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Charles Ives : Le sinfonie - Dudamel/LAPHIL


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Charles Ives : Le 4 sinfonie
Gustavo Dudamel alla testa della Los Angeles Philarmonic
Deutsche Grammophon 2020, formato 96/24

***

Per il Los Angeles Times, la Seconda Sinfonia del giovane Charles Ives diretta da Gustavo Dudamel alla Disney Hall è migliore di quella storica di Leonard Bernstein del 1958 alla testa della NYPHIL.
Secondo me sono due cose proprio differenti. Bernstein riprese dopo 35 anni di letargo quella sinfonia per presentarla al grande pubblico con qualche aggiustatina.
E la mise in repertorio con la NY Philarmonic dei suo ardenti anni '50 e '60.
Per poi riprenderla ancora in età, nel suo lungo "esilio" europeo, con una visione diversa, più meditata, tranquilla, lenta.

Dudamel qui ha un approccio più diretto che toglie la patina da Dvorak americano alle prime due sinfonie di Ives, ricavandone una ritratto che non so quanto sarebbe piaciuto allo stesso Ives (che probabilmente non apprezzò nemmeno quello di Ives, pur non avendo potuto assistere di persona ma solo in radio) ma che probabilmente è quello corretto.

Per Ives le prime due sinfonie appartengono al suo periodo "morbido", quello non ancora caratterizzato dalle dissonanze e dai quesiti esistenziali che invece saranno il leit-motiv delle sue composizioni successive.

 

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La prima sinfonia è del 1898 ed è sostanzialmente la prova di laurea a Yale. E' una sinfonia tardo-romantica scritta in uno stile moderno e americano ma senza alcuna audacia (all'inizio degli studi Ives aveva proposto al suo professore una fuga con quattro voci su quattro tonalità differenti che non aveva avuto una accoglienza proprio entusiastica).
In re minore, in quattro movimenti, con temi puramente romantici e con uno svolgimento "quasi" viennese.
Si sentono reminiscenze di Mendelssohn se si vogliono ascoltare.
Il lungo primo allegro con moto ha uno sviluppo molto complesso con tematiche articolate da tutte le sezioni dell'orchestra. Modula su tonalità differenti ed è inconfondibilmente originale.
L'adagio successivo inizia con un richiama alle atmosfere della sinfonia americana di Dvorak e pare sia stato "depurato" da temi folkloristici che Ives aveva inserito per restare di pura estrazione all'europea. Le modulazioni richiamano anche Brahms, e Schubert, oltre a Mendelssohn.
Il tema è semplicissimo ma proprio per questo bello e armonioso.
Lo scherzo potrebbe essere firmato da Brahms per il piglio vivace e frizzante e soprattutto per le riprese contrappuntistiche.
Ma sotto la tessitura degli archi è assolutamente moderna. La parte centrale del trio è sostanzialmente un "ballabile".
Il finale anche si muove tra Brahms e Beethoven ma con il giovanile piglio dell'uomo del nuovo mondo che chiude la sinfonia/prova d'esame in un crescendo trascinante.

Due parole anche sulla seconda sinfonia, composta quasi in contemporanea con la prima e completata nel 1902, ma la cui prima esecuzione, come si diceva, avvenne solo nel 1951 sotto la guida di Leonard Bernstein.
Qui non sono semplici riferimenti ai romantici tedeschi, ci sono vere e proprie citazioni e trasfigurazioni. Della Prima di Brahms, del tema del Tristano di Wagner, della 5a di Beethoven, oltre a frammenti di Dvorak e di Mendelssohn.
Questa volta inframezzati da canti americani, goliardici come quelli di Yale e nel finale c'è un passaggio della fanfara della sveglia del mattino (quella dell'US Army).
La sinfonia, come dirà Bernstein segna lo stacco dalla tradizione europea allo stile veramente americano.

Intendiamoci non c'è alcun intento di scimmiottare nè di insultare l'eredità degli antenati dell'altra sponda dell'Atlantico, al contrario, la dimostrazione pratica di Charles Ives fatta al padre di poter padroneggiare totalmente le tecniche armoniche ed espressive della tradizione occidentale prima di prendere la sua strada personale, anzi, personalissima, verso una atonalità che ha fatto strada in America.

E per il mio gusto questa composizione si pone alla pari ma con una ricchezza melodica più ricca e fresca, delle sinfonie europee del tempo, alla Elgar, per intenderci. 

La terza sinfonia rappresenta la transizione effettiva. E può essere accostata ad una pastorale brahmsiana, come la seconda dell'amburghese. Composta nel 1904 e quindi attaccata alle precedenti, eseguita solo nel 1946 ma con straordinario successivo di pubblico e critica, tanto da far avere ad Ives avere il premio Pulitzer per il 1947.
E' una composizione "composta" con poca mezzi strumentali ma una quantità enorme di materiale sonoro, chi ci ha studiato sopra ha contato almeno 150 frammenti differenti, anche qui con tante citazioni, questa volta tutte americane.
I tre movimenti hanno sottotitoli e celebrano praticamente una domenica mattina "evangelica".
La polifonia di questa sinfonia perde i connotati contrappuntistici classico-romantici per andare verso una polifonia arcaica, simile ma totalmente diversa nei toni, alle soluzioni cercate e trovate da Sibelius e Carl Nielsen.

La quarta è un ... mattonazzo enorme, scritta al contrario della terza, per una compagine che richiede una mezza dozzina di direttori, in quanto uno solo non basta.
Ci vogliono due pianoforti, l'organo, un coro misto e tutto quanto fa spettacolo, dalla grancassa all'arpa, la celesta, 4 tromboni, la tuba, il tom-tom, le campane, e gong, il glockenspiel ...

Composta tra il 1910 e il 1916 è stata rappresentata solo nel 1965, 11 anni dopo la morte di Ives.
Ives stesso nel 1927 ne parla così :

 

 «Il programma estetico del lavoro è costituito dalle assillanti domande sul Che cosa? e sul Perché? che lo spirito dell'uomo si pone intorno all'esistenza. Questa, in particolare, è l'intonazione espressiva del preludio. I tre movimenti successivi sono le diverse risposte che la vita dà a queste domande. Il secondo movimento non è uno "Scherzo" nel significato usuale del termine, quanto piuttosto una commedia, nella quale un'eccitante, comoda e mondana carriera nella vita pratica è messa a confronto con le prove dei Padri Pellegrini nel loro viaggio attraverso le paludi e il deserto. Gli episodi lenti che vi ricorrono - gli inni dei Padri Pellegrini - sono costantemente circondati e sommersi dalla prima idea. Il sogno, o fantasia che dir si voglia, finisce con una brusca immissione della realtà, il 4 luglio a Concord, con bande di ottoni, formazioni di percussione, etc. La fuga è un'espressione della reazione della vita al formalismo e al ritualismo. L'ultimo movimento è un'apoteosi dei contenuti precedenti, in termini che si riferiscono alla realtà dell'esistenza e alla sua esperienza religiosa».

e mi fermo qui. Piacevole a tratti, dissonante e aspra in altri. Dura solo mezz'ora, quindi la si può ascoltare.
Ovviamente anche per via della strumentazione necessaria viene raramente eseguita.
E per la complessità di interpretazione, veramente complicata da afferrare.

La fuga che sostituisce come terzo movimento il tradizionale scherzo ha un tema quasi religioso e quasi ... mahleriano allo stesso tempo.
Probabilmente è la chiave per comprendere l'intera opera di Ives che per le tante sfaccettature capita di essere ... totalmente incomprensibile come lo è in apparenza il finale di questa sinfonia, impostato anzichè sul piano armonico, su quello percettivo, totalmente privo di apparente svolgimento formale come è.

Come sia andiamo a Dudamel.

Non ci sono molte integrali omogenee delle sinfonie di Ives. Bernstein credo abbia registrato solo la 2 e la 3.
Tilson Thomas le ha completate l'anno scorso ma la prima e la seconda sono piuttosto anziane.
C'è l'integrale con la Melbourne registrata negli anni 2015-2017 da Andrew Davis.
E non so che altro di organico.

Secondo l'articolo del Los Angeles Times del febbraio di quest'anno l'approccio di Dudamel in concerto è stato quello di accoppiare Ives a Dvorak per demolire il preconcetto dell'Ives una sorta di Dvorak americano che avevano in testa i musicisti della Los Angeles e al contempo rendere Dvorak del tutto nuovo (dicono un tipo di Shostakovich in anticipo). Sinceramente non ho ascoltato lo Dvorak di Dudamel, ne sono certo perché tendo a detestare Dvorak, in quasi tutte le forme.
Ma ascoltando il disco in esame capisco cosa intendono.

Dudamel mette tutto il suo ardore - ma senza esagerare - nel dare ad Ives un vestito tutto suo anche quando c'è anche troppo materiale europeo sul piatto.
Il risultato é importante ed é probabilmente un servizio ancora più grande ad Ives, compositore che da questa parte dell'Oceano resta indigesto ancora oggi, di quello che gli ha reso Bernstein che lo considerava "nostro padre, il nostro Washington, il nostro Lincoln" musicalmente parlando.
E sappiamo quanto di Ives ci sia nel pianismo di Bernstein e nei connotati totalmente americani nella sua musica.

In questo senso, e invitandovi a dare uno sguardo a questa proposta ottimamente registrata da DG (effetti sonori meglio di Guerre Stellari nei pieni orchestrali e con pianissimi immersi in un buio totale da cui emergono i solisti e i crescendo di una orchestra eccezionale) per rivedere il vostro pensiero su un autore che certamente non contate mai nelle vostre playlist.

 

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I due dischi di Bernstein disponibili a catalogo, quello DG del 1987 e quello Columbia del 1958 che per la Seconda Sinfonia resta comunque, per me, il riferimento.

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