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Blog Entries pubblicato da M&M

  1. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Stephen Hough, quartetto d'archi n.1
    Henry Dutilleus, Ainsi la nuit per quartetto d'archi
    Maurice Ravel, quartetto d'archi in Fa maggiore
    Takàcs Quartet
    hyperìon, 6 gennaio 2023, formato 96/24, comprato
    ***

    Il Takacs è una certezza, anche quando non trovo del tutto convincente la loro lettura, parliamo comunque di interpretazioni di altissimo livello.
    E poi c'è un programma, più unico che raro.

    Il punto nodale è il Quartetto in fa di Ravel, di cui danno una prova assolutamente tersa, del tutto scevra da sentimentalismi tardo-borghesi, asciutta e rigorosa.
    Credo tra le più interessanti dai tempi del Quartetto Italiano.
    E questo già varrebbe il disco.
    Ma poi c'è il quartetto di Stephen Hough che conosco bene come pianista ma non avevo mai affrontato come compositore.
    Il quartetto qui incluso è stato espressamente commissionato per questo disco e per accompagnarsi agli altri due.
    Il suo carattere "francese" è inappuntabile, sin dalla scelta dei titoli.
    Nella realtà non è un vero e proprio quartetto classico ma, un incontro di sei brani a tema, perfettamente legati.
    Sulle prime sembrerebbe di ascoltare, è vero, Poulenc ma ci sono anche tratti più moderni in questa musica.
    Devo dire che mi ha convinto già al primo ascolto.
    E' buona musica, non un riempitivo. E forse tra le poche cose ascoltabili ... scritte nel 2021.
    Resterebbe Dutilleux che io non capisco fino in fondo e non è certo tra gli autori che scelgo distrattamente per un ascolto pomeridiano.
     
    Ainsi la nuit è musica del 1973-1978, è musica di confine, ha effettivamente influenze bergiane e bartokiane ma resta originalmente francese, secondo il pensiero, non lo stile, di Debussy.
    Alla fine, pur con le sue sonorità sperimentali funziona.
    Un trio di composizioni d'eccezione, per una formazione quartettistica di prim'ordine.
    La registrazione è praticamente dal vero, con ogni pizzicato, ogni corda, ogni accordo vivo davanti a voi. Uno di quei dischi che fa apprezzare il proprio sistema di riproduzione (se questo è all'altezza).
    Insomma, promosso al terzo ascolto, a dispetto dell'iniziale scetticismo.
  2. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    British Violin Sonatas
    Walton, Alwyn, Leighton, Berkeley, Rawsthorne, Jacob
    Clare Howick, violino, Simon Callaghan, pianoforte
    SOMM RECORDINGS 2020, formato 96/24
    ***
    Il programma è originale, non è più originale la rivisitazione delle sonate per violino e pianoforte britanniche del XX secolo, perchè la frequentazione è già abbastanza ricca.
    In questo caso abbiamo l'associazione di compositori coevi : Alwyn, Walton, Rawsthorne e Berkeley sono tutti nati tra il 1902 e il 1905 e sono morti intorno agli anni '80 del secolo scorso.
    Fuori paio c'è Leighton che è nato nel 1929 e Jacob che è più vecchio, essendo nato nel 1895.
    I pezzi forti di questo disco sono certamente la sonata di Walton, quella di Leighton e la sonatina di Alwyn mentre gli altri offrono pezzi brevi per riempire i 72 minuti del disco.
    Della sonata di Walton, dedicata alla moglie di Menuhin, ci sono due buone alternative.
    Questa della Howick è un pò nervosa ma la durata è complessivamente più lunga (27:00) dell'edizione storica di Menuhin con Walton stesso al pianoforte (24:50) e molto di più di quella, che a me convince di più (non me ne voglia Walton !) è quella della serie di Tasmin Little con Piers Lane.
    E' una sonata molto energica in queste interpretazioni moderne, molto diversa dalla visione originale, probabilmente più corretta (ovviamente, con Walton al piano) ma forse un pò più vicina al nostro palato.
    Bella la sonatina di Alwyn, autore spesso considerato solo per composizioni minori e in effetti qui parliamo di un brano di 10 minuti in tutto.
    Kenneth Leighton per me er aun illustre sconosciuto ma la sua sonata qui inclusa é veramente molto interessante ed energica. Direi appassionatamente inglese sia sul piano melodico che nei richiami tematici e ritmici.
    Degli altri brevi pezzi del disco ricordo in particolare la Toccata di Berkeley, veramente molto vivace.
    Continua così il mio viaggio nella musica inglese tardo-romantica e del '900, ma in verità senza tempo.
    Clare Howick e Simon Callaghan offrono nel complesso una prova di grande intesa e di carattere.
    In Walton, come ho scritto, preferisco Little/Lane ma è un disco comunque molto apprezzabile.
    Registrazione chiara e precisa con un violino rugoso al punto giusto e un pianoforte senza code sonore e non immanente.
     
    alternativa, ovvia, per Walton, Menuhin accompagnato da Walton in persona

    altro disco per Naxos di Clare Howick nella mia collezione

    Tasmin Little secondo me però si muove su un piano superiore

  3. M&M
    Sinceramente in musica detesto le classifiche. Tipo i 10 migliori concerti, i 10 top violinisti, i 10 concerti più meglio assai.
    Non è il campionato di calcio, dove, peraltro, anche la, non è sempre detto che vinca la migliore squadra. Solo quella che fa più punti ...

    Eppure molti fanno queste classifiche, Gramophone le pubblicizza anche, come spunto per ulteriori ascolti.
    Non so se siano rivolte a neofiti o semplicemente siano l'esito di sponsorizzazioni.
    Vedendo i concerti - sia le composizioni che le interpretazioni - scelte nella guida dello scorso ottobre, ho più di un dubbio di quale sia la reale motivazione.
    Ma ... transeat.
    Il violino non è mai stato il mio strumento preferito, suona in una gamma di frequenze in cui io sono debole d'orecchio.
    Ma negli ultimi anni l'ho coltivato molto.
    E mi sento di stilare una lista, una compilation, intendiamoci, non certo una classifica di 10 concerti.
    Che non sono i migliori. Non sono quelli da conoscere assolutamente. Forse non sono nemmeno quelli eseguiti meglio in assoluto.
    Ma sono quelli che io ascolto più volentieri.
    Il concerto con l'orchestra, per un violinista è il punto d'arrivo, il momento di massima esposizione. Sono composizioni pensate per valorizzare al massimo il violino che può così competere con una intera orchestra.
    Diversamente da quanto fa quando suona in piccoli complessi da camera, dividendosi i meriti, o anche quando suona da solo, eccezionale, ma ... è facile vincere quando si giuoca da soli.
    Mi spiace. Niente Vivaldi, niente Locatelli, niente Mendelssohn, niente Bruch e niente Berg ... che ascolto comunque ma che non scelgo certo quando sono distratto.
    ***
    1
    Il principe dei concerti per violino e orchestra, per il sottoscritto è quello di Brahms.
    Nella realtà si tratta di una sinfonia con violino solista. Ma la parte per violino è talmente virile, nobile, olimpica, che forse dire "principe" non basta.
    Potrebbe essere l'imperatore. Come lo è il secondo concerto per pianoforte del barbuto amburghese.
    Gramophone sceglie Heifetz, anche io, ma in una registrazione d'anteguerra con l'Arturo alla direzione della NBC.
    Io vado di Reiner, 1958, in una ripresa smagliante RCA Victor che pare fatta stamattina ...

    dovendo fare una seconda scelta in un repertorio sconfinato che vede tutti, da Milstein a Kavakos e Tetzlaff ben figurare, io gioco in casa :

    Janine Jansen a Roma con Pappano live del 2015 che vede per protagonista lo Stradivari "Baron" del 1727, uno strumento unico per voce e carattere.
    Janine qui è "lavish" e l'orchestra viva come forse non lo è mai stata dai tempi di De Sabata ...
     
    2

    becero quanto volete, sono sicuro che il concerto di Chaikovsky piaceva anche a Brahms anche se non lo avrebbe mai ammesso.
    Piotre non capiva niente di violino ed ha fatto una serie di strafalcioni indicibili che poi sono stati corretti in fase di prima esecuzione.
    Ma quello che fa fare al violino lo sa solo lui.
    Io qui scelgo il buon vecchio Itzhak Perlman, che Chaikovsky è sempre meglio lasciarlo ai russi, accompagnato con il frac da Eugene Ormandy a Philadelphia.
    Come alternativa, una vera alternativa. Il Grande Ruggero Ricci, sempre dimenticato, eppure uno dei più grandi virtuosi dello strumento 

    Malcolm Sargent dirigive le prime di Vaughan Williams, qui lo fa senza nemmeno agitare le mani, lasciando a quel violino tutto il suo palcoscenico
    3
    Per tanti anni ho detestato il concerto di Beethoven. L'ho sempre trovato un pò grezzo, provinciale, sempliciotto.
    Ma andrebbe visto come un concerto per pianoforte. E quando l'ho ascoltato nella versione per pianoforte, l'ho rivalutato.
    Specialmente per quella parte del timpano che ha tanto ispirato Benjamin Britten.
    I tedeschi per i primi, ma con una punta di old England (anche se il nonno di Ticciati era romano)

    una lettura fresca, pulita, umana, come lo è in ogni sua uscita, l'ultimo Tetzlaff
    per alternativa, tra le 100.000 disponibili, potrei chiamare Gioconda De Vito, oppure Vilde Frang, o Patrizia Kopacinskaja.
    Ma abbiamo detto i tedeschi ai tedeschi, e qui ce n'è una coppia innamorata :

    tempi dilatati, edizione digitale ma di quando i Berliner non facevano politica ...
    4
    ero ragazzo, lavoravo da due mesi. Il negozio davanti l'ufficio si chiamava ... La Voce del Padrone (era una emanazione italiana di EMI).
    Questo disco era in vetrina insieme alle Variazioni Goldberg di Glenn Gould.
    Avevo trentamila lire in tasca. Li spesi tutti.
     
    per decenni non ho trovato una interpretazione più convincente di questa sconosciuta americana debuttante con Ormandy per guida.
    Il fuoco ardeva nel suo cuore e arrivava fino alle corde del violino. Sensualità pura. Una delizia.
    (se volete questo LP, oggi vale circa 200 euro ...)
    come alternativa io ho solo la Jansen ma lei, maledizione non l'ha registrato. C'è solo in video ... e che video !
    metto il solito Heifetz ma vi segnalo Vilde Frang, Kavakos, Dalene ...

    il problema con Heifetz è che lui suona Heifetz, non Sibelius, non Prokofiev, non Glazunov ma ... Heifetz ...
     
    5
    adesso qualcuno mi guarderà storto se non l'ha già fatto. Non fa niente. Per me il Concerto di Britten è un monumento al violino. E' di una difficoltà ineguagliabile, per il violinista, per il diretto, per l'orchestra, per ... l'ascoltatore.
    E poi quei timpani iniziali ...


    per me qui la partita è a due.
    E' un concerto che si esegue poco e che pochi tengono in repertorio a lungo.
    Perché è devastante ...
    6
    tocca a Prokofiev. E francamente io ce li metto entrambi.
    Sono due concerti differenti, composti nella prima era. Sono sognanti, con le atmosfere di Romeo e Giulietta (che è appena posteriore).
    Prima della guerra, delle imposizioni comuniste, del periodo nero di Sergei

    per decenni non ha avuto alternative e ancora oggi sta a testa alta.
    Abbado all'epoca era a Chicago dopo aver litigato con i milanesi.
    E Shlomo Mintz portava una ventata fresca nel mondo russo, in perfetta sintonia con l'asciutta visione della musica di Abbado.
    I due concerti si prestano a letture differenti e sempre bellissime.

    il "Baron" della Jansen mi fa sempre commuovere nel 2° concerto
    ma c'è poco da criticare nel farsesco suono del suo Pressenda con la Patrizia Kopatchinskaja

    dando la voce ad un "maschietto", mi è piaciuto molto questo disco, estremamente "romantico" :
     
    con un Jarvi in grande spolvero
    per non dimenticare Gil Shaham con Previn a Londra

    7

    i due concerti per violino di Shostakovich sono stati a lungo pensati con il violinista Oistrakh che ne ha, ovviamente, curato la prima assoluta.
    Nel 1955, morto Stalin, per il primo concerto, con Mravisnky a Leningrado e nel 1966 con Kondrashin, a Mosca.
    Sono due concerti di straordinaria ricchezza inventiva, dinamica tra le parti, ma soprattutto citazioni e tributi.
    Probabilmente rappresentano il culmine del concerto per violino "classico", sebbene di classico oramai sia rimasto poco.
    Il Burleske che chiude il primo concerto è un segno distintivo del primo Shostakovich. ancora più della firma DSCH che compare nella passacaglia.

    Le interpretazioni "giurate" di russi si sprecano, ovviamente.
    Io ho scelto la lettura hyperion con la Ibragimova accompagnata dall'Orchestra di Stato di Russia perché al virtuosismo assoluto della solita, si accompagna una qualità strepitosa della registrazione.
    E' un 192/24 di qualità sopraffina con dinamiche difficili da domare (se il vostro impianto lo consente).
     
    ovviamente il riferimento non può che essere la lettura "giurata" di Oistrakh, fatta tutta in casa.
    8
    I tre concerti per violino di Saint Saens sono interessanti quasi quanto i suoi per pianoforte.
    Ma il terzo merita certamente un posto più importante nel repertorio.
    Per retorica e potenza vale quello di Brahms e non vi sto prendendo in giro

    questo disco è una rarità e contiene praticamente tutto il repertorio.
    Se non lo conoscete, ascoltatelo.
    In alternativa :

    che però ha un suono secco del peggior periodo DG
    9
    e chi se lo sarebbe mai creso ? Io e Bartok, come dire, l'acqua e l'olio. Eppure ...

    ma mi sono innamorato del primo concerto sentendo il Brahms della Jansen

     
    10
    chiudo la serie dei dieci ...  con i concerti per violino (ed altri strumenti) di Bach.
    In particolare il concerto per due violini, che ho tanto amato suonato dagli Oistrakh, padre e figlio.
    Ma che qui presento in edizione unica, nell'integrale imperdibile di Isabelle Faust e dei suoi amici :

    ***
    Naturalmente è una serie personale, anche alternativa.
    E ci avrei potuto inserire Korngold, Walton e Barber. Vivaldi, no
    E voi, che mi dite ?
  4. M&M

    Personale
    Si, lo so che c'è molta gente che mi ha preceduto. Ma io non potevo onestamente privarmi prima del 105/1.4E. Prima di che ? Prima che uscisse l'85/1.2 S.
    E nemmeno del 500/5.6E PF. Prima che uscisse il 400/4.5 S.
    Entrambi questi nuovi Nikkor Z non faranno MAI rimpiangere i loro predecessori. Come è successo per tutti gli altri Nikkor Z che ho provato.
    Si, lo so che c'è gente che si è comprata due Nikon Z9 con annessi due FTZ II. E che non ha nemmeno un Nikkor Z-uno per provare l'effetto che fa.
    O che ci usa bellezze meravigliose come il 200-400/4 prima serie o il non-mi-toccate-che-se-mi-rompo-é-finita, 300/2.8 AF-I.
    Bontà loro, vedo che c'è chi usa ancora la D3s con soddisfazione propria, perché no ? Continuate così, fatevi del bene.
    Io invece, no. Invece no. Non vedevo l'ora e anche prima del tempo ho cominciato l'avvicendamento che solo adesso ho potuto completare.
    Adesso non ho più né un Nikkor F in servizio (non conto i vecchi pre-AI, che fanno bella mostra di se ma che non uso quasi mai), e nemmeno un FTZ.
    Il futuro è solo Z. Anzi, il presente è già solo Z
  5. M&M

    Scherzi a parte
    Io mi ricordo gli inverni della seconda metà degli anni '70.
    Faceva un freddo cane e si andava in giro con il cappotto pesante e i guanti di lana.
    Se cercate in rete troverete una messe di articoli - anche di nomi prestigiosi come Asimov - di quegli anni in cui si dava per scontato che l'inquinamento e i gas serra avevano ormai compromesso il clima e che "i nostri nipoti" sarebbero vissuti per lande ghiacciate dove sarebbe stato impossibile coltivare e sfamarsi. Ghiacci eterni.
    In questo video del 1979 c'è addirittura Leonard Nimoy che si presta a questa narrazione ... affascinante.
    cercate in rete, troverete elenchi interi di articoloni catastrofici di quegli anni

    ebbene, faceva molto freddo l'ho già detto e le estati erano più fresche di adesso.
    In maggio pioveva per un mese. E in marzo il tempo era ... marzolino.
    Poi le cose sono mutate e nel tempo gli inverni sono diventati sempre più miti, le primavere meno piovose, le estati molto più calde.
    Naturalmente io ammetto che i processi scientifici e i metodi di indagine, l'uso dei programmi di simulazione e di misurazione storica etc. si siano perfezionati.
    Ma un dubbio che il pensiero scientifico oggi non sia più quello dei tempi di Maxwell e di Einstein mi rode. Anche se io ho una solidissima formazione scientifica, molte storie non me le sono mai bevute fino in fondo.
    Come il meraviglioso gatto di Schrodinger che mi faceva sognare paradossi temporali capaci di intere serie di film di fantascienza. Ma che nelle vita comune era difficile vedere.
    Ecco, oggi la narrazione sembra diametralmente opposta. Ci sono i nipoti degli scienziati che 40 anni fa prevedevano una nuova era glaciale che invece narrano di un surriscaldamento tale che tutto il mondo fino a Svalbard sarà come il Sahara.
    Ne vediamo gli effetti, è vero. Tanto più che i cappotti sono rimasti per lo più negli armadi e d'estate, se si potesse, cammineremmo con il condizionatore in spalla, perchè anche mettersi nudi non basterebbe.
    La colpa, immancabilmente è dell'antropizzazione del pianeta. Che il ministro della transizione ecologica ci assicura essere stato progettato dal Padreterno per ospitare non più di 3 miliardi tra cristiani e simpatizzanti di tutte le altre confessioni e i loro animali domestici oltre che i selvatici.
    Ognuno ha i suoi grafici e le sue misure. Tutte valide finché si condividono le premesse. Che sia l'uomo, l'industrializzazione etc. etc. etc.
    in particolare, l'uomo medio, bianco, occidentale, eterosessuale, col posto fisso, proprietario della sua casa d'abitazione, cristiano, che sta ad Ovest dell'Elba
    Ho preso qualche grafico anche io, spero che le fonti siano veritiere.

    questo grafico evidenzia l'emissione in miliardi di tonnellate annue di CO2. Ho selezionato un lasso di tempo dalla rimilitarizzazione della Renania (di fatto la reindustrializzazione della Grande Germania) ad oggi.
    Diciamo che anche senza fare derivate e linee di tendenza, negli anni '70 non ci sono stati sconvolgimenti esagerati. Mentre negli ultimi 30 anni, il mondo occidentale è orientato generalmente ad una riduzione delle emissioni piuttosto marcata, per effetto della delocalizzazione in Asia delle produzioni industriali.
    L'Italia è più o meno costante nella sua pochezza anche se ancora non siamo riusciti a demolire del tutto la nostra discreta industria media e alleviamo ancora milioni di maiale, come si è sempre fatto nel nostro Paese.

    in termini di percentuale l'Italia emette lo 0.87% della CO2 emessa da tutto il mondo (percentuale pari al tempo della battaglia di El Alamein, anche se intanto la nostra industria si è sviluppata mostruosamente di più), Nord America ed Europa non sono cosi distanti e in tendenza in calo mentre l'incremento delle emissioni dell'Asia non accenna a diminuire, anche durante il lock-down ...
    Non ci sono conclusioni in questo mio discorso, perché credo in modo estremamente convinto che nessuno ne abbia e che chi sia sicuro ciecamente di quanto afferma, possa dimostrarlo a modo suo ma potrebbe avere la stessa concreta possibilità di andare incontro ad una cantonata come gli scienziati degli anni '70.
    Non c'è stata un'era glaciale, forse siamo solo in una delle tanti fasi climatiche del nostro pianeta.
    Io so per aver studiato la storia dell'uomo che la Groenlandia si chiama così perché era verde ed era coltivabile fino al '300. E che poi si è congelata.
    Che i passi alpini sono stati variamente percorribili a piedi anche in inverno nel corso degli ultimi pochi millenni (Annibale ci ha portato gli elefanti). Oppure no, a seconda del decennio del tale secolo.
    Ma sono altrettanto certo perché guardo le stelle, di quanto poco conti l'uomo nelle cose anche di un pianeta piccolo come la terra.
    L'autoflagellazione, il mille e non più mille, il 2000 e il non più 2000, il ricordati che devi morire e il pentiti peccator, si sono sentiti decine di volte nel corso della storia.
    E lo stesso Nostradamus, può dire e non dire a seconda di come lo si cerca di leggere

    PS : in questo articolo non c'è alcun riferimento al rispettabile lavoro del paleontologo; sono convinto altresì che il nostro stile di vita sia spesso assurdo con sprechi esagerati e che, probabilmente, in un'ottica storica più ampia di quella impostata dai libri scolastici, siamo ancora in pieno medioevo, se non addirittura nella pre-istoria ...
    Che la decrescita felice del solo mondo occidentale allo scopo precipuo di cambiare modelli di acquisto sia la vera chiave di lettura di questa narrazione potrebbe inserirmi tra i cosiddetti "complottisti". Ebbene, lo nego.
  6. M&M
    Chi frequenta questo sito, ovviamente, conosce benissimo i Concerti Brandeburghesi di Bach.
    Rappresentano una sorta di sintesi della polifonia applicata al concerto con strumenti solisti dell'epoca bachiana. Prendono spunto dalla prassi compositiva italiana, francese, tedesca della prima metà del '700.
    Sono pensati all'origine per più strumenti differenti. Hanno stili diversi, strutture diverse, compagini strumentali diverse.
    Insomma sono quanto di meno omogeneo ci sia in qualsiasi altra raccolta bachiana.
    Sono innanzitutto polifonia pura, soli-e-tutti, ensemble, in alcuni parti solistiche esasperate. Anche musica consortile.
    Così ad orecchio, anche senza andare ad esaminare le partiture, quanto di più lontano ci sia dalla scrittura cameristica, da quella pianistica e da quella di un duetto pianistico in particolare.
    Eppure già nel 1905-1906 il grande "bachiano" Max Reger ne ha curato un arrangiamento ma forse riduzione sarebbe il termine più adatto, per due pianisti alla stessa tastiera, quindi per un duo a quattro mani.

    io ne conosco una versione edita da DG e pubblicata nel 1996 con il duo Trenkner-Speidel.
    La struttura dei sei concerti è mantenuta molto fedelmente. Ma in alcuni casi c'è uno sbilanciamento tra il primo e il secondo.
    Tanto che si resta in sospeso nell'ascolto, sebbene il risultato sia interessante.
    L'americana Eloenor Bindman che ha studiato per decenni questo maniscritto (oltre che tutta l'opera di Bach) ne ha tratto l'estro per un differente e più equilibrato (o ripartito) arrangiamento pubblicato l'anno scorso

    dall'etichetta Grand Piano.

    Eleonor Bindman
    Il riequilibrio è più evidente nei concerti più cameristici come il 3° e specialmente il 6°.
    Ma lascia più libero il primo nella parte virtuosistica del 5°, un concerto in cui il cembalo arriva a livelli che per altri 50 anni (con Mozart) difficilmente verranno superati.
    E se nel concerto con tromba è facile staccare lo strumento che suona in una gamma sonora tutta a sinistra, è tutt'altro discorso farlo quando in origine ha a disposizione tutta la tastiera.
    L'ascolto è molto interessante e si impara ancora qualche cosa da pagine conosciute a memoria.
    Il valore dell'originale non ne risulta intaccato, anzi, se due musicisti di epoche così distanti (da Bach e tra loro) hanno impegnato le loro energie per rivederne una versione ridotta al pianoforte, il senso delle opere ne risulta piuttosto accresciuto.
    Non che fosse strettamente necessario ma certamente è un'aggiunta importante alla già vastissima letteratura di trascrizioni e arrangiamenti della grande cattedrale tramandataci dal tempo per mano di quel gran genio di Bach.
  7. M&M

    Composizioni
    Il Burleske (la Burlesca nella nostra lingua) di Richard Strauss è un NON concerto per piaforte e orchestra.
    Nato come Scherzo per pianoforte e orchestra in Re minore nel 1885, fu considerato subito ineseguibile e messo da parte dall'autore stesso che all'epoca, ventunenne, guidava l'orchestra di Meiningen.
    Nel 1889 lo poté vedere Eugene d'Albert che propose alcune modifiche alla parte pianistica. In questa occasione ricevette il titolo di Burleske (farsa o beffa), dedicato allo stesso d'Albert che lo eseguì in prima assoluta nel 1890 ad Eisenach, città natale di Bach.
    Von Bulow non lo capiva ne parlava in questi termini con Johannes Brahms ("il Burleske di Strauss ha decisamente del genio ma per certi versi è terrificante") dopo averlo diretto a Berlino, sempre con d'Albert come solista nel 1891.
    Il giudizio di Bulow ha pesato sulla considerazione di Strauss stesso sulla composizione, tanto da ritardarne la pubblicazione che avvenne nel 1894 ma senza numero d'opera.
    Ma nel tempo diventò una delle sue composizioni preferite, tanto da includerla nel suo concerto finale di Londra nel 1947.
    La beffa o farsa e appunto, probabilmente il motivo dell'incomprensione del tradizionalista Bulow, è l'essere un concerto per pianoforte e orchestra non dichiarato, in un solo movimento ma internamente in quattro tempi.
    I - allegro vivace
    II - Tranquillo
    III - A tempo. Sostenuto.
    IV - Un poco animato. Quasi cadenza
    mai effettivamente dichiarati.
    La formazione orchestra prevede, oltre al pianoforte e agli archi, il piccolo, due flauti, due oboi, due clarinetti in Sib, due fagotti, quattro corni, due trombe e timpani.

    il frontespizio della partitura a stampa, con la dedica a Eugene d'Albert (1894)

    Richard Strauss e Alfred Blumen al concerto di Londra del 1947, pubblicato in CD nella serie Testament
    Dunque, cos'è il Burleske di Richard Strauss ?
    E' un concerto per pianoforte e orchestra che si sviluppa come una parodia del secondo concerto per pianoforte e orchestra di Johannes Brahms.
    Un omaggio scherzoso, ovviamente, per questo definito scherzo e poi burleske.
    Il parallelo con il concerto di Brahms c'è tutto, sia nella tessitura che nel calore complessivo. Ma anche nel rapporto tra il pianoforte e gli altri strumenti che diventano di volta in volta solisti, come i timpani che aprono e chiudono la composizione.
    Il materiale tematico, la cadenza, il virtuosismo estremo ma anche l'atmosfera calma e olimpica sono genuinamente brahmsiani.
    La prova sta nel pudding, ovviamente, lo stesso Strauss, poi in vecchiaia critico verso Brahms, nella sua giovinezza ne era invece un grandissimo estimatore che lui esprimeva come  Brahmsschwarmerei tanto da assistere alle prove del concerto della quarta sinfonia del grande amburghese.
    Ci stà tutto, ovviamente ma è e resta una composizione molto originale, brillantissima, ricchissima di materiale tematico e se anche lo sviluppo non è quello tipico del concerto per pianoforte romantico ha dato l'ispirazione a tutte le generazioni di successivi compositori che si sono misurati con il genere. Da Prokofiev fino a Britten.
    E' anche la musica del primo Strauss, iper-vigorosa, eroica, apollinea, non ancora pregna di tutta quella sovrastruttura allegorica dei poemi sinfonici e delle opere liriche.
    Il lirismo del Burleske va diritto al cuore e lo fa con toni riconciliatori, sebbene quella che il pianoforte intraprendere sia una battaglia totale con il resto dell'orchestra che schiera i timpani in prima battuta e poi tutti gli strumenti timbrici sostenuti dagli archi per dargli alla tastiera.
    Vince l'orchestra ma fino all'ultimo il pianista combatte in condizioni di parità suprema, lui da solo sovrastato da quattro corni e due trombe, oltre ai timpani, appunto e i bassi che segnano il destino.
    La sintesi, impossibile per loro due, tra il Brahms del secondo concerto e il Wagner della Walkiria ? Ecco, leggiamolo così.
    Composizione estremamente virtuosistica che non è stabilmente in repertorio oggi ma che lo è stata dei principali pianisti del nostro tempo che ne hanno dato letture, qualche volta controverse la cui misura viene immediatamente dalla durata complessiva del pezzo.
    Si va dai 18:30 della visione dell'ultimo Strauss (e forse nell'edizione del 1891 poteva essere anche più veloce ?) che abbiamo la fortuna di avere su disco.
    Ai quasi 26 minuti (!) dell'ultimo Trifonov che crede di suonare il suo Rachmaninov, passando per Glenn Gould che già mi sembrava bradipico 30 anni fa quando l'ho ascoltato la prima volta con i suoi 23:50 ai mediani 20 minuti delle tante edizioni disponibili.
    Nella mia collezione ne ho alcuni che vorrei commentare in chiusura di questo articolo nella speranza di aver incuriositi se non conoscevate bene questa grande composizione.

    Friedrich Gulda edizione SWR edito di recente
    Radio-Sinfonieorchester Stuttgart, diretta da Hans Muller-Kray
    Live del 10 gennaio 1962
    durata 19:33

    Friedrich Gulda, Orfeo 
    Wiener Philarmoniker diretti da Karl Bohm
    25 agosto 1957, Live dal Festival di Salisburgo
    durata 19:32
    ***
    C'è poca storia, difficilissimo se non impossibile eguagliare Gulda in queste interpretazioni.
    L'edizione del 1962 che preferisco è un continuo fuoco d'artificio che è, credo il modo giusto di vedere una burla che si risolve nel mostrare il proprio virtuosismo sia compositivo che tecnico.
    Strauss qui voleva crearsi una fama duratura nonostante Brahms e d'Albert e non è un caso che sia l'ultima cosa che ha diretto in vita.
    Retorica l'edizione con Bohm ma solista libero di andare sopra le righe e scapicollarsi tra le ottave.
    La registrazione (o il riversamento) dell'edizione SWR è nettamente meglio e più si addice a valorizzare l'assoluta performance di Gulda che, io credo, è valsa il prezzo del biglietto, anche se la davano per radio ... 

    esiste anche una edizione più anonima, con la London Symphony diretta da Anthony Collins nel 1967 che risolve il tutto in un tempo record di 18 minuti.
    Semplicemente incredibile se pensiamo alle letture successive.
    Eppure Gulda non si distoglie da una visione che va oltre la performance atletica, i temi romantici sono ben svolti e l'atmosfera complessiva mantenuta perfettamente.
    Insomma, non è una lettura "tirata via".
    Io faccio fatica a trovare di meglio di Gulda per il Burleske. Forse solo Strauss trentenne !

    in un certo senso allieva di Gulda (praticamente fu l'unica allieva di Gulda), Martha Argerich credo sia l'unica che si avvicina a questa lettura.
    Nel concerto di capod'anno del 1992 sotto la guida di Abbado in una tutt'altro che grandiosa registrazione Sony con i Berliner, a Berlino, la strepitosa Martha ripercorre le orme di Gulda alla sua maniera.
    Risolve l'intero lavoro in 18:44 ma anche qui i momenti lirici sono rispettatti solo che il tratto resta forte, impetuoso, senza un attimo di tregua.
    C'è la maggiore dolcezza che quando vuole (è raro, lo ammetto) anche Martha sa mettere nel suo tocco.
    Mi piace immensamente questa lettura, tanto che ho comprato due volte questo disco, perchè il primo l'avevo perso.
     
    Risale alle gioventù l'interpretazione di Helene Grimaud del Burleske di Strauss.
    Con una delle orchestre minori di Berlino, originariamente per Erato, alla direzione David Zinman.
    A tratti un pò didascalica, molto acerba, lontana dalla semplicità di tocco proverbiali, uniche di Gulda e della Argerich ma ricca di ardore giovanile e intrisa di romanticismo genuino.
    L'unica edizione che mi ricordo divisa nei quattro tempi. Dura nel complesso addirittura 21:50 e si capisce quanto sia ... femminile nella lettura.
    Dolce eppure ardita, con un fraseggio che permette persino all'orchestra di non apparire solamente un indispensabile oggetto dello sfondo.
    E' un peccato che non sia stata ripresa nell'ultima fase "sperimentale" della pianista francese. Io spero sempre che si riprenda.

    Byron Janis era la superstar degli States e sebbene subisse la ferrea presenza di Fritz Reiner in questa edizione appare in forma.
    Sono 20 minuti netti di performance molto maschia dove comunque la Chicago Symphony spesso prende il sopravvento.
    Il pianismo di Janis è comunque molto brillante anche se un pò di maniera con accenni di virtuosismo un pò istrionico che cerca di farsi spazio in un parterre un pò troppo veemente.
    Posso capirlo, non doveva essere facile essere Byron Janis quando c'erano sulla scena Horowitz e Rubinstein. Bisognava dimostrare di essere diversi.
    E qui Byron ce la mette tutta e ci riesce anche.
    Ma siamo lontani dai fuochi artificiali di cui sono capaci solo Gulda e la Argerich qui le pause servono a creare effetto ma ... fanno meno effetto dell'apparente inesauribilità del tocco dei due antagonisti.

    Pensando al Daniel Baremboim odierno che fatica a chiudere il colletto della camicia si fa fatica a pensare quanto sia stato brillante in gioventà anche prima di sposare la Dupré.
    Qui sembra che il suo grande amico Zubin Metha lo spinga e i Berliner producono un suono suadente ma preciso su cui il bravo Daniel ricama da par suo.
    Il disco se non vado errato è del 1987 e la durata complessiva è di 19:35 ma non si direbbe tanto è spedito nel suo incedere.

    Generalmente trascuro sempre Claudio Arrau nelle mie considerazioni, il bello di usare Qobuz come database principale me lo offre sempre disponibile ed eccolo qua.
    Molto lontano dagli ultimi anni di carriera - sono registrazioni degli anni '40 - qui è più vivace del solito.
    La registrazione originale viene da un nastro RCA VIctor del 1946 a Chicago e purtroppo è pessima in qualità e dinamica.
    Il pianoforte è in secondo piano e si sentono più che altro le frequenze medie.
     


    Questa è la storica registrazione dell'ultimo concerto di Richard Struass stesso a Londra nel 1947.
    Scelse nel programma il Burleske che tanto amava e scelse anche un pianista decisamente di secondo piano per assecondarlo.
    Il risultato probabilmente rispecchia la visione dell'autore, come è ovvio che sia, nei tempi e negli spazi (18 :30 di durata) ma con tutta la benevolenza del mondo, la registrazione viene da un nastro consumato e rumoroso con dinamica zero e il pianista sembra paperino alle prese con il pianoforte di Zio Paperone.
    Leggiamo comunque come Strauss avrebbe voluto dirigere ... Friedrich Gulda se lo avesse avuto sotto mano e non avesse temuto che prendesse il sopravvento.
    Lo prendiamo come riferimento.

    Recentissimo, uscito solo lo scorso autunno, questo bel disco tutto dedicato a Strauss da Chandos.
    Contiene tra le altre cose il Burleske per una lettura molto energica di Michael Mchale (chi era costui ?) con la BBC Symphony Orchestra diretta da Michael Collins.
    L'esecuzione è pienamente romantica, rotonda, sontuosa nei suoi 20:19, a tratti si vorrebbe il pianoforte un pò più in evidenza ma tant'è.
    Comunque tutto il disco è molto interessante e ve lo segnalo (anche per il concerto per violino con la solita splendida Tasmin Little).

    Chiudo con la delusione assoluta. Nel disco dedicato a Strauss da Mariss Jansons compare in chiusura Trifonov nel Burleske.
    La sua interpretazione richiama il Gould più pedante e nonostante tutti i suoi proverbiali sudori ... in ben 25:55 di rallentamenti nonostante l'energico intervento della Bayerischen con Jansons più in forma che mai (ascoltare lo Zarathustra se non ci credete), non infiamma, anzi.
    Peccato perchè è un'occasione sprecata. Ma Trifonov è un genio, probabilmente avrà ragione lui se impiega 8 minuti pieni più di Strauss stagionato.
    Nei commenti inserisco altre interpretazioni che non si trovano in disco.
    Estremamente interessante, ancorchè parziale, quella di Richter che ce lo mostra istrionico come non mi era mai capitato di vederlo. Uno spettacolo.
    C'è poi l'Argerich di cui abbiamo parlato, Emanuel Ax, il solito Matsuev con il suo ciuffo scolpito e infine il solito Gould versione rallenty.
    Spero di non avervi annoiato troppo, lo so che solo io ho il pallino di questo concertino fine secolo, che ci volete fare !
  8. M&M

    Recensioni : orchestrale
    La mia frequentazione con Mendelssohn è un affare abbastanza recente.
    Da ragazzo lo avevo sommariamente assimilato a Mozart per le doti di precocità e virtuosismo ma altrettanto vagamente superficiale.
    Avevo in mente le sinfonie giovanili, i concerti per pianoforte, le varie celebratissime Ouverture tematiche, la sinfonia "Italiana", la più nota tra noi probabilmente per la supposta "italianità" e per l'orecchiabilità del materiale tematico. E naturalmente il lamentoso concerto per violino.
    L'ho riscoperto ascoltando le Variazioni "Seriose" interpretate da grandi pianisti e i due oratori Elias e Paulus, tutte composizioni più tardi, se così possiamo dire di un autore morto nemmeno quarantenne.
    Così mi sono deciso ad approfondire ed ho scoperto che non ci sono pasti gratis, anche per Mendelssohn il manico (inteso come il "bastone" se parliamo di orchestra, l'interpretazione se parliamo di cameristica) conta tantissimo.
    E che per cento vivacissime e superficialissime sinfonie italiane , per 50 grotte di Fingal dove smarrire la strada, c'è anche un 2a Sinfonia che può anticipare echi mahleriani se letta da Abbado. O una quinta Sinfonia che anticipa l'ultimo Brahms se proposta da un direttore colto, sensibile e attento, che è cresciuto nello stesso humus in cui ha sviluppato la sua arte Felix Mendelssohn come John Eliot Gardiner.
    Per questo saluto come una delle grandi sorprese e benemerite imprese della discografia di questi anni il ciclo ripreso dalla London Symphony Orchestra, tramite la sua etichetta (che emette spesso, non sempre, ottimi SACD di grandi concerti offerti al suo fortunato pubblico) dedicato all'amburghese amico di Schumann e grande intellettuale, oltre che profondo conoscitore della musica antica e barocca tedesca.
    Non so se il ciclo sia da considerare concluso, in realtà non è un vero e proprio ciclo ma si è arricchito in questi mesi delle due ultime emissioni - la seconda sinfonia e il Sogno di una notte di mezza estate - e quindi ne parlo già.
    Segnalo che Gardiner ha registrato qualche anno fa anche il concerto per violino ed orchestra, accompagnando Viktoria Mullova.
    Mentre anni fa aveva già registrato Mendelssohn per la DG.
    Io sono un estimatore di Gardiner che considero il più luminoso degli "abati" dell'interpretazione filologica dopo Harnoncourt, so che non sono tutte dello stesso eccezionale livello le sue proposte, ma devo anche sottolineare come stia sistematicamente ritornando sui suoi passi per ridefinire e centrare in un contesto più concreto, più inciso, più terso e più umano, molti dei capolavori già a suo tempo registrati. Penso all'ultimo Magnificat di Bach, a tutto il corpus delle Cantate, alla Passione Secondo San Matteo, giusto per fare qualche esempio.
    In queste prove di Mendelssohn, oltre al collaudato rapporto con la London Symphony, partecipa il suo Monteverdi Choir e noti solisti (cito ad esempio Lucy Crowe, soprano esperta nel repertorio barocco, soprattutto handeliano).
    Guest star di eccezione, Schumann, con il concerto per pianoforte, interpretato da Maria Joao Pires.
    Ma sappiamo del legame fraterno che univa Robert a Felix.
    La qualità di queste registrazioni - per lo più live - è eccellente, con bassi profondi e archi setosi.
    Forse non in primissimo piano le voci nella seconda sinfonia, ma è una composizione complessa da registrare.
    Bellissimi invece quelle del Sogno shakesperiano.





  9. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Concerti per clavicembalo del XX secolo.
    Jory Vinikour, clavicembalo
    Chicago Philarmonic
    Scott Spech
    Cedille 2019, formato liquido 96/24
    ***
    Sembra una contraddizione in termini parlare di clavicembalo del 20° secolo quando siamo nel 21°.
    In fondo il clavicembalo è passato di moda nell'ultima parte del XVIII secolo ... ma non è mai scomparso. Tant'è che si continuano a costruire strumenti di qualità e tanta gente lo studia e lo suona.
    Perchè non comporre per il clavicembalo anche oggi ?
    E' una domanda retorica. Si può fare e si può fare benissimo, come dimostra questo disco che presenta tre concerti di autori a me del tutto sconosciuti, più uno per strumento amplificato di Michael Nyman.
    Walter Leigh è stato un compositore inglese della prima parte del secolo. Nato nel 1905, morì a Tobruk come soldato delle truppe corazzate inglesi durante l'ultima offensiva italo-tedesca in Nord Africa.
    Leigh ha studiato composizione a Cambridge con Paul Hindemith a fine anni '20 per poi dedicarsi alla composizione a tempo pieno.
    Il suo concertino per clavicembalo e orchestra d'archi è stato composto nel 1934 ed ha un struttura classica in tre movimenti.
    Anche l'articolazione è neoclassica, sia nella scelta del materiale tematico che nel dialogo tra solista ed orchestra.
    Ci sono anche degli accenni di cadenza nel primo e nel terzo movimento. Il terzo movimento è in effetti molto virtuosistico.
    Dura in tutto una decina di minuti e in esso si sentono influenze della musica inglese tradizionale del periodo.
    Registrato nel 1946 per la prima volta è stato nel repertorio di alcuni clavicembalisti inglesi (tra cui Trevor Pinnock).
    Decisamente più "moderno" il concertino per clavicembalo ed orchestra da camera di Ned Rorem che è del 1946 ma è rimasto praticamente sconosciuto.
    Deve avergli fatto piacere (Norem ha 95 anni compiuti e parla ancora del suo concerto) che un clavicembalista giovane come Vinikour lo abbia recuperato dal suo archivio alla Libreria del Congresso per portarlo in concerto e registrarlo.
    Ben più strutturato del concerto di Leighi - anche in termini di durata - presenta un dialogo tra il cembalo e i fiati ma il clavicembalo è l'assoluto protagonista della partitura anche qui con momenti di elevato virtuosismo. Per un compositore che nel 1946 aveva solo 23 anni è di notevole intensità.
    Il finale "presto" ha tratti umoristici con melodie che ricordano certe gighe celtiche.
    Viktor Kalabis ha sposato la cembalista ceka Zuzana Růžičková e le ha dedicato il concerto per clavicembalo e orchestra Op. 42, ovviamente interpretato dalla moglie nel 1977 (dovrebbe esserci una registrazione del 1980 della Supraphon).
    Pare che lei avesse chiesto qualche cosa di allegro ma - a dispetto delle indicazioni "allegro leggiero" e "allegro vivo" - la musica ha opposta impostazione. Pesante, anzichè "andante" il movimento centrale, porta ad un finale assolutamente hitchcockiano che ingenera certamente tensione.
    Nel complesso non è una composizione che mi attira particolarmente lo ammetto senza troppo timore.
    Il Concerto per clavicembalo amplificato ed archi di Michael Nyman è del 1995 ed è una composizione che a dispetto del minimalismo tipico del compositore inglese ha una complessisima tessitura che si basa sulle qualità del solista che deve reggere sei movimenti molto tesi per praticamente 21 minuti senza interruzioni.
    Le indicazioni di velocità sono al limite del folle e credo che veramente pochi solisti oggi siano in grado di interpretarlo per come è stato concepito.
    Piaccia o non piaccia.

    Ne risulta un disco decisamente in crescendo sia per l'interprete che per il solista che non credo possa essere in grado di esibirsi con tutto questo repertorio in un solo concerto. Ma le qualità di Jory Vinikour sono tali che il risultato appaia interessante anche per chi cerca di non discostarsi dal territorio noto e vuole il clavicembalo sostanzialmente al servizio della musica barocca o almeno, in musica moderna ma di impronta fondamentalmente neoclassica (parlo al personale ovviamente).
    Ve lo consegno come proposta decisamente alternativa al solito.
    Ineccepibile sul piano della registrazione e realizzazione.
  10. M&M
    Esiste l'effetto di un effetto ? Perchè non chiamare semplicemente una cosa con il suo nome ?
    Sfuocatura. Ovvero transizione morbida tra a fuoco e fuori fuoco.
    Il bokeh è quello che c'è nella zona di mezzo, tra ciò che è a fuoco e ciò che non lo è.
    Lo sfuocato è un'altra cosa. Lo sfondo sfuocato è un'altra cosa.
    Un effetto è qualche cosa che si ottiene artatamente, in genere dopo. Come le centinaia di effetti digitali che si creano in post-produzione nei video e nelle loro colonne sonore.
    L'effetto sfocatura sarà quindi questo : un'applicazione sostanzialmente "a comando" ad una cosa che sfocata non è.
    Una immagine sfuocata è un'altro paio di maniche e non è reversibile.
    La copertina di Obscured by Clouds è un esempio di sfocatura intenzionale
     

    e se ci fosse qualche cosa realmente a fuoco e non mossa, si potrebbe dire che c'è bokeh.
    Ma effetto bokeh è qualche cosa che va decisamente oltre la mia comprensione.
    Direste mai ad un parrucchiere alla moda che volete un effetto messy hair ?
    Dovrebbe ridervi dietro perchè messy hair significa proprio capelli con effetto scompigliato.
    Cosa diamine potrebbe essere un "effetto messy hair" ? Forse una scompigliatura che sembra ma nella realtà non lo è ?

  11. M&M
    Qualche tempo fa vi ho riportato che per la rete, il marchio Nikon è un marchio da boomer.

    Ovvero il preferito dei nati durante il boom delle nascite (1946-1964) seguente la fine della Seconda Guerra Mondiale.
    Che sia vero oppure no, quando un si dice circola sulla rete, finisce per essere ripetuto ed amplificato finché citazione, dopo citazione, viene certificato, asseverato e scolpito nell'immaginario collettivo.
    Non è finita qui, perché c'è un corollario.

    Per la rete, il tipico fotografo Nikon è un wildlife photographer di mezza età, affermato professionista oppure affermato professionista, fresco pensionato.
    Soprattutto con un reddito elevato.

    John Krampl, Ontario
    quest'uomo non cerca semplicemente la fotografia, cerca la sfida.
    Non esibisce la sua foto più bella, ma quella più faticosa o difficile che ha fatto in vita sua.
    Per questo partecipa a viaggi impegnativi ai confini del mondo (andrebbe anche nello spazio se fosse già possibile "a livello turistico").
    Si dota dell'attrezzatura più importante, non solo a livello fotografico ma anche come accessoristica

    un tipico fotonaturalista alla macchia con ogni possibile dotazione trasportabile
    e fa parte di un ristretto circolo internazionale in cui si conoscono tutti e tutti sanno dove è stato il tal tipo quest'anno, dove andrà la prossima volta

    Moose Peterson, decano dei wildphotographer statunitensi Nikon
    Insomma, è a metà strada tra un eroe e un pioniere, impegnato ad esplorare le sue potenzialità, prima ancora che quelle della fotografia.
    Per lo più solo, per cammini di decine e decine di miglia esposti alle condizioni climatiche più sfidanti.
    Ed è, attualmente, il tipo di cliente su cui conta Nikon per fare il suo conto economico, come dimostrato dall'enfasi data ai superteleobiettivi (non è finita, tenete da parte i risparmi perché nei prossimi anni usciranno ancora oggetti di tentazione nel campo delle focali lunghe). Si giustificano così i prezzi in espansione del corredo Nikon (fate una media ponderata [prezzo unitario]/[numero dei modelli Nikkor in catalogo] e avrete una cifra piuttosto elevata).
    Sembrerebbe peraltro un fenomeno che crea un certo tipo di imitazione, perché anche soggetti che nella vita sono persone tranquille e non frequentano campi di calcetto o di padel, hanno intrapreso invece nei week-end e nelle vacanze, percorsi di formazione in questa impegnativa disciplina, alla ricerca dell'ignoto, per andare là, dove non sono mai stati prima.
    ***
    Non leggete ironia in quello che ho scritto ma viva e sincera ammirazione. Io non potrei far parte di questa tendenza anche per questioni fisiche e di indole.
    Ma soprattutto, è per lo più grazie a loro - piuttosto che per i professionisti, oramai ridotti in miseria - che Nikon ci sta dando vere perle di super-teleobiettivi.
    Mentre, vi giuro posando la mano su una pila di manuali di manutenzione di reflex Nikon, che come per il boomer, anche questo "si dice" è realmente di tendenza sui social internazionali, non è oggetto della mia fantasia.
    Nikon è un marchio per boomer o X-Generation, danarosi impegnati nella fotografia naturalistica. Lo dice la rete 
  12. M&M
    Il giardino dei sospiri
    musiche di Benedetto Marcello, Leonardo Vinci, Francesco Gasparini, Domenico Sarri, Leonardo Leo e Friedrich Handel
    Magdalena Kozena, mezzosoprano
    Collegium 170 diretto da Vaclav Luks
    Pentatone 2019, formato 96/24
    ***
    Certamente molto gradito il ritorno all'originario barocco da parte della superstar Magdalena Kozena, terreno ben conosciuto da cui è partita la sua carriera venti e più anni fa.
    Ma se allora la sua dolce voce d'angelo incantava per levità e candore nella bellissima aria "Kommt, ihr angefochtnen Sünder" dalla cantata BWV 30 di Bach, tanto da essere una credibilissima Magdalena Bach nello spassoso video che la vede prestare la voce al discolo figlio che si finge malato

    oggi ad oltre 20 anni di distanza la Signora Rattle sembra un'altra cantante.
    E' sparito il timbro chiaro e angelico, pulito che mi ha fatto innamorare della sua parte nelle cantate pre-ciclo del pellegrinaggio di Gardiner e che ancora mi fanno lacrimare e rizzare i pori della nuca, sostituito purtroppo da un tono monocorde e a tratti isterico.
    Non me ne voglia Magdalena, le porto grandissimo rispetto, quasi amore, ma non può bastare la scelta del più ricercato repertorio barocco (e in questo nuovo disco abbiamo delle perle che meritano un ascolto ben più che causale) : servirebbe un sano riesame autocritico.
    Beninteso, la voce ancora ci sarebbe, anzi, è, se vogliamo, più potente. Ma è il tono che è tardo-ottocentesco ed impostato del tutto inadatto alla nostra musica a cavallo tra '600-'700. Tanto che si stenta a capire le parole.
    L'Arianna Abbandonata del grande Benedetto Marcello è una gemma spettacolare. L'aria "Come mai puoi" sembrava messa li apposta per riportare a casa Magdalena, e all'inizio sembrava pure.
    Ma ... Come mai puoi lasciarmi piangere ... solo perchè il tuo canto non mi commuove più ?
    Alla ripresa infatti, il tono si alza e si perde subito l'effetto. Diventa quasi un inno di battaglia, anzichè una supplica.
    Peccato perchè la musica è degna del miglior Handel. Già, è Bendetto Marcello.
    Nelle Ombre di Francesco Gasparini, purtroppo è impietoso il confronto con la recente registrazione della nostra Roberta Invernizzi.
    Che non solo si fa capire ma che modula la voce come purtroppo la Kozena non può o non sa più fare.
    Ma perfino Blandine Staskiewicz che di certo madrelingua non è, nello stesso brano è perfettamente chiara oltre che dinamica, frizzante, drammatica senza essere greve, nel disco del 2018 che con il titolo meno sognante di Oratorio concentra altrettanta buona musica italiana di inizio '700 e con un gusto di grande levatura che è però passato piuttosto inosservato dalla critica. Ve lo segnalo in luogo di quello oggetto di questa recensione :

     
    La nostra si riscatta con Leonardo Leo e il suo più leggero "or che da sol difesa", dove la sua articolazione diventa più flessibile e senza forzature.
    Forse ci voleva più tempo per riappropriarsi dello stile settecentesco ?
    Purtroppo invece non va meglio con l'Handel finale. Dopo l'Ouverture dell'Agrippina c'è la cantata dell'Handel "romano", "Qual ti riveggio, oh Dio"

    e. ahime, anche qui il confronto con la Milanesi è impietosto (ma anche la leggerezza e ricchezza armonica de La Risonanza di Bonizzoni se è per questo).
    Ci restano i fiori secchi. Incauto tributo ...

    qui con una Kozena invero un pò perplessa.

    comprendo le parole della Kozena nel libretto che si dice entusiasta di questo ritorno "come aprire la porta della casa dei nonni e risentire tutte le fragranze di un tempo". Ma avremmo gradito che si fosse sforzata di più di rendere anche noi partecipi di queste sue sensazioni.
    Perchè i fiori secchi non bastano.

    Per carità la parte strumentale sarebbe anche di buon livello. La scelta del repertorio intonata. Il disco non è da buttare.
    Ma non è una questione di rughe. E' proprio aver perso in larga parte le proprie radici originarie, una cosa che critico molto spesso anche al marito, che oggi è un personaggio del jet-set e non è più l'istrionico e spontaneo direttore di Birmingham con le bretelle e i riccioloni.
    Ma noi che abbiamo amato la giovane Magdalena restiamo in fedele attesa.
    In estrema sintesi, in catalogo c'è tanto altro ... di meglio, questo disco è da riservare ai fans della Kozena.
    Registrazione chiara e limpida come da costume Pentatone. La voce non è in evidenza e ciò probabilmente non aiuta gli equilibri complessivi, anche se la formazione strumentale è abbastanza ridotta numericamente.
    PS. forse sono stato un pò cattivo, lo ammetto. Ma non c'è critico più severo di un amante deluso ... eh qui sono più sospiri che giardini ...
    Segnalo comunque la presenza di note in italiano originali. Grazie Pentatone !
  13. M&M
    Nell'immaginario collettivo attuale, l'idea che abbiamo di Johannes Brahms è quella di un vecchio brontolone, con barba e baffoni quasi bianchi, vestito in modo molto trascurato con una palandrana informe e dei pantaloni che probabilmente non hanno mai visto un ferro da stiro.
    Nella realtà Brahms è morto in età non troppo avanzata (64 anni) e i suoi occhi lo dimostravano chiaramente

    personaggio molto scorbutico e complesso, con un gran caratteraccio e una attitudine sedentaria che insieme ad indubbi difetti anche di "gola" lo hanno portato ad una evidente "pinguedine"

    ben documentata sia dalle tante fotografie che ci sono arrivate che da caricature e ritratti artistici 



    Ma Johannes Brahms viene descritto da Schumann come un giovane magro, con la fronte alta e gli occhi freddi e penetranti da tedesco del nord.

     
    come lo vediamo in questo ritratto (colorato nel 2016) e in quest'altro datato all'incirca 1860

    ***
    Nel 1860 Johannes aveva 27 anni ed era già l'adulto che conosciamo per la maggior parte delle sue opere maggiori.
    I suoi ritratti - ma più ancora la sua musica - certamente ce lo fanno ben identificare.
    Ma le moderne tecniche di rendering 3D e la qualità degli artisti di oggi, che nel pur meno nobile strumento informatico non sono da meno dei pittori del passato (e di molti fotografi attuali) possono renderci un servizio ancora maggiore.
     
    Mi sono imbattuto in questo rendering che ho trovato di un realismo sorprendete. Ma non solo, estremamente vicino all'idea(le) che ho io del mio compositore preferito




    Ditemi voi che ne pensate.
    Ovviamente mentre ne scrivo sto ascoltando Johannes al pianoforte (nella realtà un album pianistico del direttore d'orchestra canadese Nézet-Séguin)
     
    Johannes Brahms (1860)
    Scolpito e strutturato in ZBrush
    Dipinto la mappa dei colori in Substance Painter
    Resi in Maya con Arnold
    Come parla del suo lavoro l'autore :
    "La metà del XIX secolo è stata l'epoca in cui la fotografia ha iniziato a diventare popolare in tutta Europa e i dipinti, le maschere di vita, … hanno iniziato a svanire. I dagherrotipi erano molto costosi e solo i ricchi potevano permetterselo, ma lo erano anche le maschere e i dipinti! Per fortuna ci sono molte fotografie di Brahms su internet, anche della sua adolescenza! Ho cercato di immaginarlo sulla trentina (intorno al 1860)."
    (c) Hadi Karimi
    Visitate il suo sito, troverete altri lavori straordinariamente impressionanti.
    Con buona pace di chi pensa che già la fotografia sia una operazione "meccanica" indegna di vera arte.
    Qui siamo ben oltre ... si riescono a ricreare le sembianze di persone non più fotografabili ma mantenendo un fotorealismo assolutamente attendibile.
     
  14. M&M
    Questo articolo non vuole essere critico, non si esprimono giudizi o considerazioni sulla validità delle scelte della società Fujifilm, né sui suoi prodotti.
    E' tanto politicamente .... scorretto da voler riportare solo i fatti.
    Fujifilm ha cominciato la sua attività nel 1934 con la produzione di pellicole fotografiche.
    Nel 1948 ad esse è stata affiancata quella delle fotocamere, con la Fujica Six.
    Nel 1982 ha introdotto sul mercato il Minilab, un sistema integrato per lo sviluppo e la stampa rapida dei negativi fotografici.
    Nel 1986 ha messo sul mercato la prima fotocamera a colori "usa e getta".
    Nel 1998 è entrata in commercio la prima Fujifilm Instax. Nel 2019 Fujifilm ha venduto 10 milioni di macchinette Instax, più dell'intero comparto mondiale delle fotocamere digitali in tutto il 2020.
    Oggi il gruppo Fujifilm fattura circa l'equivalente in Yen di 20 miliardi di dollari.
    Ma l'87% di questi non deriva da attività connesse con l'immagine.
    Delle tre divisioni di cui è composta, 17,4 miliardi di dollari di fatturato arrivano dalle due divisioni che si occupano di riproduzioni e di apparati medicali.
    I restanti 2.6 miliardi - che sono comunque una cifra ragguardevole - provengono dal settore film e fotocamere digitali.
    Ma di questi 1,8 miliardi sono vendite di Instax, circa 800 milioni di fotocamere digitali e obiettivi.
    In termini di marginalità, nel 2001 il comparto immagini portava il 54% degli utili, oggi solo il 9%. Il 65% del totale degli utili di Fujifilm è prodotto dalla divisione medicale che è quella dove Fujifilm sta investendo la gran parte delle sue risorse in termini di sviluppo.
    ***
    Questa è la premessa. Lo scorso aprile c'è stato un avvicendamento al vertice. Il nuovo CEO ha un cognome piuttosto comune in Giappone, Goto, ed è un uomo che lavora in Fujifilm da 40 anni, avendo fatto carriera partendo proprio dal settore pellicole a colori.

    intervistato dal Bloomberg ha confermato il refocusing totale del gruppo verso "l'assistenza sanitaria" mentre l'altro business in ascesa è quello indirizzato verso i produttori di semiconduttori (business2business non produzione diretta di microchip), settore maledettamente in crescita per la fame di microchip del mondo.
    Fujifilm in questo periodo pandemico ha sviluppato un farmaco antinfluenzale - Avigan - e vende reagenti per sviluppare i tamponi e kit per test rapidi Covid 19.
    Oltre naturalmente a tutto ciò che riguarda lastre radiografiche, sistemi di endoscopia, indagine e diagnosi medica, etc. etc.
    In questo settore sono stati investiti 1240 miliardi di Yen, con una buona parte destinati alla filiale statunitense all'interno di un piano che prevede investimenti per $11 miliardi nel corso del triennio.
    E il settore imaging ?
    Resta la terza gamba, quella che produce e rende di meno, la gran parte deriva ancora da strumenti connessi con la pellicola e da quelli destinati al cinema (ottiche cine ma c'è tutto il mondo della riproduzione dei contenuti video ad alta risoluzione che tira alla grande).
    Verrà mantenuta - non ne è prevista la vendita né lo scorporo - ma tenuta separata per visibilità e necessità contabili (Sony ha invece inserito la sua divisione imaging in quella più ampia dedicata all'elettronica di consumo destinata ai privati e allo svago cosicché adesso non si capisce se le fotocamere vendono più dei televisori o dei telefonini, o al viceversa).
    Continuerà per la sua strada finché farà profitti, ha un valore storico, sociale, di prestigio.
    Ma i veri soldi vanno altrove, dove si fanno i soldi veri.
    E' il segno dei tempi, non è una questione di partigianeria.
     
  15. M&M
    La settimana scorsa agli amici collegati via Zoom raccontavo la barzelletta dei mie tre modellini acquistati da un cinese di Shanghai il 2 di gennaio, dati per dispersi a metà febbraio, rimborsatimi dal venditore.
    Arrivati ... tassati dal postino per €3.88 il giorno 13 novembre, oltre 11 mesi dopo la spedizione.
    Eppure la cosa che non ci si aspettava a causa del Covid sta capitando e rasenta la follia.
    Non è che la merce non ci sia, è che in larga parte è in viaggio a causa della ripartenza sfasata delle attività produttive di tutto il mondo.
    Ritardi che si accumulano su ritardi, perchè se un fornitore ti manda un pezzo in ritardo, tu ritardi nel fornire il tuo fornitore e così via.
    I porti asiatici sono intasati in partenza, con code per caricare i container e i porti di arrivo occidentali sono intasati per scaricare.
    Il parossismo c'è nel porto di Long Beach, adiacente a Los Angeles e da cui passa il 40% della merce in arrivo negli Stati Uniti, comprese le fonderie di microchip del Texas.
    Una situazione satellitare aggiornata :

    mostra decine di porta container in taxing all'entrata del porto.
    Qui c'è un confronto tra pre-Covid e ottobre 2021

    e qualcuno si é fatto un giro su un motoscafo appena al largo

    fotografando situazioni tipo Sbarco in Normandia


    navi all'ancora da giorni che non sanno quando potranno entrare in porto.
    E in porto una situazione ancora più congestionata con gli autisti dei camion che devono prendere appuntamento per entrare e poi attendere il turno per caricare ed uscire

    con code da ora di punta in tangenziale.
    La questione è che il problema non accenna a diminuire, appunto perchè un ritardo ne genera un altro.
    E se mai dovessimo uscire dall'emergenza ... ci vorranno soluzioni straordinarie, tipo eliminare i controlli e impiegare il genio militare per svuotare le banchine.
    Ammesso che serva.
    Il risultato sui mercati è che manca tutto, anche cose di poco valore. Chi le ha in magazzino se le fa strapagare.
    Non ci sono previsioni per il riassortimento di nulla.
    Se cercate un hard-disk e non lo trovate o lo trovate al triplo del prezzo di 2 anni fa, probabilmente è perchè un carico di piattine da 1 centesimo l'una, è fermo su una nave al largo di Long Beach e finché non arriva allo stabilimento Western Digital, quelli non possono assemblare il resto dei pezzi ...
    Potenza della globalizzazione. Uno starnuto a Wuhan e a Conegliano mancano i tappi per imbottigliare il prosecco.
  16. M&M
    Premesso che Nikonland.it ha raggiunto il suo minimo di partecipazione e condivisione e confronto (cit. Bimatic) ad inizio 2023 e che io di conseguenza mi sono inkazzato come un canguro privato delle carote ...
    ci sono tre/cinque cose da metabolizzare e sono queste e spero di riuscire a trasmetterle :
    1
    Se non succede che :
     
    "So che pochi leggeranno questo editoriale. E che molti di questi faranno spallucce, pensando che non li riguardi.
    Bene, sappiano questi che un giorno l'edicola Nikonland.it chiuderà, è inevitabile.
    Evitarlo è possibile ? Si ma sta tutto a voi, iscritti e non iscritti.
    se non siete iscritti ma ci leggete assiduamente, iscrivetevi e lasciate un segno ci sono articoli/foto/Blog letti a decine di migliaia di volte ma con 3 like. Questi articoli/foto/blog dovrebbero avere 50-100-150 like e commenti, sia concordi che discordanti. Chi scrive sul nostro sito si nutre di riscontri, non può accontentarsi di aver scritto una cosa.
    Se non legge risposte, commenti, domande, like, la prossima volta sarà autorizzato a chiedersi "perché scrivere ancora ?" Nikonland Magazine è una forma di assicurazione sulla vita del sito. Sia in termini di backup - a termine sarà una traccia indelebile, stampata di quello che invece con un click potrebbe trasformare 17-20 anni della nostra storia in un pallido ricordo che si perderà tra i bit del web ... - sia di stimolo a tenere in vita anche tutta l'architettura che ci sta attorno. scrivete, pubblicate foto, fateci sentire che esistete e che tenete a questo sito, non una volta l'anno, tutte le volte che passate di qui non fate chiudere questo sito. Non fate chiudere Nikonland Magazine, comperate Nikonland Magazine tutti i mesi, altrimenti non mi vedrete più su queste pagine.
    Non pensiate che perché è gratis possa esistere per sempre e che possiate continuare a frequentarla senza mai pagare un biglietto.
    Non è così, non è mai stato così. Solo che sinora il biglietto lo abbiamo pagato noi, per voi. "
    PS : da tutti, non iscritti, iscritti, nikonlander, senior nikonlander, redattori e non redattori. Persino da Bimatic e Valerio Abbrustia !"
    il sottoscritto leva le tende e lascia sbiancare al sole come il teschio della proverbiale vacca nei giornaletti di Tex, Nikonland.it
    ... quindi a buon intenditor, nessun'altra parola
    2
    vacca miseria, la mia generazione ha fallito.
    Noi siamo siamo venuti al mondo con il mito di Marylin Monroe, di Raquel Welch e di Brigitte Bardot e cresciuti con Laura Antonelli, Edwige Fennec e la mamma di Alessandro Borghese.
    Con le riviste ci siamo masturbati e con i giornalini abbiamo imparato a leggere e a scrivere (o, almeno, io ho imparato a leggere ... leggendo Topolino prima ancora di andare a scuola).
    La mia generazione ha fallito cullandosi nel mito della disintermediazione.
    Dal tempo del lancio del primo telefonino, trenta anni fa, siamo diventati paperless per finta e ci siamo dimenticati che la fotografia è carta stampata bene.
    E con questo non abbiamo trasmesso ai nostri figli e nipoti il valore del valore che non muta nel tempo.
    Adesso per contrappasso ci becchiamo la "cancel culture", dove ci sono Achille, Anne Boleyn e Cleopatra interpretati da africani e si emendano i testi di classici di Shakespeare, Agatha Christie ed Ernest Hemingway perché non sono politicamente corretti.
    E stiamo tutti su un sito che da un momento all'altro potrebbe essere bannato da un accidenti come una leggina firmata Fonderlaien/Borrrell che vieta al privato di fare cultura o un incremento di tasse che rendano impossibile continuare a spesare Nikonland.
    O solo un accidente informatico che fulmini tutto quanto e l'impossibilità di utilizzare bakkap !
    Avete dato un'occhiata a Nikonland.eu ? E' vecchio solo di 6 anni (lo abbiamo lasciato per incompatibilità solo 6 anni fa e adesso è già quasi impraticabile).
    3
    Nikonland sul telefonino fa cagare. Ma fa cagare anche sul compiuter che mi spanna le foto cambiandone la risoluzione quando magari quella risoluzione non c'è.
    Io ho monitor 4K da 32 pollici e la maggior parte delle foto pubblicate fanno schifo.
    Eppure quando ricevo certe foto da certi fotografi per la rivista resto incantato. E non posso fare a meno di metterle tutte a due pagine, fanculo la mancanza di spazio.
     
    4
    ecco che Nikonland Magazine e Nikonland Review assumono un valore eversivo.
    Ben lungi da me l'idea di fare la transumanza da Nikonland.it a Nikonland Magazine, le due riviste diventano in uno :
    l'unico posto dove rendere giustizia alle fotografie migliori io mi sono stufato di pubblicare foto su pagine compresse, ingessate, impastate. E mi sono stufato di non ricevere i giusti meriti e credo che anche altri la pensino allo stesso modo ho il timore che tutto quanto un giorno o l'altro sparisca e quindi le riviste diventano il backup dove salvare - per sempre ! - il meglio di Nikonland anzi, andare anche oltre.
    Facendo, per quanto possiamo : CULTURA ! Ecco, potrei andare avanti per ore a parlare del valore di fare una rivista.
    Impostare il lavoro non per la fotina casuale, ma con l'obiettivo di essere pubblicato.
    Fotografare in modo avveduto e accorto con una finalizzazione.
    E ottenere come premio l'essere pubblicato.
    Avere tante riviste bellissime di fotografie bellissime che sul sito non sarebbero valorizzate che per un decimo del loro valore.
    Di ogni genere e tipo, non di un tipo solo, ovviamente.
    Ma con le fotografie in mezzo agli occhi e in testa.
    5
    nessun timore.
    Come spendere i propri soldi continuerebbe ad essere trattato con assoluta dovizia su Nikonland.
    E ogni articolo aridamente tecnico starebbe ben lontano da Nikonland Magazine.
    Mentre intanto Nikonland Review diventerebbe il recipiente di tutti i test - FOTOGRAFICI - pubblicati dal 2017 ad oggi su Nikonland.it, salvati per sempre ad imperitura memoria, su carta.
    Per tutti quelli che ne capiscano il valore ed abbiano piacere di sfogliarne le pagine, assaporarne il significato, farsi travolgere dalla passione che le hanno animate.

    Mostrarle agli altri orgogliosi : GUARDA, MI HANNO PUBBLICATO UN ARTICOLO/UNA FOTOGRAFIA.
    C'E' IL MIO NOME SULLA RIVISTA DEL MIO SITO !
    ECCHECCAZZO se uno non capisce queste cose, io ho sprecato 17 anni della mia vita e meriterei di essere decollato con una taglierina da ufficio ...

    la copertina del nuovo Segretissimo Mondadori. Su carta, ve lo giuro, è un'altra cosa. Viene voglia di mettere la mano là ... esattamente là in mezzo.
    Nikonland Magazine è lo stesso. Fa venire voglia di andare fuori a fotografare, e a fare fotografie degne di essere esibite, non dimenticate in una scheda di memoria da due soldi !
  17. M&M
    Confesso di essere un vero misantropo. Non per causa d'altri.
    Non è come per Alceste (il Misantropo di Moliere) che non crede negli uomini perchè é stato tradito.
    Sono proprio così. Uno dei giorni più tragici della mia vita è stato il 1° ottobre 1969, il primo giorno di scuola. Ricordo che non capivo cosa ci facessi là e perchè c'erano tutte quelle persone.
    Ma questa è un'altra storia, ne riparlerò magari in un altro blog quando finalmente terminerà definitivamente la scuola.
    Al contrario del mio rapporto con le persone (che non odio, ci mancherebbe, solo che per ogni minuto passato con persone fuori di casa mia, ho bisogno di passare un numero congruo di minuti al sicuro tra le mie cose).
    Dicevo che diversamente, il mio sodalizio con i cani è una cosa che trascende ogni considerazione. Va oltre le parole, oltre ciò che si può confessare. Nella realtà é un rapporto ineffabile.
    Sono sempre stati i miei veri amici, i miei compagni di ogni attività, ogni giorno, da che mi ricordo.
    Nove anni fa, era un momento difficile. C'era stato da pochissimo un passaggio generazionale in casa, molto doloroso e anche i cani di casa si avvicinavano al momento di godersi il meritato riposo.
    Arthur, il primo Jack Russell Terrier della mia vita, comprese fin dal primo momento che doveva cambiare le cose.
    Riempì la vita dei vecchi cani (che ci accompagnarono solo per pochi altri anni) costringendoli a tornare a giocare e anche delle persone, specie di mia madre, rimasta improvvisamente sola in casa per la prima volta in vita sua.

    Arthur modello, a sei mesi
    Arthur correva tutto il giorno. Giocava. Anzi, no, combatteva con le palle.
    Ne aveva una enorme collezione che teneva rigorosamente inventariata sotto il letto. Guai se gliene mancava una. Riusciva a ritrovarla in pochissimo tempo dopo aver rovistato ovunque, spostato porte, cuscini, smontato letti.
    In quel periodo lavoravo a Bologna e quando tornavo, al venerdì, impazzito di gioia saltava ovunque, inarrestabile, per manifestarmi quanto gli ero mancato.
    Dormiva sul mio petto quando io guardavo il Gran Premio. Anche quello del Giappone o dell'Australia di mattino presto.
    Abbaiava come un cane grande, riconoscendo se stava arrivando BRT o GLS (capirete il viavai di corrieri che c'è sempre in casa mia).
    Assalendo senza tema quelli neri, per i quali non ha avuto mai una grande confidenza. Non per razzismo, solo che non gli andavano troppo a genio, come al sottoscritto.
    Quando poteva, scappava dal cancelletto per andare dall'altro lato della strada a lasciare il suo segno, di monito ai tanti cani della via che si avventuravano con i padroni dalla nostra parte.
    Morto il vecchio terrier bianco a 16 anni,  il vecchio Fritz e il vecchio Sean non erano mai stati dei gran giocherelloni e lo guardavano seriosi.
    Così gli procurai altri due fratellini della sua taglia. Con i quali condivideva i giochi ma mai le sue palline. Anche quando quelli cercavano di rubargliele.
     
    Arthur insegna al suo piccolo amico Blakey, come si gioca, ma guaio se si prendeva una della sue palline !
    Ma è sempre stato lui il capo naturale. Quello che chiamava gli altri per uscire a giocare. O chiamava me quando era il momento di rientrare.
    Un capo, no, un vero Re, un Re bretone, che faceva onore al suo nome, o un re vichingo, indomabile, dal primo giorno in cui l'ho scelto a prima vista tra i suoi fratelli.
    Ad oggi.












     
    Indomabile anche nella difficoltà, quando un fa anno gli è stata diagnosticata una malattia incurabile.
    Con pazienza lo abbiamo accudito e lui ci ha ricambiato con una forza d'animo inimitabile, se non per un capo vichingo, pur sentendo che giorno dopo giorno gli mancavano le forze.
    Trascinandosi fino agli ultimi giorni, sempre con una pallina in bocca, anche a rischio di cadere a terra sfinito, per riprendere fiato.
    Abbiamo cercato di dargli almeno una parte dell'amore incondizionato che ha mostrato ogni giorno della sua vita per ognuno di noi.
    Di ricompensarlo per il ruolo guida e per averci aiutati ad andare avanti in momenti difficili, dandoci l'esempio delle cose che contano.
    11 pollici di altezza, 8 chili di peso. Ma la forza di un gigante.
    Ci ha lasciati oggi alle 13:08, avrebbe compiuto 9 anni il 24 di ottobre, dopo due settimane di infermità cui si è opposto con ogni fibra della sua sconfinata forza d'animo, nell'ultima battaglia, contro forze purtroppo soverchianti.
    Forse vi sembrerà retorico quello che sto scrivendo ma per la prima volta in vita mia, pur provando un dolore inconsolabile provo allo stesso tempo la stessa gioia che provava lui vedendomi tornare a casa dal lavoro.
    Ho sepolto decine di cani, ho sofferto ma oggi è veramente un giorno indimenticabile come lo è stata tutta la sua vita.
    Arthur, è stato un privilegio conoscerti e vivere con te. In tuo onore stanno suonando le fanfare della Royal Fireworks di Handel.
    Sono sicuro che dove sei ora sei già il capo.
    Conto di venirti a cercare quando sarà il momento. Aspettami.

    Arthur I, 24 ottobre 2009 - 30 settembre 2018. Il suo ultimo viaggio verso il regno degli eroi non poteva cominciare senza le sue palline preferite che certo non poteva lasciare incustodite.
  18. M&M

    Artisti
    Purtroppo di questi tempi tocca scrivere più necrologi che di nuove nascite. Siamo al culmine del cambio generazionale, purtroppo é così.
    Ci ha appena lasciati Nelson Freire, pianista brasiliano, interprete di rara umanità e sensibilità, formatosi in patria ma poi perfezionatosi alla scuola di Vienna con - tra gli altri - Friedrich Gulda, nella classe di Martha Argerich.
    Lascia grandissimi concerti e registrazioni strepitose che ci permetteranno di ricordarlo tutti i giorni (sto ascoltando il suo Bach mentre scrivo questo articolo).
    Qualche cosa che i pianisti di quella generazione non hanno trascurato ma che pare ai giovani contemporanei non interessi più, quasi come se il turbinio della vita quotidiana - tra aerei e jet-lag per dare concerti ogni tre giorni - sia la norma e non debba lasciare segni.
    Memorabili i suoi dischi con Chailly con la Gewandhausorchester


    ma in generale ogni pagina a cui si è accostato è degna di interesse per la sua visione nitida e umile.
      

     
    Grazie Maestro

     
     
  19. M&M
    una delle ultime registrazioni di Seiji con l'inossidabile Martha
     
    ***








     
    ***
    Con pochi anni meno di mio padre e gli stessi più di mia madre, ho sempre considerato una specie di zio esotico, il "giapponese" ma di fatto bostoniano, Seiji Ozawa.
    Praticamente appena diplomato, dopo una carriera da pianista interrotta da un incidente in una partita di rugby, vola negli USA con Charles Munch, diventa assistente di Bernstein a Boston, cui succederà alla guida della famosa Boston Symphony ininterrottamente dal 1973 al 2003.
    Autore di prime assolute, vincitore di una interminabile serie di premi, in contatto con i grandi e grandissimi, come Bernstein, per l'appunto, Karajan (Ozawa era membro onorario dei Berliner), Abbado che sostituirà alla guida della Wiener Staatsoper, eclettico, viscerale, appassionato, vitale, coinvolgente trascinatore di grandi orchestre.
    Mi è difficile immaginarlo come negli ultimi tempi, ridotto a muoversi a fatica, minuto e quasi filiforme.
    Per nostra fortuna lascia una sconfinata eredità discografica. E' un punto su cui dovrebbero riflettere le superstar della classica di oggi, troppo impegnate a fare tourné e workshop per fermarsi a registrare.
    Non si fa un CD per fare soldi oggi, si fa per permettere a chi non può raggiungerti in teatro di ascoltarti.
    Oggi, domani, per sempre.
    Una cosa che tutti gli allievi di Karajan hanno imparato frequentandolo.

    Non a caso la discografia di Ozawa è impossibile da riassumere.
    Dirò solo che comprende tutto e che ogni lettura è degna di nota.
    Ma soprattutto dove il colore, la passione e l'emozione, allora troviamo Seiji Ozawa, il piccolo, grande, trascinatore di orchestre in concerti leggendari.
     


     
  20. M&M

    Recensioni : violino
    Isabelle Faust : Solo
    violino solo (Jacobus Stainer 1658), harmonia mundi 20 ottobre 2023, formato 96/24, via Qobuz
    Registrato a Berlino nell'aprile 2020
    ***
    Matteis Jr, fantasia in la minore, Matteis Sr, Arie diverse per violino, Pisendel, sonata in la minore, Guillemain, Amusement pour le violon seul, Vilsmayr, partita n. 5, Biber, Passacaglia in Sol minore
    Inutile soffermarsi sul repertorio, quanto di meglio il periodo più fervido del barocco "all'italiana" offre per il violino solo senza accompagnamento di basso.
    Tra i due Matteis, padre e figlio, napoletani, e tre konzermeister di Salisburgo e di Dresda spunta un franzoso, discepolo di Leclair.
    Il violino suonato da Isabelle è uno Stainer, sudtirolese ma anche esso di scuola italiana (Amati), tra i più famosi liutai europei prima di Stradivari.
    E il suo suono chiaro contribuisce, insieme alla registrazione alla riuscita di un disco ricco, chiaro, senza indulgenze particolari che ostentino un virtuosismo che resta, come da abitudine per questa meravigliosa violinista, sempre essenziale e mai ostentato, quale che sia il repertorio, Biber o Berg.
    A me non sempre convince per una certa freddezza molto teutonica ma qui è inappuntabile, delicata e sensibile.
    La scelta della celeberrima e straordinariamente bella, Passacaglia di Biber per finale, è solo il coronamento di un disco molto personale, Registrato durante l'infausto e indimenticato periodo Covid.
    Ma non è da meno l'introduttiva fantasia di Matteis.
    Bel disco che vi trasmetto così, al primo ascolto di questa mattina (ma ne seguiranno tanti altri perché l'ho messo tra i preferiti).
  21. M&M

    Recensioni : violino
    12 Stradivari
    Brani di Autori Vari per pianoforte e violino interpretati con 12 differenti violini Stradivari
    Janine Jansen, violino
    Antonio Pappano, pianoforte
    Decca , 10 settembre 2021, formato HD, via Qobuz
    ***
    Lanciato ad inizio estate con tanta enfasi e preparazione con l'anticipazione - in un teaser - del video della sua realizzazione.
    E' finalmente uscito il 10 settembre il nuovo album di Janine Jansen, dopo una discreta assenza dalle sale di incisione (sei anni come rimarca un pò tristemente la stessa Decca).
    L'antefatto è l'eccezionale occasione della presenza contemporanea a Londra di 12 dei più straordinari, storici e ricchi di vita musicale violini Stradivari.
     

    Ma sinceramente per quanto io sia innamorato - artisticamente - della grandissima Janine Jansen, il disco sarebbe anche potuto uscire tutto dalle note di un violino qualsiasi.
    Io non noto differenze tra i brani e del resto sarebbe una cosa sovraumana nel tempo di un paio di giorni, comprendere di ognuno la sua essenza e tradurla nel breve spazio di un brano di qualche minuto.
    Sono violini che hanno forgiato la leggenda di grandi della musica come Nathan Milstein o Ida Handel senza dimenticare, ovviamente, persino Fritz Kreisler.
    Pur con la modestia che si può usare in una occasione del genere, certamente unica, la stessa Janine che a mio modesto modo di ... sentire è cambiata come dal giorno alla notte quando ha potuto comprendere bene il suo precedente violino - una cosa che l'ha impegnata per un paio di anni - vista con gli occhi del poi, è sicuramente una operazione priva di senso. Marketing puro.
    Purtroppo la scelta di un programma, vario ed articolato ma terribilmente salottiero e di occasione, credo che abbia ancora di più mortificato i 12 strumenti.
    E in fondo anche gli interpreti. Con Antonio Pappano, brillante come sempre, che rimane sullo sfondo nel frattempo.
    A margine la storia di Janine che intanto si è trasferita a Stoccolma per poter lavorare senza le restrizioni anti-pandemiche dell'Europa Continentale, si è ammalata ma fortunatamente è guarita giusto in tempo per volare a Londra e realizzare il progetto che, come capirete, aveva tempi stretti per l'eccezionalità degli strumenti impegnati. Pensate al loro valore complessivo e al valore della sola polizza assicurativa stipulata per l'occasione.
    Ma musicalmente mi resta l'amaro in bocca, né le ultime uscite barocche - disponibili su Youtube - di Janine me lo telgono.
    Fortuna che quando mi serve posso ammirarla nel concerto di Britten o in quello di Prokofiev ... registrati anni fa.
     
  22. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Prokofiev
    Concerto per Violino e Orchestra n. 2 in Sol minore, Op. 63
    Janine Jansen
    London Symphony Orchestra
    Vladimir Jurowsky
    Sonata per due violini in Do maggiore, Op. 56
    Janine Jansen, Boris Brovtsyn
    Sonata per violino e pianoforte in Fa minore, Op. 80, n.1
    Janine Jansen
    Itamar Golan
    Berlino e Londra, giugno 2012 - Decca
    ***
    Un programma tutto dedicato a Prokofiev per violino quello registrato da Janine Jansen nel 2012 per Decca:
    Se il concerto per violino e orchestra è stabilmente nel suo repertorio, lo è più di rado la sonata per violino e pianoforte.
    E' rarissima la sonata per due violini.
    Si tratta di composizioni che segnano la transizione dell'ultimo periodo compositivo di Prokofiev, giusto sul finire del suo periodo errante per l'Europa, quale esule volontario lontano da casa e poi di ritorno nella madrepatria Russia.
    E' ben chiaro nella struttura del programma e ben evidenziato dagli interpreti.
    Pieno di reminiscenze dello stesso materiale di Romeo e Giulietta (gli appunti nel taccuino dell'autore di quel periodo riportano frammenti di temi comuni, sia al concerto che alla sonata per due violini, e al balletto cui stava lavorando per la scrittura ottenuta dal Bolshoi) il concerto è tra le pagine più liriche scritte da Prokofiev. Si sente nostalgia per la patria insieme ad un forte orgoglio nazionale per l'uso di materiale tematico di origine popolare.
    In realtà nato su richiesta di uno dei due componenti del duo di violinisti che fecero la prima della sonata per due violini - Robert Soesens - che gli chiese un concerto per violino a lui dedicato che in qualche modo facesse il paio con quello che Stravinsky aveva appena scritto per il suo partner nella sonata, Dushkin.
    La rivalità personale e professionale tra Prokofiev e Stravinsky era tanto accesa che Prokofiev non si fece pregare, pur a costo di scrivere buona parte della orchestra durante il tour in giro per l'Europa in cui accompagnava i due musicisti. Nel secondo movimento del concerto ci sono anche richiami evidenti a Petrushka.

    Vladimir Jurovsky, alla testa della London Symphony Orchestra, è tra i più accreditati interpreti di Prokofiev.
    Di recente ha accompagnato anche Patrizia Kopatchinskaya nel Secondo Concerto di Prokofiev.
    La struttura musicale é impostata alla semplicità con cui Prokofiev scriveva la sua musica in quel periodo. L'orchestra stessa è molto leggera.
    La musica frizzante.
    Probabilmente in previsione della prima, fissata a Madrid (siamo nel 1935), sono stati aggiunti effetti ritmici (nacchere) spagnoleggianti.
    Il tema principale del terzo movimento in effetti ricorda qualche genere di danza spagnola, almeno nella sua espressione generale.
    Il violino è accompagnato anche nelle  sue evoluzioni da rullanti e percussioni che ne rendono le sue ossessive volute ancora più decise.
    Il concerto stesso si chiude con un accordo secco, come molti movimenti del Romeo o Giulietta.
    Di carattere molto più intimo la sonata per due violini, certamente non intonata al do maggiore come potrebbe sembrare.
    Di una difficoltà tecnica inutile da sottolineare.
    E' singolare ricordare come Prokofiev stesso pensasse alla struttura di una sonata per due violini come molto difficile da rendere ascoltabile senza essere stancante. Un massimo di 10-12 minuti pensava lui : non potevano esserne tollerati in più.
     

    Boris Brovtsyn, suona alla pari con la Jansen nella complessa struttura della sonata per due violini
    La sonata per due violini è del 1932 ed è l'apoteosi del virtuosismo formale.
    Di grande impatto lirico e di un rutilante fervore il concerto, completato e rappresentato in pochi mesi nel 1935, prima del ritorno in Russia dell'autore e della su famiglia.
    La sonata per violino e pianoforte viene più volte accantonata per far posto ad altre composizioni, sebbene anche in questo caso si trovino tra gli appunti accenni precedenti, fin dal 1938, in pieno terrore staliniano. Ma viene completata solo nel 1946.
    Dopo un periodo particolarmente scuro della vita di Prokofiev, segnato dall'ostilità del regime, dall'arresto di amici e colleghi, compresa la ex-moglie accusata di spionaggio.
    E poi la guerra e le sue tragedie.

    Janine Janse e Itamar Golan, interpreti della sonata per violino e pianoforte, sono sovente insieme in recital cameristici
    Eppure, nella sua fosca, scura, lenta costruzione è di una bellezza senza pari.
    Ricorda, non a caso, la musica da camera di Shostakovich dello stesso periodo. Segnata e dolorosa eppure in un certo senso, liberatoria, come una sorta di rifugio. Con passaggi fortemente drammatici, sottolineati dalla percussività con cui vengono suonati i due strumenti.
    Questa sonata fu rappresentata il 23 ottobre del 1946 da David Oistrakh e da Lev Oborin.
    Il primo e il quarto movimento, vennero suonati da Oistrakh stesso al funerale di Prokofiev, nel 1953.
    Durante la prima, Prokofiev insistette perchè i passaggi più aspri fossero condotti nel modo più aggressivo possibile.

    Janine Jansens durante le registrazioni del concerto di Prokofiev
     
    Per tutto il disco il tono deciso e al tempo stesso sensuale dello Stradivari 1727 di Janine Jansen è il protagonista.
    Senza mai indulgere nel mieloso o nel melanconico, con un vibrato limitato al minimo, è protagonista di alcune delle più intense pagine scritte da uno dei grandi musicisti del '900.
     

    Dal libretto Decca (con tutti i credits del caso)
    devo ammettere che non posso fare a meno di lacrimare di commozione durante i primi passaggi dell'andante del Concerto per Violino.
    Ma la forza con cui conduce il terzo, effervescente movimento è sensazionale e mi rimette subito in riga.
    La Jansen è realmente uno dei violinisti più influenti della sua generazione. Qualche volta appare distaccata ma il suo suono non è mai freddo, forse aggressivo. Questione di temperamento.
    In conclusione, perchè mi sto attardando, questo è un disco affascinante dalla prima all'ultima nota.
    Un pò formale la sonata per due violini ma certamente il mezzo per dimostrare la profondità e la padronanza dello strumento sia dell'autore che degli esecutori, non certo adatta a momenti di depressione la sonata per violino e pianoforte che raccomanderei di prendere con la dovuta cautela "leggendo bene le modalità d'uso", mentre il concerto è certamente tra le mie pagine preferite della letteratura per violino e orchestra.
    All'altezza tutti, non solo la Jansen. Jurovsky asseconda la solista con la giusta disinvoltura senza far mai calare la tensione, Brovtsyn è sorprendete, Itamar Golan virile quanto serve.
    Un disco che consiglio senza riserve.
    Ma in ogni caso, se lo ascoltate tutto d'un fiato come ho fatto io adesso, al termine della sonata per violino e pianoforte, per rinfrancarvi,  riascoltate l'Andante Assai del concerto per violino.
    Tenete gli occhi ben chiusi e lasciatevi andare a seguire con il busto, le spalle e la testa il canto della Jansen. Sarete immediatamentetrasportati sotto al balcone di Giulietta. Anche se Romeo ancora non lo sa  


  23. M&M
    "E' una rivoluzione e tanto mi basterebbe.
    Concludendo è uno dei pochi Nikkor degli ultimi 10 anni (mi vengono in mente insieme a questo il 14-24/2.8 e il 200-400/4 VR)  in grado di ricordarci che Nikon una volta era Nikon ...
    L'ho comperato al volo e lo sto usando spessissimo nel ritratto che a 300 mm ha i suoi perchè.
    Confido di esplorarne ulteriormente ogni piccolo segreto prossimamente.
    Anche per la foto spensierata, hai un 300 mm nitidissimo pronto da prendere senza pensieri.
     
    Una rivoluzione che speriamo Nikon continuerà con altri obiettivi PF compatti di focali molto più lunghe.
    Un 600/5.6E PF sarebbe realmente uno strumento di primordine se non più pesante di un chilo  ... "
     
    "[...] Sono andato a fare queste foto portandomi il solo 500mm carico di aspettative e un pò di timore di esserne deluso.
    Generalmente porto sempre anche il 70-200/2.8 per i panning più "coraggiosi", ma oggi ho deciso di lasciarlo a casa per andare il più leggero possibile.
    Mi sono ritrovato a fare panning a mano libera a 700mm ad 1/125'' e non a 175mm.
    Ottenendo foto eccellenti sotto ogni profilo.
    E senza caricarmi la schiena come un asino.
    [...] una vera gioia da usare è un reale game-changer [...]
    Potrei fotografare tutto il giorno (oggi in 2 ore ho fatto 5800 scatti in totale scioltezza) senza stancarmi. E il giorno dopo essere pronto per un'altra giornata uguale.
    Diversamente da quando torno stanco per essermi portato sulle spalle uno zainone, sotto il sole ...
    Se siete soliti fare questo genere di foto, datemi retta : abbandonate i vostri super-zoom, onesti ma che nulla hanno a che spartire con un vero superteleobiettivo come questo, magari fate un debito e comperatevi questo bellissimo 500/5.6 Phase Fresnel.
    I sorrisi (di gioia e di soddisfazione) che vi strapperanno le vostre foto, vi ripagheranno dello sforzo economico, invero elevato, necessario per comperarlo.
    Ma è l'unico sul mercato, è per Nikon, è disponibile oggi. Non fatevi scappare l'occasione e non perdete tempo con altre soluzioni (anche se avete già un 500 o un 600/4 !).
    "
    "[...] in pratica è come se Nikon avesse ridotto in scala il fantastico Nikon 200mm F2.
    Utilizzarlo dalla minima distanza di messa a fuoco e sfruttando lo stop di vantaggio - al netto della differente compressione dei piani - le immagini sono molto simili. 
    Certo, il 200mm ha un autofocus impareggiabile. Ma è anche un enorme trombone che mette in soggezione anche la professionista più navigata.
    Questo obiettivo passa inosservato e sta in borsa senza problemi. 
    Costa. Ma costa molto di meno. 
    Ma la caratteristica più esaltante secondo me è quel carattere che altri obiettivi non possiedono.
    Volumi e forme con questo 105mm sono resi con un timbro e una firma che rendono l'immagine unica, irreale, quasi magica, quando si inquadra il soggetto a tutta apertura e da una distanza molto ravvicinata.
      
    Il Nikon 105mm F14E ha un'anima. Qualche cosa che negli ultimi anni i progettisti si sono dimenticati di aggiungere nei loro progetti più prestigiosi. Troppo impegnati a raggiungere la linea ideale del grafico MTF. 
    Qualcuno starà già pensando che mi sono innamorato. E che il mio amore è cieco. Può essere. Ma da quando l'amore è un delitto ? 
    Se siete ancora capaci di innamorarvi dei vostri soggetti provatelo, capirete cosa sto dicendo e tanti discorsi diventeranno di lana caprina. 
    Altrimenti lasciate perdere. Questo obiettivo non è per voi, lasciatelo a chi lo sa comprendere e, soprattutto, usare nelle circostanze in cui può fare la differenza."
     
    "Nikon ci ha fatto aspettare anni per rinnovare uno dei pezzi forti del corredo.
    Ed uno dei due obiettivi (l'altro è lo zoom wide) che in genere si vanno a comperare per estendere il proprio corredo.
    Lo fa in questa estate 2017 con un oggetto decisamente degno di nota, proposto ad un prezzo concorrenziale e soprattutto meno impegnativo dei pur più pregiati Nikon 70-200.
    Anche la messa a fuoco che temevo potesse essere il punto debole, non fa rimpiangere i motori tradizionali ad ultrasuoni. Anzi, in Live-view, la prestazione è decisamente migliore.
    Unico appunto che riesco a trovare è una vignettatura sempre un pò troppo presente (ma facile da eliminare in sviluppo, anche automaticamente) e uno sfuocato piuttosto ordinario.
    Ma sappiamo che il corredo Nikon offre macchine in grado di accontentare anche chi dovesse trovarsi limitato in questo.
    Mentre oggi, sul mercato, ci sono veramente pochissime alternative a questo nuovo Nikon AF-P 70-300mm f/4.5-5.6E, così compatte e prestazionali."
     
     
    "Questo signore invece va incontro alle mie esigenze e alle mie aspettative.
    Così, sempre ad occhio e non con rilevazioni strumentali, posso affermare per prove di fatto che questo nuovo zoom riporta in alto l'asticella e con rare eccezioni (il nuovo Nikon 105/1.4E, il Sigma 85/1.4 Art, lo Zeiss 2/135) supera ogni zoom ed ogni fisso nel suo range di focali. 
    Immagino che sia stato progettato con i prossimi sensori ad altissima risoluzione (che non vedo l'ora di provare).
     
    Tanto da farmi domandare tra me e me : ma chi ha più bisogno dei fissi ?

    E peraltro colma un buco che in questi anni ho dovuto riempire acquistando tanti obiettivi non esattamente adatti allo scopo (fissi macro Sigma, fantastici ma ... macro e lenti, oppure fissi manual focus come lo Zeiss 2/135, il miglior obiettivo del mondo, secondo me ma comunque un obiettivo che per me non ha una valenza pratica assoluta) spendendo dei gran dollaroni. 
    Questo invece è probabilmente lo strumento definitivo per tutti i miei utilizzi più frequenti. 
    Ha prestazioni di livello eccezionale (sebbene non straordinarie come il Nikon 105/1.4E o il Sigma 85/1.4 Art, che però batte per flessibilità, autofocus e presenza dello stabilizzatore) ed è pure ogni-tempo. 
    Temo proprio che per sostituirlo dovrò arrivare a consumarlo a via d'uso. 
    Rispondo quindi alla domanda più frequente che credo riceverà il proprietario di questo nuovo Zoom Nikkor : vale la pena di sostituire la/le precedenti versioni ?
    In una parola si. Se il 70-200/2.8 è il vostro obiettivo di elezione, mettete mano al portafogli e compratevi questo. Ogni foto che farete vi ricompenserà della spesa."
     
     
    "in poche parole è bellissimo ed insostituibile. Anzi, sostituisce in un botto solo 85, 105, 135, 180 e 200mm se non li avete (e visto che in catalogo i Nikkor Z sono per ora limitatissimi questo costituisce da solo un intero corredo)
    l'obiettivo perfetto esiste, è questo. Se ha difetti sono impercettibili - lo sfuocato è sensazionale - la nitidezza è sensazionale - non ha distorsione - non ha aberrazione cromatica - è veloce, silenzioso, è "quasi" parfocal nel video è imbattibile in casa Nikon - esce con una coppia di teleconverter che si preannunciano "micidiali" ."
    e potrei continuare. Ma lo farò con gli articoli futuri, sempre guardando avanti, non indietro.
  24. M&M

    Recensioni : clavicembalo
    musiche di Bach e trascrizioni da originali di Bach.
    Suite per Liuto BWV 997
    Suite per flauto solo BWV 1013
    Sonata n. 2 per Violino Solo BWV 1003 (trascr. W.F. Bach)
    Chaconne per violino solo dalla partita BWV 1004
    Un movimento dalla sonata per violino BWV 1005 (trascr. W.F. Bach) e uno dalla suite per violoncello solo BWV 1007
    Concerto in stile Italiano BWV 971 per clavicembalo
    Erato, 2014

    Jean Rondeau con il suo clavicembalo nel suo studio
    Un clavicembalista nel 21° secolo/III millennio è già una rarità. Lo è ancora di più uno giovane che ammette di essersi innamorato dello strumento sentendolo alla radio (!).
    Questa proposta Erato, registrazione del 2014, disponibile dal 2015, è la prima prova discografica del giovane clavicembalista francese Jean Rondeau che non si presenta semplicemente con un programma di musiche bachiane ma propone delle trascrizioni personali, originali e abbastanza inusuali.
    Il clavicembalo è uno strumento moderno tedesco a due manuali con un suono aperto e dolce, purtroppo registrato con i microfoni un pò troppo vicini, cosa che ha creato un eccessivo riverbero. Ma nulla di inascoltabile, se pensiamo a certe cose proposte per il piaforte che ha certamente una dinamica più ostica da catturare.
    Rondeau ha uno stile pulito, senza troppi ornamenti, tende a suonare privilegiando tempi lenti e ritmicamente non si divora le partiture.
    L'unico brano realmente pensato da Bach per il clavicembalo, il concerto in stile italiano, non è una composizione banale e spesso i tastieristi non lo affrontano con il giusto piglio.
    Se mi trova concorde la maniera in cui viene reso il primo movimento, sfruttando le due tastiere per simulare il tutti e il solo, senza mai indulgiare in asprezze e in eccessi di manierismo, è un filo troppo lento per i miei gusti il finale, avendo a mente il classico concerto all'italiana del periodo che fa dell'allegro vivace il pezzo forte con cui lasciare il pubblico nell'attesa del successivo brano.
    Purtroppo il vero debole è il movimento lento. Non è di difficile esecuzione - io stesso lo strimpellavo adeguatamente ai miei tempi - ma richiede all'esecutore una sorta di iato, dovendo all'unisono eseguire con la sinistra un basso continuo completo, piuttosto monotono, mentre con la destra esegue la parte principale - idealmente affidata ad un violino o ad un oboe - molto cantabile.
    Il risultato - spesso - è inadeguato, perchè si finisce per rendere tutto il pezzo - in verità lunghetto - monotono, senza riuscire a staccare le due parti.
    E' questo il caso e raccomanderei a Rondea di riprovarci tra qualche anno.
    Andando invece ai brani trascritti (nella realtà ci viene detto che la Chaconne e la trscrizione della trascrizione di Brahms per la sola mano sinistra, una cosa che ovviamente non ha nulla a che vedere con Busoni, che pure è uno dei pochi brahmsiani doc della storia !), direi che l'esperienza è molto interessante, anche se i risultati non sono sempre dello stesso livello.
    Si apprezza la suite per luito, la cui trascrizione è molto fedele all'originale, aiutata dalla scrittura di Bach che pone grandi difficioltà al liutista nell'inventarsi una impossibile polifonia, resa invece più "semplice" dal clavicemblalo.
    Rondeau interpreta con sensibilità molto francese la suite e il risultato è godibile.
    Appare invece decisamente contorta quella per flauto. La trascrizione a mio giudizio impone troppi orpelli, rendendo una sovrastruttura che in origine non c'era. Il risultato è una composizione del tutto differente che in alcuni casi, ascoltandola mi fa chiedere : ma cosa sta suonando ? Questo non è Bach !
    Merito - o demerito - delle incursioni jazzistiche del cembalista che pure qui è solo interprete 
    Probabilmente non sarebbe così per chi non abbia mai ascoltato la suite al flauto.
    Buone le cose per violino, splendida la Chaconne. Anche in questa - straordinaria - opera d'arte, Rondeau ci mette tutta la sua sensibilità per non indulgere in certe ossessive visioni drammatiche. C'è musica qui, non necessariamente la caduta degli Dei.
    Del brano dalla suite per violoncello, oserei dire "Provaci ancora Sam", nel senso che forse, qualche cosa del genere in più al posto del Concerto in Stile Italiano, avrebbe reso il disco più interessante di quanto non sia.
    Mi viene da pensare che per lo stile leggero di Rondeau (ne ho le prove con il suo recente disco dedicato ad autori francesi) sia più appropriato l'approccio per singoli brani che per intere composizioni.
    Ma, lo ripeto, per un disco di esordio, una valutazione ben più che soddisfacente.
    Visto poi, già lo possiamo fare, avendo ascoltato anche le successive prove di Rondeau, sempre per la Erato, che siamo di fronte certamente ad uno dei più interessanti strumentisti dell'ultimo periodo.
    Sapendo che adesso ha in repertorio le Variazioni Goldberg ed avendone ascoltato qualche frammento su Youtube, debbo ammettere che attendo con trepidante curiosità un suo eventuale riversamento in sala di registrazione.
    In sintesi, un disco interessante che consiglio agli amanti di Bach, più che a quelli del cembalo (ma quanti ce ne saranno in Italia oltre me ?)
    Concludo solo puntando l'indice sulla copertina, dove c'è il ritratto del povero Jean che sembra in preda ad allucinazioni, con una posa del tutto improponibile e con una lampada a basso consumo che scende dal muro e non si capisce perchè ?
    Ma perchè ?

    per fortuna si sono riscattati con questo bel sorriso sul retro del cd !
  25. M&M
    Jeanloup Sieff - La grazia del bianco e nero
    "Il denominatore comune di tutte le foto é sempre il tempo, il tempo che scivola via tra le dita, fra gli occhi, il tempo delle cose, della gente, il tempo delle luci e delle emozioni, un tempo che non sarà mai più lo stesso" (J. Sieff).
     

    autoritratto

    Note biografiche

    Nasce a Parigi nel 1933, da genitori di origine polacca.
    Inizia a fotografare all'età di 14 anni con una macchina fotografica ricevuta in regalo per il suo compleanno. Studia fotografia a l'Ecole de Vevey in Svizzera per poi seguire una breve formazione di giornalismo.
    1950 pubblica la sua prima fotografia per Photo - Revue.
    1954 inizia a lavorare come freelance per Elle e nel 1955 come reporter.
    1958 spinto dal desiderio di cambiamento, lascia Elle per una breve esperienza come reporter all'Agenzia Magnum, per la quale realizza un servizio su uno sciopero di minatori in Belgio che gli varrà il Prix Niepce, 1959.
    1959 lascia l'agenzia Magnum.
    1961 si trasferisce a New York dove vivrà fino al 1966.
    1966 rientra a Parigi e lavora per diverse testate (Jardin de Mode, Vogue, Harper's Bazar, Paris-Match, Femme, Photo-) mentre le sue fotografie vengono esposte in prestigiose mostre in tutto il mondo.
    1974 inizia la stesura di un romanzo che rimarrà incompiuto.
    1981 nominato Chevalier des Arts et Lettres a Parigi.
    1990 nominato Chevalier de la Le'gion d'Honneur a Parigi.
    1992 vince il Grand Prix National de la photographie francese.
    1994 vince il Grand Prix della Biennale di Nancy, Francia.
    2000 muore a Parigi all'età di 67 anni.

     


    RITRATTI IN STUDIO

     









    l'elenco dei ritratti fatti nel tempo da Jeanloup Sieff è semplicemente interminabile :

    Anouck Aim'e, Azzedine Ala'a, Louis Armstrong, Fanny Ardant, Gae Aulenti, Jacqueline Auriol, Daniel Auteuil, Richard Avedon, Charles Aznavour, Edouard Balladur, Francois-Marie Bannier, Monica Bellucci , Marisa Berenson, Pierre Bergé, Bertha et Edwige Brigitte Bardot, Mijanou Bardot, Raymond Barre, Jean-Dominique Bauby, Maurice Béjart, Jane Birkin,Gìrad Blain, Marc Bohan, Sandrine Bonnaire, Pierre-André Boutang, Jean-Claude Brialy, Christian Bourgois, Carla Bruni, Sergueé Bubka, Capucci, Pierre Cardin, Carolyn Carlson, Amira Casar, Laetitia Casta, Nino Cerruti, César, Claude Chabrol, Géraldine Chaplin, Bernadette Chirac ,Jacques Chirac, Chou En-lai, Julien Clerc, Coluche, Régine Crespin, Alain Cuny, Jules Dassin, Catherine Deneuve, Gérard Depardieu, Jacques Doillon, Robert Doisneau, Kirk Douglas, Julie Driscoll, Annie Duperey, Patrick Dupond, Mia Farrow, Gianfranco Ferré, Marco Ferrer, Jean-Michel Folon, Suzanne Flon, Jane Fonda, Régis Franc, Claude Francois, Inés de la Fressange
    Charlotte Gainsbourg, Serge Gainsbourg, France Gall, Romain Gary, Thalita Getty, Annie Girardot, Hubert de Givenchy, Ivry Gitlis, André Glucksmann, Jean-Luc Godard, Sylvie Guillem, La troupe de Hair, Johnny Hallyday, Howard Hawks, Robert Hirsch, Alfred Hitchcock, Hiro, Isabelle Huppert, Aldous Huxley, Zizi Jeanmaire, Lionel Jospin, Denise Klossowski, Pierre Klossowski, Christian Lacroix, Bernadette Lafont, Karl Lagerfeld, Merryl Lanvin, Guy Laroche, Jacques Henri Lartigue, Maxime Le Forestier, Nicolas Leriche, Pierre Lescure, Bianca Li, Serge Lifar, Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Peter Lorre, Antonella Lualdi, Fabrice Lucchini, Shirley Mc Laine, Sophie Marceau, Jeanne Mas, Chiara Mastroianni, Marcello Mastroianni, Ali McGrawm, Liza Minnelli, Francois Mitterrand, Montana, Yves Montand, Jeanne Moreau, Jean Messagier, Nico, Rudolf Noureev, Francois Nourissier Jean Nouvel, NTM, Jean d'Ormesson, Oscar Peterson, Roland Petit, Paloma Picasso, Michel Piccol, Marie-Claude Pietragalla, André Pieyre de Mandiargues, Hugues Quester, Charlotte Rampling, David Rampling, Serge Reggiani, Robert Ricci, Michel Rocard, Héléne Rochas, Jean Rochefort, Francoise Sagan, Dominique Sanda, Jean-Paul Sartre, Romy Schneider, Jean Seberg, Mathilde Seigner, Michel Serres, Pierre Soulages, Yves Saint Laurent, Angelika Taschen, Benedikt Taschen, Francois Truffaut, Emmanuel Ungaro, Sylvie Vartan, Simone Veil, Ana-Maria Vera, Ocimar Versolato, Jacques Weber, Anne Wiazemsky, Le duc et la duchesse de Windsor, Atahualpa Yupanqui, Elsa Zylberstein

    NUDI IN STUDIO
     




    PAESAGGIO






    MODA



     


    Ho volutamente impostato l'articolo su Jeanloup Sieff come se fosse una piccola personale.
    In realtà son centinaia e centinaia le foto di questo autore, gli interessati vorranno eventualmente andarsele a cercare in libreria o per il web, basti pensare allo sterminato catalogo di ritratti in circolazione.

    Ho scelto alcune fotografie che meglio caratterizzano il modo di fotografare di questo personaggio.

    Ironia, innanzitutto (come si capisce dal suo autoritratto), uso del grandangolare anche nel ritratto per stemperare alcuni tratti del carattere ed esaltarne altri, taglio mutuato dalla moda (o viceversa ?) per esaltare il dettaglio (menti che saltano, la parte alta della testa, spesso le orecchie), in un bianco e nero morbido ma al tempo stesso carico, denso, curato particolarmente in stampa.

    Attivo in tutti i generi di fotografia é particolarmente ricordato per i suoi nudi, specie le serie al tavolino (il soggetto senza accessori, seduto dal'altro lato di un tavolino quadrato, ripreso leggermente dall'alto, magari d'angolo) e ... i posteriori.
    Sieff si é sempre ripromesso di publbicare un intero libro di schiene e fondischiene.

    Sempre elegante, sempre composto, sempre perfettamente identificabile.

    Nella moda sono notevoli i suoi tagli, i suoi ambienti e l'uso del grandandolare per rendere le modelle ancora più longilinee, come nel caso di Twiggy :


    O punti di vista alternativi come questi :
     



    senza troppe preoccupazioni per le distorsioni indotte dal grandangolare in ripresa ravvicinata.

    Attivo anche nella danza ma mai banale :
     



    Chiudo con un uno scatto d'umorismo di un inglese ( Alfred Hitchcock insegue una modella, sullo sfondo il famo motel di Norman Bates, scena del film Psicho) :
     


    e di umorismo sugli inglesi (due generi diversi di istitutrici, a seconda dei tempi e dei ... datori di lavoro) :
     

    Insomma un grande, irriverente, irripetibile fotografo che ha lasciato un segno del suo tempo.
    Come le sue parole che ho riportato all'inizio di questo articolo.
     

    "Il denominatore comune di tutte le foto é sempre il tempo, il tempo che scivola via tra le dita, fra gli occhi, il tempo delle cose, della gente, il tempo delle luci e delle emozioni, un tempo che non sarà mai più lo stesso" (J. Sieff).
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