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Blog Entries pubblicato da M&M

  1. M&M
    Bach : Weihnachts Oratorium BWV 248
    Carolyn Sampson (soprano)
    Wiebke Lehmkuhl (contralto)
    Martin Lattke (tenore/Evangelista)
    Wolfram Lattke (tenore)
    Konstantin Wolff (basso)
    Dresdner Kammerchor
    Gewandhausorchester diretti da Riccardo Chailly
    Decca dicembre 2010, formato CD, via Qobuz
    ***

    Uno dice Chailly e pensa a Mahler o a Verdi. Al Rossini pirotecnico con la National Philarmonic Orchestra.
    All'ultimo Beethoven e al Brahms di Lipsia.
    Difficilmente a Bach.
    E se si pensa al Gewandhaus associato a Bach, lo si pensa sotto la bacchetta di Felix Mendelssohn ad inizio '800.
    Eppure non dobbiamo gridare al miracolo se conosciamo sia il Maestro che i musicisti di Lipsia e il coro di Dresda.
    Aggiungiamo dei solisti di primo rango e la ricetta è fatta.
    Questo Oratorio di Natale è stato ripreso in due occasioni di concerti pubblici ad inizio 2010 e confezionato in CD per il Natale successivo.
    Ovviamente la Gewandhausorchester suona con strumenti contemporanei.
    E i suoi musicisti e i coristi di Dresda sono musicisti moderni che suonano la musica in pubblico, come la si suona oggi, per il pubblico di oggi.
    Senza costrizioni filologiche.
    Insomma, a prima vista uno - senza nemmeno ascoltare il disco - giudicherebbe l'operazione di stampo commerciale, preferendo orientarsi verso una delle tante edizioni filologiche con strumenti d'epoca e musicisti che ne conoscono la prassi, sotto un direttore/studioso che riprende la tradizione dell'epoca in cui queste partiture furono scritte e rappresentate.
    Un pò come si faceva prima degli anni '60, prima che gli apostoli dell'interpretazione filologica ci facessero conoscere questa musica per il tramite di compagini essenziali, parti reali, strumenti lontanissimi da quelli delle grandi orchestre contemporanee.
    Ma sbaglierebbe. Perchè pur con tutti i distinguo e le ovvie considerazioni della capacità di suono degli strumenti moderni (chi scrive ha più volte ascoltato dal vivo, in piccole chiese, l'Oratorio di Natale, suonato con trombe, timpani, archi e fiati moderni e sa l'effetto che questi fanno sotto arcate e navate) questa è una lettura fresca ed essenziale, per nulla drogata dalla potenza tipica di una orchestra moderna.
    E' la musica di Bach che trionfa, con le tessiture orchestrali protagoniste ma al servizio delle voci, le trombe squillanti ma sottomesse e i timpani addirittura in secondo piano.
    Ma soprattutto i ritmi, tutt'altro che monumentali, anzi, al limite del velocistico, come furono le sinfonie di Beethoven nella stessa combinazione, quando Chailly era a Lipsia.
    L'esibizione è al servizio dell'ascoltare, la musica nitida, gli assoli dinamici, le voci, chiare e distinte.
    Il coro dinamico.
    I tempi, come dicevo, sono rapidissimi ma Chailly anche in questo caso (come con Beethoven e Brahms) evita di portare l'orchestra oltre i limiti del difendibile.
    I cantanti, a volte non all'altezza di questa operazione, funzionano bene.
    Con Carolyn Sampson sopra gli altri - è abituata a questo repertorio - specie nel duetto con il basso nella terza cantata e nel terzetto dell'ultima.
    Ma è pari suo il tenore Wolfram Lattke che canta con tecnica sofisticata e con il giusto trasporto.
    Il carattere complessivo poi è di natura natalizia, né solenne, né monumentale, anzi, caldo oltre che trasparente, come deve essere per questa opera.
    Ricordo che l'Oratorio di Natale si compone di 6 cantate da eseguire nelle solennità che vanno dalla Notte di Natale all'Epifania di Nostro Signore. Di tipo gioioso quelle dispari e di genere più pastorale e raccolto quelle pari.
    L'impianto è di livello operistico ma senza averne lo scopo, anche perchè a Lipsia nel 1734-1735 i committenti di Bach non l'avrebbero capito.
    Ma è di tutta evidenza quanto i protagonisti di questa edizione, siano tutti assolutamente permeati dalla musica del loro lontano predecessore.
    Insomma si è capito quanto io sia rimasto fulminato da questo ascolto di un Oratorio - probabilmente la mia composizione preferita in assoluto - che non conoscevo o che avevo sempre trascurato tanto da dimenticarmene.
     
    Ok, non sostituisce la mia versione di riferimento - quella di Fasolis con i Barocchisti - ma per essere il prodotto di una grande orchestra moderna sotto un direttore famoso per l'opera e il sinfonismo tardo romantico è una sorpresa straordinaria, che vi propongo in questo Santo Natale del 2021

    quella che resta la mia edizione preferita dell'Oratorio di Natale, Fasolis/I Barocchisti/Arts/Retedue, 2012
     
  2. M&M

    Recensioni : clavicembalo
    Bach : clavichord
    Andràs Schiff, clavicordo
    ECM, 27 gennaio 2023, formato 96/24, via Qobuz
    ***
    Bach scriveva per il clavicordo, suonava il clavicordo, amava il clavicordo in tutte le circostanze "familiari" e "private", riservando il clavicembalo alle manifestazioni ufficiali in pubblico.
    Ne è certo Sir Andrea Barca (come scherzosamente chiama se stesso Andras Schiff, toscano d'adozione) e lo dimostra anche in questo disco.
    Lo fa adottando dinamiche adattate ma soprattutto sfruttando la capacità di tenuta del suono che ha il clavicordo e che non ha il clavicembalo.
    E con un programma in larga parte destinato all'intrattenimento casalingo della famiglia Bach, le invenzioni e le sinfonie, il capriccio sulla lontananza del fratello dilettissimo, aggiungendo un ricercare dell'offerta musicale e la Fantasia Cromatica e Fuga.
    Quest'ultima dimostra, insieme alla divertente Fuga ad imitazione della Cornetta del Postiglione, come le dinamiche del clavicordo, pur con volumi ovviamente limitati, si avvicini più a quella del pianoforte della metà del settecento che all'argentino clavicembalo.
    Sappiamo peraltro che Bach era un intenditore di pianoforte - a Lipsia e a Dresda c'erano importanti costruttori - e che nella sua celebre visita al Re di Prussia a Postdam, fece notare che gli strumenti che aveva in casa, non era tutto questo granché.
    Ma del resto, l'ampia prassi contemporanea di eseguire Bach al pianoforte, quando non si eccede col pedale, magari con strumenti che non siano della famosa Ditta e Figli, sia probabilmente quello che aveva in mente Bach mentre scriveva ed annotava la sua musica ... al clavicordo.

    manoscritto di Christoph Bach del Capriccio, circa 1742, molto dopo la data di composizione ~1704, a testimonianza dell'importanza didattica delle composizioni di Bach, riutilizzate nel tempo in ambito familiare e istituzionale
    il clavicordo usato da Schiff è di questo periodo, almeno è una replica di uno strumento del 1743

     
    è accordato relativamente basso ( a 404 Hz) per creare un suono rilassante e caldo, in perfetta sintonia con l'interpretazione di Schiff che è per tutte le pagine del disco, anche le più semplici, molto affettuosa in armonia con l'idea di musica privata, suonata dal compositore per il piacere proprio, della moglie, dei figli.
    Aggiunge piacevoli abbellimenti ma senza esagerare, non è un ambito in cui apparire. Questione di gusto che sono certo piacerà a chi ... odia il timbro eccessivamente brillante e secco del clavicembalo.
    Gran bel disco, registrato nel 2018, editato nel 2022, pubblicato solo adesso, negli standard consueti di ECM.

    L'invenzione #4, pagina autografa di Sebastian in persona.

  3. M&M

    Bach Kantatenwerke
    Cantata monumentale - circa 40-44 minuti - complessa e complicata.
    Composta a Waimar nel 1713 ma rivista poi a Lipsia in più occasioni.
    Ha un organico ampio ed è sostanzialmente divisa in due parti, la prima caratterizzata da profondo sofferenza (lutto) mentre la seconda è più leggera e termina in un coro di grande gioia e speranza.
    Si compone di 10 brani dopo una iniziale sinfonia che dura circa 3 minuti.
    La prima fonte autografe la classifica come "Concerto" "Per ogni tempo" e pare che nella sua prima veste di Weimar sia stata composta per le esequie di una donna della corte, celebrate l'8 ottobre 1713 nella chiesa di San Pietro e Paolo.
    Questa prima versione era probabilmente composta dai soli cinque numeri vocali (coro iniziale, due arie intervallate da due recitativi, coro finale).
    Ampliata l'anno successivo e riproposta il 17 giugno 1714 per la Terza domenica dopo la Santa Trinità (nel ciclo di cantate mensili sottoscritto da Bach), con i recitativo-duetto e l'aria e coro finali.
    Durante gli anni di Cothen probabilmente fu ulteriormente rivista e ridata in occasione di una visita di Bach ad Amburgo quello stesso novembre (occasione infausta, venendo a quattro mesi dalla scomparsa della prima moglie di Bach ma intonata all'occasione della prima stesura e al tono commiseratorio della prima parte della cantata stessa).
    Quindi rivista definitivamente a Lipsia dopo alcune ulteriori riprese a Cothen a conferma dell'amore dell'autore per questo lavoro.
    La revisione comunemente rappresentata oggi è quest'ultima di Lipsia con l'aggiunta della sinfonia iniziale.
    In questa versione (1723) abbiamo soprano, tenore e basso, coro a quattro voci complete e un organico che comprende  tre trombe e timpani per il movimento finale, quattro tromboni  ( solo nel Movimento 9 e solo nella 5a versione a doppie voci nella quinta strofa del corale), oboe, due violini, viola, e basso continuo con fagotto e organo esplicitamente prescritto.
    L’influenza italiana poteva essere immediatamente percepita nella musica di Bach durante la sua permanenza a Weimar. Nel coro di apertura di questa cantata, "Ich hatte viel Bekümmernis", si possono sentire chiari echi di uno dei concerti di Vivaldi.
    Ma se nella prima parte i toni sono particolarmente drammatici, nella seconda si sentono spesso tratti quasi operistici.
    La sinfonia altro non è che un adagio da un concerto per oboe e violino, forse perduto, dell'epoca.
    Il duetto tra primo violino e oboe concertanti è ripetuto nel corso della composizione.
    Il primo coro é un movimento fugale impostato sulla parola "Ich" ripetuta dalle quattro voci che poi si perde in una polifonia libera.
    Anche il coro finale inizia con un mottetto polifonico che poi sfocia in una fuga fatta di permutazioni con la prima tromba.
    Le entrate sono 14 - il nome J.S.Bach in notazione musicale - doppio di sette, secondo la cabala della vittoria pasquale di Cristo dell'Apocalisse.
    Quindi composizione grandiosa, vicina agli oratori e al Magnificat, di cui esistono decine di interpretazioni di pregio.
    Citiamo al solito quella di Gardiner (secondo Volume del ciclo del Pellegrinaggio, SDG del 2010), oltre a quella pregevole di Suzuki (vol. 2 del ciclo BIS del 2000).
    Immanente e solenne quella di Herreweghe per harmonia mundi del 1990.
    Ma ce ne sono sia di più recenti e filologicamente informate che meno, più antiche, come la classicissima di Karl Richter del suo ciclo di Monaco.
    Ma dovendone preferire una su tutte, citeremmo quella di Shunske Sato nella celebrata edizione in corso della benemerita Netherlands Bach Society, disponibile su Youtube.
    Brillante, a tratti effervescente, severa ma non troppo, con momenti di pura elevazione concertistica, praticamente con tutte le parti inappuntabili.
  4. M&M
    Michael Angelo Immenraet, pittore fiammingo del '600 : "Adorazione dei Re Magi". 1670
    La Cantata BWV 65 "Sie werden aus Saba alle kommen" [Verranno tutti da Saba] é stata eseguita per la prima volta come prima cantata del ciclo inaugurale di Lipsia, il 6 gennaio 1724.
    Rappresenta come è ovvio la venuta dei Re Magi ad adorare il neonato Gesù, secondo il Vangelo di Giovanni.

    Consta di 7 movimenti ed è composta per un organico non troppo sviluppato :
    Tenore e basso solisti, coro con soprani, contralti, tenori e bassi, strumenti : 2 corni, 2 flauti, 2 oboi da caccia, 2 violini, viola e basso continuo.
     
    La scelta degli strumenti - corni "da caccia", oboi d'amore o da caccia, cerca in qualche modo di creare atmosfere orientaleggianti, a simulazione delle ciaramelle mediorientali.
    Complessivamente la cantata è un piccolo "oratorio" che all'origine è stata proposta in un ciclo che comprendeva il Magnificat, il Sanctus ed altre cantate natalizie.
    Le letture comprendono brani dal Vangelo di Matteo e dalla Bibbia (Isaia). Almeno un recitativo è di mano dello stesso Bach.
    Il coro iniziale, bellissimo, è intonato dai due corni, il canto è pastorale come si conviene, data l'occasione che ricorderete dal Catechismo.
    Segue un corale con i due solisti e i due flauti.
    Ancora un recitativo e un'aria per i due solisti.
    Infine un corale conclusivo.
    Le tonalità passano dal do maggiore iniziale al la minore passando per mi minore.
    L'aria per il basso "Gold aus Ophir ist zu schlecht" ("Ofir non ha abbastanza oro da offrire") ha un accompagnamento sofisticato con gli oboi e il basso continuo (organo).

    Il recitativo del tenore è particolarmente "drammatico" ma apre ad un'aria estremamente melodica che è una danza lieta.
    La musica è elaborata e ritmata con colori strumentali brillanti, operistici che forse avranno smosso qualche sopracciglio negli austeri borghesi lipsiani.
    Del resto il titolo " Nimm mich dir zu eigen hin ", prendimi con te, è chiarificatore.
    Il corale finale "Ei nun, mein Gott, so fall ich dir getrost in deine Hände" è un classico, scritto su musica utilizzata da Bach anche nella cantata 111 e nella Passione di Matteo.
    Le voci sovrastano il basso che l'accompagna (organo), solenne e legato.
    Brevissimo.
    ***
    Cantata a metà tra il solenne e il bucolico, stretta tra le celebrazioni del Natale cui Bach dedicherà una delle sue composizioni più magnifiche, l'Oratorio strutturato su ben 6 cantate, si presta comunque a buone interpretazioni.
    Io comincio sempre come riferimento alla versione di Gardiner tra le cantate del pellegrinaggio.
    La registrazione è del 2000 :

    inserita nel Vol. 18 dell'edizione dell'etichetta dello stesso Gardiner, Soli Deo Gloria.
    Molto più compassata la lettura di Suzuki, pubblicata col volume 21

    e sinceramente non dedicherei altro tempo alla ricerca di versioni alternative su disco.
  5. M&M
    La famiglia Bach fa musica, la domenica pomeriggio prima delle funzioni e dopo il pranzo.

    Bach è la musica, è sinceramente molto difficile consigliare la sua musica in soli dieci proposte.
    Ma si può provare.
    L'idea è di avvicinarla a chi è digiuno di Bach ma magari adora Chopin, Schubert, Mendelssohn, Liszt e Muzio Clementi.
    Scherzo, è una proposta per non specialisti. Senza offese per nessuno, evitando quanto potrebbe risultare indigesto a chi non è almeno preparato sul piano dell'ascolto.
    Ditemi che ne pensate, magari 
    ***
    1

    Six Concert avec plusieurs Instruments
    Ensemble Zefiro, Alfredo Bernardini
    Arcana 2018
    ***
    I sei concerti "brandeburghesi", perché dedicati a Sua Altezza Reale l'Elettore di Brandeburgo rappresentano il compendio della musica strumentale con più strumenti solisti dell'epoca di Bach, almeno secondo le partiture che passavano per le mani di Bach all'epoca.
    Bach non era come alcuni suoi contemporanei un viaggiatore. Non aveva la cultura cosmopolita di Handel e non era un celebrato musicista di corte come Telemann.
    Anzi, tra Dresda e Lipsia viveva alla periferia di quelle che erano le capitali della musica del suo tempo.
    Però ascoltando questi concerti, ricchi, vivaci, scritti per il tutti e per i soli, sentiamo la musica di Albinoni, dei Marcello, di Vivaldi.
    Musica condita in salsa francese, a cominciare dalla dedica e dai tempi alla francese - Polonaise, Menuet - ma strutturata con il contrappunto tedesco.
    Come dire la sintesi e la summa della musica strumentale per "orchestra" del tempo. Con formazioni da puramente cameristiche fino a comprendere trombe, corni, e tutti i fiati.
    Il cembalo per il basso continuo, nel quinto concerto produce uno dei primi esempi di concerto per clavicembalo e orchestra nella forma moderna che diventerà poi, attraverso i figli di Bach, il concerto per pianoforte e orchestra che abbiamo conosciuto poi.
    Ci sono cadenze, ci sono ritornelli. C'è sempre grandissima musica.
    Le interpretazioni disponibili sono innumerevoli. Quelle canoniche, quelle eretiche (ricordo persino quella di un giovanissimo Abbado più che altro impegnato tra Nono e Mahler, assolutamente lontano dalle scelte filologiche che iniziavano in quell'epoca).
    Ho scelto questa perché ad una compagine di musicisti eccezionali si unisce la lettura ortodossa all'italiana : con fioriture, abbellimenti, improvvisazioni, che, mi perdoneranno, ai molti musicisti del nord, non vengono altrettanto naturali, scaturendo così letture aspre, monocordi, troppo povere di invenzione per essere vere.
    I Sei concerti sono una prova straordinaria di conoscenza, di umanità, di virtuosismo (Bach stesso e i suoi figli potevano coprire la gran parte degli strumenti, esclusi i fiati) di inventiva autenticamente settecentesca ma che si presenta viva e ricca anche alle nostre orecchie.
    A differenza della maggior parte dei concerti grossi dell'epoca.
    ***
    2

    Sonate e partite per violino solo
    Christian Tetzlaff
    Ondine 2017
    ***
    Ho ancora vive le emozioni che la terza lettura del più assoluto tributo all'arte di toccare il violino mai scritto ha dato Christian Tetzlaff.
    Tetzlaff è normalmente freddo nella sua interpretazione. E il suono del suo violino non lo aiuta.
    Ma qui è entrato tanto intimamente dentro alle partiture da diventarne strumento.
    Una lettura personale, con accenti e tempi molto personali, anche discutibili sul piano formale.
    Ma anche senza chiamare in causa la solita, celeberrima Ciaccona (Bach usava il termine in italiano e non quello originale francese di chaconne), che certo ballabile non è, è veramente difficile staccarsene una volta cominciato ad ascoltare.
    Se fossero in vinile, quegli LP io li avrei già consumati.
    Anche qui le edizioni a disposizione sono un numero sconfinato. Ogni grande violinista ed ogni violinista che si crede grande si è cimentato o ha sognato di farlo con questo monumento.
    La multivocalità contrappuntistica ricreata con uno strumento monodico per concezione. Richiede all'esecutore - e all'ascoltare - capacità di concentrazione, di tenuta, di ... respiro, esagerate.
    Ma c'è poca musica in questo mondo che avvicina a ciò che c'è nell'altro come questa.
    Non l'ho messo al primo posto perchè, appunto, rispetto ai Sei Concerti, l'impegno richiesto all'ascoltatore può per molti risultare trascendente quanto lo sono le qualità che deve avere il solista per non darne una lettura banale.
    Con tutto il dovuto rispetto, non è pane per Joshua Bell (che per dare lettura della Ciaccona ha chiesto supporto  all'Accademy di San Martin in the Fields e ne è venuta fuori una tisana alle erbe).
    ***
    3

    Concerti per violino e orchestra
    Kati Debretzeni, violino
    English Baroque Soloists diretti da John Eliot Gardiner
    SDG 2019
    ***
    I concerti per violino e anche quelli ricostruiti per violino ma in origine scritti per uno strumento diverso (oboe, ad esempio) sono concerti all'italiana nei tempi, nella struttura e nello sviluppo.
    Ma intrinsecamente musica di Bach, non certo di Vivaldi.

    Ne abbiamo decine di raccolte, in stile filologico e non. Persino Oistrakh ne ha registrati.
    L'edizione che suggerisco è una visione parziale e contiene anche un concerto ricostruito (il BWV 1052 che c'è anche per clavicembalo) ma interpretata con tanta umanità sia dalla violinista che è il primo violino della compagine che la accompagna, sia dagli English Baroque Soloists diretti da John Eliot Gardiner che per Bach ha una malattia benigna.
    4
     

    Suite Francesi
    Murray Perahia, pianoforte
    Deutsche Grammophon 2016, formato CD
    ***
    Al pianoforte o al clavicembalo ?
    Poco importa purchè l'interpretazione abbia la carica umana e sensibile che ci mette l'eccellente Perahia nella sua recente lettura.
    Un doppio disco che si ascolta in un soffio, senza mai perdere una nota.
    Non c'è la cura maniacale nel tocco e nella diteggiatura di altre edizioni, né la lucida follia di Glenn Gould, ci sono invece fioriture, abbellimenti e arcate di ampio respiro.
    Ma soprattutto, una umanità rara.

    cercando lo stesso tipo di lettura, tranquilla, umana, sensibile, senza che sembri una corsa verso l'ultima nota, suggerisco al clavicembalo, questa volta, la lettura per la Bis di Masaaki Suzuki pubblicata nel 2003 nello sforzo ciclopico del giapponese di erigere una monumentale integrale-integrale di Bach sostanzialmente da solo e con il suo Ensemble.
    Anche solo per questo merita la considerazione che gli tributiamo.
    Le sei suite francesi sono un compendio dell'arte di toccare il clavicembalo secondo lo stile d'oltre Reno, secondo la visione di Bach nei suoi anni migliori.
    Brillanti, meno austere di quelle "all'inglese", sono un pezzo forte della formazione musicale tastieristica di tutti i tempi.
    Ma nelle innumerevoli edizioni, non mancano i casi di appropriazioni da parte di altri strumenti, come questa edizione particolare edita dalla Bottega Discantica di Milano, con l'arpista Cristiana Passerini che vi suggerisco se già, al pianoforte, le conoscete a memoria.

    ***
    5
    Senza voler far torto a Perahia, a Gould, a Leonardt, per le Suite Inglesi ricorro alla più bella edizione delle integrali di Bach - secondo il mio modesto avviso - edita dall'interprete stesso una ventina di anni fa.
    Infatti l'olandese Ivo Janssen ama così tanto Bach che non trovando chi gli stampasse i CD della sua integrale, se li è finanziati da se (ed io li ho comprati tra i primi).

    le sei suite inglesi qui sono prese con lo stesso feeling morbido, sensibile, deciso ma senza andare mai sopra le righe, di Perahia. Ma sono forse ancora più personali, sembra che ogni nota esca da una profonda meditazione personale.
    Non che manchino altre opinioni al riguardo, tutt'altro, ma se potete farlo, ascoltatevi l'integrale :

    e provate a scartare qualche cosa ...

    volendo restare controcorrente, per la versione clavicembalistica segnalo quella pubblicata nell'aprile 2020 da Musica Ficta con l'italianissimo Paolo Zanzu che nella foto che segue viene premiato dal Maestro Gustav Leonardt al Concorso Internazionale di Bruges

    ***
    6

    L'Oratorio di Natale
    Coro della Radio Svizzera, I Barocchisti, diretti da Diego Fasolis
    Brilliant Classics
    ***
    Io metterei SEMPRE questo disco al primo posto di qualsiasi classifica.
    E anche in questa proposta di dischi di Bach andrebbe al primo posto.
    Se non fosse che la disanima recita "fur alle" - "per tutti" e le Cantate non sono sempre per tutti.
    Ma se vogliamo affrontare Bach non possiamo escludere le cantate, almeno quelle sacre.
    E l'Oratorio di Natale è una raccolta di 6 cantate pensate per la settimana che va da Natale all'Epifania.
    Sono cantate differenti tra loro, alcuni raccolte e bucoliche, altre puramente celebrative con tre trombe e timpani.
    Tra le centomila edizione differenti che ci sono - e che io credo di possedere interamente ma me ne mancasse una ... c'è sempre Qobuz - quella che mi appassiona di più (io l'Oratorio di Natale l'ho fotografato durante le prove e poi durante il concerto in chiesa, cliccando sui timpani) è quella dei Barocchisti di Diego Fasolis.
    E' fresca, lucida, veloce, totalmente priva di ogni forma di retorica ma ... con l'inventiva e l'estro di chi conosce profondamente la musica italiana.
    La registrazione è un filo fredda con gli acuti in evidenza ma non si può avere tutto nella vita.
    ***
    7

    PSALM 51 BWV 1083 sullo Stabat Mater di Pergolesi
    Nancy Argenta e Guillemmette Laurens, Coro della Radio Svizzera, i Barocchisti, Diego Fasolis
    Arts
    ***
    Sempre andando controcorrente, propongo subito dopo l'Oratorio di Natale il Salmo 51, ovvero la versione tedesca di Bach dello strepitoso Stabat Mater di Pergolesi.
    Non è un plagio ma un tributo del più grande compositore tedesco (e di tutti i tempi) alla grandissima musica italiana che evidentemente gli capitava in mano.
    Se vi piace l'originale di Pergolesi questo è ancora più immanente, importante ... luterano.
    I Baorcchisti e Fasolis sempre molto limpidi eppure ricchi di inventiva. Voci assolutamente senza possibilità di critica IMHO.
    8

    Concerti per clavicembalo e orchestra BWV 1054, 1055, 1058, 1063, 1064
    Ton Koopman e The Amsterdam Baroque Orchestra
    Erato
    ***
    Torniamo allo strumentale con i meravigliosi concerti per clavicembalo e orchestra.
    Sono concerti virtuosistici che anticipano il concerto per pianoforte e orchestra che imporranno i figli di Bach al mondo musicale europeo.
    La contrapposizione tra il solista e il tutti lascia piano piano spazio all'unico strumento qui in evidenza - rispetto al modello del concerto grosso all'italiana o alla francese - con uno svolgimento ampio.
    Non c'è ancora la contrapposizione tra due temi antitetici ma lo sviluppo c'è tutto. Anche con accenni di cadenze.
    Per i due o tre li fuori che considerano ancora il clavicembalo uno strumento da gente incipriata e imparruccata e che non possono fare a meno di assopirsi appena lo ascoltano, ci sono evidentemente decine di versioni anche con il pianoforte al posto del cembalo.
    Io li considero un pò eretici ma si trova del buono anche in quello strumento, se lo strumento è buono e lo è altrettanto la mano di chi la suona (parafrasando le parole del vecchio Bach al giovane Fritz nella sua visita a Potsdam per salutare il figlio Emanuel).
    In questo caso vi suggerisco il garbo assoluto di David Fray sia nei concerti per un solo clavicembalo che in quelli - meravigliosi - per 2-3-4 da Vivaldi :


    che sono impagabili e strepitosi (anche per la presenza del Maestro Rouvier)
    9

    Orgelwerke (opere per organo) Vol. 1
    Peter Kofler, organo di San Michele a Monaco di Baviera
    Farao
    ***
    Accettato il clavicembalo, possiamo anche cercare di digerire l'organo.
    A me affascina l'idea dell'organista cattolico che suona un organo costruito da un cattolico nella chiesa delle più cattoliche città della Germania, la musica di un assoluto luterano.
    Questo disco è il primo volume di quella che credo diventerà l'edizione di riferimento per le opere organistiche di Bach.
    L'interpretazione è canonica e libera allo stesso tempo, l'organo sontuoso, la registrazione oltre i limiti fisici del supporto.
    Il programma è di quelli classici, senza troppa componente di corali da messa, quindi godibile anche per il profano.
    Naturalmente ci sono diecimilioni di altre edizioni disponibili. Voi fidatevi di me per questa.
     
    10

    Variazioni Goldberg
    Murray Perahia
    Sony 2000
    ***
    Escludiamo dal novero opere celebrali come l'Arte della Fuga o l'Offerta Musicale.
    Le messe, i mottetti, altre cantate, variazioni e trascrizioni di musiche altrui (come il meraviglioso concerto di Alessandro Marcello).
    Le partite, le toccate ... etc. etc.
    Un sito che si chiama Variazioni Goldberg in omaggio al fondamento della musica occidentale, non può che chiudere con queste.
    Anche qui abbiamo un milione di edizione, al cembalo, al piano, all'arpa, all'organo, all'orchestra d'archi, il quartetto, lo xilofono e il vibrafono.
     
    Io scelgo ancora l'umanità di Murray Perahia nell'edizione del 2000.
    Ma naturalmente non si può prescindere dall'aver almeno ascoltato una volta nella vita le variazioni di Glenn Gould edizione 1955 ...


  6. M&M

    Recensioni : violoncello
    Bach le sei suite per violoncello solo senza basso
    Domenico Gabrielli : 7 ricercari per violoncello solo (e un canone a due violoncelli)
    Mauro Valli
    Arcana 2019, formato 96/24
    ***

    Mauro Valli suona "virtualmente" il canone a due violoncelli di Domenico Gabrielli
    Quando mi trovo davanti una nuova edizione di un capolavoro mi pongo sempre la domanda se ci sia un motivo reale per questa nuova registrazione.
    Sia - come in questo caso - le recenti edizioni di suite, partite, sonate per strumento solo di Bach, siano le sinfonie di Beethoven o quelle di Mozart.
    Certamente si tratta di un caposaldo del repertorio per violoncello solo e credo che ogni violoncellista serio - anche dilettante - abbia in repertorio, abbia studiato, si sia confrontato con questo monumento bachiano ad uno strumento che solo più tardi assumerà il ruolo solistico che noi gli attribuiamo.
    Ma un conto é suonarlo in privato, un conto portarlo in concerto, un altro ancora registrarlo.
    Evidentemente questa dovrebbe essere la domanda ma vedo che non molti se la fanno a se stessi.
    Qui Mauro Valli non solo si è domandato il perchè di questo progetto, ma ce ne rende edotti nelle note - questa volta, per cambiare, anche in italiano - per esteso, oltre a chiarirci i punti nodali della sua interpretazione, lo strumento, l'accordatura (o la scordatura in un caso).
    Bach e l'Italia, Bach e Bologna. Non solo Bach e Frescobaldi, o Bach e Vivaldi ma, in questo caso Bach e questo oscuro violoncellista bolognese.
    Domenico Gabrielli é musicista della generazione precedente a Bach (nato nel 1659, morto nel 1690 quando Bach aveva solo 5 anni) ma nella sua brevissima carriera di musicista e di compositore si impegnò nel valorizzare il violoncello come strumento solista, forse per primo, probabilmente sviluppando lo stile veneziano per la composizione solistica quando nella sua città la richiesta era comunemente "da chiesa".
    Mauro Valli non ipotizza una contaminazione - non ci sono le prove - ma abbiamo chiari esempi, citazioni, trascrizioni del Bach nel suo periodo felice e sperimentale di Kothen in cui assorbe la musica italiana e quella francese che fonde con le sue radici articolatesi tra la Germania Centrale e quella più severa, settentrionale. 
    Le sue sonate e le suite di questo periodo hanno profondi legami con la musica strumentale italiana, e ci sono le prove che Bach possedeva svariati manoscritti di compositori italiani, con materiale ampiamente "riciclato" (si pensi, uno su tutti, forse il più esemplare, riutilizzo dello Stabat Mater di Pergolesi nel suo Salmo 51 BWV 1083).
    Perchè non potrebbe aver dato una sbirciatina ai ricercari di Gabrielli e trarre spunto da questi per le sei suite per violoncello, musica monodica che vuole diventare da grande, polifonica ?
    Non aggiungo altro a questo azzardato - ma non troppo - parallelo perchè in alcuni tratti dell'esecuzione si sente.
    L'interprete ammette che - ovviamente - nell'interpretazione dei differenti autori ha usato una impostazione mutuamente influenzata, già a partire dall'accordatura dello strumento, una media tra le due tradizioni per averne una lettura omogenea.
    Non solo. Nella lettura di Bach, l'ortodossia dell'originale lascia lo spazio alla filologia interpretativa (cit. Ottavio Dantone che scrive delle interessanti note al riguardo nel libretto di questo disco). E così le suite per violoncello di Bach diventano italiane nel gusto, nell'impostazione, nella libertà di fioritura e di abbellimento, specie nei "da capo" che diventano realmente dei "da capo" nello stile italiano.
    Ne viene fuori una edizione che non solo merita la registrazione ma che è a mio avviso tra le più vive e palpitanti riprese di questi eccezionali capolavori che in esecutori troppo lontani dalla logica e dall'humus in cui si sono create, tendono a mostrare più di se che della musica che suonano. Con risultati non troppo raramente soporiferi.
    In conclusione un doppio disco per complessivi 120 minuti che consiglio vivamente a chi ama Bach e a chi ama le letture appassionate, con particolare suggerimento di iniziare l'ascolto non dal primo brano ma dal canone a due violoncelli del "piccolo violncellista di Bologna" in cui Valli suona in sincrono due differenti strumenti per le differenti voci.
    Registrazione esemplare che mostra tutta l'espressività di uno strumento che può suonare in tutti i toni (un violoncello francese del 1743) con una potenza avvincente. Un plauso, oltre che all'esecutore, ad una etichetta estremamente raffinata e disco da 5 stelle ++.
  7. M&M
    Oggi, giovedì 13 maggio 2021, cade esattamente l'Ascensione secondo il calendario che prevede la ricorrenza 40 giorni dopo la Pasqua.
    Festa cristiana, sia cattolica che protestante (e anche in un certo qualmodo celebrata nell'Islam) che vede la salita al cielo di Gesù Gristo dopo la Risurrezione. Per poi sedere definitivamente alla destra del Padre.
    E' per questo una delle più importanti feste cristiane, come Pasqua.
    Bach ha composto per questa ricorrenza un Oratorio, come nel caso di Natale e di Pasqua, catalogato nell'elenco delle sue opere al numero 11.
    Secondo il suo stesso autografo, Oratorium In Festo Ascensionis Xsti (Oratorio per la festa dell'Ascensione di Cristo), composto probabilmente nel 1735 per il servizio dell'Ascensione ed eseguito per la prima volta il 19 maggio 1735.
    Non deve essere confuso con una cantata in quanto è previsto il recitativo dell'evangelista che spiega tra un'aria e un'altra lo svolgersi dell'evento.
    Il coro Lobet Gott in seinen Reichen (Lode a Dio in tutti i suoi regni) iniziale da il titolo mentre ricorrentemente lo si definisce Himmelfahrtsoratorium che in tedesco significa Oratorio dell'Ascensione.
    In termini lieti e per composizione dell'articolato a supporto del coro equivale alle due cantate estreme del più complesso Oratorio di Natale (che si compone di ben 6 cantate per tutte le ricorrenze del periodo fino all'Epifania).
    Questo non deve stupire, in quanto entrambi appartengono al "ricco" periodo di Lipsia - l'Oratorio di Natale è del 1734 - con grande disponibilità di mezzi di quella ricca città.
     
    Da eseguire durante la funzione solenne, consta di undici movimenti in due parti.
    I primi 6 prima del sermone gli ultimi 5, dopo il sermone. Per circa mezz'ora di durata complessiva.

    Le parti sono per quattro voci soliste - soprano, contralto, tenore, basso - tre trombe, timpani, due flauti traversi, due oboi, due violini, viola e basso continuo.
    Come per altre cantate festive, Bach riprende materiale già composto per cantate secolari (quelle per occasioni non liturgiche come i matrimoni o le feste pubbliche della comunità di Lipsia).
    Abbondano i testi di o attribuiti a Picander, come il coro iniziale "Lobet Gott nel seinen Reichen" che viene eseguito dal tutti, la prima aria "Ach, bleibe doch, mein liebstes Leben" ("Oh resta, mia carissima vita") cantato all'unisono con i violini che introducono la melodia e il basso continuo (in genere basso e organo).
    La seconda aria "Jesu, deine Gnadenblicke" (Gesù, il tuo sguardo di grazia) ha un testo biblico ed è dedicata al soprano, con due flauti e l'oboe a sostegno e tutti gli archi, senza basso continuo.
    Chiude il coro "Wenn soll es doch geschehen" ("Se solo dovesse accadere") che come gli altri cori è in Re maggiore (mentre le due arie sono in la minore e in sol maggiore).
    Sul piano musicale, il primo coro potrebbe essere basato sulla cantata profana perduta BWV 18 "Froher Tag, verlangte Stunden" composta nel 1732 per l'inaugurazione di lavori edilizi alla Thomasschule. E un brano particolarmente gioioso caratterizzato da danze con ritmi di origine lombarda.
    La prima aria pare basata sulla perduta Auf, süß entzückende Gewalt , BWV 196, cantata per la celebrazione di un matrimonio del 1725. Ha la stessa struttura dell'Agnus Dei della Messa in Si minore.
    Il coro finale é una fantasia corale del tutto analoga a quello conclusivo del ciclo dell'Oratorio di Natale.

    ***
    La discografia dell'Oratorio dell'Ascensione non è sconfinata come per quello di Natale ma è piuttosto estesa, anche perchè  in genere viene associato alle altre cantate del periodo.
    Mentre sto scrivendo ascolto l'edizione Archiv del 2000 dello specialista Sir John Eliot Gardiner che oltre ai consueti Moteverdi Choir e English Baroque Soloists, impiega le voci straordinarie di solisti del calibro di Nancy Argenta, Michael Chance, Anthony Rolfe Johnson e Stephen Varcoe.

    la registrazione è del 2000, prima che Gardiner si appoggiasse alla sua etichetta SDG ed  è costruita sul contrasto tra arie/recitativi, solenni e dolorosi, con la gioiosa esplosività dei corali.

    meno dolorosa e più frizzante, l'edizione inclusa nel Vol. 28 della benemerita serie del Pellegrinaggio, questa registrata in doppio insieme alle altre cantate per l'Ascensione nel 2013 e pubblicata da SDG.
    Trombe meravigliosamente ispirate.
    Andando ad altre edizioni, tra quelle formalmente storiche ma comunque recente, non posso non segnalare quella di Rilling nel ciclo integrale di Bach (primo in assoluto) con la celestiale Arleen Auger

    la registrazione è dei primi anni '80 del secolo scorso e purtroppo per tutto il ciclo non è mai stata il punto di forza di questi dischi (che possiedo in originale in forse due serie) : dinamiche molto compresse, alti stentorei, bassi inesistenti.
    Ma ascoltare Rilling in generale è come leggere il manoscritto originale.

    ammetto che all'inizio (venti anni fa) detestavo l'approccio minimalista per parti reali di Masaaki Suzuki ma con il passare del tempo ho finito per amarlo.
    Suzuki ha consacrato se stesso e il Bach Collegium Japan all'integrale assoluta di tutto ciò che ha scritto Bach. Apparentemente così lontano dal mondo culturale giapponese, eppure così intimamente permeato.
    La registrazione è un SACD Bis del 2006 e suona divinamente. Le voci sono un pò in secondo piano ma il risultato è notevole.
     
    Chiudo per non annoiarvi con l'altro evangelista bachiano, Philippe Herreweghe che in gioventù dirigeva il coro per Gustav Leonhardt e che poi ha fondato il suo Collegium Vocale per fare musica alla sua maniera.
    E' forse l'edizione più equilibrata (non so se ci sia una versione recente con la sua etichetta Phi), qui la parte del soprano è cantata da Barbara Schlick.
    Registrazione in formato CD di Harmonia Mundi del 2000, disponibile anche in cofanetto insieme a tutti gli altri oratori di Bach.
     
    O meglio, volevo chiudere quando mi è capitato davanti il disco Linn Records del 2014 in cui il soprano è la splendida Carolyn Sampson e che é associato all'Oratorio di Pasqua.

    la compagine è il Retrospect Ensemble e la registrazione è, non c'è nemmeno bisogno di dirlo, la migliore.
    Anche la musica è di un gioioso e di un leggero ineffabili.
    Peraltro l'Oratorio di Pasqua contenuto nel disco è tra i più godibili, nonostante io non lo abbia mai amato particolarmente.
    Dovessi consigliare oggi una prima scelta sarebbe questo, senza dubbio ( e Gramophone Awards meritato una volta tanto !).
    Ma naturalmente siete liberissimi di ascoltarvi anche le registrazioni di Karl Richter, di Gustav Leonhardt e di Nikolaus Harnoncourt se queste non vi bastano.
  8. M&M
    Bach transcriptions : sei concerti per violoncello piccolo
    Mario Brunello, violoncello piccolo
    Accademia dell'Annunciata diretta da Riccardo Doni
    Arcana 6 gennaio 2023, formato 96/24, via Qobuz
    ***
    Conosciamo la prassi della trascrizione o dell'arrangiamento di musica già disponibile per strumenti diversi, fatta dallo stesso compositore di sua musica, o da altri compositori di musica pervenuta a stampa.
    Bach ne ha scritta tanta, i suoi concerti per clavicembalo sono musica nata per altre circostanze e per altri strumenti, a volte più strumenti. Ci sono anche adattamenti di sonate a tre trasformati in concerti.
    E' meno noto il violoncello piccolo, strumento presente spesso ad inizio '700 e che Bach impiegò nelle cantate di Lipsia.
    Si tratta di un violino grande, non di una viola, e in quanto tale si presta a virtuosismo estremo anche se necessita comunque di essere poggiato a terra.
    Le proporzioni si vedono chiaramente nella foto del Maestro Brunello nella copertina.
    Questo non è il primo disco inciso da Brunello con questo strumento, non sono sicuro che i precedenti mi abbiano del tutto convinto.
    Ma questo è proprio un disco straordinario.
    Contiene tre concerti per clavicembalo arrangiati per violoncello piccolo e orchestra d'archi (BWV 1054/1055/1056), due concerti "veneziani", quello di Alessandro Marcello per oboe e quello di Vivaldi (RV230), arrangiati per violoncello piccolo e basso continuo di organo, e infine c'è quello derivato dal Concerto Italiano.
    ll ritmo è sempre vivace mantenendo però l'espressività stupenda dello strumento ma la fedeltà al testo resta precisa.
    L'equilibrio tra parti e volumi è essenziale e qui è rispettata, anche nel complesso gioco del concerto da Vivaldi e nell'originale "Concerto Italiano" di Bach.
    Il materiale di base è autentico, anche quello "ricostruito" all'origine, l'approccio è esemplare.
    La trascrizione del citato Concerto Italiano di Riccardo Doni, perfetta, anche del complesso adagio, sempre difficilissimo da rendere già al cembalo o al pianoforte.
    Registrazione eccellente in presa diretta alla Chiesa di San Bernardino di Abbiategrasso e note anche in italiano.
    Insomma, un disco con cui iniziamo veramente bene il 2023.

  9. M&M
    frontespizio del manoscritto del preludio e fuga BWV 552 in Mib di Bach
    Si tratta di una delle composizioni per organo più lunghe e complesse di Bach e dell'intera letteratura classica.
    Il preludio, maestoso, è in tre parti.
    L'inizio è in stile francese, come un'ouverture

    prosegue con un secondo soggetto, estroverso, all'italiana, e si chiude addirittura con una fuga doppia in cinque parti.
    Non bastasse, si prosegue con una tripla fuga, anche questa in cinque parti, con movimenti variati, stretti continui, sviluppi, con il materiale tematico che si richiama a se stesso.
    Della complessità dei suoi circa 15-16 minuti si potrebbe scrivere un libro, e non è qui il caso. E questo limitandoci alla versione originale del 1731/1739 e della coeva fuga in Mib del Clavicembalo ben Temperato.

    Ma Ferruccio Busoni, non contento, nella sua stesura delle opere di Bach, è voluto intervenire, trascrivendo la composizione per pianoforte.
    Se già il povero cristiano con due mani e due piedi, tre manuali e pedaliera completa ha il suo bel daffare ad avere ragione di questo monumento del contrappunto bachiano, il pianista si deve adattare a rendere su uno strumento più espressivo ma certo meno potente le stesse dinamiche.
    E qui ci vuole un Bosendorfer Imperial oppure un Fazioli 308.
    Come sia, Busoni con la sua arte, destruttura completamente l'architettura bachiana e la riedifica rispettandone ogni fondamento ma dando maggiore evidenza ad ogni voce, fraseggio, accordo.
    Non sono tanti i pianisti capaci di rendere a pieno queste pagine, così come sono pochi gli organisti che si salvano dalla tentazione di schiacciare gli ascoltatori seduti nelle panche della chiesa con tutta quella musica sparata con una registrazione impetuosa.
    Se possibile, in questo confronto ho voluto scegliere due pianisti che in comune hanno solo l'amore per la complessità dei misteri musicali e l'uso del pianoforte per proporli ad un pubblico se possibile altrettanto diverso.
    Raffinato, colto, mite, lo svizzero Francesco Piemontesi, è tra gli interpreti più raffinati dell'attuale panorama musicale mondiale.
    Complicato, spesso al limite della follia, impetuoso, sanguigno, estremo, bipolare, il grandissimo John Ogdon, scomparso nel 1989 e sommo interprete - tra le altre cose - delle trascrizioni di Busoni di Bach.

    John Ogdon, a sinistra, Francesco Piemontesi, a destra

    ho già recensito su queste pagine il "Bach Nostalghia" di Piemontesi, pubblicato il 25 settembre 2020 da Pentatone
    mentre ho forse solo accennato al disco tutto dedicato da Ogdon la Bach/Busoni pubblicato da Altarus Records

    e a queste due letture che mi riferisco
    ***
    Il disco di Piemontesi si apre con il preludio del BWV 552, prosegue con altra musica, tra cui la Toccata BV 287 di Busoni e si chiude con la Fuga del BWV 552.
    Questo di Ogdon è meno "programmatico", inizia con la Toccata Adagio e Fuga BWV 564, prosegue per alcuni corali, per poi passare al Preludio e Fuga 552 prima di concludere con la Toccata e Fuga in Re-, la Ciaccona e chiudere con la Fantasia Contrappuntistica di Busoni.
    Come dicevo, esattamente come i due interpreti, le due edizioni non potrebbero essere più diverse, già dalla durata :
    Ogdon : 13:50
    Piemontesi : 15:32
     
    L'ouverture in stile francese del preludio, per Ogdon è un pezzo possente, ricco di momenti brillanti e con un ampia gamma di dinamica.
    La fuga finale è concitata, le due mani si imitano più che contrapporsi. I tempi, come é da intuirsi sono veloci ed è un crescendo verso il finale che avviene al minuto 07:44
    Ma soprattutto ci sono ottave piene che sfruttano tutto lo strumento.
    La tripla fuga comincia in sordina e la musica riprende senza interruzione da un altro punto. Anche qui il contrappunto non è barocco ma - giustamente - romantico, con le due mani totalmente libere di impostare il canto in modo diverso.
    La prima fuga è molto dolce ma con il basso ossessivo che cresce verso il finale, sia di volume che di ampiezza.
    La seconda è più chiara, le due mani sono in perfetta parità sonora, anche nell'espansione dinamica che ne segue.
    Nel finale volumi e dinamiche crescono a livelli tridimensionali e l'ascoltatore non ha ... scampo, schiacciato dal pianista che copre l'intero arco dinamico con ottave gigantische.
    Ma mai, in nessun momento la trama manca di chiarezza e la dizione resta precisa. C'è solo molta libertà nell'accentuare passaggi, note, accordi.
    L'articolazione di questo capolavoro, reso ancora più monumentale da Busoni permette con Ogdon una lettura perfettamente chiara che all'organo è spesso difficile per la saturazione evidente che quello strumento riesce rapidamente a portare.
     
    Anche per Piemontesi il preludio è sontuoso ma con tempi più dilatati, dinamiche meno estreme e soprattutto un andamento che sa quasi di danza, con movimenti a salire e a scendere.
    L'effetto è quasi orchestrale, come se si alternassero il tutti e i soli, come nei Concerti Brandeburghesi, per intenderci, mantenendo però questo andamento a scalini, appunto, come di danza in parata.
    Improvvisamente cambia la velocità ma non il volume, direi che lo stile qui è più clavicembalistico e in questo è aiutato dallo strumento che ha una intonazione - e anche una registrazione - più chiara di quello di Ogdon.
    Il basso non scende così in fondo con lo stesso volume ma è deciso e legato e staccato si fondono perfettamente. Il preludio finisce diminuendo.
    La scelta di mettere la fuga staccata e in fondo al disco, a conclusione di un discorso più ampio che passa per il concerto in Stile Italiano e la Toccata di Busoni, rende la composizione del tutto slegata dal preludio.
    Questa scelta è accentuata da un tempo iniziale estremamente riflessivo ed una intonazione graziosa, che sulle prime non ho riconosciuto come efficace ma che è del tutto funzionale al discorso di fondo, supportato da un basso sommesso ma molto deciso e da una ripresa dei tempi con la seconda fuga che dinamicamente cresce di velocità, pur mantenendo un approccio estremamente umanistico.
    Le parti si alternano con grande nobiltà e ad ognuno viene resa giustizia, senza eccessi anche quando è previsto che si stagli ben deciso il forte.
    Sul finale i bassi non sono effetti del martello di Thor come con Ogdon ma strutturati senza andare oltre lo spirito del disco.
    Per confronto con una edizione all'organo "canonica" come quella di Simon Preston la lettura di Piemontesi è più vicina all'originale, nonostante la cura mefistofelica di Busoni. In altre letture - per esempio con l'organo Silbermann di Freiberg - più attiguo ai borgi di Bach - si può trovare maggiore solennità e una certa monotonicità di dinamica. Questo per sottolineare quanto sia fondamentale l'impatto dello strumento, sia per l'organo che per il pianoforte.
    L'organo ha naturalmente una scelta di registri di ben altra ricchezza rispetto al pianoforte. Ma non dimentichiamoci che qui stiamo parlando di una trascrizione e che lo scopo di Busoni era specificamente rileggere - dopo aver riedito l'opera omnia di Bach - le composizioni originali per renderle più vicine al gusto post-lisztiano della sua epoca.
    Le due interpretazioni di questo articolo si distinguono proprio per questo, senza che esca una proposta necessariamente migliore.
    Per Ogdon lo sforzo va oltre quello di Busoni, portando le pagine di Bach più vicine all'ascoltatore del nostro di tempo, non di quello di Busoni.
    Mentre Piemontesi ha nostalgia di Bach, nonostante la trascrizione. E il suo Bach/Busoni, non è quello di oggi, non è quello di Busoni, è il suo.
  10. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Bach : Variazioni Goldberg, revisione di Ferruccio Busoni (1914)
    Busoni : Sonatina "in diem Nativitatis Christi MCMXVII" (#4), BV 274 (1917)
    Bach/Busoni : Chaconne dalla partita #2 in Re minore, trascrizione di Ferruccio Busoni, BV 24 (1893)
    Pianista (e revisore ) : Chiyan Wong
    Linn 2021, formato 192/24, acquistato
    ***

    Wong all'ingresso in sala di registrazione per questa prova Bach/Busoni
    La versione di Busoni fa parte dell'edizione in 25 volumi delle opere per pianoforte di Bach (Breitkopf & Härtel, 1894, 1914–21) che ha preparato con il suo discepolo Egon Petri (1881-1962) e il pianista italiano Bruno Mugellini (1871-1912).
    Busoni dedica il volume 15 (1915), uno dei nove da lui personalmente curati, alla «più importante e più geniale delle variazioni di Bach. Ha cercato di "recuperare questo straordinario" lavoro per la sala da concerto […] accorciandolo, o parafrasando, a
    renderlo più adatto sia alle facoltà ricettive dell'ascoltatore, sia al possibilità dell'esecutore».
    Ha quindi suggerito di omettere i segni di ripetizione e, come lo riteneva «opportuno» per le rappresentazioni pubbliche, sopprimendo alcune varianti;
    Insomma, tra virgolette sono parole di Busoni, tutt'altro che una edizione fedele ma un riadattamento alle esigenze della sala da concerto per l'ascoltatore dell'inizio del XX secolo.

    Comunque la musica di Bach appare tuttavia nella sua interezza nell'edizione. Busoni ha suggerito di eseguire nelle esecuzioni da concerto una sequenza diversa comprendente tre grandi gruppi da seguire. Ha paragonato questo a "tre condizioni distinte di creatività "produzione: interazione all'interno del cerchio; penetrazione interna; esaltazione esteriore». 

    Il primo gruppo copre le variazioni da 1 a 13, omettendo le 3, 9 e 12. Il secondo il gruppo inizia con la variazione 14 o 17 (Chiyan Wong sceglie la prima) e continua fino alla variante 25, omettendo da 16 a 18, 21 e 24. Il gruppo finale comprende
    variazioni 26 e 28, seguite da un "Allegro finale, Quodlibet e Ripresa" composto dalle ultime due variazioni e dalla ricapitolazione dell'aria di apertura.

    Busoni sceglie di “riportare il tema al suo schema melodico originario, semplificato” e liberato dall'elaborata rete di ornamenti', dando la conclusione "qualcosa di simile a un inno.
    In effetti aumenta il volume del tono complessivo anche se la composizione perde la perfetta simmetria originale.
    Chiyan Wong usa piuttosto il testo originale di questa sezione, ma "lava via gli ornamenti, anche se con" alcuni […] “commenti” contrappuntistici’.

    Nel 1910, durante la seconda delle sue quattro tournée americane, Busoni suonò in Chicago, dove ebbe discussioni sul contrappunto con l'organista, compositore e maestro Bernhard Ziehn (1845–1912) e il suo allievo Wilhelm Middelschulte (1863–1943). Nel suo libro Canonical Studies (1912), Ziehn ha discusso l'inversione simmetrica, per cui il rigore del processo è svolto senza riguardo per il risultato armonico. Sia questa tecnica che le sue idee su come completare il finale de l'Arte della Fuga di Bach avrebbero trovato compimento nella Fantasia contrappuntistica di Busoni.

    L'idea di scrivere un'inversione della variazione 15 (Canone alla quinta) si presentarono a Chiyan come uno studio compositivo suggerito dal concetto teorico di Ziehn. Chiyan conserva il layout trasparente di Busoni, che presenta le tre voci su righi separati. Per effetto dell'inversione, si scambiano le parti esterne: il soprano inizia con un salto di ottava verso l'alto, invece di una discesa di ottava nel basso. Usando la nota RE come uno specchio, la chiave originale e cupa di sol minore viene trasformata in re maggiore.
    Non bastasse tutto questo - cioé trasformare la trasformazione di una delle opere capitali della composizione occidentale - Wong aggiunge come separé una sonatina di Busoni che di fatto è una parafrasi di un corale bachiano riflesso nell'atmosfera natalizia degli appennini italiani ("pifferata").
    Per chiudere con la veemente trascrizione della Ciaccona di Bach dove tutto il "lussurioso" pianismo di Busoni si mette al servizio dell'originale violinistico portandolo a vette prima inaccessibili. Qui in una interpretazione semplicemente abbagliante quanto commovente.
    Un disco bellissimo, discutibile per quanto vogliamo sul piano filologico, di un pianista estremamente audace, per nulla preoccupato dalle critiche che si cala con autorevolezza sacerdotale dalle cime del contrappunto massimo.
    Ascoltatelo : vi sorprenderà.
    Suono nella tradizione Linn, inutile commentarlo. Probabilmente potrebbero dedicarsi del tutto alla musica oramai e smettere di fare apparecchi hifi.
  11. M&M
    Bach : Variazioni Goldberg, BWV 988
    Vikingur Olafsson
    Deutsche Grammophon, 6 ottobre 2023, formato 192/24, via Qobuz
    32 tracce : 1:13:54
    ***
    "Composta per gli amanti della musica per rinfrescare i loro spiriti".
    L'ha scritto di pugno Bach e ci tiene a ricordarcelo Vikingur.
    Ma allora, mi chiedo io, perché anche lui, come tutti i pianisti alle prese con questa montagna invalicabile, la mette giù così dura ?
    I clavicembalisti, c'è una edizione uscita lo stesso giorno, la trattano con rispetto e referenza ma la suonano in scioltezza. Rondeau escluso ... 

     
    25 anni di meditazione prima di registrarle. Sognando di poterle registrare un giorno.
    Prima un approccio matematico, poi scartato per uno più libero.
    Salvo ripensare a metà strada, togliere dinamica abbassando la voce, aggiungere dinamica rallentando e poi accelerando.
    E siccome, "ogni cosa fatta da Dio è cosa fatta bene", sappiamo che finisce per essere una esecuzione eccellente.
    Sebbene, come precisa lui stesso, un conto ("è una gioia") sia eseguirla in pubblico per un pubblico, un altro, affrontare la "pressione insita in una registrazione".
    Morale ... 
    ci vuole preparazione ascetica perché è musica che fa tremare i polsi ad ogni esecutore che viene lasciato da Bach senza alcuna istruzione a dimenarsi attraverso 32 microcosmi che si aprono e si chiudono uno dopo l'altro, senza apparente legame tra di loro

    ma poi è il pilota automatico di ogni pianista che porta alfine l'esecuzione di questo ciclo.
    Al nostro vichingo non abbiamo nulla da insegnare - né a qualsiasi altro esecutore di questo livello - salvo quello di seguire le sue stesse proposizioni e di prendere la musica con gioia.
    Le Variazioni Goldberg sono un miracolo geniale che richiedono al pianista (che usa un solo manuale anziché due come il clavicembalista, ma ha dalla sua il forte, il piano e il pedale) di compiere tanti piccoli miracoli.
    Per convincere l'ascoltatore e per trattenerlo a se.
    La tecnica di Olafsson è somma.
    La sua mano sinistra è eccezionale e ci fa sentire le due trame polifoniche nettamente distinte.
    Le Var. 2, 4, 19 sono eccezionali. La monumentale 25 invece è lenta e ... soporifera (10 minuti solo lei ! ????).
    Nella 29 l'ho sentito in affanno. Eppure in sala di registrazione si può staccare, ripetere, riposarsi. Che stesse cercando di imitare l'inimitabile canadese del Nord ? Impossible ...
    Così la 30 arriva a fagiuolo per mettere pace, ancora con la sinistra che accentua la melodia quasi al parossismo.
    E per andare al da Capo finale che anziché chiudere l'opera, richiama come sia iniziata.
    Insomma, bella prova. Che per me con svariati distinguo sta di diritto alla pari con i riferimenti "dispari", di Perahia e di Schiff.
    Ma Gould no, quello sta in una parrocchia tutta sua. Che condivide con il suo amico Glenn. E non c'è pericolo che qualcun altro, oggi, domani, sempre, li vada a disturbare là dove suonano anche adesso.
  12. M&M
    Bach/Rheinberger/Reger : Variazioni Goldberg per due pianoforti
    Tal e Groethuysen
    Sony 2009, formato CD
    ***
    Siamo nel 1883 con decisamente meno riverenza di fronte al monumento che sono le Variazioni Goldberg.
    Ma comunque grandissimo rispetto.
    L'intervento di Gabriel Rheinberg sostanzialmente mantiene invariata la struttura di tutta la composizione andando a sdoppiare e in qualche caso raddoppiare la tessitura armonica per costruirne una edizione che da due manuali (al cembalo) va a due pianoforti da concerto.
    Reger nel 1913 ne perfezionò il lavoro in termini di dinamiche e fraseggio.
    Ma parliamo di due cultori di Bach, entrambi grandi organisti, tedeschi nell'animo e nello spirito e formatisi con Bach.
    Il risultato è spettacolare, perchè è la solita composizione che conosciamo a memoria nota per nota ma resa più grandiosa, veloce, dinamica, ripiena.
    Ci sono raddoppi ed incrementi di volume in special modo nella variazione 23 ma soprattutto nell'Ouverture alla Francese, brano 16.
    Poi il resto è fedele, forse anche più ... bello.
    Yaara Tal e Andreas Groethuysen, suonano insieme dal 1985, ma si vede il trascorrere del tempo solo nelle foto che li ritraggono insieme.
    Il loro livello tecnico è assoluto e l'intesa impossibile da replicare.
    Quello che riescono a dare a questa composizione è farne un riferimento difficile da scalfire.
    Ascoltare per credere : pura magia.
    Due parole soltanto sulla registrazione non recentissima ma con un livello decisamente elevato.
     
     

     

  13. M&M

    Recensioni : Masterpieces
    Beethoven : i concerti per pianoforte e orchestra
    Wilhelm Backhaus, pianoforte
    Wiener Philarmoniker diretta da Hans Schmitd-Isserstedt
    Parnass/Decca 1959

    ***
    Quando penso ai concerti per pianoforte di Beethoven, associo automaticamente questa registrazione, storica e sinceramente esaustiva, almeno per me.
    Il tono è leggero, totalmente antiretorico. La fedeltà al testo ... trascendentale. Il tocco da fortepiano, quasi d'epoca.
    Il piglio brillante e rapido, senza autoindulgenza.
    Direi rivoluzionario, dato il periodo e l'età dell'interprete che era nato nel 1884 e all'epoca della registrazione aveva 73 anni.
    Ma tutte le incrostazioni post-romantiche sono assolutamente estranee da queste pagine meravigliose.

    Wilhelm Backhaus all'epoca di queste registrazioni
    Di più, ogni concerto ha la sua dignità e viene pesato esattamente come gli altri.
    Quindi il primo e il secondo stanno benissimo insieme al quinto.
    Il terzo è secco ma non ruvido, drammatico ma serio, non tragico.
    Il quarto è lirico ma essenziale.
    E il quinto è più veloce di quanto siamo ed eravamo abituati, proprio per evitare ogni indulgenza.
    Bernstein diceva che in Beethoven ogni nota che segue è sempre quella giusta in quel momento.
    E lo stesso si può dire per Backhaus il cui tocco e la cui autorevolezza è asseverante in ogni frase di questi concerti che ha consegnato alla storia come offerta agli appassionati di musica del massimo livello.
    La prova dell'orchestra è buona e il direttore, in altre registrazioni, usualmente molto compiaciuto della sua presenza tanto da indulgere in tempi molto rallentati, qui segue fedelmente e con rispetto tanto solista.

    Hans Schimdt-Isserstedt al pianoforte
    La registrazione considerando che ha oltre 60 anni è un miracolo, segno che anche allora nonostante non ci fossero le apparecchiature di oggi, ci sapevano fare. Il suono è rotondo e caldo, molto convincente anche nei picchi dinamici.
    Non sarà in grado di stare al pari delle pagine ad alta definizione di oggi ma non c'è un rumore o un fruscio.
    E io li ricordo così anche in vinile.
    Dovessi decidere l'unico disco da tenere per sempre con me, questo cofanetto sarebbe certamente nella short-list.
    E se non conoscete questa interpretazione non sapete cosa vi siete persi sinora. Ma coraggio, potete ancora facilmente rimediare, è comunemente in commercio anche se con tante altre copertine 
     
    Segnalo la ristampa fresca in 44/24 dei primi due concerti di Beethoven con Backhaus

    ascolto pulito che ricrea già di primo mattino.
    Resta la scelta #1
  14. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Bernstein : Serenade
    Korngold e Rozsa : Concerto per violino e orchestra
    Bernstein : Suite Sinfonica da West Side Story
    Baiba Skride, Violino
    Orchestra Filarmonica di Tampere diretta da Santtu-Matias Rouvali
    Orfeo 2018, disponibile in 96/24
    ***
    Baiba Skride "ha vinto" un contratto con Sony ad inizio secolo ed ha registrato su SACD.
    Poi è passata ad Orfeo per cui ha registrato un disco dal programma interamente nordico con la sorella nel 2016.
    Esce quest'anno, forse sull'onda del centenario di Bernstein questo disco a tema sui concerti per violino americani.
    I tre autori presentati hanno radici comuni, provenienza europea e radici nella musica per le scene, cinema e teatro.
    La Serenade di Bernstein è diventato il "concerto per violino" americano più eseguito nell'ultimo periodo, superando quello celebrato di Barber.
    E' una composizione particolare il cui essere a tema sinceramente io non ho mai capito.
    La musica però è eccezionale, la fusione di tutti gli stili del grande compositore "americano" : c'è passione, c'è tensione, c'è struttura, c'è ritmo, c'è jazz.
    Non sono sicuro che questa formazione tutta nordica sia del tutto sintonizzata su queste pagine piuttosto complicate, sebbene ci sia il precedente illustre di Gidon Kremer che la registrò proprio con Bernstein alla guida.
    Sono certo che nella suite da West Side Story, salvo in qualche momento lirico, non ci sia molto da salvare.
    E' diverso nei due concerti di Korngold - piuttosto famoso - e di Rozsa - molto meno noto - dove la freddezza complessiva e un pò compassata, salva da quell'eccesso di melassa che potrebbe facilmente finire tra le note.
    Comunque Korngold viene reso molto bene e la Skrida è vivace e brillante. Il ritmo dell'orchestra c'è ed è quello giusto, senza eccessi.
    Questo concerto per violino é il culmine della produzione "colta" di Korngold, personaggio certamente di grande capacità musicale, come dimostrato dalle decine di colonne sonore portate a termine per Hollywood.
    Quello di Rozsa, più bartokiano nei ritmi e nel materiale tematico è più complicato. Non potrebbe essere altrimenti, visto che Rozsa ha studiato proprio con Bartok e con Kodaly a Budapest.
    Finiamo con quello che é certamente la mia composizione preferita di Bernstein.
    Purtroppo la Serenade richiede inclinazione e profonda comprensione delle inquietudini dell'uomo che l'ha scritta. Non basta una buona prova complessiva per passare l'esame.
    Ah, se solo Janine Jansen e Antonio Pappano - che l'hanno portata in giro per l'Europa l'anno scorso - la registrassero ...
    Bel suono con violino in evidenza ma senza strafare, orchestra ben dimensionata, bassi possenti. Come piace a me.
    Forse un livello un pò alto nel complesso.
  15. M&M

    Recensioni : Masterpieces
    Barbirolli dirige musica inglese per orchestra d'archi (English string music)
    Musiche di Elgar e Vaughan Williams
    Sinfonia of London con l'Allegri String Quartet
    New Philharmonia Orchestra
    His Voice Master/EMI 1963, formato CD
    ***
    Ci sono dischi senza tempo che puoi ascoltare ogni volta essendo teletrasportato in un mondo diverso. Magico e diverso.
    Potrei ascoltare migliaia di volte di seguito la fantasia su un tema di Tallis di Vaughan Williams, non solo e non tanto per il tema e per la maestosa orchestrazione di Vaughan Williams ma proprio per l'atmosfera straordinaria che pare spostare la barra del tempo all'epoca dei Tudor.
    John Barbirolli è una gigante, uno dei più grandi direttori di ogni tempo, non solo per le sue qualità direttoriali, musicali ed umane ma anche per il merito di aver contribuito maestosamente nel periodo a cavallo tra le due guerre a valorizzare un patrimonio musicale e culturale ancora sottovalutato, insieme a tanti, tantissimi talenti.
    Il programma di questo disco che sfiora a i 59 minuti è perfetto. Non cambierei mai né la progressione né i brani.
    E se Elgar la fa da padrone, le due composizioni che nascono da temi originali di Vaughan Williams sono capaci di riportare al candore della Grande Inghilterra, come se le due guerre mondiali non ci fossero state.
    Sembra l'opposto del terribile Requiem di Britten che invece ti fa toccare e sentire ogni volta l'orrore della tragedia immane e inevitabile.
    Naturalmente Elgar è di un'altra pasta e Sir John lo tratta per il monumento che era, valorizzandone la musica forse anche più del suo merito.
    Ma Barbirolli da giovane, suonava il violoncello - lo strumento di famiglia - sotto il bastone di Elgar ed ha conosciuto di persona tutti i grandi compositori inglesi del suo tempo, avendone potuto suonare, prima, e poi dirigerne la musica.
    E' difficile anche solo commentare un disco come questo. Che non è il solo tesoro che Barbirolli ci ha lasciato.
    Io ero appena nato quando questo disco è uscito ma ascoltando mi sento li in sala d'incisione ad Abbey Road.
    Si Barbirolli era un eccentrico, nelle prove superava i limiti del concerto e non era un perfezionista della bacchetta stile Karajan o altri suoi contemporanei.
    Ma quanto cuore e quanta anima in questa musica, complessivamente "minore" rispetto al repertorio "main stream".
    Registrazione che rimasterizzata è godibile anche se non al livello del meglio che si fa oggi.
    Ma è un disco che va posseduto anche solo per la Fantasia su un Tema di Thomas Tallis.
  16. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Barricades : musiche di Couperin, de Visèe, Lambert, Marais, Charpentier, d'Anglebert, Forquerary e Rameau
    Thomas Dunford, archiliuto, Jean Rondeau, clavicembalo
    Erato 2020, formato 96/24
    ***
    Disco delicato e bellissimo che tocca vette straordinarie quando alla strana coppia liuto-cembalo si unisce la viola, il soprano o il baritono.
    Alcune composizioni nascono per tiorba, altre per cembalo. Altre ancora per viola.
    I due le hanno riviste tanto bene da far credere che siano sempre state così in originale.
    C'è un gusto tutto francese negli accoppiamenti ma niente grandeur nell'ostentare il loro siecle d'or (a cavallo tra '600 e '700, cioé tra Luigi XIV e Luigi XV).
    Bellissimi soprattutto "Sans frayeur dans ce bois" di Charpentier e il finale "Je vous revois" di Rameau (da Les Fetes d'Hebe).
    Io in genere non digerisco bene la musica francese ma presa a piccole dosi, così e con queto garbo il piacere non manca.
    Il titolo viene dal brano d'apertura, il celeberrimo "Les Barricades Misterieuses" di Couperin che vede i due musicisti dimostrare la loro intesa.
    Sono chiaramente due amici ed entrambi della nuova generazione alla ricerca di strade nuove, fuori il più possibile dalle .... barricate erette dalla tradizione, piuttosto chiusa, francese che ha fatto della sua bandiera l'antitesi con lo stile tedesco.
    Disco realmente molto consigliato.

     

  17. M&M
    Oggi che si sono perse le tradizioni musicali nazionali, dire che le Variazioni Goldberg non rientrano a rigore, nell'eredità musicale italiana può suonare strano.
    Non lo era all'epoca, quando Bach scriveva il Clavicembalo ben Temperato o l'Aria con Variazioni, in Italia eravamo già nella fase successiva, basti pensare alle più o meno coeve sonate di Scarlatti o di Benedetto Marcello.
    Tradizione che è arrivata ai giorni nostri se, due grandi del nostro pianismo, come Benedetti Michelangeli e Pollini, si sono dedicati a Bach, di sfuggita, per trascrizioni, oppure, come in una forma di espiazione, solo in tarda età.
    Come sia, adesso è diverso e non deve stupire come a distanza di pochi anni l'uno dall'altra, due talenti italiani dell'ultima generazione abbiano scelto di cimentarsi - in concerto e in incisione - con il capolavoro bachiano che ci ha ispirati nel nome di questo sito.
    Andrea Bacchetti ne ha firmato una versione publicata dalla rivista Suonare, con la collaborazione delle Serate Musicali.
    Bacchetti ha 40 anni, di regola non dovrebbe essere considerato un giovanissimo, pur in un'era in cui le aspettative di vita vengono sancite per legge.
    Ma è certamente della stessa generazione musicale della - invero giovanissima, giusto 23 anni - Beatrice Rana che ha registrato quest'anno per Warner Classics, le sue Variazioni.
    I due non condividono nulla, né la scuola né il repertorio. Specialista barocco (e in Bach) ... Bacchetti - nomen omen - indirizzata sul repertorio romantico e concertistico Rana.

    Io possiedo questa edizione ma so che esiste in commercio anche un'altra, pubblicata dalla Dynamic.
    Non so quella ma la mia dura in tutto 45:05 minuti.
    Tra i commenti ho inserito anche un filmato pubblico, preso da Youtube con una presa diretta durante un concerto a Trieste che è addirittura più breve, 37:40 minuti in tutto, compresi applausi iniziali e finali.
    Un record se pensiamo che quella - mitica - di Glenn Gould del 1955 dura : 38:32 e quella del 1981 51:17.
    E' proprio Gould il riferimento di questa interpretazione di Bacchetti, giacchè la prassi esecutiva degli ultimi decenni ha invece portato ad una espansione dei tempi, visto che è normale che le edizioni di praticamente tutti i pianisti e clavicembalisti odierni durino ampiamente più di un'ora e dieci minuti.
    E' il caso di quella clavicembalistica - abbastanza ortodossa - di Esfahani 78:38 per la DG, quando quella di Leonardt era di 47:20 minuti.
    Non ne faccio una questione di cronometria, come se fossimo ad una cronoscalata ma ammetto che sulle prime di questo confronto, sono andato a vedere se per caso Andrea non avesse tagliato qualche variazione, visto che l'edizione della Rana dura i classici 77:45 minuti.
    E' la cifra di questa interpretazione, tesa , ricca di ornamenti, con la ripresa dell'aria a fine ciclo delle variazioni che è ... sfacciatamente differente da quella iniziale.
    Non stiamo parlando ovviamente di una semplice accelerazione complessiva, l'interprete si concede comunque libertà di espressione tra un brano e l'altro, ma il risultato é una prova che veramente non altri eguali negli ultimi 60 anni se non la prima di Gould ed altrettanto estrema.
    I tempi così accellerati non lasciano ovviamente spazio di riflessione all'ascoltatore ma questo non viene investito da un fiume di note, perchè Bacchetti accarezza la tastiera non la morde.
    Il tocco è nervoso ma agile e non mette in agitazione come quello di Gould, quindi alla fine non si cede esausti con un sospiro di sollievo alla ripresa dell'aria. Ma di certo non c'è un momento di quiete per riposarsi.
    Ecco, questa è l'architettura di un grande edificio, vi porto con me a visitarla, alziamoci insieme verso la volta, poi scenderemo dall'altro lato e ci ritroveremo senza accorgercene di dove siamo partiti. Ci penserò io a farvi notare che la fine non è il principio. Che è la conclusione del discorso.
    L'ho riascoltata tante volte, anche nel video osservando il pianista. Lui in una intervista dice che è una versione pianistica.
    Non lo metto in dubbio. Ma certamente non di scuola post-romantica o, peggio, lisztiana. E' pianistica perchè lo strumento è il pianoforte.
    Ma l'interpretazione è libera e del tutto anti-retorica e anti-romantica.
    Nemmeno pedante. E certamente non noiosa.
    Ecco, giusto per mettere in guardia l'ascoltatore a cosa si troverà di fronte. Insomma, non c'è un altro pianista - che io sappia - che oggi esegue le Variazioni Goldberg così.

    In questi 77:45 minuti potrei ascoltare due volte l'interpretazione di Andrea.
    Beatrice sottolinea con un filo di misticismo nelle note di copertina il rispetto per l'autore e per la composizione. Da qualche altra parte ho letto come sia stato uno dei suo maestri - l'ottimo pianista Benedetto Lupo - ad incoraggiarne lo studio e poi l'esecuzione.
    Per una pianista della sua età, affrontare una composizione così importante, con dietro tanti grandi pianisti che l'hanno "disegnata" prima di lei, volendo esprimere una posizione personale non deve essere stato facile.
    L'interprete dice in una intervista (disponibile su Youtube) che non si è rifatta a nessun pianista in modo particolare, sebbene abbia ascoltato diverse versioni. Che tanto, ognuno avrebbe da dire la sua, quale che fossero le sue scelte o le sue spiegazioni.
    Un grande segno di maturità da parte di una ventitreenne che non deve essere confuso per arroganza.
    All'ascolto devo dire che esco con una sensazione molto contrastante.
    Questa interpretazione è stata accolta molto bene dalla critica, probabilmente letta a luce dell'età dell'interprete.
    Ma Glenn Gould aveva 23 anni nel 1955. Non è un caso.
    Ecco, però qui non c'è nulla di estremo. Il primo impatto è tiepido.
    L'aria è condotta con molta lentezza che per fortuna si stempera subito già nella prima variazione.
    Devo ammettere che i tempi sono veramente molto lenti in alcune variazioni e che ci sono avvertibili pause tra le stesse.
    Però c'è molto garbo che non nasconde una forte decisione.
    La lentezza complessiva porta a fortissime accelerazioni che al culmine consentono anche di arrivare a forti contrasti.
    Qualche cosa che sarebbe semplicemente impossibile nella tensione creata da Bacchetti.
    Insomma, tranne rari momenti in cui mi chiedo ... se queste siano veramente le Goldberg che conosco io (cresciuto con le due versioni di Gould ascoltate fino ad averne la nausea), la complessità dell'opera viene affrontata con il giusto piglio e non senza una personalità che si legge anche senza vedere la pianista suonare (a differenza dell'atteggiamento reale di Bacchetti, quasi antitetico rispetto al modo in cui suona).
    Il finale - la ripresa dell'aria - avviene quasi sotto voce. Uguale ma diversa. E, per Beatrice, un nuovo inizio (per Andrea, una fine).
    Conclusioni
    Non siamo di fronte a due pianisti che hanno affrontato (ed affrontano) le Variazioni Goldberg per caso. Non lo hanno fatto senza avere nulla da dire o nulla da esprimere. Cogliamo tutto il loro essere pianisti - molto diversi - nelle due registrazioni.
    (Non riuscirei ad immaginare pianisti affermati sul piano internazionale - tipo Yuja Wang o Lang Lang - trovare qualche cosa da dire nelle Variazioni Goldberg, presi come sono nel turbine degli impegni concertistici quotidiani che hanno. Magari nella loro successiva maturità ....).
    Alla fine - seppure la mia simpatia vada più a Bacchetti - mi impressiona e cattura anche la versione di Rana e non riescono a decidere per un vincitore.
    Di certo adesso abbiamo la via italiana per questa composizione complessa e da bere tutta d'un fiato.
    Che siano 38 o 78 minuti, con il solo intervallo della Ouvertura (#16) non è qualche cosa che si possa mettere sul piatto improvvisando.
    Estrema, estrosa, piena di ornamenti quella di Bacchetti; spigliata, personale, elegante e con ampie escursioni velocistiche ma sempre aderente al testo, quella di Rana.
    Scegliete voi quale preferite, per me pari sono.
  18. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Chopin : Studi Op. 25, 4 scherzi
    Beatrice Rana, pianoforte
    Warner Classics, 24 settembre 2021, HD,via Qobuz
    ***
    Riconosco a Beatrice Rana una qualità unica per la sua generazione.
    Non è la tecnica solida e assoluta di cui è dotata, né il piglio deciso o il coraggio artistico.
    E' la maturità con cui affronta la musica che interpreta che la fa sembrare una pianista molto, molto più matura.
    Sarebbe facile affrontare gli studi Op. 25 (ok, è Chopin, non è Brahms e non è nemmeno Shostakovich) con virile veemenza, spazzando via pagine e note con la forza della gioventù.
    Tutta un'altra cosa però dire la propria con personalità, con un taglio originale e riconoscibile.
    In una parola con una maturità artistica sempre più difficile nel mondo di oggi dove gli interpreti girano come trottole per i teatri e le sale senza avere il tempo di smaltire nemmeno il jet-lag.
    Soprattutto considerando la sua età.
    Qualcosa che riconosco in ogni performance di questa pianista.
    Anche quando, come è in questo caso, il disco mi convince solo a metà.
    Insomma, cercherei questa quasi definitiva visione in Horowitz o in Richter, ma siamo ancora qui per maturare e crescere, nella vita come nella musica, no ?
    Oppure sono io che probabilmente cerco ancora il guizzo prima della parola fine.
    Probabilmente la spiegazione me la da la stessa interprete nelle sue parole nelle note di copertina, che riporto, tradotte dall'inglese :
    “Il mio rapporto con Chopin è iniziato relativamente tardi – il mio maestro, Benedetto Lupo, non ha voluto farmi conoscere il compositore all'inizio dei miei studi. All'epoca ero delusa e frustrato, ma ora posso capire il suo ragionamento. Ho iniziato a suonare i Preludi a 16 anni, e affrontarli prima di allora non sarebbe stato giusto per me. Chopin è riservato, visionario e misterioso – non certo un compositore facile da affrontare per gli esecutori, che richiede una grande quantità di preparazione e una ricerca approfondita. Ci sono elementi romantici nel suo lavoro, ma non è mai dolce o zuccherino: ha una potente sostanza musicale, persino feroce in alcuni punti".
    Ecco 16 anni forse erano ancora troppo pochi. E forse lo sono anche 28 per chiudere un discorso di questa portata. Che si potrà trovare da dire nei prossimi trenta anni ?
    Non si prestano a critiche ma molto meno "definitivi" i più complicati Scherzi, composizioni più difficili da capire ed interiorizzare su cui ci sarà tempo in futuro.
    Sarà magari la scusa per ripetere una prova già magistrale, forse troppo.
    Registrazione eccellente, senza ombre.
  19. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Ravel : Miroirs, La Valse
    Stravinsky : 3 brani da Petrushka (trascrizione Stravinsky) - 3 brani da L'uccello di fuoco (trascrizione Guido Agosti)
    Warner Classics 2019 (registrazione a Berlino nel maggio e nel settembre 2019), formato liquido 24/192
    ***
    E' realmente un piacere indescrivibile osservare la crescita di una interprete italiana e finalmente poterne apprezzare la coerenza ma, soprattutto, la grande personalità a dispetto della pur ancora giovane età.
    GIà l'ho constatato nel disco delle Variazioni Goldberg, dove si è presa i suoi rischi, sostenendo una visione personale senza il timore di essere affiancata ad una delle altre 100.000 interpretazioni esistenti nella loro sconfinata discografia.
    Ma qui andiamo oltre. Perchè questo stesso approccio è applicato al pianismo più impegnativo del '900.
    Non è musica ovvia e in larga parte si tratta di versioni che non si possono nemmeno considerare "ridotte" al pianoforte perchè assumono una dimensione perfettamente compiuta, come se non sapessimo che invece sono state concepite per i colori della grande orchestra da maestri del colore come Ravel e Stravinsky.
    Anche qui non mi va proprio di fare confronti. Ascolto Beatrice Rana, il suo modo di toccare il pianoforte, la sua fusione con il tratto dell'autore.
    La sua autorevolezza, il suo volume sonoro.
    E mi domando tra venti anni cosa sarà capace di cavare dai segni neri sulle pagine bianche che conservano l'eredità musicale del nostro passato ?
    Registrazione possente che contribuisce a pieno a rendere giustizia ad un disco veemente, intenso, in una parola, bellissimo.
     
    Due parole in coda sull'arrangiamento di Guido Agosti dei tre movimenti dell'Uccello di Fuoco di Stravinsky.
    Risalgono al 1928 e fino a pochi anni fa dimenticate, sono pagine di puro pianismo impressionista con una tavolozza di colori che se si vuole è equivalente a quella dell'orchestra di ... Ravel. Nell'interpretazione di Beatrice Rana c'è il corretto equilibrio tra forza e delicatezza.
    Probabilmente più interessante anche per il pianista, rispetto alla trascrizione originale di Petrushka.
     


    foto (c) Simon Fowler
  20. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Puccini : lavori sinfonici
    My Journey 
    Orchestra della Toscana
    Beatrice Venezi
    Warner 2019
    ***
    Veicolo promozionale dedicato a consolidare il fenomeno di questi mesi, Beatrice Venezi, eletta come sponsor della musica "colta" presso chi non sa cosa sia.
    Giovanissima - classe '90 - lucchese come Giacomo Puccini, bella, elegante, raffinata, colta, dotata di grandissima comunicativa e presenza.
    Va sul palco con i tacchi e gli abiti a clessidra. Ha un gesto appariscente che sottolinea con una cascata di capelli biondi per cui Puccini stesso sarebbe stato pazzo.
    Vuole essere chiamata Direttore e non Direttrice (o Direttora ?).
    Dirige sia in Italia che all'estero.
    Non ne so altro e devo anche ammettere che sino a stamattina ne ignoravo l'esistenza (mi sono poi documentato quando ho ascoltato il disco).

    Cresciuta a pane e Puccini. Si vede chiaramente dall'impegno. E dalla scelta del repertorio.
    Ma mi fermerei qui. Nel senso che il suo primo disco - questo My Journey nel Puccini Sinfonico - di Puccini lambisce solo la superficie.
    Il prodotto è complessivamente di buon livello, ben diretto e ben eseguito.
    Contiene anche un brano inedito ricostruito per l'occasione (lo scherzo e trio per orchestra iniziale).
    Ma si ferma prima di soddisfare le oneste aspettative di un'ascoltatore abituato a commuoversi alle note di Puccini.
    Credo onestamente e sinceramente che a ventinove anni si possa appena cominciare "un viaggio", non si possa arrivare da nessun'altra parte.
    Bernstein ha esordito a 25 anni certo, ma era Bernstein e comunque si è fatto nei venti anni successivi per poi raggiungere l'apice verso i 70 anni.
    Beatrice, dai tempo al tempo, vai col tuo passo, non farti coinvolgere in inutili evangelizzazioni. Non si può obbligare nessuno ad interessarsi di buona musica.
    Come la senti tu, la devono sentire anche i potenziali ascoltatori. Altrimenti è inutile, dopo la moda passeggera, si tornerà ad altro.
    Se hai qualche cosa di originale e di tuo da dire, troverai sempre, me per primo, qualcuno ad ascoltarti.
    Alla prossima.




  21. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Beethoven : A Chronological Odyssey
    Cyprien Katsaris
    Piano21 , 1/5/2020, formato CD, via Qobuz
    ***
    Ho incrociato per la prima volta da ragazzo ad inizio anni '80 Katsaris per la sua performance nelle sinfonie di Beethoven trascritte da Liszt ed incise tutte insieme per la Teldec.
    Una interpretazione di forza che non mi ha fatto rimpiangere nemmeno per un minuto l'orchestra.
    Katsaris è un pianista di un'altra epoca benchè sia ancora relativamente giovane (classe 1955), perchè non solo è capace di lunghe prestazioni sul piano fisico che dai tempi di Oppitz non si conoscono più (tipo suonare tutto Brahms in due o tre serate) ma perchè è capace di trascrivere qualsiasi cosa e riprodurla al meglio al pianoforte.
    Ma non basta, dopo 20 anni di collaborazione con etichette importanti, ha preferito crearsi la sua, e da parecchi anni registra producendosi i suoi dischi, pubblicati da se con Piano21.
    In parallelo all'integrale dei concerti di Mozart è uscito nell'anno beethoveniano con questa realmente originale odissea.
    Sono giusto SETTE ORE di musica - vi avviso, un impegno ascoltarlo tutto ma io l'ho fatto almeno 3 volte - che coprono tutto Beethoven dalle variazioni su una Marcia di Dressler (1782, quindi del Beethoven dodicenne) all'ultimo cimento, il Ratselkanon scritto nel dicembre 1826 poco prima del tragico viaggio verso Vienna.
    In mezzo composizioni per pianoforte e trascrizioni compreso un movimento del concerto per violino e orchestra, l'adagio della Nona Sinfonia trascritto da Wagner, una trascrizione di Diabelli di un quintetto mai completato, un movimento del quartetto n. 16 trascritto da Mussorgsky e tante rarità del genere.



    E' una collezione geniale, con veri tesori nascosti, insieme a composizione arcinote.
    L'interpretazione è appassionata in ogni nota. Forse non sempre del livello assoluto che alcune - ad esempio le sonate per pianoforte - meriterebbero ma si tratta di una maratona più che una odissea.
    Perchè questa non è una raccolta di registrazioni varie, è stata pensata e concepita tutta nell'estate del 2019 e registrata di seguito alla Chiesa Evangelica di San Marcello a Parigi su un bel Bechstein di suono molto beethoveniano.
    La registrazione è lucente, il piglio brillante, la virtuosità di Katsaris indiscutibile.
    Tra le poche proposte realmente degne di nota dell'anno appena trascorso.
    Bravo !
  22. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Beethoven : Concerti per pianoforte e orchestra n.1 e n. 2 - Rondò in SIb WoO 6
    Boris Giltburg, pianoforte
    Royal Liverpool Orchestra
    Vasily Petrenko
    Pianoforte Fazioli # 2782273
    Registrazione del maggio 2019
    Naxos, formato 96/24
    ***

     

    E' un fiorire di edizioni dei concerti per pianoforte di Beethoven.
    Non che ce ne sia bisogno, abbiamo decine di edizioni di riferimento dei più grandi pianisti della storia.
    Ma è giusto che ogni interprete si cimenti con questi capisaldi della letteratura tastieristica.
    Qui abbiamo due musicisti di primordine, Boris Giltburg e Vasily Petrenko che mostrano una buona intesa e propongono un risultato di buon livello.
    Boris suona uno dei possenti Fazioli presenti in Inghilterra. L'orchestra di Liverpool ha una articolazione perfetta per Beethoven sotto il bastone di Petrenko.
    Ci sono tutti gli ingredienti giusti per una ricetta perfetta. E le aspettative suggerite dal duo sono tante.
    Il risultato ?
    E' effettivamente perfetto. Forse un pelo troppo perfettino, insomma.
    Un confronto rapido con la mai perfetta Martha Argerich del 2017 con il compassato Ozawa alla guida della Mito Chamber Orchestra ci mostra che, ad esempio, si possono pareggiare i tempi del rondò del primo concerto ma proponendo musica di tutt'altra verve.
    Cosa manca insomma perchè una performance diventi un disco perfetto ?
    Un filo meno di autoindulgenza, forse, meno attenzione al suono prodotto e un pò più alla musica.
    Brendel diceva che Mozart è facile da suonare ma è ben difficile da suonare veramente bene.
    Questi due concerti (e il rondò senza numero d'opera selezionato da GIltburg per cui usa anche una sua cadenza) sono i cavalli da battaglia del Beethoven che si fa strada attraverso la Germania verso Vienna, per conquistarsi la fama di solista prima che di compositore.
    Sono brillanti. Sono personali. Richiedono ardore e anche la necessità di prendersi dei rischi.
    Che qui in tanti passaggi mancano.
    Beninteso, il livello è altissimo.
    Ma il Giltburg del 2019 ci ha viziati con un Rachmaninov sensazionale. E le nostre pretese sono cresciute.
    Ci risentiamo al prossimo disco con il pianismo più eroico del Beethoven Napoleonico ?
    Delizioso il Rondò, con quel misto tra lezioso e spavaldo che ci vuole. Vale tutto il disco (ma ripeto, nei due concerti la performance è tutt'altro che insufficiente .. é che vorremmo ... di più !). Ma anche qui con tempi più lenti di quanto avremmo desiderato (confronto con Brautigan, Kodama ma anche con il Richter maturo).
    Più coraggio Boris. Più ardore. Con Beethoven bisogna correre sulla fune.
    Alla prossima 
  23. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Beethoven : Concerti per pianoforte e orchestra 0-5
    Mari Kodama, pianoforte
    Deutsches Symphonie-Orchester Berlin
    Berlin Classics 2019
    ***
    Chiariamo due punti subito.
    Kodama e Nagano sono moglie e marito nella vita.
    E questa non è la prima volta che registrano insieme.
    Come possa essere costruire insieme un repertorio così importante quando si è così legati non so immaginarlo.
    Ma credo sinceramente che questo elemento abbia profondamente influenzato (in positivo) il risultato finale.

    Kent Nagano e Mari Kodama durante le prove di una di queste registrazioni.
    Il titolo sottintende che si tratta di una integrale allargata.
    Ovvero si parte dal "concerto n. 0", cioè il giovanile WoO 4 del 1784 (Ludwig quattordicenne) e si arriva all'Imperatore, passando per il triplo concerto e il rondò WoO 6.
    Riempitivo molto gradito le variazioni Op. 35 sull'Eroica.
    Ma mancherebbe se vogliamo la trascrizione del concerto per violino e orchestra, voluto fortemente da Clementi e tutt'altro che disprezzabile, sebbene raramente eseguito.

    Nagano sul podio durante una performance

    una foto di repertorio di Mari Kodama
     
    Conosco benissimo il Nagano accompagnatore di solisti eccezionali (mi vengono in mente Lugansky, Tetzlaff e Repin, ad esempio) e la solidità della sua interpretazione. Attenzione al senso generale pur nel rispetto della posizione del solista.
    Della moglie ho ascoltato alcune delle 32 sonate di Beethoven per la Pentatone e ricordo un disco dedicato a Martinu con la sorella Momo.
    Tocco concreto, tempi generalmente veloci, visione brillante anche se non necessariamente approfondita. Tono "chiaro", veemente, chiaroscuro appena accennato.
    Che ben si "sposa" con quello del marito tanto che la fusione delle due visioni in questo cofanetto di 4:30 ore non si presta a nessuna critica particolare.
    Non cercheremo la delicatezza di Pollini nel 4°, la forza titanica della Argerich o di Gilels nel 3°, l'umanità di Backhaus nell'insieme.
    Ma l'ascolto è piacevole ed a tratti avvincente. Di un Beethoven possente e virile, se mi è concesso. Sempre lucidamente contrappuntistico, pienamente nel suo tempo, sebbene non ci sia alcuna concessione "filologica" per un prodotto che è sinceramente del 21° secolo.
    Bella l'interpretazione anche del concerto giovanile del 1784, un bell'esercizio di stile dove, senza forzare oltre modo, gli interpreti ci fanno intravvedere chiaramente il Ludwig che verrà di li a poco.
    Nella registrazione, l'orchestra, ha un bel suono, pieno ed ampio, specie sul basso.
    Il pianoforte è spesso un pò troppo ravvicinato ed asciutto, forse per una questione di bilanciamento ed a tratti un pò forzato.
    Ma va bene anche così. Nella realtà sono registrazioni riprese in periodi differenti, il bel triplo concerto, ad esempio, ha un suono molto caldo con il pianoforte più in ritirata, il rondò WoO è dolce come sua la musica prevede.
    In sintesi una bella sorpresa questa visione nipponica di Beethoven (nella realtà Nagano è americano di terza generazione mentre Kodama è praticamente cresciuta ed ha studiato in Europa), tanto che l'ho ascoltato di getto ed ho scritto a caldo queste mie considerazioni.
  24. M&M
    Beethoven : concerto per pianoforte n. 3
    Martin Helmchen, pianoforte
    Beethoven : triplo concerto
    Martin Helmchen, pianoforte
    Antje Weithaas, violino
    Marie-Elisabeth Hecker, violoncello
    Deutsches Symphonie-Orchester Berlin diretta da Andrew Manze
    Alpha 2020, formato 96/24
    ***
    Quando l'alchimia degli ingredienti singoli conduce ad una sommatoria superiore ai singoli addendi, anche in un disco il risultato è di tutta evidenza.
    Abbiamo applaudito i precedenti episodi dell'integrale di Beethoven con i concerti 1-2-4-5 di Beethoven, dell'ottimo Martin Helmchen, accompagnato da Manze e dalla "sua" orchestra di Berlino.
    Gli inglesi stravedono per Andrew Manze, io un pò di meno, mi sembra sempre un pò grigio e povero di idee. Noioso, anche come solista.
    Ma non lo quando si intende con Andrew Manze e questa integrale - immaginiamo sia così completata - è tra le più fresche ed interessanti degli ultimi anni.
    Anche più di quelle di pianisti più blasonati.
    Il terzo concerto non è da meno. Il solista non ha l'istrionismo di un Gilels o di una Argerich nè la possente forza di un Richter ma sa il fatto suo e non mostra la corda in nessun caso, nemmeno nell'adagio che usualmente tende ad allentare la tensione fino alla narcolessia.
    Che viene risolto "alla breve" e in modo eloquente, con ampi fraseggi e senza cadute di tensione.
    Bello il rondò, con il pianoforte che cinguetta bene con fiati ed archi.

    Ma la vera sorpresa viene dal "trio con orchestra", il mai amato fino in fondo triplo concerto di Beethoven che viene dato come bonus in questo disco.
    Complice la ... complicità dei tre solisti, abituati a suonare insieme molto più di altri celebri solisti che hanno firmato questo concerto in precedenza.
    Ed è qui che si sommano gli ingredienti per dare la pietanza migliore.
    Fin dall'ingresso un pò in sordina dell'orchestra che poi con più veemenza chiama i solisti quasi come in una ouverture d'opera (e quale trio potrebbe vantare un tale preludio ?).

     

    entra poi il violoncello, emozionante fin dalle prime note della Hecker seguito dal violino leggero ed elegante della Weithaas.
    Infine il piano completa squisitamente la nostra pietanza.
    Che diventa il piatto forte del disco.
    Lo confermo, non sono mai stato un grande appassionato di questo concerto e in generale dei concerti a "troppi strumenti". Ritenevo il triplo concerto di Beethoven una composizione di circostanza, una delle Sue meno ispirate.
    Fino a ieri.
    Confermo la precisione e la perfezione dell'orchestra anche in questo concerto visto che per lo più se ne sta a riposo, tranne quando è chiamata a dire la sua ... a tempo e il lavoro di Manze nell'inquadrare tutta la composizione.
    Diamo merito al merito, probabilmente i tre sono perfettamente assortiti da soli, visto che suonano usualmente in questa formazione, ma infilarli in una compagine sinfonica non è opera banale.
    E qui il direttore conta.
    Bella registrazione, chiara, con il giusto spazio tra gli strumenti, bassi in evidenza, alta dinamica. Come si conviene per un disco d'eccellenza.
    CINQUESTELLE

    lo splendido sorriso di Marie-Elisabeth Hecker che è certamente la voce che da calore e passione al trio, molto più analitico nelle altre due voci
  25. M&M
    Beethoven : i concerti per pianoforte e orchestra
    Jean-Efflam Bavouzet, pianoforte e direzione orchestrale
    Swedish Chamber Orchestra
    Bonus : Beethoven, Quintetto per pianoforte e fiati
    Chandos 2020, formato HD
    ***
    Bavouzet sceglie la doppia veste di solista e direttore per questa sua prova sui concerti di Beethoven.
    E lo fa con una orchestra di composizione cameristica, molto leggera, quasi scarna.
    Nelle note c'è una lunga prolusione dello stesso interprete che precisa quanto possa essere bello trovare un direttore d'orchestra che condivida la "sua" visione di un concerto ma che poter dirigere e suonare insieme può offrire altri vantaggi.
    Che il suo sia uno studio profondo lo si apprezza proprio dalle note dettagliate che oltre alle scelte stilistiche di Beethoven, approfondisce le sue di scelte. Sono da leggere con attenzione.
    Specie perchè sono citate più volte le indicazioni - in italiano - di Beethoven nel testo. Spassosa quella della coda alternativa del 5° concerto/Primo movimento, identificata come "ossia più facile" da Ludwig.
    Personalmente ritengo Bavouzet uno dei più sensibili pianisti di questa generazione, spessissimo, se non proprio sempre, perfettamente dentro alla partitura che suona, senza mai dare l'impressione di averla improvvisata per la registrazione.
    Qui si esibisce con molto piglio, certo non quello inarrivabile e sopra le righe sul piano istrionico di Giovanni Bellucci, ma quella interpretazione da non farsi mancare, fa classe a se.
    Qui abbiamo un Beethoven molto naturale, spesso mozartiano ma con più profondità, chiarissimo, brillante, senza nubi.
    Il pianoforte ne risulta avvantaggiato ma sinceramente a me non manca il pieno orchestrale delle compagini più importanti : questi concerti non lo richiedono.
    La presentazione è quella storica, con il 2° concerto eseguito per primo e il 1° per secondo.
    Non ci sono cadenze alternative e l'ascolto così se ne giova, scorrendo fedelmente con il fluire della musica.
    Mi sono accorto di averli "bevuti" tutti di seguito senza che mi pesasse.
    Finchè non è arrivato il quintetto finale, gradito ma in fondo azzarderei ... superfluo. Non la ritengo una delle composizioni più apprezzabili di Beethoven e con i concerti per pianoforte non mi pare che ci azzecchi moltissimo.
    Sicuramente la visione di Bavouzet è piano-centrica e l'orchestra si trova li perchè ... in un concerto per pianoforte e orchestra, ci vuole. Ma va bene così.
    Forse manca di magia o di pathos. Penso per esempio al mio preferito, il 4°, dove Pollini/Abbado svettano. Lui parte leggero e arriva leggero.
    Un filo più salottiero di quanto mi piacerebbe.
    Ma non parliamo di un solista che ama mettersi in mostra per forza o egocentrismo.
    Anche il 5° è ben bilanciato, senza troppi esibizionismi. E ce ne sarebbe occasione, perchè la partitura è creata apposta.
    Nel complesso mi sono piaciuti molto e li riascolto volentieri.
    Non un riferimento ma il completamento di una discografia personale che Chandos sta costruendo attorno ad una delle sue firme migliori.
    Registrazione chiara, perfettamente intonata con la visione dei musicisti. Ne accenna anche Bavouzet parlando della combinazione tra lui, l'orchestra e le fasi di workout della registrazione.

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