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  1. M&M
    Piotr e Johannes si sono incontrati a Lipsia intorno al 1888 in uno dei tanti giri del russo per l'Europa e prima si erano trovati reciprocamente antipatici.
    Non ci deve sorprendere, tanto erano diversi ed opposti i due musicisti.
    Chi scrive è un discepolo osservante della musica contrappuntistica che discende dal barocco italiano attraverso Bach, Beethoven e Brahms, che vede con assoluto sospetto tutto ciò che è disorganizzato e liberamente irrazionale, come la quasi totalità della musica di Chaikovsky.
    Un soggetto così controverso da non sapersi mai come scrivere il nome e pure il cognome e che pare sia arrivato addirittura ad organizzare in melodramma la propria dipartita.
    Del resto questo sito si intitola alle Variazioni Goldberg e non c'è nulla da nascondere al riguardo.
    Insomma, di Chaikosky si parla come di Chopin. Sarebbe facilissimo stilare una lista di 10 dischi con la musica più passionale che ci sia e lasciare poi all'ascoltare fare una discernita.
    Ma sarebbe un compilato del tutto inutile.
    Le nostre guide invece vogliono essere una traccia per guidare chi si riconosca in certe logiche.
    Come per la guida sulla musica di Brahms, per l'appunto, che esclude completamente le celeberrime sinfonie e pone al centro invece musica che ai più è del tutto sconosciuta, qui si vuole fare una cosa ancora più ardita.
    Brahms si diceva in vita che detestasse Wagner. Ma non è vero, apprezzava sinceramente l'Opera di Wagner che ascoltava volentieri e conosceva bene.
    Detestava invece il mercimonio "a programma", i poemi sinfonici di Liszt. Anzi, tutta la persona e l'opera di Liszt.
    Chaikovsky non era il Liszt russo, per nulla ma il suo romanticismo nazionale non era poi così dissimile.
    Quindi come sceglierebbe 10 dischi di Chaikovsky il nostro Brahms ?
    Un giorno spero di poterglielo chiedere di persona se sarà di buon umore e se io sarò dell'umore giusto per chiederglielo.
    Oggi lo sono e quindi provo ad immaginarmi il mio Johannes che fa una selezione ragionata di ciò che va conosciuto ed apprezzato in Piotre - del resto anche qualche cosa di Liszt la si può ben salvare ! - e cosa invece non meriterebbe l'attenzione che gli viene tributata.

    Piotr Iliic Chaikovsky ha lasciato un catalogo con 80 opere scritte tra il 1867 e il 1893.
    Il corpus più importante della sua musica probabilmente pesa per lo più su quelle orchestrali.
    Ci sono le 6 sinfonie, i 4 concerti e pezzi concertanti, le suite orchestrali e le serenate, le musiche di scena.
    Ma non meno importanti sono le opere liriche, per tacere dei balletti.
    Sono invece da considerare per lo più composizioni minori quelle per pianoforte e la musica vocale.
    E anche la musica da camera non era dove il russo si esprimeva al massimo.
    Il massimo della sua notorietà viene certamente dai balletti e dalle opere. Dai i due più famosi concerti. E dalle ultime sinfonie.
    Ma forse c'è dell'altro ...
    1) Sinfonie 4, 5 e 6

    Pur essendo tre coacervi di "marce slave" le 3 ultime sinfonie sotto la guida del Grandissimo Mravinsky avrebbero finito per convincere anche il vecchio Brahms.
    Ci vuole disciplina per impedire a tutti quei sentimenti concentrati a pressione di fuoriuscire per la sala ed impregnare tutto quanto.
    Qui la simbiosi tra Direttore e orchestra é talmente totale che Lui poteva dirigere semplicemente con gli occhi, senza un gesto, nemmeno con il sopracciglio.
    La Quinta soprattutto è sensazionale. E perfino la torbida quarta risulta interessante.
    Per digerire la Sesta Johannes avrebbe fatto ricorso alla più amara cioccolata con panna offerta dalle pasticcerie di fronte al Prater ....
    2) concerto per pianoforte e orchestra n.1

    Sensazionalismo a parte, Gilels qui era una forza della natura e Reiner ha spinto la Chicago oltre i limiti della partitura.
    Il materiale tematico di questo concerto è essenziale, lo svolgimento volgare, i raddoppi esagerati.
    Ma è uno dei pochi concerti per pianoforte che si possono avvicinare al 2° di Brahms.
    3) concerto per violino e orchestra

    Vecchia scuola qui, con la Boston nelle mani del leggendario Leinsdorf di scuola che più viennese non si può.
    Mentre Perlman al suo massimo alleggerisce i tratti esageratamente glicemici di certe parti del concerto per violino di Chaikovsky che Brahms di questi tempi, avrebbe scoperto con sorpresa, rivaleggia con il suo per notorietà e numero di esecuzioni.
    4) Evgenij Onegin

    Onegin non è la Dama di Picche. Non lo è nel testo originale di Puskin e non lo è nella musica.
    Ci sono arie di grande lirismo mentre mancano almeno in parte i cori giovanili a tempo di marcia militare della Dama.
    E' la sintesi dell'operismo colto dei russi e, per lo meno, non richiede cuscini imbottiti come il Godunov o dosi massicce di antidepressivi come la Lady Macbeth.
    Scegliamo in questo caso un grande russo come Fedoseyev alla testa di una compagine tutta moscovita.
    Johannes si beveva l'Anello tutto di seguito, l'Onegin e la sua narrazione continua, senza recitativi e senza intervalli è un antipastino.
    Si sarebbe innamorato di Olga ? Chissà.
    5) Romeo e Giulietta

    Brahms sarebbe uscito di senno ascoltando Manfred o Francesca da Rimini, mentre Romeo e Giulietta ha il dono, almeno, della sintesi.
    Il materiale tematico ha una parvenza di sviluppo e la storia si capisce tutta.
    E mancano del tutto i tratti ridicoli dei passi dei balletti. Per fortuna.
    Qui una versione sensazionale con cui Seji Ozawa - interprete magnifico del balletto di Prokofiev - lega la tragedia di Shakespeare nei colori di Berlioz, Chaikovsky e Prokofiev.
    6) Il Lago dei Cigni, rigorosamente in riduzione da suite da concerto

    Il Lago dei Cigni è una storia commovente ma assistere al balletto e vedere paperette e tacchini che zampettano con forza sul palco richiede disciplina che il nostro Johannes non ha mai posseduto se non nell'applicare i principi del contrappunto a tutto ciò che si può scrivere in musica.
    Una suite, con un raddoppio di arpe, dopo una cena impegnativa. Perchè no ?
    Previn la vede come se fosse musica da film e toglie un pò della patina luccicante dei più classici direttori russi, troppo legati al balletto dell'800.
    e temo che il vecchio Brahms si fermerebbe qui, tranne che per un gesto di indulgenza finale non volesse aggiungere il trio Op. 50, un mezzo sorriso bonario, strizzando l'occhio opposto e mettendosi entrambe le mani sulla pancia con i pollici nelle bretelle ...

    Ovviamente questo articolo vuole solo suscitare qualche momento di ilarità ai lettori.
    Chaikovsky ha scritto grande musica, a tratti. Se avesse studiato a Vienna o a Berlino, probabilmente ne sarebbe uscito qualche cosa di più buono  )
  2. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Charles Ives : Le 4 sinfonie
    Gustavo Dudamel alla testa della Los Angeles Philarmonic
    Deutsche Grammophon 2020, formato 96/24
    ***
    Per il Los Angeles Times, la Seconda Sinfonia del giovane Charles Ives diretta da Gustavo Dudamel alla Disney Hall è migliore di quella storica di Leonard Bernstein del 1958 alla testa della NYPHIL.
    Secondo me sono due cose proprio differenti. Bernstein riprese dopo 35 anni di letargo quella sinfonia per presentarla al grande pubblico con qualche aggiustatina.
    E la mise in repertorio con la NY Philarmonic dei suo ardenti anni '50 e '60.
    Per poi riprenderla ancora in età, nel suo lungo "esilio" europeo, con una visione diversa, più meditata, tranquilla, lenta.
    Dudamel qui ha un approccio più diretto che toglie la patina da Dvorak americano alle prime due sinfonie di Ives, ricavandone una ritratto che non so quanto sarebbe piaciuto allo stesso Ives (che probabilmente non apprezzò nemmeno quello di Ives, pur non avendo potuto assistere di persona ma solo in radio) ma che probabilmente è quello corretto.
    Per Ives le prime due sinfonie appartengono al suo periodo "morbido", quello non ancora caratterizzato dalle dissonanze e dai quesiti esistenziali che invece saranno il leit-motiv delle sue composizioni successive.
     


     
    La prima sinfonia è del 1898 ed è sostanzialmente la prova di laurea a Yale. E' una sinfonia tardo-romantica scritta in uno stile moderno e americano ma senza alcuna audacia (all'inizio degli studi Ives aveva proposto al suo professore una fuga con quattro voci su quattro tonalità differenti che non aveva avuto una accoglienza proprio entusiastica).
    In re minore, in quattro movimenti, con temi puramente romantici e con uno svolgimento "quasi" viennese.
    Si sentono reminiscenze di Mendelssohn se si vogliono ascoltare.
    Il lungo primo allegro con moto ha uno sviluppo molto complesso con tematiche articolate da tutte le sezioni dell'orchestra. Modula su tonalità differenti ed è inconfondibilmente originale.
    L'adagio successivo inizia con un richiama alle atmosfere della sinfonia americana di Dvorak e pare sia stato "depurato" da temi folkloristici che Ives aveva inserito per restare di pura estrazione all'europea. Le modulazioni richiamano anche Brahms, e Schubert, oltre a Mendelssohn.
    Il tema è semplicissimo ma proprio per questo bello e armonioso.
    Lo scherzo potrebbe essere firmato da Brahms per il piglio vivace e frizzante e soprattutto per le riprese contrappuntistiche.
    Ma sotto la tessitura degli archi è assolutamente moderna. La parte centrale del trio è sostanzialmente un "ballabile".
    Il finale anche si muove tra Brahms e Beethoven ma con il giovanile piglio dell'uomo del nuovo mondo che chiude la sinfonia/prova d'esame in un crescendo trascinante.
    Due parole anche sulla seconda sinfonia, composta quasi in contemporanea con la prima e completata nel 1902, ma la cui prima esecuzione, come si diceva, avvenne solo nel 1951 sotto la guida di Leonard Bernstein.
    Qui non sono semplici riferimenti ai romantici tedeschi, ci sono vere e proprie citazioni e trasfigurazioni. Della Prima di Brahms, del tema del Tristano di Wagner, della 5a di Beethoven, oltre a frammenti di Dvorak e di Mendelssohn.
    Questa volta inframezzati da canti americani, goliardici come quelli di Yale e nel finale c'è un passaggio della fanfara della sveglia del mattino (quella dell'US Army).
    La sinfonia, come dirà Bernstein segna lo stacco dalla tradizione europea allo stile veramente americano.
    Intendiamoci non c'è alcun intento di scimmiottare nè di insultare l'eredità degli antenati dell'altra sponda dell'Atlantico, al contrario, la dimostrazione pratica di Charles Ives fatta al padre di poter padroneggiare totalmente le tecniche armoniche ed espressive della tradizione occidentale prima di prendere la sua strada personale, anzi, personalissima, verso una atonalità che ha fatto strada in America.
    E per il mio gusto questa composizione si pone alla pari ma con una ricchezza melodica più ricca e fresca, delle sinfonie europee del tempo, alla Elgar, per intenderci. 
    La terza sinfonia rappresenta la transizione effettiva. E può essere accostata ad una pastorale brahmsiana, come la seconda dell'amburghese. Composta nel 1904 e quindi attaccata alle precedenti, eseguita solo nel 1946 ma con straordinario successivo di pubblico e critica, tanto da far avere ad Ives avere il premio Pulitzer per il 1947.
    E' una composizione "composta" con poca mezzi strumentali ma una quantità enorme di materiale sonoro, chi ci ha studiato sopra ha contato almeno 150 frammenti differenti, anche qui con tante citazioni, questa volta tutte americane.
    I tre movimenti hanno sottotitoli e celebrano praticamente una domenica mattina "evangelica".
    La polifonia di questa sinfonia perde i connotati contrappuntistici classico-romantici per andare verso una polifonia arcaica, simile ma totalmente diversa nei toni, alle soluzioni cercate e trovate da Sibelius e Carl Nielsen.
    La quarta è un ... mattonazzo enorme, scritta al contrario della terza, per una compagine che richiede una mezza dozzina di direttori, in quanto uno solo non basta.
    Ci vogliono due pianoforti, l'organo, un coro misto e tutto quanto fa spettacolo, dalla grancassa all'arpa, la celesta, 4 tromboni, la tuba, il tom-tom, le campane, e gong, il glockenspiel ...
    Composta tra il 1910 e il 1916 è stata rappresentata solo nel 1965, 11 anni dopo la morte di Ives.
    Ives stesso nel 1927 ne parla così :
    e mi fermo qui. Piacevole a tratti, dissonante e aspra in altri. Dura solo mezz'ora, quindi la si può ascoltare.
    Ovviamente anche per via della strumentazione necessaria viene raramente eseguita.
    E per la complessità di interpretazione, veramente complicata da afferrare.
    La fuga che sostituisce come terzo movimento il tradizionale scherzo ha un tema quasi religioso e quasi ... mahleriano allo stesso tempo.
    Probabilmente è la chiave per comprendere l'intera opera di Ives che per le tante sfaccettature capita di essere ... totalmente incomprensibile come lo è in apparenza il finale di questa sinfonia, impostato anzichè sul piano armonico, su quello percettivo, totalmente privo di apparente svolgimento formale come è.
    Come sia andiamo a Dudamel.

    Non ci sono molte integrali omogenee delle sinfonie di Ives. Bernstein credo abbia registrato solo la 2 e la 3.
    Tilson Thomas le ha completate l'anno scorso ma la prima e la seconda sono piuttosto anziane.
    C'è l'integrale con la Melbourne registrata negli anni 2015-2017 da Andrew Davis.
    E non so che altro di organico.
    Secondo l'articolo del Los Angeles Times del febbraio di quest'anno l'approccio di Dudamel in concerto è stato quello di accoppiare Ives a Dvorak per demolire il preconcetto dell'Ives una sorta di Dvorak americano che avevano in testa i musicisti della Los Angeles e al contempo rendere Dvorak del tutto nuovo (dicono un tipo di Shostakovich in anticipo). Sinceramente non ho ascoltato lo Dvorak di Dudamel, ne sono certo perché tendo a detestare Dvorak, in quasi tutte le forme.
    Ma ascoltando il disco in esame capisco cosa intendono.
    Dudamel mette tutto il suo ardore - ma senza esagerare - nel dare ad Ives un vestito tutto suo anche quando c'è anche troppo materiale europeo sul piatto.
    Il risultato é importante ed é probabilmente un servizio ancora più grande ad Ives, compositore che da questa parte dell'Oceano resta indigesto ancora oggi, di quello che gli ha reso Bernstein che lo considerava "nostro padre, il nostro Washington, il nostro Lincoln" musicalmente parlando.
    E sappiamo quanto di Ives ci sia nel pianismo di Bernstein e nei connotati totalmente americani nella sua musica.
    In questo senso, e invitandovi a dare uno sguardo a questa proposta ottimamente registrata da DG (effetti sonori meglio di Guerre Stellari nei pieni orchestrali e con pianissimi immersi in un buio totale da cui emergono i solisti e i crescendo di una orchestra eccezionale) per rivedere il vostro pensiero su un autore che certamente non contate mai nelle vostre playlist.
     


    I due dischi di Bernstein disponibili a catalogo, quello DG del 1987 e quello Columbia del 1958 che per la Seconda Sinfonia resta comunque, per me, il riferimento.
  3. M&M
    Mozart : concerti per pianoforte n. 20, 22, 23, 24
    Charles Richard-Hamelin, pianoforte
    Les Violons du Roy diretto da Jonathan Cohen

    Analekta, 96/24 e 192/24, 20/10/2023 e 31/1/2020, via Qobuz
    ***
    Prima una precisazione, Charles Richard-Hamelin non è imparentato con il pianista connazionale Marc-André Hamelin, sono due ottimi pianisti canadesi ma non sono affini e nemmeno tanto vicini sul piano musicale.
    Secondo, per proporre ancora dei concerti per pianoforte di Mozart, benché sempre piacevoli, ci vorrà qualche cosa di nuovo da dire, non lo pensate anche voi ?

    Charles Richard-Hamelin non è il figlio fi Marc-André Hamelin
    Ma qui abbiamo ingredienti interessanti. E soprattutto per il momento non è detto che l'iniziativa si debba trasformare per forza nell'ennesima integrale non troppo significativa, come tante ce ne sono.
    Abbiamo un consort che suona a parti reali con strumenti originali caratterizzato da un suono leggero, veloce e frizzante, specializzato nel repertorio barocco del '600 e del primo '700.
    A questo non è stato aggiunto il solito fortepiano ma un pianoforte moderno che qui viene valorizzato al massimo, senza però che ci sia una sproporzione di forze in campo che renderebbe il tutto un esperimento cameristico.
    Infine, ma in particolare, un pianista molto eclettico, dotato di grande spirito di improvvisazione che aggiunge fioriture e imbellettamenti ad una musica che apparentemente non ne necessiterebbe.
    E che si è scritto tutte le cadenze, tutte. Con tanti bei richiami operistici (nel #22 c'è un Don Giovanni agli inferi bello bello) e tante invenzioni ad effetto ma senza mai andare a farla "fuori da vasino".
    Così, tra il suono leggero e brillante, degno del miglior Leporello e tante belle note aggiunte in più che avrebbero fatto impazzire l'Imperatore Giuseppe II.
    La ricetta del miglior Mozart con questi chef è un successo assicurato.
    Ed infatti, già quando avevo ascoltato il primo disco (che certo, sia per il #20 che per il #24 in termini interpretativi non impensieriscono i miei riferimenti) mi aveva attirato.
    Con questo secondo disco ancora di più, facendomi fermare in certi passaggi, qualunque cosa stessi facendo.
    In una lunga intervista Richard-Hamelin dice che Chopin gli ha cambiato la vita. Io ho sbocconcellato un pò dei suoi dischi di Chopin editi dalla stessa Analekta ma non li ho trovato così straordinari come questi di Mozart.
    Ed è per questo che ve li propongo in questa recensione, sottolineando come il carattere di queste letture, dal pianoforte ai timpani, richiamino anche nei momenti da "do minore" i sorrisini esibiti dai due protagonisti sulle copertine dei dischi.
    Perché la musica a volte deve saper sdrammatizzare e togliere un pò di patina anche da monumenti come questi, venerati già da Beethoven e dai giovani Chopin e Schumann, male non fa ...
  4. M&M
    Chi ha scritto la Toccata e Fuga in Re Minore di Bach ?
    No, non è la classica domanda "di che colore era il cavallo bianco di Napoleone ?".
    Ci sono svariate composizioni attribuite a Bach che non sono certamente state scritte da Bach. Un caso classico sono gli otto piccoli preludi e fuga di Kothen, catalogati come BWV 553-560, che io ho studiato in gioventù certo che fossero stati scritti "facilitati" per semplificare la vita di Friedemann Bach, ma che invece non sono di Bach, probabilmente sono di Tobias o di Ludwig Krebbs (il primo studente di Bach, il secondo, il figlio, coetaneo con alcuni figli di Bach).
    Ma la Toccata e Fuga in Re minore è tra le composizioni più famose di Bach, se non la più famosa. E certamente la più famosa composizione per organo. Potrebbe non essere di Bach ?
    La risposta rapida è si.
    Bene, con queste premesse, andiamo avanti.
    Nelle prime biografie di Bach non c'è traccia della Toccata e Fuga in Re minore. Si trovano tanti Preludi e tanti Preludi e Fuga. Più avanti entrerà una Toccata Adagio e Fuga. La Toccata in questione comparirà solo in epoca più tarda, quasi nel '900.
    Non esiste un manoscritto di Bach o della famiglia Bach.
    L'unico manoscritto esistente è di Johannes Ringk, non è datato e non é annotato
     
    ma Ringk studiò con Kellner che a sua volta studiò con Bach e conservò per lungo tempo alcune sue composizioni.
    Alcune pagine importanti di Bach ci sono arrivate solo grazie alle copie fatet a mano da Ringk.
    La partitura è su due righe e non ha che alcune indicazioni parziali del pedale.
    Mendelssohn, che eseguì e rese nota la Toccata - come altra musica di Bach - invece aveva una partitura completa su tre righe con il pedale esteso.
    Proprio a Mendelssohn, negli anni 1833-1840, quando curò la prima edizione delle opere di Bach, si deve in effetti la prima attribuzione.
    Comunque, per decenni sono rimasti dubbi sulla paternità della composizione, attribuita a volte allo stesso Kellner.
    L'analisi, fatta da studiosi di tutti i paesi, compreso il nostro Basso, non riesce a collocare storicamente la composizione.
    Audace per il giovane Bach che aveva come stilemi gli austeri organisti settentrionali, Buxtehude in primis, troppo "semplicistica" per il Bach maturo che invece revisionò molte delle sue composizioni giovanili per adeguarle alle sue capacità evolute.
    Ma nel catalogo attuale e nelle biografie, nonostante le analisi anche statistiche fatte (attribuzione per assonanza numerica dello stile compositivo medio di vari compositori con la media della diffusione delle note della partitura in esame), resta al Bach dei primi anni di preparazione organistica (circa 1704), forse scritta improvvisando per provare un organo nuovo.
    ***
    Probabilmente non sapremo mai la verità, come per molte altre composizioni, quando non arrivano le prove della effettiva paternità o ci sono le fonti che chiariscano un plagio, è sempre così.
    Ma una cosa può apparire evidente a chi abbia dimestichezza con l'organo e conosca le composizioni per organo dell'Orgelbüchlein di Bach, la relativa semplicità della struttura, sia della Toccata, simile forse ad alcune toccate clavicembalistiche in stile francese di Bach, ma soprattutto della Fuga, che pur a 4 voci non ha sviluppi completi, spesso limita una voce al trillo sostenuto e sempre con il pedale estremamente limitato.
    Il fatto che persino io in gioventù l'abbia potuta studiare e strimpellare ne è una prova.
    Ma se non siete ancora convinti, perché legatissimi a questa composizione, aggiungo che é opinione abbastanza consolidata che l'articolazione della Toccata sia di tipo violinistico ed possibile, anzi, probabile, che si tratti effettivamente di una trascrizione di una fantasia per violino solo. Cui sarebbe poi stata aggiunta una fuga, scritta dall'autore della trascrizione o da qualcuno più esperto di lui. Forse in epoca ben più tarda di quella del vecchio Bach, ovvero con lo stile galante e lo Sturm un Drang già in auge (anni 1740-1760, la data più probabile della copia di Ringk).
    Se avete la condiscendenza di ascoltare la versione trascritta nuovamente per violino forse ve ne sincererete anche voi. Potreste immaginare la tripla fuga Sant'Anna BWV 542 trascritta per violino ? Nemmeno tirandolo per i capelli.
    Il violino è uno strumento monodico per antonomasia, con i raddoppi e gli arpeggi può aiutare l'ascoltare ad immaginare una polifonia, anche a 4 voci come in questo caso, senza realmente suonare le 4 voci ma accennandole solamente.
    Vi propongo due versioni disponibili su Youtube, una più valida per la Toccata e una, sensazionale, per la Fuga.
     
     
     
    sono esecuzioni Tributo a Bach, non vogliono dimostrare nulla, ci mancherebbe.
    Ma se le ascoltate bene e poi riascoltate l'originale per organo, qualche dubbio che il percorso probabilmente sia stato inverso magari vi verrà.
    Ciò non toglierebbe nulla alla composizione, che è certo d'effetto e che tanto effetto, anche cinematografico ha avuto.
    Ma il vero Bach per organo ha tanto, tanto di più da dare e da dire ...
  5. M&M

    Artisti
    Chick Corea & Bobby McFerrin nella copertina del disco dedicato all'improvvisazione su Mozart, pubblicato nel 1996.
    ***
    Tracce di album
    Concerto per pianoforte n. 23 in la maggiore, K. 488 - Allegro Adagio Allegro Assai Concerto per pianoforte n. 20 in re minore, K 466 - Allegro Romanza Rondo (Allegro Assai) Piano Sonata No.2 in F Major, K. 280 - Adagio  
    Io sono molto politicamente scorretto e non voglio in nessun modo rimangiarmi il titolo.
    Mi piace moltissimo il jazz ma quello classico. Non sono un grande appassionato del free, del fusion e in generale di quello celebrale e un pò nevrotico.
    E' più forte di me, credo che il cinema western fosse bellissimo finchè era ingenuo e fatto tutto ad Hollywood. Poi sono arrivati gli sceneggiatori di New York e hanno portato la psicologia, l'esistenzialismo, le crisi di identità.
    E il western è finito ...
    Ovviamente non voglio generalizzare né mi permetto di esprimermi per intero. Ma insomma, per quanto mi riguarda Duke Ellington, Ella Fitzgerald, Nina Simone e Louis Armstrong tutta la vita. Magari conditi da un pò di sano dixieland !
    Ma ci sono musicisti di una levatura tale da poter star seduti ovunque e suonare con chiunque.
    Voglio perciò ricordare Chick Corea non per uno dei suoi tanti dischi di musica originale o di standard in trio ma per una collaborazione tutta personale con un altro genio come Bobby McFerrin, capaci insieme di fare qualche cosa di diverso su musica che per me è il pane quotidiano.
    The Mozart Sessions è un disco di musica di Mozart con una overdose di improvvisazione a condimento.
    Ci sono ovviamente edizioni dei due concerti - tra i più belli scritti da Mozart - che distaccano Corea di anni luce ma ... Corea non era un pianista classico, sebbene abbia scritto anche musica classica.
    Il suo Mozart è un pò scolastico. Ma è personale.
    E nei momenti in cui c'è la voce celestiale di McFerrin si stacca dalla routine, pregevole ma di seconda scelta, degli altri movimenti.
    Un disco non memorabile nel complesso ma per metà molto originale ed estremamente personale. Molto al di là dell'obiettivo di fondo di avvicinare due mondi, forse più quello degli appassionati della musica pop alla classica. Perchè nella realtà gli amanti della grande musica, la grande musica la conoscono tutta.
    Ecco. Tutto qua. Ciao Chick, ci vediamo dall'altra parte appena toccherà anche a me, tienimi un posto per uno dei tuoi recital, magari insieme a Friedrich Gulda che Mozart lo masticava molto bene, meno bene il jazz
  6. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Chopin, Concerti per pianoforte e orchestra, arrangiati per pianoforte e quintetto d'archi
    David Levely, pianoforte Erard del 1836
    Quartetto Cambini-Paris, Thomas de PIerrefeu, Contrabbasso
    Aparte 2019, 88/24
    ***
     

    durante la registrazione nel salone dell'Hotel che fu sede della Banca di Francia ai tempi di Chopin

    il frontespizio della partitura a stampa del primo concerto pubblicato da Chopin che riportata la dizione :
    "Grand Concerto per pianoforte" con l'accompagnamento d'Orchestra o di Quintetto a piacere

    il pianista David Lively durante la registrazione al pianoforte Erard dell'epoca di Chopin.
    ***
    Conosciamo bene genesi e sviluppo dei concerti per pianoforte di Chopin, composizioni libera, solo vagamente inserite nella tradizione Mozart-Beethoven-Hummel e senza i classici sviluppi della forma sonata ma, piuttosto, frammenti folkloristici o di danza del suo background.
    Composti per promuovere il concertista Chopin in giro per l'Europa, virtuosistici e lirici al tempo stesso.
    E come recita il frontespizio, per pianoforte accompagnato.
    Accompagnato da che ?
    A seconda delle occasioni. In sala da concerto, da un'orchestra.
    In un salone patrizio, da un quintetto d'archi (quartetto rinforzato dal contrabbasso).
    In effetti non c'è nulla di che stupirsi, tanto è semplice l'orchestrazione di questi due concerti - un pò perchè Chopin tutto era tranne che un sinfonista, un pò perchè l'accompagnamento doveva solo mettere ancora più in mostra il solista - che lo stesso Chopin abbia pubblicato i due concerti nelle due forme con le partiture in vendita sciolte, in 2x1.
    Andiamo all'ascolto.
    I due concerti sono celeberrimi e in repertorio da sempre. Ma noi siamo abituati ad ascoltarli con dei gran coda moderni e con orchestre importanti.
    Avete in mente, che so, Arthur Rubinstein accompagnato dalla Philadelphia Orchestra alla guida di Eugene Ormandy ?
    Ecco dimenticatevelo.
    Avete in mente un tronfio e sudaticcio Daniel Trifonov con i suoi tempi biblici con una non azzeccatissima Mahler Orchestra e un Pletnev non del tutto nella parte del polacco ?
    Non ci azzecca niente.
    Qui, fatta la tara al suono del pianoforte di Chopin, molto più cameristico di quelli che ascoltiamo oggi, entriamo in un altro mondo.
    Movimenti rapidi, niente autocompiacimento. Tutto sommato il quintetto - tolti i raddoppi dei fiati perchè timpani e ottoni tanto non si sentono nemmeno nella versione orchestrale - ci sta bene ugualmente e lascia al pianista la tranquillità di suonare il suo.
    Lasciatevi portare in un grande salone ottocentesco, con lumi ad olio e candele dalla luce gialla. La musica che fluisce senza forzature. Brillante in ogni frase.
    Manca solo il frusciare delle sottovesti in seta delle dame. O l'odore dei sigari. E naturalmente George Sand dietro a Frederick

     
    grande disco, fresco, meravigliosamente naturale che fa giustizia di oltre mezzo secolo di cinematografia americana ed annesse interpretazioni mielose ed iperzuccherine.
    Registrazione che vi porta là con loro.
  7. M&M

    I Confronti
    Si sa che io non sono un grandissimo appassionato della musica del primo romanticismo e che Chopin e Liszt, in linea di massima, mi sono antipatici.
    Questione di gusto musicale, preferisco la musica precedente e quella seguente e di retaggio differente. Ai miei tempi sembrava che esistesse solo Chopin, quello più sdolcinato, iper-romantico, crepuscolare. Che a me è andato subito a noia, preferendogli Bach o Brahms, oltre al più eroico Beethoven.
    Però naturalmente se non proprio tutto, ho ascoltato a lungo la musica di Chopin, ho riso come un matto - anche in concerto - alle trovate banali dei due concerti per pianoforte.
    Mi sono soffermato sull'interpretazione di studi e preludi. "Quasi" quanto per le migliori pagine di Rachmaninoff o Scriabin che invece apprezzo (specialmente il primo, e, dell'ultimo, le prime composizioni).
    Con questo articolo voglio approfittare dell'uscita dell'eccellente disco Decca con gli Etudes proposti dal nuovo enfant prodige Yunchan Lim per parlarne e fare ammenda.
    Cercando anche confronto con le altre proposte precedenti, almeno quelle per me più significative.
    Due parole sulle due raccolte. In parte pagine giovanili - i primi Etudes dell'Op. 10 - in parte più tarde, sono composizioni-manifesto in quanto si elevano dalla dimensione di musica scolastica destinata allo "studio" alla Czerny o alla Clementi.
    Perché in definitiva descrivono l'architettura della rivoluzione pianistica apportata da Chopin e poi ripresa dai tardi russi alla fine del secolo. Da cui di fatto non si è più tornati indietro.
    Entrambe le composizioni sono state dedicate all'amico Liszt che, almeno per l'Op. 10 le ha portate orgogliosamente in concerto.
    I "sottotitoli" o "nomignoli" sono stati aggiunti successivamente dagli editori o da altri pianisti, cavalcando la grande popolarità di queste pagine, tra le più eseguite e celebri di Chopin. Probabilmente più dei Preludes, Nocturnes, Ballades e C.
    Sono composizioni slegate tra loro che presentano vari livelli di difficoltà. Non trascendenti ma abbastanza da essere considerati impegnativi da portare per intero in concerto, almeno fino agli inizi del secolo scorso.
    Poi abbiamo avuto pianisti eccezionali come Cortot che l'hanno fatto, dando l'apertura agli interpreti di tempi più vicini a noi.
    Generalmente le due raccolte vengono registrate insieme in disco mentre una terza raccolta ancora più slegata, viene eseguita più raramente.
    Gli esempi a nostra disposizione sono tanti, di pianisti di livello ed autorevolezza diversi. Cavallo di battaglia per alcuni, alla ricerca di notorietà per altri. Coronamento di maturità per altri ancora.
    Ci sarebbe modo di parlare di ognuno in dettaglio ma io non ho abbastanza nozioni per farlo. Non è il mio pane e quindi non casco nel tranello.
    Vado invece a presentare i miei "campioni" per parlare delle loro interpretazioni, pregando gli interessati, già a conoscenza - i più forse - di queste proposte, di aggiungere la loro.
    Gli altri, di approfondire se lo gradiranno.
    L'ascolto è piacevole ma comunque impegnativo, in disco le due raccolte occupano 24 tracce, per circa un'ora, almeno nell'ultima lettura. Non sono i due volumi del Clavicembalo ben Temperato che richiedono ben altra tenuta.
    Nè i preludi e fuga di Shostakovich o il Ludus Tonalis di Hindemith. E' musica complessa sul piano esecutivo ma orecchiabile per tutti.
    Motivo per cui è forse l'ultima delle mie scelte quando ascolto musica per puro piacere e svago ... (?).

    Sono cresciuto con questo disco, comprato in LP da Ricordi a Milano quando ero ancora alle superiori.
    E' il Pollini impegnato politicamente, quello eroico degli anni '70.
    Mi dicono che la sua interpretazione del 1960 sia superiore. Ma non l'ho mai ascoltata e Pollini non l'ha autorizzata finché ha potuto. Esiste, mi pare, in una sorta di bootleg ma non so dire di che qualità sia sul piano della ripresa (parliamo dei tempi della vittoria al premio Chopin di Varsavia).
    Il suono è quello secco - formato CD - della casa gialla di quel periodo. Ma meno peggio di altre (microfoni vicini alle corde e riverberi a gogo).
    La durata complessiva è di 55 minuti (1972)

    dello stesso periodo é la lettura impetuosa di Vladimir Ashkenazy quando era tra i maggiori pianisti della sua generazione al mondo, eclissando sul piano discografico colossi come Richter, Horowitz e Gilels.
    La durata è di un'ora e 2 minuti. Il suono è un pò più caldo ed avvolgente di quello DG, non è il massimo della Decca ma si può ascoltare bene in questa rimasterizzazione in 192/24.

    Murray Perahia ne ha dato lettura già con la CBS, oggi Sony Classical.
    Il suono - qui in formato CD - è più pianistico delle due versioni Decca/DG, più avvolgente e caldo e asseconda la maestosa lettura, in uno dei tanti gloriosi momenti di uno dei miei pianisti preferiti di tutti i tempi che ho - stranamente - scoperto solo dopo averlo sentito dal vivo al Conservatorio di Milano, una trentina di anni fa.
    La durata di un'ora e 16 minuti ci informa di cosa siano per Perahia queste pagine. Tutt'altro che banali veicoli di fama. (2002)
     

    andando a tempi più moderni abbiamo l'edizione per Erato del giovane, allora, Nikolai Lugansky che dopo aver proposto un Rachmaninoff abbagliante, verso i ventisette anni, affrontava nel solco della tradizione di Neuhas/Gilels/Richter/Nikolayeva gli Etudes di Chopin.
    Siamo ancora in formato CD, il suono è pulito e terso. Lui è spettacolare nel gettare "il cuore oltre l'ostacolo" è nel suo periodo migliore, secondo me, e anche quando mette l'atletica oltre il sentimento è splendido.
    Siamo a un'ora e 5 minuti



    in tempi più recenti, il fenomeno Youtube Valentina Lisitsa viene invitata da Decca - oggi è ostracizzata perché considerata, pur cittadina americana, filoputiniana - a registrare i suoi cavalli di battaglia.
    E oltre al "solito" Rachmaninov lei riunisce in questo album gli studi di Chopin e di Schumann.
    L'unione del colto poeta tedesco con il rivoluzionario esule polacco è accettabile sul piano storico, meno, secondo me, sul piano stilistico.
    Chopin è un precursore di un mondo nuovo, Schumann è un figlio ribelle di Beethoven che trova nella follia un senso alla morte del padre.
    Comunque sembrerà eretico metterla con gli altri ma in fondo la sua lettura non è male, se non per intero ci sono momenti elevati.
    Il suono è secco ma ci aiuta la ripresa digitale e il master in 96/24

    arriviamo al fenomeno Yunchan Lim, ancora con Decca, qui in un sontuoso 192/24 molto ravvicinato ma non doloroso - un altro mondo rispetto al disco della Lisitsa, là abbiamo un pianoforte sul palco, qui siamo tra i trefoli delle corde ! - la sua lettura, molto libera nei tempi dura circa 58 minuti.
    Ed è certamente la più matura di tutte in relazione all'età dell'interprete.
    Volendo dovrebbe essere la sua, quella vincente, parlo di età, considerando che l'Op. 10 per Chopin è stata pensata e confezionata nei primissimi anni di attività compositiva e concertistica.
     
     

     
    Ho già messo le mani avanti dicendo che non sono attrezzato sul piano tecnico ed interpretativo per approfondire ogni singolo studio e la sua lettura da parte dei singoli pianisti che ho selezionato.
    Ma per descriverne complessivamente la lettura - senza critica - si.
    Trovo Pollini ancora oggi nel suo periodo di grazia di quegli anni, più eroico e "umano" del successivo, specie quello ascetico del post-Abbado.
    La mia familiarità con il suo disco probabilmente mi trae in inganno ma mi piace ancora oggi la chiarezza del suono, la dizione separata ed udibile dello sviluppo armonico, rispetto all'arpeggio.
    La dinamica e la ritmica che nel mio immaginario lo avvicina a quello che poteva essere Chopin dal vivo.
    Il suono è chiaro, con piena assonanza tra il suo pianismo e il sound engineer.
    Brillante e un pò narcisistico l'Ashkenazy del 1975, tutto compiaciuto del suo di suono.
    Morbido anche nei momenti "rivoluzionari", pesta come un fabbro senza darlo apparentemente a vedere.
    Il suono è in primo piano, squillante, rispetto a Pollini le due mani sono più fuse tra loro.
    Istrionico ma elegante.
    Più vicino a Schubert e al Beethoven intimistico, anche o soprattutto allo Schumann casalingo, questo Chopin di Perahia.
    Il suono è bosendorfeggiante, caldo, poetico.
    Le due mani suonano insieme e i suoni che producono danzano nell'aria. C'è tanta dinamica ma non è fatta per stupire.
    Sono bellissime le crome che si inseguono nell'aria (in questo momento sto ascoltando il 7/10 e non c'è virtuosismo che tenga in confronto all'eleganza di questo modo di suonare).
    Il tutto dura ben venti minuti in più dei due precedenti. Sarà un difetto o un pregio ?
    Il Lungansky del 2000 è elegante, virile - direi proprio maschio - estroverso, nonostante la proverbiale introversione del pianista, le due mani qui si inseguono e si rubano le note una con l'altra.
    Non c'è un momento in cui pare che l'abbia presa troppo di petto, del resto il tempo complessivo è più vicino a quello di Perahia che a quello di Pollini.
    La Rivoluzione del 12/10 non sembra ancora scoppiata, oppure è solo il riverbero di qualche cosa di vissuto direttamente e non dall'estero ...
    Questo disco è stato criticato dagli editori di Gramophone, modestamente io non mi sento di condividere quel pensiero.
    Tanto è personale questa lettura, pur rimanendo classica.
    Valentina ce la mette tutta. Non vuole necessariamente esagerare e secondo me è molto brava.
    Però non è omogenea e quando é necessario trovare spazio in pause che non ci sono nella partitura va un pò in crisi.
    Appartiene ad un'altra era ma forse è anche il tocco femminile che rende differente la sua palette.
    Io però non la sottovaluto. Mi piace.
    Finiamo con il nuovo genio che ci da dentro fini dalle prime ottave.
    Vladimir (Horowitz) gli fa un baffo, l'1/10 è sorprendente ma il 10/25 va oltre l'umano.
    C'è però troppo riverbero, troppo pedale di risonanza (una cosa che per me, cembalista/organista andrebbe abolita ... o limitata per regola alla Gould), troppo fragore. Troppo Liszt.
    La sua è una esibizione sopra le righe.
    Fantastica e tecnicamente inarrivabile. Ma sinceramente ci sono dei momenti che mi pare che ... non sappia più cosa dire.
    Per carità, mica fa schifo. Anzi.
    Però mi piacerebbe esserci per risentirlo quando avrà quarantanni (a differenza di Lugansky che, adesso che ne ha 50, mi piace di più in Wagner e Franck rispetto a Rachmaninov e Chopin).
    Ecco ho già abusato del vostro tempo abbastanza. Ma tanto dovevo a me stesso, a  queste pagine. A mio padre che tanto amava Chopin (quanto io lo detestavo ed insistevo a studiare Bach e Frescobaldi).
  8. M&M
    Dopo un anno di fatiche Zetiste, decine di articoli, centinaia di migliaia di scatti (letteralmente), migliaia di interventi su Nikonland, tante, tante soddisfazioni e anche qualche incidente di percorso, sono esausto.
    Per cui mi ritiro nella mia casettina fino a quando finiranno le provviste, e comunque fino a primavera.
    I miei vicini saranno l'orso Yoghi con i suoi cestini della merenda e Gollum con il suo tessoro (il Noct 58/0.95, naturalmente)
    Quindi fotocamere in vetrina e niente foto per almeno 5 o 6 mesi.
    Qualche articoletto ogni tanto, piuttosto recensioni di buona musica su VariazioniGoldberg.it
     Au revoir.
     
  9. M&M
    Questa è una barzelletta, di quelle da risate a denti stretti ...

    Ci sono un americano, un giapponese grosso e un giapponese smilzo ... apple, sony e nikon.
    Apple chiama sempre per telefono. Sony e Nikon si vedono sempre all'ultimo venerdì del mese, per il té dalla mamma di Nikon.
    2015
    Apple : Ciao Sony, mi servono 240.000.000 di sensori per l'iPhone 8. 30 milioni al mese per i primi tre mesi, consegna a partire dal 1° ottobre. Poi 10 milioni al mese. Me li mandi alla Foxconn di Shenzhen via nave.
    Te li pago 13 centesimi di dollaro l'uno. Se ritardi di un giorno mi fai il 10% di sconto. Eccoti lo schema da riprodurre esattamente tale e quale.
    Sony : va bene, ce la posso fare. Come mi paghi ?
    Apple : ti apro un conto alla BofA di San Francisco e ti accredito là ad ogni consegna
    Sony : Ciao Nikon, tua mamma mi ha detto che ti serve qualche cosa. Dimmi.
    Nikon : mah, sai, mi servirebbero dei sensori per la D600 ma non posso spendere tanto.
    Sony : quanti ne hai bisogno, 1.000.000, 5.000.000 ?
    Nikon : no, dai, 50.000 bastano.
    Sony : 50.000 ? Li ho in magazzino, te li metto da parte ?
    Nikon : si, ma hai anche i convertitori, gli amplificatori, i connettori, le matrici ?
    Sony : si, ho tutto. Ci penso io.
    Nikon : e per ...
    Sony : non ti preoccupare, te li scalo da quelli che ti devo dare io per gli scanner
    2021
    Apple : Ciao Sony, mi servono 300.000.000 di sensori per l'iPhone 12. Te li pago 10 centesimi l'uno, me li dai direttamente a stampate da 2000, spedisci in aereo a Shenzhen.
    Sony : va bene, pagamento solito ?
    Apple : certo
    Nikon : Ciao Sony, avrei bisogno che mi facessi un pò di questi sensori, eccoti il progetto.
    Sony : ganzo ma che bello che è questo sensore stacked. Sai, mio nipote ci gioca con queste cose ma non le fa così belle. Ti spiace se glielo faccio vedere ?
    Nikon : no, ci mancherebbe. Ma per quando me li puoi fare ?
    Sony : quanti ne vuoi, un milione ?
    Nikon : no, dai ancora devo consumare quelli dell'ultima volta che mi hai venduto nel 2015. E ci ho fatto la D600, la D610, la D750 e la Z5. Con gli ultimi, che se no, non riesco a svuotarti il magazzino, sto pensando di fare la Zf da vendere a quegli stupidotti di europei che si sentono sempre giovani come una volta ... altrimenti non li finisco più.
    Con questi al massimo ci faccio Z9 e Z8. Diciamo un 25.000
    Sony : allora, possiamo fare così. Il 26 di agosto devo cambiare la matrice per finire di stampare gli iPhone 11 e cominciare gli iPhone 12. Se faccio in tempo, in un pomeriggio te li faccio. Va bene ?
    Per il prezzo ci mettiamo d'accordo.
    2023 
    Apple : Ciao Sony, mi servono 200.000.000 di sensori per l'iPhone 15. Te li pago 9 centesimi l'uno, me li mandi in aereo a Ho Chi Min nella fabbrica nuova.
    Sony : in Vietnam ? Ma non avete fatto la guerra con quelli la ?
    Apple : cose passate in Gold We Trust ! Sai, mio Zio Joe ha comperato tutto il Vietnam per me. Pensa che adesso nei cunicoli dei Viet Cong ci alleviamo i grilli da dare da mangiare a quei grulli degli europei "green" mentre noi ci facciamo le costate di Black Angus irlandese.
    Sony : ah, va bene, condizioni solite ?
    Apple : per le spedizioni si. Ma il pagamento te lo accredito qui direttamente da noi, che siamo più sicuri. Quando ti serve qualche cosa te lo sblocco con uno swift
    Sony : eh, ma se c'è un embargo o le sanzioni ?
    Apple : tranqui - noi saremo sempre amici, no ? Vorrai mica che mio Zio Joe occupi ancora il Giappone e vi faccia lavorare per conto suo ...
    Sony : Gasp, va bene ... ho alternative ?

    Sony :  Ciao Nikon, la mamma mi ha detto che stavi cercando qualche cosa per la Z6 III
    Nikon : si ma sono indeciso, tu che mi consigli ?
    Sony : ho questo sensore da 33 megapixel del 2021. Se no, se vuoi te ne faccio uno su tuo progetto.
    Nikon : io ho fatto questo disegno, guarda qua, per 10.000 pezzi quanto me lo fai ?
    Sony : 10.000 pezzi mi costa di più cambiare la matrice e i bagni di soluzione che stamparteli. Non so, ti devi mettere in coda.
    Magari primavera 2024. Ce la fai ?
    Nikon : ma si, posso andare avanti ancora con quello che ho, magari mi invento un'altra Z con la faccia da vintage color titanio. Ma per il prezzo ?
    Sony : allora, 35000 Yen l'uno ma te li scalo sempre dal conto che abbiamo, non ti preoccupare, non devi anticipare un centesimo.
    Nikon : sei sempre un amico.
    Sony : lo sai che senza la tua mamma io non sarei mai entrato in affari, vero ? Le devo tutto. Ma te li tengo in magazzino ?
    Nikon : no, lo Zio Joe mi ha fatto dire dalla mamma che non devo lasciare più i miei giocattoli in giro. Se li vedono quelli la, poi me li copiano.
    Vengo a prendermeli io con il furgoncino. Tanto in un Fiorino ci stanno, vero ?
    Sony : va bene, ti avviso quando puoi passare. Però devi avere pazienza ...
     
  10. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Ciaccona !
    La Centifolia con Leila Schayegh al violino
    Glossa 20 gennaio 2023, formato 96/24
    ***
    La ciaccona è una danza di origine popolare forse proveniente dal Sud America che si è diffusa nel '600 in Europa, praticamente in tutti i paesi.
    Ovviamente in Italia per il carattere girovago dei nostri musicisti ma lo troviamo anche in Francia (chaconne) e in Inghilterra (chacony).
    Molto in voga per il carattere frizzante e per la struttura con basso ostinato di fondo su cui gioca la melodia.
    Dai saloni di danza è stata presto importata nella musica colta dove è rimasta fino ai giorni nostri.
    In questo disco la formazione La Centifolia (un numero -> un programma) fa una compilazione di esempi dalla fredda Inghilterra passando per la Germania del Nord per arrivare all'Italia.
    Manca la più celeberrima delle ciaccone, quella per violino solo di Bach che è l'apoteosi del genere ma è anche una sublimazione dell'idea di polifonia da uno strumento monodico.
    Qui il più delle composizioni sono per formazione a più strumenti dove le parti - basso e canto - sono ben distinti.
    Ma non mancano esempi di composizioni per strumento solista, come la spettacolare Fantasia in La minore di Nicola Matteis (Napoli, circa 1650) che pur in meno di 5 minuti si esibisce in una pagina virtuosistica da cui può anche essere che lo stesso Bach abbia preso ispirazione.
    E poi troviamo Purcell insieme a Corelli e Pachelbel, Tarquinio Merula in un excursus tra '600 e '700 che termina con il famoso canone di Pachelbel che è, di fatto, una ciaccona.
    Fantastica la Schayegh con il suo fraseggio stretto e all'altezza la compagine che l'accompagna.
    E' musica divertente, come deve essere, frizzante, da sonare con gioia, con vena creativa quanto lo è la musica scelta.
    Gran bel disco, ascoltato più e più volte mentre lavoravo ad altro.
    Registrazione ravvicinata e un pò piatta ma non disprezzabile nel complesso.
  11. M&M
    Purtroppo è un'epoca in cui sono più gli amici che se ne vanno, quelli che hanno caratterizzato la nostra era, piuttosto che quelli che salutiamo per il nuovo che stanno proponendo.
    Ha raggiunto il Sorridente (Stan Lee) il nostro amato John Romita, illustratore italo americano nato a Brooklyn nel 1930, morto l'altro ieri. 
    Ricorderò sempre il giorno in cui comprai a 200 lire, il numero 33 dell'Uomo Ragno Corno, un numero mitico a dir poco, che mi fece conoscere il suo tratto opulento ed inconfondibile.
    Era il 1971 e il numero originale era uscito negli States nel 1966.
    Io sono nato con Topolino ma cresciuto con l'Uomo Ragno e Devil.
    Ed ammetto che una volta apprezzato il disegno di John Romita me ne sono innamorato così tanto da smettere di acquistare quei fumetti una volta che lui ha abbandonato via via che le sue testate sono passate ad altri disegnatori.
    Mi sono innamorato dei suoi personaggi, delle sue fantastiche pinup. Per me quello è stato il momento d'oro della Silver Age. John Romita è stato e resta un monumento e non morirà mai.

    autoritratto con moltissimi dei suoi migliori personaggi degli anni '60

    le sue pinup indimenticabili (io avevo 8 anni ...)

    e queste tavole erano del 1966-1968.

    questa è la tavola inchiostrata da cui la copertina del numero 33 URC

    e l'originale dell'agosto 1966
    Purtroppo cresce la lista degli amici che dovrò andare a salutare quando toccherà anche a me.
    Ma sono tutti qui con me, ad ogni ora del giorno, come i miei più cari affetti.

    John era praticamente coetaneo di mio padre. E ricordo di averle sempre visto così sorridente.

    qui, John Romita a destra, e a sinistra Stan Lee che discutono della serie a strisce in bianco e nero, ideata per le puntate giornaliere sui quotidiani (1981-1982)
  12. M&M
    Noi nikonisti abbiamo F per Fuketa.
    Ma i ferraristi veri di F ne hanno avute due.
    Dopo il fondatore, Forghieri.

    ero ragazzino e lo vedevo in televisione.
    Sono cresciuto e l'ho sempre incontrato pieno di passione.
    Pensavo, ingenuamente, non potesse mancare mai il suo entusiasmo contagioso e il suo pragmatismo solido, imbevuto di olio motore e benzina aromatica.
    Ciao Mauro

  13. M&M
    Nielsen, Ibert, Arnold : concerti per flauto e orchestra
    Clara Andrada, flauto
    Frankfurt Radio Symphony diretta da Jaime Martìn
    Ondine 2020, formato 96/24
    ***
    Mentre sono vicini temporalmente i primi due concerti - quello di Nielsen è del 1926 mentre quello di Ibert è del 1932 - il concerto per flauto di Malcolm Arnold è del 1954.
    Questo disco recupera registrazioni differenti, del 2018 di Nielsen e di Ibert, del 2015, di Arnold.
    Ma sono composizioni simili, con la parte solistica molto brillante e l'accompagnamento non troppo sviluppato.

    Su toni abbastanza solari Nielsen, la cui dedica andava al flautista di Copenagen Holger Gilbert-Jespersen.
    Prevede un'orchestra di modeste dimensioni sia in termini di archi che di fiati e ottoni, cui si aggiunge un basso tuba e i timpani.
    Il primo movimento è caratterizzato da una lunga cadenza che cerca di mantenersi su toni spontanei, quasi da improvvisazione, in modo da lasciare libero il solista la cui trama viene punteggiata ora dal basso tuba ora dai timpani.
    E' più breve il secondo e ultimo movimento che comincia in modo impetuoso ma prosegue con un tema molto grazioso.

    "Quasi" settecentesco il concerto di Ibert, che si muove su tempi rapidi. Sempre con il flauto che è libero di cinguettare su tutta la gamma mentre gli archi si aggiungono sottovoce.
    Dopo un adagio molto lirico e delicato il concerto si chiude con un movimento molto ritmico la cui virtuosità richiede al solita veramente tanto ... fiato !
    Il concerto di Arnold è più moderno ma manca di certe asprezze che caratterizzano quello di Nielsen (ricordo che Arnold è il compositore della colonna sonora del Fiume sul Ponte Kwai con il suo celeberrimo tema vincitore di Oscar).
    Infatti c'è tantissimo materiale melodico esposto in successione dal flauto, l'orchestra partecipa sostanzialmente a sottolineare i passaggi con interventi ritmici.
    Il secondo movimento è di una bellezza disarmante con tema delicato ed articolato.
    Il finale è infuocato ma resta molto orecchiabile, senza eccessivi e ricorda qualche situazione da colonna sonora.
    Dovendo classificare i tre concerti, metterei il più "sinfonico" Nielsen al primo posto, poi Arnold e infine Ibert. Ma il trio mi sembra quanto mai ben assortito e il programma ben bilanciato.
    Clara Andrada è veramente una solista brillante e dotata con già una grande esperienza alle spalle. Si disimpegna in queste pagine - impegnative in molti passaggi - con estrema personalità.
    Direi che il resto della compagine è all'altezza del compito.
    La registrazione è di ottimo livello, equilibrata e perfettamente definita.
    In estrema sintesi uno dei dischi più piacevoli che ho ascoltato negli ultimi mesi

  14. M&M
    Clara e Robert Schumann : concerti per pianoforte e orchestra
    Beatrice Rana, pianoforte
    Chamber Orchestra of Europe diretta da Yannick Nèzet-Sèguin
    Warner Classics, 3 febbraio 2023, formato 96/24, comprato
    ***
    Registrazioni dello scorso luglio, disco lungamente anticipato dalla casa discografica.
    I due concerti sono legati come molta della musica dei due coniugi.
    Il concerto di Clara Wieck è stato a lungo ingiustamente trascurato, oscurato altrettanto ingiustamente da quello del marito.
    Clara scrisse il suo concerto intorno ai 14 anni (!). E' coevo dei due concerti di Chopin e dei due di Mendelssohn, sotto la cui guida si esibì nella prima il 9 novembre 1835 al Gewandhaus di Lipsia, ovviamente.
    E sinceramente sul piano stilistico non ha nulla da invidiare a quelli dei suoi più famosi colleghi, anzi. Rispetto ai concerti di Chopin, in particolare a quello in Mi minore, ha chiaramente una struttura orchestrare più importante e sviluppata (Chopin non sapeva niente di orchestrazione) ed ha generalmente più inventiva di quelli di Mendelssohn.
    Sul piano della brillantezza è in linea con gli stilemi del primo romanticismo ma soprattutto, con l'esigenza di dare la massima evidenza al compositore/solista.
    La parte pianistica è indubitabilmente ... virile ! anche più di quella di Robert che scrisse il suo concerto sotto i suggerimenti della brillante moglie.
    E sul piano tematico sta testa a testa con Chopin.
    Andando a Robert, il concerto è celeberrimo, sappiamo che ha avuto una gestazione problematica (anche Robert ne sapeva poco di orchestrazione e proseguì un pò a tentoni con l'aiuto della moglie e dell'amico Felix).
    La parte pianistica è ovviamente scritta per Clara, Robert non aveva questa personalità in pubblico.
    Ma la differenza tra l'esuberante esibizionismo del concerto di Clara e quella più moderata di Robert, è qui, sotto gli occhi.
    Beatrice Rana dice nel libretto che la parte pianistica del concerto di Clara è ben più impegnativa per il pianista di quella di Robert.
    In effetti il concerto di Robert è poca cosa per un solista di oggi.
    Però a merito di Robert possiamo dire che apre una pagina nuova nel rapporto pianoforte-orchestra. E sicuramente l'amico Brahms ha preso più dall'approccio moderato di Robert - per assonanza di carattere - che da quello di Clara.
    Ma l'assolo di violoncello del primo movimento del concerto di Clara è ... mitico. E se ne trovano gli echi sia nel secondo di Brahms che nel primo di Chaikovsky.
    Insomma, vive la difference, come disse Spencer Tracy alla "moglie" Katherine Hepburn parlando dei rapporti tra moglie e marito.

    Andando a noi, ho visto filmato di Beatrice Rana in concerto.
    Devo dire che la apprezzo di più con direttori sanguigni come Pappano, viene positivamente influenzata.
    Quando il direttore ha poco polso lei tende a rallentare un pò troppo.
    In questo disco le cose sono un pò miste. Nel concerto di Clara io la vedrei ancora più estroversa.
    In quello di Robert a tratti appare anche ... troppo elegante.
    Penso che abbia la forza per prendersi la scena con più veemenza.
    Ma chi sono io per criticare ?


    Yannick mi sembra un pò più robusto di altre volte e questo va a suo merito. Ha una buona orchestra a disposizione, anche se è difficile valorizzare le parti orchestrali di questi concerti.
    Non è Brahms e non è Beethoven. E' tutta musica che vive di equilibri instabili.
    Comunque, al di là delle mie considerazioni, del tutto personali, è un buon disco che consiglio vivamente, ben più di altri di sedicenti pianiste emergenti incensate dalla critica brittanica.
    La Rana ha polsi e braccia che non temono confronti ed ha carattere da vendere. E quando vuole infiamma l'aria, non solo la platea.
    Un plauso particolare alla scelta di inserire come encore Widmung , dedica di Robert a Clara, dalla raccolta più appassionata che un uomo probabilmente ha creato per la sua amata.
    Anche in questa trascrizione per solo pianoforte - del romantico Liszt - merita da sola il prezzo del biglietto.
    Registrazione senza infamia e senza lode, pianoforte brillante e chiara, orchestra a volte un pò squilibrata.
  15. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Clara, Robert, Johannes : Darlings of the Muses
    Schumann : Sinfonia n. 1
    Clara Wieck Schumann : Concerto per pianoforte e orchestra Op. 7
    Johannes Brahms : Sinfonia n. 1
    Gabriela Montero : 5 improvvisazioni
    Gabriela Montero, pianoforte
    Alexander Shelley alla testa della Canada's National Arts Centre Orchestra
    Analekta 2020, via Qobuz Streaming
    ***
    Segnalo questo disco principalmente per l'interpretazione che non esito a definire straordinaria di Gabriela Montero del bel concerto di Clara Schumann.
    E' un concerto semplice, a prima vista banale che è facilissimo banalizzare con l'interpretazione.
    Ma il sangue latino qui ci mette la differenza e ne viene fuori una interpretazione realmente fuori dal comune.

    Sono anche molto interessanti le 5 improvvisazioni della stessa pianista che separano il concerto di Clara dalle sinfonie n. 1 di Robert e di Johannes che iniziano e chiudono il disco.
    Le due  sinfonie sono tese e intense allo stesso modo. Specialmente quella di Brahms, roboante e veloce sin dal primo rullo di tamburi. Se avete in mente Furtwangler o Bruno Walter .... ecco, l'opposto, secondo lo stile corrente di rilettura di Brahms, posto anello del Nibelungo.
    Si vede l'intento complessivo dei curatori del disco che tessono il legame tra i tre amici sul piano spiccatamente sentimentale.
    Buon suono, ampio e definito con un pianoforte e in generale tutte le voci soliste ben chiare ma senza sembrare ingigantite ad arte.
    Peccato che Qobuz non offra il libretto di questo disco perchè mi sarebbe piaciuto leggere il punto di vista degli interpreti.
    Rimarco ancora una volta la presenza e il valore di Gabriela Montero, una delle pupille di Martha Argerich che l'ha valorizzata a Lugano (ricordo una memorabile sonata per violoncello e pianoforte di Frank Bridge con Capucon che è sicuramente la mia preferita)

    Un disco che vi consiglio caldamente.

    Applausi, specialmente per il terzo movimento del concerto di Clara, emozionante e anche per le cinque improvvisazioni ben costruite ai confini tra i tre straordinari compositori qui rappresentati.
  16. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Giuseppe Cambini, concerto per pianoforte n. 3 Op.15; Claudio Abbado al pianoforte, Orchestra d'Archi di Milano diretta da Michelangelo Abbado
    Bach, concerto per 4 clavicembali (Vivaldi); Tagliavini, Canino, Ballista e Abbado, clavicembali, Orchestra dell'Angelicum diretta da Alberto Zedda
    Tartini, concerto per violino archi e continuo in Re maggiore, Op. 1 N.4, in Fa maggiore D64, in La minore D115; Franco Gulli, violinno, Orchestra dell'Angelicum, direttore Claudio Abbado
    Maison de Mutualité 1954, Parlophone 1962. Rimasterizzazione Warner Classics, 2019
    Via Qobuz
    ***
    Oggi è il 26 giugno e Claudio Abbado avrebbe compiuto 90 anni.
    La sua mancanza nel panorama musicale rimane inalterata a 9 anni dalla morte, considerando le vette che aveva raggiunto la sua arte fino agli ultimi giorni di attività.
    Ma non lo celebriamo in questo compleanno virtuale non con l'ultimo Beethoven o il Mahler di Lucerna.
    Ripeschiamo questo documento rarissimo pubblicato nel 2019 da Warner che ci mostra Claudio Abbado appena diplomato al Conservatorio di Milano alle prese ... come pianista con il concerto di Giuseppe Cambini sotto la direzione del padre Michelangelo.
    E' una registrazione del 1954 fatta a Milano, quando di anni ne aveva 21.
    Con questo concerto e con l'orchestra fondata e diretta dal padre si esibirà in una tourné per il mondo, ascoltato a New York anche dal vecchio Toscanini.
    In quegli anni Abbado cominciava gli studi di direzione d'orchestra ma si perfezionava anche al pianoforte con Gulda a Vienna.
    Il repertorio è tutt'altro che avanguardistico, a parte il concerto di Cambini che sembra fosse il suo cavallo di battaglia, c'era il concerto in re minore di Bach e il quarto di Beethoven, amati peraltro da Gulda.
    La sua interpretazione di un concerto oggi fuori programma è brillante, chiara, aperta, operistica mi verrebbe da dire. E la registrazione buona nonostante i 70 anni di età.
    Nel disco è stato poi inserito il concerto per quattro clavicembali di Bach, trascritto dall'Estro Armonico di Vivaldi.
    E qui, sebbene la prima parte sia a carico di Tagliavini, specialista dell'epoca e le altre parti principali siano in mano a Canino e Ballista, quello che non ti aspetti è che Abbado suoni il clavicembalo.
    Questa esecuzione oggi non dice molto, ha tempi molto compassati e quella tendenza dell'epoca a saturare l'aria attorno agli strumenti con sovrapposizioni e volumi eccessivi.
    Ricordo questa prassi, pre-filologica, con Abbado alla direzione al Conservatorio a fine anni '70, con me ragazzo, in platea.
    La seconda parte vede già il giovane Abbado direttore d'orchestra che accompagna in un programma di concerti di Tartini, il grande Franco Gulli.
    Questi concerti erano stati da poco rivisti e pubblicati da Michelangelo Abbado che alla direzione d'orchestra univa una grande attività musicale in senso più generale, dalla rivisitazione di partiture dimenticate di maestri italiani, all'insegnamento, alla pubblicazione di manuali di tecnica violinistica (era un eccellente violinista).
    Queste registrazioni sono del 1962 e sono stereo. Anche qui il lavoro di rimasterizzazione è egregio.
     

    Claudio Abbado già avviato alla carriera di direttore d'orchestra nel 1962, di li a poco avrebbe iniziato il lavoro come direttore artistico della Scala

    il giovane pianista Claudio Abbado
    Insomma, una riscoperta, un documento storico e una testimonianza tutto insieme.
    Non nascondo una certa commozione.
    Allego, non me ne vorrà Warner, il libretto originale del CD, in italiano per approfondimenti.
     
    000129041.pdf
  17. M&M
    Giulio Cesare in Egitto, l'opera di Handel che più di altre rese l'autore una superstar internazionale dell'epoca.
    Eh, se ci fossero stati i Grammy Awards ...
    A parte gli scherzi l'impegno grandioso vide altrettanto grandioso successo con repliche su repliche tra il 1724 e il 1737.
    Un caso più unico che raro dato che spesso in quei tempi la popolarità di un'opera lirica  non durava una stagione, tano era ricca la produzione, per lo più italiana, in tutta Europa in quegli anni.
    Ma Handel ci credeva e pur avendo "riciclato" di fatto un libretto molto più vecchio (quello di Giacomo Francesco Bussani del 1677), scrisse musica tanto ispirata da richiedere due prime parti di rilievo assoluto, la prima diva, Francesca Cuzzoni nella parte di Cleopatra - la protagonista vera dell'opera, nominalmente dedicata nella storia a Cesare - e al contraltista Francesco Bernardi, detto il Senesino nella parte di Cesare.
    Le parti del canto sono otto in totale, alla prima c'erano almeno sei cantanti italiani madrelingua.
    L'orchestra non è leggera, con violini e viole, basso continuo, legni completi (due flauti dolci, traverso, due oboi, due fagotti), quattro corni e tromba, con parti sulla scena anche per arpa, viola da gamba e tiorba.

    l'opera ripresa nella prima metà del secolo scorso dopo duecento anni di abbandono conta numerose registrazioni, probabilmente quella di Handel che ne conta di più al giorno d'oggi.
    E naturalmente tutte le primedonne - soprani e semmosoprani - di oggi si sono cimentate o nell'opera completa o nelle arie principali che la caratterizzano.
    La fortuna dell'opera risiede certamente nella ricchezza melodrammatica della trama, tessuta con grande perizia da Handel con una maestosa orchestrazione inframmezzata da arie magistrali.
    Il risultato, consegnato alla storia, è senza pari secondo il mio punto di vista.
    Tra le arie più belle e fortunate dell'opera, dedicate alla parte di Cleopatra ci sono certamente la celeberrima "Piangerò la sorte mia" e "Se pietà di me non senti".
    Due arie in forma A-B-A col da capo che lascia all'interprete libertà espressiva con ornamenti e fioriture, richiedendone al contempo estensione, forza, cambio di registro, ora pianissimo, ora fortissimo, ora lirico, ora drammatico.
    In un primo momento stavo scegliendo solo la seconda ma poi riascoltandole entrambe ho deciso di usare entrambe queste due arie per un confronto tra primedonne di oggi, cantanti di grande temperamento e con voci realmente barocche per quanto ne possa capire io.
    Dicevo che sono innumerevoli le registrazioni di queste arie, e si capisce bene il perchè. Senza voler fare torto a nessuna cantante contemporanea, ho scelto le quattro che preferisco e in ordine rigorosamente alfabetico :
    Natalie Dessay Simone Kermes Magdalena Kozena Roberta Invernizzi Due parole su Francesca Cuzzoni, una delle prime dive e certamente la primadonna per Handel a Londra dove la convinse a trasferirsi per le sue stagioni teatrali in qualità di autore ed impresario con un ricchissimo contratto di 2.000 sterline, una cifra stratosferica se consideriamo che con poco più di  20.000 sterline si armava una nave di linea da battaglia della flotta inglese a metà del '700.
    Francesca Cuzzoni aveva 29 anni alla prima del Giulio Cesare. Viene descritta come tozza e piccola, tutt'altro che avvenente, senza grandi qualità sceniche ma con una grande estensione vocale e una voce d'angelo o da usignolo. Non particolarmente tecnica ma in grado di incantare l'uditorio.
    Una donna difficile da trattare dentro e fuori dal palco, passata alla notorietà anche per eventi scellerati e morta in povertà dopo che la voce le sfiorì verso i 50 anni. 
    Per tutta la sua carrierà dovette misurarsi con i più celebri castrati (Senesino e Farinelli per esempio) e le loro straordinarie capacità tecniche.
    Ma anche con una rivale più attrezzata di lei sia sul piano della pura tecnica, Faustina Bordoni, un soprano capace di mettere in difficoltà gli stessi castrati, sia su quello della presenza scenica, capacità teatrali, semplice bellezza.
    Sono celebri due aneddoti che la riguardano - oltre alla precipitosa fuga dopo la misteriosa morte del marito a Londra - uno nel quale Handel stesso, la minacciò "fisicamente" di defenestrarla sollevandola per i fianchi verso la finestra se non avesse cantato un'aria come lui l'aveva scritta e un altro si lasciò andare in insulti scurrili sull'onorabilità della rivale (contraccambiata, ovviamente) per poi passare alle mani durante una rappresentazione in cui cantava con la Bordoni, presente una principessa della famiglia reale.
    Non una Cleopatra nel senso in cui la immaginiamo dopo che Elizabeth Taylor l'ha rappresentata al cinema nell'aspetto, ma certo una donna dotata di grande temperamento fuori dalle scene. Un demonio, come la epitetò Handel.
    E due parole sulle due arie.
    "Se pietà di me non senti", atto secondo, scena ottava e preceduta da un recitativo con orchestra "Che sento? Oh Dio!" che carica l'aria drammatica dell'aria che segue.
    Recitativo : 
    Che sento? Oh dio! Morrà Cleopatra ancora. Anima vil, che parli mai? Deh taci! Avrò, per vendicarmi, in bellicosa parte, di Bellona in sembianza un cor di Marte. Intanto, oh Numi, voi che il ciel reggete, difendete il mio bene! Ch'egli è del seno mio conforto e speme. aria : Se pietà di me non senti, giusto ciel, io morirò. Tu da pace a' miei tormenti, o quest'alma spirerò. archi, fagotto, soprano, continuo
    il recitativo è attaccato all'aria e ne è il drammatico preambolo. Cesare è fuori con i soldati per rintuzzare la minaccia di Tolomeo mentre Cleopatra nel palazzo si scopre realmente innamorato di Cesare e cessa di fingere.

    "Piangerò la sorte mia", atto terzo, scena terza
    Piangerò la sorte mia,
    sì crudele e tanto ria,
    finché vita in petto avrò.
    Ma poi morta d'ogn'intorno
    il tiranno e notte e giorno
    fatta spettro agiterò.
    testo appena più articolato e di forma opposta a quella dell'aria precedente.
    L'aria è nella classica forma A-B-A con il B molto vivace (ultime tre versi) e i due A adagi, il da capo prevede fioriture e abbellimenti sui primi tre versi.
    ***
     
    Le nostre quattro primedonne ci consegnano le loro interpretazioni in età certamente più matura (a parte la più giovane, la Kozena che quando ha registrato Cleopatra aveva la stessa età della Cuzzoni) ma sicuramente nel pieno della maturità artistica.
    Certamente sono quattro interpreti di grande temperamento e di evidente presenza scenica.

    Per il confronto ho scelto registrazioni recenti o molto recenti e in particolare secondo il gusto odierno. L'opera come ho scritto è stata riscoperta solo negli anni '30 del secolo scorso ma è negli ultimi decenni a cavallo del nuovo secolo che ha rivisto nascere l'antico splendore.
    Il mio intento non è comunque quello di valutare una mera riproduzione immaginaria ma fedele di quella che poteva essere la performance della nostra Cuzzoni ma leggere l'interpretazione di quattro cantanti in fondo molto differenti già a partire dalla scuola e dalle origini.
    Due latine e due mitteleuropee, tutte con differente curriculum, carriera, ranking internazionale.
    Tutte legate a grandi ruoli di primo piano nella musica barocca nelle rispettive scuole interpretative - generalmente filologiche - dell'ultimo periodo.
    Simone Kermes : La Diva, Handel arie per Cuzzoni, 2009
    "Se pietà" : 09:47
    "Piangerò" : 07:21
    Natalie Dessay : Cleopatra, arie dal Giulio Cesare, 2011
    "Se pietà" : 09:08
    "Piangerò" : 06:21
    Roberta Invernizzi : Queens, arie di Handel, 2017
    "Se pietà" : 10:10 compreso il recitativo
    "Piangerò" : 06:17
    Magdalena Kozena : Giulio Cesare in Egitto, 2002
    "Se pietà" : 09:21
    "Piangerò" : 06:04
    La Kermes idealmente per me rassomiglia di più alla Cuzzoni. E' fredda e immobile, il canto e leggero ma la voce bellissima, canta apparentemente senza sforzo. Le due arie vengono dalla registrazione in singolo e non dalle opere e questo potrebbe influire. Ma parliamo di una cantante d'esperienza consumata ed avendola ascoltata in altri dischi e in altro repertorio, sempre per lo più barocco, posso intuire che il suo sia proprio uno stile distaccata.
    Purtroppo non l'aiuta una dizione che spesso incespica in scivoloni tipicamente mitteleuropei.
    La Dessay è la più vivace sulla scena e in questo non tradisce il suo esordio come attrice. La sua Cleopatra usa gli artifici propri del suo ruolo, tanto da andare in scena con un busto che riproduce il seno nudo.
    La voce è più sottile delle altre ma più modulata.
    In generale tende ad eccedere con le fioriture, c'è molta libertà nella sua interpretazione in questo allineata ed assecondata dalla sua partner alla direzione d'orchestra, la vivace Emmanuelle Haim. Anche qui siamo in riprese dell'opera portata in scena, e questo certamente aiuta.
    Ma ho visto video di questa cantante che anche durante le prove, mentre legge con gli occhiali la partitura, la canta allo stesso modo e mostra temperamento ed esuberanza.
    La Kozena è l'unico mezzosoprano del gruppo, certamente un mezzo leggero, tanto che per lo più esegue repertorio per soprano, come in questo caso.
    Il suo taglio è drammatico, con una voce più di gola rispetto alle altre. L'orchestra, di scena, è possente con piena preponderanza di bassi.
    Canta impostato, va sugli acuti portando la melodia col tremolo. Cambia velocità e piglio nella "cadenza" con l'orchestra che la incalza e il tremolo diventa più coloratura sulle vocali finali.
    Ripresa ancora più in sordina della prima strofa con abbellimenti contenuti. Resta il tono molto drammatico e di grande efficacia. 
    La Invernizzi è l'unica madrelingua del novero dizione perfetta e modula a piacere ogni sillaba, comprendendone perfettamente il significato.
    Ha grazia, eleganza, non ha una voce perfetta ma la sua è una passione vera quando anche una regina ritiene di non doversi contenere.
    ***
    Conclusioni. E' difficile seguire il filo di quattro - comunque notevoli - interpretazioni di arie che sono capolavori assoluti della storia dell'Opera Lirica senza ascoltarle insieme.
    Mentre vi invito - se volete - ad ascoltarle per conto vostro (se non avete i dischi le trovate - credo tutte - su Youtube) e non volendo assolutamente voler fare una graduatoria o esprimere giudizi di merito, concludo confermando le mie impressioni già annotate mentalmente durante i primi ascolti.
    Simone Kermes è regale, con una voce cristallina, ma tanto distaccata da non rendere credibile la sua parte nella regina del Mediterraneo, donna di tanta passione capace di far innamorare ogni uomo al suo cospetto. Sembra dire, dando per scontato, io son bella, e tanto ti basti.
    Non c'è tragedia, più delusione, non c'è indignazione, più forse un contenuto disprezzo.
    Natalie Dessay cerca di ammaliarci come avrebbe fatto Cleopatra, più con le sue arti che con la bellezza. E ammicca dicendo, son brava, son brava, son brava. Lo è, lo sappiamo. Forse in certi momenti lo mette anche sin troppo in mostra, però.
    Magdalena Kozena ... sembra effettivamente sempre una Maddalena Penitente, super-drammatica, sebbene non a livelli di isteria come quando più recentemente ha interpretato ... effettivamente la Maddalena nella Passione di Bach con il marito alla direzione.
    Tocca, certamente. Sembra che da un momento all'altro ci possa penetrare il petto con un pugnale, più che uno stiletto.
    Ammetto che 10 anni fa mi ha molto colpito. Adesso un pò meno, però.
    Roberta Invernizzi è una Cleopatra molto personale. Dignitosa come una regina ma appassionata come una donna. Capace di avvolgere la musica con le sue parole, portando la musica di Handel ad un livello superiore di comprensione. Non è una tragedia consumata, c'è la rassegnazione di chi ha dovuto giocare un ruolo datole dal destino, ed ha perso. Certamente é una donna che ha vissuto, amato, sofferto.
    Non è la perfezione, non ci può essere perfezione nell'interpretazione personale, guai ci fosse, ci sarà sempre qualche cosa da dire in futuro.
    Ma è quanto di più toccante io possa dire di aver sentito sinora, senza al contempo indulgere in autocompiacimento o voglia di apparire.
    Però qui mi fermo e lascio a voi ulteriori argomentazioni.
  18. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Colour and light : Musica per pianoforte britannica del 20° secolo
    Delius, Lutyens, Dickinson, Hill
    Nathan Williamson, pianoforte
    SOMM RECORDINGS 2019, formato liquido 88.2KHz/24bit
    ***

    Confesso di provare grande interesse per la musica inglese del XX secolo.
    Dopo due secoli di silenzio - sostanzialmente dalla morte di Handel - il risveglio britannico di epoca vittoriana corrisponde alla fine dell'età classica europea, sostanzialmente con la Grande Guerra da cui l'Inghilterra e l'intera Europa non torneranno mai più indietro.
    Apprezzo però che salvo contaminazioni dell'ultimo periodo, i compositori inglesi manterranno per lo più un'anima originale - come i contemporanei russi - senza il timore di essere considerati antichi per non aver abbracciato, come il resto del continente, la dodecafonia viennese o la musica seriale.
    Questo disco rende onore una volta tanto al titolo programmatico di "colore e luce" ed interpretato dal bravo pianista Nathan Williamson su un grande Fazioli F278.

    Abbiamo musica che parte da Delius di inizio secolo, fino a Anthony Herschel Hill di cui sono presentate due opere del 1992 e del 1999.
    In mezzo composizioni di William Alwyn e Peter Dickinson degli anni '50 e '60.
    Un arco di tempo vasto con grandi mutazioni, conflitti, scenari differenti.

    William Alwyn (1905-1985) ha composto musiche per oltre 70 film anglo-americani, alcuni di grandissimo successo.
    La raccolta di 12 preludi (1958) che introduce questo disco è giocata nel suo stile tipico, che alterna melodico a dissonante.
    Di grande intensità con momenti veramente lirici e coinvolgenti, sono probabilmente il pezzo forte della raccolta.
    Non è un caso che siano stati un cavallo di battaglia del grande John Ogdon.
    All'estremo opposto, in chiusura di disco, la Litany e la Toccata di Hill (nato nel 1939), si tratta di musica attuale ma ben ancorata nella tradizione pianistica che va da Liszt a Prokofiev, in particolare la Toccata che non stenterei ad avvicinare a quella ... inavvicinabile di Prokofiev e che chiude in modo mirabile il disco (prima registrazione mondiale).
    Molto vicino allo stile di Ives, le cui influenze sono chiarissime, le variazioni Paraphase II di Peter Diskinson, del 1968 che si permette anche un omaggio a Erik Satie con una sorta di walzer della mattonella che porta alla toccata finale, percussiva e declamante.
    Più che variazioni, sono permutazioni, certamente per la felicità dei teorici della musica computazionale.
    Nathan Williamson è esemplare in tutto il disco e il suo è un sacro tributo alla musica che ha selezionato per questo ideale recital e alla tecnica pianistica che ha raggiunto oggi livelli per cui tutto sembra permesso.
    Timbro molto deciso della registrazione dove la potenza del Fazioli emerge con grande prepotenza. Richiede un sistema di riproduzione all'altezza per essere goduto.
    Nel complesso uno dei miei dischi di riferimento per questo 2019.
    Non per tutte le orecchie, naturalmente.
  19. M&M
    Ieri mi è stato chiesto come fare a non perdersi discussioni importante che a volte si nascondono tra le tante.
    Io faccio così. Quando mi collego su Nikonland scelgo dal menù in alto, sotto al logo di Nikonland, la voce Novità :

     
    questo in automatico presenta tutto quanto si è mosso sul sito. Anche quello che abbiamo già letto.
    Per avere la certezza che non mi sfugga nulla, scelgo la sottovoce "Contenuto non letto"

    e mi compare un listone con tutto quanto è stato scritto su Nikonland - fosse anche 5 anni fa- e che io non ho mai letto.
    In ordine cronologico.
    Così posso selezionare cosa leggere.
    Per azzerare questa lista, ci vuole un attimo.
    Basta premere il pulsante sulla estrema destra del menù in alto, sotto al vostro Avatar : Segna il sito come letto

    e scomparirà tutto quello che non avete letto e non vi interessa leggere.
    Spero che tutto ciò vi sia utile
  20. M&M
    Dopo il violino, il violoncello.
    Il violoncello è un violino da suonare seduti. In questo non è da confondere con la viola da gamba, che deriva dalla viola da braccio ma ha tutta un'altra impostazione, tecnica e gamma tonale.
    E' uno strumento nato per fare il basso, infatti in casa nostra si chiamava violone o basso di viola.
    Ma siccome, a differenza della viola da gamba non suonava abbastanza in basso (era più espressivo in alto), venne creato apposta il contrabbasso, per raddoppiarlo.
    Insomma, strumento ibrido che si è sviluppato per la sua relativa facilità di costruzione e di tecnica.

    Ma che in fondo fino ad epoca moderna non ha goduto di grande spolvero personale.
    Il repertorio solistico è eccezionale ma abbastanza limitato (parlo di suite per violoncello e di sonate per violoncello e pianoforte). E' ancora più limitato quello orchestrale con il violoncello solista puro.
    Beethoven non si è impegnato (lo ha fatto con le sonate) e, ovviamente, nemmeno Brahms. Entrambi lo hanno incluso nei loro - sfortunati - concerti per più strumenti, il triplo di Beethoven e il doppio di Brahms prevedono il violoncello, ma come comprimario.
    Per vedere un vero concerto per violoncello e orchestra attendiamo l'ottocento inoltrato, perché gli esempi settecenteschi (penso a Emanuel Bach e a Joseph Haydn non sono così sfolgoranti a mio parere, di Vivaldi io in genere, taccio).
    Ci sono tante composizioni di Boccherini e di Romberg, ma insomma ...
    Schumann, Dvorak, Saint-Saens, Elgar in epoca romantica. E poi Shostakovich e un certo rispolvero nel '900 e anche nei nostri anni.

    Ma vediamo insieme cosa conta veramente ascoltare, senza un particolare ordine.
    1

    i due concerti per violoncello di Saint-Saens sono particolarmente estroversi, come in generale la musica di quel compositore.
    Ma il primo ha un carattere più aulico, più coinvolgente. Il secondo non mi ha mai preso in particolare ma è certamente più virtuosistico.
    Li dividono circa trenta anni, il primo è del 1873, il secondo del 1903.
    Tematicamente non ci sono paragoni.
    Oltre alla edizione Chandos con Mork e Jarvi, si può fare una scelta tra la Du Pre, Harrell ...
     
    2

    il concerto di Schumann - 1850/1860 - credo sia uno dei concerti più belli che ci siano e tra le più belle composizioni dello sfortunato Robert.
    Che in gioventù suonava anche il violoncello, sebbene non al livello del pianoforte.
     

    edizione alternativa a quella con Sol Gabetta (lo so, è quella l'alternativa, non questa ...) è naturalmente Jaqueline accompagnata da Daniel, proposta da EMI/Warner insieme al concerto n.1 di Saint-Saens.
    Un must have assoluto.
    E' un concerto idilliaco, l'opposto del calvario mentale che Schumann si apprestava a vivere. L'opposto del modo di concepire musica di Shostakovish, se mi è permesso dirlo ...
    3

    allo stesso modo, ma con la Chicago, il celeberrimo, drammatico, ultraromantico, concerto in Si minore di Antonin Dvorak.
    Dvorak non è un compositore che mi viene mai in mente di ascoltare ma qui siamo in un pianeta a se stante.
    Siamo nel 1894, ci sono reminiscenza della sua sinfonia "americana", ma per fortuna non troppe ... più del dovuto.

    alternativa, sempre in casa EMI, i nostri Mario Brunello con Antonio Pappano a Santa Cecilia.
    Ovviamente, se non potete farne a meno, insieme alla 9a sinfonia.
    4

    il concerto di Elgar è del 1914-1919. Al di la degli stucchevoli aneddoti al riguardo, conta la musica.
    E si tratta di grandissima musica.
    Lo propongo anche qui con la Du Pré ma potrebbe essere ugualmente il grande Lynn Harrell che lo ha registrato in tante riprese.

    scegliete voi l'edizione, con Maazel, per esempio, a Cleveland
     
    5

    qui non sono disposto a discutere.
    I due concerti per violoncello di Shostakovich sono due capolavori assoluti.
    E Heinrich Schiff, con la direzione di casa offerta da Maxim, figlio di Dmitri, una visione lucida, ferma, totalmente scevra da sentimentalismi se mai fosse possibile.
    6

    il concerto di Walton viene spesso associato a quello di Elgar, mi domando perché.
    E' un concerto del 1956 commissionato e scritto per PIatigorsky che lo ha registrato con Charles Munch e la Boston

    è un concerto tradizionale e secondo me un pò al di sotto del concerto per viola dello stesso autore.
    La critica non è mai stata unanime su questo concerto, probabilmente vista l'epoca in cui è uscito.
    Resta l'amore per il violoncello dimostrato dagli inglesi in quei decenni.
    7

    non saprei dire se sia più "moderno" il concerto del più "cinematografico" Erich Korngold che però ha il pregio di essere breve e vivace (meno di 13 minuti in tutto, un solo movimenti in tempi diversi).
    Si tratta di una composizione del 1947
    8

    in generale non mi verrebbe mai in mente Arthur Honegger ma il suo concerto per violoncello del 1929 è molto particolare.
    Ci sono influenze etniche e jazz, ritmi e danze.
    Anche questo è breve ed in un solo movimento.
    9

    c'è un concerto per violoncello "in stile nuovo" ma nella realtà antico di Arnold Schoenberg.
    Una rielaborazione di un concerto per clavicembalo settecentesco di Matthias Georg Monn (contemporaneo dei figli di Bach), dedicato a Pablo Casals quando Schoenberg si trasferì in America.
    10

    é di rarissima esecuzione il concerto di Barber che richiede doti virtuosistiche trascendentali al solista, di fronte una orchestra molto ridotta che nulla può fare per aiutarlo.
    11

    Wendy Warner passa l'archetto a Julian Lloyd Webber per il concerto di Philip Glass
    12

    chiudo questo escursus che, come vedete, ha più che altro toccato il tardo romanticismo e il '900, con un disco - qualsiasi - di concerti di Emanuel Bach.
    Questo Bach nella realtà non scriveva per uno strumento particolare, e quindi possiamo trovare un concerto per flauto arrangiato per violoncello o per oboe.
    E' musica bellissima ma non effettivamente scritta per valorizzare uno strumento che in quei decenni era visto come al servizio degli altri.
     
    ***
    Spero di avervi incuriosito. Il violoncello per gamma espressiva e possibilità emotive è uno dei miei strumenti preferiti.
    Ammetto però che dei concerti presentati in questo articolo, i miei preferiti sono solo alcuni ...
  21. M&M
    Slim Aarons, 1 gennaio 1957, Hollywood.
    ***
    Questa foto di Slim Aarons - fotografo delle star di Hollywood - è stata definita la "Mount Rushmore" delle celebrità, oppure "The Kings of Hollywood".
    Ritrae - chi come me pensa che il cinema sia quello della Gold Age di Hollywood li avrá riconosciuti - Clark Gable, Van Heflin, Gary Cooper e James Stewart, che ridono per una battuta (immagino del solito Clark) mentre si bevono una coppa di champagne nella Crown's Room del ristorante Romanoff di Hollywood.
    Ma potrebbero anche essere quattro sconosciuti, non importa.
    Come non importa che ci sia un secondo scatto in cui Van è voltato verso Clark che si è accorto di Slim :

     
    quella è una fotografia straordinaria lo stesso, per il momento colto, l'atteggiamento, i quattro personaggi nella loro naturalezza assoluta.
    Io però arrivo a dire che sia una bella fotografia, intesa proprio sul piano artistico.
    Nessun altra considerazione di natura tecnica, tecnologica o sofista rafforzerebbe ulteriormente il mio pensiero al riguardo.
    Pensieri miei, naturalmente.
  22. M&M
    C'è chi si compra oggi una nuova fotocamera e tempo 10 giorni sfiora i 20.000 scatti (io, per esempio), chi si compra una nuova fotocamera per poi rivenderla a primavera come nuova con 200-300 scatti.
    Chi sogna uno zoom 180-400/4 con teleconverter incorporato e quando questo viene presentato cambia sistema, si accontenta di meno e sta in lista di attesa per un obiettivo annunciato un anno fa e che ancora manca nelle consegne.
    Chi si compra una Ferrari e la usa per girare attorno all'isolato di casa sua una volta a settimana.
    Chi con il suo diesel ci farebbe un milione di chilometri se non fosse che la Regione Lombardia ha vietato la circolazione a tutti i diesel senza FAP ....
    Chi sbava per la Sony Alpha 9 ma non ha i soldi per comperarla, chi si comprerebbe la Nikon D5 ma poi ci farebbe panorami.
    Chi ha perso l'ispirazione, chi ha sempre fatto foto di merda anche con l'Hasselblad, chi deve comprare sempre un hard-disk nuovo per incrementare lo spazio dei suoi NAS per depositare le migliaia di foto che fa ogni settimana.
    E chi l'ultima volta che ha caricato la batteria, l'ha fatto solo perchè è meglio conservara la macchina con la batteria mezza carica, mai del tutto scarica.
    E intanto provare se la vecchia D700 ancora funziona.
    C'è anche chi farebbe, andrebbe, fotograferebbe, se solo avesse quella cosina lì che ancora non ha.
    Perchè non c'è. O perchè è di un marchio non compatibile con il suo. O perchè costa troppo, o perchè è troppo o perchè ....
    ... parlate, sfogatevi, votate il sondaggio e spiegatevi bene. Costa solo 5 centesimi di dollaro, The Doctor is always in e non patirete quanto Keira Knightley in A dangerous Method 

     
     
     
  23. M&M

    Scherzi a parte
    Non andiamo nel dettaglio ma nello specifico.
    Sono mesi che si parla di credere nella scienza, riferendosi all'efficacia dei vaccini, perché "la scienza" ha decretato che questi sono buoni, utili, efficaci. Che chi non si vaccina - medici compresi - non crede nella scienza.
    Stessa trippa per il cosiddetto riscaldamento globale, che nessuno ha provato nei fatti cosa sia e se sia, sia in atto, o se sarà. Ma bisogna credere che ci sia, perché lo dice lo scienza.
    Come se la scienza fosse una entità astratta e superiore. Come se la scienza fosse una cosa in cui credere. Come se la scienza, in ultima istanza, fosse una religione. E si dovesse crederle per fede.

    insomma una sorta di trasposizione della creazione di Michelangelo con Dio Padre Onnipotente e creatore vestito da scienziato con tutto il suo armamentario di alambicchi che indica la sua creatura.

    nella realtà è un tema già in voga da tempo, anni, ma mai come in questo periodo trasformato in dogma.
    Decretando, è ovvio, nemmeno fossimo ai tempi delle crociate, chi sta coi buoni e chi no.
    Eppure quando i pensatori pensavano anziché comparire in televisione era più che ovvio che :

    si tratta di due cose ben differenti. Sapere e Credere.
    Si può credere o non credere, si può sapere o non sapere. Ma non c'è alcuna prescrizione sia del credere che del sapere.
    Citando Werner Heisenberg - l'autore del principio di indeterminazione, quindi per assunto lo scienziato più lontano da Dio - : "Il primo sorso dal bicchiere delle scienze naturali rende atei, ma in fondo al bicchiere ci attende Dio»
    La scienza è una creazione degli uomini, per poter indagare e sapere. Un insieme di metodi condivisi, discussi, dibattuti, accettati sinché non si prova qualche cosa di differente, dando per scontato che ciò che sappiamo oggi, potrebbe essere messo in discussione e negato domani senza che questo debba essere considerato eretico o immorale.
    Ma gli scienziati e la scienza non hanno - o non dovrebbero avere - una chiesa universale che decreti in cosa credere e in cosa no. E' il dibattito scientifico che qualifica gli scienziati e li differenzia dai prelati.

    Credere invece è qualche cosa che trascende il sapere. O si crede oppure no. Fine della questione, non servono prove o metodi.
    Quindi di fatto dire di dover "credere nella scienza" è un ossimoro. Ma tante firme, anche autorevoli, dicono che si debba credere nella scienza altrimenti si sbaglia.
    Insomma ... perdonatemi se ho dovuto scrivere questo articolo. Ma non se ne può più ...
    PS : l'unica scienza esatta è la matematica. Che non è una scienza naturale ma una filosofia autosufficiente.
  24. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Debussy : Children's Corner
    Jacques Rouvier, pianoforte
    Denon 1985, formato CD
    ***
    Jacques Rouvier è responsabile della formazione di una intera generazione di pianisti, oggi i più maturi hanno cinquanta anni.
    Tra questi cito i più noti, Helene Grimaud, Arcady Volodos e David Fray.

    ha formato anche me, a distanza ed indirettamente, quando tra i primi CD acquistati, ho scoperto anche, grazie a lui, Debussy e Ravel.
    Ma prima che grande didatta, grandissimo pianista. Da solo - vincitore di premi internazionali prestigiosi - e in trio con gli amici Jean-Jacques Kantorow e Philippe Muller.
    Tra le sue registrazioni ricordo, l'integrale di Ravel, anche in trio oltre che per pianoforte solo e i dischi sciolti di Debussy.
    Recentemente è tornato come guest star di iniziative del suo pupillo ed enfant-prodige David Fray, in progetti a più pianoforti.
    Nel ricordarlo, è un classe 1947, doverosamente sulle nostre modeste pagine, ho scelto questo disco di Debussy per lodarne, nonostante il suono acido e compresso delle prime registrazioni digitali pensate per le dinamiche possibili degli impianti di allora e assolutamente povero ascoltato oggi, dicevo lodarne la grande classe esecutiva.
    Il suo è un Debussy colto, asciutto, pulito, clavicembalistico, con una dizione perfettamente scandita nota per nota. Che non indulge in sentimentalismi inutili e ne costruisce un unicum peculiare.
    Probabilmente Children's Corner non è il massimo per quanto riguarda le difficoltà tecniche ed è composto da brani mediamente brevi, descrittivi o allegorici, vagamente a programma.
    La sua Réverie sicuramente ha certamente influenzato quella, recente di Helene Grimaud (tra le poche cose interessanti che ha registrato negli ultimi anni), il ritmo e la luce sono gli stessi.
    Il Nocturne è realmente crepuscolare senza essere oscuro.
    E La plus que lente è danzante, quasi un arrivederci, non un addio. Triste al punto giusto, come un pomeriggio d'inverno, in una gita al Mare del Nord.
    Disco inestimabile, da conoscere a memoria per valutare quelli degli altri.




  25. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Debussy : early and late piano pieces
    Steven Osborne, pianoforte
    hyperìon ottobre 2022, formato 96/24, disco acquistato
    ***
    Osborne ha già all'attivo diversi dischi di Debussy.
    Abbiamo già recensito altre sue prove su queste pagine, sottolineandone sia la delicatezza che la profondità di visione, specie in questo momento di maturità.
    Ne da ulteriore prova con questo bel disco che raccoglie opere di tutta la carriera compositiva per pianoforte di Debussy.
    Partiamo dalla Dansé Bohemienne, scritta a Firenze nel 1880 mentre era "impiegato" come pianista di casa della Signora Von Meck, patrona di Chaikovsky, fino all'ultimissimo periodo, durante la guerra nel 1917, Le soirs.

    Questo arco così ampio è una bella prova per l'interprete che probabilmente troverà più concentrazione in una singola raccolta.
    Ma è questo lo spirito di questo disco.
    C'è l'atmosfera sognante e scanzonata tipica della musica libera di Debussy, la Suite Bergamasque è fresca e immediata, priva di affettazioni (soprattutto nel celebre ...)
    Réverie é sognante il giusto, senza strafare.
    Vivace e fanciullesca la Danse styrienne.
    Crepuscolari ma pacate e tranquille, le prime due Images oubliées, petulante la terza, ma sempre in punta di dita.
    Quasi a celebrare la fine della Belle Epoque, gli ultimi brani più tardi.
    In tutte queste - bellissime - pagine, del Debussy più godibile, Steven Osborne raggiunge secondo me l'obiettivo di mantenere coerente la lettura, senza mettere in mostra il pianista se non nel senso che rende perfettamente giustizia al valore della musica, ripartendo dalle origini, fondamentali, senza le troppe incrostazioni che si sono accumulate nei decenni, non sempre opportunamente.
    Il disco, ma dirlo per hyperìon è quasi inutile, è di una chiarezza assoluta, il piano è naturale, vivo, senza alcuna asprezza. Li davanti a voi.
    Lo raccomando senza esitazioni, tra le più interessanti proposte di questo ultimo scorcio di anno.
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