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Mostra il contenuto con la massima reputazione di 04/11/2020 in tutte le aree

  1. Pubblico con grande piacere e insieme porgendo somme congratulazioni al nostro amico, Tiziano Manzoni (Fototm) della Menzione d'Onore tributatagli dagli IPA-International Photo Awards, per il suo reportage continuato a Bergamo e provincie limitrofe, sulla epidemia di COVID-19 e le sue conseguenze dirette sulla popolazione, nel territorio italiano più flagellato da questa pandemia. https://www.photoawards.com/winner/zoom.php?eid=8-194986-20 Chi legge il Corriere della Sera, potrebbe averlo già letto https://bergamo.corriere.it/notizie/cultura-e-spettacoli/20_ottobre_29/menzione-d-onore-il-reportage-manzoni-710e2c80-19cd-11eb-bdd5-3ce4cb03ccdf.shtml ma sono ancora più felice della confidenza con cui ce ne ha messi a parte Tiziano, che ci considera amici, tanto quanto reciprocamente ci professiamo noi con lui. Avevo già richiamato nei mesi del lockdown l'attenzione sul suo lavoro instancabile e per certi versi spericolato (è il caso di dirlo, durante una pandemia), pubblicando alcuni dei servizi che in quei giorni erano comparsi sui media: Non si è certo fermato e mi ha appena segnalato di esser riuscito a fare oggi anche ciò che a Marzo non aveva avuto modo (o cuore) di realizzare, riuscendo ad entrare anche in un reparto di terapia intensiva. Ne vedete il servizio pubblicato dal Corriere di ieri, al seguente link https://bergamo.corriere.it/foto-gallery/cronaca/20_novembre_03/coronavirus-terapia-intensiva-dell-ospedale-papa-giovanni-bergamo-ecco-immagini-3cc597b8-1e07-11eb-9970-42ca5768e0fd.shtml immagini esaustive e complete nella loro documentazione, come è nella cifra di Tiziano. Al quale ho approfittato per ricordargli di essere prudente: in un mestiere che spesso mette a contatto con pericoli molto più materiali di quello subdolo di questo nemico invisibile. Complimenti ed Auguri da tutta la Redazione di Nikonland !!!
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  2. A me piace la musica. Quella che si definisce "colta". Non la musica commerciale. Mi piace il rock di una volta. Mi piace persino l'heavy metal. Adoro l'organo a canne, specie se enorme e maestoso (da ragazzo l'ho anche suonato). Ho una discoteca sconfinata. Per tanti motivi, non ultimo la pigrizia, non frequento eventi di musica dal vivo. Ma adoro potermela godere al meglio. Chi mi ha seguito nelle mie vicissitudini autunnali, ricorderà che due anni fa mi sono costruito due monitor planari a 4 vie, con amplificazione separata per ogni via pilotate via DPS che funge da cross-over elettronico e controllate da un programma che in tempo reale compensa i limiti del sistema e della stanza. Quei monitor hanno due quindici pollici in vetro ciascuno. E due 11 pollici per i medio bassi. Oltre ad un complesso planare lungo un metro e 20 cm per le medio-alte. Insomma, preferisco ascoltare la musica con un impatto fisico, via speaker di un certo "peso". Ma per gli ascolti meno impegnati da mesi sto usando due Sonos (anche essi controllati a DSP) collegati in rete ai miei dispositivi di casa. Ed ho l'abbonamento unlimited a Qobuz con milioni di tracce musicali a mia disposizione ovunque io sia. Ma ... mi piacciono anche le cuffie, sebbene le ascolti sempre per una frazione di tempo. Sono scomode e innaturali. Ma quando sono di qualità elevata - ed io ho cominciato da ragazzo utilizzando cuffie ibride ed elettrostatiche - sebbene non possano per motivi fisici fare da surrogato ad un evento reale, nemmeno se riprodotto da un sistema di altoparlanti come il mio (le mie bambine sono altre 185 cm e larghe 80 : pesano 80 chili l'una), consentono invece una analicità che gli speaker, nemmeno i monitor di studio consentono. Si arriva a sentire ogni dettaglio, ogni nuance, ogni sussurro. Il respiro del trombettista, la saliva di Diana Krall, l'unghia del bassista sulle corde. Qualche anno fa ho conosciuto il marchio HIFIMAN americano fa e sono presto diventato proprietario di alcune delle loro cuffie. Di recente li ho contattati direttamente negli States per chiedere qualche cosa da provare. Dopo qualche "assaggino" mi hanno fatto avere un sistema - cuffie e amplificatore - che per loro è comunque entry-level ma che costa qualche cosa come 2.500 euro. E le ho messe a confronto in batteria con le altre miei cuffie di quel livello. Le HIFIMAN Jade II con la loro caratteristica colorazione verde del driver elettrostatico. E' stata una prova molto impegnativa perchè per tutti i dischi che ho ascoltato, ho commutato tra le tre ed ho annotato le mie impressioni. Che sono giunte a conclusioni attese per certi versi ma abbastanza sconcertanti per altri, almeno per me. Per qualcuno questi sembreranno sofismi, lo so. Il mondo oggi si nutre di MP3 digeriti via cuffiette. Ma io non sono un ascoltatore comune. Tra Monteverdi e Till Bronner, ogni sorso di musica una sensazione diversa. Chi fosse interessato : HIFIMAN JADE II
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  3. Foreste Casentinesi, San Benedetto in Alpe. Cascate dell' Acquacheta, Autunno.
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  4. Assolutamente, io non gli darei più di 50 euro.
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  5. ciao a tutti, adesso la Sekonik sta collaborando con la Godox, broncolor, PocketWizard e Elinchrom per il modulo si trasmissione tra esposimetro e i flash da studio. il modello dell'esposimetro in questione è la L-858D e L-858-U con il modulo aggiuntivo per tramettere le impostazioni dell'esposizione sui flash ed è una comodità veramente per configurare i flash dall'esposimetro e lascio i link della sekonic https://www.sekonic.com/exposure-meters/l-858d-u-speedmaster-light-meter-kit-godox video dimostrativo ecco la foto
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  6. Due settimane orsono sono stato con la famiglia, per un weekend, a visitare Venezia. Un viaggio promesso ai miei bambini da tempo, originariamente programmato per il marzo appena passato e deciso last-minute a metà ottobre, prima che la faccenda finesse come a marzo... Per i noti motivi conosciuti da tutti. Di fatto è la mia quarta visita alla città e, come sempre, l'ho trovata splendida. Una città che trasuda di atmosfera artistica in ogni luogo e in ogni modo, come nessun altra. Il primo giorno, come d'obbligo a Venezia, ci siamo persi girovagando a caso per la città. Perdersi a Venezia. Tutti intenti a fotografare gli scorci della serenissima, tra i canali e le strettissime calle. Poteva mancare la gita in gondola? Il secondo giorno, proprio appena usciti dall'appartamento, abbiamo avuto la bellissima fortuna di essere catturati da una di quelle persone che, pagate dalle fabbriche del vetro di murano, ti offrono il viaggio in taxi in cambio della visita a quella specifica vetreria. E così ci siamo fatti la traversata a Murano sul tipico, lussuoso e affascinatissimo taxi veneziano. La visita alla vetreria, con tanto di dimostrazione di fabbricazione alla fornace è stata particolarmente gradita dai miei ragazzi, anzi per la precisione è la cosa che più gli è piaciuta del weekend. Particolare fascino a Murano l'ha aggiunto un poco di acqua alta, con tanto di meduse spiaggiate lungo i marciapiedi. Quindi in vaporetto ci siamo spostati nella caratteristica e coloratissima Burano. Ultimo giorno, prima della partenza, non poteva mancare una visita a Palazzo Ducale, col passaggio sul Ponte dei Sospiri. Dove mia moglie, con il cellulare, ha scattato una foto venuta molto meglio rispetto alle mie :-) All'uscita dal palazzo abbiamo, con sorpresa, ritrovato un po' di acqua alta. Ancora una passeggiatina, un veloce pranzo con i tipici e buonissimi tramezzini, e poi si torna a casa! Arrivederci Venezia, sei davvero unica.
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  7. A grande richiesta (!), il prossimo modello in costruzione sarà il classico Leopard 1, nella versione dell'Esercito Italiano. Carro che ha sostituito gli M47 Patton e, in corsa, gli M60 quando lo Stato Maggiore si è accorto che quei carri erano troppo grossi per la nostra rete ferroviaria e sarebbero stati confinati al raggio d'azione dei pianali stradali o dei loro cingoli. si tratta di un carro concepito in piena guerra fredda su iniziativa tedesca, rappresenta da un lato continuità con lo standard dell'epoca, l'M48 Patton ma idealmente è il tassello successivo al Panther I della Wermacht. L'Italia aderì al consorzio capeggiato da Krauss-Maffei e la nostra dotazione ha delle modifiche rispetto ai carri tedeschi (e delle altre, tante nazioni che hanno adottato questo carro). Un carro abbastanza semplice anche per la tradizione tedesca, pensato per battersi con il T-54/T-62 e che all'arrivo del T-72 e degli elicotteri anticarro (compreso il nostro A129 Mangusta (1983) è diventato obsoleto. Radiato, venduto come eccedenza ad eserciti con meno esigenze dei nostri. Ce ne dovrebbero essere ancora in un deposito dove si può comprare per 5000 euro in attesa che tutti vengano tagliati e ridotti in rottami. L'esercito mantiene in servizio molti esemplare dell'ottimo gettaponte e del carro recupero costruiti su questo scafo. Non abbiamo - chissà mai perchè - pensato di adottare il Gepard, versione contraerea, anche se si sono valutate alternative sullo scafo dell'Ariete, il carro tutto nazionale di II generazione che in alternativa al Leopard 2 abbiamo deciso di adottare. Questo carro è tanto classico che al momento ... è estremamente trascurato dai produttori di modellismo. Esiste praticamente solo quello che ho preso, il vecchissimo Tamiya del 1969 ancora con i buchi per la motorizzazione che ha il vantaggio di essere quello che somiglia di più alla versione italiana. Gli altri sono andati fuori produzione da tempio (Italeri ed Heller se non ricordo male). Mentre esistono un paio di versione del 1A5, versione aggiornata nella torretta e con i grembiuli laterali. Solo quando ho aperto la scatola mi sono accorto che le decal prodotte da Tamiya sono solo per l'esercito tedesco. Ma di decal per il Leopard italiano in commercio non ce ne sono più. E anche se ci fossero, finirebbero per costare più del modello che ho comprato (20 euro lisci lisci da Amazon). Quindi .... ho comprato un M47 Italeri in liquidazione che "dovrebbe" avere anche le decal italiane. Quello lo farò dello Zio Sam o dello Heer e girerò le decal sul Leopard. Prossimamente vedremo la costruzione. Anticipo che la finitura sarà come quella dell'originale che ho visto uscire da un guado nel parco della caserma di Bellinzago oramai 35 anni fa.
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  8. Con il passare del tempo, molto tempo, è mia intenzione postare foto dei vari castelli che ho visitato e visiterò in futuro. Per rendere il tutto più fruibile creerò via via un album per ogni castello nel quale ripeterò l'introduzione ed aggiungerò le foto così da dare la possibilità di vedere le immagini anche di un solo castello piuttosto che di tutti. In ogni album inserirò, oltre alle classiche immagini cartolina, anche fotografie di dettagli e particolari che magari sono peculiari di un determinato luogo. Questo che presento è Kanazawa-jo (il kanji che si legge jo accanto al nome di un castello significa appunto...castello), splendido castello nel cuore di un'antica città che è famosa per l'arte, l'artigianato e la cultura, nella prefettura di Ishikawa sull'isola di Honshu e rivolta verso il Mar del Giappone. __________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Shiro Vi fu un tempo in Giappone durante il quale la pace era soltanto un'utopia, un'epoca di guerre e di violenza, secoli di lotte per il predominio di uomini su altri uomini. Così come nel medioevo europeo, anche in quello giapponese potenti signori feudali muovevano guerra l'uno verso l'altro in una spirale apparentemente infinita. Nonostante tutto questo il medioevo giapponese, proprio come il nostro, ha lasciato un'eredità romantica fatta di storie di coraggio e determinazione, popolata da nobili guerrieri samurai, dai loro signori con le loro corti ospitate in splendidi palazzi protetti da meravigliosi ed imponenti castelli. In Giappone si trovano tracce delle prime fortificazioni fin dal III° Sec. A.C. ma possiamo dire che i castelli giapponesi, per come li conosciamo oggi, vennero eretti a partire dalla metà circa del 1400 fino a fine 1600 (periodi Sengoku e Azuchi-Momoyama). In questi anni il Giappone vide il proliferare delle lotte interne tra daimyo (signori feudali) fino a che due di loro, Oda Nobunaga e Toyotomi Hideyoshi, inziarono un lento processo di unificazione del paese che culminò con l'ascesa al potere del famoso shogun Tokugawa Ieyasu ed il trasferimento della capitale del Giappone ad Edo, l'odierna Tokyo. Con l'unificazione del Giappone finalmente iniziò un lungo periodo di pace durante il quale i castelli persero la loro funzione e divennero solamente imponenti strutture dispendiose da mantenere. Inoltre Ieyasu emanò una legge che proibiva ai vari daimyo di possedere più di un castello, per garantirsi che i suoi sudditi non costituissero una minaccia troppo grande, e moltissimi castelli furono così demoliti. Molti altri caddero in rovina poiché erano stati abbandonati ed altri ancora furono smontati per poterne rivendere i materiali con i quali erano stati edificati. Fu così che dei circa settemila castelli che si stima esistessero in quel periodo, ne sopravvissero poche decine. In seguito a causa di varie calamità naturali, come gli incendi, o a causa delle successive guerre, per ultima la Seconda Guerra Mondiale, la maggioranza dei castelli superstiti fu parzialmente o completamente distrutta e soltanto negli ultimi decenni ne sono stati ricostruiti svariati, utilizzando tecniche antiche ma con materiali a volte del tutto moderni come il calcestruzzo. Ad oggi sono solamente dodici i castelli che sono giunti a noi con la loro struttura originale e, di questi, solo quattro sono considerati Tesoro Nazionale (Himeji, Hikone, Matsumoto, Inuyama) ed uno di essi addirittura Patrimonio dell'umanità dell'UNESCO (Himeji). Dopo secoli di declino e oblio, negli ultimi anni i castelli giapponesi hanno riconquistato un posto speciale nel cuore del popolo ed hanno anche acquistato un sempre crescente numero di fan provenienti da ogni parte del mondo. Molti castelli sono divenuti mete turistiche molto apprezzate, la maggioranza sono presi d'assalto questa volta non da eserciti di soldati bensì da moltitudini di turisti, specialmente durante il periodo della fioritura dei ciliegi che, a migliaia, adornano le mura ed i parchi intorno al corpo centrale dei castelli. Parte di questo successo è dovuto al fatto che "I castelli giapponesi non sono affatto quei tremendi bastioni di granito che si è soliti associare all’Europa. I castelli giapponesi hanno un aspetto delicato, sembrano torte nuziali decorative in cima agli alberi" (Cit.Will Ferguson, Autostop con Buddha). Si, è assolutamente vero, i castelli giapponesi sono estremamente eleganti, affascinanti, semplicemente bellissimi. Uniamo questo al fatto che molte volte sono circondati da un ampio territorio trasformato in parco o a volte sono adiacenti a degli splendidi giardini come i famosissimi Kenroku-en, Koraku-en, Koko-en ed altri, ed è facile capire il perché di questo successo. Ma veniamo al titolo che ho scelto per parlare di castelli giapponesi, Shiro. Shiro significa bianco ed è per questo che i castelli in Giappone sono chiamati così, a causa del candore affascinante delle mura della maggior parte di essi. Uno degli aspetti che mi affascinano dei castelli giapponesi è che sono strutture militari costruite secondo precisi progetti frutto di studi su attacco e difesa, su tecniche di guerra e presidio del territorio, al contempo sono così eleganti, piacevoli, imponenti certo ma con grazia infinita. Oggi possiamo sederci ad ammirarne l'eleganza e la potenza evocativa che richiama un passato glorioso e ricco di tradizioni, un tempo perduto che vive nella memoria di ogni giapponese che ha nel castello un grandioso testimone. Quando visitiamo un castello giapponese la prima cosa che salta agli occhi è che non sembra di camminare all'interno di una struttura militare, piuttosto sembra di visitare un giardino su più livelli con strutture create per godersi il panorama circostante. Bastioni di pietra dai quali affacciarsi, fossati con limpide acque nelle quali talvolta ammirare il riflesso delle torri o scorgere una carpa o un candido cigno, panchine all'ombra di splendidi ciliegi o aceri che sapranno regalare, ciascuno a suo tempo, una tavolozza di colori degna compagna del profilo dei tetti, un mare di petali e foglie del quale rimanere meravigliati vedendoci nuotare gli Shachihoko, le mitologiche carpe che adornano gli angoli delle torri più alte. Ma erano e rimangono strutture militari e trovo altresì molto interessante vedere come il passare del tempo abbia influito sulle competenze degli ingegneri che hanno costruito castelli sempre più evoluti, con fortificazioni sempre più efficaci e complesse per far fronte al contemporaneo sviluppo delle armi. Parlando dei castelli classici che conosciamo oggi possiamo trovarne esempi relativamente semplici costituiti da una o più cinte murarie, sormontate da torri e separate da vari cancelli, che proteggono un maschio (chiamato tenshukaku o tenshu) isolato come a Hikone, fino ad arrivare ad imponentissime fortezze costituite da un tenshu di dimensioni molto maggiori, collegato direttamente ad altre torri secondarie attraverso mura sormontate da corridoi coperti, intricatissimi percorsi che attraversano anche vari fossati inondati di acqua, come a Himeji. Percorsi studiati accuratamente per intralciare eventuali eserciti nemici, letteralmente decine di porte da oltrepassare, il tutto affiancato da mura irte di torri dotate di feritoie e caditoie dalle quali poter facilmente colpire i nemici con armi come archi o armi da fuoco. Visitando un castello giapponese è impossibile rimanere insensibili al fascino delle caratteristiche mura in pietra. Sono uno dei loro tratti distintivi, la presenza costante di mura non verticali ma più o meno inclinate, di altezza estremamente variabile. Si chiamano Ishigaki (gaki significa recinto e ishi pietre) e costituiscono sia le mura esterne che danno forma ai fossati, allagati o meno, sia le mura che creano corridoi e cortili interni, sia le possenti mura che sostengono i vari terrapieni o costituiscono le fondamenta di tenshu e torri secondarie. Sono generalmente le uniche parti in pietra costituenti queste fortezze, e tra le pochissime costruzioni in pietra dell'antico Giappone, infatti tutto il resto è fatto di legno. Ci sono comunque vari stili costruttivi, con nomi diversi, in base all'inclinazione ed al modo di lavorare ed incastrare le pietre. Le fortificazioni più antiche non disponevano di ishigaki, infatti non erano necessarie difese così massicce e stabili, a partire però dall'era Sengoku si iniziarono a costruire questo tipo di mura poiché la guerra era ormai divenuta una costante quotidiana. I primi esempi ci mostrano uno stile costruttivo che si basava sul reperire pietre in loco ed ammassarle l'una sull'altra con maestria e viene chiamato stile nozurazumi. Successivamente l'arte degli scalpellini e degli ishiku (i muratori specializzati in questo tipo di costruzioni) si affinó e le pietre furono via via lavorate sempre più precisamente ed incastrate con sempre maggior maestria permettendo di creare superfici lisce, grazie alle quali offrire pochi appigli ad eventuali nemici, ed innalzare mura sempre più alte e maestose come per esempio a Himeji, Osaka, Kumamoto e questo stile invece si chiama uchikomihagi. Ad un certo punto gli ishigaki assunsero un ulteriore funzione, quella di status symbol che mostrava in modo chiaro la potenza anche economica del daimyo di un castello. Infatti le fortezze divennero sempre più imponenti e richiedevano una quantità di materiali da costruzione davvero mastodontica, basti pensare che gli ishigaki del castello di Osaka contano oltre mezzo milione di pietre. Ammassare, lavorare ed impilare quantità così enormi di materiale non era certo un affare di poco conto e lo sforzo economico era davvero notevole. Poi si sviluppò un'ulteriore tradizione che voleva che i vari vassalli estraessero, scolpissero e consegnassero pietre sempre più grandi al loro signore come omaggio. In realtà era un modo per il daimyo di tenere sotto controllo le finanze dei suoi sudditi con questo tipo di richieste sempre più esose, impedire che costruissero fortezze per proprio conto ed infine reperire materiale a basso costo per loro stessi ed i loro castelli. Comunque questo fece si che in vari castelli, Osaka ne è il miglior esempio, si trovino ishigaki che inglobano pietre davvero colossali che arrivano a pesare decine di tonnellate e misurare metri e metri in larghezza ed altezza come la famosa Tako-ishi che pesa 108 tonnellate e misura oltre 59 metri quadri di superficie complessiva. Se gli Ishigaki, segnati da tempo e guerre, sono sopravvissuti fino ad oggi, lo stesso purtroppo non si può dire delle innumerevoli torri, chiamate Yagura, che vi erano ospitate e che, per mille motivi, sono andate perdute. Le funzioni di queste Yagura erano estremamente varie ed anche le strutture erano diverse per dimensioni e forme. Da quelle più semplici ad un piano (hira yagura), a quelle più comuni a due piani (niju yagura) fino a quelle più imponenti a tre piani (sanju yagura) che sono assimilabili ad un tenshu in miniatura e sono presenti solitamente soltanto nei castelli più grandi come Himeji. In effetti però in alcuni castelli dove il tenshu non fu mai costruito (Kanazawa per esempio), le yagura a tre piani svolgevano il ruolo di tenshu e prendevano il nome di gosankai yagura (nobili torri a tre piani) poiché era lì che risiedeva il daimyo durante i periodi di guerra. Potevano poi essere semplici magazzini per il cibo o per le armi ed avevano nomi diversi in base a ciò che vi si stivava, per esempio nelle shio yagura vi si conservava il sale (shio, sale), nelle yoroi yagura le armature (yoroi, armatura) e così via. Vi erano yagura che fungevano da alloggi per le truppe, torri per la protezione dei pozzi, potevano ospitare il grande tamburo che scandiva le ore o dava segnali in guerra (chiamato taiko e quindi la torre taiko yagura), postazioni di avvistamento e tantissime altre ancora. Tuttavia tra tutte queste tipologie di yagura, quella che mi affascina di più è certamente la rara torre per l'osservazione della luna, tsukimi yagura (tsuki significa luna e mi è il verbo miru, vedere). Sono torri nelle quali il daimyo si poteva ritirare, o intrattenere i suoi ospiti, ed osservare la luna. Sono facilmente riconoscibili perché normalmente non possiedono strutture difensive, sono costituite internamente da un singolo ambiente arioso e più lussuoso del resto del castello e possiedono pareti scorrevoli e rimovibili dalle quali vedere la luna. Per esempio nel caso della tsukimi yagura del castello di Matsumoto, si trovano tre pareti rimovibili (nord-est-sud) e un elegante corrimano esterno dipinto di rosso. Questa particolare torre fu costruita successivamente al castello, durante il periodo di pace seguito al regno di Ieyasu, e per questo non necessitava di sistemi difensivi. Per finire ci sono yagura che prendono il nome semplicemente in base alla loro posizione rispetto all'asse nord sud con nomi presi dal calendario giapponese e dai segni zodiacali. Dopo aver parlato però di mura e torri non è possibile concludere senza menzionare l’elemento più affascinante e caratteristico di un castello giapponese, quello che lo rappresenta maggiormente e che è la vera icona che il mondo si raffigura quando pensa a queste fortezze, il tenshu. Diciamo che il tenshu come lo conosciamo oggi prende vita con il castello di Azuchi, fatto erigere da Oda Nobunaga a fine 1500. Il primo stile con il quale vennero costruiti i tenshu si chiamava borogata ed era costituito da una torre di tre piani sopra la quale veniva aggiunto un edificio a due, come nel castello di Inuyama. Dopo il 1600 invece lo stile si affinò ed il tenshu fu così costituito da un edificio i cui livelli si sovrappongono regolarmente diminuendo di ampiezza con l’aumentare dell’altezza, come nel castello di Nagoya, questo stile si chiama sotogata. A dispetto dell’eleganza, raffinatezza e splendore esterno, l’interno dei tenshu è generalmente molto sobrio e privo di fronzoli, essendo in realtà una fortezza dove rifugiarsi in caso di guerra e non una residenza per i periodi di pace. Anche l’altezza dei tenshu varia da castello a castello e non solamente per mere questioni di potenza economica ma anche in funzione del luogo dove sorge l’edifico. Un castello che sorge in montagna o su una collina probabilmente non necessita di un tenshu molto alto per poter avvistare i nemici, per esempio il castello di Hikone dispone di un tenshu di soli tre piani ma è situato su un’altura dalla quale domina pianura e lago adiacenti. Viceversa un castello di pianura avrà bisogno di innalzarsi molti metri al di sopra della città che generalmente sorge intorno alla fortezza, infatti per esempio il castello di Matsumoto dispone di un tenshu a sei piani ed addirittura il castello di Aizu ha il tenshu con il maggior numero di piani in Giappone, ben nove. Ad ogni modo, se è vero che il tenshu attrae inevitabilmente gli sguardi e le attenzioni della maggior parte dei visitatori me compreso, spero di essere riuscito a trasmettere un po’ di quell’emozione e voglia di scoprire che mi pervade ogni qual volta visito un castello giapponese ed esploro la sua struttura per intero. Andrea __________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ P.S. Click sulle foto per una risoluzione migliore, grazie Precedenti articoli: Castello di Matsumoto Castello di Okayama Castello di Hikone __________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Kanazawa La storia di questo castello risale al 1583 quando il daimyo Maeda Toshiie diede ordine di edificare una fortezza a Kanazawa. Prima del suo arrivo Kanazawa era una sorta di città fortezza, sostenuta da alte colline e protetta da due fiumi, principale roccaforte di una sorta di repubblica teocratica chiamata "Il Regno dei Contadini". Questa città castello fu la base sulla quale fu fondata l'attuale città di Kanazawa. La svolta più importante fu appunto nel 1583 quando il daimyo Maeda, alla guida delle forze di Toyotomi Yedeyoshi, sconfisse il rivale Morimasa (che regnava da pochi anni su Kanazawa), fece di Kanazawa la base delle sue proprietà che si estendevano su tutta la provincia di Kaga ed ordinò la costruzione del castello. Durante i secoli successivi questo castello fu colpito più volte da devastanti incendi il primo dei quali, nel 1602, distrusse il maschio (alto ben sei piani) che non fu mai più ricostruito. Fu nel 1631 che la struttura della fortificazione cambiò drasticamente, fu ampliata la seconda cinta muraria, fu costruito un fossato all'interno del castello e le dimore dei vassalli furono spostate all'esterno delle mura. In quel periodo l'aspetto della fortezza doveva essere davvero impressionante con oltre 3 chilometri di fossati interni ed un sistema di canali per fornire acqua potabile che portava l'intero complesso idrico ad una lunghezza di oltre 15 chilometri. I terreni del castello furono divisi in 9 recinti divisi e protetti da bastioni di terra, mura di pietra e grandi cancelli fortificati. Le peripezie che il castello dovette attraversare non finirono lì, fu distrutto ancora nel grande incendio che nel 1759 distrusse gran parte della città ed oggi possiamo vedere il castello così com'era stato ricostruito nel 1850 e sono poche le parti risalenti al XVIII secolo arrivate fino a noi. Una di queste parti è la famosa porta d'accesso chiamata Ishikawa-mon. Il cortile interno, racchiuso tra due possenti cancelli e difeso da alte mura con numerose feritoie, passaggio obbligato per ogni eventuale aggressore. Varcando il secondo cancello e salendo una rampa lastricata ci troviamo di fronte all'impressionante corpo centrale del castello, costituito da una splendida tamon-yagura, di cui stupisce l'estensione che gli è valsa l'appellativo di "Palazzo dei 1000 tatami" poichè il tatami è da sempre considerata un'unità di misura in Giappone (la superficie di questa yagura è di quasi 1.400mq). La tamon-yagura che collega le due torri è davvero splendida e raffinata grazie a varie scelte costruttive come la particolare decorazione a quadretti del muro del primo piano con una tecnica particolare e di difficile realizzazione chiamata Namako Kabe. All'estrema destra troviamo quella che forse è la struttura più rappresentativa del castello di Kanazawa (insieme al cancello Ishikawa-mon), la yagura a tre piani chiamata Hishi Yagura (hishi = rombo e yagura = torre) che possiamo tradurre con Torre Diamante perchè la pianta non è quadrata ma romboidale con angoli di 80 e 100 gradi, cosa che ha comportato notevoli difficoltà per gli ingegneri dell'epoca. Particolare che sottolinea l'eleganza che una struttura militare può comunque avere. In questa immagine possiamo ammirare come una semplice caditoia sia stata trasformata in un'elegantissima finestra grazie ad un tetto ondulato e spiovente. Particolari che donano eleganza e raffinatezza al castello. Dettaglio delle mura. All'estremità sinistra della tamon-yagura invece troviamo un cancello protetto da una grande torre chiamata Tsuzuki-yagura ma il complesso prende il nome di Hashizume-mon. Questa era una parte molto importante e delicata del castello poichè, attraversando il ponte chiamato Hashizume, si potevano varcare due cancelli ed accedere al secondo recinto interno e quindi al cuore della fortezza. Lo stile costruttivo di questa porta, con cortile interno racchiuso tra due cancelli, è chiamato Masugata ed è lo stesso stile che contraddistingue la porta principale Ishikawa-mon. Per motivi di spazio consentito per l'upload, continuo nei commenti sotto...
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  9. Ciao Pedrito, grazie per il passaggio e commento ti invito, se ti andasse e non l'avessi fatto, a guardarti anche gli altri tre reportage su altrettanti castelli sempre nel mio blog. A dire la verità dei quattro che ho trattato questo è il meno scenografico e fotogenico a parer mio. Per rispondere alle tue domande dovrei essere ben più esperto di quanto non sia per cui posso solo immaginare che anche queste strutture, come del resto ogni struttura tradizionale giapponese, è costruita cercando di coniugare per quanto possibile un certo gusto estetico alla indubbia funzionalità necessaria. Il legno è da sempre il materiale principe nell'edilizia giapponese e le pietre, a volte di dimensioni assolutamente mastodontiche, venivano usate solamente per i basamenti e le mura esterne quando si tratta di castelli. Rispetto ai castelli occidentali poi credo sia da notare che quelli giapponesi disponevano di fossati e cinte murarie veramente vastissime. Per esempio, se consideriamo il solo corpo centrale del castello (in legno) sembra che in fondo sia una struttura relativamente poco protetta e di "facile" accesso in molti castelli giapponesi. In realtà quello che vediamo è soltanto ciò che rimane di una complessa e estesissima struttura fatta di edifici vari, case, stalle, armerie, alloggi per i soldati. Questi edifici erano spesso circondati da svariate cinte murarie e fossati che si estendevano anche per chilometri ed erano monitorati da decine e decine di torri. Per esempio, quando ti incammini per le strade cittadine verso il castello di Matsumoto (stessa cosa anche per altri castelli) , potresti non sapere che nonostante il castello disti centinaia di metri da te, stai già camminando all'interno di una o più cinte murarie (che non esistono più attualmente) e che i fossati riempiti d'acqua adesso non esistono più o sono quei canali che vedi e pensi siano stati edificati in epoche successive. Altri castelli invece si trovavano su alture difficilmente scalabili con macchine d'assedio, per cui era difficile attaccarli con la fanteria. Per il legno ed il problema fuoco, certo è un materiale infiammabile ma è altrettanto vero che non è così fragile ed attaccabile dal fuoco come sembra a prima vista. • il legno brucia lentamente, la carbonizzazione procede dall’esterno verso l’interno della sezione; • il legno non ancora carbonizzato rimane efficiente dal punto di vista meccanico anche se la sua temperatura è aumentata; • la rottura meccanica dell’elemento avviene quando la parte della sezione non ancora carbonizzata è talmente ridotta da non riuscire più ad assolvere alla sua funzione portante. Dipendentemente dal legno utilizzato potrebbe volerci molto tempo prima che questo accada. Inoltre esistevano metodi per trattare il legno per mitigare le fiamme eventualmente appiccate dai nemici. Per esempio l'antichissima tecnica giapponese, che va tanto di moda ultimamente nell'arredamento occidentale, chiamata shou sugi ban, prevede la carbonizzazione intenzionale dello strato esterno delle assi di legno per conferire loro un elevato grado di protezione contro acqua, fuoco, attacchi biologici. Detto questo comunque alla fine moltissimi castelli sono stati divorati dalle fiamme e conquistati, esattamente come per i nostri manieri in solida pietra. Non so essere più esaustivo mi spiace, Andrea
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  10. Si Fabio ma a quel prezzo : è un insulto !
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  11. Però ho provato a fotografarla lo stesso per vedere cosa ne veniva fuori. Ammetto di non essere attrezzato per foto del genere per cui questo tentativo resterà unico o quasi. Per farla ho usato la Z50 col 70-300 alla massima focale...
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  12. Un'accurata descrizione che accompagna delle belle foto: complimenti! Sono stupito dall'eleganza e raffinatezza di questi castelli se paragonati a quelli che si vedono in Europa, altrettanto belli ma certamente più massicci e meno curati dal punto di vista dello stile: a cosa si devono tali differenze? Ovvero: è la più agevole reperibilità dei materiali (qua la pietra, là il legno) ad aver guidato nella costruzione di queste fortezze? Ma il legno, largamente utilizzato, non costituiva una debolezza difensiva del castello in quanto facilmente soggetto ad incendio durante gli assedi? Oppure le tecniche di assalto dell'epoca non mettevano in pericolo queste costruzioni?
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  13. metto anche io una foto del gruppo in quel Bergamo nel 2008 in un workshop organizzato da Tiziano Manzoni. nella foto c'è Daniele Andreoli alias Danighost, MM, Rossano Rinaldi, Giuseppe Circhetta e io con la maglia arancione insieme a mio figlio e altri non mi ricordo i nomi
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  14. ho fatto un'altra prova con la stessa foto... (magari ho esagerato)
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  15. Grazie, la sfida maggiore e' la sottile profondita di campo. Bisogna lavorare un po con il focus peaking e di tanto in tanto ingrandire al 100% per essere sicuri che il piano di focus e' posizionato dove lo si aspetta. Posto un'altra immagine. Cordiali saluti
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  16. Come anticipato da Silvio,abbiamo fatto un giro sul Ticino,complice una soffiata di un mio conoscente che mi ha indicato questo posto. Siamo riusciti a portare a casa dei discreti scatti,ma quello che è più importante è l'aver passato un paio d'ore in compagnia di amici e immersi nella natura. D 7200, AF-S 200-500, a 500 mm, ISO 7,1 T 1/1250 D 7200, AF-S 200-500 f 5,6 a 500 mm, f 7,1 ISO 800 T1/2000 D 7200, AF,S 200-500 f5,6 a 500 mm, f7,1 ISO 800 T 1/2000
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