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  1. Mi sono preso due giorni di fuga a quasi 3000m di altitudine per evitare le temperature africane. Fra le altre cose ho scattato anche le foto per questo blog, che vuole essere un po' una riflessione su un commento di Valerio Brustia sul significato delle immagini e un po' una proposta operativa in linea con il blog di Massimo Vignoli sulla crescita. C'è chi sostiene che se una foto abbisogna di spiegazioni allora non è una foto riuscita, c'è chi al contrario sostiene che senza una contestualizzazione una foto può perdere molto del suo significato. Chi ha ragione? Ma tutti e due! Dipende dalla foto e... da chi guarda la foto. Restringo il discorso alla fotografia naturalistica, in particolare la wildlife photography per brevità e perchè sono un seguace dell'antico detto offeleè fa' el to' mesteè (parla di quello che sai). Ecco qua. Uuh, bel ritratto, ma cos'è? E' un Gracchio alpino. Un piccolo corvide. Ah, ok. E' sufficiente? Anche no. Mi spiego, un appassionato di ornitologia oppure un fotografo naturalista lo saprebbe già, mentre e chi non conosce il Gracchio alpino è al punto di prima, solo ha un nome in più nella testa di cui non sa bene cosa farsene. Certo, Il nome alpino farà pensare che sia un uccello di montagna ma niente più, potrebbe essere rarissimo oppure no, vivere chissà dove o dappertutto... Dobbiamo copiare una voce di Wiki/enci/clopedia sul Gracchio alpino per farci capire? Noo siamo in un sito di fotografia. Proviamo con le fotografie. Come si fa? Contestualizziamo il nostro soggetto con altre fotografie! Eccolo nel suo ambiente: Qui si capisce che tollera i suoi simili. Volatore veloce ed acrobatico Anche in gran numero, specialmente dove abbondano rifiuti ed avanzi di cibo lasciati dagli umani sporcaccioni ambientali: Questo mi è venuto letteralmente fra i piedi per vedere se avevo lasciato avanzi... Perchè ho scritto questo blog insomma? Per invitare a non fermarsi al ritratto standard dal sicuro valore estetico -che per carità ci vuole!- ma se si può, fare anche qualche foto diversa, che sia lo stesso gradevole e permetta a tutti di farsi un'idea di com'è è e come vive un Gracchio alpino (in questo caso particolare, ma vale per qualunque creatura selvatica). La discussione è aperta, se ne avete voglia
  2. Nel mio blog sul Gracchio, Gianni ha scritto in un commento che conosceva il posto e non gli piace per niente. Ho risposto che ha ragione e qui propongo un reportage "sul posto" come spunto di discussione (se mai qualcuno ne avesse voglia). Il "posto" è il Passo dello Stelvio, ci sono andato proprio su indicazione di Gianni, che ringrazio, perchè lì è abbastanza facile avvistare e fotografare il Gipeto, nonostante sia una zona turistica frequentatissima da escursionisti, ciclisti, bikers, camperisti e altro. Avvistare e fotografare il Gipeto è stata un'emozione grandissima, non l'avevo mai avevo visto libero se non a distanze enormi, finalmente ho potuto ammirarlo da vicino nel suo ambiente e fare delle foto, anche se non eccelse, ma per me importanti per ricordare questo momento e condividerlo. Potrebbe finire qui e saremmo tutti contenti (noi umani almeno, al Gipeto probabilmente non interesserebbe affatto ). Ho invece deciso diversamente, di non fermarmi alla bellezza del soggetto e mostrare anche l'altra verità, quello che rende il posto sgradito a quelli cone Gianni e come me. La metto in chiave umoristica per non essere pesante (o pedante?) ma la riflessione è seria. Che splendide vedute! di sicuro il tuo respiro si allarga ed il cuore è in pace. No. Anche perché le foto non riproducono i rumori. Questa strada è percorsa incessantemente da migliaia di motociclisti che fanno il passo in direzione Bormio o viceversa Bolzano. Veduta splendida ma acusticamente sembrava di essere in pista. Persino il giorno dopo ho avuto in testa il rombo delle moto. Al passo fanno tappa per un bratwurst con i crauti (buono anche per i fotografi, devo ammettere) una birra (una sosta in bagno?) e ripartono. Non ho niente contro i bikers (se non mi schiantassi mortalmente tre-cinque minuti dopo averla inforcata, mi piacerebbe anche avere una bella moto vintage), sto solo mostrando che la realtà spesso è diversa da come una singola foto potrebbe far pensare, per lo più il naturalista sceglie di concentrarsi sull'aspetto naturalistico, sul soggetto che gli interessa, giustissimo, ma per una volta ho deciso di mostrare convivenza e contraddizione fra natura e uomo. Il Gipeto, anzi i Gipeti, sono del tutto liberi, arrivano dai loro luoghi di nidificazione, lontani dal Passo, lo sorvolano periodicamente per vedere se c'è qualcosa da mangiare. Anche perchè dagli alberghi spesso buttano rifiuti (ragione della presenza di centinaia di gracchi, ma Gipeti mangiano ossa, per cui è strana la cosa). Il punto migliore per fotografare è appena sotto una piattaforma panoramica, dove delle rocce fanno da sedile improvvisato a quei fotografi o birdwatchers che, come me, hanno i calli sul didietro come i Babbuini , mentre gli altri si attrezzano meglio con seggiolini... perchè l'attesa spesso è lunga. Un trio di birdwatchers, anche il cane è concentratissimo. E' lui che "fa" la foto. Non ha molto a che vedere col discorso, lo so, ma mi piaceva troppo . Non c'è niente di male in questo assembramento di wildlifers , almeno credo, però lungo il sentierino che porta sotto la piattaforma, poco più di un solco, ho visto degli "affioramenti di rocce vetrose" che non sono per nulla in accordo con la geologia del luogo: In pratica ci sono qua e là accumuli di cocci di bottiglie frantumate, fra cui occasionali coperchi di lattine rose dalla ruggine e altra immondizia del genere. Di sopra ci sta gente con i camper, Di sotto ci stanno i fotografi. La mia permanenza è stata troppo breve per capire se i responsabili di questo disgusto siano da cercare fra i camperisti, fra i fotografi o fra tutt'e due. O altri passanti sconosciuti. Ma qualcuno è stato ed ha pensato di creare mini discariche negli avvallamenti anzichè portare i rifiuti con sé. Voglio credere che nessun fotografo che si definisce NATURALISTA faccia queste sconcezze ma... specialmente negli ultimi tempi con la nascita della fotografia naturalistica "di massa" (un ossimoro fattosi realtà ), chi lo sa. Nei due giorni in cui mi sono fermato, gli avvoltoi si sono fatti vedere molto poco perchè sopra le nostre teste ronzavano dei droni (vietati, mi pare, nei parchi naturali). Si fosse trattato di Aquile, bestie più pragmatiche, i droni sarebbero stati aggrediti e fatti a pezzi , ma gli Avvoltoi, più timidi, preferiscono starsene alla larga. Conclusione: L'incontro con il Gipeto è stata una grande emozione NONOSTANTE il posto, sono quindi molto contento di esserci andato. Potevo anche limitarmi a pubblicare le foto wildlife e raccogliere apprezzamenti, critiche, cuoricini (o indifferenza) per quelle, ma la penso come Valerio Brustia, la fotografia è anche indagine e documento; in questo caso mi è sembrato giusto metterci anche il resto. La discussione che vorrei seguisse, mi piacerebbe incentrata su quanto sia frequente, quasi inevitabile, oggi (e difficile) questa integrazione fra l'aspetto antropico, umano, e la natura, oppure sulla necessità di consapevolezza per poter conservare, e perchè no, anzi apprezzerei interventi anche sul ruolo che può avere il nostro (mio, vostro, non troppo in astratto) essere fotografi nel divulgare, nell'educare, nel rendere consapevoli gli altri, andando oltre al "soggetto" quando si pena sia il caso di farlo. Evitiamo se possibile, i luoghi comuni.
  3. A questi luoghi sono affezionato per mille motivi, alcuni sono personali, altri riguardano la bellezza dei luoghi stessi... Siamo dalle parti di Populonia e poi ci abbondano le bestiole che mi piacciono (anche) come soggetti fotografici. Piccoli tesori nascosti che sfuggono ai più, a quelli che passano e non sanno guardare. Ecco uno degli animali che mi stanno più simpatici in assoluto. Lo vedete? Dov'è? Foto col 12-28 Z su Zfc. Aspettate un attimo che vado un po' vicino. -2 Eccolo lì: il Geco, un "preistorico" in miniatura. .Foto con il 24-200 a 200mm con Zfc e tubo corto. Come per tutte le altre foto ai Gechi. Mi pare che in qualche regione italiana li chiamino anche tarantole , come i ragni. Da bambino, in vacanza nell'entroterra ligure, la sera mi fermavo a guardare affascinato i Gechi che dal tetto scendevano lungo il muro a dare la caccia alle falene e gli altri insetti attratti dalla luce della lampada che c'era sopra il portone della casa di campagna che ci ospitava. Da allora ne sono affascinato. E' un soggetto che grazie alla sua pelle granulare ed al pattern di colore "sta bene" sui vecchi muri coi quali si confonde e sui quali si arrampica meglio delle lucertole. Una tomba etrusca con turista molto "British". I Gechi abbondano E' un animale molto timido, se si accorge di essere osservato... si nasconde subito. Allora si deve aspettare immobili e prima o poi (più poi che prima) lui tirerà fuori di nuovo la testolina per esplorare la situazione e vedere se può uscire in sicurezza. I Gechi sono spesso notturni, perchè temono la concorrenza delle lucertole che sono più veloci e gli soffiano le prede. Dove la competizione è minore, ossia dove ci sono meno lucertole, li si può vedere in giro anche di giorno. A un metro dal geco... più spavalda, la Lucertola. Che cosa ci trovi in queste bestiole? A parte che i Gechi sono e restano -per me- molto fotogenici (hanno anche un simpatico sorriso). Il sorriso del Geco. A parte il non aver mai perso lo stupore meravigliato del bambino che scopriva le piccole cose della natura, mi si è aggiunto uno stupore ed una meraviglia ancora più grandi, quando per ragioni professionali ho scoperto che animali eccezionali sono. Perchè si ama di più quanto più si conosce. NOTA segue una parte naturalistica divulgativa, con foto di repertorio non mie, leggere se interessa. Il Geco è studiato persino nei laboratori di alta ingegneria per le sue capacità. Può facilmente arrampicarsi sui vetri completamente lisci, camminare a testa in giù sui soffitti, perchè ha inventato (evoluto!) un metodo di adesione speciale e fortissimo. Su superfici irregolari può usare gli artigli come una lucertola, ma su superfici troppo lisce dove una lucertola non potrebbe mai arrampicare lui usa una adesione "molecolare". Un geco sul vetro, visto da sotto Non ha ventose, come si potrebbe pensare, invece le squame sotto i polpastrelli si possono aprire a comando come tende veneziane scoprendo migliaia di filamenti ramificati che appoggiati al supporto creano una superficie di contatto ininterrotta di milioni di punti Foto al microscopio elettronico dei filamenti sotto alle squame dei polpastrelli del Geco. così il Geco riesce a creare una attrazione su un'area enorme fra le molecole delle dita e quelle della superficie (un po' come due fogli di carta che non vogliono saperne di separarsi, ma con molta più forza). Per spostarsi basta "chiudere le veneziane" cioè le squame e la zampa si stacca. Spiegazione grossolana ma penso di aver osato già troppo. Capite che per me è impossibile non appassionarmi! vlc-record-2023-06-14-11h07m26s-1 gekko.mp4-.mp4
  4. Essere appassionato di arti marziali tradizionali per me significa non solo praticarle, ma anche approfondire la parte culturale e storica. Quando si parla di arti marziali (tradizionali, no MMA ed altri sport da combattimento) si pensa all’Oriente, alla Cina con i suoi mille stili di Kung-fu, al Giappone con il Karate, il Jujutsu l’Aikido ecc.), all’Indonesia e così via. Particolare di affresco che rappresenta monaci combattenti, parete del Monastero di Shaolin Donna cinese praticante di Kung Fu, anni trenta circa. Ma… sarebbe ben strano che l’Europa non avesse avuto arti marziali tradizionali, con tutte le guerre le sommosse, i duelli, le congiure… Infatti le ha, o meglio le aveva. La differenza con l'Oriente penso che sia perchè da noi in Europa l’avvento precoce delle armi da fuoco ed altre questioni socio politiche le hanno fatte dimenticare in gran parte o sono state trasformate radicalmente in discipline sportive come la scherma, la lotta e il pugilato, così sembrerebbe sia rimasta solo qualche rievocazione storica dall’accuratezza a volte buona, a volte discutibile. Invece no, da molti anni in Europa c’è un rinnovato e profondo interesse nel recupero di queste tradizioni marziali e ci sono molte associazioni, anche da noi in Italia, che si dedicano alla pratica della “scherma storica” e ricercano attivamente documenti e testimonianze di queste antiche discipline. Dal sito della HEMA (Historical European Martial Arts) che ha numerose scuole in Italia. Anni fa incontravo sul treno che mi porta a casa dal lavoro un maestro di “scherma” medievale con cui ho fatto lunghe chiacchierate ed ho conosciuto in varie occasioni altri appassionati praticanti (un paio sono stati miei studenti all’Università) che mi hanno incuriosito, così mi sono interessato, ma solo a livello di storia e cultura. La difficoltà principale nello studio della scherma storica, mi si raccontava, sta nel fatto che essendosi interrotta o quasi la tradizione, rimangono quasi solo dei documenti, che sono molto rari. Da un antico codice medievale Uno dei più interessanti e completi è il Flos Duellatorum “Il florilegio dei duellatori” un manuale tecnico scritto all’inizio del 1400 da Fiore de’ Liberi da Premariacco, un maestro d’armi friulano (Premariacco è vicino a Cividale del Friuli) di grande fama, il primo maestro di scherma italiana di cui sia rimasta traccia scritta (si sa di altri grandi maestri italiani prima di lui, ma di loro non si hanno documenti). Fiore insegnò presso diverse Signorie, e numerosi suoi allievi si distinsero come validi combattenti. Per desiderio del marchese d’Este Fiore stese un trattato, il Flos Duellatorum appunto, dove riassumeva le sue conoscenze sul combattimento corpo a corpo con e senza armi. Il suo trattato ebbe un enorme successo ai tempi e esercitò una grandissima influenza sullo sviluppo della scherma italiana. Purtroppo con i secoli andò quasi perduto, oggi ne esistono solo tre copie (due originali ed una copia se non erro anastatica), non complete. La dedizione e la buona volontà di alcuni appassionati membri di associazioni di scherma storica hanno però reso disponibili delle copie anche in pdf, che sono a disposizione di tutti. Inutile dire che me ne sono scaricata una , corredata da un interessante introduzione ad opera del curatore che ha anche inserito chiare spiegazioni. E’ una specie di manuale, un quaderno tecnico potremmo dire in cui Fiore de’ Liberi illustra con disegni e didascalie vagamente poetiche (in uno strano mix di latino e volgare/veneto) i suoi metodi di combattimento. Le figure sono statiche, ossia “congelano” uno, raramente due momenti dell’applicazione di ogni tecnica, in cui chi applica (il “magister”) ha una coroncina in testa, chi subisce no. Questa staticità rende spesso difficile l’interpretazione, ma non del tutto impossibile. Le tecniche poi sono “avanzate”, ossia il manuale non è rivolto a principianti a cui si devono insegnare le basi, ma è una sintesi di tecniche di alto livello, rivolte ad uomini che hanno già un buon bagaglio di pratica e di esperienza e vogliono perfezionarsi, perché allora non era un gioco né uno sport. Va da sè quindi che pensare di imparare dal Flos duellatorum, senza un background di scherma e lotta è ridicolo, come fa notare il curatore. Quello che si può fare, da parte di gente già preparata, sperimentare delle possibili applicazioni e vedere se funzionano. (c) Christian Heusch, applicazione di una tecnica di scherma storica di scuola tedesca. Questo è un altro mandarte in terra e ligadura E contra tal presa non è la persona ben segura Che impressione mi ha fatto? Come chiunque l’abbia letto o studiato, sono ammirato. Si capisce che si è di fronte ad un maestro che ha una conoscenza completa, eclettica. Il termine Scherma come lo intendiamo oggi è riduttivo, perché c’è dentro di tutto. Il combattimento a mani nude che è all’inizio, è basato suprattutto su leve, strangolamenti, proiezioni e meno su percosse (un’eredità delle discipline di lotta), poi si passa a mani nude contro daga, daga contro spada, spada contro spada (quanti modi inaspettati ci sono di usare una spada!), tecniche di disarmo, uso del bastone, combattimento a cavallo o a piedi contro un cavaliere e così via. Votato all’efficacia estrema, ci sono tantissime tecniche “sporche”: è un manuale “militare”, non si tratta di combattimento d’onore “cortese”. Cum lo mio bracio stanco lo drito t'ò ligado Et de molte feride sarai apresentado Lo vecio che in terra tu sei subito per andar De questo tente certo, mo non de levar. Curiosamente ma non troppo, perchè tutti gli uomini hanno due braccia e due gambe, ci ho ritrovato molte tecniche a mani nude presenti nelle arti orientali, soprattutto jujutsu. Addirittura, grazie a Fiore de’ Liberi ho capito il senso di alcune figure delle forme di spada del Tai Chi Chuan il cui significato è spiegato in modo fumoso dal 99% dei maestri di Tai Chi. Fantastico. La pratica di queste arti marziali occidentali per me ha una ragion d’essere non solo come disciplina del corpo ma anche come conservazione di un patrimonio storico culturale, al pari delle opere d’arte. La non grande diffusione da noi, oltre che alla scarsa conoscenza della loro esistenza (ma questo sta rapidamente cambiando) penso sia dovuta al fatto che per praticarle occorrono attrezzature costose (servono armi adeguate e protezioni adeguate) ed il loro studio richiede profonda dedizione, Sempre da un sito HEMA. L'attrezzatura per gli allenamenti è ricca e costosa e per chi vuole praticare in armatura ancora di più! Inoltre la “chimera” della difesa personale si applica di meno (anche se a ben vedere le tecniche a mani nude illustrate da Fiore non hanno nulla da invidiare a quel che si fa oggi, anzi…).
  5. Il blog sull'area 51 mi ha fatto venire voglia di parlarvi di un altro mistero più vicino ai miei interessi, cioè gli animali. La Criptozoologia (ricerca degli animali rari, misteriosi, mitici) è una scienza -mi si perdoni- un po' borderline, a volte non ha nulla di serio (vedi lo yeti o il bigfoot) altre invece ha risvolti veramente interessanti, per questo la seguo a tempo perso. Tanti di voi avranno sentito parlare della Bestia del Gevaudan, un (o più?) animale misterioso che fra il 1764 ed il 1767 fece 113 vittime e quasi cinquanta feriti fra i contadini della regione del Gevaudan, nella Francia del Centro Sud, sfuggendo alle battute di caccia, ai soldati del Re e terrorizzando tutta la regione. In un primo tempo fu ucciso un enorme lupo e sembrò che la strage fosse finita, invece le aggressioni ripresero finché una seconda “belva” venne finalmente uccisa a fucilate da un certo Jean Chastel. La storia divenne mito, e si moltiplicarono le interpretazioni su cosa potesse essere la Bestia, di cui non rimane nulla, perché il cadavere fu imbalsamato male e andò in putrefazione così che fu gettato via. Ricostruzione d'epoca della Bestia del Gevaudan Sulla Bestia del Gevaudan sono stati scritti libri, fumetti e sono stati girati anche dei film, il più famoso è forse “Il patto dei Lupi”, un pessimo film, assurdo e noioso, i cui meriti stanno solo nella presenza di Monica Bellucci per il lato estetico e di Marc Dacascos per quello marziale ). Monica Bellucci, in una scena del film, non c'entrava niente con la storia ma aveva il suo perchè. Fumetto ispirato Ma se tanti sanno della Bestia Del Gevaudan, forse meno sanno che più o meno nello stesso periodo, nel 1792, molto più vicino a noi, ossia nell’allora Ducato di Milano, al confine tra le province di Milano e Novara, per un anno imperversò una belva simile, che fece molte vittime. Come per la Bestia del Gevaudan, le vittime erano soprattutto bambini e bambine che accudivano il bestiame o che andavano per i campi. Un'illustrazione di un libro sulla "MalaBestia" di Cusago. La prima vittima fu un pastorello di Cusago, da cui il nome della Bestia, che venne sbranato, poi si ebbero decine di vittime maschi e femmine fra Limbiate, Corbetta, Senago, Arluno e così via fino alle porte di Milano (Trenno e Lampugnano). Il terrore si diffuse e nacquero leggende sull’invulnerabilità o l’origine satanica della bestia. Di lei se ne occupò persino Cesare Beccaria. La bestia finì, apparentemente, uccisa alla fine di Settembre del 1792, dopo essere caduta in una trappola, fosse lei o no, sta di fatto che da quel momento non vi furono più aggressioni. La Bestia di Cusago che mangia un bambino come il Biscione dei Visconti. In fondo eravamo a Milano. Al netto della minor durata della vicenda e del minor numero di vittime, la storia della Bestia del Gevaudan e di quella di Cusago hanno molti punti in comune: In entrambi i casi le vittime erano bambini o adolescenti, Nel caso della bestia del Gevaudan fu attaccata anche qualche giovane donna. In entrambi i casi la belva assaliva le vittime, ma non provava mai ad attaccare il bestiame che questi curavano, anzi, nel caso della Bestia del Gevaudan, più volte i superstiti ebbero salva la vita grazie alla reazione delle mucche che avrebbero caricato mettendo in fuga l’animale. Una caratteristica, non confermata, è che la Bestia del Gevaudan decapitasse le sue vittime con un morso, cosa per la quale ci vuole una potenza enorme. Altre volte le vittime si salvarono perché si difesero in gruppo o arrivarono degli adulti armati a far fuggire l’animale. Statua che ricorda come una giovane riuscisse a salvarsi dalla Bestia del Gevaudan ferendola con una picca. La Bestia è ormai un'attrattiva turistica per la regione. Ma che cos’erano queste “Bestie”? Tralasciando le ipotesi più assurde (lupi mannari, alieni, creature diaboliche, maniaci travestiti) le descrizioni lasciano qualche perplessità: l’animale in entrambi i casi viene descritto simile ad un lupo, ma più grosso, di colore fulvo, con la testa più grande e la coda più lunga di quella di un lupo; nel caso della Bestia del Gevaudan viene descritta anche una riga nera sul dorso e si riporta che la coda era arrotolata all’estremità. Ma se furono uccise si dovrebbe sapere cos’erano, no? La "Bestia" uccisa a Cusago fu esaminata, imbalsamata e per un certo periodo esposta a Pavia. Si trattava indubbiamente di una grossa femmina di Lupo, in cattive condizioni di salute. Nel caso della Bestia del Gevaudan, fu fatta un’autopsia e il peso sui 60-65kg, e le misure prese risultano coerenti con l’anatomia di un grosso canide, un animale più grosso dei lupi tipici della regione meridionale europea, ma compatibile con i grossi lupi del nord Europa. La Bestia del Gevaudan esposta a Parigi per poco tempo, prima che marcisse. Unica nota stonata, alcuni dei sopravvissuti alle aggressioni in entrambi i casi (Gevaudan e Novarese) sostennero che l’animale ucciso non era proprio uguale a quello che li aveva assaliti. Da lì si scatenarono le fantasie, leoni, leopardi, licantropi, e di nuovo si ha una nota comune fa il Gevaudan e … Cusago: in entrambi i casi è stata chiamata in causa la iena. In Francia molti ricchi avevano serragli con animali feroci, fra cui le iene, e a Milano poco prima che iniziassero le uccisioni un certo Bartolomeo Cappellini girava per le piazze esponendo due iene in gabbia, ma quando successivamente si esibì a Cremona ne aveva solo una, interrogato diede spiegazioni contraddittorie e poi fuggì facendo perdere le sue tracce. Una iena striata. Dei due casi (e di altri simili) si occuparono anche degli zoologi esperti, fra cui il prof. Cagnolaro, grande conoscitore di Mammiferi, che ebbi l’onore di conoscere (quindi non fu nel’700 😉) quando era Direttore del Museo di Storia Naturale di Milano. Lui e i suoi colleghi cercarono di dare un quadro coerente al fenomeno, anche perché le ricerche misero in evidenza che storie simili si erano avute anche in altri luoghi. Normalmente i lupi evitano di aggredire l’uomo ma, secondo Cagnolaro e colleghi, un accumulo di fattori tutti presenti a fine ‘700, cioè inverni rigidi ed espansione dei pascoli che portarono alla diminuzione di prede selvatiche come cervi, con conseguente disgregazione dei branchi di lupi così che si ebbero individui solitari che vagavano affamati, con presenza di bambini che lavoravano nei campi, avrebbero potuto in alcuni casi portare ad aggressioni. I bambini sono una preda facile e facilmente trasportabile, per cui una volta avuto successo, l'antropofagia sarebbe diventata un’abitudine. ù Le "Bestie" erano dei grossi Lupi solitari affamati? Quindi per la scienza ufficiale le “Bestie” sarebbero state dei lupi diventati antropofagi per necessità e poi per abitudine. Cosa che in effetti in passato è stata documentata più volte e sarebbe alla base dei “lupi cattivi che mangiano i bambini” delle favole. Per la “Bestia di Cusago” almeno, potrebbe essere stato così. Nel Gevaudan potrebbero esserci state più bestie, alcune lupi altre forse no. Chiudo infatti la storia con una tinta di … Giallo: L’uccisore della “seconda”, e definitiva, Bestia del Gevaudan, Jean Chastel era una persona equivoca, e si sa che allevava grossi cani feroci, per motivi non chiari. Ci furono insinuazioni che fosse riuscito ad uccidere la bestia con un fucile a pallettoni, perché era uno dei suoi cani, che lo riconobbe e si lasciò avvicinare. La ricostruzione della "seconda", e definitiva, Bestia del Gevaudan, realizzata dal giornalista Jean-Claude Bourret (che nel 2010 ha scritto un libro sull'argomento) seguendo fedelmente le misure prese durante l'autopsia. Secondo Bourret La Bestia del Gevaudan avrebbe potuto essere un ibrido fra un lupo ed un mastino od un altro cane da combattimento. Bourret e la sua "Bestia". Un grosso ibrido cane-lupo spiegherebbe meglio di ogni altra ipotesi le differenze tra la (seconda) Bestia del Gevaudan e i Lupi, ma non lo sapremo mai. NOTA: Sulla Bestia del Gevaudan ci sono infinite risorse in rete se siete interessati ad approfondire, su quella di Cusago un po' meno, ma ce ne sono comunque. Immagini prese da internet a scopo puramente illustrativo.
  6. Sei una iena è usato come insulto, Le iene poverine hanno una cattiva fama, divoratrici di cadaveri (succede), sinonimo di malvagità e perfidia, di follia, anche per via dell'ululato che sembra una malvagia risata Il titolo italiano del film "The body snatcher" la dice lunga. Noioso horror inglese d'epoca con Boris Karloff... Ma cosa sappiamo veramente delle iene ? Vi parlo della specie più famosa e più grande, la Iena Macchiata. Harley Quinn ha per animale da compagnia una iena macchiata Le iene sono più vicine ai gatti che ai cani. Anche se il muso allungato può far pensare diversamente, le iene è parente più stretto dei felini che dei canidi. Quando comparvero i moderni mammiferi carnivori, si divisero in due stirpi diverse, una diede origine a Canidi, orsi procioni e Mustelidi (faine ecc.)., l'altra ai Felidi, alle iene, alle manguste e loro simili. Le iene ti spiezzano in due., la stirpe che diede origine a iene e felidi creò in due gruppi animali dalle specializzazioni opposte: Il felini hanno canini per uccidere, incisivi per grattare la carne dalle ossa delle prede e per l'igiene personale e pochi molari molto affilati (per tagliare la carne a bocconi) ma non molto robusti. Le iene al contrario hanno dei molari enormi ed un morso così potente che possono spezzare le ossa degli animali per mangiarne il midollo, ma non solo, possono tranciare a pezzi la preda e portarsi via quello che non riescono a mangiare subito. Se confrontiamo i molari di un lupo (a sinistra) con quelli di una iena, a destra, c'è da spaventarsi. Iene-cani 0 a 1. Strano ma vero le iene più antiche erano molto diverse da quelle di oggi, erano agili e con le zampe lunghe, più piccole e vivevano cacciando come i lupi ed i licaoni, ma quando comparvero i canidi moderni, le iene snelle cacciatrici scomparvero, forse per qualche ignota superiorità dei canidi, così rimasero solo le forme robuste, simili alle iene di oggi. Iene e leoni, eterna guerra. Il Re Leone ha una parte di verità. Le iene non sono solo spazzini, cioè non mangiano solo cadaveri, sono anche cacciatrici. Cacciano in branco e sono in concorrenza con i leoni. A volte le iene uccidono una preda e i leoni gliela rubano approfittando della forza del branco, a volte è il contrario, E... guai al leone che si trovi da solo a fronteggiare un branco di iene! Le femministe non saranno iene, ma le iene sono sicuramente femministe. Questa sotto è una femmina di iena macchiata. Non vi sembra che abbia qualcosa di troppo? Quello che vedete è un clitoride talmente sviluppato da imitare un pene. Le femmine di iena macchiata sono più grosse dei maschi e la gerarchia del branco è matriarcale. Il maschio alfa è sottomesso non solo alla femmina alfa, ma anche all'ultima delle femmine della gerarchia. Il dominio matriarcale è assicurato non solo dalle dimensioni e dal carattere non proprio dolce, ma anche da una stretta collaborazione fra le femmine che assicura lo status quo. Basta pensare che maggior parte dei Mammiferi l'erezione del maschio è segno di dominanza, nella iena macchiata invece quando un maschio è intimorito da una femmina, ha un'erezione, come per dire "vedi? sono solo un povero maschio, non farmi del male". La società delle iene è una società di vere amazzoni. PS Con dei genitali femminili così strani, l'accoppiamento ed il parto sono molto complicati... Le Iene sono amiche dei Paleontologi! Altro motivo per cui mi stanno simpatiche. L'abitudine di abitare in grotte e l'abitudine di "portare a casa la merenda" ha fatto sì che le grotte abitate dalle iene preistoriche siano diventate depositi di ossa fossili in cui si trovano conservati tantissimi resti di animali (e anche dei nostri antenati, a cui le iene amavano asportare il cranio per poi aprirlo coi denti e leccare via il cervello). Nella preistoria ci fu anche una iena gigante, simile alla iena macchiata di oggi, ma grande come un leone. Fu uno dei predatori più temibili della sua epoca (pensate ad un branco di iene, ma grandi come leoni...). Le iene vissero un po' dappertutto, solo in America non ebbero molto successo perchè là ci furono i cosiddetti "cani spaccaossa" che in pratica le sostituivano. Iena gigante a confronto con la Iena macchiata di oggi (profilo nero) . E' tutto, un saluto da "Jena" Plissken! Foto da internet, copyright degli aventi diritto.
  7. Woody Allen diceva che negli USA avevano risolto il problema della riciclo della spazzatura facendone sceneggiature per la TV. Non è che dalle nostre parti vada molto meglio, però segnalo una lodevole eccezione: su Rai Tre c'è "la fabbrica del mondo" con Marco Paolini, intrattenitore, e Telmo Pievani, penso il migliore filosofo della scienza che abbiamo oggi. La puntata del 22 gennaio dovrebbe per legge essere mostrata a scuola nelle ore di scienze (se vi incuriosisce è su Rai Play). La puntata del 22 gennaio di questo programma parla di genetica e tra tante cose interessanti riprende anche il concetto ormai abbastanza famoso di Eva Nera o Eva Mitocondriale. Per chi non ne avesse sentito parlare, i progressi della genetica negli ultimi decenni sono stati più che sensazionali, non solo hanno permesso di mappare l'intero DNA umano, ma anche di confrontare il DNA di popolazioni diversissime in tutto il mondo per analizzare le origini dei vari popoli e (e tante altre cose). Questo ha permesso di ricostruire la nostra, per così dire, genealogia fino a tempi antichissimi. Il DNA si trova in due parti della cellula, nel nucleo dove metà si eredita dalla madre e metà dal padre, e nei mitocondri che sono dei piccoli organelli (diminutivo di organi) nel "corpo" della cellula. Quest'ultimo si eredita solo dalla cellula uovo della madre perchè l'unica traccia (più o meno) che lo spermatozoo lascia di sè è il DNA del nucleo. Studiando e confrontantdo il DNA dei mitocondri si riesce a risalire alla genealogia materna sempre più indietro nel tempo e qui già un po' anni fa è arrivata una sorpresa: Tutti gli uomini e le donne oggi viventi sul pianeta discenderebbero da un'unica donna vissuta tra i 150.000 e i 200.000 anni fa (secolo più secolo meno). Per far colpo sui media qualcuno ha avuto l'infelice idea di chiamarla Eva, generando non poca confusione e fraintendimenti con l'Eva biblica. Eva mitocondriale perchè scoperta tramite il DNA dei mitocondri, Eva Nera perchè è situabile in Africa ed a quel tempo l'Homo sapiens aveva la pelle nera, come ho già scritto in altro blog. No, non è il porno-soft di Joe D'Amato (er nostro Aristide Massacesi) Analizzando invece il cromosoma Y del Nucleo presente solo nei maschi, e che quindi si eredita solo dal padre (le donne sono XX) si è fatta un'altra scoperta: tutti gli uomini oggi viventi discenderebbero da un unico uomo vissuto circa 70-75.000 anni fa anche lui in Africa. Sempre infelicemente qualcuno ha pensato di chiamarlo Adamo (Adamo cromosomiale, per l'esattezza). Di solito le spiegazioni s fermano qui (anche quella del programma che ho citato), peccato perche senza il pezzettino che segue si può fare un bel po' di confusione per cui cerco di chiarire: L' Eva mitocondriale era l'unica donna? No! c'era una popolazione umana con maschi e femmine che si riproducevano e generavano discendenti ma, per ragioni diverse, solo i discendenti della nostra Eva sono arrivati fino ad oggi, Gli altri si sono persi per strada nel buio della preistoria. Lo stesso vale per il nostro Adamo, 70-75.000 anni fa c'erano tanti altri maschi di Homo sapiens che facevano figli, ma per qualche motivo, solo i figli (dei figli dei figli...) del nostro Adamo sono arrivati ad oggi, gli altri... come sopra. No, non è andata così, ovviamente questi Adamo ed Eva non si sono mai incontrati! Ma perchè? Questo è veramente difficile, forse impossibile da sapere. Possono essere state più cause in tempi diversi. Non sappiamo quali vantaggi rispetto agli altri avessero i figli di Eva (e di Adamo) , che hanno permesso loro di sopravvivere, non sappiamo nemmeno se avevano realmente dei vantaggi od invece è stato il caso. Durante la sua storia una specie può andare incontro ad una o più crisi che ne riduce drasticamente il numero, allora si parla di "collo di bottiglia" o addirittura si arriva all'estinzione. Tutti i Ghepardi oggi viventi discendono da non più di una quindicina di individui a causa di una crisi che li ha quasi portati all'estinzione, in tempi preistorici, la sèecie è passata per un collo di bottiglia. Potrebbe essere successo qualcosa del genere anche ai nostri antenati? Forse.
  8. A lezione, se l'argomento si presta, cerco sempre di alleggerire le ore inserendo divagazioni sul tema, in modo da far respirare un po' gli studenti, facendoli comunque riflettere. Come potete immaginare, i Dinosauri sono l'argomento top (finchè non si accorgono che non sono così facili da studiare ) e una chiacchierata sulle ricostruzioni al cinema e nei "documentari" (le virgolette sono d'obbligo, vedremo perchè) è sempre gradita. Sperando di far cosa gradita anche a voi, ecco una versione di queste chiacchierate. Cominciamo dal Cinema: Prima di Jurassic Park le ricostruzioni dei dinosauri erano approssimative, addirittura a volte, nei primissimi film, usavano Iguane ed altre lucertole sovrapponendole a filmati con gli attori. Una povera iguana proiettata su un fondale. Poi sono arrivate ricostruzioni davvero adorabili (specie quelle di Ray Harryhausen, se sono paleontologo è anche un po' colpa sua!) piacevano a tutti e non interessava quasi a nessuno se erano veritiere o meno, già la stop motion portava tutto nel regno della fantasia. Uno dei Dinosauri di Harryhausen, anni '60. Comunque nessuno si faceva domande, erano mostri e basta. E' stato con Jurassic Park, la sua CGA curata, gli animatronic realistici e la sceneggiatura (del primo) basata sul bel libro di Crichton con la consulenza di veri paleontologi, che la gente, sentite anche le ultime allora rivoluzionarie scoperte, ha cominciato a voler capire, sapere se credere che i Dinosauri fossero proprio così. Ma erano proprio così? Vediamo alcuni dei temi più famosi di Jurassic Park Stai fermo che il Tirannosauro non ti vede. Questo è un trucco usato da Crichton per uscire da una situazione in cui i personaggi erano bloccati senza via di scampo. L'autore nel libro astutamente racconta che il DNA dei dinosauri è stato completato da DNA di rospo (e gli Anfibi realmente sono molto sensibili al movimento e poco ai soggetti statici). Ma il Tirannosauro era più simile ad un uccello, tutto sommato, e gli uccelli ti vedono anche se stai fermo. Moltissimi studenti me l'hanno chiesto. A proposito non si possono tirar fuori dei Dinosauri da infimi frammenti di DNA vecchio di 100 milioni di anni (qualcuno ha cercato di tirar fuori Dinosauri dal DNA di uccelli attuali, ma è un'altra storia). Il Tirannosauro corre come un cavallo. Questa era l'idea di un certo Greg Paul paleontologo-artista sui cui disegni è basata la ricostruzione, bellissima, del Tirannosauro di Jurassic Park. Il Tirannosauro di Greg Paul, in corsa. Paul nel suo libro sui "Dinosauri predatori" afferma che per il Tirannosauro era possible pensare ad una velocità di punta sui 60-70 chilometri all'ora (come un cavallo da corsa). E così si ha l'inseguimento mozzafiato fra il nostro Tirannosauro e la Jeep. Bella scena comunque. Paul era (anzi è, mi risulta tuttora vivo e attivo) un grande entusiasta, ma fermiamoci un attimo a riflettere. Un grosso Tirannosauro da vivo pesava oltre cinque tonnellate, fino ad otto. Più di un grosso elefante africano maschio. Vi immaginate l'inerzia di cinque-otto tonnellate a 60 chilometri all'ora? Gli animali non sono automobili, non hanno freni al carbonio nè ruote sterzanti. Come fermarsi? come cambiare rapidamente direzione? Le ossa sono di... osso, quando si corre l'impatto sul terreno è pari a due-tre volte il proprio peso, quindi le ossa del Tirannosauro avrebbero dovuto reggere impatti da quindici a oltre venti tonnellate! C'è una formula per calcolare i carichi che un osso può sostenere senza spezzarsi e, garantito, le ossa del Tirannosauro erano troppo sottili (anche se a noi sembrano grosse). Per reggere carichi simili avrebbero dovuto essere talmente spesse da non consentire al povero animale di muoversi. E se inciampava durante la corsa? La testa avrebbe sbattuto per terra da un'altezza di tre metri o giù di lì (le braccine non potevano essere di alcun aiuto) risultato: Il cervello diventava un budino molle e addio Tirannosauro. Ricordiamoci che l'elefante non è in grado di correre (anche se più veloce di noi, la sua è una camminata). Le stime più plausibili, pur sempre stime, danno una velocità massima di 20 km all'ora per il nostro T rex. In fondo a lui bastava essere veloce quanto, o poco più, delle sue prede... Un tirannosauro giovane o altri dinosauri carnivori più piccoli potevano invece essere piuttosto veloci. Il Velociraptor! L'altra star di Jurassic Park. Non era squamoso, non poteva sorridere, probabilmente non era così astuto, ma non è troppo sbagliato. E' stato reso abbastanza realistico nelle performances atletiche. Le sequenze di agguato e assalti sono belle (=verosimili per quel che ne sappiamo). Anche l'idea che Velociraptor fosse gregario, se non sociale, ha qualche fondamento. Molto sopravvalutata la sua intelligenza e perfidia (ma doveva fare il cattivo della storia). Resta il fatto che il vero Velociraptor era alto meno di mezzo metro, se lo trovavi da solo potevi cacciarlo a calci (se era in gruppo poteva essere una rogna invece). Per il film è stato ingigantito. Però a volte la fantasia precede la realtà: qualche anno dopo il primo Jurassic Park sono state scoperte delle forme di "raptor" grandi proprio come quelle del film! Utahraptor, scoperto dopo l'uscita del primo Jurassic Park, era proprio grande così. C'è anche da dire che si saputo poi che erano piumati, ma li hanno lasciati squamosi per tutta la serie perchè più cool. Sono d'accordo, dei "tacchinoni" non sarebbero piaciuti a nessuno. Chi vuol vedere un film con dinosauri piumati? Io no! L'animazione più credibile di tutta la serie di Jurassic Park? I Dinosauri Struzzo, la loro corsa (modellata sugli struzzi di oggi) è molto realistica perchè il loro scheletro era molto simile a quello degli struzzi, braccia a parte. La peggiore fesseria della serie di Jurassic Park? Tralasciamo l'ultimo film della serie, un'opera indegna che mi rifiuto di commentare, lì le fesserie sono la parte principale. Con questa esclusione, la fesseria peggiore a mio avviso è in Jurassic Park 3 ed è il duello fra il Tirannosauro e lo Spinosauro. Gli sceneggiatori, o chi per loro, volevano creare una nuova star al posto del beniamino Tirannosauro, così hanno scelto lo Spinosauro di recente (all'epoca) riscoperta e gli hanno fatto fare un incontro di wrestling con il Tirannosauro, che uccide rompendogli il collo con una mossa di jujitsu (si fa per dire). I Dinosauri, lo spiegherò altrove, non avevano l'agilità dei mammiferi per sostenere duelli prolungati, ma soprattutto: Il duello sarebbe finito al primo morso del Tirannosauro, la cui forza di carico è stata stimata di 6 tonnellate. Qualunque cosa avesse morso, l'avrebbe tranciata senza problemi . Esistono scheletri di Dinosauri erbivori con tracce (e addirittura denti) di morso di Tirannosauro che indicano che aveva strappato carne ed ossa insieme. Se vogliamo insistere, anche il collo del Tirannosauro era robustissimo, difficile da rompere e lo Spinosauro (come gli altri Dinosauri) non aveva la mobilità delle braccia per eseguire tecniche di wrestling. Ma qui si entra nello specialistico. Dobbiamo prendercela per questo? No! Siamo al cinema per divertirci non per studiare, e Jurassic Park è un opera di fantasia come King Kong. Va operata quella che si chiama sospensione di credibilità, come non discuto la incredibilità le imprese dell'Uomo Ragno, così non mi preoccupo del Super T. rex. Quello che voglio da quei film è una storia divertente, interessante ed una sceneggiatura intelligente. Purtroppo ogni sequel del primo Jurassic Park è stato peggio dell'altro, fino all'abisso di insensatezza dell'ultimo, che non sfiora il ridicolo, ma l'irritante. E i documentari sui Dinosauri? Lì il discorso si fa diverso, perchè hanno pretese di informazione. Però si fa lunga, se volete ve ne racconto un'altra volta, vi va?
  9. Con questo blog mi piacerebbe iniziare una serie di interventi, molto rarefatti, uno ogni tanto, ma tantissimo, per raccontare qualche storiella con animali protagonisti, con una morale, come le favole di Esopo. Solo che non racconterò favole, ma storie vere, verissime. L'anno dopo la mia nascita, cioè nel 1959, uno scienziato russo ebbe l'idea di provare a creare delle volpi domestiche. Attenzione non di addomesticare delle volpi, ma di selezionare una "razza" di volpi non timorosa dell'uomo, fiduciosa e non aggressiva. Un po' come successe nella preistoria col Lupo e il Cane. Ma la Volpe non è un animale sociale come il Lupo, perciò non adatta all'addomesticamento. L'idea dello scienziato era indagare se con una selezione genetica forte si sarebbe potuto ottenere varietà domestiche anche da animali "inadatti". Per comodità scelse di lavorare sulla Volpe Argentata, che non è una specie a sè, ma è una Volpe Rossa dal mantello particolarmente scuro, una mutazione che interessa circa il 10% delle Volpi Rosse, un po' come il Leopardo o il Giaguaro e la Pantera/Giaguaro Neri. Le Volpi Argentate in Russia (ma anche altrove) vengono allevate e reincrociate per fissare il carattere del pelo scuro, per poi farle riprodurre, crescere in gabbia e alla fine massacrarle per farne pellicce pregiate (qualche voce malevola, non confermata, ha sostenuto infatti che uno scopo collaterale sarebbe stato quello di facilitare gli allevatori, creando volpi più trattabili). Essendo allevate era più facile reperire gli esemplari rispetto ad andare a catturarne di liberi. Così lo scienziato iniziò a girare per gli allevamenti e scegliere quei cuccioli che sembravano meno aggressivi e meno timorosi dell'uomo. Li allevò, li fece riprodurre incrociandoli fra loro, selezionando ad ogni generazione quelli sempre più docili. Ci vollero 50 generazioni, un po' più di quarant'anni e finalmente fu ottenuta la volpe domestica, docile ed affettuosa, scodinzolante proprio come un cane, solo che... ecco... non sembrava più molto una volpe, argentata o meno. Cos'è successo? Fino agli anni '70 c'era la convinzione che ogni gene corrispondesse ad una porzione specifica di DNA e selezionasse un dato carattere, quindi si pensava a selezionare un gene per la docilità. Da qualche decennio sappiamo che non è per niente così. Le cose sono enormemente più complesse e ogni mutazione può avere effetti diversi, a volte nessuno, altre piccoli, altre ancora imponenti effetti a cascata. La docilità e la riduzione in generale dell'aggressività dipendono anche da dosaggi di diversi ormoni, alcuni diminuiscono, quelli che regolano le risposte aggressive, altri aumentano, ma non la faccio lunga, il succo è che le mutazioni possono avere effetti a cascata su tutto l'individuo. Quando si cerca di modificare il carattere di un animale ad esempio verso la docilità e la socievolezza, si selezionano flussi ormonali diversi che portano a modifiche sia del carattere che fisiche: si fissano tratti infantili (ad esempio il cane ha la fronte sporgente, mentre il lupo e la volpe hanno la fronte spiovente) e curiosamente, anche la pezzatura del mantello e le orecchie pendenti, entrambi caratteri assenti nelle specie selvatiche, probabilmente perchè svantaggiosi in natura. Morale: se da una parte è dimostrato che la domesticazione di una specie selvatica anche potenzialmente inadatta si può ottenere tramite selezione genetica, quello che si è dimenticato è che il prodotto finale è ...un'altra cosa. Dopo (sopra) e prima (sotto). Ovviamente il discorso sfruttamento per le pellicce, se mai fosse stato vero, è andato a quel paese... Un esempio piccolo piccolo per far capire una questione molto grande: La natura è complessità, prima di prendere iniziative anche a fin di bene, ad esempio per l'ambiente, bisogna stare molto, ma molto attenti e pensarci almeno un paio di volte. Non esistono soluzioni semplici. Se vi interessa che scriva altre storie così lasciatemi un feedback in merito, così mi so regolare. Foto e disegno presi da Internet a solo scopo divulgativo, i copyright spettano agli aventi diritto.
  10. Silvio Renesto

    Invasioni Aliene

    Chi ha letto la mia intervista a Francesco Tomasinelli, sa già che a Varese presso i Musei Civici di Villa Mirabello, piazza della Motta 4; è allestita la mostra "Alieni. La conquista dell'Italia di piante ed animali introdotti dall'Uomo",che durerà fino a fine maggio 2018. E' una mostra sia fotografica (con fotografie di Tomasinelli e di Marco Colombo, quest'ultimo vincitore del Wildlife Photogapher of the year 2016 per la sezione rettili ed anfibi) che naturalistica con terrari con esemplari vivi. Le conferenze , ad ingresso gratuito e pensate per un pubblico ampio, saranno dedicate al concetto di "alieno" , sia in senso biologico-naturalistico (= specie estranea introdotta artificialmente dall'uomo), sia sotto una più ampia prospettiva, con attenzione anche al mondo della medicina, della storia, della filosofia e dell'arte. Le conferenze si terranno presso la Sala del Risorgimento del Museo ogni venerdì (salvo festività) dalle 17.30 alle 18.30. Locandina_conferenze_gen_feb_mar_lr (002).pdf Segnalo in particolare la prima conferenza del 19 gennaio, tenuta dal mio collega Adriano Martinoli (zoologo, esperto di Mammiferi): "Gli strani fenomeni del mondo animale: tornati, arrivati, introdotti. Come l’uomo influenza la fauna (e la fauna l’uomo…)": Non tutti i fenomeni che accadono in natura e riguardano le specie animali avvengono perché l’uomo “ci ha messo lo zampino”, per fortuna le le comunità di animali mantengono molte delle loro libertà “adattative”... Ma quando accade che l’uomo vuole, direttamente o indirettamente, dirigere le danze, i risultati spesso sono catastrofici. E... naturalmente ... la mia, del 2 marzo (non temete, tornerò a seccarvi in prossimità della data ) : Convergenze evolutive, invasioni aliene e cambiamento climatico: il Grande Interscambio Americano: I Mammiferi del Sud America si erano evoluti in condizioni di isolamento dagli altri continenti, sviluppando forme uniche. 3 milioni di anni fa l'emersione dell' l'istmo di Panama unì le due Americhe e si ebbe una intensa migrazione di animali nei due sensi, il Grande Interscambio. Scambio impari: ben poche specie sudamericane ebberon successo in Centro e Nord America, mentre in Sud America gran parte delle specie native vennero sostituite dagli invasori nordamericani, più competitivi. Ultimo atto, 12.000 anni fa un micidiale cocktail di cambiamento climatico e (guarda caso) e arrivo dell'Uomo nelle Americhe, provocò l'estinzione di quasi tutti i Grandi Mammiferi nelle due Americhe (lo sapevate che in America c'erano i Cammelli e i Mammut, vero?). Se non avete di meglio da fare e siete in zona, potrebbe essere un'occasione per scambiare quattro chiacchiere fra nikonlander. Qui il Link alla mostra.
  11. Buonasera a tutti. Solo ora posso comunicare che sabato 9 settembre alle ore 17 presso il Museo Civico di Storia Naturale verrà inaugurata la mostra "Immagini di un Eden in miniatura", fotografie del Parco delle Lame del Sesia Mi sono permesso di segnalare all'ultimo momento perchè ho finito di piazzare le foto solo oggi pomeriggio alle 14.00 e fino a quel momento non ero mica certo di riuscirci Nulla di nuovo per i vecchi amici nikonlander che hanno già avuto modo di vedere le foto del qui presente squinternato fotografo e mirabilmente stampate e rese eccellenti dall'amico Michele di Slowprint (che nono smetterò mai di ringraziare). Per chi invece non aveva avuto modo di gustare le stampe su carta Hanemule semimatt ad elevata grammatura consiglio di fare un salto a Novara, in pieno centro, in pratica sotto la cupola dell'Antonelli, vedere una piccola e oggi graziosa città di provincia, visitare un museo di storia naturale piuttosto curioso, comperare i biscottini Camporelli (che i pavesini ci fanno una pippa) e vedere cosa ha raccolto negli anni un nikonlander abbruttito dalla passione per la natura e per la fotografia. un saluto e grazie a tutti quanti
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