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Un tempo l’inverno era fatto di freddo, tramonti lunghi e luci sempre diverse, fotograficamente irresistibile. Poi qualcosa ha cominciato a cambiare, lentamente; da un inverno al successivo si sono ridotte le brine, il ghiaccio nei fossi è pian piano scomparso, fino all’ultimo inverno il 2022-23 in cui praticamente, non mi sono mai trovato a combattere con il freddo. E si combatte, eccome, se si resta immobili, nascosti sotto una rete mimetica per 2-6 ore. Ho percorso i mesi dell’anno 2022 esplorando il mio fiume Sesia che qui, nella bassa appena a nord di Vercelli, offre ancora qualche tratto di carattere selvaggio. D’inverno, da 7 anni a questa parte, qui arrivano le Gru. Arrivano dalla Lituania, cosa avran trovato di speciale nei campi brumosi di stoppie, lo san solo loro, ma tant’è ed io le inseguo, da anni, con pervicacia. Le aspetto la sera sui greti del fiume, appena prima che l’ultima luce sbiadisca e rimanga solo la notte blu e scura. Per fotografare nelle ore del crepuscolo la Nikon D3 era il massimo, ma lo era quando gli inverni erano ancora freddi; ora ho una Nikon D5 cambia la qualità del file, ma non la procedura di ripresa, che rimane farraginosa. Nella notte non esiste fotocamera in grado di focheggiare automaticamente, si deve operare in manuale, ma c’è un problema: il mirino ottico ad f/4 è buio anche per l’occhio di un gufo. Sono perciò costretto a traguardare (a stima) la messa a fuoco del 600mm per poi verificare, sul display posteriore, la nitidezza del piano di fuoco e correggerla fino ad intercettare il punto desiderato. Difficile ma non impossibile, in pochi scatti si trova la quadra, e le gru, 7 anni fa con la D3, le ho potute fotografare solo così. La Nikon D5 è un bel passo avanti, con 600mm f/4, ISO 8000, mUp, autoscatto, treppiede pesante, t=1/2-6s e garanzia di rumore contenuto, sono pronto. Ma loro non vengono, cioè si, ma scendono troppo a nord o troppo a sud o non scendono affatto. Provo 4-7-10 volte ed arriva la primavera; le gru a marzo sono già un ricordo e fa subito caldo. Per il terzo anno di fila, le gru mi hanno gabbato; così le precipitazioni, che sono state scarsissime; i giorni cielo limpido, si sono succeduti, tutti uguali, per mesi. Queste giornate assolate sono tutte qui, in questo fiume che è l’ombra di sé stesso; i greti sbiancati sono inghiottiti dalla vegetazione e l’acqua è ridotta ad un corso lento, direi stanco. Ed è difficile anche solo inquadrare un germano, perché non ce ne sono più, come le gallinelle, i martin pescatore e i tuffetti, anche loro spariti. Qualche raro cormorano e poche le gazzette. Invece è diventato “normale” incontrare i caprioli ed anche i paurosi ma scaltri cinghiali. La primavera si scioglie nell’afa dell’estate, non mi accorgo del cambio, sono troppo sudato e indaffarato a difendermi dalle zanzare. I gruccioni garriscono in cielo e io tiro notte con la fedele D5 aggrappata al 600/4 VR che inquadra quel poco che passa. Una giovane nitticora a caccia di rane, ma ora è troppo buio, passo al 200/2 VR II ed eccomi faccia a faccia con un capriolo che, nell’oscurità, non mi distingue; la D5 tiene il fuoco sul musetto, tre scatti ad 1/50s f/2 per 8000 iso; mi tradisce il clack della reflex e il cornuto (è un fatto) se ne va abbaiando (il capriolo fischia e abbaia, anche questo è un fatto). L’autunno è un sollievo, un po’ di fresco rasserena, ma niente pioggia autunnale, ancora cieli azzurri. Mi sposto nel bosco, tra rane, funghi e scoiattoli “nervosi”, qui piazzo un capanno fisso che mi regalerà dei bei ritratti di uno spavaldo pettirosso. Sono circa le 7.00 del mattino sul finire di novembre e, da dentro il capanno, sento il richiamo delle gru; ho da poco le nuove Nikon Z9, le sto provando, le sto conoscendo e comprendo che il mirino elettronico potrà fare la differenza proprio alle riprese delle gru. L’EVF amplifica il segnale rendendo visibile ciò che altrimenti non sarebbe. Con al Z9 non devo più traguardare, devo GUARDARE. E’ ormai gennaio, convinco l’amico Massimo a seguirmi sul Sesia con il suo nuovo Nikon Z 600/4 TC perché con due punti di osservazione, è matematica, si raddoppiano le probabilità. Scelgo un detrito fluviale lungo il greto, guarda a nord, stendo le mimetiche e mi infilo sotto. Massimo resta su un’ansa che punta a sud dove lo scorso anno le ho viste posarsi. Lo stormo arriva, saranno 200 gru, e si posa sul greto a circa 150 metri, al limite del campo inquadrato dal mio 600mm. Sono le 17.30, significa f/4 per 10000 iso t=1/30 in rapido aumento. Metto in DX mode, autoscatto 2s, non mi serve nemmeno lo scatto a filo, pochi momenti e tutto finisce, ormai è troppo buio. E così finisce anche un inverno breve come non ne ricordo. A marzo nel giro di una settimana il bosco da grigio diventa verde brillante. Un sabato pomeriggio di metà aprile, seguo una pista tra fiume e bosco, arrivo ad radura tra gli alberi e qui arrangio un camuffamento volante sotto le fronde di un nocciolo. Passa meno di un’ora e da sud, prima un fruscio poi il movimento: un capriolo viene dritto verso di me. Oriento il 600mm lentamente nella sua direzione, non vedo più nulla, è sparito, ma è lì per forza sarà a 30 - 40 metri. Passa un bel quarto d’ora di silenzio rotto solo dalle pernacchie di una ghiandaia; mi rassegno e cerco una posizione più comoda, ma eccolo, è una femmina dietro la siepe, spunta il muso e ci guardiamo. Scatto a raffica, vedo i suoi occhi neri enormi che mi fissano, le orecchie tese verso di me, non si muove. Non sto facendo alcun rumore, non c’è nessun clack a tradirmi, solo l’occhio tondo (gigante) del 600mm. Lo sposto millimetricamente, se ne accorge e fugge. Il giorno appresso nello stesso punto cercherò di inquadrare una famiglia di furbissimi cinghiali, fallendo miseramente. A breve la primavera diventerà estate e questo luogo diventerà intollerabile, ma non per me, giuro, non per me.
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Jorgos ha da poco pubblicato una bella foto di una specie rara detta Gabbiano del Pallas (o di Pallas). Chi è naturalista per passione o per professione ha senz'altro sentito nominare più di un Pincopallino di Pallas, cioè di una specie animale il cui nome comune è composto da questo curioso attributo. Ma chi era Pallas? Peter Simon Pallas era un naturalista tedesco, nacque e morì a Berlino (1741-1811) uno di quei naturalisti dei tempi, fra fine Settecento e inizio Ottocento, del fiorire rigoglioso di scoperte in campo delle scienze naturali: minerali, piante, animali e fossili. A quei tempi buona parte delle regioni della Terra più lontane dalla vecchia Europa ed inospitali, erano ancora da esplorare. Pallas girò il mondo con spedizioni scientifiche e fece una quantità enorme di scoperte, descrivendo una quantità incredibile di specie nuove, quasi centosettanta (che invidia) fra pesci, uccelli, mammiferi e così via! Solo per dare una piccolissima idea della varietà delle specie da lui descritte: Alca Minore Crestata Alcyonum cristatus, un corallo: L'Antilope azzurra: L'Allocco degli Urali: La "Stregona dentellata" Saga pedo: Il Piovanello tridattilo: Il Beluga: Il Cuon (Se avete letto i racconti dei Libri della Giungla di Kipling l'avete incotrato con il suo nome indiano, "Dhole", o Cane Rosso, è un feroce predatore). La Gazzella di montagna: E non ci facciamo nemmeno mancare le piante, Salicornia: A quei tempi i naturalisti erano personaggi eccezionali tanto da stimolare la fantasia degli scrittori, Pensate al "Mondo Perduto" di Conan Doyle o al "Viaggio al Centro della Terra di Jules Verne. Erano naturalisti che sapevano di Zoologia, di Botanica e di Mineralogia ed avevano la fobra per girare luoghi inospitali del mondo con i mezzi e le condizioni dei tempi loro. Come Darwin, che tutti conosciamo, o come Steller, che conosciamo un po' meno (ma nelle sue spedizioni artiche anche lui fece una gran quantità di scoperte e ci sono un sacco, forse più piccolo, di Pincopallino "di Steller"). Pallas, oltre alle centinaia di specie animali, fu tra i primi a scoprire i resti congelati del Mammut in Russia, arrivò ad occuparsi anche di meteoriti per cui un tipo di meteorite, la "Pallasite" prende il nome da lui. Perdonatemi l'entusiasmo e la noia che posso avervi provocato, ma vi confesso che che se mai avessi degli idoli, se mai volessi essere come qaulcun altro, vorrei essere uno di questi naturalisti ,Pallas, Steller, ma anche del nostro secolo (anzi, ormai in quello scorso!) Schaller... Va da sè che uno studioso così prolifico diventò molto famoso, così oltre alle specie "di Pallas" perchè da lui scoperte e descritte, ci sono anche decine di specie a lui dedicate da altri. La più tenera, il Pika di Pallas: Quale sarà la specie scoperta da Pallas a cui sono più affezionato? Troppo facile, è lui: Il Gatto di Pallas (Octocolobus manul)! Piccolo, burbero felino delle montagne dell'Asia centrale! Grazie per la pazienza a chi ha letto fin qui. PS Ah, l'uccello nel banner è l'Alca minore pappagallo (descritta da Pallas, naturalmente) Foto prese da Internet a puro scopo illustrativo, copyright free o degli aventi diritto
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Il titolo è quello di una raccolta di poesie di Trilussa, oltre a suscitare curiosità, si presta al discorso . Come ho già scritto, sto tentando di realizzare un portfolio sui gatti di strada, ispirato da autori celeberrimi quali Edward Weston, o almeno famosi come Masayuki Oki ma soprattutto da Sabrina Boem . Questa avventura mi sta dando molto, anche sul lato umano. I gatti per strada che si vedevano qualche decennnio fa sono diventati rari se non rarissimi. Oggi sono concentrati nelle "colonie feline", dei gruppi di gatti senza proprietario che spontaneamente si sono radunati a condividere un territorio che sembra loro tranquillo. Le colonie feline vengono censite dai Comuni e ci sono leggi che le tutelano (se, quando e come si può e si vuole). Sono incaricati dei volontari(e) definiti gattare(i) che se ne occupano quotidianamente (se ce la fanno). Ci sono anche numerose associazioni di "Amici dei Mici" che cercano di sostenere le gattare, procurare alimenti, curare i gatti per evitare il diffondersi di epidemie e sterilizzarli per limitare la diffusione del randagismo. Insomma, c'è tutto un mondo dietro. Non intendo fare della sociologia o psicologia spicciola sui perché, nè discutere se ci sia (spesso c'è) un po' di fanatismo dietro ad alcune di queste realtà, nè sul fatto indubbio che ci sono altre creature della nostra stessa specie altrettanto o più bisognose di aiuto. Ciascuno si relaziona con il prossimo, umano o animale, come può. Il randagismo felino, come per quello dei cani, è comunque opera dell'uomo e quindi non mi sembra sbagliato se qualcuno se ne occupa, cercando contemporaneamente di contenere il fenomeno. Anche perchè, entrando in contatto con le Gattare, ho sentito storie di abbandoni, violenze e torture raccapriccianti, o anche comportamenti ossessivi (decine e decine di gatti tenuti chiusi in una soffitta per "amore") da far rabbrividire. Più o meno come certi uomini fanno ai loro simili, purtroppo. La cosa mi attrae da più punti di vista, perchè un po' gattaro (o meglio catofilo) lo sono sempre stato, per il lato umano come ho già scritto, ma anche perchè è diverso dalla fotografia agli animali che faccio di solito, si avvicina di più allo street o al reportage, con mio grande divertimento. Con i gatti c'è interazione, mi vedono, sanno che li sto osservando e reagiscono, secondo il loro carattere, che cambia molto da individuo a individuo, che vanno dallo struscio alla fuga con in mezzo tutto quel che ci può stare compresa l'indifferenza. C'è coinvolgimento emotivo. Una delle maggiori difficoltà è individuare le colonie feline "giuste".Perlomeno in ambiente metropolitano e di periferia urbana. L'ubicazione delle colonie spesso non viene divulgata perchè ovviamente c'è poco da fidarsi,oppure se ne riesce ad individuare qualcuna ma spesso sono poco interessanti quando non desolanti, o dei luoghi dove non è salutare andare in giro con attrezzature costose; perchè i gatti, come accadde ai pellirosse ad opera dei visi pallidi, vengono confinati in "riserve" dove nessuno vuole stare. Altre colonie sono in giardini condominiali, altre volte le trovi ormai "vuote" perchè i gatti sono stati allontanati per via di lavori edilizi, avvelenati da umani infastiditi dalla loro presenza, o semplicemente perchè chi se ne occupava (di solito persone di una certa età) non può più farlo e i gatti lasciati a se stessi senza cibo, sconfinano e si disperdono. Cimiteri ed ospedali spesso ne ospitano, ma per i cimiteri occorre delicatezza, quando non un'autorizzazione per fotografare, e negli ospedali, beh... A Milano per ora la migliore che ho trovato come spunti interessanti è quella del Castello Sforzesco, dove una gattara famosa e a volte coadiuvata da altre persone (per lo più anziani), si occupano dei felini. Cè un po' di disturbo, dovuto a turisti forse troppo espansivi, ma non si può avere tutto. Le gattare e i gattari invecchiano e il ricambio è molto scarso, questo non promette nulla di buono per i gatti di strada. LE FOTO CHE MI RITRAGGONO SONO DI GIANNI RAGNO.
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sigma 100-400 [Fotografia Naturalistica] Safari in Tanzania con il Sigma 100-400
Sakurambo posted a blog entry in Sakurambo's Blog
Questo mio scritto vuole essere solo una breve descrizione di quanto sperimentato sul campo durante il mio primo safari fotografico. Avendo deciso di fare questo viaggio mi sono rapidamente reso conto di avere bisogno di una lente a lunga focale per non ritrovarmi in difficoltà una volta sulla jeep. In effetti, posso anticipare che ci sono momenti nei quali anche 400mm ( su Full Frame ) rischiano di diventare pochi. Anche se poi la tecnica ci insegna che le lunghe focali non servono a fotografare lontano ma a riempire il fotogramma... Avendo una Nikon D800 ho cercato tra le varie possibilità offerte e subito la scelta si è ristretta a poche lenti, ancora più ristretta dopo aver verificato i costi di acquisto. Insomma, incoraggiato anche dai test fatti qui su Nikonland, ho deciso di prendere il Sigma 100-400. Oltretutto il più leggero e compatto nel lotto dei contendenti. Una volta in viaggio ho, forse anche forzatamente, utilizzato il Sigma per ogni genere di inquadrata, più volte a discapito del Nikon 24-120 f4 che copriva la parte "corta" del mio corredo. Quindi, a seguire, trovate tutte immagini scattate con la D800, senza uso di filtri fisici, ma solo postprodotte con Lightroom sl mio Mac. IS0 1250 - 1/2500sec - 400mm - f6,3 ISO 1250 - 1/4000 sec - 100mm - f5,6 ISO 1250 - 1/2000 sec - 400mm - f6,3 ISO 1250 - 1/8000 sec - 220mm - f6,0 ( LEGGERO CROP ) ISO 800 - 1/2500 sec - 400mm - f6,3 ( LEGGERO CROP ) ISO 800 - 1/1000 sec - 400mm - f6,3 ISO 400 - 1/1250 sec - 400mm - f6,3 ( CROP SOSTANZIOSO QUASI A FORMATO DX ) ISO 400 - 1/2000 sec - 112mm - f6,3 ISO 400 - 1/500 sec - 400mm - f8,0 Commenti ben graditi.