdad non dimostra in nessun momento la sua giovane età : è raro vedere pianisti di venti anni alle prese di Scriabin salvo che in prove di concorso.
    E' musica complicata da rendere per quel sottile equilibrio tra lucida logica e follia organizzata.
    Renderla interiore abbastanza da darle un senso è qualche cosa che travalica la capacità di molti pianisti.
    Ma qui al contrario, è proprio il punto di forza del disco. E devo ammettere che mi piacerebbe ascoltare tanto altro del russo da parte di questo giovane olandese.
    I tre brani del Gaspard di Ravel vengono affrontati allo stesso modo.
    C'è tutto lo spirito di inizio secolo secondo la visione del Francese.
    Ondine richiede tecnica elevata ma al contempo la capacità di tessere l'architettura della melodia complessiva che si intreccia tra le frasi.
    Le gibet è un notturno che dovrebbe essere lugubre, dato il tema, ma mi sembra che l'interprete sia troppo indulgente con la chiave della dolcezza.
    Scarbo riprende meglio il carattere, folleggiante, del richiamo originale e mi sembra la miglior lettura.
    Ma ricordiamo che questa pagina è portata ai massimi solo da interpreti del livello di Martha Argerich.
    Nel complesso una prima prova discografica estremamente interessante che mi ha catturato al primo ascolto tanto da vincere la mia recente pigrizia in tema di recensioni.
    Audacia mista a tecnica virtuosistica tutta al servizio di una interiorizzazione che per un giovane neodiplomato è difficile da vedere, le priorità in genere sono altre.
    Complimenti a Aidan Mikdad e a Linn Records per averlo prontamente "catturato".
  5. M&M

    Recensioni Cuffie
    Considerazioni sintetiche                                   
    Pro :
    all'epoca erano un mito. Sposavano ad un prezzo umano e senza necessità di un amplificatore speciale, le specifiche delle cuffie dinamiche a quelle delle elettrostatiche sono ancora un mito, molto apprezzate, si trovano usate (funzionanti a distanza di 36 anni) a prezzi simili a quelli dell'epoca e sono oggetto di modding più o meno efficaci che ne migliorino le prestazioni la gamma media e alta è portentosa. Le voci femminili sono sensazionali. Anche gli archi Contro :
    di contro sono pessime sui bassi e la gamma medio bassa è melmosa a dirla tutta il suono è squilibrato per avere un basso decente bisogna premersele letteralmente sulle orecchie la costruzione è di fattura pessima (e sono generoso : è un miracolo che funzionino ancora) ogni cuffia di oggi se le mangia sotto tutti gli aspetti tranne che nel fascino è una tortura portarle per più di mezz'ora (letteralmente) _________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________

    In primo piano le AKG K712 Pro, modello di fascia reference attuale, più o meno corrispondete alle K340 che nel 1984 erano il modello di punta di AKG prima dell'uscita delle mitiche K1000.
    Ricordo quando le acquistai nel 1984. Avevo ancora la grande impressione suscitatami dalle Stax ascoltate in negozio. Ma non potevo arrivare ad una elettrostatica pura, sia per il costo delle cuffie che per l'amplificatore necessario per elevarne la tensione di alimentazione.
    Il sogno di avere le Stax si è materializzato solo oltre 20 anni dopo.
    Ma le AKG K340 permettevano con una spesa accettabile (poco più del costo di un amplificatore in voga all'epoca come il NAD 2020) di avere almeno la gamma alta elettrostatica.
    L'idea era geniale. Accoppiare una membrana dinamica ad un emettitore elettrostatico capace di lavorare ad una tensione normale.
    Un crossover passivo in mezzo di taglio dolce. La struttura tipica di AKG che si mantiene ancora oggi sulle cuffie professionali da studio (quelle che vedete anche alla televisione in testa a Carlo Vanzini mentre commenta la Formula 1).
    Il venditore (di un negozio che non c'è più da anni) mi assicurò che ne aveva un paio anche Carlo Maria Giulini. Ne dubito. E poi io non sono mai stato un grande fan del Maestro italiano.
    Ma comunque comprai quelle cuffie.

    Che ho ancora in testa in questo momento.
    Sono cuffie abbastanza difficili da usare. Scomode come nessun'altra, dure di impedenza, basse di sensibilità. Irte di compromessi.
    Con una risposta sul basso che dipende molto da come le tenete in testa.
    Ma ancora oggi con una gamma alta che se ascoltate Diana Krall cantare vi sembra di ... poterla toccare 


    Elecrostat-Dynamic Systems : made in Austria

    il cavo è fisso, spiralato, like a pro.


    l'intera struttura è in plastica. Abbastanza cedevole. Sinceramente a guardarle non si direbbe che siano operative da trentasei anni senza un inconveniente ...

    il jack è da 6.3 mm, all'epoca era impensabile che delle cuffie serie avessero il mini-jack. In alluminio. Niente doratura.
    Leggermente ossidate come l'unica parte del copripadiglione in metallo.


    l'unica concessione alla comodità : la bombatura in plastica morbida sotto l'archetto.

    ho lasciato la polvere apposta. Devono sembrare vissute : lo sono !
    Ricordo sempre che le ho prestate per mesi alla moglie di un mio amico mentre era incinta della prima figlia. Oggi violinista 


    all'epoca AKG costruiva tutto in casa. Adesso costruisce le cuffie da 1500 euro in Slovacchia e quelle da 150 euro in Cina. I guasti di essere passata al gruppo Harman che le ha assicurato la sopravvivenza ma l'ha anche un pò avvilita.
    Cercate un modello serio nel loro catalogo e farete un pò fatica a trovarlo.
    Delle tre case storiche centro-europee, AKG è certamente quella che è sopravvissuta peggio alla sua fama.

    sul mio pre-DAC Audio-GD R28 : è necessario passare in modalità H alta corrente, oppure dovete portare il volume a fondo scala per sentire qualche cosa !
    Difetto tipico di tutte queste cuffie.
    Sono chiuse e quindi è necessario che non ci siano aperture nei padiglioni mentre le calzate.
    Però le mie orecchie non ci stanno dentro e quindi non c'è modo di avere una chiusura decente sulle orecchie che comunque sono sottoposte a pressione.
    Qui le ho fotografate mentre le stavo misurando.
    E a proposito di misura, a testimonianza di quanto sto dicendo, a seconda che siano calzate in un modo o premendo il padiglione sulle orecchie, la risposta cambia diametralmente.

    posizione normale

    risposta con il padiglione appoggiato sulle orecchie oppure premuto sulle stesse

    due cuffie differenti

    le mie orecchie dentro a quel circolino non ci entrano. Tenerle per più di mezz'ora addosso è una tortura.
    Ma come facevo ?
     


    le due risposte : con i padiglioni pressati sulle orecchie e con i padiglioni rilassati.
    A parte l'eclatante differenza sui bassi e sui medio-bassi ... ma persino su una parte dei medi, la parte alta è molto tormentata, più o meno all'altezza dell'incrocio tra i due driver ci sono due gobbe.
    L'incontrario della neutralità d'ascolto.
    A lungo usarle è affaticante, il suono è confuso, caratterizzato da questi picchi. A parte che è una vera tortura portarle.
    Insomma, mi domando come facessi all'epoca, forse sono responsabili della mia scarsa passione per le cuffie.
    Per fortuna che oggi la tecnologia ci ha offerto salti avanti di qualità impensabili. Altrimenti ...
    Specifiche :
    AKG 
    tipo : sovraurali, chiuse, ibrido : elettrostatico sugli alti, dinamico sui medio-bassi, crossover a 6db intorno ai 4000 Hz, senza necessità di adattatore di tensione
    peso : 385 grammi
    impedenza : 400 Ohm
    cavo : spiralato con pin-jack da 6.3 mm
    prezzo all'epoca della commercializzazione (anni '80 del XX secolo) : 250.000 lire
  6. M&M

    Recensioni Cuffie
    AKG K712 Pro

     
    Le AKG K712 Pro rappresentano ancora oggi il prodotto di fascia media appena inferiore alle due, inarrivabili (per prezzo) ammiraglie serie 8.
    Anche se si trovano a prezzi molto inferiori, scontando il fatto che la presentazione oramai risale ad almeno 6 anni fa, il prezzo di lancio era intorno ai 450-500 euro.
    Di fatto sono, almeno per estetica, la versione per utilizzi professionali delle K701/702, appena precedenti.
    Ma sono molto diverse per costruzione e stile dalle classiche AKG che popolano tutti gli studi televisi e radiofonici del mondo.


    AKG Reference Headphones : di fatto, a parte i colori, del tutto identico alle K701



    anche nei dettagli, come il numero di matricola, le fettucce in plastica trasparente che fanno da elastico tra l'archetto e i padiglioni.
    Stesso discorso per le due guide di scorrimento tubolari.

    ma come K812 e K872 sono costruite in Slovacchia, non in Austria (mentre i modelli consumer sono fatti in Cina).

    Diversamente dai modelli da Studio (tipo le inossidabili K240) l'imbottitura per le orecchie è vellutata e non in similpelle.
    Alla lunga cede e si ammoscia con l'uso. Ma sono chiaramente sostituibili.

    alla fine se proprio vogliamo trovare un vero elemento PRO è il cavetto staccabile, lungo una esagerazione, di un arancione vivace che si collega al lato sinistro con un una spina a tre PIN (non XLR) che permette esclusivamente un attacco sbilanciato.

    dall'altro lato un bel connettore dorato 3.5/6.3mm a vite, ben fermo.


    se piace l'estetica, non sono poi male.
    All'apparenza sembra che si debbano rompere al primo impiego ma è una sensazione comune per tutte le AKG non destinate agli studi di registrazione.
    Alla prova dei fatti le mie hanno tanti anni e resistono bene (non parliamo della K340 che il mese prossimo festeggiano i 37 anni di attività).


     



    fin qui l'estetica.
    Adesso le caratteristiche di targa dichiarate dal produttore :
    tipo : aperto, sovra/circumaurale
    sensibilità : 105 dB SPL/V
    impedenza : 62 Ohm
    cavo : staccabile con connettore a tre pin, lungo 3 metri
    potenza massima : 200 mW
    peso : 235 grammi
    applicazioni : studio-mixing, ascolto hi-fi
    Nel complesso nulla di diverso dal solito per chi conosce AKG. L'impedenza appena più alta del solito non costituisce comunque un problema per nessun dispositivo e la sensibilità offerta compensa un pò la potenza massima non proprio esaltante.
    Un aspetto che nell'ascolto verrà messo in evidenza.
     
    MISURE :
     

    al mio "banco di misura" volante hanno mostrato una risposta in frequenza molto estesa fino in basso, un evidente rigonfiamento intorno ai 280 Hz e un'andamento molto tormentato e ondulato sui medi e sugli alti.
    In particolare un grosso avvallamento sui 1300 HZ e poi una serie di esaltazioni e di attenuazioni che fanno salire la sensibilità della criticissima gamma 2K-10K moldi decibel sopra alla linea mediana.

    L'ascolto e soprattutto il confronto incrociato con altre cuffie di diversa impostazione hanno confermato l'impressione di grande estensione verso il basso ma con una decisa mascheratura dell'estremo inferiore da parte di un medio-basso troppo gonfio:
    E una freddezza generale che caratterizza molto ogni registrazione di ogni genere, soprattutto sulle voci e sugli strumenti ad arco e a fiato che suonano nelle gamme tra i 1000 e i 5000  Hz.
    Mentre è meravigliosa l'ampiezza dell'immagine sonora offerta, per nulla concentrata dentro la testa ma molto proiettata all'esterno.
    Per cuffie di questa fascia di prezzo si vedono potenzialità interessanti ma l'ascolto "fuori dalla scatola" può risultare deludente. Anche a me che, per affetto, sono sempre stato un estimatore del marchio austriaco.
    Ma per fortuna che oggi abbiamo a disposizione strumenti che ci aiutano a migliorare ciò che di buono c'è di base, attenuando difetti ed asprezze, sempre presenti in ogni paio di cuffie (teniamo a mente che non esistono le cuffie perfette, nemmeno quelle da 20.000 euro sono altro che dei compromessi più o meno spostati verso l'alto).
    EQUALIZZAZIONE :
    Se è vero che con l'equalizzazione non si può cambiare totalmente il carattere di un trasduttore, è sempre possibile allinearlo almeno all'ideale.
    Qui ho operato come al solito, impostando un target che allinea la risposta con un andamento calante dai 1000 Hz in su, cercando di eliminare per quanto possibile i picchi.
    Con un numero relativamente ristretto di filtri parametrici (frequenza, ampiezza, guadagno) é stato possibile ottenere un buon risultato.
    In questo diagramma vedete in blu il target (curva Harman che flette da 1000 Hz in su e "vorrebbe" crescere da 100 Hz in giù), in verde più scuro la risposta originale, in verde più chiaro quella corretta.

    Le impostazioni inserite del DPS studio di JRiver 26

    i filtri calcolati da REM

    con queste impostazioni, le note di ascolto.
    ASCOLTO :
    attivando e disattivando la correzione il differente modo di porgersi delle cuffie salta immediatamente all'occhio.
    Resta l'impostazione mitteleuropea ma il basso adesso non è più mascherato ed arriva fino in basso.
    E' evidente sia nel pedale della Passacaglia di Bach (Koopman, Teldec) che nel terzo movimento della 5a di Beethoven (Chailly, Decca) nei passaggi tra le varie sezioni degli archi.
    Ogni nota, ogni strumento, ogni voce è al suo posto. Togliendo i filtri aumenta il frastuono e il volume di suono ma si perde buona parte del dettaglio.
    La voce barocca è limpida e ben caratterizza, non in evidenza come in certe planari o nelle elettrostatiche ma credo che nessuno cercasse questo, almeno che nessuno tentasse di trapassarci i timpani.
    E qui la dolcezza é il tratto distintivo, tanto che si va ad alzare il volume fino a limiti poco raccomandabili (Anne Sofie Von Otter, Monteverdi, "Si dolce e l'tormento").
    Tornando su generi più energetici, la Valchiria nella indimenticabile performance di Karajan con i Berliner è esemplare e si può assistere all'esplosione di tutto l'arco orchestrale con una performance quasi da diffusori e non da cuffie.
    Qui veramente questo trasduttore ha pochi rivali in questa fascia. Contrabbassi rugosi, potenti, in evidenza. Ed ecco che arriva Sigmund, ferito e braccato ...
    Stessa impressione di potenza, di estensione sia in frequenza che in ampiezza, per il classico dei Dire Straits, Brothers in Arms. La voce di Knopfler è leggermente roca ma non troppo. Ma è il fronte proprio ampio che soddisfa le orecchie.
    Togliendo i filtri sembra che le cuffie si dividano in due, e che la destra non sappia cosa sta facendo la sinistra.
    Buono il pianoforte anche se manca un pò della possanza che si vorrebbe ascoltare quando Giltburg va alla marcia nel 23/5 di Rachmaninov.
    In generale - con l'equalizzazione - diventano cuffie raffinate, con una grande estensione in frequenza e senza più caratterizzazioni. Ottime per ascolti prolungati senza alcun accenno di stanchezza.
    Non hanno quella magia che si può trovare in oggetti superiori e in questo non c'è da meravigliarsi.

    Senza equalizzazione il suono invece è, senza troppi mezzi termini, sgangherato, e l'orecchio educato dopo pochi minuti si renderà conto che la risposta non è del tutto adatta ad un ascolto hi-end.
    Non saprei dire se certe scelte siano state fatte per cause tecniche indotte dal driver impiegato o se invece sia ricercato per favorire determinati ambiti (il missaggio ? Non ho esperienza al riguardo).
    Se posso dire però, per un modello pro, la tenuta in potenza è un pò limitata. Non in termini assoluti ma con l'equalizzazione ovviamente sia l'amplificatore (e con il mio non ci sono problemi) che il driver è sollecitato in determinate frequenze e qui può capitare di sentire qualche accenno di clipping.
    A volumi elevati, certo, ma con questo tipo di curva il livello deve essere quasi pari "al vivo", altrimenti si perde tutto il bello.
     
    COMFORT :
    Leggerissime, non pesano sulla testa nemmeno per ore. I padiglioni però poggiano leggermente sulle mie orecchie e questo alla lunga mi infastidisce.
    Il peso è comunque ben distribuito, senza squilibri. Nessun problema nemmeno in termini di calore o sudore.
    CONCLUSIONI :
    Sinceramente il termine PRO mi pare non del tutto meritato, così come il prezzo di listino richiesto, invero eccessivo e non giustificato se non dall'estensione verso il basso dei trasduttori.
    Cosi come arrivano le cuffie non mi sembrano soddisfacenti per un ascolto hi-end e l'equalizzazione mi pare indispensabile.
    Una volta "domata" la risposta, il discorso cambia e diventano un oggetto raffinato per intenditori. Nella musica con un ampio fronte stereofonico ed alta dinamica, specie con passaggi su frequenze ad ampio spettro, sono cuffie spettacolari.
    A costo di tenere il volume su livelli al limite della salute delle vostre orecchie e della tenuta dei driver in determinati momenti.
    Al prezzo cui vengono offerte oggi, però, possono costituire un affare, magari anche solo per aggiungere una AKG alla vostra collezione.
    Io ce le ho ed ho intenzione di tenerle per quando ho voglia di un sapore diverso dalle mie solite planari)
  7. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Rachmaninov : Etudes-Tableaux Op. 33 e Op. 39
    Alberto Ferro, pianoforte (Fazioli)
    muso 2020, via QObuz Streaming
    ***

    Alberto Ferro è un giovane siciliano ( classe 1996) che si è già fatto le ossa partecipando a diversi concorsi internazionali, piazzandosi ai primi posti e pur continuando l'attività concertistica internazionale è professore di pianoforte al conservatorio di Foggia.
    Questo non è il suo disco di debutto, compare in altre registrazioni (quella del concorso Queen Elisabeth del 2016, oltre ad un paio di registrazioni successive in musica da camera, nel 2018 e nel 2020).
    Ma è certamente quello più rappresentativo del suo stile ed estro, dedicato, evidentemente, ad uno dei suoi compositori prediletti.
    Gli Etudes-Tableax di Rachmaninov sono le ultime composizioni prima della fuga precipitosa dalla Russia durante la rivoluzione.
    Sono composizioni molto libere che si possono assimilare in un certo modo alle Balllades di Chopin anche se strutturalmente e tecnicamente sono molto lontane.
    Richiedono tecnica raffinatissima e capacità dinamiche non comuni ma senza che l'esibizione si limiti ad una prova di .... atletica.
    Dinamica, virile e imperiosa tecnica, una grande gamma di emozioni.
    Quelle che Ferro, ben coadiuvato da uno strumento adeguato alle sue mani, ci propone fin dalle prime note della "marcia" iniziale del 33/1 che a dispetto della tonalità in Fa minore é realmente un allegro.
    Mi soffermo sul 33/5 . Confronto con Giltburg, Lugansky, Shelley, Osborne, Richter, Ogdon. Scusate se è poco.
    Trovo il piglio di Ferro più simile a quello di Ashkenazy con cui coincide quasi nel tempo ma un pò meno nella veemenza.
    Ma comunque molto più brillante delle riflessive letture di Giltburg e Lugansky.

    E il 39/5 ? Più vicino a quello di Ogdon ma più dolce ed appassionato di quello di Ashkenazy. Ancora una volta differente e diverso dai suoi contemporanei Giltburg e Lugansky.
    Confronti naturalmente impropri. Ferro deve ancora fare la sua strada ed è giovanissimo e negli Etudes-Tableaux è difficile andare vicino ad Ashkenazy o ad Ogdon.
    Ma dimostra carattere e questa sua interpretazione è estremamente personale.
    Non vorrei esagerare a questo punto ma vedo la stessa verve di Beatrice Rana e ne sono contento.
    Spero che le case discografiche continuino a premiarlo e lui ad avere voglia di dedicare tempo alle incisioni per darci prova dei suoi progressi per chi non potrà seguirlo in sala da concerto.
    Questo suo primo disco é estremamente interessante e vorrei che se ne parlasse, perchè lo merita.
    Abbiamo il nostro Giltburg. Osiamo sperare anche in qualcosa di più  
    Registrazione presente, senza eccessi, microfoni ben posizionati, senza rumori di scena.

    Modificato 12 Maggio 2020 da Florestan
  8. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Alexander Melnikov, strumenti vari a tastiere
    7 Compositori - 7 Fantasie
    Harmonia Mundi, 28 aprile 2023, formato 96/24 - via PrestoClassical Streaming
    ***
    "La citazione più famosa di Albert Einstein dice che "la separazione tra passato, presente e futuro è solo un'illusione, anche se ostinata".
    Lo scorrere del tempo è infatti intuitivamente chiaro, anche se un concetto inafferrabile, come nel caso in cui queste parole vengono applicate alla tradizione culturale europea. ,che non necessariamente coincidono. Un turista a Venezia fonderà felicemente l'architettura del XIV secolo con l'arte rinascimentale del XVI, e naturalmente con la musica di Vivaldi del XVIII secolo, in un 'mix veneziano'. Per la musica occidentale, il punto di riferimento di fondamentale importanza è la figura di Johann Sebastian Bach, che continua a influenzare i compositori trecento anni dopo e, anzi, oltre. Come veicoli per questo gioco, sono stati utilizzati diversi strumenti e anche i confini tra loro sono sfocati. Quegli oggetti meravigliosi sono davvero una sorta di macchine del tempo e, anche se non sappiamo come usarle, continuano a suscitare genuina ispirazione e curiosità."

    Alexander Melnikov
     
    Ho riportato le parole di commento dello stesso Melnikov nel libretto di questo disco appena uscito.
    Il programma è fedelmente la trasposizione musicale di queste parole (oppure sarebbe più corretto dire il contrario).
    Escludiamo lo Schnittke finale - per me quella non è nemmeno musica - la scelta è completamente condivisibile.
    Illusione e scorrere del tempo.
    Dal 1723 - anno ultimo in cui potrebbe essere stata composta la fantasia cromatica e fuga di Bach - al 1968, anno in cui Schnittke ha composto su commissione del ministero competente dell'Unione Sovietica la sua Improvvisazione e fuga per pianoforte, ci sono due soli secoli, un sacco di spazio in mezzo, tante rivoluzioni. Una unica illusione fantastica.
    Che Melnikov conduce tra Bach e Schnittke passando per Emmanuel Bach, il suo figlioccio Mozart, Mendelssohn e Busoni, tutti cresciuti bevendo quell'acqua. Senza dimenticare Chopin con la sua fantasia in do minore.
    Colpo di teatro, Melnikov, musicista oltre che colto anche eclettico, parte da un clavicembalo a due manuali, splendido, passa ad un pianoforte tangenziale e via via segue il flusso del tempo e della sua fantasia, adattando lo strumento alla musica eseguita, fino ad uno Steinway dell'altro ieri.
    Ma era l'altro ieri, oppure era oggi ?
    Lettura impressionante e raccolta. Rispettosa e allo stesso tempo personale. Bel disco.
    Sottolineo le sue parole "occidentale", "fantasia".

  9. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Alexandre Tharaud : Versailles
    Musiche di Rameau, Couperin, d'Anglebert etc. etc.
    Erato 2019, formato 96/24
    ***
    Con la premessa che io "tollero" solamente il pianoforte che si appropria della musica clavicembalistica francese o italiana, devo dire che quando il garbo e lo stile personale sono a livello di quelli messi in campo da Tharaud in questo disco, le cose vanno su un altro piano.
    Versailles è certamente il legante tra le tante composizioni di raccolte e di autori differenti e possiamo immaginarci che la selezione prescelta dal pianista (che è spesso autori di arrangiamenti di musica francese e non del periodo) animi le sale della Reggia di Luigi XIV e Luigi XV.

    Il tocco clavicembalistico c'è tutto ma è di natura molto personale.
    I tempi sono molto rallentati - anche rispetto ad altre raccolte dello stesso pianista - e manca quella violenza che sarebbe possibile con il pianoforte e che con il clavicembalo si può fare solo raddoppiando i manuali, cosa che trovo corretta.
    Basta tutto questo ?
    Credo di si, anche se molti specialisti del periodo saranno liberi di storcere il naso. Ed io stesso che pure sopporto solo a piccole dosi il barocco francese (anzi, la musica francese in generale, di ogni epoca) lo farei.
    Ma Tharaud è un pianista di un rango a se. E qualche volta si permette di metterci il gusto di un Sokolov, ma senza alcuna idea di imitarlo.
    Basta ascoltare la celebre Les Sauvages di Rameau, molto, molto differente da quella in punta di dita e tutta sussurrata di Sokolov (ovviamente sempre al pianoforte).
    Ma la ricchezza degli abbellimenti, il ritmo, la freschezza sono tutti li. Ed è un piacere ascoltarli.
    Insomma, non sarà il disco dell'anno per me ma è una proposta estremamente di classe.
    Ripresa morbida ma senza troppa ambienza. Il piano è uno Steinway D preparato.
  10. M&M
    Altissima : musica per tromba naturale barocca
    Composizioni di Reiche, Graupner, Weichlein, Finger, Endler, Telemann, Rittler, Bond
    Josh Cohen : tromba naturale
    Ensemble Sprezzatura diretta da Daniel Abraham
    Chandos, gennaio 2023, formato 96/24, via Qobuz
    ***
    Nelle note del libretto viene fatto giustamente notare quanto sia impegnativa fisicamente la tromba naturale.
    L'assenza delle valvole carica le labbra del trombettista di tutto lo sforzo di modulazione.
    Che deve essere un virtuoso già per questo. Tacendo della necessità di curare l'intonazione oltre alla potenza, tutto con la bocca.
    La tromba a valvole che viene usata comunemente nella musica barocca (diversa da quella moderna) è ben più facile (pur restando uno strumento che mette in difficoltà e molto impegnativa comunque).
    Con un programma di musica, sostanzialmente tedesca, dalla fine del '600 alla metà del '700 di circa un'ora abbondante, l'americano non dimostra solo la sua valenza ma anche la sua resistenza fisica.
    Detto questo, che già da solo riscuote tutto il mio rispetto, il repertorio per tromba solista spesso è interessante per il carattere solenne e gioioso che la tromba impone con il suo suono squillante.
    Ma naturalmente non è dei più modulabili per le ragioni che abbiamo detto.
    L'epoca d'oro della tromba solista è stato proprio quello rappresentato da questo disco che si può definire un vero tributo allo strumento, più che alla musica, pregevole ma spesso "minore" registrata.
    Segnalo comunque la ciaccona a 7 di Rittler, molto ritmata, la sinfonia a 7 di Endler e il concerto finale dell'inglese Capel Bond che, lo ammetto, fino a ieri non avevo mai sentito nominare.
    Registrazione straordinaria e ottimo complesso questa "Sprezzatura". Cohen è semplicemente inarrivabile (con buona pace dei fans della Balsom)

     
  11. M&M

    Recensioni : Vocale
    Amate Stelle : arie per Anna Maria Strada
    Marie Lys, soprano
    Abchordis Ensemble diretto da Andrea Buccarella
    Glossa, 20 gennaio 2023, formato 96/24
    ***
    Vi sarà capitato di leggermi riguardo le due Regine (Francesca Cuzzoni e Faustina Bordoni), incontrastate protagoniste della scena musicale di inizio '700, gioia e tormento del povero Handel impresario.
    Anna Maria Scala, bergamasca classe 1703, è la voce che le ha sostituite entrambe, avendo la bellezza della voce della prima e la potenza della seconda. E forse anche di più.
    Iniziatasi alla scuola bolognese, esordì a Venezia con Vivaldi dal quale fu scritturata nemmeno diciottenne.
    Già capace di straordinaria coloratura, proseguì la carriera come spalla di Farinelli a Napoli nel 1724 in opere italiane.

    Naturalmente la consacrazione arrivò con la piena esplosione della sua voce, con doti di potenza pienamente di petto e gamma vocale esagerata, tanto da eclissare lo stesso ex-partner.
    E ovviamente, come dicevo, si trovò all'apice della carriera a Londra con Mr. Handel che scrisse per lei Lotario, Arminio ma soprattutto, Alcina dove rese memorabile la celebre aria "Ah, mio cor !".
    La fine della moda "italiana" londinese mise purtroppo rapidamente al suo momento inglese e la sua carriera continuò in continente, come prima donna al Teatro San Carlo di Napoli e poi a Torino e a Vicenza, lasciando il segno ad ogni rappresentazione.
    Il disco, oltre ad Handel, rappresentato con 3 arie, vede propria un'ampia scelta di arie italiane, di Vivaldi, di Leonardo Vinci, di Leo, Galuppi e Ristori, senza dimenticare, ovviamente Porpora che già l'ebbe a paga a Londra.
    Il programma del disco è eccellente, perfettamente strutturato e mette in luce la voce sensazionale della soprano Marie Lys, definita giustamente tra le voci più significative del panorama attuale.
    Per potenza ed estensione ha poche rivali, la dizione italiana rasenta la perfezione, l'intonazione mi convince, per quel poco che ne capisca io di "bel canto".
    Manca forse un pò di fantasia negli abbellimenti (quasi inesistenti) ed è un pò ferma in certi passaggi ma tolto questo, Insomma, veramente notevole e sottoscrivo ogni critica positiva che ha ricevuto questa cantante.

    Premesso che io sono estremamente legato a questa musica, questo periodo e questo repertorio e penso di essere piuttosto esigente, trovo questo disco veramente bello e realisticamente registrato, largamente entusiasmante.
    E scusate se è poco.

    Consigliato a chi é ancora capace di amare la musica ...

  12. M&M

    Recensioni : orchestrale
    "American Rapture"
    Jennifer Higdon : concerto per arpa e orchestra (prima assoluta, dedicato a Yolanda Kondossis)
    Samuel Barber : Sinfonia n. 1 Op. 9 in un movimento
    Patrick Harlin : Rapture (versione per orchestra)
    Yolanda Kondonassis - Arpa 
    The Rochester Philharmonic Orchestra 
    Ward Stare - Direttore 
    Azica Records 2019, 96/24
    ***
     

    L'arpista Yolanda Kondossis, interprete del concerto per arpa e orchestra di Jennifer Hogdon
     
    La musica contemporanea oggi si divide in diversi filoni. C'è quella celebrale - tipo le composizioni di Esa-Pekka Salonen - che io non riesco a capire e sinceramente nemmeno ad ascoltare. C'è quella in stile cross-over che cerca di legare uno spirito classico con uno un pò più pop, per così dire.
    E c'è quella che cerca di esprime lo spirito del nostro tempo mantenendo la musica vicina - per quanto possibile - agli ascoltatori.
    E' certamente di questo filone la musica americana e in particolar modo quella di questo disco molto interessante, che contiene peraltro due prime assolute.
    Veniamo innanzitutto al titolo. Rapture sarebbe la sensazione che provano gli speleologi quando trascorrono periodi molto lunghi sotto terra nelle grotte o nelle caverne. Io naturalmente non ho mai provato queste situazione ed essendo piuttosto claustrofobo mi auguro sinceramente di non provarla mai.
    Il brano - qui eseguito per orchestra per la prima volta - va in crescendo fino ad un finale veramente impegnativo, che vede praticamente la disgregazione del linguaggio sonoro.
    Non sono convinto di averlo ben compreso, probabilmente bisognerebbe avere una buona introduzione dall'autore (qui il suo sito). Stiamo comunque parlando di avanguardia (Harlin ha conseguito il dottorato nel 2016 e la sua musica tratta sostanzialmente di soundscape, se intendiamo quello che lui intende). Un brano recentissimo, non mi cattura particolarmente ma certamente c'è sia originalità che innovazione.
    Il pezzo forte del disco probabilmente doveva essere la prima sinfonia di Samuel Barber inserita tra le due composizioni in prima assoluta probabilmente per rassicurare l'ascoltatore e l'acquirente, essendo del 1936.
    E' una composizione pienamente sinfonica in un solo movimento che dura circa 22 minuti.
    Si ispira nella struttura alla settima di Sibelius e certamente ne ha la modulazione (di fatto ci sono i tradizionali 4 tempi, condensati in un unico movimento). ma senza la ricchezza inventiva e la passionalità tipica del finlandese.
    Appare di tutta evidenza che dal punto formale ed intellettuale sia qualcosa che sta certamente su un piano ben differente rispetto al resto del disco.
    Non ci sono dubbi che la compagine di Rochester (siamo nella Kodak Hall, nata sotto il patrocinio della fu la fondazione Kodak) dia il meglio di se in questa sinfonia.
    Ma è comunque una composizione ostica, decisamente meno immediata di quanto pensiamo usualmente di Barber (che è un compositore, lo confesso, che non frequento quotidianamente).
    Invece mi ha attratto di questo disco il concerto per arpa e orchestra di Jennifer Higdon (classe 1962) che secondo me fa il paio col suo bel concerto per violino. Quello dedicato a Hillary Hanh nel 2009 e pluripremiato e celebrato, questo dedicato all'arpista Kondossis, solista in questa prima assoluta.
    E' una composizione in quattro movimenti estremamente frizzanti già a partire dai titoli (First Light, Joy Ride, Lullaby, Rap Knock).
    La stesura della trama orchestrale è abbastanza tradizionale per il 2018 e l'ingresso dell'arpa perfettamente strutturato, così come il fraseggio con gli archi e i legni, il tutto sottolineato dalle ricchissime percussioni.
    La cavalcata del secondo movimento ha un chè di bartokiano ma senza alcuna asperità meccanica, diciamo che ci sono gli echi del compositore ungherese ma nel mood complessivo del concerto in cui si legge la firma della Higdon, oramai abbastanza riconoscibile.
    La parte dell'arpa è tutt'altro che semplice e non deve essere stato nemmeno uno schermo durante le prove mettere a punto quei ritmi e quegli interventi a tempo.
    Lullaby è l'adagio seguente che inizia con l'arpa sola. Più che una ninnananna diciamo che è un momento di intimità. L'intervento del violoncello e del flauto si intrecciano con l'arpa che mantiene però il dominio della melodia.
    Probabilmente è il più tradizionale dei concerti della Higdon ma non vi immaginate di essere all'interno della strutturazione sonatistica di Haydn.
    Ci sono intuizioni sonore che si susseguono e questa lullaby è piuttosto una danza di esserini fatati più piccoli di un ditale che lasciano una scia di stelline per una stanza assolata.
    Il Rap percussivo finale stravolge completamente tutta la composizione e la porta ad un livello di originalità abbastanza inaspettato. Ci sono accenni di temi di danze latine insieme a passaggi jazzistici, l'orchestra e le sue parti tendono all'anarchia con l'arpa che cerca di ricucire la struttura.
    Le percussioni sono aumentate di numero e di importanza e l'arpista qualche volta deve alzare la voce anche bussando sulla tavola in legno.
    Sul finale, quando la coesione sembra venire meno e l'arpa non ce la fa più a tenere a freno il resto della compagnia, si sente qualche cosa che ricorda un pò il Barber che segue. E probabilmente da qui è venuta la scelta del programma di questo disco.
    Tenendo a mente che stiamo parlando di un concerto in prima assoluta, composto nel 2018 (e che comunque non parliamo di capolavori assoluti) credo che Jennifer Higdon sia un compositore estremamente interessante nel panorama odierno, capace di produrre musica vivace, originale, che riesce a raggiungere l'ascoltatore.
    In America le sue rappresentazioni hanno successo e non stento ad immaginare che anche questa sua nuova prova ne avrà.
    La registrazione è di buon livello, forse un filino secca ma nel complesso l'orchestra ne viene fuori bene.
    Arpa e solisti in buona evidenza senza apparire 10 metri davanti agli altri.
    Un disco che vi suggerisco, anche per cambiare musica, al posto dell'ennesimo quartetto di ultime sinfonie di Mozart o di concerti a programma di Vivaldi 


  13. M&M

    Recensioni : violoncello
    Anastasia Kobekina : Ellipses
    Violoncello, violoncello barocco
    Mirare 10 giugno 2022, 96/24, via Qobuz
    ***

     

     
    Disco di virtuosismo estremo, per gli amanti del violoncello.
    Folle dalla prima all'ultima nota tranne forse ... la "semplice" sonata di Debussy, eseguita alla perfezione ma senza tutta l'effervescenza del resto del programma.
    In parte ricercato, in parte studiato. Persino nel make-up di Anastasia.

    Come la Gagliarda alla francese finale, scritta da papà Vladimir Kobekin per la figlia Anastasia.
    Ma già il fandango di Giovanni Sollima su Boccherini che inizia il disco e la Follia (maraisienne) per violoncello solo ... bastano per amare il disco.
    Ellissi è una personalissima storia della musica per violoncello, dalle origini moderne fino a ... ieri.
    Registrazione perfetta. Comprimari e comparse di primissimo livello, musica eccezionale.
    Non solo per gli amanti dello strumento.
     
    Ascoltatelo.

  14. M&M

    Recensioni : violoncello
    Anastasia Kobekina : Venice
    Sony, 2 febbraio 2024, formato 96/24
    ***
    Viaggio ideale a Venezia, con musiche di tutti i tempi e di svariati autori. Semplicemente un pretesto, non è un disco descrittivo.
    Ma la ragazza che compirà 30 anni il prossimo 26 agosto e che è fresca di contratto esclusivo con Sony é a mio parere (e non solo, ci sono firme più autorevoli disposte a sbilanciarsi) potenzialmente la migliore violoncellista della sua generazione e in grado di prendere il testimone dai vecchi in via di pensionamento.
    Tanto che la Fondazione Stradivari le ha prestato in comodato uno strumento meraviglioso del 1698 ( ma prima suonava un Giovanni Guadagnini del 1743)
    Ci sono momenti di poesia autentica in questo disco, secondo me il meglio è agli estremi (rinascimento e contemporanea), il suo suono è divino e con il suo talento può fare letteralmente qualsiasi cosa.
    Ho perso la testa per questa violoncellista ? Per la sua arte, si.
    L'avevo già notata in un'altra recensione, disco strepitoso del 2022
    Ma per restare più a terra vi segnalo anche il primo concerto di Dmtri e un Arpeggione dal vivo veramente vivo e palpabile (in entrambe le soliste).
    Speriamo che il contratto con Sony non presenti solo dischi "pseuo-a-tema" tipo quelli di Sol Gabetta & Co. ma vera musica strutturata.
     
     
  15. M&M
    Anderszewski : Bach, estratti dal secondo libro del clavicembalo ben temperato
    Erato 29 gennaio 2021, acquitato su Qobuz in formato 192/24
    ***
    Il Clavicembalo ben Temperato preso per intero e magari interpretato non per l'ascoltatore ma come dovere sacerdotale rispettando la lettera ... alla lettera, può essere letale.
    Ma ci sono eccezioni.
    Questi 78 minuti che ci regala Piotr Anderszewski sono una selezione, non un'integrale, con una progressione personale e non sistematica anche se inizia con il preludio numero 1 e finisce con i 23 e 24, ma in mezzo non c'è la sequenza delle toniche previste da Bach.
    Effettivamente, registrare oggi ancora una edizione integrale di questo caposaldo della didattica (magari insieme al libro I) potrebbe essere o risultare superfluo se non si ha qualche cosa di risolutivo da dire.
    E in questo caso ?
    Lo lascio dire direttamente al pianista che mi pare abbia tutte le risposte :
    da parte mia vi assicuro che questi 12 personaggi sono talmente ben rappresentati dal loro autore, che qui più che Bach è proprio Anderszewski che io sto ascoltando ininterrottamente questo disco da quando è uscito.
    C'è un calore degno delle suite francesi e un successione "digitale" del fraseggio che sfiora il trascendente.
    Un disco imperdibile anche per chi quest'opera più che altro la cita per scherno.
    La registrazione è calda, profonda, tridimensionale.
    Un disco meraviglioso, credetemi.
  16. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Brahms :
    Intermezzo Op. 118 n.2, arr. per pianoforte e clarinetto di Popov 5 Lieder, Op. 105 - 1. Wie Melodien zieht es mi (trascr. Ottensamer) Mendelssohn :
    romanze senza parole op. 30, 67, 85, varie scelte ( trascr. Ottensamer) Andreas Ottensamer, clarinetto, Yuja Wang, pianoforte
    Carl Maria Von Weber
    Concerto per clarinetto e orchestra n.1 Op. 73
    Berliner Philarmoniker, dir. Mariss Jansons Gran Duo Concertante per clarinetto e pianoforte Op. 48
    Yuja Wang, pianoforte Deutsche Grammophon 2019, formato 96/24
    ***

    Compirà trenta anni solo il prossimo 4 aprile Andreas Ottensamer ma è già il clarinetto principale dei Berliner Philarmoniker dopo essere stato nelle due compagini di Vienna (il fratello più grande è attualmente clarinetto principale della Filarmonica di Vienna) e membro della Gustav Mahler Jugendorchester.
    Ha già all'attivo più di una collaborazione (tra cui l'incursione nel pop con il disco di Tori Amos Night of Hunters del 2011) e questo è già il suo terzo cd solistico con la DG, dopo quello d'esordio del 2013. Nel 2015 è uscito un disco tutto mozartiano per la Decca mentre nel 2017 ancora con la DG ha esplorato le "connessioni ungheresi" di Brahms.
    E' normale che la DG offra questa opportunità ad un solista che è già un affermato musicista e che dovrà interrogarsi su quali traguardi fissare per il prosieguo della sua carriera.
    In questa nuova proposta del 2019 la Deutsche Grammophon sceglie dalla sua scuderia di artisti, una partner eccezionale come Yuja Wang e mette alla raccolta un titolo tematico che dovrebbe individuare il crepuscolo come momento musicale ("Blue Hour").

    Crepuscolare lo è certamente il brano di inizio, ancora brahmsiano, il celeberrimo e sensazionale Intermezzo in la maggiore "Andante teneramente", pensato per pianoforte solo e qui adattato al canto aggiunto del clarinetto.
    E che nella proposta multimediale DG vede i due solisti su un galleggiante alla deriva nell'acqua mentre cala il crepuscolo.
    Si presta perfettamente allo scopo anche il Lieder, Op. 105 - n.1 " Wie Melodien zieht es mir", perfettamente trascritto per questa idea dallo stesso Ottensamer e la stessa cosa, penso delle romanze senza parole di Mendelssohn, scelte dalle varie raccolte e trascritti ancora da Andreas.
    Queste composizioni sono autentiche gemme musicali e se sono state pensate senza la voce del cantato, essendo comunque delle romanze nella concezione, ci sentiamo autorizzati ad immaginarle - e quindi ascoltarle - con la voce in primo piano che il clarinetto interpreta perfettamente.
    Yaja Wang che mostra di conoscere perfettamente questa musica, si ritaglia qui un ruolo modesto, come é sempre quando accompagna sempre magistralmente altri colleghi. E in questo dimostra - se ce ne fosse ancora bisogno - che il suo spessore musicale va ben oltre i decolleté, le minigonne e i tacchi Louboutin.
    Trovo meno convincente la scelta di inserire due brani di Carl Maria Von Weber che già in origine prevedono il clarinetto (ovviamente il concerto per clarinetto e orchestra, Op. 73 oltre al gran duo concertante op. 48) non perchè non siano all'altezza o sia inadeguata l'interpretazione (c'è l'intera orchestra dei Berliner ad accompagnare il suo solista sotto la guida del grande Maris Jansons, mentre nel duo, naturalmente la nostra Yuja) ma perchè vedo Von Weber sempre molto solare e decisamente molto distante dalle atmosfere crepuscolari da blue hour della coppia Felix-Johannes.
    Comunque nel complesso è un ottimo disco, tolta la sponsorship - per altro meritata - al nostro clarinettista che si fa ascoltare molto volentieri.  (A questo punto devo riascoltare il disco di Brahms dello scorso anno perchè in questo momento non lo rammento bene : sarà una cosa indicativa ? Ma no, Andreas è molto bravo solo che qui la presenza di Yuja é un plus sensazionale)
    Peraltro io adoro il clarinetto, è lo strumento a fiato che più mi è affine.
    Registrazione di livello adeguato.
  17. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Ange Terrible : Anastasiya Petryshak, violino e Lorenzo Meo, pianoforte
    Musiche di Debussy, Ravel e Messiaen
    Sony Music, 27 gennaio 2023, formato 96/24, via Qobuz
    ***
    Ammetto che la bionda Anastasiya Petryshak nel disco Sony del 2018, alle prese con Vivaldi e con uno Stradivari sensazionale prestato per l'occasione, non mi aveva colpito molto, anzi : sembrava un disco promozionale, piuttosto tirato via, come da stile dell'etichetta.
    Ci riprovano nell'operazione, scomodando per la copertina anche un body-painter (quelli ovviamente non sono tatuaggi !).
    Lei suona spesso con Lorenzo Meo in concerto e quindi l'amalgama è consolidato.
    Per idee personali ritengo che questo repertorio per violino e pianoforte, sia pensato per una violinista e per un pianista, almeno lo credo sia per Debussy che per Ravel che conosco molto bene.
    Lei dimostra personalità nella sua parte, forse si vorrebbe a volte che lo stesso facesse il pianista ma forse è più colpa della registrazione un pò troppo brillante.
    Dopo la sonata di Debussy compare il primo angelo, Les Angelus, composto per voce e pianoforte nel 1892, qui arrangiato per violino.
    E' una composizione breve, un pò lamentosa che apre la strada alla pertinacia del violino nella sonata di Ravel, dove il duo da probabilmente il meglio di se.
    Non siamo sul piano delle migliori interpretazioni di questa sonata, entrambi sono un pò troppo trattenuti - a tratti - mentre ci vorrebbe più trasporto e follia.
    Ma è una discreta lettura.
    La stessa cosa mi permetto di sottolineare nella Tzigane che vuole un violino assolutamente spregiudicato ed esibizionista.
    Ma si tratta di una composizione estremamente complicata ...
    Chiudono il disco due lunghi brani di Messiaen, un tema con variazioni, estremamente dinamico ed impegnativo al massimo.
    E poi un arrangiamento di un movimento del Quartetto per la fine dei tempi, dove ricompare l'angelo, terribile, ad annunciare la fine del mondo.
    Quest'ultima non è musica che sta stabilmente nel mio repertorio prediletto ma mi sembra che i due si trovino su un livello più alto con questo genere, mi sbaglierò.

    In conclusione, bel disco, un passo avanti notevole rispetto a quello di esordio della violinista, con un programma impegnativo, registrato in soli 4 giorni, tutto in Italia.
    E con un servizio fotografico pregevole. Ma è evidente che Anastasiya se lo merita. Del resto qui siamo su un sito di fotografi, no ?
    La registrazione è dell'ottobre 2020, fatta alla sala Fazioli di Sacile, Meo suona ovviamente un fantastico Fazioli F308, di gran lunga il miglior pianoforte del mondo:
    Lei invece ha un Roberto Regazzi del 2012. Un violino con un suono molto aperto.
    Il disco è interamente italiano nella realizzazione.




  18. M&M
    Anton Rubinstein : Concerti per pianoforte e orchestra n. 3 e n.5
    Anna Shelest, pianoforte
    Estonian National Symphony Orchestra diretta da Neeme Jarvi 
    Sorel Classic 2019, 96/24
    ***
    Due parole sole di preambolo.
    Un tempo i concerti per pianoforte erano nel repertorio di pianisti come Sergey Rachmaninov e Ferruccio Busoni, che li eseguivano al posto o insieme alle loro composizioni. E al suo tempo Anton Rubinstein era considerato il primo e il più grande dei compositori russi.
    Oggi le sue composizioni sono per lo più sconosciute e trascurate.
    Esiste solo una integrale dei suoi cinque concerti per pianoforte (Marco Polo 1993, con Banowetz al pianoforte) e sostanzialmente nessuno esegue le sue musiche.
    Giunge benemerito questo progetto congiunto tra la giovane pianista ucraina Anna Shelest e il veterano Neeme Jarvi che hanno già pubblicato lo scorso anno il 4° concerto (il più acclamato) registrato dal vivo e adesso presentano con l'orchestra Estone il 3° e il 5°.
    Se il 4° nei momenti lirici non era al livello di quello - speciale - registrato da Hamelin per la raccolta di concerti romantici della Hyperion (che per Rubinstein include solo quello, a dispetto di tanti altri compositori assolutamente trascurabili inclusi nelle decine di volumi a catalogo di quella raccolta), questa nuova registrazione non teme confronti se non quella storica, un pò spenta nei toni, di Banowetz.
    Anton Rubistein viene descritto come una vera forza della natura. E la sua musica gli rende certamente il servizio di perpetuarne questa statura.
    Immaginatevi un Brahms anabolizzato e palestrato o un Saint-Saens ... "russo" ed avrete una lontana idea.
    La parte sinfonica di questi concerti è veramente sinfonica e Chaikowsky ha preso a piene mani idee e soluzioni dalla musica di Rubinstein.
    La struttura è al 100% tedesca.
    La forza delle parti solistiche è semplicemente grandiosa, non riuscirei a definirla diversamente.
    Anna Shelest ha la dote non comune di far sembrare privo di sforzo ogni passaggio, anche il più impegnativo, mantenendo al contempo la potenza necessaria per rendere al meglio questa musica. Idealmente la sintesi tra la facilità di fraseggio di Gulda sposata con la forza di Gilels.
    Non esagero, non metterei queste partiture davanti a certe creature da copertina.
    Se manca è nei momenti più intimi, ma questi concerti sono virili dalla prima all'ultima nota ed è difficile immaginare una creatura apparentemente delicata come Anna Shelest (nata nel distretto di Karkhov ma perfezionatasi a New York alla Julliard) suonare con una tale potenza.

    con il marito durante la registrazione di un disco dedicato a musiche ucraine (il marito cura le riprese audio)



    una sorta di novella Clara Schumann (ogni iperbole è puramente voluta, non ci sono esagerazioni se ascoltate questo disco, il finale del 5° concerto vi porterà alle lacrime se ancora siete capaci di commuovervi ma non per le sdolcinate note, per le ottave piene !)


    il grande Neeme Jarvi, il più grande dei direttori baltici alla testa dell'orchestra nazionale del suo paese
    Dei due concerti qui registrati, il 5° è sicuramente quello che musicalmente merita di più e la cui parte pianistica è certamente di livello assoluto.
    Sinceramente non vedo motivo per cui questo concerto non sia nel repertorio dei più grandi pianisti di oggi, al pari o al posto di alcuni di quelli di Rachmaninov o insieme a quelli di Chaikowsky o di Prokofiev.
    La Shelest con Jarvi - il direttore ideale per accompagnarla, al suo posto potrei immaginare solo i suoi due figli o Vasily Petrenko - si mangia più di 4 minuti rispetto all'incisione di Banowetz. E comunque il primo movimento sfiora i 20 minuti da solo.
    Ma non è solo foga concitata, anzi, non lo è affatto. Il suo suono limpido è perfettamente scandito per tutta la durata, con il piano che quasi non sta mai in silenzio e che sempre rivaleggia (o sovrasta) l'orchestra.
    Fantastico !
    Non conoscete questi concerti, non conoscete Anton Rubinstein. Cominciate da questo disco.
    Registrazione nella media, si poteva fare di meglio ma la dinamica c'è tutta e il pianoforte è chiarissimo.
    ***
    Edizione alternativa : Marco Polo 1993, Joseph Banowetz con l=rchestra Cecoskovacca.
  19. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Prokofiev per due pianoforti, trascrizioni originali di Sergei Babayan, interpretati da Martha Argerich  e Sergei Babayan
    Romeo e Giulietta e sette brani di musiche da Hamlet, Eugene Oneghin e La Regina di Cuori, Guerra e Pace
    Deutsche Grammophon 2018, formato HD
    Registrazione del novembre 2017 a Elmau Shloss
    ***
    Conosco alla perfezione il Romeo e Giulietta di Prokofiev che ritengo una delle vette musicali del '900.
    E anche la suite originale in 10 pezzi per pianoforte solo.
    Bella ma a volte un pò ... sottile.
    Perchè l'originale per orchestra è straordinariamente ricca di suono, è spessa, sensuale, potente.
    Babayan nella sua trascrizione sceglie 12 movimenti, anche quelli come la Morte di Tebaldo, estremamente complessa come trama da richiedere o tutta l'orchestra, o due pianoforti.
    Ma va ancora oltre perchè si sente liberissimo di riarticolare del tutto la partitura di Prokofiev per ricrearla, non semplicemente trascriverla.
    La sua libertà si sente in ogni frase ma anche in interi brani come la Gavotte, l'Aubade, il preludio, martellante, folle di dolore.
    E lo é anche nell'interpretazione dove lascia altrettanto libera Martha di condurre ... le danze con il suo consueto tratto a-sentimentale che viene sostituito da umorismo, sarcasmo, dolcezza, fragore, distaccata rabbia.
    E' un capolavoro sontuoso e scintillante e ... niente scena del balcone.
    Composizione - è giusto chiamarla così perchè non è una semplice trascrizione - dedicata da Babayan proprio all'amica Argerich con la quale l'ha portata in scena in tutto il mondo e che sarebbe difficile immaginare suonata da altri.
    Seguono brani minori ma non per questo trascurabili, resi estremamente interessanti da una tessitura virtuosistica delle due parti per i due pianoforti di grande potenza e ritmo.
    In particolare gli ultimi due, il ballo di Guerra e Pace e il finale tratto dalla musica per il film La Regina di Cuori.
    Registrazione splendida che mette in luce i due strumenti.
    Un vero peccato non poterli vedere in video per seguirne singolarmente le parti.
    Ma accidenti, che spettacolo anche ad occhi chiusi.
     
    ***
    Babayan e Argerich sono amici da decenni e si vede in ogni fotografia che li ritrae.




  20. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Armida Quartet e Raphael Alpermann (clavicembalo)
    Bach: Contrapunctus I, IV & XI (da l'Arte della Fuga BWV1080), Beethoven: Grosse Fugue in Sib maggiore op.133, Goldberg: Sonata in Do minore, Haussmann: Fuga Prima, Fuga Seconda, Scarlatti: Sonata a quattro no.4
    AVI-MUSIC AVI 8553380
    Sono praticamente cresciuto a pane e contrappunto. E per me la forma fugata è la forma più sublime di composizione. Più ci si avvicina a quell'ideale formale, più mi appassiono alla musica che sto ascoltando. All'opposto, il mio interesse scema se al contrario il compositore se ne allontana.
    Capirete quindi il mio interesse e curiosità per il titolo di questo CD, edito dall'etichetta AVI-MUSIC e dal titolo programmatico di Fuga Magna.
    Se non avevo mai sentito il tedesco Valentin Haussmann, invece Mach, Mozart e Beethoven sarebbero stati sufficienti per motivare l'ascolto.
    Con la curiosità di quel famoso Goldberg cui il nostro sito rende omaggio.
    L'ascolto effettivamente ha confermato i motivi di interesse.
    L'Armida Quartett (con il clavicembalista Raphael Alpermann per i tre contrappunti di Bach) non ha solamente un suono terso e chiaro, perfetto per esaltare ogni voce di ogni fuga, ma dimostra una sensibilità musicale - nel porgere questo intenso programma - che solo in parte si era intuito nelle pur buone prove precedenti (quartetti di Beethoven, Shostakovich e Mozart).
    Le due fughe iniziali (Prima e Seconda, in italiano nel titolo) di Valentin Haussmann sono ricordate per essere le prime fughe pubblicate a stampa nella storia e risalgono ai primi anni del '600.
    Non sono intese per una particolare formazione, forse per un consort di viole, visto che nessuna parte prevale sulle altre, come invece capiterà invariabilmente nel prosieguo, una volta che il violino prenderà il suo ruolo storico tra gli archi.
    Sono due brani molto intensi ma al contempo delicati con una punta di atmosfera mistica.
    Forse un filo meno interessante la sonata a quattro di Alessandro Scarlatti, in cui il contrappunto diventa centrale solo in parte.
    Si tratta in effetti di una delle prime composizione quartettistiche della storia, con quattro parti per soli archi, senza basso continuo.
    Probabilmente l'atto di nascita del quartetto. E forse questo basterebbe di suo a giustificare la scelta in questo programma.
    E' necessario quindi tornare in Germania per riprendere del tutto il tema, con i tre contrappunti, celeberrimi, dall'arte della fuga di Bach, resi qui particolarmente umani.
    Andiamo alla vera sorpresa di questo disco, una splendida sonata di quel Goldberg cui Bach dedicò la famosa aria variata BWV 988.
    Qui il contrappunto e la forma fugata la fanno realmente da padrone. Non siamo naturalmente ai livelli di Bach ma c'è probabilmente più Bach in queste pagine, insieme allo spirito dello Sturm Und Drang della metà del settecento di quanto - purtroppo - non ce ne sia nelle centinaia di composizioni del più famoso Emmanuel Bach che, forse, in gioventù avrà dovuto studiarne alla nausea sotto la guida paterna.
    Una parentesi con il celebre Adagio e Fuga di Mozart, qui resa in forma drammatica per concludere idealmente la parabola della fuga con la Grande Fuga Op. 133 di Beethoven.
    Non aspettatevi una prova del genere del Quartetto Italiano, raramente si sente una interpretazione così "umana" e così priva delle asprezze di una composizione che resta comunque ostica sia da suonare che da ascoltare.
    Nelle note, provocatoriamente, si dice che dopo l'Op. 133 di Beethoven l'intero concetto della fuga si sia annacquato ed abbia perso tanto di significato da poter porre a quella data la parola fine del percorso compositivo di questa forma.
    Non sono affatto d'accordo, persino ai giorni nostri abbiamo esempi di fuga pienamente articolata. E certamente Brahms, Busoni, Britten, Gould e Shostakovich la penserebbero come me.
    Detto questo, un disco molto bello, meraviglioso a tratti, con un repertorio molto vario ed articolati, reso in modo sublimemente omogeneo ed armonico, pur con le sue diversità intrinseche, per l'essere profondamente differenti i musicisti rappresentati, anche quando quasi coevi.
    Una nota finale sulla copertina. Quando con un seplice scatto casuale si stempera la tensione che un titolone come Fuga Magna può ingenerare.
    E che secondo me può attirare tanto quanto la solita bella giovane violinista/pianista in pose sognanti e che poi nulla ha a che vedere con il contenuto del disco.
  21. M&M
    Ho scritto questo articolo su Nikonland.eu nell'ormai lontano ottobre del 2013. L'ho scritto con il cuore - come mi commentò all'epoca Silvio Renesto - perché allora credevo. Oggi non più.
    Ciononostante, è possibile che presto o tardi il vecchio sito salti per aria per obsolescenza incurabile e mi spiacerebbe che si perdesse per sempre.
    Per cui, per i pochi che lo leggeranno, eccolo qui, parola per parola. E' una copia conforme al netto del differente format della piattaforma.
    ***
    Quegli occhi di Alida Valli in quel particolare ritratto mi hanno sempre affascinato.
    Molto ma molto prima di conoscere l'autore.
     
    Lo dico senza timore, invidio molto Arturo Ghergo per la possibilità che ha saputo conquistarsi di fotografare il meglio dei volti italiani dell'epoca d'oro.
    I suoi ritratti sono icone o i personaggi da lui ritratti sono diventati icone.
    E' lo stesso, tanto è il significato nella nostra memoria collettiva delle sue fotografie di tanti e tanti personaggi, specialmente femminili tra gli anni trenta e cinquanta del passato secolo.
     
    Non andrei oltre a parlarne e mi fermerei per ore a discutere anche semplicemente di questi tre straordinari ritratti :
     

    Alida Valli
     

    Luciana d'Avack
     

    Rossana Martini (prima miss Italia nel 1948)
     
    Un fondale in gesso, due luci fisse da 500 W. Pose lunghe con un banco ottico in legno e lastre da 18x24.
     
    Che guardino in camera mentre siedono (o fingano di guardare altrove)  :
     

    ancora una splendida Alida Valli
     
    o guardino altrove mentre sono distesi :

    un conturbante Massimo Girotti all'apice della carriera
     
    le pose sono dinamiche e trasmettono forza, passione, vita, la tensione di un'epoca.
    Non sono naturali come ce le potremmo aspettare da persone di tutti i giorni ma nemmeno ingessate e di maniera come erano ritratti i divi del cinema dell'epoca.
     
     
    Certo, direte, facile far posare una attrice, è il suo mestiere.
    Ma da Ghergo andavano anche celebrità ed aristocratici della società più in vista dell'epoca :
     

    la Principessa Marella Caracciolo, poi Agnelli
     

    Papa PIO XII
     
    "Santo Padre, dovreste provare a benedire utilizzando solo tre dita, per la Santa Trinità" , fu il suggerimento che Arturo Ghergo diede al Papa prima di questo ritratto.
    E da quel giorno divenne normale per quel Papa benedire in quel modo, come il suo ritratto di Ghergo ricordava ogni giorno.
    Sono innumerevoli i ritratti di celebrità di Arturo Ghergo. La figlia Cristina ha curato due mostre pubbliche a Milano e a Roma nel 2012, con 350 ingrandimento degli originali sia in bianco e nero che a colori.
    Ci sono tra gli altri Sophia Loren, Silvana mangano, Gina Lollobrigida, Alida Valli ma anche Alcide De Gasperi, Papa Pio XII, Luigi Einaudi, l'Aga Khan, Pietro Badoglio, perfino Giulio Andreotti. Ma anche Edda Ciano Mussolini, il Duca Marco Visconti, Francesca Ferrara Pignatelli di Strongoli, i fratelli Bulgari, le sorelle Fontana.
     
    ***
     

     
    Se fosse andato in America probabilmente Arturo Ghergo avrebbe raggiunto fama planetaria e le sue "creazioni" pubblicate su Vogue ed Harpers Bazaar. Forse avrebbe fatto amicizia o sarebbe stato in concorrenza con Irving Penn.
     
    Ma veniva dalla provincia italiana (era nato a Montefano, Macerata nel 1901) e il suo punto di arrivo e di svolta fu Roma, dove si svolse tutta la sua carriera.
    Non gli vanno certo bene le cose all'inizio. Nel 1929 la crisi arriva anche nell'Italia fascista che ancora non aveva superato le difficoltà del dopoguerra. Sono anni difficili ma la scelta di prendere il già noto e centralissimo studio di Via Condotti al n. 61 lo premiano con il tempo.
    Lui lavora per i suoi clienti, per chi lo cerca per avere un ritratto nello stile originale e ricercato di Ghergo. In quell'Italia autarchica non c'erano riviste di moda e dell'America di Hollywood arrivavano solo le cartoline dei divi e qualche raro numero di Variety di contrabbando.
    Là era la produzione che controllava anche le immagini delle celebrità. Un ritrattista stipendiato eseguiva ritratti già durante le fasi di ripresa dei film, negli stessi set.
     

    il tipico ritratto hollywoodiano sponsorizzato da Camel : Gary Cooper, 1936
     
    Non possiamo sapere cosa sapesse di quel mondo a Ghergo che comunque si inventa autonomamente la via italiana per il glamour, fatta di sessioni estenuanti in studio e ancora più estenuanti fasi di post-produzione.
     
    Già perchè se l'immagine in ripresa è costruita ad arte con la luce e si studia il soggetto finchè la luce non lo interpreta come lui vuole interpretarlo ... è in camera oscura, in stampa e in ... quella che oggi chiameremmo post-produzione che si crea l'immagine di Ghergo.
     

    Eleonora Rossi Drago
     
    Senza Photoshop ma usando acidi e lamette per lisciare il negativo, mascherature e bruciature in stampa, e poi ancora pennelli ed inchiostri direttamente sul lavoro stampato, Ghergo e poi il suo stampatore di fiducia, puliscono la pelle, tolgono le imperfezioni, stringono la figura, alzano e curvano, piegano.
    Aggiungono ombre che non ci sono, accentuano luci che appena si intuiscono.
    Gli occhi scintillano, le forme vengono intagliate ...
     

    Marella Agnelli Caracciolo
     

    Marina Berti
     
    set e sfondi semplicissimi, addirittura spogli ma attenzione agli accessori e all'abbigliamento.
    Nelle foto di Ghergo c'erano i gioielli e gli abiti degli atelier più famosi, come quello delle celebri sorelle Fontana
     

     
    qui immortalate dallo stesso Ghergo e che inventarono il pret-a-porter italiano vestendo le più eleganti donne del mondo (Grace kelly, Audrey Hepburn, l'abito di Linda Christian nel matrimonio con Tyrone Power a Roma, Soraya, Ava Gardner)
     
    Come in questa serie :
     

    Consuelo Crespi

    Mariella Lotti

    Francesca Strongoli

    una aristocratica di cui mi sfugge il nome in abito da sposa
     
    ma certamente il suo massimo apice lo raggiunge nel glamour dove anche dive note per il carattere angelico diventano sensuali :
     

    come la protagonista del film di Blasetti "Quattro passi tra le nuvole", Adriana Benetti, nota come "fidanzatina d'Italia" tra il 1938 e il 1946
     

    Rossella Falk
     

    Elli Pravo
     

    Elisa Cegani
     

    Valentina Cortese
     

    Isa Pola
     

    Francesca Pignatelli di Strongoli
     
    ma soprattutto Isa Miranda, trasformata in una Marlene Dietrich all'italiana :

     
    Probabilmente l'alchimia con Alida Valli, trasferitasi a Roma durante la guerra deve essere stata particolare.
    Entra nello studio con il suo volto e ne esce con 20 fotografie che raprpesentano 20 donne diverse.
     
    Le due già presentate sopra :
     



     
    e queste :

    oggi diremmo casual o fitness utilizzando termini inglesi
     

    ma è una dea incorporea quella che indossa questo abito da sera
     

    elegantemente sensuale
     

    e misteriosa anticipando il Senso di Luchino Visconti
     
    Tornando alla mondanità più austera e ai personaggi pubblici.
     

    Giannalisa Feltrinelli con le figlie
     

    le duchesse d'Aosta-Aimone
     

    Edda Ciano Mussolini
     

    il giovane Giulio Andreotti ai suoi primi passi in politica
     

    Alcide De Gasperi
     

    Luigi Einaudi
     

    il giovane Re Hussein di Giordania
     
     
    Trascuro le foto dell'era a colori della Dolce Vita romana (Sofia Loren, Lollobrigida & Co.) e le foto per pubblicizzare le pellicole della Ferrania che appartengono ad un periodo meno originale dell'attività di Ghergo che alternò alla fotografia anche la pittura di tipo cubista, per mettere ancora due ritratti in b&n, differenti nello stile ma sempre con una impronta evidente :
     

    Monica Vitti a inizio carriera
     

    l'attrice berlinese Vera Bergman
     
    Io continuo a restare ammaliato dagli occhi di Alida Valli cui il pennello del grande Arturo Ghergo, antesignano e maestro dei fotografi glamour nostrani di oggi, ha dato forma e vita immortale :
     

     

     
    segnalo che i due cataloghi delle mostre romane e milanese sono in vendita presso Amazon ma in via di esaurimento ...
     
    Ghergo è morto nel 1959 dopo trenta anni di attività romana di cui non si perderanno mai le tracce.
    Lo studio è stato mantenuto aperto dalla figlia Cristina fino al 1999. MI ricordo di averlo notato nel mio periodo romano di fine anni '80. Una vetrina misteriosa che nascondeva sogni.
  22. M&M

    Recensioni Audio
    Conosco e utilizzo da anni gli apparecchi Audio-GD. E' un costruttore cinese fondato da un progettista che ha fatto esperienza negli Stati Uniti (lavorando alla Krell) e che poi ha deciso di mettersi in proprio.
    Molto dinamico, ha nella produzione dei DAC (convertitori da Digitale ad Analogico) il suo fiore all'occhiello ma oggi ha un catalogo molto ampio.
    Ogni apparecchio è caratterizzato soprattutto da una topologia elettronica (molto) dimensionata, puntando soprattutto alla qualità degli stadi di alimentazione - separati, sovradimensionati e generalmente in classe A - e di uscita (per lo più a discreti).
    L'impostazione estetica è spartana, da strumento di misura, l'aspetto non va oltre l'essenziale e non va d'accordo con esigenze di stile dei soggiorni alla moda, anche i comandi sono il minimo indispensabile per un corretto funzionamento.
    Ma la sostanza c'è, così come l'aggiornamento della linea dei prodotti costantemente allineata con i progressi della tecnologia sottostante.
    La caratteristica di base degli apparecchi progettati da Qingwa è quella di appagare l'orecchio, in somma, non l'occhio e nemmeno le aspettative dei misuroni. Anzi, parametri come la distorsione armonica vengono utilizzati per scopi sonori e non per risultare perfetti al banco di misura.
    Partiti da un rapporto qualità/prezzo eccezionale, per la quantità di componentistica di alto pregio utilizzata, restano ancora molto competitivi, sebbene nel tempo i prezzi siano stati adeguati via via alle potenzialità di un mercato che ha visto l'export premiare molto questo giovane marchio.
    Sulla longevità ed affidabilità, posso testimoniare che il mio DAC (da 15 chilogrammi, bilanciato e in Classe A, con 3 alimentatori separati già a partire dai trasformatori) NFB 7.1, è stato in servizio dal 2012 allo scorso Natale, quando dopo aver ascoltato il Master 11S di Eusebius, mi sono reso conto cheil suo suono poteva oramai considerarsi datato ...
    Il Master 11 è intanto uscito di produzione perchè sono oramai introvabili i suoi moduli integrati, quindi mi sono concentrato sui nuovi convertitori R-2R a discreti con moduli progettati e costruiti internamente da Audio-GD.
    In particolare ho scelto l'unico all-in-one (preamplificatore, convertitore, amplificatore per cuffie) disponibile attualmente in questa linea di prodotti.

    Che cos'è ?
    Dunque, si tratta di un preamplificatore/convertitore digitale che integra anche un amplificatore per cuffie ad alta corrente.
    E' interamente bilanciato dal'ingresso all'uscita (sia lato linea che lato cuffie).
    Di dimensioni tutto sommato compatte rispetto ad altre soluzioni dello stesso marchio (unico telaio da 36x36cm per circa 7.5 chilogrammi di peso) e di prezzo intermedio rispetto alla gamma Audio-Gd.
    Gli ingressi digitali sono completi (USB a basso jitter e isolamento galvanico, presa SPDIF, ingresso HDMI, coassiale), sono presenti anche diversi ingressi analogici per le funzioni di normale pre-amplificatore (compreso quello proprietario ACSS che è equivalente a quello di Krell).
    Le uscite analogiche sono sia bilanciate che sbilanciate.

    l'alimentazione è ovviamente integrata, la presa è nel posteriore.
    E' possibile utilizzare l'R28 anche come semplice DAC escludendo la parte pre.
    In questo caso l'uscita sarà fissa e non sottoposta al controllo di volume.
    Internamente l'apparecchio è diviso fisicamente tra la parte di alimentazione e quella di conversione e preamplificazione

    come si vede il trasformatore è sovradimensionato per le esigenze effettive di corrente di un DAC e lo stesso vale per il livellamento e la regolazione delle tensioni.
    Come funziona ?

    Dalla immagine sopra possiamo distinguere nella parte destra due moduli DA-8, che sono gli effettivi convertitori, i due gruppi di relais che si occupano della regolazione del volume in uscita e al centro, il modulo di ingresso USB che utilizza un chip Amanero in grado di gestire sia il PCM fino a 384KHz che il DSD in formato nativo.
    I moduli DA8 lavorano in parallelo, divisi per canale e si occupano della effettiva conversione da digitale ad analogico.
    Svolgono in formato discreto quello che in altri convertitori viene svolto da chip integrati (tipo quelli prodotti da ESS, AKM, TI, Wolfson).
    La topologia, chiamata a "ladder" o R-2R prevede una maglia di resistenze di precisione che lavorano sul segnale in successione.
    Questo schema è stato proposto da MSB sul finire ... del secolo scorso, con moduli proprietari inseriti nei suoi multimilionari convertitori, con lo scopo di superare i limiti di natura sonora dei convertitori integrati che per le orecchie di molti continuano a suonare in maniera ... troppo digitale.
    Non mi addentrerei oltre su questo fronte in quanto ognuno ha le sue orecchie e le sue opinioni al riguardo.
    Io posso testimoniare che il passaggio dal SABRE ESS 9018 del mio precedente DAC a questo genere di convertitori è avvenuto in maniera del tutto naturale, perchè mi pare molto più naturale il suono proposto da questi apparecchi.
    Qingwa, molto onestamente, dice che, volendo si può "addomesticare" il suono di un ESS 9038 perchè suoni più dolce e naturale. Sinceramente gli dò credito ma mi interessa limitatamente. A pelle credo che una soluzione come quella implementata da Audio-GD in questa classe di convertitori possa essere più interessante, sebbene cedente alle misure.
    Per me in fondo paga l'orecchio e tanto mi basta.
    Audio-Gd per non dover inseguire la tolleranza - già elevatissima - delle resistenze impiegate nei moduli DA-8, ha scelto una soluzione differente da quella utilizzata da MSB, rifacendosi allo schema dei moduli di Rockna che riporto qui sotto :
    senza andare troppo sul tecnico, Audio-Gd utilizza un microprocessore per gestire la distribuzione del flusso di segnale tra le resistenze.
    Questo consente di non dover arrivare a limiti esagerati nella selezione delle tolleranze delle stesse ed ha come vantaggio ulteriore di poter utilizzare lo stesso FPGA come base per la modulazione delle caratteristiche della risposta del segnale analogico in uscita.
    In questo modo è possibile simulare differenti tipi di filtri e di sovracampionamento del segnale, a seconda dei gusti dell'utente oltre ad incaricarsi di riallineare il clock del segnale in ingresso dal modulo USB.



    nelle foto precedenti il dettaglio dei vari moduli. Come si vede il microchip dei moduli DA-8 è uno Xilinx. Le resistenze sono Vishay o KOA con tolleranze allo 0.1%, messe in parallelo per dimezzare questo valore.
     vista di insieme di tutti i moduli visti dal lato degli ingressi/uscite.
    Operatività
    Mettere in servizio questo pre/convertitore è abbastanza semplice.
    Inserito il cavo USB dato in dotazione, ed acceso l'apparecchio, si deve scaricare dal sito Audio-GD il driver del chip Amanero ed installarlo.
    Una volta riconosciuto da Windows (credo che in ambiente Apple questo passaggio non sia necessario), questo verrà messo a disposizione come dispositivo di uscita audio e lo potremo impostare nel nostro player usuale. Nel mio caso il fidato JRiver.
    Non è richiesta nessun'altra regolazione di sistema.

    riprendendo il frontale, abbiamo un selettore, appena sotto al display, di modalità che consente di scegliere tra l'uscita linea o quella cuffie.
    Nel primo caso il segnale verrà indirizzato verso l'amplificatore di potenza o i nostri diffusori attivi.
    Nel secondo caso invece il segnale andrà ai due ingressi cuffie che vediamo alla destra del controllo di volume.
    Il primo ingresso è di tipo bilanciato a 4 pin ed è quello di elezione per questo apparecchio che nasce per essere utilizzato in bilanciato.
    Il secondo è invece la normale presa per jack da 6.3mm.
    Ho provato nella pratica e l'amplificatore per cuffie integrato (che ha capacità di erogazione elevate, fino a 9.5 Watt su 25 Ohm o 600 mW su 600 Ohm) mi sembra perfettamente in grado, volendo, di pilotare due cuffie contemporaneamente (ovviamente con un solo livello di volume).
    Il terzo selettore prima del controllo di volume è il selettore dell'ingresso. Funziona, come gli altri, a relais. Ha l'unico difetto di evidenziare il numero di ingresso selezionato e non il tipo corrispondente. Quindi 1 sarà HDMI, 2 USB, 3 SPDIF e 4, coassiale.
    In mezzo c'è il selettore del guadagno dello stadio di amplificazione, selezionabile tra L, H ed F.
    L è il minimo ed è quello che utilizzo per l'uscita linea.
    H produce un guadagno più elevato ed è indicato per cuffie a bassa sensibilità ma è meglio non impiegarlo con l'uscita linea.
    F è una modalità di guadagno più elevato che simula l'uscita bilanciata sulla sbilanciata. Da non utilizzare, evidentemente, con le cuffie bilanciate ma solo con quelle sbilanciate.
    Il display riporta la selezione di uscita (P o H), il livello del volume (numerico, da 1 a 100) e l'ingresso (da 1 a 4).
    E' un dispositivo ad alta luminosità, a barre, molto anni '70 ...
    La manopola del volume è in realtà un attuatore, in quanto questo R-28 non ha un controllo di volume analogico a potenziometro ma un controllo digitale a relais.
    Il funzionamento è a scatti e ad ogni scatti corrisponde una posizione del modulo relativa a quel livello di potenza, gestito esponenzialmente dai relais.
    Fortunatamente, il livello viene mantenuto in memoria anche allo spegnimento e rimane selezionato alla riaccensione.
    Personalizzazioni
    Come anticipavo prima parlando dello schema dei moduli di conversione DA-8, la presenza di un FPGA programambile consente oltre al controllo dell'apparecchio anche una personalizzazione del tipo di suono. L'utente può selezionare il tipo di risposta che preferisce sia per quanto riguarda la figura del filtro, sia per l'eventuale sovracampionamento.
    Purtroppo queste modifiche possono essere effetuate solo a macchina aperta per il tramite di jumper fisici da inserire nei pettini predisposti sulla scheda madre.
    Una modalità moltro scomoda che mi ha sconsigliato di provarci, avendo peraltro letto impressioni abbastanza dubbiose da parte di Amos Barnett lo scorso anno durante la sua recensione. Si tratta di nuance probabilmente troppo sofisticate per le mie orecchie partendo da una base di suono già di mio completo gradimento.
    Ho scoperto di recente che con l'anno nuovo, giustamente, Audio-GD propone una versione 2019 del suo R28 che permette la selezione delle modalità di funzionamento con i pulsanti. Mi pare che così abbiano eliminato l'unico difetto che a mio giudizio ha questo bel componente hi-fi.
    Suono e impressioni finali
    L'ho scartato per il 25 dicembre 2018 e da allora lo sto utilizzando ogni giorno.
    Il suono mi pare al livello - o quasi, non posso giudicare a memoria né mi voglio spacciare per uno capace di percepire differenze infinitesime di risposta, dell'Audio-GD Master 11S a circa la metà del prezzo e con un ingombro e un peso di meno della metà.
    Già questo sarebbe un punto di partenza elevato ma non vi avrei detto nulla.
    In questi nemmeno 3 mesi di esperienza ho maturato la convinzione che il suono complessivo del mio sistema (impostato su due pannelli dipolari autocostruiti, ibridi con le vie alte a driver magnetoplanari e le vie basse con woofer dinamici, alimentati con quattro amplificatori in classe D via crossover digitale a DSP) sia diventata più dolce e più naturale, rispetto al pur ottimo livello del precedente front-end composto da Audio-GD NFB 7.1 con DL2014 per l'ingresso USB.
    L'immagine è sufficientemente profonda ed ampia, con una ottima disposizione degli strumenti.
    Ma soprattutto il timbro complessivo mi pare che vada oltre ogni connotazione sfacciatamente digitale.
    Lo stesso vale per le uscite cuffie, con quella bilanciata nettamente superiore a quella sbilanciata, capace di far volare le mie HIFIMAN ma anche le più cocciute dinamiche che ho in casa.
    Se posso avere qualche cosa da ridire, ma sono inezie per uno nato con i wooosh dei nastri analogici e gli scrack delle testine dei giradischi, riguarda il fatto che - per la tipologia di scelta dei moduli di conversione e più in generale per l'architettura dell'apparecchio - il funzionamento non sia del tutto esente da scrocchi e crack vari quando si interviene con i selettori o anche durante il salto di traccia o l'avanzamento nel brano.
    Inezie che durante un ascolto ordinato e assorto non capiteranno mai e che potrebbero poi essere anche in parte indotte lato software.
    Resta l'ottiama resa di un investimento tutto sommato contenuto (rispetto ad altre proposte Audio-GD ma soprattutto rispetto ai top di gamma R-2R di MSB o di Rockna che mai mi potrei anche solo sognare di arrivare ad acquistare ...).
    E la speranza che in futuro, ma di questo sono certo, vista la dinamica degli aggiornamenti del catalogo Audio-GD, arriverà anche un top di gamma con queste soluzioni, portate ad un livello ancora più raffinato.
    E a chi è arrivato a leggere fino a qui, i miei ringraziamenti 
  23. M&M
    Bereitet die Wege, bereitet die Bahn

    "Preparate la via, preparate il cammino" - Cantata per la IV domenica dell'Avvento
    Solisti: Soprano, Contralto, Tenore, Basso; Coro
    Orchestra a 4 voci: 2 oboi, 2 violini, viola, continuo (organo)
    Prima esecuzione a Weimar - dove Bach era primo violino e compositore - il 22 dicembre 1715
    Testo di Solomon Franck (poeta di corte di Weimar)
    E' una cantata semplice, con poche parti, su 6 brani, di 22 minuti, alternati tra arie e recitative con il coro finale che è l'unico dove si combinano le voci.
    La musica dell'ultimo coro si è persa e viene generalmente sostituita dalle parti prese da altre cantate con la stessa struttura di strofa (generalmente la BWV 164 successiva del 1725).
    La cantata non venne più eseguita con Bach in vita perché a Lipsia durante l'Avvento si osservava strettamente un periodo di penitenza. La pubblicazione avverrà solo nel 1881.

    ***

    "Preparate la via, preparate il cammino!
    Preparate la via
    e spianate il sentiero
    nella fede e nella vita
    per l’Altissimo,
    il Messia viene!"
    E' il testo della gioiosa prima aria intonata dal soprano con fioriture in stile francese portate dall'oboe che è il coprotagonista.
    L'origine è il testo di Isaia "La voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, appianate nel deserto una strada maestra per il nostro Dio"
    L'aria da capo di apertura è in un cadenzato 6/8 metri con un ritmo che suggerisce l'influenza della loure [un ballo di corte francese]. La maggior parte del materiale si basa sulla figura di apertura, che si presta facilmente ad effetti dialoganti e sovrapposti. Il prominente oboe solista (il compasso della parte indica che è necessario un oboe d'amore) si ascolta in dialogo con la voce di soprano, scambiando figure basate sulla melismatica pittura di parole per ' Bahn' , che vaga nel suo tortuoso percorso in semicrome. Le parole "Messias kommt an!' ('il Messia sta arrivando!') sono proclamati non accompagnati, gettandoli in rilievo e formando un culmine alla sezione centrale dell'aria.
    Non è da meno la seconda aria, per contralto, "Cristo; Glieder, ach, bedenket", con arabeschi solistici di grandissima levatura del violino.
    In mezzo, l'aria per il basso, austero, accompagnato da violoncello e organo.
    "Wer bist du ?'" il cui testo prende come punto di partenza le domande rivolte dai giudei a Giovanni Battista (Gv 1,19 ss.). La pervasiva figura di basso nell'accompagnamento (solo per il continuo) è correlata al motivo principale della parte vocale. Il suo carattere buxtehudiano conferisce all'intero movimento un'aria retrò, il violoncello elabora costantemente la figura sullo sfondo della scrittura semplificata per gli altri strumenti continui.
    La lettura del Vangelo per la quarta domenica di Avvento racconta la storia di Giovanni Battista ( Giovanni 1: 19-28). Gli ebrei, ascoltando la potente predicazione di Giovanni nel deserto, si chiedono se Giovanni stesso sia il Messia, e gli fanno questa domanda. Giovanni risponde che non è il Messia, ma una voce nel deserto che grida "raddrizza la via del Signore". Gli chiedono perché battezza se è così. Risponde, predicendo così l'avvento del vero Messia:

    'Io battezzo con acqua: ma c'è uno in mezzo a voi, che voi non conoscete; egli è colui che viene dopo di me è preferito a me, a cui non sono degno di slacciare il fermaglio della scarpa».
    ***
    Bach preparò una cantata più elaborata per la IV di Avvento del 1716, la BWV 147a che non venne eseguita e il cui testo è perduto. Ma la musica venne riutilizzata per la spettacolare BWV 147 Herz und Mund und Tat und Leben di Lipsia del 1723, riadattata per osservare la penitenza luterana, per la festa dell'Annunciazione.
    Ma di questa parleremo in altra sede.
    ***
    Cantata semplice per organico e struttura è stata registrata dai soliti specialisti.

    Cominciamo con il "solito" Gardiner del ciclo del pellegrinaggio (2000, Koln e Luneburg)

    La #132 è contenuta nel Vol. 13 insieme alle altre cantate per l'Avvento e alla BWV147.
    Gardiner fa proprio "alla francese" (lo scrive nelle note) lo stile frizzante della prima aria.
    La parte orchestrale è assolutamente inarrivabile.
    Lo è un pò meno la Brigitte Geller, potente ma non abbastanza agile.
    Organo in primo piano nell'incipit dell'aria per basso, dove Jan Kobow è incisivo ed aulico.
    L'aria concertata per controtenore è particolarmente bella, con il violino in primo piano, molto lirico, con le giuste fioriture, senza eccedere.
    Michael Chance ricorda un pò Deller.
    Coro inappuntabile con un volume ben superiore alle attese.
    Nel complesso Gardiner rende anche più giustizia a questa cantata di quanto ci si aspetterebbe.

     

    Suzuki per Bis, volume 7 della integrale delle cantate (1997)
    La prima aria è eccezionale, il premio qui è la spettacolare Ingrid Schmithüsen accompagnata con leggerezza dall'oboe d'amore e dal resto del piccolo complesso giapponese.
    Ottimo anche il basso (Peter Kooy) cui il basso continuo contribuisce a togliere quell'aurea austera un pò fuori luogo trovata in altre edizioni.
    Stranamente sono invece più contenuti gli svolazzi del violino nella terza aria ma il controtenore giapponese Yoshikazu Mera è eccellente come le altre parti di questa cantata.
    Mentre trovo un pò sottotono il coro finale.

    Rilling, Hanssler, Edition Bachacademie (1976)
    Pur con tutti i soliti limiti di registrazione, la prima aria ha un tono pastorale che si avvale anche del continuo al cembalo a donarle lucentezza.
    La voce di Arleen Augér non è ai suoi massimi ma comunque sale a toni inusitati per le sue colleghe in questo confronto. E' solo un pò meno agile.
    Anche l'aria del basso - molto intenso, Wolfgang Equiluz- si avvale del cembalo al continuo, con un risultato più cameristico del solito che permette di leggere più facilmente le trame di arpeggio del violoncello.
    Anche l'aria del contralto, qui c'è Helen Watts al posto del previsto contraltista, ha un approccio molto cameristico e con una voce lirica, quasi drammatica.
    Il coro finale è solenne, immanente, in contrasto col resto della cantata, leggero.

    Koopman, Bach Cantatas Vol. 2, 1995
    Barbara Schlick sovrasta nella registrazione il pur brillante Marcel Ponseele.
    Eccezionale l'accompagnamento all'organo di Koopman nell'aria del basso Klaus Mertens che canta con grande leggerezza e brillantezza rossiniana con il violoncello - Jaap ter Linden - che non è un semplice comprimario.
    Bellissima.
    Lineare, decisa e senza incertezze l'aria seguente con il contraltista Kai Wessel che mi pare perfetto nella parte.
    Altrettanto bello il coro finale, senza eccessi, né di solennità né di drammaticità.


    Karl Richter nelle sue cantate dell'Avvento (1972) si avvale di Edith Mathis, Theo Adam, Peter Schreier e Anna Reynolds.
    E chi sono io per criticare una tale compagine ?
     

    Il Vol. 33 della prima integrale Telefunken contiene la BWV 132 (1976).
    Gustav Leonhardt guida il Leonhardt Consort, il coro lo dirige Herreweghe.
    Il contralto è René Jakobs.
    Io non amo troppo le parti da soprano eseguite dai bambini, ma questa edizione è particolarmente interessante e si lascia gradire.
    René Jakobs è effettivamente inarrivabile.
    Il coro finale è intimo, veloce, spedito, essenziale.
  24. M&M

    Bach Kantatenwerke
    originale manoscritto del 1730
    La cantata è divisa in quattro movimenti più l'alleluja conclusivo
    Jauchzet Gott in allen Landen ("Lodate il Signore in tutte le terre"), un'aria col da capo. Wir beten zu dem Tempel an ("Offriamo le nostre preghiere al tempio"), un recitativo che di fatto è un arioso con archi. Il testo di questo pezzo è tratto da salmi 26 e 138. Höchster, mache deine Güte ("Nell'alto, rinnovare la vostra bontà"), soprano e basso continuo Sei Lob und Preis mit Ehren ("Lodi, preghiere ed onori"), é una fantasia sulla quinta strofa del corale di Johann Gramann Nun lob, mein Seel, den Herren per archi e basso continuo con il soprano come cantus firmus. Senza interruzioni, si passa al fugato Alleluja conclusivo. L'autore del testo del primo movimento e del terzo è sconosciuto, ma alcuni ipotizzano possa essere lo stesso Bach.
    Sia la parte del soprano, che copre due ottave e richiede un do alto nel primo e nell'ultimo movimento, che la parte della tromba solista, sono estremamente virtuosistiche. La parte della tromba, invece, fu probabilmente scritta per Gottfried Reiche.
    Il testo tradotto in italiano della prima aria :
    Lodate il Signore in tutte le nazioni!
    Sia nel cielo che nella terra
    tutte le creature
    viventi proclamino la sua lode,
    e vogliamo al nostro Dio
    un'offerta ora presentare
    poiché anche nella croce e nel bisogno
    è restato al nostro fianco.
    ***
    organico : soprano, tromba, due violini, viola e basso continuo (con organo)
    Composizione : 1729-1730
    Lipsia, Nikolaikirche, forse il 17 settembre 1730 oppure il 25 settembre 1729
    Ripresa nel 1730, 1731, 1750 e 1755.
    La partitura è originale e parzialmente autografa con parti di W.F. Bach.
    ***
    E' nella realtà una composizione misteriosa, in quanto la prescrizione stessa di Bach "Dominica 15 post Trinitatis et In ogni Tempo" non la destina ad una particolare occasione anche se si ipotizza come prima esecuzione il mese di settembre del 1729 o del 1730.
    Formalmente è stata impiegata per la celebrazione dei 200 anni dalla Pace di Augusta (25 settembre 1535), occasione profana.
    L'organico è chiaramente festivo e la partitura per soprano tanto virtuosistica (tre volte per do alto e per saldo di do) da richiedere una cantante di ruolo e non certo un fanciullo o una voce bianca.
    Anche la parte di tromba e del livello di quella prevista per altre cantate bachiane di taglio celebrativo, a parte l'Oratorio di Natale e il Magnificat.
    Praticamente un mottetto solistico con tanto di fugato, fantasia, corale, strutturato come aria-recitativo-aria-allelujia con vere e proprie velleità concertistiche.
    Tanto che Friedmann Bach, morto il padre, la riprese ad Halle, ed aggiunse una seconda parte di tromba e i timpani, per elevarne ulteriormente il carico celebrativo.
    Secondo Raffaele Mellace (vedi il suo meraviglioso e dettagliatissimo volume sulle Cantate di Bach), il primo movimento rinnova gli splendori dei Concerti Brandeburghesi con il concertino dei tre strumenti (soprano, violino e tromba) che compete con il "tutti" orchestrale. La voce gareggia proprio con il virtuoso alla tromba.
    E' chiaramente un'aria all'italiana.
    Il recitativo, almeno formalmente, stempera il clamore iniziale con una vera e propria perorazione del soprano appoggiato agli accordi degli archi.
    La meravigliosa aria che segue, con il soprano accompagnato dal continuo (violoncello e liuto) é forse il cuore dell'intera cantata con un cantabile di "rasserenante distensione", denso e portato da un basso ostinato.
    Nel corale i due violini intonano le prime due voci, riguadagnando il loro giusto peso mentre la voce del soprano ricama sopra la loro melodia. Anche qui un richiama totale, alla musica italiana (due violini, soprano, basso continuo, tace la viola).
    La cantata culmina in un monumentale "scontro" tra il soprano e la tromba concertante con il tutti degli archi impegnati in un lungo fugato.
    ***
    Si intuisce forse anche dalle mie parole il livello della composizione, tra le vette più magiche raggiunte dal Kantor di Lipsia.
    Che possa essere stata composta nientemeno che per Faustina Bordoni, usignolo di Handel e moglie di Hasse e di base in quegli anni a Dresda dopo i fasti di Londra e Parigi, fa capire che tipo di voce sia richiesta per questa composizione.
    E per fortuna oggi abbiamo quello che ci vuole. In questi giorni sono innamorato dalla performance della bellissima (ho scritto bellissima ? volevo scrivere bravissima !) Sabine Devielhe che ha registrato con Pygmalion un disco dedicato ad Handel e a Bach, come a sancire la leggenda della Bordoni.

    un momento dell'aria iniziale, Sabine Devielhe e il complesso Pygmalion di Raphael Pichon

    la registrazione è smagliante, vivace, tanto francese che italiana.
    Resta Bach ma con piene e precise radici Scarlattiane nel confronto con le arie operistiche di Handel.
    Ci mostra anche cosa Bach avrebbe potuto fare se i suoi datori di lavoro fosse stati più liberali nelle prescrizioni ...

    c'è un disco recentissimo (22 novembre 2022) con questa cantata.
    La voce di Amanda Forsythe non è quella della Devieilhe ma ad avercene.

    faccio seguire il volume n. 30 della edizione delle cantate di Suzuki che si avvale di un altro dei miei amori, Carolyn Sampson.
    Si tratta di una lettura equilibrata, senza troppi fuochi artificiali, la Sampson gioca meravigliosamente con la tromba che di suo, fa di tutto per non sovrastarla.

    Carolyn Sampson

    chiudo con la classica lettura di Gardiner, nel suo pellegrinaggio del 2000, con la svedese Malin Hartelius nella parte del soprano

    lettura rapida, come suo solito, asciutta, ma festante come previsto.
    Naturalmente trovate altre decine di interpretazione di quella che è una delle più belle e gioiose cantate di Bach, che oggi ascolto a ripetizione, al posto del tradizionale oratorio di Natale.
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