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  1. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Busoni : Elegien, Toccata, Sonatina super Carmen
    Bach/Busoni : Toccata, Adagio e Fuda BWV 564
    Peter Donohoe, pianoforte
    Chandos 1/8/2021, formato HD, via Qobuz
    ***
    Questo é il primo disco di Peter Donohoe per Chandos. Ma non è il primo dedicato a Busoni. Ricordo il Concerto per pianoforte e orchestra del 1988 che seguiva la prima registrazione assoluta fatta da Ogdon nel 1967.
    Pianista raffinato, colto, con una tecnica trascendente ed impegnato ad esplorare le più intricate trame della musica pianistica del periodo decadente, come lo considerava Busoni, cioé dopo Liszt.
    Rimando alle note scritte da Donohoe per spiegare il suo rapporto con Busoni che caratterizzano la chiave di lettura di questo impegnativo disco. Le riporto sotto perché difficilmente io saprei riassumerne il carattere senza travisarne magari il senso ma senza in alcun modo voler ledere i diritti d'autore. Vogliamo invece con questa recensione rendere giustizia sia al "nostro" Busoni, spesso trascurato ingiustamente in patria, e allo stesso Donohoe che se ne fa apostolo.


    Cominciamo dal suono, teso e con volumi sinfonici. In questo disco non c'è un attimo di tregua. Difficile "digerirlo" per intero tutto di seguito.
    Né, credo, l'avrebbe voluto Busoni, essendo le composizioni a programma distanti tra loro.
    La monumentale Toccata è del 1921 (Busoni mancherà nel 1924) e riporta in calce una citazione di Frescobaldi : ‘Non è senza difficoltà che si arriva al fine’. E come non capirlo.
    Le Sei Elegie e la Berceuse sono del periodo matura (1909), la Sonatina super Carmen è ancora del periodo ultimo (1920) mentre la Toccata su Bach BWV 564 è del 1899.


    Andando all'interpretazione di Donohoe, devo dire che l'intero disco mi lascia un pò perplesso, nonostante le recensioni entusiastiche che ha avuto in patria.
    La Toccata, ascoltata per mano del grande Ogdon mi sembra meno brillante, un pò limitata nelle dinamiche. Molto scura.
    Impressione che rilevo anche nelle Elegien, al limite dell'oppressivo.
    Il feeling diventa alla lunga stancante e quando che il Bach/Busoni finale mi faccia cambiare idea, invece al confronto con la grandiosa, vivida e brillante interpretazione della stessa pagina di Horowitz, purtroppo resto ancora deluso.
    Pure le Elegien che non sono un ascolto che raccomando in una giornata come quella odierna - qui da me c'è il cielo cupo - ascoltate da Carlo Grante (Music and Art of America 2019) mi sembrano più ... "elegiache", rotonde, voluminose e ... a tema secondo le indicazioni in tedesco o in italiano dell'autore.
    Insomma, disco pregevole, ottimamente registrato che contribuisce allo sforzo di conoscenza di un'autore importante ma molto sottovalutato ma che nell'insieme mi sembra più sacerdotale che musicale.
    Mi sbaglierò ma rimando ai confronti citati per una visione più gratificante, se non sul piano musicologico, credo su quello musicale.

    Una nota dell'esecutore
    Il tradizionale repertorio di recital pianistico tradizionale era – almeno fino alla fine dell'era romantica – dominato principalmente dagli stili germanico e, successivamente, russo, più forse l'opera più associata al pianoforte, quella di Chopin. Le opere pianistiche dei compositori italiani raramente figuravano nei programmi di recital. Ciò continuò fino al ventesimo secolo, essendo l'Italia per lo più associata all'opera e ad altre musiche vocali dalla fine del diciottesimo secolo. Poi la fine dell'ottocento vide i grandi cambiamenti stilistici in gran parte determinato dall'ondata di influenza della musica - molto spesso con caratteristiche nazionali basate sulla musica popolare - da molti altri paesi, in particolare la Francia (Saint-Saëns, Debussy, Ravel, Fauré), i paesi nordici (Grieg, Sibelius, Nielsen ), Spagna (Albéniz, Granados), Ungheria (Liszt, Bartók), Russia (Mussorgsky, Rachmaninoff, Stravinsky) e, soprattutto per questi scopi, Italia (Busoni, Casella, Malipiero, Respighi).
    Principalmente per questo motivo, la mia conoscenza delle opere pianistiche italiane era molto scarsa, finché un giorno, nel 1981, fui avvicinato da un brillante musicologo e storico, John C.G. Waterhouse (1939 – 1998), specializzato (anche se non esclusivamente) nella musica italiana, in particolare quella scritta in tempi più recenti. Esattamente il motivo per cui mi ha chiesto specificamente di creare un programma di recital basato sulla musica per pianoforte italiana del secolo, allora presente, si perde nella notte dei tempi, ma comunque lo ha fatto. Ed è stato un momento molto significativo nel mio sviluppo; così facendo mi ha fatto conoscere diversi lavori solisti straordinariamente gratificanti di cui ero stato quasi totalmente all'oscuro fino a quella fase della mia vita musicale.
    Al centro di questi c'erano ovviamente le opere di Busoni, originario del nord Italia dove la consapevolezza della cultura, in particolare austro-germanico, dei paesi confinanti era al suo apice. Era un vero vagabondo e ha vissuto e lavorato in molte parti diverse del mondo, assorbendo influenze culturali da diversi centri europei, oltre a Mosca e Boston. Le sue naturali capacità pianistiche erano probabilmente pari a quelle di Liszt, la sua conoscenza musicologica era sconfinata. La sua consapevolezza della fine di un'era musicale verso la fine del secolo, il suo spirito audace nel tentativo di aprirne una nuova e la sua profonda comprensione e rispetto per la musica del passato, in particolare quella di Bach, Mozart, Liszt e Chopin – fece di Busoni un protagonista del tempo. Queste qualità si fondevano con la sua personalità, una straordinaria combinazione di malizia, diabolicità e visione megalomane – quest'ultima esemplificata dal suo immenso Concerto per pianoforte – che ne fece una figura affascinante. Quest'ultimo lavoro ha giocato un ruolo molto importante nel mio apprendimento e nella mia esperienza di performance durante il decennio successivo alla mia associazione con il professor Waterhouse, un periodo che è culminato in una registrazione live di un CD dei BBC Proms del 1988.
    Per me, all'epoca, si è rivelata una curva di apprendimento molto ripida, ma per la quale sarò sempre in debito con il signor Waterhouse. Le prime opere che mi presentò furono le Elegien di Busoni, due delle quali incluse in quel recital spartiacque che ha creato per me. Ricordo di essere stato particolarmente colpito dall'atmosfera e dalle correnti sotterranee del secondo, 'All' Italia!', in cui Busoni mostra non solo affetto per il suo paese natale, ma un lato oscuro molto inquietante, e offre una panoramica completa della sua caratteristica originale scrittura pianistica. Certo, c'è un'influenza molto evidente da parte di Liszt, ma c'è anche un'esplorazione completamente indipendente del mondo sonoro dello strumento, in particolare il conflitto tra tonalità maggiori e minori, una caratteristica che Busoni ha usato sempre di più man mano che la sua musica maturava. Le altre sei Elegie completano una serie di grandi opere che costituiscono un distillato di ciò che Busoni rappresentava; presentano ogni stato d'animo immaginabile: mistero, religiosità, umorismo, birichinata, calma maestà - tutti sono rappresentati in uno stile davvero originale che trabocca di sperimentazione armonica e imprevedibilità, e una capacità di rendere il suono del pianoforte molto più ampio di un solo strumento.
    Esplorare le sue altre opere per pianoforte è stata inevitabilmente una grande gioia per me - è stato citato un artista importante che ha affermato che la Toccata di Busoni è la musica più difficile che abbia mai suonato; Non andrei così lontano, ma è sicuramente immensamente impegnativo, così come la Sonatina super Carmen. Tuttavia, tra i più esigenti, e al allo stesso tempo più gratificante, è la precedente trascrizione di Busoni della sublime Toccata, Adagio e Fuga in do maggiore di Bach, originariamente per organo. La Toccata, in particolare, mi ha sempre colpito come uno dei brani più gioiosi della storia della musica strumentale, e la trascrizione di Busoni certamente fa emergere quella gioia.
    Il contributo di Busoni alla storia musicale del Novecento è inestimabile e mi sento molto arricchito dai diversi decenni della mia esposizione ad esso.
    © 2021 Peter Donohoe
     
  2. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Claude Debussy : Préludes, Book 2, Children's Corner, L'isle joyeuse
    Vanessa Benelli Mosell, pianoforte
    Decca, 12 novembre 2021, formato 96/24, via Qobuz
    ***
    Splendidamente registrato, una volta tanto senza mettere i microfoni in bocca al pianoforte ma alla distanza giusta per catturare anche l'ambienza, é un disco atteso, pur in un panorama discografico in cui queste composizioni si sprecano.
    Lei suona magnificamente, come se non suonasse altro nella vita.
    Diciamo anche - qui sarò eretico - che i Préludes del secondo Libro di Debussy non sono proprio i più popolari e i più graditi.
    Infatti, ammetto che trovo Children's Corner il pezzo forte del disco.
    Ogni quadro è reso con gusto e con la giusta atmosfera. Giocosa, spiritosa, sognante, frase dopo frase.
    Una bellezza.
    Il basso è perfettamente separato, la dizione chiara, senza incertezze.
    Il ragtime di Golliwog's Cakewalk particolarmente avvincente, con modulazioni e cambi di tempo continui. E giusti.
    L'isle joyeuse é forse tra i pezzi più convenzionali di Debussy ma funziona, a prescindere dalle radici che sembrano ispirate ad un quadro di Watteau che raffigura l'isola di Jersey nella Manica.
    Nella lettura della Benelli Mosell é luminoso e denso ma anche forte. Resta l'approccio piuttosto robusto dell'articolazione di questa pianista.
    A me è piaciuto molto.
    Andiamo ai Préludes, finalmente.
    Qui ci sono importanti confronti possibili, mi viene in mente - ovvio - Arturo Benedetti Michelangeli.
    Là c'è una dinamica interna in ogni preludio, con le voci che si susseguono, si inseguono, creando arabeschi sonori che aggiungono coerenza a queste pagine.
    Qui invece continua ad esserci forza. E' una visione edonistica, più appassionata, dove non c'è spazio per i sussurri e le parole non detto o lasciate intuire.
    Non sono sicuro che Debussy intendesse questa musica a questo modo, lui aveva una mistica tutta sua, essenziale nella sua testa ma non sempre così chiarissima per gli altri.
    Ma come in altre occasioni per questa pianista c'è grande personalità e una disarmante mancanza di timore riverenziale nell'accostarsi a questi monumenti.
    Anche quando il modo di porgerli potrebbe sembrare irriverente.
    Insomma, mi è piaciuto molto questo disco e riconosco una firma personale, tutt'altro che di routine, forse più che in altre registrazioni della stessa pianista.
    Ricordo per esempio che l'altro disco dedicato a Debussy del 2017 non mi era piaciuto. L'avevo trovato un pò troppo "sbrigativo" come dire, ecco, sono brava, non ho nemmeno bisogno di dimostrarlo.
    E' vero ma oltre c'è di più. Tutta la differenza che c'è tra un normale concertista e un grande interprete.
  3. M&M
    Bereitet die Wege, bereitet die Bahn

    "Preparate la via, preparate il cammino" - Cantata per la IV domenica dell'Avvento
    Solisti: Soprano, Contralto, Tenore, Basso; Coro
    Orchestra a 4 voci: 2 oboi, 2 violini, viola, continuo (organo)
    Prima esecuzione a Weimar - dove Bach era primo violino e compositore - il 22 dicembre 1715
    Testo di Solomon Franck (poeta di corte di Weimar)
    E' una cantata semplice, con poche parti, su 6 brani, di 22 minuti, alternati tra arie e recitative con il coro finale che è l'unico dove si combinano le voci.
    La musica dell'ultimo coro si è persa e viene generalmente sostituita dalle parti prese da altre cantate con la stessa struttura di strofa (generalmente la BWV 164 successiva del 1725).
    La cantata non venne più eseguita con Bach in vita perché a Lipsia durante l'Avvento si osservava strettamente un periodo di penitenza. La pubblicazione avverrà solo nel 1881.

    ***

    "Preparate la via, preparate il cammino!
    Preparate la via
    e spianate il sentiero
    nella fede e nella vita
    per l’Altissimo,
    il Messia viene!"
    E' il testo della gioiosa prima aria intonata dal soprano con fioriture in stile francese portate dall'oboe che è il coprotagonista.
    L'origine è il testo di Isaia "La voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, appianate nel deserto una strada maestra per il nostro Dio"
    L'aria da capo di apertura è in un cadenzato 6/8 metri con un ritmo che suggerisce l'influenza della loure [un ballo di corte francese]. La maggior parte del materiale si basa sulla figura di apertura, che si presta facilmente ad effetti dialoganti e sovrapposti. Il prominente oboe solista (il compasso della parte indica che è necessario un oboe d'amore) si ascolta in dialogo con la voce di soprano, scambiando figure basate sulla melismatica pittura di parole per ' Bahn' , che vaga nel suo tortuoso percorso in semicrome. Le parole "Messias kommt an!' ('il Messia sta arrivando!') sono proclamati non accompagnati, gettandoli in rilievo e formando un culmine alla sezione centrale dell'aria.
    Non è da meno la seconda aria, per contralto, "Cristo; Glieder, ach, bedenket", con arabeschi solistici di grandissima levatura del violino.
    In mezzo, l'aria per il basso, austero, accompagnato da violoncello e organo.
    "Wer bist du ?'" il cui testo prende come punto di partenza le domande rivolte dai giudei a Giovanni Battista (Gv 1,19 ss.). La pervasiva figura di basso nell'accompagnamento (solo per il continuo) è correlata al motivo principale della parte vocale. Il suo carattere buxtehudiano conferisce all'intero movimento un'aria retrò, il violoncello elabora costantemente la figura sullo sfondo della scrittura semplificata per gli altri strumenti continui.
    La lettura del Vangelo per la quarta domenica di Avvento racconta la storia di Giovanni Battista ( Giovanni 1: 19-28). Gli ebrei, ascoltando la potente predicazione di Giovanni nel deserto, si chiedono se Giovanni stesso sia il Messia, e gli fanno questa domanda. Giovanni risponde che non è il Messia, ma una voce nel deserto che grida "raddrizza la via del Signore". Gli chiedono perché battezza se è così. Risponde, predicendo così l'avvento del vero Messia:

    'Io battezzo con acqua: ma c'è uno in mezzo a voi, che voi non conoscete; egli è colui che viene dopo di me è preferito a me, a cui non sono degno di slacciare il fermaglio della scarpa».
    ***
    Bach preparò una cantata più elaborata per la IV di Avvento del 1716, la BWV 147a che non venne eseguita e il cui testo è perduto. Ma la musica venne riutilizzata per la spettacolare BWV 147 Herz und Mund und Tat und Leben di Lipsia del 1723, riadattata per osservare la penitenza luterana, per la festa dell'Annunciazione.
    Ma di questa parleremo in altra sede.
    ***
    Cantata semplice per organico e struttura è stata registrata dai soliti specialisti.

    Cominciamo con il "solito" Gardiner del ciclo del pellegrinaggio (2000, Koln e Luneburg)

    La #132 è contenuta nel Vol. 13 insieme alle altre cantate per l'Avvento e alla BWV147.
    Gardiner fa proprio "alla francese" (lo scrive nelle note) lo stile frizzante della prima aria.
    La parte orchestrale è assolutamente inarrivabile.
    Lo è un pò meno la Brigitte Geller, potente ma non abbastanza agile.
    Organo in primo piano nell'incipit dell'aria per basso, dove Jan Kobow è incisivo ed aulico.
    L'aria concertata per controtenore è particolarmente bella, con il violino in primo piano, molto lirico, con le giuste fioriture, senza eccedere.
    Michael Chance ricorda un pò Deller.
    Coro inappuntabile con un volume ben superiore alle attese.
    Nel complesso Gardiner rende anche più giustizia a questa cantata di quanto ci si aspetterebbe.

     

    Suzuki per Bis, volume 7 della integrale delle cantate (1997)
    La prima aria è eccezionale, il premio qui è la spettacolare Ingrid Schmithüsen accompagnata con leggerezza dall'oboe d'amore e dal resto del piccolo complesso giapponese.
    Ottimo anche il basso (Peter Kooy) cui il basso continuo contribuisce a togliere quell'aurea austera un pò fuori luogo trovata in altre edizioni.
    Stranamente sono invece più contenuti gli svolazzi del violino nella terza aria ma il controtenore giapponese Yoshikazu Mera è eccellente come le altre parti di questa cantata.
    Mentre trovo un pò sottotono il coro finale.

    Rilling, Hanssler, Edition Bachacademie (1976)
    Pur con tutti i soliti limiti di registrazione, la prima aria ha un tono pastorale che si avvale anche del continuo al cembalo a donarle lucentezza.
    La voce di Arleen Augér non è ai suoi massimi ma comunque sale a toni inusitati per le sue colleghe in questo confronto. E' solo un pò meno agile.
    Anche l'aria del basso - molto intenso, Wolfgang Equiluz- si avvale del cembalo al continuo, con un risultato più cameristico del solito che permette di leggere più facilmente le trame di arpeggio del violoncello.
    Anche l'aria del contralto, qui c'è Helen Watts al posto del previsto contraltista, ha un approccio molto cameristico e con una voce lirica, quasi drammatica.
    Il coro finale è solenne, immanente, in contrasto col resto della cantata, leggero.

    Koopman, Bach Cantatas Vol. 2, 1995
    Barbara Schlick sovrasta nella registrazione il pur brillante Marcel Ponseele.
    Eccezionale l'accompagnamento all'organo di Koopman nell'aria del basso Klaus Mertens che canta con grande leggerezza e brillantezza rossiniana con il violoncello - Jaap ter Linden - che non è un semplice comprimario.
    Bellissima.
    Lineare, decisa e senza incertezze l'aria seguente con il contraltista Kai Wessel che mi pare perfetto nella parte.
    Altrettanto bello il coro finale, senza eccessi, né di solennità né di drammaticità.


    Karl Richter nelle sue cantate dell'Avvento (1972) si avvale di Edith Mathis, Theo Adam, Peter Schreier e Anna Reynolds.
    E chi sono io per criticare una tale compagine ?
     

    Il Vol. 33 della prima integrale Telefunken contiene la BWV 132 (1976).
    Gustav Leonhardt guida il Leonhardt Consort, il coro lo dirige Herreweghe.
    Il contralto è René Jakobs.
    Io non amo troppo le parti da soprano eseguite dai bambini, ma questa edizione è particolarmente interessante e si lascia gradire.
    René Jakobs è effettivamente inarrivabile.
    Il coro finale è intimo, veloce, spedito, essenziale.
  4. M&M
    Camille Saint-Saens : I concerti per violino e orchestra
    Andrew Wan, violino
    Kent Nagano alla testa della Orchestre Symphonique de Montréal
    Analekta 2015, formato 96/24
    ***
    Pesante, pedante, superato, vecchio, fuori moda. Alcuni aggettivi con cui veniva epitetato in vita Camille Saint-Saens, poi quasi dimenticato dopo morto.
    Probabilmente la sua colpa fu di essere longevo, prolifico, molto attaccato alla tradizione romantica, poco o per nulla vicino alle avanguardie.
    Una specie di Brahms alla francese, nato all'organo, amante di violino e violoncello.
    Io lo adoro, naturalmente.
    Oggi cade esattamente il centenario della morte, avvenuta a Parigi, la sua città, il 16 dicembre 1921.
    Lo voglio celebrare non con le solite e arcinote composizioni e nemmeno con i concerti per pianoforte che io conosco nota per nota ma con i meno noti, almeno i primi due, concerti per violino e orchestra.
    Saint-Saens scrisse le sue composizioni per violino per l'amico Pablo de Sarasate, in particolare la celebre Introduzione e Rondò Capriccioso e i concerti n.1 e n.3
    Il Concerto n. 2 nella realtà è il primo ad essere stato composto, con gli altri due successivi.
    Nota di curiosità, il 3° ha lo stesso numero d'opera del concerto per violino di Beethoven ( di cui il 13 si celebrava il compleanno).
    Dei tre concerti, il 3° è pluriregistrato, anche da molti celebrati violinisti, gli altri due sono più rari. Rarissime le integrali, ancora più rare quelle dal vivo.
    Come questa che vede Kent Nagano direttore stabile dell'orchestra di Montréal e Andrew Wan primo violino e solista della stessa orchestra.
    Ho scelto questa edizione per la qualità del suono, brillante e potente, pur se dal vivo (con applausi) a differenza delle altre che ho ascoltato.
    Anche se forse il momento più debole dell'intera incisione è proprio il famoso finale del 3° concerto.
    Ma l'intesa tra l'orchestra, il solista e il direttore, e la qualità dell'orchestra sono di gran lunga le migliori.
    Il materiale tematico e l'eloquio di Saint-Saens in questi concerti però richiede una vicinanza culturale che forse questo canadese possiede solo in parte.
    Non stupisce se la francese Fanny Clamagirand letteralmente danza con le dita sulle note del 2° concerto e mostra piglio e personalità assolute nel 1°.
    Per non parlare degli assoli del terzo.
    Insomma, potendo fare la sintesi, sarebbe bellissimo avere l'orchestra di Montreal con la registrazione di Analekta e il violino della Clamagirand.
    Ma la registrazione Naxos è proprio povera e Patrick Gallois - il flautista - poco si fa intendere dai freddi finlandesi.
    Quindi godiamoci questa strana coppia in un caleidoscopio di super-romanticismo con il violino più brillante che si possa avere !

    edizione alternativa per Naxos, formato CD, 2010
    Fanny Clamagirand, violino
    Sinfonia Finlandia diretta da Patrick Gallois
    Entrambi i dischi sono disponibili via Qobuz
     
  5. M&M

    Scherzi a parte
    Lewis Hamilton è uno dei più grandi piloti della storia della Formula 1.
    Non sono io che lo dico, parlano i numeri.

    Smarcato questo, io lo rispetto finché tiene le mani al volante e tace.
    Appena apre bocca o circola vestito da pagliaccio per il paddock, o, peggio, ammanta di "buonismo" di tendenza ogni "cosa o fesseria" che gli possa venire in mente, lo detesto con tutto me stesso.
    Infine, io non sono tifoso e seguo le corse - tutte quelle che mi capitano - per le modelle (le AUTOMOBILI) non per chi le guida.
    Ma dopo tutti questi anni di predominio assoluto aiutato da un atteggiamento molto meno che neutrale (é un eufemismo) nei confronti del Re Nero e della Mercedes di Britannia, non se ne poteva più.
    L'idea stessa di vederlo zampettare lui e le sue treccine sul podio ancora una volta con festeggiamenti rituali, inginocchiate e compagnia varia, l'ottavo titolo iridato di cui tre vinti per il rotto della cuffia e gli altri 4 per assenza di avversari, mi sarebbe stato intollerabile.
    Per questa ragione, anche se dovesse poi risultare che in appello la federazione di fronte al potere economico di Daimler-Benz e Petronas dovesse ribaltare le cose contro il produttore di "succo di cimici rosse", per me il fatto che ieri non si sia visto niente di questo non ha prezzo. Resterà nella mia mente come il titolo non vinto in pista da Hamilton/Mercedes/Wolff.
    E mi basta così, in attesa di vedere come andranno in pista le modelle del 2022 con le loro ruote da 18 pollici (come la mia Mini John Cooper Works)

    il pagliaccio con le treccine dovrebbe interrogarsi su quanto tempo vorrà onorarci della sua presenza.
    Ieri Kimi Raikkonen è uscito di scena con lo stile che gli si confa, onorato dalla Ferrari come se fosse ancora un pilota Ferrari. Presenti anche Domenicali e, dietro le quinte, Todt.

    sono certo che quella "macchinina" ha fatto breccia anche nel suo cuore di ghiaccio.

    Arrivederci Kimi, e grazie.
  6. M&M
    No, non sto dicendo che siete analfabeti e che quindi, non sapendo leggere, guardate le figure.
    Ma - ricordo che qui siamo nel blog POLITICAMENTE SCORRETTO - mi capita di vedere una pioggia di COPPE, LIKE e d'Accordo, negli articoli con tante belle foto - invariabilmente quelli con belle scene di paesaggio o di animalscapes.
    Mentre altri articoli con immagini meno gratificanti, tipo la sezione di un sensore o lo spaccato di un obiettivo, ricevono a mala pena qualche attenzione, pure se sono alle volte delle prime mondiali (e su Nikonland, almeno in campo Nikon, spesso offriamo articoli in prima mondiale).
    Mi viene da pensare che una scorsa superficiale - poi lo leggerò con la dovuta calma è la classica formula con cui viene risposto ... come dire, adesso non ho voglia, magari se mi capita e mi ricordo, poi lo leggo - consente di formulare un giudizio positivo "se le figure" sono belle, mentre dove è necessario proprio soffermarsi sulle righe di testo, non si è disposti a concedere la stessa fiducia nei confronti dell'autore.
    Senza alcuna volontà di essere caustico e senza riferimento alcuno ma mi è venuto spontaneo questo quesito.
    Che per avere la dovuta audience corredo di un paio di figure delle mie, della più amata tra le mie muse fotografiche.

    Ah, si, ve lo ricordo ancora dopo questo scatto.
    Mi piacerebbe che rispondeste al quesito formulato nel titolo.
    Come ... quale sarebbe ? L'ho scritto sopra ... 
  7. M&M
    E' la NON notizia di oggi.
    La commissione europea nella sua omnicomprensiva conoscenza suprema, consiglia di abbandonare il tradizionale augurio di Buon Natale, sostituendolo con un generico Buone Feste.
    Lo scopo ?
    Non infastidire chi non pensa che a Natale sia nato Gesù.
    Che come tutti sappiamo, non è nato affatto il 25 dicembre di 2021 anni fa ma che, tradizionalmente, da secoli e secoli, tutto il mondo - cristiano e non - festeggia in questa data.
    Insomma, l'apoteosi del politicamente corretto assurto a regola manichea, non essere se stessi per non offendere nessuno.
    Un ... come dire ... modo di trasformarsi in una cosa così sottile - questa cosiddetta EUROPA dei popoli - da essere tanto trasparente da non essere percepibile. Sostanzialmente inutile.
    E poi ci lamentiamo se i cinesi pensano che siamo dei fessi ad aver dato loro il controllo ... delle nostre palle !
    Ah, no, nemmeno le palle possiamo considerare. Perché pure il Padre Nostro è messo in discussione, dovrebbe essere sostituito da un più neutro Genitore 1 o Genitore 2.
    E qui nasce il problema. Quale sarà il Genitore da Pregare e Santificare ?
    Bah, per parte mia continuerò a festeggiare il Natale. Scritto con la N maiuscola, la festa di Babbo Natale, quello vecchio e con la barba, indubitabilmente uomo con le palle pelose sotto al vestito rosso, e di Gesù Bambino che scende dalle stelle per diventare uomo. Entrambe testimonianze del nostro essere occidentali, europei, cioé quello che siamo e che abbiamo impiegato secoli per diventare.
  8. M&M
    Bach : Sinfonie dalle cantate
    Cantata BWV188 “Ich habe meine Zuversicht” Reconstructed by T. Watanabe & S. Veggetti
    Cantata BWV174 “Ich liebe den Höchsten von ganzem Gemüte”
    Cantata BWV169 ”Gott soll allein mein Herze haben”
    Cantata BWV12 “Weinen, Klagen, Sorgen, Zagen”
    Cantata BWV49 “Ich geh und suche mit Verlangen”
    Cantata BWV146 “Wir müssen durch viel Trübsal”
    Concerto dalla Cantata BWV35 “Geist und Seele wird verwirret”
    Cantata BWV35 “Geist und Seele wird verwirret”
    Cantata BWV156 “Ich steh mit einem Fuß im Grabe”
    Cantata BWV52 “Falsche Welt, dir trau ich nicht”
    Takashi Watanabe, organo
    Ensemble Cordia diretto da Stefano Veggetti
    Brilliant Classics 25 dicembre 2020, formato CD
    ***
    Come sappiamo bene Bach non si trovò mai a scrivere opere liriche. Gli incarichi come maestro di cappella o Kantor per istituzioni pubbliche o ecclesiali non lo prevedevano e la gran parte della sua produzione fu quindi di musica sacra o strumentale.
    Ma questo non significa che non conoscesse l'opera in generale e le sue strutture.
    L'aria lirica infatti esiste nella sua produzione, così come la sinfonia che annuncia l'inizio dell'opera per richiamare "all'ordine" il pubblico che intanto si è distratto.
    Ma nella realtà molte delle sue cantate profane - quelle composte per festeggiare particolari solennità civili, oppure matrimoni o altre occasioni fuori dagli impegni di chiesa - nella realtà potrebbero essere assimilati a quanto di più vicino ci sia all'opera, almeno nel linguaggio di Bach.
    E infatti sono molte le cantate di Bach che iniziano con una sinfonia con struttura anche piuttosto articolata o con un intero concerto con tanto di soli e di tutti.
    Questo disco ne raccoglie una serie, ristrutturate per l'occasione con l'impiego dell'organo la cui parte è curata anche sul piano strutturale dal giapponese Watanabe.
    E' tutta musica in qualche modo "riciclata" da precedenti composizioni, spesso movimenti di concerto o altre rielaborazioni.
    Quasi tutta festosa e brillante, con l'organo che fa da principe per tutto il tempo.
    In effetti se ne potrebbero facilmente estrapolare dei concerti grossi in stile Handel, con l'organo obbligato. E sicuramente Sebastian non avrebbe nulla da obiettare. Lo avrebbe fatto anche lui se le circostanze lo avessero richiesto.
    Nella produzione di Bach il periodo più felice sul piano della soddisfazione personale è stato certo quello degli anni di Weimar (1708-1717) dove era più libero di creare per l'orchestra.
    Molto meno a Lipsia dove i pedanti organi municipali gli richiedevano tagli di bilancio che includevano anche le parti.
    Di qui la struttura molto "rachitica" di tante partiture, obbligata dalla mancanza di musicisti.
    Però, come dicevo più sopra, esistevano le occasioni più mondane per cui l'organico poteva largheggiare e per le quali Bach recuperò spesso parti di cantate perdute dei tempi in cui serviva per le corti più liberali.
    Di certo il pubblico molto austero di Lipsia si sarà sentito spiazzato dalla frizzante sorpresa di musica brillante (ma si tratta dello stesso che criticò la Messa in Si minore di essere un'opera "buffa" per gli stessi motivi) ma noi ne godiamo.
    In particolare in questa raccolta molto piacevole proposta lo scorso Natale da Brilliant che nell'organico, oltre all'organo, vede fiati e strumenti a corda oltre agli archi.
    Incontriamo delle vere e proprie "perle" di Bach cui fa approfondita analisi il libretto del disco a cui vi rimando.
    Da parte mia ribadisco oltre alla sconfinata ammirazione per la capacità di recupero di materiale tematico e melodico già sentito da parte di Bach, il superiore gradimento - limite mio - per tutte le cantate con organico allargato e con preparazione strumentale, rispetto a quelle più raccolte e spesso un pò povere del periodo di contrapposizione con la municipalità e la chiesa di San Tommaso di Lipsia.
    Il disco è molto bello, la compagine che non conoscevo è splendida e frizzante, l'organista di grande livello, la registrazione, decente.
    Il finale ... il secondo Brandeburghese.
    Ascoltatelo.
  9. M&M
    La settimana scorsa agli amici collegati via Zoom raccontavo la barzelletta dei mie tre modellini acquistati da un cinese di Shanghai il 2 di gennaio, dati per dispersi a metà febbraio, rimborsatimi dal venditore.
    Arrivati ... tassati dal postino per €3.88 il giorno 13 novembre, oltre 11 mesi dopo la spedizione.
    Eppure la cosa che non ci si aspettava a causa del Covid sta capitando e rasenta la follia.
    Non è che la merce non ci sia, è che in larga parte è in viaggio a causa della ripartenza sfasata delle attività produttive di tutto il mondo.
    Ritardi che si accumulano su ritardi, perchè se un fornitore ti manda un pezzo in ritardo, tu ritardi nel fornire il tuo fornitore e così via.
    I porti asiatici sono intasati in partenza, con code per caricare i container e i porti di arrivo occidentali sono intasati per scaricare.
    Il parossismo c'è nel porto di Long Beach, adiacente a Los Angeles e da cui passa il 40% della merce in arrivo negli Stati Uniti, comprese le fonderie di microchip del Texas.
    Una situazione satellitare aggiornata :

    mostra decine di porta container in taxing all'entrata del porto.
    Qui c'è un confronto tra pre-Covid e ottobre 2021

    e qualcuno si é fatto un giro su un motoscafo appena al largo

    fotografando situazioni tipo Sbarco in Normandia


    navi all'ancora da giorni che non sanno quando potranno entrare in porto.
    E in porto una situazione ancora più congestionata con gli autisti dei camion che devono prendere appuntamento per entrare e poi attendere il turno per caricare ed uscire

    con code da ora di punta in tangenziale.
    La questione è che il problema non accenna a diminuire, appunto perchè un ritardo ne genera un altro.
    E se mai dovessimo uscire dall'emergenza ... ci vorranno soluzioni straordinarie, tipo eliminare i controlli e impiegare il genio militare per svuotare le banchine.
    Ammesso che serva.
    Il risultato sui mercati è che manca tutto, anche cose di poco valore. Chi le ha in magazzino se le fa strapagare.
    Non ci sono previsioni per il riassortimento di nulla.
    Se cercate un hard-disk e non lo trovate o lo trovate al triplo del prezzo di 2 anni fa, probabilmente è perchè un carico di piattine da 1 centesimo l'una, è fermo su una nave al largo di Long Beach e finché non arriva allo stabilimento Western Digital, quelli non possono assemblare il resto dei pezzi ...
    Potenza della globalizzazione. Uno starnuto a Wuhan e a Conegliano mancano i tappi per imbottigliare il prosecco.
  10. M&M

    Artisti
    Nasceva a Budapest il 19 novembre 1921 Geza Anda, pianista elegante e di straordinario talento, morto anzitempo nel 1976.

    ***
    Negli anni '60 e '70 era considerato tra i più grandi pianisti della sua era - e in quell'era i grandi pianisti erano tanti - ma dopo la sua morte la sua fama è scemata ed oggi raramente viene ricordato.
    Probabilmente per la sua razionale lucidità che ne caratterizzavano l'approccio musicale in ogni partitura, senza la passione viscerale di altri musicisti della sua terra.
    E perché dopo di lui tanti altri pianisti hanno avuto modo di esplorare il suo repertorio tipico, fatto di Mozart, Schumann, Beethoven, Brahms e ovviamente Bartòk.
    Io l'ho conosciuto in disco da ragazzino, con le copertine dei suoi album Deutsche Grammophon, alcuni dei quali sono parte integrante ed insostituibile del mio essere musicofilo.

    Per questo ci tengo particolarmente a ricordarlo nei 100 anni della sua nascita e ad oltre 45 anni dalla sua morte.
    ***
    Formatosi all'accademia Liszt di Budapest con insegnanti come Ernst von Dohnányi e Léo Weiner, si perfezionò a Berlino.
    Nel 1940, durante la guerra, con la i Berliner Philarmoniker eseguì per la prima volta in pubblico il secondo concerto di Brahms prima con Mengelberg e poi con Furtwangler.


    grande didatta, incominciò a dare lezioni di musica ai suoi allievi già a 20 anni, prima di poter emigrare in Svizzera nel 1943.
    Negli anni '60 tenne masterclass a Salisburgo e dal 1969 insegnò ininterrottamente a Zurigo fino alla morte.
    Dal 1952 al 1976 presenziò ogni anno al Festival di Salisburgo.
    Per le raccomandazioni della connazionale Clara Haskil parimenti esule in Svizzera, si avvicinò a Mozart, uscendo per l'occasione dal suo repertorio romantico.
    La Haskil era una interprete altrettanto raffinata dei concerti di Mozart, con la sua ispirazione Geza di dedicò all'intero corpus dei concerti "riconosciuti" del salisburghese, dirigendoli dal pianoforte durante la registrazione integrale della DG.
    Tutti i concerti di Mozart della sua integrale hanno cadenze scritte da Anda.

    ***
    Lo “spirito musicale di Géza Anda” è una ricerca intellettuale, in costante oscillazione tra due poli: da un lato, l'ideale difficilmente raggiungibile della totale padronanza dell'espressione artistica; dall'altro, la quotidiana ricerca del più alto standard tecnico. Questo pendolo è sostenuto da virtù come la dedizione, la perseveranza e l'autocritica incessante.
    Géza Anda si è sempre sentito l'unico responsabile della qualità della sua performance; si rifiutava di incolpare il pianoforte o il pubblico. E non ha mai legato i suoi allievi a una particolare interpretazione: ha insistito sulla corretta esecuzione delle note, per poi lasciare che fossero loro a modellare il pezzo da soli. C'era una sola ricetta: dovevi persuaderlo della validità della tua interpretazione.
    L'indottrinamento non aveva posto nel suo “spirito musicale”; si trattava piuttosto di attendersi una sorta di unità tra un'interpretazione immaginaria e l'adempimento del proprio dovere. Il che ci riporta al cuore della sua ricerca intellettuale: l'appello che un'opera d'arte completa fa alla personalità incompleta. (tratto da Sechzehntel sind auch Musik di Schmidt)
    Come diceva ai suoi allievi "non puoi impararlo, devi diventare tutt'uno con il pezzo che stai studiando".
    Il senso sintetico di questo era una dicotomia solo apparente, una sorta di Eusebio e Florestan nello stesso pianista, un tizzone infuocato un momento, un razionale e lucido intellettuale nel passaggio successivo.
    Insomma, tecnica digitale raffinata asservita completamente ad un pensiero lucido alla base della "gioiosa" qualità del suo stile musicale che ritroviamo esattamente in ogni registrazione disponibile.
    Per preservare questo spirito, la Fondazione Geza Anda ha istituito il concorso omonimo già a tre dalla morte del pianista.
    Quest'anno si è tenuto il concorso per intero dopo una interruzione per la pandemia. Ha vinto il tedesco Anton Gerzenberg non a caso suonando il concerto n. 9 di Mozart
    ***

    Un Geza Anda pensoso, discute del 2° di Brahms con un sornione Von Karajan
    Questa foto è per me particolarmente significativa perchè sono letteralmente cresciuto con il 2° di Brahms della premiata coppia

    non da meno con il concerto di Gried accompagnato da Kubelik, sempre con i Berliner.
    molto prima di esplorare i già citati concerti di Mozart di cui riporto la copertina originale

    dove Geza Anda dirige il Salzburger Mozarteums dal pianoforte, prima volta per una integrale discografica.

    ma ovviamente Geza Anda si è esibito praticamente con tutti i direttori della sua epoca, da Mengelberg ad Abbado, passando per Kubelik e Fricsay.

    questo non è uno dei miei dischi preferiti, probabilmente perchè Geza Anda non è in copertina insieme a Starker, Schneiderman e Fricsay ma il fatto che sia presente nel triplo concerto di Beethoven ne indica il peso nella sua epoca.
    Ma c'era nella copertina originale del solo Beethoven, quando gli LP non potevano contenere tutto il materiale degli odierni album

    eccolo a destra con la sua immancabile sigaretta in bocca. E' difficile trovarlo - non in posa - che non stia fumando.
    Ma naturalmente nemmeno a me che non gradisco molto Bartòk può sfuggire l'importante di questo capitale volume dedicato ai suoi concerti per pianoforte con Fricsay

    qui con la RSO di Berlino, un disco che per essere superato ha atteso in solitario dominio per decenni.
    Da non dimenticare, ancora con Fricsay, il secondo di Brahms con la Rapsodia di Bartòk

    anche qui riporto la copertina originale del solo Brahms, perchè con la rapsodia di Bartòk il suo concerto poco ci azzecca ...


    Questo disco invece mi è stato regalato da mia madre per il mio 13° compleanno e l'ho conservo anche se ne ascolto solo l'edizione digitale

    Geza Anda, Rafael Kubelik, i Berliner, il mio Schumann ...
     
    Naturalmente ci sono edizioni più rare di riversamenti radiofonici o bootleg meno recenti come questi :


     
    ma senza la magia dei dischi DG.
    Ovviamente sin qui il più famoso Geza Anda dei concerti per pianoforte ma non mancano testimonianze di interpretazioni solistiche, ovviamente.

    le Diabelli, portate con leggerezza e spirito, accentuando la "pedanteria" del valzer originale anche nelle successive variazioni

    la sonata S960 di Schubert
    moltissimo Schumann, ovviamente, di cui era forse il più elegante interprete dei suoi anni

    ma cercando si trova anche Chopin, Ravel, persino Bach e Scarlatti

    Ovviamente qui non si voleva che celebrare il grande pianista a 100 anni dalla nascita, ricordandolo per uno stile unico ed inimitabile anche quando lo stile era una caratteristica che faceva distinguere ogni pianista dal primo accordo, a differenza di oggi dove più o meno tutti suonano allo stesso modo.

    perché quello stile si porta fin dalla nascita ma lo si coltiva ogni giorno dedicandosi anima e corpo alle proprie passioni.
    Grande Geza Anda, ogni giorno con me.

     
     
  11. M&M
    Fanny Cäcilie Mendelssohn
    ***
    Nel mese di maggio del 1847, venti anni dopo la morte di Beethoven, muore di infarto a seguito di un ictus, Fanny.
    Il fratello Felix cui lei ha dato lezioni di pianoforte e che per tutta la vita ha sostenuto e incoraggiato, cade nella più profonda depressione.
    Brucia in pochi mesi tutta la sua aurea felice che faceva eco al suo nome Felix.
    Si riprende solo in settembre quando riesce a dedicarsi ad una composizione in memoria dell'amata sorella.
    Ma anche lui cade vittima di un infarto cui ne seguono altri fino all'ictus finale.
    Il suo ultimo lavoro, il quartetto in Fa minore verrà eseguito postumo, nel primo anniversario della sua morte da una compagine guidata dall'omnipresente Joseph Joachim e pubblicato solo nel 1850 come opera 80.
    L'intera famiglia era affetta da una sindrome che ha portato alla stessa morte anche il nonno, il padre, la madre e i due fratelli, a poca distanza l'uno dall'altro.

    i due fratelli, da ragazzi, al pianoforte 
    Questo quartetto non ha nulla a che fare con i precedenti se non nell'architettura formale e si distacca totalmente dalle altre composizioni del Felix precedente.
    Non che fossero mancati momenti intensi e seriosi nella sua carriera di compositore - bastano i due intensi oratori, oltre alle variazioni per pianoforte - ma qui potremmo dire che Mendelssohn era cambiato.
    Oppure no, probabilmente la disperazione e l'incapacità di continuare non lo avrebbe comunque condotto oltre se non fosse intervenuta la sorte.
    Non possiamo dirlo.
    Quello che ci resta è il quartetto, una sorta di testamento all'amore dei due fratelli per le ultime composizioni cameristiche di Beethoven, sublimato da Schubert, di cui in più momenti riecheggiano i toni già intesi ne "La morte e la fanciulla".
     
    ***
    Allegro vivace assai (fa minore) Allegro assai (fa minore) Adagio (fa minore) Finale. Allegro molto (fa minore) Dei quattro movimenti che lo compongono - in tutto sono circa 26 minuti, il solo adagio sembra dare un pò di tregua e riposo allo spossato compositore - e all'ascoltatore. Sebbene i tratti marcati di tutti gli archi per buona parte mantengano comunque alta la tensione.
    C'è però quel lirismo e quella nota sentimentale che richiamano di lontano il precedente Felix, come ricordare i momenti con l'amata sorella.
    Qualcuno ci sente l'eco del motto "Is est wahr?” del primo Mendelssohn che richiama il “Muß es sein?” beethoveniano, io non arrivo a tanto ma che importa ?
    Gli altri sono tre "allegri", almeno formalmente, costruiti con un incessante e straziante lamento - romantico, ovviamente, é Mendelssohn, non è Bartòk - su una sorta di marcia funebre mai pienamente declinata.
    Il tremolo, le sincopi e i continui cambi di dinamica, di accento e di intensità - in stile schubertiano - caratterizzano i tre movimenti esterni e danno il continuo senso del dolore, dell'irrequietezza, della fredda disperazione su un domani di cui non si vede e non si vedrà la luce.
    Il primo allegro è rutilante, intenso, incessante.
    Il secondo è quasi uno scherzo con frammenti beethoveniani che danzano nell'aria, accennando figure demoniache o comunque a tratti macabre.
    Il finale riprende il materiale tematico dei precedenti movimenti e li porta verso una fuga contrappuntistica che conduce poi ad un finale quasi delirante.
    L'ultima composizione di Mendelssohn è un capolavoro intenso che non rinnega nulla della sua musica precedente ma che la sublima verso l'eternità.
    Io mi tolgo il cappello pensando a quante volte ho paragonato tutta la sua opera "all'acqua minerale" se messa vicino a Beethoven, Schumann o Brahms.
    ***
    Ci sono molte edizioni integrali e non dei quartetti di Mendelssohn spesso unite all'unico quartetto di Fanny.
    Io tendo a prediligere quelle più intense e fredde, in stile Quartetto Italiano, generalmente quelle più recenti.
    Ne elenco alcune.

    Artemis Quartet
    Erato, 2014

    Quatour Ebene
    Erato, 2013

    Escher String Quartet
    BIS, 2016
    cui aggiungerei - ma non ho ascoltato - l'ultima, più recente

    Takacs Quartet
    Hyperion, 2021
    che è stata ben recensita sia da Gramophone Presto Classical (ma che a me non hanno convinto fino in fondo nell'ultimo disco dedicato ad Amy Beach ed Elgar)
    Per una visione più moderata, forse si potrebbe anche inserire nella lista quella dell'Emerson Quartet per DG.
    Ma ognuna ha il suo perchè e qualcuna mi porta realmente a lacrimare nel finale.
    Ad ogni modo, se non conoscete questo quartetto, spero di avervi incuriositi, più con la mia prosa che con gli aneddoti storici
    ***
    Scritto ad un anno dalla morte del mio amato Blackey che ogni giorno mi manca più del precedente.
  12. M&M
    Esiste l'effetto di un effetto ? Perchè non chiamare semplicemente una cosa con il suo nome ?
    Sfuocatura. Ovvero transizione morbida tra a fuoco e fuori fuoco.
    Il bokeh è quello che c'è nella zona di mezzo, tra ciò che è a fuoco e ciò che non lo è.
    Lo sfuocato è un'altra cosa. Lo sfondo sfuocato è un'altra cosa.
    Un effetto è qualche cosa che si ottiene artatamente, in genere dopo. Come le centinaia di effetti digitali che si creano in post-produzione nei video e nelle loro colonne sonore.
    L'effetto sfocatura sarà quindi questo : un'applicazione sostanzialmente "a comando" ad una cosa che sfocata non è.
    Una immagine sfuocata è un'altro paio di maniche e non è reversibile.
    La copertina di Obscured by Clouds è un esempio di sfocatura intenzionale
     

    e se ci fosse qualche cosa realmente a fuoco e non mossa, si potrebbe dire che c'è bokeh.
    Ma effetto bokeh è qualche cosa che va decisamente oltre la mia comprensione.
    Direste mai ad un parrucchiere alla moda che volete un effetto messy hair ?
    Dovrebbe ridervi dietro perchè messy hair significa proprio capelli con effetto scompigliato.
    Cosa diamine potrebbe essere un "effetto messy hair" ? Forse una scompigliatura che sembra ma nella realtà non lo è ?

  13. M&M
    circola da tanto tempo una chiacchiera secondo cui Johannes Brahms fosse noto per il suo odio verso i gatti.
    Addirittura qualcuno dice che Wagner avesse certezza che Brahms tirasse ai gatti dalla finestra del suo appartamento di Vienna con l'arco boemo che gli fu regalato da Antonin Dvorak.
    Ma non ci sono prove che Wagner abbia effettivamente detto una cosa del genere. E' solo noto che tra i due ci fosse una certa antipatia e che esistessero due correnti opposte tra i tardo-romantici tedeschi con le due fazioni inneggianti ai due musicisti.
    Peraltro anche il rapporto con Dvorak di cui Brahms favorì l'ascesa con "raccomandazioni" e articoli di sostegno oltre a tanti consigli e incoraggiamenti epistolari era di natura piuttosto formale e con il più giovane boemo certamente in soggezione verso il vecchio maestro tedesco.
    Che Dvorak possa aver pensato di regalare a Brahms un ... arco (?) per i passeri e che questi in un attacco di demenza senile (parliamo degli anni dopo il 1880) in piena città si fosse messo a tirare frecce per poi fiocinare i gatti e portarseli in casa per vederli rantolare è qualche cosa che non verrebbe in mente - credo - nemmeno ad uno in preda ai deliri indotti da droghe chimiche.
    Peraltro Brahms abitava in un appartamento del centro, posto diversi piani sopra al livello stradale che non si vedeva dalle sue finestre.
    E quando andava nel Prater a passeggiare, non si ricorda un poliziotto che lo abbia fermato perchè armato di arco e frecce.
    Di contro Brahms è famoso per la sua bonomia nei confronti dei bambini - degli altri naturalmente - confermata dalle tante ninnananne composte.
    E per le sue passeggiate all'aria aperta, in campagna, sia in Austria che in Germania.

    il sentiero di Brahms, presso Rudesheim in Assia, vicino Darmstadt.
    Brahms amava la natura, la sua seconda sinfonia è piena di riferimenti "pastorali".
    Che fosse uno scorbutico brontolone, non ci sono dubbi, qualche volta persino maleducato - a bella posta - ma un Cat Killer Seriale.
    E poi con arco e frecce ... 
    No, Johannes Brahms non odiava i gatti. E non li uccideva. 
  14. M&M

    Recensioni Audio
    Quando ero ragazzo, nel secolo scorso, mi costruivo da solo i diffusori. Costruivo alla buona i mobili in legno, poi mi mettevo col saldatore ad improvvisare - dopo approfonditi calcoli al computer - i filtri per separare le varie vie con condensatori, induttanze e resistenze.
    I risultati erano decenti, spendevo una frazione di quanto sarebbero costati i diffusori commerciali che desideravo e che mai mi sarei potuto permettere di avere.
    Ma io sono nato digitale e non ho mai amato avere cose che non si possano programmare. Un diffusore "analogico" tradizionale nasce per rimanere come è nato per sempre. E quando supera la barriera dell'età e non si può più riparare, finisce in discarica.
    Inoltre le reti analogiche (i filtri fatti di componenti reattivi) sono difficoltosi da progettare, da costruire, costano un botto, sono poco flessibili, consentono tagli limitati. Non si possono adattare a esigenze troppo sofisticate se non a costi esorbitanti che spesso superano quello degli altoparlanti.
    E a me piacciono le cose complesse, meglio se a tante vie. Grandi, imponenti, con una prospettiva sonora la più realistica possibile.
    Mentre oramai non mi piacciono più "le casse" di legno. In natura esistono solo per contenere cose ma nessuno "strumento sonoro" naturale ha la cassa chiusa.
    A metà degli anni '90 ho per la prima volta provato la costruzione di un sistema aperto, un dipolo. Le "vedove" come le chiamava mio padre per la configurazione estetica "in gramaglie" (due pannelli in nero e amaranto alti 204 cm e larghi 60) sono ancora in casa, sebbene da una decina di anni non suonino più (ma è previsto un loro revival secondo le nuove possibilità che descriverò in questa pagina).
    L'impatto con un sistema aperto composto da una molteplice quantità di driver sovrapposti è stato come volare per la prima volta.
    Non più rimbombi di nessun tipo, prospettiva aperta e spaziale, ricostruzione sonora realistica.
    Io ascolto al 99% musica unplugged, per lo più musica dal primo barocco al primo '900. Credo che solo i sistemi aperti (come questi, ovvero, i dipoli o le trombe) diano una naturale risposta. Perchè é così che sono prodotti i suoni che noi conosciamo.
    Ma ci sono problemi strutturali legati ad un dipolo specie per la tenuta della riproduzione delle prime ottave basse della banda audio. Risolverli per via analogica mi ha comportato l'ideazione di un sistema estremamente complicato da pilotare con un carico sulla prima via molto impegnativo tale da richiedere un amplificatore non comune (uno dei vari AM Audio in classe A che possiedo ancora). Una specie di termosifone da 80 chilogrammi capace di pilotare anche un pezzo di ferro arrugginito ma che scalda come una piccola centrale a vapore.
    Modulare quella risposta senza strumenti era impresa ... empirica. Ne ero soddisfatto perché erano mie creature ma ho sempre saputo che avrei potuto fare di meglio con gli strumenti adatti.
    Il nuovo secolo per fortuna ha portato una svolta in questo campo con la democratizzazione dei processi digitali - un tempo tecnologie sofisticate e costose a disposizione solo dei militari - con apparecchi a DSP in grado di svolgere compiti via programmazione in campo audio.
    E poi abbiamo anche strumenti di misura e controllo che non costano più migliaia di euro.
    Come questo microfono USB, del costo di meno di 100 euro che viene fornito addirittura con una curva di calibrazione per singolo apparecchio che ne livella la risposta 

    l'UMIK-1 di miniDSP, società cinese specializzata in dsp per hobbysti.
    ****
    Andiamo al progetto, riepilogando prima i concetti di base
    sistema aperto a dipolo (ovvero radiazione diretta anteriore, radiazione riflessa posteriore, nessuna cassa ma un semplice pannello) 4 vie separate divisione delle 4 vie effettuata tramite crossover elettronico a DSP amplificazione separata per le 4 vie controllo del sistema via computer da remoto livellazione della risposta e correzione ambientale tramite DSP i sistemi a dipolo sono caratterizzati da una frequenza di taglio passa alto sulle basse frequenze che è diretta relazione della larghezza del pannello.
    Il pannello si comporta come una sorta di filtro passa alto nei confronti dell'emissione posteriore. Questa a fase invertita rispetto a quella diretta emessa frontalmente, viene riflessa dalla parete della stanza e riportata in fase ma ritardata rispetto a quella diretta.
    Alla frequenza di taglio la risposta dell'altoparlante sul basso comincia a ridursi di 6 db ottava fino ad un punto caratteristico dove questa attenuazione diventa più ripida.
    Normalmente queste frequenze per pannelli di dimensioni compatibili con un normale ambiente di ascolto sono piuttosto elevate rispetto ai sistemi chiusi (sospensione pneumatica o bass reflex) per cui un sistema a dipolo in generale ha un contenuto di bassi di potenza nettamente inferiore a quella di una "cassa".
    Ma esistono sistemi per riportare in linea la banda passante del basso.
    Uno è quello di usare woofer con fattore di merito elevato (anche superiore ad 1), un altro è quello di usare più woofer fatti emettere insieme per aumentare la potenza emessa in ambiente, l'altro ancora è quello di equalizzare la risposta sul basso in modo da aumentare la potenza elettrica applicata rispetto alle altre vie.

    Il mio vecchio sistema (The Widows) usava il secondo metodo, impiegando 5 woofer contro un solo midrange ed un solo tweeter (via delle medie frequenze e via delle altre frequenze).
    Il mio nuovo sistema invece usa i tre metodi insieme.

    il primo disegno di massima del pannello dei DIP21.
    Le quattro vie sono così distribuite :
    basso : 2 woofer Focal in vetro Utopia 38W da 15 pollici medio-basso : 2 woofer Focal in vetro Utopia 27W da 11 pollici medio-alto : 4 driver planari B&G da 10 pollici alto : 1 tweeter planare B&G da 3 pollici in questi anni ho imparato ad apprezzare la risposta dei planari, attribuendole le migliori caratteristiche di fedeltà di risposta e di naturalezza di emissione, essendo caratterizzati da membrane grandi rispetto ai tradizionali altoparlanti dinamici per le vie medie alte ma al contempo estremamente leggere e dal movimento omogeneo e non caratterizzato da un flusso di forza che dal centro si sposta verso la periferia.
    Per questo ho scelto dei planari per le vie oltre i 300 Hz.

    eccoli qui, in primo piano i due medio-bassi B&G NEO10 da 10 pollici capaci di risposta dipolare da circa 200 Hz fino a 8000 Hz, e il tweeter B&G NEO3 da 3 pollici, specializzato in frequenze più alte, da ~1000Hz in su.
    L'impiego di pannelli multipli, connessi in serie-parallelo, oltre ad aumentare la tenuta in potenza ha costituito un array lineare di circa 120cm di altezza, capace di riprodurre tutte le frequenze più importanti del segnale acustico.
    Il taglio impostato è di circa 300 Hz per il basso e 3500 Hz per l'alto


    dettaglio del NEO3 che in questo caso viene usato con la cupola posteriore montata per limitare il suono solo sulla parte anteriore.
    Sui bassi ho impiegato altoparlanti Focal, dinamici, ovviamente, perchè i planari non hanno tenuta in potenza alle frequenze più basse, di derivazione auto.
    Sono tutti subwoofer con membrana in doppio vetro frammezzo con schiuma sintetica. Rigido come metallo ma molto più leggero e caratterizzati da gruppi magnetici in neodimio con configurazione a "fiore".

    l'11 pollici a sinistra, il 15 pollici a destra. I complessi magnetici e le bobine di questi woofer sono tali da reggere potenze nell'ordine del kilowatt ciascuno.
    Il loro Q è elevato, intorno a 0.57, adatti allo scopo. Il VAS è elevato, sostanzialmente sono pensati per essere usati in aria libera o in casse piene di assorbente acustico di enormi dimensioni.
    Ne ho usati 2+2 per cassa per aumentare la diffusione, il Q complessivo, il volume spostato e la riflessione alle varie altezze.
    I pannelli sono alti circa 170cm e il driver sono distribuiti sull'intera superficie.

    la differenza di proporzioni tra i driver in gioco.
    Uno dei woofer da 15 pollici pesa da solo 14 chilogrammi. Il piccolo, circa 10. I medi pesano un chilogrammo.
    Un pannello con i driver montati arriva ad 85 chilogrammi. Ovviamente sono dotati di rotelle.

    i pannelli durante la fase di costruzione. E' comune legno di pino rivestito da listelli per pavimentazione ricoperti di "finta" quercia.

    qui in fase di verifica delle aperture

     
    queste fasi sono lavorazioni manuali : fresature, tagli, levigature. Cose noiosette ed impegnative sul piano fisico.

    i due pannelli in studio fotografico

    montaggio degli altoparlanti.

    non so quante viti ci sono volute

    montaggio completato

    dettagli dei morsetti delle quattro vie di un canale


    cablaggio rigorosamente volante con cavo di grande sezione avvitato ai morsettoni dei woofer.
    Per le vie alte che non reggono la saldatura, solo faston dorati.


    sul tweeter ho saldato un condensatore da 5 microfarad per sicurezza in caso di incauto collegamento.

    foto d'insieme con i primo impianto di pilotaggio.

    poi ridotto ad una versione più mininal : DSP e 4 finali Crown-Audio

    che ha poi raggiunto l'attuale configurazione ancora più concentrata con due finali a 4 canali, costruiti appositamente su mie specifiche da un artigiano romano.
    ***
    Fin qui la prima fase di costruzione. Nella prossima puntata altri approfondimenti sulle logiche di funzionamento, collegamento, controllo, prima di addentrarci in quella di correzione della riposta del sistema e dell'ambiente.
  15. M&M

    Recensioni : violino
    Paganini : 24 capricci
    Alina Ibragimova, violino
    Hyperion 2021, formato 96/24, acquistato
    ***
    Non sono mai troppo tenero con Alina Ibragimova. Semplicemente perchè ha una tecnica straordinaria che spesso lei subisce, facendosela bastare. Alcune sue registrazioni mi sembrano proprio autoindulgenti e il risultato è come se l'ascoltatore fosse un optional, non necessario. Ghiaccio secco tolto dal freezer.
    In termini di pura tecnica qui è lo stesso, è come se si fossero dimenticati di dirle che i Capricci di Paganini sono una delle composizioni di esecuzione più difficile che ci siano.
    Le scale cromatiche e i raddoppi di ottava per lei sono una passeggiata di salute.
    Ma in questo lavoro, registrato durante il lockdown con tutta la necessaria calma del mondo (che evidentemente non è il caso delle tante registrazioni che Alina fa durante l'anno) non c'è solo arida tecnica.
    Tutt'altro. Ogni nota è pesata e usata per quello che è in senso affabulatorio.
    Il tono complessivo è addirittura impertinente, si sente una profonda atmosfera operistica (Paganini praticamente viveva a Teatro ascoltando l'opera e molta della sua musica è in fondo una parafrasi operistica : un racconto musicale).
    Passaggi sussurrati, strillati, tenuti, sempre ostinatamente magniloquenti si susseguono e si sovrappongono.
    La dizione è perfetta ma lo è anche l'uso dell'eloquenza cui spesso questi lavoro non sembra che siano destinati in altre edizioni.
    Il risultato - reso spettacolare da una registrazione che per uno strumento come il suo è sensazionale - è forse la sua migliore prova discografica sinora.
    Carattere, vigore, eleganza, anche una evidente dose di civetteria. 
    Se proprio dobbiamo trovare un difetto a questo disco è la lunghezza, un bel pezzo più lungo di altre raccolte (ho in mente come riferimento quello di Accardo, estremamente sbrigativo in molti capricci : non vuole essere una critica, solo il termine che mi pare sia più indicato al confronto) che è il prezzo da pagare ad una interpretazione meditata come questa.
    Non so se si riesca ad ascoltarlo sempre tutto (io l'ho fatto).
    Ma in ogni caso è come se Alina Ibragimova fosse qui davanti a voi, con dietro Niccolò in persona che la guarda soddisfatto
  16. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Bach : Variazioni Goldberg, revisione di Ferruccio Busoni (1914)
    Busoni : Sonatina "in diem Nativitatis Christi MCMXVII" (#4), BV 274 (1917)
    Bach/Busoni : Chaconne dalla partita #2 in Re minore, trascrizione di Ferruccio Busoni, BV 24 (1893)
    Pianista (e revisore ) : Chiyan Wong
    Linn 2021, formato 192/24, acquistato
    ***

    Wong all'ingresso in sala di registrazione per questa prova Bach/Busoni
    La versione di Busoni fa parte dell'edizione in 25 volumi delle opere per pianoforte di Bach (Breitkopf & Härtel, 1894, 1914–21) che ha preparato con il suo discepolo Egon Petri (1881-1962) e il pianista italiano Bruno Mugellini (1871-1912).
    Busoni dedica il volume 15 (1915), uno dei nove da lui personalmente curati, alla «più importante e più geniale delle variazioni di Bach. Ha cercato di "recuperare questo straordinario" lavoro per la sala da concerto […] accorciandolo, o parafrasando, a
    renderlo più adatto sia alle facoltà ricettive dell'ascoltatore, sia al possibilità dell'esecutore».
    Ha quindi suggerito di omettere i segni di ripetizione e, come lo riteneva «opportuno» per le rappresentazioni pubbliche, sopprimendo alcune varianti;
    Insomma, tra virgolette sono parole di Busoni, tutt'altro che una edizione fedele ma un riadattamento alle esigenze della sala da concerto per l'ascoltatore dell'inizio del XX secolo.

    Comunque la musica di Bach appare tuttavia nella sua interezza nell'edizione. Busoni ha suggerito di eseguire nelle esecuzioni da concerto una sequenza diversa comprendente tre grandi gruppi da seguire. Ha paragonato questo a "tre condizioni distinte di creatività "produzione: interazione all'interno del cerchio; penetrazione interna; esaltazione esteriore». 

    Il primo gruppo copre le variazioni da 1 a 13, omettendo le 3, 9 e 12. Il secondo il gruppo inizia con la variazione 14 o 17 (Chiyan Wong sceglie la prima) e continua fino alla variante 25, omettendo da 16 a 18, 21 e 24. Il gruppo finale comprende
    variazioni 26 e 28, seguite da un "Allegro finale, Quodlibet e Ripresa" composto dalle ultime due variazioni e dalla ricapitolazione dell'aria di apertura.

    Busoni sceglie di “riportare il tema al suo schema melodico originario, semplificato” e liberato dall'elaborata rete di ornamenti', dando la conclusione "qualcosa di simile a un inno.
    In effetti aumenta il volume del tono complessivo anche se la composizione perde la perfetta simmetria originale.
    Chiyan Wong usa piuttosto il testo originale di questa sezione, ma "lava via gli ornamenti, anche se con" alcuni […] “commenti” contrappuntistici’.

    Nel 1910, durante la seconda delle sue quattro tournée americane, Busoni suonò in Chicago, dove ebbe discussioni sul contrappunto con l'organista, compositore e maestro Bernhard Ziehn (1845–1912) e il suo allievo Wilhelm Middelschulte (1863–1943). Nel suo libro Canonical Studies (1912), Ziehn ha discusso l'inversione simmetrica, per cui il rigore del processo è svolto senza riguardo per il risultato armonico. Sia questa tecnica che le sue idee su come completare il finale de l'Arte della Fuga di Bach avrebbero trovato compimento nella Fantasia contrappuntistica di Busoni.

    L'idea di scrivere un'inversione della variazione 15 (Canone alla quinta) si presentarono a Chiyan come uno studio compositivo suggerito dal concetto teorico di Ziehn. Chiyan conserva il layout trasparente di Busoni, che presenta le tre voci su righi separati. Per effetto dell'inversione, si scambiano le parti esterne: il soprano inizia con un salto di ottava verso l'alto, invece di una discesa di ottava nel basso. Usando la nota RE come uno specchio, la chiave originale e cupa di sol minore viene trasformata in re maggiore.
    Non bastasse tutto questo - cioé trasformare la trasformazione di una delle opere capitali della composizione occidentale - Wong aggiunge come separé una sonatina di Busoni che di fatto è una parafrasi di un corale bachiano riflesso nell'atmosfera natalizia degli appennini italiani ("pifferata").
    Per chiudere con la veemente trascrizione della Ciaccona di Bach dove tutto il "lussurioso" pianismo di Busoni si mette al servizio dell'originale violinistico portandolo a vette prima inaccessibili. Qui in una interpretazione semplicemente abbagliante quanto commovente.
    Un disco bellissimo, discutibile per quanto vogliamo sul piano filologico, di un pianista estremamente audace, per nulla preoccupato dalle critiche che si cala con autorevolezza sacerdotale dalle cime del contrappunto massimo.
    Ascoltatelo : vi sorprenderà.
    Suono nella tradizione Linn, inutile commentarlo. Probabilmente potrebbero dedicarsi del tutto alla musica oramai e smettere di fare apparecchi hifi.
  17. M&M

    Recensioni : Vocale
    L'arpa Barberini, musica per arpa e soprano nell'alto barocco romano
    Margret Koll, arpa
    Roberta Invernizzi, soprano
    Accent 26 febbraio 2016, formato CD
    ***

    l'arpista Margret Koll

    in coppia col soprano Roberta Invernizzi
    Roma è da considerare una culla del barocco italiano almeno al pari di Venezia. Il patronato musicale della nobiltà romana, sia ecclesiale che civile ha dato impulso ad un ciclo di rinnovamento tra il '600 e il primo '700 che vedrà un equivalente solo nella ricca Londra dove alcuni dei protagonisti della scena romana si sposteranno.
    Ma il lustro dell'epoca del Cardinale Francesco Barberini che viveva come un principe circondandosi di talento ha pochi eguali.
    Verso gli anni trenta del seicento (quelli che preludono la discesa dei lanzichenecchi, la peste ed altre tragedie) a Roma vivevano e lavoravano grandi virtuosi come Girolamo Kapsberger, cantavano già grandi castrati, l'organista titolare in San Pietro faceva di nome Girolamo Frescobaldi.
    Barberini collezionava non solo talenti ma anche strumenti straordinario.
    Al di là delle qualità indiscusse delle due soliste di questo disco, ad essere celebrata è l'arpa, gemma della collezione di Palazzo Barberini insieme a svariati clavicembali, viole da gamba e liuti, detta, appunto Arpa Barberini.
    Si tratta di un'opera d'arte sia musicalmente parlando che sul piano strettamente estetico. Impostata su tre linee di corde, può suonare in ogni chiave e rappresenta il testamento della cultura musicale di quell'epoca.
    Lo strumento che suona la Koll in questo disco è una copia conforme, costruita nel 2007, fedele in tutto.

    Il disco celebra allo stesso modo quell'epoca con musiche di Kapsberger, Luigi Rossi, Michi, Quagliati e ovviamente Frescobaldi che il cardinale aveva strappato al precedente servizio dei Medici.
    La voce chiarissima di questa armoniosa arpa, suonata con magistrale leggerezza, fa il perfetto paio con la voce chiara e sincera di Roberta Invernizzi, sempre a suo agio in ogni repertorio barocco italiano.
    Il valore musicale complessivo è elevato, giusto per rimarcare che non si tratta semplicemente di un revival o di una celebrazione.
    Specialmente perchè queste musiche non stanno a repertorio normalmente e perchè, specie di Frescobaldi, conosciamo altro.
    Ma basterà ascoltare "Se l'aura spira" per capire di che cosa sto parlando.
    Registrazione cosi cristallina da abbagliare le orecchie, specie se l'ascoltate con dei buoni pannelli planari.
  18. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Rendez-vous avec Martha Argerich Volume 2
    Avanticlassic 10/11/2021, formato HD, via Qobuz
    ***
    Sono 6 CD per circa sei ore di musica pura.
    L'elenco degli artisti - vecchi amici e nuove leve - è lungo, a testimonianza dell'importanza di questo evento, ovvero il Festival Martha Argerich di Amburgo.
     
    del 2019.
    Anche la lista delle composizioni e degli autori è lunga. Ma tutto sommato incidentale. Non ho idea di come sia stata fatta la scelta dei programmi e come sia stata la distribuzione degli interventi.
    Tutto sommato poco importa.
    Non importa nemmeno se non sempre si tratti di interpretazioni allo stato dell'arte - né sarebbe possibile - ma in ogni momento è possibile sentire il piacere di fare musica.
    "Jouer ensemble" per fare il verso al titolo del cofanetto. Come nei precedenti incontri di Lugano.

     
    La Argerich resta brillante, suoni il Primo concerto di Chaikovsky con Dutoit o il Terzo di Prokofiev con Cambreling.
    O il trio di Mendelssohn con Capucon che fa la prima parte del violino.
    O lei che fa la seconda parte dei raramente eseguiti 6 pezzi per pianoforte a quattro mani Op. 11 di Rachmaninov con la vivace Kathia Buniatishvili.
    E' un bell'ascoltare, scopo ultimo - dopo il suonare - di questo regalo che ci fa Zia Martha.

     
     
  19. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Grenzgänge: Frescobaldi To Pärt
    Alexandra Sostmann, pianoforte
    Prospero Classical, 15 ottobre 2021, formato 48/24, via Qobuz
    ***

    disco estremamente colto questo Grenzgänge (letteralmente valichi di frontiera) che si sporge su un panorama tastieristico originale, trascritto o riscritto che va dal primo barocco fino ai giorni nostri, da Frescobaldi - capostipite del contrappunto post-rinanscimentale - a Part e Ligeti.

    ci guida la sorridente Alexandra Sostmann che già si è dedicata su disco a voli del genere, partendo da contenuti barocchi per arrivare a rivisitazioni tardo-romantiche o post-romantiche, quando non atonali.
    Ha un tocco clavicembalistico, nitido e trasparente "come cristallo" secondo la recensione di BR Klassik.
    In questo viaggio si parte dalla rilettura opulenta di Ottorino Respighi della passacaglia di Frescobaldi (per organo all'origine) passando per una Canzona arrangiata da Samuil Feinberg.
    Una pausa di questo secolo con il #11 della Musica Ricercata di Ligeti (Omaggio a Frescobaldi, in italiano nel titolo originale) per andare al barocco originale del grande Froberger, allievo di Frescobaldi, di cui il giovane Bach trascrisse di nascosto le partiture nella notte per portarsele a casa nel suo celebre viaggio nelle cattedrali del Nord alla ricerca di ispirazione.
    E poi Bohm, Pachelbel oltre a naturalmente Bach, sia in originale che trascrittore (di Marcello ma solo del ... solito adagio) che trascritto da Feinberg e da Brahms nella celebre ciaccona per la sola mano sinistra.
    In mezzo quella gemma che sono le Variationen zur Gesunding von Arinuschka di Arvo Part (1953 ~200 anni dopo il Clavicembalo ben Temperato).
    Sono ricercari e ciaccone, le forme più raffinate di ricerca polifonica della musica barocca le cui radici risiedono in Frescobaldi e viaggiano nel tempo fino a Shostakovich e oltre, passando per Beethoven e Brahms in veste di fuga e fugati.
    Per la raffinata interprete è un viaggio tra mondi apparentemente distinti i cu confini invece diventano facili da varcare attraverso il suo portale pianistico.
    Grazie al gusto gentile e delicato di Feinberg in particolare ma anche di Brahms, che abbassò la ciaccona di una ottava per renderla più confortevole alle particolarità del suo pianoforte.
    Busoni avrebbe stonato in questa gamma di tonalità trasparenti mentre le apparenti lontane variazioni di Part con le loro inversioni e sfumature tra il basso e la voce ci stanno perfettamente.
    Registrazione di gran classe per un disco che consegno alla vostra curiosità (ma voi sapete quanto per me questa musica sia preziosa, una pagina più di tutte le mazurke, walzer e notturni del mondo).
  20. M&M

    Composizioni
    Composto tra il 1881 e il 1882, quando l'autore aveva 40 anni.
    La prima esecuzione avvenne a Mosca il 30 ottobre 1882.
    Il trio venne completato a Roma e la dedica è metà in francese, la lingua colta per i russi, e metà in italiano «A la mèmoire d'un grand artiste. Roma, gennaio 1882» ma in nessun modo si fa riferimento diretto a Nikolaj Rubinstein morto nel 1881 lasciandolo sottinteso.
    Si tratta di una composizione che spezza ogni tradizione, peraltro dalla mano di un compositore per niente legato alla musica da camera.
    I due movimenti sono contrapposti, il primo "Pezzo elegiaco" nel manoscritto, in tre tempi, appunto dall'elegiaco al Moderato assai all'allegro giusto finale (~18 minuti)
    Ma soprattutto il secondo movimento, un lungo tema seguito da variazioni, finale e coda (~15 minuti)
    Il pianoforte apre con arpeggi su cui si innesta il tema portato dal violoncello cui risponde nella seconda frase il violino.
    Continua così il dialogo tra i due archi con il pianoforte che ne sottolinea le trame e riempie di sonorità sommesse gli spazi, stretti, tra i due strumenti.
    Poi il violoncello sostituisce il pianoforte che invece riprende il tema iniziale su cui il violino ricama.
    L'atmosfera è dolente ma non tragica come si vorrebbe definire, il pianoforte aumenta di volume, idealmente cantando un dolore crescente.
    Ma subito dopo violino e violoncello riprendono a portare la musica in un crescendo di ritmo che lascia poco spazio al pensiero.
    Il piano riprende con forza martellante, veemente, cui si oppone solo il violino.
    Torna la calma con il piano che introduce la seconda parte melodica del violino, il violoncello intanto cade un pò in disparte, al servizio dei suoi pari.
    E' ancora il piano che da il ritmo nella parte più veloce ma anche un pò salottiera del primo movimento.
    Verso il minuto 7 riprende il dialogo tra violoncello e violino con altro materiale melodico derivato dai precedenti. E' una rincorsa tra le voci. Si sentono echi dai temi operistici di Chaikovsky, sembra di vedere in qualche momento Olga che si rivolge ad Evgenji.
    I toni sono più smorzati, forse nostalgici, di qualche cosa che non può tornare ma si ricorda con piacere. Il violoncello non forza mai e nemmeno il pianoforte. Il violino ha un assolto melodico dopo oltre la metà del movimento che termina in un sussurro tenuto.

    Ritorna il tema iniziale, ancora con il violino che lo canta dolente, il violoncello si aggiunge sui registri più gravi ma la parentesi dura poche battute e il violino cerca di stemperare i toni con più ritmo, sincopando il tema.
    Il finale è disteso, nell'allegro giusto ma nella realtà nasconde una certa parodia di marcia funebre.
    In sintesi abbiamo tre grandi temi con lunghe variazioni, un intreccio teso con fraseggi che variano di modulazione, i tre strumenti hanno ampio spazio anche di assoli lirici.
    Il Secondo movimento è diametralmente opposto, un tema portato dal pianoforte di derivazione popolare apre ad una serie di variazioni "non formali" veloci, frizzanti, travolgenti. Con tanto di valzer, carillon, tema con contrappunto e fuga elaborata (per Chaikovsky) e una variazione finale di proporzioni sinfoniche che mi sarebbe sempre piaciuto ascoltare orchestrata.

    La letteratura narra che l'idea del Trio che, come sappiamo era tra le cose più lontane dalla mente del nostro, venne dalla solita mecenate Nadezhda von Meck il cui musicista di casa, tale Claude Debussy, aveva deliziata con un frizzante trio con pianoforte.
    Piotr doveva alla von Meck l'indipendenza economica e quindi dovette abbozzare, trovando alla fine l'ispirazione di questa sorta di sinfonia da camera che coincise con la morte di Rubinstein, fondatore del Conservatorio di Mosca - il famoso Rubinstein che rifiutò di eseguire il Primo Concerto per pianoforte di Chaikovsky definendolo "ineseguibile e triviale" - cui l'autore era estremamente legato.
    Per esagerare l'aneddotica, Rubinstein era malato grave di tubercolosi e pensò che un soggiorno in Costa Azzurra l'avrebbe aiutato.
    Non ci arrivò mai, l'aggravarsi della malattia lo costrinse a fermarsi a Parigi dove spirò ingozzandosi di ostriche.
    Il fratello Anton insieme a Chaikovsky, ovviamente, si precipitarono per rendere omaggio alla salma prima che venisse caricato sul treno per Mosca.
    Chaikovsky fu devastato dalla perdita dell'amico. La precarietà della sua sfera sentimentale e personale gli fanno perdere del tutto l'ispirazione.
    Trascorre mesi senza una sola idea musicale.
    I loro trascorsi datavano oltre venti anni e nonostante le molte differenze di visione - Rubinstein molto tradizionalista, Chaikovsky più moderno ma anche più "occidentale" - li legava grande amicizia.
    Fu Rubinstein a chiamare Chaikovsky in Conservatorio come insegnante di armonia e sempre Rubinstein a presentare le prime musicali delle principali composizioni dell'amico.
    Anche dopo il primo giudizio sul concerto, fu Rubinstein a dirigere l'orchestra con Tanejev come solista alla prima esecuzione.
    Quindi la morte e la devastazione conseguente, lasciano lo spazio al tributo musicale per il suggerimento della von Meck e nonostante le ritrosie iniziali spiegate in questa lettera un pò delirante :
    "I miei organi uditivi sono fatti in modo tale da non poter assolutamente ammettere alcuna combinazione con un violino o un violoncello. Per me i diversi timbri di questi strumenti si combattono ed è per me, vi assicuro, una vera tortura ascoltare un Trio o una Sonata con il violino o il violoncello [...] Un Trio presuppone uguaglianza di diritti e omogeneità, come avviene nel Trio per archi. Ma come può esistere una tale omogeneità fra strumenti ad arco da una parte e il pianoforte dall'altra?"
    che poi all'atto pratico della composizione non pesano affatto.
    Lasciando l'aneddotica e ritornando alla composizione, si tratta di una architettura di tali proporzioni ed impegno da aver richiesto grandissimo sforzo nella stesura e di fatto è diventato l'archetipo/prototipo del trio elegiaco russo successivo, per Rachmaninov e per Shostakovich.
    Ma richiede particolare impegno degli interpreti nel non banale dominio della dialettica tra le voci per tutta la durata "sinfonica" della composizione.
    Esistono decine e decine di interpretazione nella nostra discografia, con esimi violinisti (Heifetz, Menuhin, Perlman) e violoncellisti (Piatigorsky, Rostropovich), pianisti (Rubinstein, Gilels) solo per citarne alcuni.
    Ma l'affiatamento e l'intesa richiesti per non disperdere il carattere della musica per tutta questa durata sono non comuni e richiedono grande frequentazione.
    Tra le tante io sono particolarmente legato alla edizione EMI del 1972 con Barenboim, Zukerman e Du Pré il cui legame era intenso sia sul palco che nella vita di tutti i giorni.
    L'intera performance è viva, vivace, intensa, passionale, appassionata ma allo stesso tempo rispettosa, aperta, decisa, inappuntabile.
    Dalle prime note del pianoforte che aprono l'elegia iniziale alle ultime che chiudono la coda finale con un passo di marcia funebre.
     

    la copertina del LP rimasterizzato digitalmente nel 1985 della registrazione originale dei tre amici (i due di sinistra all'epoca anche marito e moglie) come si può intuire i queste altre foto fuori scena durante la registrazione


    Ma, che diamine, basta citarli per emozionarsi, i tre che seguono in questa ripresa che unisce il trio di Chaikovsky con quello in mi minore di Shostakovich.

    Rostropovich gioca a scacchi con Leonid Kogan durante una pausa sotto lo sguardo divertito del loro amico Gilels.

    Una delle edizioni di questo disco, con registrazione del 1954, appena morto Stalin (e si sente).
    Di registrazioni recenti ce ne sono molte, non sempre su questi livelli irraggiungibili.
    Segnalo giusto questa con un Capucon in grande spolvero

    In conclusione, vi invito ad esplorare l'inconsueto trio di Chaikovsky che forse conoscete per Patetiche e Cigni ma non come camerista.
    E' inutile che vi stia a scrivere quanto io ami senza nessuna riserva questa grandissima opera d'arte.
  21. M&M

    Artisti
    Purtroppo di questi tempi tocca scrivere più necrologi che di nuove nascite. Siamo al culmine del cambio generazionale, purtroppo é così.
    Ci ha appena lasciati Nelson Freire, pianista brasiliano, interprete di rara umanità e sensibilità, formatosi in patria ma poi perfezionatosi alla scuola di Vienna con - tra gli altri - Friedrich Gulda, nella classe di Martha Argerich.
    Lascia grandissimi concerti e registrazioni strepitose che ci permetteranno di ricordarlo tutti i giorni (sto ascoltando il suo Bach mentre scrivo questo articolo).
    Qualche cosa che i pianisti di quella generazione non hanno trascurato ma che pare ai giovani contemporanei non interessi più, quasi come se il turbinio della vita quotidiana - tra aerei e jet-lag per dare concerti ogni tre giorni - sia la norma e non debba lasciare segni.
    Memorabili i suoi dischi con Chailly con la Gewandhausorchester


    ma in generale ogni pagina a cui si è accostato è degna di interesse per la sua visione nitida e umile.
      

     
    Grazie Maestro

     
     
  22. M&M
    Ricordo un vecchio film con David Niven che interpretava un ladro che dopo ogni rapina, fatta con garbo e stile, in condizioni ritenute impossibili per i ladri "professionisti", lasciava un biglietto da visita con scritto The Amateur (il film è Raffles del 1939 che deriva proprio da un romanzo dal titolo The Amateur).
    Il termine in inglese con evidenti derivazioni francesi e latine indica in una sola parola l'attività di uno che fa le cose per amore di farle, per passione.
    In italiano, quando ci si riferisce all'arte (non a quella dell'amore passionale a scopo ... sessuale quello richiede altre tecniche di ... caccia) esiste il termine amatore. Che avendo amore come radice, significa la stessa cosa. Amore per un'arte o una passione, praticata per puro diletto, non per professione.
    Allo stesso modo, dilettante, in italiano (in inglese si dice sempre amatuer, noi abbiamo una lingua più ricca) è chi pratica un'arte o un passatempo per puro diletto e divertimento, non per professione.
    La differenza qui, con un professionista, non è mai - non dovrebbe essere mai - né il tempo né la perizia dedicati a quella attività ma la mera differente finalità : per diletto (passione, amore, divertimento) da parte del dilettante, per soldi (professione, fatturare, incassare, vivere) da parte del professionista. 
    Il dilettante/amatore trae il proprio sostentamento da altre attività o mezzi, il professionista vive della sua attività che pratica quindi per vivere, non necessariamente perché gli piaccia o ne tragga diletto.
    Mentre al contrario non ho mai conosciuto un dilettante che faccia una cosa che non lo diverte per ... divertimento.
    Purtroppo nella gergalità quotidiana si usa il termine dilettante anche come dispregiativo, per indicare uno scarso che si dedica ad una certa cosa senza averne né competenza, né mezzi e spesso, malamente, non avendone nemmeno l'inclinazione.
    Questo deve essere inteso come un insulto e mai un dilettante dovrebbe riferirsi a se stesso in questo modo.
    Un dilettante fa le cose per diletto, per divertimento, per passione. Un amatore fa le cose esclusivamente per amore.
    Dimostrereste amore o passione per la cosa che fate se non vi dedicaste tutto quanto sia necessario ?
    Io credo di no. Io sicuramente no. Io pratico tutte le mie passioni con amore e slancio. Altrimenti non mi ci dedico oppure, più onestamente, vuol dire che non è vero che quella certa cosa mi appassiona, mi piace, mi diverte, la voglio fare.
    Non importa quale sia l'arte, il "passatempo", l'attività che si svolge per diletto. Sia la pesca in alto mare, la scalata senza corde o la fotografia (perché questo è un sito di fotografi per fotografi, no ?).
    Il dilettante spesso investe più tempo e mezzi del professionista. Che invece si limita a "spendere" solo il necessario per fare il lavoro che gli viene richiesto. Non un passo di più.
    Il dilettante spesso ne sa invece di più, anzi, spesso è anche più competente, interessato, più bravo.
    Insomma, non dite più di essere dei dilettanti della fotografia o dei foto-amatori se nella realtà non lo siete davvero.
    Magari siete solo vagamente interessati alla fotografia. O neppure, ogni tanto vi ricordate che riuscite a passare una mezz'oretta divertendovi fotografando.
    Ma questo non vi autorizza a dire che siete dei fotografi dilettanti, né dei foto-amatori.
    Siete delle persone comuni dotate di strumenti atti a fotografare. Tutta un'altra specie. Non necessariamente disprezzabile, ma sappiatene riconoscere la differenza.

    la copertina di Amateur Photographer, competentissima rivista di fotografia inglese dedicata ai più appassionati fotoamatori

    che in questa altra copertina si dedica all'arte della fotografia monocromatica, dalla ripresa alla stampa.
    Argomenti trattati con profondità, altro che dilettantismo !
     
  23. M&M
    Oramai anche i meno interessati sanno che sta arrivando l'inarrestabile Nikon Z9

    ne attendiamo il lancio a giorni (il 28 ottobre ?) e probabilmente poi - almeno per i primi fortunati - non si farà attendere.
    Sappiamo che non tutti sono interessati - per tante condivisibili ragioni - alla Z9.
    Ma siamo più che certi che dalla Z9 ci saranno ricadute tecnologiche sulle prossime generazioni di Nikon Z.
    Crediamo che Z6 III e Z7 III - attesa ipoteticamente per la fine del 2022 - incorporeranno quello che della Z9 può scalare verso il basso su sensori non stacked.
    Costituendo così corpi definitivi per la gran parte dei fotografi.
    Mentre è sicuro che ci saranno anche proposte con sensori stacked a prezzi inferiori alla Z9 (pensiamo sia ad una APS-C Z90 che ad una FX Z8 con caratteristiche che deciderà Nikon secondo la sua convenienza e la sua visione del mercato).
    Intanto usciranno gli obiettivi previsti dalla roadmap. E certamente Nikon non si fermerà li ma amplierà il corredo Z cercando di soddisfare la maggior parte dei nostri bisogni fotografici.
    Quindi nell'arco di 15-24 mesi ognuno sarà facilmente appagato, se in grado di spendere le cifre necessarie per dotarsi di quanto gli serve.
    Insomma, non ci saranno più alibi.
    E poi ?
    La lettera Z è l'ultima lettera di tutti gli alfabeti "occidentali", dopo non c'è più nulla. Sinceramente con i miglioramenti generali del sistema Z dubitiamo che Nikon possa offrire all'orizzonte un sistema successivo altrettanto "rivoluzionario" in termini di prestazioni da "obbligarci" ad un successivo cambio di corredo.
    E quindi ?
    Immaginiamo tre soluzioni anche senza consultare il Mago Sylvan
    1)

    ognuno potrà passare il tempo a cullare la propria Z con sopra montato il proprio Nikkor Z preferito, come se fosse il/la proprio primogenito
    2)

    si potranno popolare scaffali, vetrinette e reliquiari in cui mantenere intonsa "in maniera maniacale" la propria attrezzatura fotografica per conservarla per nipoti che non saranno affatto interessati ad altro che rottamare il tutto (vetrinetta e contenuto)
    3)

    la cosa più banale da fare con una Nikon : usarla per fotografare, tanto, spesso, e volentieri.

    e quindi stampare un pò di queste fotografie, magari anche sotto forma di libri e riviste, da fare insieme qui agli amici di Nikonland.
    Noi siamo qui per convincervi che la vostra presenza su Nikonland possa essere utile per il punto 3, mentre non vi possiamo in alcun modo aiutare per i punti 1 e 2 che dovrete assolvere necessariamente ed onanisticamente da soli.
    La nostra raccomandazione, passata la stagione delle novità "necessarie ed impellenti" anche delle Nikon Z è sempre quella : fotografate, gente, fotografate.
    E perché no, partecipando alle iniziative di Nikonland (contest e libri/riviste fatte con amore) che periodicamente ci vengono in mente.
    Sayonara !
  24. M&M
    I costumi sociali e i modelli di comportamento nella nostra società mutano con il mutare dei tempi.
    Da ragazzo uno status symbol era il lusso, per un uomo, una bella moglie, una casa da sogno, lo yacht, macchine sportive e in generale, tanto tempo per goderselo in vacanza.
    Vedevamo Raoul Gardini o l'avvocato al timone dello yach in crociera o addirittura in una regata

    Gianni Agnelli con i "nipoti" in crociera
    io avevo di Herberth von Karajan l'idea di quello che finite le prove con l'orchestra e il concerto, volasse dalla sua bionda moglie, il suo cane e le sue tante Porsche 911, 935 e 959 (quest'ultima fatta proprio  per lui)

     
    Quindi la possibilità di godersi le proprie ricchezze nel tempo libero, il coronamento di sforzi o l'essere arrivato.
    Oggi non sembra più essere così. E nemmeno i ricchi si godono più il tempo libero.
    Si vendono le case ad Hollywood, le automobili restano in garage e più in generale non si mostrano in giro o se lo fanno, corrono, scappano.
    Perchè ?
    Perchè sono impegnati.
    Anche su queste pagine, sempre più desertificate dall'assenza di molti iscritti di un tempo, il motto che si sente più frequentemente è "avessi tempo per fotografare", "quello che mi manca è il tempo", "lavoro 14 ore al giorno, 6 giorni su 7 e il settimo invece di riposare, lo dedico agli impegni di famiglia".
    Impegni, lavoro, problemi, niente vita sociale ma cene di lavoro, briefing, web call, telefono, whatsapp, teams.
    Secondo uno studio recentemente pubblicato della Columbia Business School, oggi questo "non avere tempo" ed essere "sempre impegnati", anche nel tempo libero (dove ogni attività diventa impegno oneroso, come il padel o correre la mattina per andare in ufficio in forma ...) è diventato uno status symbol
    Se uno non ha tempo né per se né per gli altri ed è impegnato tutto il tempo, allora è una persona di successo.
    Uno che lavora 20 ore al giorno è uno che viene ricercato.
    Se ci fate caso anche negli spot pubblicitari è così. Ogni scenetta o gag nasce da qualcuno - non necessariamente un manager, anche un semplice galoppino/galoppina - che non ha tempo nemmeno per ... stare male di stomaco o di testa.
    La pillola serve per poter tornare presto in forma, a lavorare o ad occuparsi di qualche altro impegno nelle tante attività extra-lavorative.
    Essere Busy è cool, è in, soprattutto, è giusto così.
    Avere tempo libero è da poveracci, falliti destinati al nulla.
    Premesso che rifiuto il concetto, sia come veniva presentato prima - ricco, si gode la vita - che oggi - ricco, lavora come uno schiavo 366 giorni l'anno - perché per me si lavora per vivere, mai e poi mai si vive per lavorare (almeno dai tempi della Prima Rivoluzione Industriale), ne sto scrivendo perché chi passa ci si soffermi.
    Certo ogni situazione personale fa storia a se ma i modelli in generale vengono costruiti per giustificare una situazione e renderla condivisibile.
    Una volta il modello di capitalismo accettato era quello che consentiva l'accumulo di ricchezze per poi godersele.
    Oggi si cerca di far credere che l'unico modo di arrivare sia il superlavoro, la quantità di ore di lavoro quotidiane, la velocità e il ritmo con cui si svolge il lavoro, il raggiungimento degli obiettivi (non importa se ir/raggiungibili) come unico godimento possibile.
    Non importa se nel mentre uno schiatta e non ci arriva nemmeno ad una pensione di merda maturata a 77 anni.
    Su questo le società di consulenza, le scuole per manager e le università stanno solo ricamando.
    E' uno stato di fatto che si cerca solo di testimoniare e giustificare.
    Così la gente ama vantarsi delle lunghe ore di lavoro e della mancanza di tempo libero. Condividendo questa condanna con gli altri, questa sembra diventare più lieve, guardando con incredulità a chi invece cammina a passo più lento.
    Di converso, se uno di successo non ha tempo libero, solo un povero sfigato si fa riempire il tempo libero di cazzate di nessuna utilità per la società, come ... fotografare, andare a pesca, al cinema o sognare di avere tempo libero per oziare, secondo il modello di consumo dato per normale fino a qualche anno fa.
    Magari ci giustifichiamo - mi ci metto anche io ma la questione alla base è opposta - tanto ci sarà in futuro. Quando ...
    Ma la verità è che è stato distrutto un modello e con esso una intera classe ... la famosa classe media (la vecchia borghesia) che alimentava tramite passaggio quella dei ricchi, almeno nei sogni che le consentivano di accumulare, risparmiare, consumare.
    Oggi si mangia per andare a lavorare. E non si dorme perchè si deve lavorare.
    E dove dobbiamo andare, a fotografare ?

    Nella realtà, non vi sarà sfuggito il mio pensiero, questo è giustificare lo sfruttamento delle risorse umane per cavare in ogni maniera soldi nella società del post-capitalismo.
    Come ? Sottodimensionando gli organici minacciando di dare il lavoro in outsourcing se non ci arrivi.
    Una cosa che andrebbe perseguita per legge, non issata a modello da seguire e giustificare.
    Altro che Status Symbol.
  25. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Daniil Trifonov : Bach, The Art of Life
    Deutsche Grammophon 8 ottobre 2021, formato HD, acquistato
    ***
    Un altro monumentale volume della visione di Trifonov dell'arte pianistica.
    Sono 2 ore e 16 minuti in totale.
    Il pezzo forte è l'Arte della Fuga, come il titolo del disco fa immaginare.
    Con tanto di Contrappunto #14 completato in forma "obbligata" dallo stesso Trifonov.
     
    Ma il percorso "di vita" per giungere all'opera capitale di Sebastian passa per brani dello stesso Bach - più lievi come alcuni della raccolta del Notebuch per la moglie Magdalena - e dei figli, tutti quanti, Emanuel, Christian, Friedrich, Christoph e Friedemann (se non ne ho dimenticato qualcuno).
    Con un intruso che ci sta come il cacio sul minestrone, il basso sassone Johannes Brahms e la sua trascrizione per sola mano sinistra della Ciaccona in re minore, che sostanzialmente è come se fosse una traduzione giurata dell'originale.
    Trifonov ha rilasciato interviste, video e i media hanno parlato a lungo di questo volume.
    Il progetto è nato dall'Arte della Fuga prima del periodo Covid su suggerimento del suo maestro Babayan che - giustamente - dopo aver visto il "mattonazzo" dedicato ai russi, intenso ma al limite dell'inascoltabile, uscito in precedenza - deve aver pensato che il suggerimento giusto fosse quello di far tornare Daniil alle origine.
    Cosa ti ha fatto sentire che era giunto il momento di affrontare The Art of Fugue?
    "Mi è stato suggerito dal mio insegnante, Sergei Babayan. Mi ha dato l'idea qualche tempo fa. Avevo molte altre cose su cui stavo lavorando, ma alla fine ho iniziato con The Art of Fugue . Certo, questo è un pezzo estremamente affascinante quando guardi la partitura e come lavorare con il materiale. Una cosa è scrivere una fuga su un singolo tema, ma un'altra è scrivere tanti contrappunti diversi così complessi usando lo stesso tema. È tutta un'altra lega di complessità polifonica."
    E in mezzo a tutto quel "Re minore" (compresa la Ciaccona) 
    "L'Arte della Fuga è un sacco di re minore, ed è una grande esperienza di ascolto, ma volevo mostrare alcuni altri lati della musica di Bach, e in particolare la musica dei suoi figli. Molti dei suoi figli stavano producendo musica estremamente ben scritta. C'è CPE Bach, ovviamente, ma anche fantastici pezzi di Johann Christian Bach, Wilhelm Friedrich Bach e poi anche Johann Christoph Friedrich Bach. E poi abbiamo il Quaderno di Anna Magdalena"
    Ancora, sulle origini del suo interesse per Bach 
    "Mi è sempre piaciuto suonare la musica di Bach, e questo è uno dei motivi per cui Tatiana Zelikman, la mia ex insegnante a Mosca, ha voluto che studiassi con Sergei Babayan a Cleveland: venerava così tanto il suo Bach. Con l'Arte della Fuga , una volta che inizi ad impararlo, ti attira e il tempo passa molto più velocemente rispetto ad altra musica. Per due periodi di due settimane – quando ho appena iniziato a impararlo e più tardi quando stavo per iniziare a suonarlo – è stato normale per me esercitarmi 8 ore al giorno, cosa che non consiglierei mai. Non ricordo che sia mai stato così con altra musica."
    Mentre sul completamento della parte incompiuta :
     
    Per la registrazione, hai completato tu stesso l'ultimo Contrapunctus XIV incompiuto. Puoi spiegare come ti sei avvicinato a questo compito?
    In realtà non ci sono molti modi per affrontarlo: c'è letteralmente solo una combinazione in cui ogni tema può iniziare che può far funzionare tutti e tre i temi. Una cosa che faccio, però, è usare le versioni invertite di tutti i temi, perché la cosa miracolosa è che funziona davvero! Questo è probabilmente il più grande vantaggio dall'apprendimento di questo pezzo e dalla scrittura di questo completamento. Non è stato così difficile da fare perché tutto è andato a posto. I temi e il contrappunto hanno molto senso e funzionano in qualsiasi combinazione, e anche nella versione retrograda [invertita]. Bach non l'ha usato in questa occasione, come ha fatto in Un Offerta Musicale , ma chi lo sa? Forse se fosse vissuto più a lungo avrebbe potuto farlo anche nell'Arte della Fuga .
    Devo ammettere che ho cominciato ad ascoltare il disco già questo venerdì con un certo scetticismo. Vinto subito dopo le prime pagine, effettivamente, lievi sia della musica dei figli di Bach che del loro sommo Padre.
    In particolare è stata una grande scoperta - limite mio - quello delle variazioni su "Ah, vous dirai-je, Maman" di Christoph, del quale ho ascoltato veramente pochissimo.
    Mano mano che ho ripetuto l'ascolto - non so quante volte - nell'arco del week end mi sono persuaso che questo è probabilmente il primo disco veramente convincente del "sudaticcio" Daniil che affronto in questo modo.
    L'Arte della Fuga non è rigida ed ascetica come quella di molti clavicembalisti ma non è nemmeno libera come quella di tanti pianisti russi. In questo probabilmente dobbiamo veramente ringraziare Babayan che oltre ad essere un pianista raffinatissimo è anche un didatta inestimabile.
    L'immagine che ci da Trifonov è rispettosa ma aperta, vitale, non da Finis Germaniae o Gotterdammerung.
    Il tocco è lieve, senza troppo pedale. I tempi liberi ma comunque asserviti a questo spirito del sublime senza troppo ... sublimare.
    In ogni nota c'è vita, come il titolo del disco vuole a questo punto sottolineare.
    Eppure in alcuni fugati non manca di entusiasmare, ben più che in Chopin o in Prokofiev per dire solo alcuni dei suoi ultimi, celebri tentativi.
    Chiude il disco un solenne Jesu Meine Freude, corale dalla cantata BWV 147 trascritto dalla dolcissima mano della Dama Myra Hess. Lieve come l'ultima neve di primavera che prelude al tiepido sole delle prossime stagioni.
    Peccato solo che questo tripudio di musica strepitosamente interpretata soffra del perpetuo limite di molte registrazioni pianistiche DG : microfoni ravvicinati, dinamica inesistente, rumori, compressione elevata, al limite del metallico.
    Daniil cambia etichetta, questi non ti meritano ...

    stampato anche in vinile

    una delle foto del libretto. Il mood è intonato con l'interpretazione. Bravo Daniil.
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