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Corredo Nikon (sintetico !)


Cosa fotografi in prevalenza ?

  1. Intanto che "lavoravo" ad un progetto fotografico che si sta sviluppando nella mia mente mai quieta, ho assistito a una scenetta e ne ho voluto fare un micro-reportage senza pretese, uno "street animale" come esempio gradevole (si spera) e documentativo di quanto certi animali si siano ampiamente "urbanizzati" integrandosi benissimo, qualche volta anche troppo. Insomma, in questo luogo che qualcuno conoscerà bene, ho incontrato una Cornacchia priva di qualsiasi timore, che come molti umani si è fatta una sosta al bar. La scelta del grandangolo utile per esprimere il concetto di interazione/integrazione, un ritrattone non avrebbe avuto significato alcuno, naturalmente. Anche questa per me, ma non sono solo, è fotografia naturalistica. La sezione ambienti urbani è diventata una componente costante nei concorsi di wildlife photography , perchè la componente umana e quella degli altri animali sono ormai così compenetrate che non ha senso ignorare le interazioni che avvengono, anzi è importante capirle al meglio. Commenti, critiche, osservazioni, sulle foto ma anche sul tema in generale, sempre bene accette, i miei blog non sono solo degli show off, ma degli inviti al dialogo (civile ) . Per gli interessati: comodissimo, come sempre il 24-200mm Z specialmente accoppiato alla Z8. Foto di Gianni Ragno.
  2. Sono quasi fuori da una brutta faringite causata presumo dall' aria condizionata dei treni o degli uffici dove lavoro (ci hanno trovato dei neandertaliani congelati). Uscita da "convalescenti" perciò, ma con risultati più gradevoli del previsto. Dopo una puntata rapida all'isola del Pepe Verde a trovare un'amica dagli occhi nocciola e il pelo di colore grigio piombo (la vedremo prossimamente), mi dirigo verso questa fontana nella Biblioteca Degli Alberi, vicino Piazza Gae Aulenti. Quasi soprendente quante cosine si possono fare qui se ci si porta la Z8 (qualsiasi Zeta, ma anche D, ma anche Canon, Fuji...) ed il 24-200mm anzichè le bricioline. Partiamo dal banale: Andiamo un pochino sul più elegante: Per scoprire cose curiose: Che si prestano ad interpretazioni personali Per finire con del puro divertimento: Coppia al bagno Che diventa triangolo (ma lei la conoscevi?) Dov'è il bagnino qui? Ma avevate prenotato tutti? Un paio d'ore rilassanti (contando il Pepe Verde) ma creative. Un sacco di vita per essere una fontana (c'erano anche delle libellule). Tutte foto scattate con la Nikon Z8 ed il Nikon 24-200mm Z, tranne la prima che è stata scattata con il nikon Z 12-28... Hummm... la Gallinella d'acqua l'ho fotografata col 300mm f4 pf.
  3. E' una frase fatta , ma comunque una gran verità. Come quella che afferma che l'equipaggiamento più importante sta alcuni centimetri dietro il mirino. Spesso si fotografa a caso soprattutto, purtroppo, nella fotografia naturalistica dove, attratti dal soggetto ci si dimentica del contorno, ci si dimentica di fare attenzione, di valutare alternative, di pre-vedere il risultato, di sperimentare, insomma, di pensare. Ne abbiamo parlato e scritto in non so quanti articoli e tutorial, io ne ho discusso soprattutto per la macro. In questo blog cercherò di non ripetermi, ma farò esempi di come il fatto di pensare di spostarsi di qualche centimetro o di qualche passo, pensare di cercare un'occasione migliore, una luce diversa, possa fare la differenza. Le foto sono tutte mie, così non si offende nessuno . Cominciamo con delle Damigelle. Point and shoot (inquadra e scatta) stile compatta porta di solito a risultati... inguardabili e siamo tutti d'accordo. Non c'è bisogno di grande analisi per dire che è un orrore di foto? Bene. Facciamo un passo avanti qualitativamente, abbiamo un macro, dei tubi, una lente, insomma proviamo a fare qualcosa di più interessante, ma presi dal soggetto, o semplicemente distratti, insomma senza guardare, non è che escano foto migliori: Presto, il cestino! Ma questa damigella ci piace tanto, se ne sta lì ferma, ci lascia avvicinare, riproviamo ad ingrandimento maggiore: Un po' meglio, ma poco. Rendiamoci conto che o si tolgono i fili d'erba o la foto sarà al massimo così (per me da scartare). Dobbiamo impegnarci in un "salvataggio" successivo, clonando e trafficando sopra e sotto? Se volete, oppure ci si rende conto che le damigelle sono tante e se ne sceglie una su un posatoio migliore e si cura meglio l'inquadratura: Mezzo metro più in là sullo stesso cespuglio, ecco sfondo migliore e curando l'inquadratura, si sfuoca l'addome in modo che non risulti tagliato (non è la stessa dell'altro blog, eh): C'è differenza? Un altro esempio, L'Orthetrum albistylum, Il soggetto è bello, ma ripreso da lontano stando in piedi, il risultato non è così bello: C'è addirittura una foglia davanti all'addome, nella zona posteriore, ingannati dalla visuale del mirino (fa rima con cestino)? Avvicinandosi un po' ma soprattutto inginocchiandosi: Un po' meglio vero? Non ho pulito il puntino di sporco ed il peluzzo sul sensore, lo so, ma sono foto didattiche, che vogliono spiegare una cosa diversa, tutti sappiamo cosa fare dei puntini pre o post... . Questa foto (ripulita dei puntini ) è dignitosa. Bella uguale a tante altre che ho fatto. Però, volendo, si può fare di più, osservare (che è un sinonimo di guardare) il comportamento e vedere che il posatoio è un punto di decollo e di atterraggio, quindi si può riprenderlo appena atterra ad ali alzate per una foto più di effetto. Ed allora: Cambiamo soggetto, camminando incontro questi quattro marangoni minori -grazie a Gianni per la correzione nell'identificazione, distrattamente li avevo presi per dei Cormorani-sui rami nell'acqua. Punto e scatto, ecco quattro Marangoni nell'acqua del fiume. Passabili. Ma se provassi a cercare un punto diverso? Mi sposto di due metri o poco più: E' meglio? E' peggio? E' diversa. I Marangoni diventano elemento grafico con il monocolore dell'acqua. Sempre natura, ma con un pizzico di interpretazione. Questa mi stuzzica anche la fantasia, voglio farne una versione in bianco e nero, cosa che che con quell'altra non avrebbe avuto senso, non avrebbe reso quel che avevo immaginato. Magari piace solo a me. Spero tantissimo che abbiate colto il senso di questo mio blog. In tutti i generi fotografici, anche con gli animali, metterci la testa va ben oltre il curare la messa a fuoco l'esposizione e così via. Le foto, a parte quella dei cormorani, sono diverse da quelle del mio blog precedente, non è un riciclaggio. Il discorso è rivolto a chi è alle prime armi, gli altri non si offendano, lo so che lo sanno già. Silvio Renesto
  4. Ho scoperto Beth Moon per caso, le sue foto mi hanno subito affascinato. Una visione intensa della natura, a volte drammatica, a volte cupa o sognante, mai leziosa o banale. Ne ho scritto già su Nikonland, ma ne scrivo qui in modo un po' più esteso e aggiungendo delle foto. Forse le sue immagini più famose sono i ritratti ad alberi giganteschi o secolari. Un patrimonio di meravigliosa antica bellezza, spesso minacciato, che Beth Moon ci fa conoscere attraverso la sua sensibilità, creando immagini di forte impatto emotivo. Lei stessa nel suo sito http://www.bethmoon....ouchWood00.html scrive: "Molti degli alberi che ho fotografato sono sopravvissuti perchè fuori dal raggio della civiltà...certi esistono solo in angoli remoti del mondo...i criteri che uso per sceglier eun particolare albero sono principalmente tre : l'età, le dimensioni immense o la storia importante... essendo i più grandi e più vecchi monumenti viventi della Terra, credo che questi alberi simbolici abbiano un significato più vasto in un tempo in cui la nostra attenzione è concentrata nel trovare un modo migliore di convivere con l'ambiente". Majesty back. Le grandi querce. Sempre nel suo sito Beth Moon riporta quanto sul suo lavoro scrisse Jane Goodall : "Queste anziane sentinelle delle foreste sono tra i più antichi esseri viventi del pianeta ed è disperatamente importante fare tutto quello che è in nostro potere per farle sopravvivere...voglio che i mie nipoti ... conoscano la meraviglia di questi alberi vivi e non solo tramite fotografia... I ritratti di Beth sicuramente ispireranno molti ... ad aiutare chi lavora per salvare questi magnifici alberi". Ma Beth Moon non si limita agli alberi. Odin's Cove (la Baia di Odino) è un portfolio fortemente gotico/romantico ispirato ai corvi di Odino. Nella mitologia norrena, Huginn e Muninn sono due corvi che volano per il mondo cercando informazioni e portando notizie al loro padrone, il dio nordico Odino. Escono all'alba e ritornano la sera, si posano sulle spalle del dio e gli sussurrano le notizie nelle orecchie. I loro nomi hanno un significato: nella lingua norrena Huginn vuol dire pensiero e Muninn memoria. I Corvi Imperiali sono grandi e stupendi uccelli; nelle immagini di Beth Moon sono al tempo stesso malinconici e potenti, sembrano davvero venire dalle brume di un altro mondo. Beth Moon per la stampa utilizza anche quello che lei, citando John Stevenson, chiama "Nobile processo nell'era digitale": ossia una stampa al platino, che dice di essere nota per la luminosità e ampia scala tonale, in cui l'assenza di uno strato legante (binder layer) permette ai cristalli di platino di venire incorporati nella carta dando una tridimensionalità unica.Oltre non mi addentro... perchè non so di cosa sto parlando se Michele, bontà sua, vorrà spiegarci meglio di cosa si tratta gliene sarò grato. Insomma, non perdetevi il sito di Beth Moon e godetevi le sue immagini. http://www.bethmoon.com DISCLAIMER: Va da sè che tutte le foto di questo reportage sono opera e proprietà esclusiva di Beth Moon, qui riportate solo a scopo di illustrare la sua arte.All the photos here shown are by Beth Moon and she has the exclusive copyright, and are published here only to spread knowledge about her great art.
  5. L'idea con cui avevo fatto lo zaino, ero salito in auto e avevo sopportato un po' di coda in tangenziale, era quella di provare a fotografare ardeidi in volo, visto che c'era un po' di sole. Appena imboccata l'autostrada mi sono reso conto che sul novarese iniziava a gravare una cappa di nuvole non troppo scure, ma tali da trasformare il cielo in un ammasso grigiastro. Arrivato sul posto, dopo due scatti ho avuto conferma che gli uccelli in volo erano improponibili sagome scure con qualsiasi trucco di esposizione tentassi, al massimo riuscivo a farne dei fantasmi slavati. Meglio cambiare proposito e cercare di portare a casa qualche immagine non troppo noiosa della Garzaia. La situazione dal punto di vista ambientale è tragica. Tutto rinsecchito e grande povertà di specie, dove anni fa nidificavano in gran numero Aironi Cenerini, Ibis sacri, Garzette, Nitticore e Aironi Guardabuoi questa primavera l'unica presenza consistente erano proprio i Guardabuoi e qualche rara coppia di Cenerini. Avevo il cuore triste. Non per le fotografie, ma per la sofferenza dell'ambiente. Qualche foto di consolazione l'ho portata a casa: Arrivo in volo (trovate l'intruso ): Saluti all'ospite: Di vedetta: Non è più come una volta, mio caro sig. Cenerino. Figura di danza NIkon Z6 e SIGMA 150-600mm Contemporary su monopiede.
  6. Post umoristico nello stile di "Tre uomini in barca" ma tutto quanto scritto è realmente accaduto. Tanti, tanti, anni fa in una galassia... no, in una risaia lontana... erano gli inizi della mia storia fotonaturalistica e giravo in auto con tre amici per campi, risaie, riserve, sperimentando l'emozione della wildlife photography. Ogni tanto capitavano anche cose singolari. L'ibis un po' scosso. Prendete una Fiat Idea, riempitela con quattro maschi adulti di cui quello alla guida era alto 190cm per 140kg, ciascuno con teleobiettivo. Fatela girare per le risaie novaresi fino ad avvistare di colpo un gruppetto di Ibis a pochi metri. Gli ibis stavano da un lato dello sterrato, per cui ci si doveva alternare ai finestrini giusti tramite contorsioni e scavalcamenti silenziosi. L'Idea infelice- (l'auto intendo, era sicuramente infelice della cosa) ondeggiava come in pieno uragano (o come fosse in corso un'orgia di ippopotami che si sono appena mangiati un campo di cannabis). Tuttavia per quanto incredibile, alla fine siamo riusciti tutti a fare delle foto "ferme". La nitticora nell'angolo. Dintorni di Valenza Po. Fissavamo da tempo desolati degli aironi, lontanissimi, appollaiati su rami alti dal lato opposto dello specchio d'acqua rispetto al capanno di avvistamento dove eravamo insieme ad altri fotografi e birdwatcher. All'improvviso sul lato destro della feritoia, ma proprio all'angolo, a pochi metri sbuca una giovane nitticora e... si ferma. La calma e la destrezza con cui abbiamo riposizionato noi stessi, i treppiedi e armeggiato con i tele sulle ballerine teste dei cavalletti dev'essere stata insolita, tanto da far osservare poco carinamente ad un altro occupante del capanno che gli sembravamo adolescenti al primo appuntamento a cui non riusciva di infilare il preservativo. Ma la nitticora l'abbiamo fotografata. E la foto è anche bella, con le foglie di quercia Il Nibbio peripatetico. Questo Nibbio non l'ho fotografato in quell'occasione, là non c'erano Nibbi, l'ho inserito a scopo illustrativo. Zona di Gorla Minore, se ben ricordo (ma non ricordo bene), c'era una discarica in cui ci avevano detto giravano nibbi e poiane in gran numero, per via dei ratti. Vaghiamo con l'auto per strade e stradine nella boscaglia fino ad arrivare alla recinzione della suddetta discarica dove il gestore (persona gentilissima, ma dallo strano senso dell'umorismo) ci spiega che non ne vedeva da un po', ma forse se ci fossimo portati un po' più avanti per la strada che ci stava indicando, potevamo chiedere alle - e qui disse due parole che ahinoi non capimmo, pensavamo fosse dialetto- persone che forse ci potevano essere di aiuto. Ci avviamo subito e quando incontriamo il suddetto gruppo di persone infrattato fra i cespugli a lato strada subito ci è chiaro che le due parole erano un misto di lombardo e inglese ossia "batton-girls". Ci avviciniamo un po' titubanti a queste signore di etnia afro-latina che intanto ci stavano soppesando con occhio critico ed uno di noi (non io) - ci ha fatto fare giuramento di non rivelare mai la sua identità - abbassa il finestrino e chiede alle "girls" se sapevano dov'erano i nibbi, le signore però non sapevano cosa fossero i nibbi al che, in totale ingenuità, lo stesso soggetto spiega che sono grossi uccelli, se per caso ne avessero visti. La risposta non siamo riusciti a tradurla bene, ma ci è sembrato di capire che andarcene il più velocemente possibile sarebbe stata la cosa più salutare. Ne è passato di tempo... decenni. Ma ogni tanto mi tornano ancora in mente questi episodi e sorrido al me stesso di allora.
  7. Oggi eravamo in giro in cerca di Cicogne, per le campagne del Pavese. E ormai il tempo della nidificazione e si sperava di fare dei buoni incontri. Certo le risaie e i campi non mettevano troppo ottimismo: Diciamo che non è proprio il colore che ci si aspetta in primavera e le scarpe non dovrebbero sollevare nuvolette di polvere. Ma le Cicogne c'erano. Il primo nido è quello sulla torre del "castello" dei Salamon, la famiglia che ha creato l'Oasi di Sant'Alessio. Non ci interessava entrare nell'oasi anche perchè saremmo finiti troppo sotto per riprendere come si deve. Con la z6 ed il 150-600 Sigma C potevo arrivare fin qui: Se raddrizzavo il tetto si inclinava l'asta. Ho preferito tenere verticale l'asta perchè era la realtà, la torre era angolata rispetto al mio punto di osservazione. Le differenze di luce sono dovute sia alla posizione del sole che alla variabilità atmosferica. Sono perciò passato alla Zeta Fc sia per avere un maggiore ingrandimento che una migliore parallasse: Dopo le immagini "statuarie" , si spera di poter fare qualche foto più dinamica. E' andata bene: Sono anche riuscito ad avere foto con il tetto meno storto . Lasciato il "Castello Salamon" con una rotazione di 180 gradi ci rivolgiamo alla Chiesa Parrocchiale, le giriamo un po' intorno per metterci con la luce giusta. Vista "larga" a 230mm Alla focale di 600mm, ecco un classico, la Cicogna e la Croce. Una Taccola di passaggio movimenta l'immagine. Lavori di costruzione del nido. Ci spostiamo nuovamente, verso il Cimitero, dove c'è un traliccio: Traliccio che è un piccolo condominio con almeno tre nidi: Nella foto sotto ho inquadrato per intero il ripetitore (o quel che è), anzichè stringere sulla Cicogna, per contestualizzare la situazione. Lo zoom ha qualche vantaggio però . Lasciamo questo interessante ma un po' inquietante mix di umano e naturale e dopo un po', rarità, scoviamo un nido su un albero! Ora per completare il reportage, una foto a terra: Sta raccogliendo paglia per il tappezzare il nido. E per finire, non senza qualche sforzo, la Zeta Fc mi "regala" una foto in volo, con la quale vi saluto.
  8. Finito lo sfibrante semestre di lezioni e altre attività più o meno sgradevoli, mi sono preso una pausa di meditazione: una giornata in un capanno fotografico. Frequento i capanni molto meno di un tempo, ma quando mi arriva una dritta interessante, ad esempio l'avvistamento di qualche bel soggetto che non ho mai fotografato, cado in tentazione (o cedo alla tentazione?) e ci torno. Poi, si sa, non è detto che il soggetto quel giorno si presenti (così ahimè è stato!), ed è un peccato, ma il tempo nel capanno è lo stesso un tempo speciale per me. Soprattutto d'inverno. Si comincia a giocare già la sera prima quando, oltre a scegliere l'attrezzatura fotografica, si prepara l'abbigliamento tecnico che ti permetterà di resistere fermo per ore a 3 gradi centigradi o giù di lì e scattare senza congelarti le dita. Non vorrai rovistare nell'armadio alle 5 del mattino torturando il sonno alla la povera consorte, no? Prepari prima e intanto pregusti già la piccola avventura! Se ci sono anche gli amici, fin dalla partenza si entra nell'allegro mood tribale degli antichi ominidi maschi in spedizione. Purtroppo entrambi i miei soliti compagni d'avventure si erano presi un male di stagione, quindi niente tribù. In solitaria il mood è diverso, più riflessivo, ma è bello lo stesso. Appartengo ad una generazione a cui guidare piace, il rumore da trattore del mio turbodiesel è gradevole e il pezzettino finale di strada di campagna con le sue curve e sconnessioni mi diverte. Anche questo fa parte del gioco. Nel capanno, una volta piazzato il cavalletto, montato il cannone (il SIGMA 150-600mm C) con la Z6 ed il cannoncino (un 300mm f4) da usare prevalentemente sulla Zfc ( a mano libera per inquadrare angoli scomodi o quando la scarsa apertura massima del Sigma è troppo ...scarsa) mi metto ad aspettare. Una Ghiandaia sospettosissima. Sono convinto che in qualche modo si sia accorta di me. Non sono una persona particolarmente paziente, al contrario, ma il bosco mi piace, mi piace starci, sentire e guardare gli uccelletti indaffarati nel loro chiassoso viavai. E' come guardare in un acquario molto, molto vivace. E' un tempo davvero piacevole, anche senza scattare foto. Alcune specie infatti non le fotografo quasi più, a meno di pose particolari, perchè ho già tantissime loro foto nel mio archivio, ma è sempre bello starle a guardare. Per questo posso stare ore ed ore tranquillo nel capanno. Picchio Rosso "indaffarato". Però, capiamoci, non faccio centinaia di chilometri all'alba per fare psicoterapia, ma per fotografare e quando arriva qualcosa che interessa, o succede qualcosa di interessante, si scatta, perchè quello è la "ciccia" la parte gustosa della giornata. Maschio di Capinera, grigio su grigio Fringuello, "salmone" e verde. Fotografare gli animali per me è un momento di comunione col soggetto. E' un rapporto a senso unico purtroppo, perchè devo essergli invisibile, per non recare disturbo, stress e , naturalmente, perchè altrimenti scapperebbe subito. Gli animali sono sensibili, ma non telepatici. I Pettirossi mi hanno fatto compagnia quasi tutto il giorno, anche troppo ravvicinata. Cos'è qualcosa di interessante? Un soggetto visto di rado, oppure un bell'accostamento di colori tra soggetto e sfondo od una posa simpatica, un'attività insolita, insomma, occasioni non mancano. Il Picchio Muratore mi ha concesso le foto migliori della giornata. Purtroppo la star del momento, il motivo della mia uscita quel giorno era indisponibile, cose che con gli animali liberi può capitare e capita (due giorni dopo invece c'era, come mi hanno crudelmente dimostrato, mandandomi le foto). Non mi nascondo dietro un dito, mi dispiace e il fatto mi ha tolto un po' di soddisfazione per giornata, però sono sincero, una volta mi sarei proprio arrabbiato, pensando di aver solo sprecato del tempo. Invece adesso preferisco vedere il lato pieno del mezzo bicchiere: Mettiamola così: Ho passato delle ore piacevoli ed ho portato a casa qualche buona immagine. Già qualcosa, no? Autoritratto riflesso in un finestrino del capanno. Quadro nel quadro alla Cartier Bresson (beh quasi ). Col cellulare? Ebbene sì. Ah, non vi ho detto chi doveva essere la star? Eh... Picchio Nero! Sarebbe proprio stato un bel vedere (e fotografare!).
  9. No, non intendevo questo. Volevo dire che si può usare l'auto come un capanno mobile, o per appostamento fisso dove non ci sono capanni ma c'è la strada: Perchè l' auto può benissimo trasformarsi in un capanno. Addirittura un capanno vagante. Ha i suoi pro ed i suoi contro, come tutto, ma alle volte può consentire delle belle riprese. Non sto parlando dei safari fotografici come quelli africani in cui gli animali sono ormai assuefatti al corteo di fuoristrada zeppi di turisti ai quali non fanno quasi più caso, sto parlando di wildlife photography casalinga, qui da noi, con particolare riferimento, causa la mia posizione geografica, alla Bassa Lombardia ed al Novarese. Ma si applica con minime variazioni, anche alle altre regioni d'Italia, anzi da altre parti si può fare anche meglio. Prima di tutto le doverose considerazioni etiche e giuridiche: L'uso dell'auto come capanno non deve mai violare il codice della strada, le norme di sicurezza, mettere in pericolo se stessi e gli altri e tutto il resto. Deve inoltre rispettare la proprietà privata e naturalmente soprattutto l'ambiente. In decenni di capannomobile, io ed i miei amici non siamo mai usciti dalle strade consentite, asfaltate o sterrate che fossero, ma siamo rimasti sempre e solo dove la circolazione era senza restrizioni, mai introdotti nelle proprietà private senza chiedere prima il permesso, solo se e quando era possibile farlo. Tantomeno il fuoristrada selvaggio, devastatore ambientale, Assolutamente da non fare. Il nostro giocare non deve ledere la pace o l'integrità di nessun altro! E adesso cominciamo: Quale auto? Nei decenni di cui ho parlato sopra nel nostro gruppetto abbiamo usato molte auto diverse e l'esperienza ci ha insegnato che: NON occorre un SUV, anzi spesso è di impaccio, non siamo nel Tennessee, per cui le strade di campagna possono essere piccole, le aree dove fermarsi ... molto piccole. Piazzarsi con un macchinone che ingombra metà carreggiata quando dietro arriva una mietitrebbia... con gente che sta lavorando ...fate i vostri conti. Sconsigliate anche le supersportive ribassate , appena ve ne uscite dall'asfalto grattate tutto il grattabile che c'è sul fondo, con vostro dispiacere, immagino. . Il piccolo fuoristrada va benissimo, intendiamoci, ma non è necessario. Più che sufficiente una berlina compatta un minimo alta da terra. La trazione integrale può essere un utile backup, ma non ricordo ci sia mai servita. Senza scherzi, il miglior autocapanno che ho mai posseduto è stata la mia vecchia Renault Kangoo Pampa (non 4x4). Andava piano, beveva molto, senza troppo spunto, ma gli sterrati sassosi erano il suo pane e le dimensioni perfette. Aveva pure una piastra metallica a proteggere il motore. L'ho distrutta pian piano, con amore. Anno 2004(?), con la mia formidabile Kangoo Pampa sto entrando al parchegglio dell'Oasi delle Lame del Sesia (NO) e sì, per accedere al parcheggio si doveva superare un piccolo guado. Il vero requisito fondamentale per l'autocapanno è che non vi venga l'ulcera se per caso si riga la carrozzeria. Sulle strade sterrate, o fermandosi a ridosso dei cespugli, è facile che resti qualche segno sulla carrozzeria. A me non è mai importato troppo, sono ricordi delle avventure passate (ok, sono matto, l'ho detto prima io), Ma se sapete di essere di quelli che si disperano se la vostra auto non è intonsa come appena uscita dal concessionario, forse è meglio lasciar perdere. Occorrente per la fotografia vagante dall'auto: Un buon samaritano, cioè uno che si sacrifichi e guidi mentre l'altro o gli altri avvistano, fanno da copilota e... fotografano. Perchè o si guarda la strada o si guarda in giro, fare tutte e due le cose è vivamente sconsigliato. E' possibile fare a turno? E' possibile fare "i turni", nel senso che per un certo tragitto guida uno, poi ci si allontana, ci si scambia di posto e si ritorna indietro. Uscire dall'auto sul posto dove si fotografa vuol dire far sparire tutto immediatamente. Altro discorso è quando l'auto sostituisce un capanno fisso, allora si raggiunge un punto e ci si ferma, per cui la macchina è come un appostamento fisso e si fotografa tutti. Dalle parti di Biandrate (NO) fotocamera Nikon Dx col 300mm duplicato, in quattro su una Fiat Idea, con l'autista che superava abbondantemente i 120kg. Da fermi. la macchina era scossa come anzi più più che se dentro ci fosse un'orgia di orsi bruni. Gli ibis ci sopportarono per qualche minuto posi si spostarono di una ventina di metri. In macchina devi averlo lungo. Tranne rare eccezioni, le distanze sono maggiori che nei capanni fissi, quindi i 500mm in genere sono il minimo sindacale (poi capita che ti trovi il soggetto a due passi, ma è raro). Soprattutto se si fotografa vagando. Ci vuole qualcosa da interporre fra la base del finestrino e l'obiettivo, tecnicamente sarebbe il beanbag (sacchetto mimetico anche preformato, ripieno di qualcosa di sintetico, ma una volta si usava il riso), ne esistono diversi tipi ma va bene anche un cuscino,una sciarpa, insomma qualsiasi cosa protegga il barilotto dell'obiettivo dal bordo del finestrino ed assorba un po' le vibrazioni. Qui si parla di foto amatoriali eh, in commercio esistono affusti di ogni genere, da far invidia alle postazioni antiaeree, li ho visti e ho capito che per quel che faccio io sono eccessivi ed ingombranti. Le protezioni in neoprene non sono il massimo ma da fermi almeno proteggono il barilotto. Come fare per la fotografia auto-vagante? i copiloti devono aguzzare gli occhi, avvistare il soggetto da lontano e l'autista deve cercare di avvicinarsi rallentando gradualmente fino a fermarsi o quasi nella posizione migliore consentita dal rispetto di tutte quelle cose che ho scritto sopra in grassetto. In campo aperto siamo spesso in territori dove si pratica la caccia, quella non fotografica, e gli animali sono giustamente sospettosi. Qualsiasi cambiamento brusco, come fermarsi di colpo (a volte anche spegnere il motore) li mette in allarme, se poi pensate di estrarre e brandeggiare il teleobiettivo in prossimità dei soggetti... ripensateci. A loro sembrerà di vedersi puntare un oggetto allungato e scuro da cui non sanno se uscirà un clic o un pum, per cui nel dubbio... prendono il volo. Si inizia a puntare già da lontano, con i finestrini abbassati e si incomincia a scattare ancora prima di arrivare alla distanza utile. Ripeto, quello che fa fuggire i soggetti, a parte l'avvicinarsi troppo, è la rottura del ritmo, il cambiamento brusco, compreso il partire della raffica nelle DSLR. Lungo una Risaia nel Lodigiano, ci stiamo avvicinando lentamente e si comincia a scattare. Nikon D800 e 500mm equivalente (un 300 col TC17? non ricordo bene). No crop. Avvicinamento lento riuscito. Situazione di prima No crop. Stesso sito, stessa attrezzatura Sgarza Ciuffetto: Cicogna e garzetta Risaia novarese: Appena fermati, l'airone si è involato, ma questo ha consentito un bello scatto, mi è andata bene. Sotto, dalle parti di Biandrate, ero solo, avvicinamento lento e poi accosto, aspettando un attimo prima di spegnere il motore , un paio di foto interessanti: Airone Cenerino e Guardabuoi Nikon D500 e 500mm (750mm equivalenti). no crop Ibis e Guardabuoi, alquanto indifferenti, Nikon D500 e 500mm (ossia 750mmm equivalenti). no crop. Anche se non sempre si riesce ad arrivare vicino, si posssono comunque fare foto interessanti, suggestive: Lomellina, nikon D200 (!) e 400mm (600mm equivalenti). No crop. A volte succedono cose inaspettate: Stavamo tornando a casa, avvistata per caso, in un'area parcheggio della Provinciale. Doppio lato B: Lei e l'area parcheggio. Nikon D700, 300mm f2.8 e kenko 2x. La polvere bianca sul palo è brina. Se invece l'appostamento è fisso, si cerca di arrivare molto presto ci si ferma prima del sito per prepararsi e poi ci si piazza. Se si tratta di uccelli abbastanza confidenti e "pasturabili" diventa l'equaivalente dei capanni attrezzati, se invece sono soggetti più diffidenti ci vuole qualche accortezza, ad esempio un telo con cui coprirei finestrini opposti a la lato di ripresa, perchè la luce da dietro rivela le forme e i movimenti di chi c'è in macchina. E una riserva di pazienza. Gioco facile, soggetti attirabili (semini nelle fessure del tronco li vedete sotto), dalle parti di Castano Primo (VA): Nikon D7000, 400mmm (600mmm equivalenti) no crop. Brutta giornata invernale. Nessuna pasturazione, solo attesa per finire in bellezza: Nel Cremonese, una piccola cava di sabbia dismessa= Gruccioni, sono da solo, parcheggio la mia eroica Kangoo, e aspetto: Nikon D200 (!) 500mm 300+Tc (750mm equivalenti). Nel Ferrarese. Avevamo avuto una dritta: siamo parcheggiati a lato della strada, aspettiamo finchè lo vediamo arrivare: Ed ecco una delle foto di cui vado più fiero in assoluto, scattata dall'auto: Alla prossima!
  10. Qui: https://www.nikonland.it/index.php?/forums/topic/4080-con-il-100-400mm-z-si-fa/ Avevo pubblicato delle foto tanto per far capire la grande versatilità di questo zoom per il naturalista (e non solo), in questo Blog approfondisco un po' di più, non tanto con le parole ma con le immagini, quello che si può fare, in questo caso da appostamento fisso. Classico Picchio Rosso leggermente ambientato: Tortora Comune La voglio leggermente più ambientata? Verdone: Fringuello e riflesso (e pure un'ape): Capinera femmina al bagno: Bagnetto a due (Cinciallegre) Ma se voglio posso cambiare completamente soggetto, con disinvoltura: Api all'abbeverata: Oh, un Ramarro maschio in amore (lo so perchè ha la gola blu)! Ramarro femmina: Lucertolina alla pozza: La foto più simpatica di oggi: Ramarro maschio in amore ...con Ape! Qualità di immagine? Voi che ne dite (crop immagine precedente)? Se devo trovare un difetto in questo zoom è che... devo renderlo al proprietario. CIAOOO! Ancora grazie a Mauro Maratta per avermi prestato il suo 100-400mm.
  11. Quando sei in compagnia, fotografare in capanno è un'occasione di allegria e scherzi. Quando sei da solo è un ritiro spirituale. Entrambi fanno bene. Ero andato per fotografare l'Upupa, in ritardo rispetto ai programmi, ormai siamo a fine stagione, i giovani hanno abbandonato il nido quindi le occasioni sono minori, e anche i comportamenti diversi, ma siccome non ho potuto prima, ho deciso di accontentarmi. Le innumerevoli cince, i picchi rossi, il picchio muratore e tutta l'allegra indaffarata folla di spiritelli del bosco, c'erano tutti, ma mi sono limitato a guardarli, scattando pochissimo. Un po' perchè ne ho migliaia di foto, ed un po' perchè stare anche solo a vederli bere, mangiare, litigare, fare il bagno, fuggire al primo rumore sospetto è benefico, è da consigliare a chiunque soffra di stress. Palline colorate che frullano cinguettanti... scusate, sto facendo del lirismo. Torniamo all'Upupa. Arriva improvvisa da qualche angolo, fulminea atterra. Le Upupe si nutrono al suolo, sondano il terreno con il loro lunghissimo becco sottile e afferrano vermi, insetti, quasiasi cosa riescano ad ingoiare. Altrettanto fulminea riparte in volo diagonale, sparendo dietro al capanno. Hum, è stato comunque bello vedere l'Upupa, ma dal punto di vista fotografico, non ho cavato molto, Se non la classica foto un po' leziosa sull'albero con la cresta aperta, almeno (anzi meglio) avrei voluto qualcosa di insolito, in più dello zampettare qua e là.. Come ho scritto da qualche parte (copiando qualcun altro ) le migliori foto agli animali sono quelle in cui stanno "facendo gli animali", ossia mostrano un comportamento tipico della loro natura. Dopo due o tre passate sempre "alimentari", penso che non ci sarà poi molto di più da fare. Invece ecco che arriva un'altra Upupa e ... la magia ha inizio. Una delle due è un giovane che ormai ha abbandonato il nido, prova già a nutrirsi da solo, ma continua a dipendere (o a elemosinare?) dal genitore il quale si da' da fare per catturare prede che poi corre a portare al giovane che attende a becco spalancato. Nota bene, è l'adulto a correre, il giovane aspetta. Lascio parlare le foto. Magia ho scritto prima, perchè per me è così, quando vedo scene di vita naturale sono incantato. Poche cose mi fanno felice come un bambino quanto il poter ammirare scene così (c'è un libro, "Cose Sagge e Meravigliose" di A. Durrell, leggetelo e avrete un'idea minima di cosa voglio dire) e poi sono più che felice grazie alla fotografia, di poter portare a casa il ricordo, per me e per condividerlo. Poi, l'Upupa giovane se ne va, l'adulto si posa su un ramo. Quasi un saluto. Le sussurro un addio ed un grazie per il bellissimo momento che mi hanno fatto vivere. NOTA tecnica, foto da capanno, nessun crop, Foto scattate con nikon Z6 e Sigma 150-600 C. Non esprimo commenti "attrezzistici" per mantenere il focus sull'aspetto Fotografico Naturalistico. Problema reale, erano troppo spesso in ombra.
  12. Les Gorges du Verdon si trovano nell’Alta Provenza, in Francia, e sono una serie di strette gole incise dal torrente Verdon in aspre montagne coperte da una vegetazione di tipo mediterraneo. Lo spettacolo offerto da questi canyon è selvaggio, impressionante. Per me che amo la vegetazione di “macchia” lo è ancora di più. Il solo panorama meriterebbe la visita, ma c’è di più. La zona è riserva naturale ed ospita una nutrita colonia di Avvoltoi Grifoni. Questa foto è di Matteo Renesto Percorrendo la Rue de la Crete, una strada in cima ad uno dei versanti delle gole, si trovano delle piazzole di sosta con parcheggio così da poter scendere dall’auto, ammirare il panorama dall’alto con i Grifoni che ti volano intorno. Un’occasione unica per vedere questi uccelli, e provare a fare delle belle foto. Non solo Grifoni. Non mi interessa fare un reportage turistico dettagliato, ma trovo giusto mostrare i diversi aspetti del rapporto fra uomo e territorio in questo ambiente particolare. Le Gole del Verdon sono frequentate anche da chi fa roccia, e sul fondo del fiume si poteva fare kayak e canoeing fino all’anno scorso, quest’anno la siccità non lo ha invece reso possibile. Ciclisti veri e “finti” si arrampicano lungo la rue de la Crete. Questa foto potrebbe creare nostalgia a qualcuno... Si possono fare anche semplici gite per ammirare il panorama, magari tenendo un comportamento un po’ più accorto di questi nostri connazionali, invero anche chiassosi, che evidentemente volevano provare l'emozone di diventare la colazione per gli Avvoltoi. Il Grifone. E’ un grande avvoltoio, un tempo diffuso in gran parte di Europa Asia e Africa. Reintrodotto in francia con esemplari provenienti dai Pirenei. Ha un’apertura alare di oltre tre metri, le ali non sono solo lunghe ma anche larghe così da diluire il peso corpo su una superficie molto ampia (gli appassionati di aerei hanno già capito: hanno carico alare bassissimo) che ne fa dei perfetti veleggiatori, capaci di restare in volo ad ali aperte senza sforzo per tempi lunghissimi, sfruttando le correnti d’aria ascensionali lungo le pareti rocciose. I Grifoni riposano in anfratti delle pareti a strapiombo e quando la temperatura sale abbastanza da innescare le correnti d’aria lungo i versanti, iniziano i loro voli in quota. Uno dei ripari dove si posano (ritaglio circa al 100% dell foto sopra, a scopo illustrativo, perchè erano lontanissimi). Fotografare i Grifoni. E’ un esercizio di creatività, c’è chi si accontenta di arrivare aspetta che l’avvoltoio sia alla giusta distanza (spesso troppo vicino) e riprenderlo contro il cielo come sfondo. Una volta ci sta, specialmente se il cielo è un po’ nuvoloso, ma poi la cosa diventa ripetitiva e il rischio di fare foto puramente documentative è alto. Invece, a dispetto di quanti pensano che la fotografia naturalistica sia un puerile inquadrare e fotografare un animale (o una pianta), come in tutti i generi fotografici tutto conta, la luce, lo sfondo, la composizione. Solo così, e se sei capace, puoi rendere onore alla bellezza del soggetto, anziché svilirlo, e puoi far capire mille cose di più che con una foto mediocre. Se sei veramente bravo, può essere che ti riesca di far capire anche agli altri che guardano le tue foto cosa ti spinge a fare 600 chilometri e stare sotto il sole per ore per fare delle foto ad un animale. Il sole è un problema, perchè i Grifoni tendono a sfruttare le correnti di risalita, che sono più forti nelle ore calde quando la luce è alta ed i contrasti sono forti, occorre farci attenzione. Nel caso dei Grifoni, si può giocare sulle distanze, sulle differenze di luce tra soggetto e sfondo, sul tipo di sfondo che cambia tantissimo se boscoso, roccioso, misto. Ci tenevo soprattutto a riprenderli con la parete di roccia sullo sfondo, per via del gioco di colori che offriva. Lontano.. Vicino Sfondo roccioso Curiosità e fortuna sono armi potenti. Attaccare bottone col cuoco del tuo albergo, anche lui appassionato di fotografia, e così venire a sapere di un sito ancora più interessante delle postazioni sulla strada. Un km e mezzo circa di sentiero dopo il paese di Rougon. In primavera la strada è fiorita, stupenda. Questa è stata scattata con la Z fc per esagerare Curiosità, il non accontentarsi di quello che fanno tutti, ma guardarsi intorno e cercare alternative, essere attenti, capita così di vedere cose che non immaginavi e fare foto che meritano quanto o più dei primi piani. Sulla via del ritorno, infatti ho seguito con gli occhi il volo dei grifoni e... L’ultimo giorno, dopo aver scattato le foto che volevo, mi sono fermato a guardarli. Accanto avevo solo poche persone consapevoli, nessuno schiamazzo. I grifoni passavano a dieci metri da me, imponenti e liberi nel loro ambiente, solenni nella loro indifferenza. Un momento di gioia. Attrezzatura? Vi interessa davvero? Ho scattato con Z6, Zfc, 16-50mm Z, 24-200mm Z e 150-600mm SIGMA C. Ho fotografato i grifoni prevalentemente con la Z6 ed il 150-600 Sigma. Solo la penultima foto è stata scattata con la Z Fc). L’obiettivo si è dimostrato all’altezza, la fotocamera …meno. Per l’af naturalmente. A parte le foto contro il cielo, dove non aveva scelta, in quelle con la montagna dietro per convincerla a mettere a fuoco il soggetto anziché lo sfondo ho dovuto sudare diverse magliette. Direi che il tasso di riuscita è stato molto basso, specialmente quando il grifone veniva verso di me. Nel secondo sito c'era un francese con la Z9 e non ne mancava una... PS: Massimo Vignoli ha già pubblicato un blog sulle gole del Verdon ed è a lui che dedico la foto del rocciatore. Lo trovate qui: http://www.nikonland.eu/forum/index.php?/blog/46/entry-372-i-grifoni-del-verdon
  13. Sabato scorso mentre ero in un capanno del Vercellese ad aspettare altro, si è fatto vivo più volte anche un Pettirosso. Siccome è un soggetto sempre carino, gli ho dedicato diverse foto. La foto che volevo di più, e che ho ottenuto, è questa: Nikon Z6, Sigma 150-600mm f5-6.3 Contemporary (su FTZ) a 300mm, f7.1, 1/1000s, 1000 ISO, treppiedi. Ho scelto di fotografarlo quando c’era un po’ di foschia rispetto a quando è arrivato il sole e di inquadrarlo molto piccolo nell’immagine, con uno sfondo presente ma il più tenue possibile, appena suggerito, un po’ come in certa pittura orientale , o in una foto di Galen Burrell. Perché questa scelta? Perché volevo trasmettere una sensazione di quiete, con un po’ malinconia e delicatezza dell’insieme. Dare l’idea che il pettirosso è un esserino, un piccolo punto vivo nella immensità dell’inverno. Se posso osare , la mia scelta è stata di esprimermi con lo “spazio negativo” cioè lasciando spazio al vuoto, proprio per trasmettere delle sensazioni lievi, diverse da quelle di un soggetto che riempie il fotogramma. E’ una foto naturalistica o solo un tentativo artistico? Per me tutti e due perchè, sempre che sia riuscita ( voi che ne dite?), rappresenta un soggetto naturale nel suo ambiente e, almeno nelle intenzioni, dovrebbe andare oltre la pura documentazione. Meglio così o meglio riempire l’inquadratura col soggetto? Per me questa domanda non ha senso. Non c’è un meglio od un peggio. C’è una scelta., Quale emozione provo in quel momento? Quale sensazione voglio suscitare in chi guarda? Altre volte ho fotografato il Pettirosso, sempre d’inverno; così: Qui la foto mi da' una sensazione opposta alla precedente: E' più vivace, colpisce di più, c’è presenza, energia. Intendiamoci, una foto a soggetto pieno può anche essere triste o drammatica, ma in ogni caso è più "forte", mentre l'altra è "delicata" come ho scritto. Se volete lasciare il vostro pensiero nei commenti, mi farà molto piacere!
  14. Un proverbio cinese (mi pare) dice che cento sentito dire non fanno un vedere. Ho passato qualche ora in capanno con Mauro Maratta ed ho avuto modo di vedere all'opera e provare io stesso la Z9 con il 100-400mm f4.5-5.6 Z. Non è certo stata una prova esaustiva, ma è stata più che sufficiente per farmi capire diverse cose, soprattutto ho capito perchè la Z9 davvero ti può cambiare, se lo vuoi, il modo di fotografare. Ci arrivo fra poco. Prima due brevissime considerazioni sul 100-400mm f4.5-5.6 Z: la prova è stata una conferma della validità dell'obiettivo. Sulla mia Z6 (!) è veloce, silenziosissimo, usabile senza treppiede se i soggetti lo consentono. La differenza con il SIGMA 150-600 che mi ero portato è notevole. Sotto l' aspetto operativo e costruttivo. Nikon Z6, SIGMA 150-600 a 480mm f.8, 1/1000s, 16.000 ISO. Il SIGMA non è velocissimo di suo, ma con l'FTZ sulla Z6, è ancora più lento, la ghiera dello zoom richiede un certo impegno e così via, il 100-400 è assolutamente fluido in tutto. Un piacere da usare. Dal punto di vista della qualità di immagine più che la nitidezza in sè, non malvagia nemmeno nel SIGMA, la differenza sta nella resa dei colori, la saturazione e in tante altre cose. Sul 100-400 non ne scrivo oltre qui, mi riservo di fare un articolo dettagliato appena arriverà il mio. Nikon Z6, Nikon 100-400 a 280mm f6.3, 1/1250s 1000 ISO. Nikon Z6, Nikon 100-400 a 400mm f5.6, 1/1250s 2000 ISO, Topaz Denoise AI. Torniamo alla Z9. Quando Mauro scriveva che la Z9 cambia il modo di fotografare, non ero sicuro di capire bene cosa volesse dire e a volte mi sembrava un po' troppo entusiasta. Nel breve tempo che l'ho provata ... ho capito. La Z9 ti apre nuove vie, nuove possiblità, che si può decidere o meno di seguire, secondo i gusti e le inclinazioni di ciascuno, la Z9 non obbliga a fare altro, ma ti fa vedere che ci può essere altro. Troppo astratto? Concretizzo: La raffica veloce, la capacità di seguire il soggetto erratico tenendo a fuoco l'occhio o la testa, la capacità di fare video, il non oscuramento del mirino, la quasi impossibilità di sbagliare le foto a meno di non impegnarcisi, sono tutte cose che non solo ti semplificano la vita, ma ti fanno venir voglia di sperimentare di più. Ho visto la sequenza a "millemila" fotogrammi al secondo del fringuello che fa il bagno, una serie di scatti enorme fra cui scegliere quello più spettacolare, che magari con una raffica lenta avresti perso. La Z9 non si sostituisce alla nostra capacità e sensibilità di fotografi, ma ci toglie impicci e questa libertà fa venir voglia di sperimentare approcci diversi, soprattutto rende molto più facile ottenere le immagini che vogliamo con la qualità che vogliamo (certo si possono ottenere foto pessime anche con la Z9, ma nel caso il problema non è nella fotocamera ). I video, lo dice uno che li ha sempre snobbati, diventano un'altra opportunità da esplorare che la Z9 permette di ottenere con grande qualità. Io continuo a non vederli come sostitutivi della fotografia, ma nella foto naturalistica sono interessanti come "opportunità aggiuntive", secondo quello che si vuole trasmettere, a volte può essere meglio un video, altre una foto. Non sono categorico, per carità si può fotografare con qualsiasi cosa, si possono fare belle foto con quasi tutto (a patto di esserne capaci), ma per un certo tipo di fotografia d'azione, potendo, si dovrebbe provare ad esplorare le possibilità che si offrono.
  15. Il nuovo Nikon Z 100-400mm f5.6 S mi sembra (il sembra è d'obbligo, perchè non l'ho ancora provato, ma ne sono piuttosto convinto) riunire in sè tutto quello che desidero da un tele zoom. Vi spiego i "miei" motivi. Al di là della qualità di immagine che do' per scontata, non dovrebbe certo tradire gli standard elevati a cui ci hanno abituato le ottiche S, è la versatilità estrema che mi attira, come si può ben capire dalle specifiche. Per la piccola avifauna da capanno andrà bene così com'è, raramente mi è servita una focale più lunga. Frosone, Focale 400mm, corpo Fx, da capanno. Picchio Rosso, focale 400mm corpo Fx, da capanno. Airone Rosso, focale 400mm, corpo Fx, foto scattata dalla barca. Per altre occasioni, può trasformarsi in un 600mm f8 di qualità con il TC14 dedicato, oppure un 600mm (equivalente) f5.6 con un corpo Dx come la Z50 o la Z Fc (o le future probabili/possibili Z Dx che erediteranno le meraviglie della Z9 e che saranno appetitose per i fotografi di wildlife). Ancora un Frosone, corpo Dx stavolta, focale 400mm(=600mm equivalente). Fistione turco, corpo Fx, focale 300mm Gruccioni, corpo Dx focale equivalente 250mm Fin qui non ho scritto niente di nuovo? Bene, allora passiamo alla fotografia ravvicinata. Le specifiche danno un rapporto di riproduzione massimo di 0,38x alla massima focale, che significa circa 1:2,6, a poco meno di un metro di distanza di messa a fuoco, il che corrisponde ad una focale effettiva di circa 200mm (prima che pensiate cose strane, anche gli altri 100-400mm in circolazione come ad esempio il Sony G, o il Fuji X hanno gli stessi valori di focale effettiva alle brevi distanze, sono leggi dell'ottica, non esiste un 400mm che mette a fuoco ad un metro!). Un rapporto di riproduzione ottimo per la fotografia close-up (non parlo di macro dove ci vuole un macro vero), con una distanza di lavoro sufficiente a non spaventare i soggetti. Questi rapporti di riproduzione si possono raggiungere senza alcun problema con il 100-400mm ed un corpo Fx Bocciolo di Fior di Loto, corpo Fx, focale 400mm Questo per me vuol dire che "dentro" il 100-400 ci sta uno di quei 300mm f4 che sono sempre stati i miei preferiti per la fotografia ravvicinata e con il Tc 14 o un corpo Dx si arriverebbe ad un rapporto di riproduzione (dovuto al fattore di crop nel caso di un corpo Dx) di 1:2. Il tutto con un peso/ingombro limitati e senza lenti addizionali od altri aggiuntivi che possano diminuire la qualità di immagine. La cosa mi entusiasma. Per queste ragioni preferisco il 100-400mm al futuro 200-600mm che presumo avrà certamente una buonissima qualità di immagine, però avrà una distanza di messa a fuoco compatibile sì con la wildlife, ma molto probabilmente dovrei avere qualcos'altro per la fotografia ravvicinata. Il 100-400 diventa davvero all in one! Le mie considerazioni sono riferite strettamente al mio modo di fotografare in natura, "your mileage may vary"-ognuno ha il suo metro; se fotografate come me, pensateci sopra, se la vostra fotografia è diversa, le esigenze saranno magari altre. E' ovvio ma lo dichiaro lo stesso: le foto non sono state scattate con il Nikon Z 100-400mm f5.6 S, ma con focali equivalenti su corpi DSLR e mirrorless, qui pubblicate solo per far capire la potenziale versatilità di questo obiettivo nelle foto di natura.
  16. Si può fotografare per tanti motivi (anche) nella fotografia naturalistica, anche nella macro-fotografia naturalistica. Propongo degli esempi di lettura critica di foto che per me hanno significato e destinazioni differenti. Non solo, ma provo a spiegare quale è la mia idea sulle finalità. Discuto foto scattate da me, alcune già pubblicate, in modo da non urtare involontariamente la sensibilità di nessuno, però il mio è un invito a considerare il punto di vista che offro e sarebbe bello sentire le vostre opinioni in merito, che siate fotonaturalisti o no anzi, se non praticate il genere, il vostro feedback potrebbe essere particolarmente significativo. Grazie! Prima foto Rappresenta un caso di predazione da parte di una Vespa su una Damigella. Questa per me è una foto dal valore solo documentativo, esteticamente mi piace assai poco, sfondo confuso, soggetto in posizione contorta. L'ho scattata perchè mi incuriosiva e mi interessava registrare il comportamento particolare, non è molto frequente infatti. La pubblicherei su un forum/gruppo facebook naturalistico? Sì. La considero adatta ad un gruppo come ad esempio Libellule d'Italia, perchè lì trova una sua ragione d'essere in quanto segnalazione. Ai membri di questi gruppi interessano naturalmente le belle foto (ma questa non lo è) ma apprezzano anche quelle con un buon valore documentativo anche se esteticamente non sono il massimo. La pubblicherei su un forum fotografico, come Nikonland? Tendenzialmente no, perchè di valenza "fotografica" ne vedo poca, al limite potrei proporla come curiosità, corredata da abbondante spiegazione, come esempio per far capire come funzionano le cose in natura, ma non come foto in quanto tale. La stamperei? Penso di ...no. Seconda foto Libellula Panciapiatta (Libellula depressa) maschio. Questa foto per me ha un valore documentativo, ma piuttosto relativo, è una specie molto comune. L'interesse naturalistico può essere significativo come segnalazione della sua presenza in un sito, ma nulla di più. Esteticamente invece ho cercato di curarla al meglio, attenzione allo sfondo, luce, esposizione nitidezza, composizione, ho tentato di valorizzare al massimo il soggetto. Mi piace, sono soddisfatto, ma mi rendo conto che non va molto più in la' del "bel soggetto". In alte parole è una foto corretta (almeno spero) che rappresenta il soggetto (per chi apprezza il genere almeno), con una resa esteticamente gradevole, ma tutto si ferma lì. La pubblicherei su un forum/gruppo naturalistico? Sì, penso ci starebbe bene, ai naturalisti piace comunque vedere i loro animali (funghi, piante) preferiti ben ripresi (scusate l'immodestia), anche se il valore documentativo non è grandissimo (discorso diverso se fosse una specie rara). La pubblicherei su un sito fotografico come Nikonland? Sì, perchè la foto mi sembra tutto sommato esteticamente gradevole, chiaramente fruibile diciamo godibile anche da un non esperto, ma con la consapevolezza che non è una foto particolarmente "brillante". Questo aspetto un tempo mi sfuggiva perchè mi perdevo nell'ammirazione del soggetto "in sè" e pensavo bastasse illustrare correttamente la sua bellezza per fare della foto un capolavoro. Invece no, il soggetto è lui un capolavoro (della natura) ma con gli occhi ed il senno di oggi sono convinto che non basta che la foto non sia brutta (nelle intenzioni almeno) perchè il rischio è che non vada molto oltre l'essere una foto "interessante", si può e si dovrebbe andare oltre, se interessa anche un appagamento estetico prima di tutto personale e poi anche in chi altro guarda la foto . La stamperei? Ne ho stampate e ne stamperei altre, qualora mi mancasse il soggetto nella "collezione". Terza, quarta e quinta foto Frecciarossa (Crocothemis erythraea) maschio che divora una Damigella. Questa foto unisce le due componenti presenti nelle foto che la precedono e, a mio parere, questo la rende superiore. Ha un valore documentativo perchè mostra un comportamento. Dal punto di vista estetico, oltre ad essere curati gli stessi parametri della foto precedente (postura, esposizione ecc. ecc.), il fatto che mostri un'azione anzichè essere statica, il vivace contrasto di colori e, elemento a mio parere non secondario, le ali della preda che formano una specie di pizzo, di trama che concentra l'interesse sul cosa succede, pone questa foto su un gradino superiore rispetto alla precedente. Lo stesso discorso si può fare per queste altre foto. C'è qualcosa in più oltre alla bellezza del soggetto. Libellula depressa femmina, il fatto che sia in volo, rende dinamica l'immagine rispetto alla foto statica del maschio. Cardinale (Sympetrum sp.) femmina. L'inquadratura frontale con le ali a X e lo sfuocato selettivo da' una valenza estetica maggiore rispetto alla onesta ma didattica seconda foto. Frecciazzurra (Ortethrum brunneum) femmina, appena emersa dalla ninfa le cui spoglie si vedono sotto. E' un momento cruciale della vita dell'insetto, ripreso in modo che, mi auguro, sia gradevole. Di nuovo quindi, qualcosa in più, anche se un po' più didattica delle due che la precedono, un pizzico meno intepretata. Le pubblicherei su un forum naturalistico? Senz'altro. Sono le migliori per questo scopo. Le pubblicherei su un forum fotografico? Senz'altro, perchè penso che siano immagini che, ciascuna a modo suo, vanno un po' oltre la foto carina e basta (ai miei occhi si intende) . Le stamperei? Sì certo. Sesta foto Libellula frontenera (Libellula fulva) posata, in controluce. Questa foto è una foto non documentativa che, se non fosse stata elaborata in bianco e nero, sarebbe di poco o nessuno interesse per me, sia dal punto di vista naturalistico che estetico: E' tra le specie più comuni, non sta facendo niente ed è pure controluce ed il posatoio sta davanti all'insetto. Eppure, questa foto è stata da me cercata apposta, per esercitare un po' di creatività. Trovo che la trama delle ali delle libellule, la forma del corpo siano graficamente molto interessanti qualora il posatoio non sia invasivo (vedi molte pitture orientali) e la postura si presti, come mi è sembrato in questo caso. Ho cercato di valorizzare l'aspetto grafico con il bianco e nero, cercando comunque di non tradire mai quella che è l'essenza dell'animale, che è il primo motivo per cui fotografo gli animali. Provo a spiegarmi, nella mia intenzione la foto naturalistica può e deve essere una interpretazione originale, ma che comunque vuole rispettare, anzi rivelare con pù forza, la natura del soggetto, il quale non deve essere trasformato in un'altra "cosa", creando un'immagine fuorviante anche se esteticamente valida. Nei miei tentativi più "interpretati" tendo drammatizzare o sottolineare l'aspetto grafico andando a togliere, non ad aggiungere orpelli, come in certe correnti figurative orientali. La pubblicherei su un forum naturalistico? Sì penso ci sia chi potrebbe apprezzarla, ma non l'ho scattata con quel proposito. La pubblicherei su un forum fotografico? Certo! E' concepita per essere vista quale fotografia in sè, da chiunque, interessato o no alle foto di natura (ma senza tradire la natura); in un certo senso questa foto è l'opposto della prima. La stamperei? Assolutamente sì. Settima foto Libellula imperatore (Anax imperator) immaturo. Questa foto è una classica figlia dell'entusiasmo. Forse era una delle prime volte che riuscivo fotografare delle Anax posate e scattavo per la gioia di poterlo fare, dimentico del resto. Questa foto oggi è ai miei occhi poco documentativa, considerabile da questo punto di vista solo come segnalazione di una specie rara (ma non lo è) o di una localizzazione insolita per la specie, ma non è questo il caso. La pubblicherei in un forum/gruppo naturalistico? Un po' di anni fa probabilmente sì. Oggi, la pubblicherei solo se non conoscendo la specie avessi bisogno di identificarla e non avessi foto migliori. Siccome so cos'è, non la pubblicherei su un forum naturalistico. La pubblicherei su un forum fotografico? Oggi no. Dal punto di vista estetico non mi soddisfa, è indubbiamente meglio della prima foto, ma il soggetto è un po' piccolo, il che ci potrebbe anche stare, ma in un contesto diverso in qualche modo più interessante, mentre in questo caso lo sfondo mi sembra solo invasivo e il tutto porta ad un risultato che non è il massimo. Oggi non scatterei nemmeno. A proposito, ho fatto anche il contrario. A volte preso dall'entusiasmo fotografavo il soggetto a piena inquadratura senza curarmi d'altro. Stesso discorso. La stamperei? Credo che questa foto mi sia rimasta nel'hard disk fra i residui delle mie prime uscite nelle oasi del Burchvif nel Novarese (Valerio batti un colpo se le conosci!) ma, ripeto, oggi finirebbe nel cestino. Questo è il metro di giudizio che applico (... che cerco di applicare) alle mie foto naturalistiche, indipendentemente dal soggetto, che siano insetti, uccelli rettili... il principio rimane lo stesso, documentare se serve, andare oltre la foto corretta e basta, se si può. Poi come a tutti (penso), mi succede di essere incoerente qualche volta, oppure mi sfuggono errori che altri mi fanno notare, però l'intenzione c'è. Non ho la pretesa di insegnare niente a nessuno, la mia è una condivisione allo scopo di suscitare riflessioni in chi legge, anche nella speranza di uno scambio fertile di opinioni. Grazie a chi ha avuto la pazienza di leggermi! Silvio Renesto
  17. Potevo metterla nel "now linstening" ma le immagini meritano un discorso a sè: Nick Cave e Warren Ellis firmano la colonna sonora del film "La Panthére des Neiges" un film documentario di Vincent Munier alla ricerca del Leopardo delle Nevi. Uscito mi pare il 22 dicembre, ma non da noi. A me piace Nick Cave e con Vincent Munier il documentario va oltre , è pura poesia, basta vedere questo frammento, godetevi le immagini. Il profilo controluce del leopardo delle nevi , fugace momento, mi ha profondamente commosso. Ma... c'è un altro "Leopardo delle Nevi" che potrei consigliarvi, se amate i libri che parlano di viaggi come esperienza di crescita. Il "Leopardo delle Nevi" è infatti anche un libro di Peter Matthiessen. Narra del viaggio che ha fatto insieme ad uno dei più grandi zoologi del ventesimo secolo, George Schaller, in Nepal alla ricerca del Leopardo delle Nevi. Più che del Leopardo, Matthiessen parla degli uomini, dei diversi popoli, dell'ambiente e della ricerca di sè. Triste è come in questo libro scritto a fine anni '70, siano già ben evidenti i segni di quel degrado ambientale che stava già rovinando e continua a rovinare irreversibilmente uno dei posti più belli del mondo. Incredibile invece la fibra di questi uomini che pur privi di tutte le risorse tecnologiche (alimenti compresi) dei moderni "trekkisti" affrontavano ogni sorta di avversità. Matthiesen è anche un adepto Zen, il che traspare nel libro. E... il libro stesso è Zen, infatti il Leopardo delle nevi ... no, niente spoiler, magari qualcuno lo legge . Questa la versione italiana, spero sia una traduzione fedele, io ho letto l'originale.
  18. Dopo diecimila imprevisti sono riuscito a organizzare con un amico una piccola uscita naturalistico-fotografica ad un capanno, dove mi avevano detto che c'era un po' più di varietà rispetto alle solite cince e, se fossi stato fortunato ... anche una sorpresa. Amo gli animali, amo vederli in libertà e li fotografo al meglio che posso, soprattutto per portarmi a casa il ricordo e l'emozione di quell'incontro, e pubblico le foto per condividere queste emozioni, questi ricordi, con chi ama gli animali come me. Fare foto diverse alle vecchie conoscenze è sempre bello, ma fare nuovi incontri è ancora più emozionante! Ecco, per gli amanti del genere, qualcuno degli gli amici vecchi e nuovi che ho incontrato (tutte le foto sono state scattate con la Nikon Z6 ed il Sigma 150-600 f5-6.3 Contemporary): Appena sistemati nel capanno davanti alla piccola pozza, subito una novità, una Balia Nera femmina (Il nome deriva dal maschio che è veramente bianco e nero, la femmina è un po' smorta). Cince bigie, Cinciallegre, Cinciarelle non si contano, formano una chiassosa brigata che mette allegria, starei a vederle per ore, ma le ho fotografate già tante volte, per cui ho dedicato a loro solo qualche scatto quando ho visto scenette simpatiche, ve ne propongo uno solo: Ma insomma, non si può fare il bagno in pace! Indaffaratissimo, il Picchio Muratore corre su è giù per i tronchi. Il Picchio Rosso Maggiore, metodico, ispeziona tutto il vecchio tronco. Bellissimo, un maschio di Codirosso Comune, non l'avevo mai fotografato come si deve! A me piace inquadrarlo così: Per chi preferisce invece ritratti più stretti metto un crop (l'unico di tutta la serie). Sorpresa, arriva un giovane scoiattolo assetato. Doppia sorpresa c'è anche il fratellino, più scuro, direi che i due sono quasi agli estremi del range della variabilità di colore dello Scoiattolo Europeo. Normalmente è solo in alta montagna che se ne trovano di più scuri. Probabilmente sono in cerca di un territorio libero dove insediarsi. Ho fatto veramente tante foto, in condizioni di luce diverse, anche ad altri uccelli, ma mostrarne altre qui sarebbe troppo, le farò vedere un'altra volta. Ora veniamo al piatto forte: Ad un certo punto della giornata spariscono tutti, di colpo. Ed arriva lui, lo Sparviero. E' così bello che mi sarebbe bastato il solo vederlo, ma... comincio a scattare ! Si posa e si guarda intorno più volte, Sembra sapere che ci sono. Ma non gli interessa. Non resisto e faccio un ritratto stretto a 600mm. Purtroppo il bosco e fitto e gli ISO tanti. Si rilassa e si concede un bagno. Una scrollata finale. Un istante dopo è già su un ramo, da cui si involerà subito, scomparendo nel bosco. Io, dopo giornate come queste sono contento, di più, sono felice. Poche cose mi fanno bene come stare nel bosco (nella palude...) con gli animali! Silvio Renesto
  19. Dal Dizionario Treccani: Karma (o kàrman) s. m. [..]. Termine che, nella religione e filosofia indiana, indica il frutto delle azioni compiute da ogni vivente, che influisce sia sulla [...] rinascita nella vita seguente, sia sulle gioie e i dolori nel corso di essa; sinon. quindi di «destino», concepito [...] come complesso di situazioni che l’uomo si crea mediante il suo operato. Sono uscito con la Nikon Z Fc, il 16-50 ed il 24-200 perchè volevo fare street photography, in bianco e nero. Scendo dalla metro all'altezza del Naviglio Martesana (dove c'è il famoso teatro-cabaret Zelig) e mi incammino in cerca dello spiazzo con l'anfiteatro a gradini che mi aveva già dato qualche occasione di scatti interessanti. Invece niente di buono. La cosa migliore è pittosto deprimente, o peggio insignificante. Non mi perdo d'animo e decido di proseguire un po' oltre, verso dei murales dove mettermi in agguato in attesa che passi qualcosa che sia "combinabile" con il disegno murale, ma prima l'occhio mi cade sull'argine opposto: un Airone Cenerino sta pescando tranquillo, indifferente a joggers, bikers, mamme, nonni, cani e quant'altro (più una nutrita serie di fotografi cellularisti) a pochi metri da lui sull'altra sponda. Con la Z Fc i 200mm diventano 300mm (equivalenti), quindi ho l'agio per fargli un po' di foto, ambientate e no. Sto per incamminarmi di nuovo quando un Angelo, travestito da attempata signora in bicicletta, si ferma e mi chiede se quello che ha visto passare è il Martin Pescatore. Piccolino, verde e azzurro? Sì Sì, allora è lui. Oh càspita, ma io non l'ho visto! Decido allora di aspettare un po', chissà mai che ripassi. Dopo un minuto, forse due, eccolo che arriva, si posa un po' qua ed un po' là. . E' molto piccolo e nonostante un generoso ritaglio, con il 24-200mm posso solo riprenderlo ambientato. Ma non importa, secondo me il fatto di documentare la presenza del Martino nella concitata Milano, vale comunque. Uno scatto apparentemente sbagliato, ma per me il più significativo, è questo: Come ho scritto altrove, è una foto po' triste ma anche incoraggiante. Vedere la resilienza (parola oggi di moda), la capacità della natura, di resistere, di intrufolarsi nella confusione e nella spazzatura che creiamo, e andare avanti finchè può ,da' speranza. Avere visto il Martin Pescatore mi rende felice come un bambino a cui abbiano fatto un regalo inaspettato. Lo osservo mentre fa.. il martino: i suoi buffi movimenti su e giù con il collo, il guardarsi attorno a 360°, lo schizzare via come un dardo colorato. L'averlo fotografato è in fondo secondario, la magia è lui. Torno a casa contento, anche se ho fotografato poco e niente di artisticamente valido, ho visto un caro amico. Ecco, gli animali mi ricordano che il mio destino è questo, il mio Karma, anche quando provo a fare altro.
  20. Quando ho poco tempo, ma tanta voglia di fare un giretto fotografico, Trezzo sull'Adda è fra le mie mete preferite; è ragionevolmente vicino a me che sto al confine nordest di Milano, e anche se non offre occasioni strepitose, di solito c'è di che passare un paio d'ore divertenti, fotograficamente parlando. Arrivati a Trezzo, si seguono le indicazioni per il fiume Adda, una strada tortuosa porta all'alveo del fiume, poco prima c'è un ampio parcheggio dove io lascio l'auto e faccio l'ultimo tratto a piedi sono, meno di cento metri (per i pigri, si può arrivare in macchina fino alle rive, ma si fa più fatica a parcheggiare e si sollevano tonnellate di polvere). la discesa termina in corrispondenza di un paio di ristorantini e da lì parte la strada sterrata, che è sbarrata più in là da ambo le parti, diventando ciclopedonale. Fondamentale andarci di pomeriggio, altrimenti si è in pieno controluce. Vi si trova abbondante avifauna ( Folaghe, Gallinelle, Tuffetti, Svassi, cigni, Gabbiani, Cormorani, in inverno diverse anatre -in estate solo i Germani-, fuggevole il Martin pescatore, qualche volta ho visto degli Aironi, ma sempre troppo lontani, anni fa era frequente l'Usignolo di palude, ma dopo la "pulizia" delle rive... addio). Ai lati delle barche ormeggiate è dove ho scattato le foto successive. Nikon Z Fc con il suo 16-50mm Z Proprio il tratto di riva fra i ristorantini e gli sbarramenti è il mio sito preferito per fotografare le libellule a Trezzo. Ieri ci sono andato per qualche prova con la Nikon Z fc ed alcuni obiettivi non sempre "ortodossi" La piccola suona il trombone, e lo suona bene , ossia: Nikon Z Fc e Sigma 150-600 C, su monopiede. Messa fuoco sicura, effettivamente meglio come velocità che con la Z6, nitidezza più che soddisfacente, una "strana coppia" che funziona (ma non vedo l'ora che arrivi il 200-600 Z, non fosse che per togliere di mezzo l'FTZ): Svassi, Nella stagione buona da questa postazione a Trezzo è possibile, se si ha fortuna e l'acqua non è troppo alta, fotografare il complesso corteggiamento, che è molto bello, anche da vicino, e la costruzione del nido. Una delle tantissime Gallinelle d'Acqua. Folaga e Cormorano, molto distanti, l'aria umida vela un po', ma non ci si può lamentare. Nikon Z fc, 300mm f4 pf + Tc14. Questo kit sul formato Dx è fra i più validi per foto ravvicinata: Crocothemis erytraea (rosso) e Orthetrum cancellatum (azzurro). Crocothemis erytraea, maschio. No crop... Fiore di Oleandro con il 16-50 Z, perchè no? E' uno zoomino simpatico. Non occorre dire, ma lo dico, tutte queste foto si potevano fare anche con la Z50. La Z fc con il 24-200 l'ho provata altrove per cui ne racconterò prossimamente in un'experience, nel club fotografico.
  21. Cherry picking (scegliere le ciliegie) è un modo di dire inglese che significa scegliere accuratamente i pezzi migliori, come si cercano le ciliegie senza bachi. In attesa di tornare a fotografare quel che mi interessa, ho pensato di riproporre qualcuna delle foto a cui sono più affezionato, anche se non tutte al top della qualità possibile, accompagnate da un piccolo commento e dove esista il link al mio precedente blog sullo stesso soggetto. LIBELLULE ESCLUSE, gli ho già dedicato il diario e niente ragni così anche gli aracnofobi possono dare un'occhiata. Gufo di palude ambientato, Nikon D800, 330mm f4 AFS + TC 14. Qui il blog: http://www.nikonland.eu/forum/index.php?/gallery/image/5842-gufo-nella-palude/ Le raganelle sono piccole e timide (ho delle foto a formato pieno eh, però.. questa è più interpretata). Nikon D700, 500mm (300mm + tc 17?). Mantide, sempre affascinante. Nikon D700 ed il glorioso micro-nikkor 200mm f4 AfD ED. Un Gruccione non può mancare. Nikon D500, 300mm f4 Pf e Tc 14. Il più rosso Scoiattolo Rosso che abbia mai visto. Una delle mie prime foto a scoiattoli, per quello ci sono particolarmente affezionato. Nikon D300, 80-400mm Af VR (a 180mm, siamo in Engadina). Poiane che litigano. Foto da capanno. Nikon D500, Sigma 100-400 a 135mm. Alba dorata. Nikon D700, 300mm f2.8 Af. Codibugnolo, folletto fantastico. Nikon D300, 300mm f4 AFS + TC17. Airone Bianco Maggiore. Nikon D500, 300mm f4 Pf. Cucù, Gheppio, fotografato dal tavolino del bar, mentre sorseggiavo un calice di Prosecco . Nikon D500, 300mm f4 Pf.
  22. Ho acquistato la Nikon Z6 a novembre dell'anno scorso (2019). Appena comprata ho fatto soprattutto delle foto "casual" per strada e degli esperimenti in casa, giocherellando con il focus stacking, ma tutto sommato ero rimasto freddino, convinto che andasse bene più che altro per al macro statica e lo street, che per me è un genere occasionale. Anche Vincent non era molto convinto. Passato il lockdown, ho inziato ad usarla un po' di più per il genere fotografia che preferisco, ed è allora che ho cominciato a "scaldarmi" nei confronti di questa piccola grande fotocamera e capire meglio tutto quello che mi può dare (e quello che non posso pretendere). Non mi metterò a scrivere un articolo sulle caratteristiche, pregi e difetti della Z6, ripeterei solo quanto hanno fatto a più riprese Mauro Maratta e Max Aquila in modo più che esauriente, preferisco fare qualcosa di simile alle experience di foto notturna e di street di Massimo Vignoli, portando delle foto di esempio e commentandole. Sono un naturalista fotoamatore, anche se mi piace provare altri generi è nella fotografia in natura, soprattutto agli animali che mi diverto davvero. Di questo scriverò. Primo impatto? Avendo usato praticamente solo reflex, al mirino elettronico ho dovuto farci l'abitudine, perchè anche se è ottimo e la resa dell'immagine è molto vicina alla realtà, rimane a volte un lieve scostamento dal punto di vista dell'esposizione verso la sovraesposizione, cosa che ho imparato a tenere presente ed ora non ho problemi. Per il resto, sul campo la Z6 è confortevole, specialmente con la basetta smallrig e usata con ottiche compatte come il 300mm f4 Pf anche accoppiato a dei converter, non si hanno problemi a mano libera. Inoltre, come tutte le nikon di un certo livello, non ti "sta tra i piedi", comandi accessibili e ergonomia sperimentata. La Nikon Z6 e il suo 24-70mm f4 S sono un'accoppiata formidabile. Questa foto sembra una macro fatta con un buon obiettivo macro, no? Invece no! E' un minuscolo crop al 100% di una foto ambientata!!!. questa: Nikon Z6 24-70mm f4 a 28mm, f11, 1/1600s 2000 ISO. La vedete la libellula sulla destra, quant'è piccola? Questo per me dice tutto quello che c'è da dire sulla qualità nei dettagli di questa accoppiata ed è uno dei motivi della mia riscoperta della Z6. Non è solo il fatto che si può mettere a fuoco più o meno su tutto il campo inquadrato, lo fanno tutte le mirrorless, qui c'è di più. Lo ripeto risultati di questo genere di solito si hanno con dei tele macro. Amazing, dicono gli inglesi. Naturalmente come tutti gli altri 24-70mm si presta a fare dei paesaggi "normali" con ottimi risultati, Nella fotografia ravvicinata e in quella di natura non ho dubbi quale sarà d'ora in poi la mia fotocamera d'elezione, anche sul campo, salvo soggetti erratici. In attesa di focali native un po' più lunghe, il 300mm da solo con Tc e/o lenti addizionali funziona e molto bene: In questo "animalscape" ho usato il 300mm, ho composto l'inquadratura e scattato dal display col dito. Se il soggetto è relativamente tranquillo, non ci sono problemi anche per le soggettive: Anche se il soggetto si muove a velocità ragionevole secondo una traiettoria prevedibile non ci sono troppi problemi, t scatto silenzioso, a mano libera e soggetto indifferente: Nella fotografia close-up la qualità è eccellente: 70-300mmP a 210mm con lente addizionale 300mm f4 Pf + TC14 Eiii. Ancora: Posso scattare in condizioni di luce molto sfavorevoli, con ottime possibilità di recupero nelle ombre. Questi scoiattoli erano nel bosco fitto dove ad occhio nudo era ... buio pesto. Anche qui a Torrile giornata di pioggia... luce pessima, eppure.. Per non bruciare il cigno, che non era fermo, quindi non permetteva esposizioni multiple, ho dovuto sottoesporre, Ma è bastato pochissimo per recuperare le ombre. Infine, basta back-front focus, i miei nikon ora sono tutti "tarati", o meglio non devo tarare più nulla. L'accoppiata 300mm più TC 14 sulla m D500 tendeva a funzionare in modo alterno. A volte andava benissimo, altre non azzeccava il fuoco e come da consigli ricevuti, dovevo spegnere smontare e rimontare il tutto. Questi sono cropo 100% di due foto scattate con la D500, il 300mm f4 Pf e il TC 14: due giorni diversi due rese diverse. Smonta e rimonta poi il tutto è tornato a funzionare, però non è entusiasmante, se sei in attesa che succeda qualcosa non è il massimo, perchè di solito succede mentra stai armeggiando con l'atttrezzatura. Se poi osavo accoppiare il 300mm al TC 17... addio, il fuori fuoco era garantito: Con la Z6, come cantava Lucio Battisti, tutto questo non c'è più: Nikon 300mm f4 Pf Tc 17, crop 100% Alti ISO? ecco qui tempo grigio e 7000 ISO! Crop 100%: Tutte rose e fiori? Naturalmente no, per quel che faccio io, vedo soprattutto due punti di miglioramento e riguardano l'autofocus: come per la maggior parte delle mirrorless le manca un po' di reattività. Questi cigni in volo li ha presi, ma soggetti più veloci o più erratici sono spesso un problema, al contrario di auto e moto, con gli animali non è possibile prevedere la traiettoria e predisporsi allo scatto in un punto prefissato. L'altro punto è la tendenza a perdersi nello sfondo più delle mie DSLR, anche se devo dire che credevo peggio. In qualche situazione occorre "aiutare" l'autofocus. Sfondo terribilmente confuso ed elementi di disturbo in primo piano, ma con un po' di malizia, soggetto centrato! Non so se il fatto che si usino teleobiettivi F tramite adattatore possa in qualche modo accentuare il problema, si vedrà quando ci saranno teleobiettivi S nativi. Dopo novemila scatti posso dire di essere contento della Z6, sono convinto che se si sa come usarla e quando, i risultati sono ottimi. Adesso anche Vincent ne è convinto, tanto da autorizzarmi a mettere un crop al 100% di un suo ritratto Scattato con... (musica da suspense)... UN VECCHIO CIMELIO!! Con la Z6 ci si può divertire, il relativamente contenuto numero di pixel aiuta a perdonare qualche segno di vecchiaia presente in queste lenti d'epoca. In conclusione, la Z6 mi piace, ho iniziato ad apprezzarne le qualità e conto di usarla sempre di più. Ultima nota: Questa l'avete già vista, la ripropongo perchè è la migliore foto che ho fatto quest'anno, con la Z6 a mano libera in presenza di vento. Silvio Renesto per Nikonland.
  23. Vitantonio dell'Orto, per chi non lo conoscesse, è un fotografo naturalista professionista, le sue foto sono apparse su diverse riviste ed ha pubblicato dei libri, è stato presente anche su Nikon school. Il suo approccio alla natura è particolare, più che il bel soggetto, cerca di cogliere e di trasmetterci l'emozione del vivere la natura come un tutto. Ci conosciamo, sia pure "a distanza", da molto tempo così gli ho proposto di raccontarci la sua storia di fotografo e il suo punto di vista sulla fotografia di natura. Ne è uscita un'intervista ricca e sotto molti aspetti originale, buona lettura (e grazie Vitantonio!). Raccontaci qualcosa di te Sono un fotografo naturalista con un passato da informatico in un’azienda metalmeccanica: due cose del tutto antitetiche, a parte l’uso del computer; e se qualcuno immagina che sia arrivato alla prima scappando dalla seconda, non si sbaglia. Fotografavo già da molti anni: quando si è trattato di cambiare mestiere era semplicemente l’unica altra cosa che sapessi fare abbastanza bene da giustificare un’entrata economica. Non c’era alcuna particolare ambizione personale o vanità dietro la scelta, solo pura sopravvivenza. E passione, perché non è certo una carriera che si scelga per arricchirsi. Dalla fotografia di natura ho avuto molte soddisfazioni: pubblicazioni, riconoscimenti e il mio quarto d’ora di notorietà nel settore, ma le gratificazioni maggiori sono sempre arrivate dal semplice fatto di fotografare, di stare in natura. Mi sono sempre sentito un fotografo, anche se facevo altro, e non lo sono diventato di più solo perché ne ho poi fatto una professione. Una solitaria pianta di trifoglio fibrino tra quinte di equiseto acquatico, Norbotten (Svezia). Quando e come ti è nata la passione per la fotografia? Come ogni ragazzino ho sperimentato diversi hobby per poi abbandonarli quasi subito; questo fino al momento in cui ho preso in mano la mia prima reflex, la Olympus OM-1 di famiglia che nessuno usava. Sono passati quarant’anni da quel momento (ne avevo 17), e non avrei più smesso di tenere una fotocamera in mano, anche se allora non potevo immaginarlo. Ricordo di aver comprato un paio di libri di tecnica generale e uno di composizione e di averli consumati a furia di sfogliarli fino a mandarli a memoria. Prima la passione per la natura e poi quella per la fotografia o viceversa? Fin da piccolo sono stato un avido consumatore di libri, e quelli sugli animali erano i miei preferiti; conservo ancora l’esemplare di “Guarda e scopri gli animali” (magnifica serie di fine ‘60 basata su illustrazioni) sulla fauna artica. Un segno del destino, forse, visto che da tempo vivo in Scandinavia; o, più semplicemente, probabilmente attraversiamo la vita restando in gran parte gli stessi, in fondo, a dispetto di quel che ci piace pensare. Ciò detto, solo diversi anni dopo i due mondi sono andati a coincidere e mi sono dedicato esclusivamente alla fotografia naturalistica; per arrivarci ho dovuto prima maturare sia come fotografo che, direi soprattutto, come individuo consapevole. Crescita di lichene centrifugo su un ammasso di rocce moreniche, Norbotten (Svezia). In un'intervista ti sei definito un fotografo naturalista "a tutto tondo", cosa volevi dire, qual'è il tuo concetto di Wildlife photography? In natura sono ancora come un bambino nel proverbiale negozio di giocattoli: voglio vedere tutto, provare tutto, “possedere” tutto. Amo ogni suo aspetto e non sono mai riuscito a limitarmi a un sottogenere, nel fotografarla. Non è solo bulimia visiva, se mi si passa il termine: la natura è complessità, infinità di relazioni e interdipendenze, e ho sempre sentito la necessità di far corrispondere il mio sguardo a questa realtà nel modo più ampio possibile. So che può essere stato un fattore limitante rispetto alla qualità della mia produzione: ci sono ambiti ai quali non puoi fare a meno di dedicarti corpo e anima, meglio se in modo ossessivo, se vuoi raggiungere risultati di primissimo livello, ma il punto non è mai stato quello: ho sempre fotografato per soddisfare un impulso interiore, non tanto per ottenere un certo risultato, per scalare una qualche gerarchia di bravura. Inoltre, saper raccontare storie attraverso una varietà di punti di vista si è rivelato utile quando si è trattato di descrivere in modo completo ambienti e luoghi per articoli e reportage. Relitto e renne in corsa nella riserva naturale Sandfjorden, Penisola di Varanger (Norvegia). Cosa rappresenta per te la natura? C’è certamente il piacere infantile, fisico, di entrare in contatto con animali e piante, essere all’aperto, sentire il vento, gli odori; ma c’è molto di più. Considero la natura il valore assoluto: c’è il piacere intellettuale e spirituale di relazionarsi col tutto, di sentirsi parte integrante di un disegno magnifico seppur casuale. Anzi, magnifico proprio perché casuale: non ho mai capito perché occorra presupporre una volontà superiore, per di più antropomorfa, per poter apprezzare il mondo naturale; o l’intero universo, se è per quello. Le cose sono, e per me è sufficiente; il caso ha intessuto sull’ordito di poche leggi fondamentali – che esistono intrinsecamente – una trama che induce in me sconfinate reverenza e meraviglia. E le proporzioni immani riempiono di umiltà e restituiscono un senso alla nostra minuscola individualità: fai parte di qualcosa di più grande. Paiono concetti banali, letti mille volte: bisogna uscire e viverli con tutti i sensi per capire che non lo sono affatto. E ancora: il senso di innocenza che deriva da un sistema naturale in cui non ci sono colpe o responsabilità, non malvagità o malizia, in cui ogni essere partecipa allo schema complessivo con eguale dignità e importanza. Ci sono lezioni infinite da trarre da questa considerazione soltanto, e considerazioni infinite da fare oltre a questa. Ci sono tutte le risposte, nella natura: sapere quali domande porre è la parte difficile. Felci su un tappeto di piante di mirtillo nero, parco nazionale Fulufjället, Dalarna (Svezia). Quali aspetti della natura ti attraggono di più come soggetti fotografici? Gli animali sono stati per parecchi anni tra i soggetti prediletti; è stato un modo per conoscerli intimamente, per stabilire una relazione empatica che andasse al di là della conoscenza didascalica. Una delle gioie maggiori è un animale indifferente alla mia presenza: la sensazione di essere in qualche modo accettato, di non sentirmi un intruso, un ladro di immagini, è straordinaria. Anche per questo mi sono spostato verso altri generi: non sento più l’esigenza di carpire una foto per provare l’emozione dell’incontro; ho superato l’idea del possesso, e la presenza, il momento in sé sono sufficienti, un binocolo mi è suffficiente. Continuo a ritrarre animali, se è il caso, solo come elemento estetico e come punto di interesse all’interno di composizioni più complesse. Altri soggetti che ho sempre amato sono i fiori: sono stregato dalla grazia di forme e profumi (a proposito di banalità) così come dal dovermi abbassare a terra per fotografarli, quasi in un inchino. Ho trascorso alcune delle ore più serene della mia vita sdraiato nei prati aridi delle colline del primo Appennino, tra il profumo delle ginestre e i colori di mille orchidee selvatiche. Cinque pernici bianche nella tundra montana della riserva naturale Städjan-Nipfjället, Dalarna (Svezia). Cigno selvatico al nido in una palude presso Fagersta, Västmanland (Svezia). Cosa dà a te la fotografia naturalistica e cosa vuoi trasmettere agli altri con le tue fotografie? Armonia, sensazione di innocenza ritrovata, senso di appartenenza e di annullamento. Questo è quello che ci trovo io, e in modo istintivo, di pelle… in modo quasi animale, se mi è consentito il paragone; è una dinamica necessariamente molto personale. La fotografia è un modo per sintonizzarsi con la natura assecondandone il ritmo, respirandola attraverso una decodifica visiva che ti obbliga a essere lì, vivere il momento, approfondire, sentire, vivere. In questo senso non può che essere un processo interiore, difficilmente condivisibile, un processo che, paradossalmente, trascende il risultato che se ne ottiene, l’immagine. Questa diventa quasi un sottoprodotto; la scusa per stare là fuori. Un mezzo, non un fine. Ho sempre trovato maggiore gratificazione in tutto ciò che precede lo scatto che non nelle foto in se’. Poi queste “mettono gambe”, vivono di vita propria, e se hai lavorato bene qualcosa passa: sono le persone a raccontarmelo, ognuno vedendoci qualcosa di diverso, attingendo a qualche elemento personale che risuona con una determinata immagine. Cielo riflesso in un torrente di foresta, Dalarna (Svezia). Col tempo è cambiato qualcosa nel tuo modo di fotografare la natura, ad esempio adesso preferisci ritrarre altri aspetti della natura o comunque ritrarli in modo diverso rispetto ad una volta? Ho seguito, nel tempo, alcune inclinazioni rispetto ad altre, perché è naturale che la spinta interpretativa evolva e diventi più esigente: quel che prima ci soddisfaceva dopo non è più sufficiente, si cerca qualcosa di diverso, si sperimenta. Si capiscono delle cose e si passa a capire quelle che ancora ci sfuggono. Una delle svolte è l’aver abbandonato da anni la “caccia fotografica” propriamente detta; come già accennato ora preferisco fotografare animali in modo estremamente ambientato, un ingrediente dello scenario come altri. Oltre a ciò, mi dedico soprattutto al paesaggio cosiddetto “intimo”, visioni di proporzioni ridotte in cui lettura delle forme e composizione rigorosa hanno priorità rispetto alla spettacolarità fine a se stessa e alla grandiosità degli scenari. Certamente vivere nelle foreste svedesi ha avuto un ruolo in questo, poiché mancano prospettive imponenti e, viceversa, abbondano scorci ricchi di grazia e dettaglio ma di certo visivamente più circoscritti e dalla scarsa tridimensionalità; i boschi in genere sono ambienti magnifici (quantomeno quelli che ancora mantengono carattere di naturalità, sempre meno diffusi persino al Nord) ma fotograficamente ostici e questo è ancor più vero nel caso delle foreste di conifere: una sfida stimolante quanto frustrante. Per fortuna ci sono le betulle, il mio albero preferito, a salvare spesso la giornata. Una betulla in autunno, Dalarna (Svezia). Betulle e sottobosco di corniolo nano nei colori autunnali, Abisko, Norbotten (Svezia). Ad un certo punto della tua vita hai deciso di lasciare l'Italia e vivere in una piccola località della Svezia, nella regione che hai chiamato "Piccola Lapponia"… Mi sono trasferito nella Svezia centrale – ai piedi delle montagne della Dalarna, per la precisione – nel 2007. “Piccola Lapponia” perché ambienti e specie presenti sono in sostanza i medesimi dei grandi spazi lapponi un migliaio di chilometri più a Nord. Conoscevo già il paese e cercavo un’alternativa all’Italia; ho sempre percepito un sentimento di appartenenza in Scandinavia, per il tipo di natura e il clima, la rarefazione degli spazi e delle complicazioni della vita quotidiana. La scelta è stata facile. Ovviamente non si prende una decisione simile solo per amore della natura: il Bel Paese mi stava stretto per una serie di fattori che con natura e fotografia avevano poco a che fare, e molto invece con la civiltà e i costumi. Non è stato un passo facile, e non è ancora detto che resti definitivo, ma è stato tutto ciò che speravo che fosse, e qualcosa di più. Con mia sorpresa, espatriando ho finito anche per apprezzare alcuni aspetti dell’Italia, quelli che non notiamo per mancanza di confronti; il che, per certi versi, fa ancora più rabbia, al pensiero di come potrebbe essere. Una su tutte, per restare in argomento: la biodiversità, l’enorme varietà degli ambienti naturali presenti nello Stivale; la stessa diversità che peraltro esiste anche in ambito culturale e sociale, che in Italia è spesso vissuta come un ostacolo o un motivo di frizione laddove andrebbe considerata una ricchezza. Hälleskogsbrännan, in Västmanland (Svezia), è una riserva naturale che tutela 6.420 ettari interamente bruciati nel 2014, il più grande incendio svedese in tempi storici. Multi esposizione in ripresa. Tu hai usato soprattutto fotocamere ed obiettivi Nikon, come ti sei trovato? Ho sempre amato le fotocamere meccaniche e manuali, immagino sia un fatto generazionale. Quando si è trattato di cambiare il corredo Olympus ormai datato, erano gli anni 90, la casa giallo-nera offriva ancora corpi tradizionali; inoltre ho sempre trovato l’ergonomia Nikon superiore a quella della concorrenza. Le FM2n, F90x e F100 mi hanno accompagnato fino all’ineluttabile rivoluzione digitale ma, se i corpi si sono allineati alla modernità, con le ottiche ho percorso una strada inversa: non avendo più necessità di supertele o di performances estreme, oggi utilizzo obiettivi manuali che risalgono a più di trent’anni fa. Con Nikon posso sfruttare ottiche storiche che in alcuni casi si comportano meglio dei loro successori (“nuovo” non è sempre “meglio”, soprattutto se l’autofocus è superfluo). Ho poi aggiunto un corredo mirrorless APSC leggero per le uscite fisicamente più impegnative (e comincio ad avere un’età in cui lo sono tutte). Felci e carici in un bosco allagato nel parco nazionale Stenshuvud, Scania (Svezia). Qual è la foto, il portfolio, il progetto fotografico da te realizzato a cui sei più affezionato? C’è uno scatto così, in effetti: l’immagine di una rapida vicino casa su cui il sole novembrino proietta il riflesso della foresta circostante. Questo assume tinte dorate e tinge la corrente scolpita in forme plastiche, incorniciate dalla spuma resa fluida dall’esposizione prolungata. Avrebbe dovuto essere altro, in realtà: un merlo acquaiolo si era involato dal ghiaccio emergente, e ne ho atteso a lungo il ritorno, invano. Lo scatto ha coinciso con la mia nuova vita scandinava e incarna la mia concezione dell’immagine di natura (oltre a essere uno dei miei più venduti): partire dal reale per interpretarlo, trasfigurarlo, tradurlo in emozioni – se possibile – ma senza tradirlo o “migliorarlo” in modo artificioso e posticcio; non c’è quasi ritocco in quella foto, ma molti tra coloro che la vedono dicono “sembra un quadro” (altri credono che lo sia), provando in tre parole quel che cerco di mostrare: la magia che nasce da una raffigurazione onesta della natura, ma non per questo “oggettiva”, mera rappresentazione documentale, bensì uno sguardo personale che resti fedele al materiale di partenza. Assolutamente non la mia miglior foto, ma una che sicuramente mi rappresenta. Salti d’acqua illuminati dai riflessi del sole novembrino sulla foresta; foto citata nel testo sopra , Dalarna (Svezia). Fra i miei studenti all'Università ce n'è qualcuno che vuole diventare fotografo di natura, ma c'è un futuro per la professione di fotografo naturalista? Qualche anno fa gli avrei detto: “È difficilissimo, ma non rinunciare a priori ai tuoi sogni; non c’è nulla di meglio che far coincidere passione e lavoro” (quest’ultima affermazione non è sempre vera, ad essere del tutto onesto). Nel frattempo il mondo è cambiato, e non in meglio. Quello della comunicazione e della divulgazione in particolare è uscito stravolto dagli ultimi dieci anni ancor più di quanto non lo fosse già stato dai dieci precedenti. È scomparso un intero ecosistema, molti operatori hanno sentito la terra franare sotto i piedi (a partire dal sottoscritto). A quella domanda oggi risponderei: “Aggrappati con le unghie al primo lavoro dignitoso che trovi; con quello mantieniti e pagaci anche la passione fotografica e i costi (a volte notevoli) che implica. Ma in quella buttati a corpo morto: le vere soddisfazioni arrivano dal praticarla, a prescindere”. Se sarà il caso si potrà sempre aspirare a qualcosa di più in seguito: con marcate capacità organizzative, didattiche, di autopromozione e soprattutto di empatia nelle relazioni interpersonali, si può immaginare di guadagnare qualcosa con la docenza fotografica; allo stesso modo, padroneggiando le tecniche più sofisticate e con una vasta conoscenza naturalistica, è ancora possibile pubblicare a (scarso) pagamento, soprattutto scegliendo ambiti specializzati e poco frequentati. Tutto questo, tuttavia, richiede intuibilmente anni di esperienza, e non solo in campo fotonaturalistico. Rinnovamento nella foresta matura, parco nazionale Fulufjället, Dalarna (Svezia). Pino silvestre ricoperto di galaverna, Dalarna (Svezia). Come vedi l'evoluzione dell'editoria nel settore della fotografia di natura? La crisi dell’editoria aveva già ridotto gli interlocutori disponibili nel mercato asfittico della foto di natura (soprattutto in Italia), poi è arrivata la fotografia digitale, con la disponibilità di masse di immagini a basso (o nessun) costo, la facilità di veicolazione delle foto da parte dei singoli e il crollo della qualità richiesta per fruirne (un conto è pubblicare su una rivista, un altro sul web). Oltretutto il pubblico si è abituato alla gratuità e la maggioranza preferisce guardare gratis foto qualsiasi in bassa risoluzione che spendere per apprezzare quelle buone nel modo che meritano; e, lasciatemelo dire, col tempo sta perdendo la capacità di distinguere le prime dalle seconde. Oggigiorno i servizi all’individuo sono rimasti quasi l’unico modo per monetizzare la propria arte. Non è un caso che ci sia stata una proliferazione di corsi e viaggi fotografici. Non si vendono più le immagini, si vende se stessi pubblicizzandosi attraverso le proprie immagini. Da un lato è stata una rivoluzione drammatica; da un altro lato, come avvenuto in altri comparti economici, la semplificazione del modello di business, l’eliminazione di filtri e intermediari, rendono possibile a chiunque di contattare direttamente chiunque altro via social network ecc. Ne consegue, però, che l’offerta è enorme, poco discernibile per meriti (proprio per la scomparsa di intermediari professionali in grado di filtrare e promuovere la qualità: il ruolo della vecchia editoria) e la qualità richiesta è in media di basso livello (con un aumento esponenziale dell’offerta). Si vive, in sostanza, il paradosso comune in questa età della connessione permanente continua: chiunque può comunicare qualsiasi cosa al resto del mondo; gli strumenti per farlo sono a portata di tutti, ma pochi hanno qualcosa da dire o che valga la pena di essere ascoltato, meno ancora quelli in grado di farlo propriamente, e ancora meno quelli che ne ottengono un qualche profitto. Non mancate di visitare il sito web di Vitantonio QUI, ricco di immagini e QUI potete trovare un'anteprima del suo libro "La mia Svezia". Silvio Renesto per Nikonland Tutte le foto (c) Vitantonio dell'Orto.
  24. Non sono un naturalista da grandi avventure, mi accontenterei dei mie miei giri in garzaia, nelle risaie e nei fossi, dove in primavera si ha la rinascita di tante piccole e grandi creature. Gli Ardeidi intenti a costruire il nido: Gli Svassi amorevoli genitori O formidabili pescatori E tutti i piccolini, a cominciare dalle raganelle che fanno meditazione La Mantide, Femme fatale... Le mie preferite, le Libellule che proprio in questo periodo cominciano a emergere dalla forma larvale. Per poi riempire l'aria dei loro voli acrobatici e letali, E tanti altri ... Ma non li hai già fotografati un milione di volte, non ne hai abbastanza? Certo che no, almeno per due ragioni: sono come degli amici, andarli a trovare è sempre un piacere, fotografarli mentre fanno le loro cose è sempre bello. E poi si spera di fare foto sempre migliori, più belle, più interessanti. E non dimentichiamo che ogni tanto ci sono le sorprese. Erano più di dieci anni che andavo all'Oasi dell'Alberone, e fino all'anno scorso, non l'avevo mai vista, e poi eccola lì, regalo inaspettato: L'avevo fotografata, male, sul Ticino tredici anni fa e poi mai più vista. Ritrovarla è stata un'emozione. Si ama quel che si conosce, si fotografa quel che si ama, solo così rimane la passione.
  25. Nello spirito delle "pulizie primaverili" e per allinearsi al nuovo corso Nikonland 3.0, mi sembra utile spiegare cosa mi aspetterei di vedere in questo club e, soprattutto cosa sarebbe meglio evitare, per avere idee più chiare e sperare in una partecipazione produttiva. Il club si chiama "Fotografia Naturalistica" che in inglese si traduce con Wildlife Photography, ovvero "Fotografia dedicata alla vita selvatica", animali, piante, funghi (possibilmente nel loro ambiente naturale) con una connotazione estetica ma anche di conoscenza. Per cui: Wildlife Photography non è Pet photography: il vostro cane, il vostro (e mio) gatto, criceto, canarino, mucca, pitone, tarantola o pesce rosso, qualunque animale da compagnia che ci giri per casa in giardino o o nell'acquario non è Fotografia naturalistica. Altrimenti il Club si dovrebbe chiamare " Fotografie di Animali e Piante" ed allora ci sta dentro tutto e non si capisce niente. Le foto dei nostri amici mettiamole da qualche altra parte, ok? Questo club è un club principalmente fotografico. Nel forum sono bene accette segnalazioni, richieste di identificazioni e simili, ma nelle gallerie e nei post fotografici (che dovrebbero essere la maggioranza) ci si aspetta di vedere soprattutto foto di qualità fatte al meglio delle proprie possibilità, come composizione, luci e quant'altro. In pratica questo club non è come Naturamediterraneo, eccellente forum di informazione e divulgazione naturalistica, in cui c'è anche un piccola sezione di fotografia naturalistica, ma per il restante 90% le foto sono solo a scopo informativo e/o documentativo e visto lo scopo, giustamente, poco importa che siano ben a fuoco, illuminate, composte, fatte con la compattina , il cellulare o chissà cosa. Qui è il contrario, un club dove presentare belle foto che ha anche uno spazio per identificazioni e segnalazioni. La fotografia naturalistica non è nemmeno fotografia "fantasy", mi riferisco a quelle poetiche (a volte inquietanti) invenzioni, che danno un'immagine distorta, diseducativa, della natura, che è l'esatto contrario della fotografia naturalistica. Ambientazioni false, fotografie di interazioni impossibili fra soggetti incompatibili, intesi come modelli a scopo creativo, si possono definire in qualsiasi modo che so, concept art?Non ne ho idea, ma il loro posto non è qui. Come ho già scritto , una Bambina col mantellina rossa che abbraccia un Pastore Cecoslovacco (intendo il cane di quella razza che più di tutti somiglia al Lupo) non è naturalistica. Ma allora che foto mettiamo qui? Non possiamo limitare i contributi alla fotografia naturalistica "dura e pura" alla Valerio e Massimo (Vignoli), altrimenti di foto se ne vedrebbero ben poche. Quindi siamo elastici, ma con onestà, magari dichiarando le condizioni di ripresa. Vanno bene: Foto naturalistiche vaganti o da appostamento nel territorio (quelle "dure e pure") Ballerina gialla che ha pescato un pesce, Calolziocorte (LC) senza capanno. Ballerina Gialla, tutto come sopra Ibis in Risaia , dall'auto. Foto in oasi naturalistica senza mangiatoie e altri richiami (ad esempio Torrile o Marcaria) Spatola a Torrile, foto da capanno. Foto da capanno attrezzato (con attrezzato si intende con presenza di cibo che attira i soggetti, che siano i passeriformi nel Monferrato o gli Orsi in Finlandia). Frosone , da capanno con mangiatoia ed abbeverata. Foto di animali che hanno colonizzato le città, Gazze, Cornacchie, Passeri, Falchi, Ratti, ma anche Aironi, Gabbiani e tanti altri animali si possono trovare in contesto urbano o periferico e si possono fare foto molto interessanti e significative. Airone Cenerino sul tetto a Pescarenico (LC)ù Airone Cenerino al Parco Nord Bresso/Cinisello/Milano. Nel contesto di natura urbana ci stanno anche gli invasori come queste tartarughe americane. Macrofotografie di animali e piante "sul campo", che non abbiano comportato manipolazioni a danno dei soggetti sempre, ma soprattutto se volte allo scopo di creare surreali scenette fantasy di cui ho già scritto sopra. A rigor di logica, come la pet photography non è fotografia naturalistica, così non lo è la garden photography; ossia la foto alla Begonia, Petunia, o altra specie non "spontanea". E gli Zoo-Parchi ? Ehm... hum... mah ... Le foto in uno zoo possono essere indubbiamente interessanti se contestualizzano lo zoo, magari come messaggio. Procione reso "obeso" dalla prigionia. Bayerische Wald. Altrimenti il soggetto a volte rischia di diventare fine a se stesso, o che le foto vengano "strane": Ad esempio un leone che passeggia su un prato rasato all'ombra di un abete, beh, fa strano. In senso stretto, un animale fuori dal suo ambiente non è proprio una foto naturalistica, ma qui non si vuole essere troppo restrittivi, per cui se a qualcuno piace il genere e gli riesce di fare belle foto di un animale allo zoo, va bene. Lince al Bayerische Wald, che in fondo è un grosso parco zoologico. La foto non è molto bella. A volte nei parchi si ottengono buoni ritratti come per questi lupi del Bayerische Wald. Spero di avere chiarito quali sarebbero gli intenti di questo club, aspetto le vostre foto con entusiasmo e perchè no, osservazioni e commenti qui di seguito.
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