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  1. Bene Silvano. Però non ci hai spiegato da cosa derivi la tua necessità di avere la possibilità di selezionare la prima tendina dell'otturatore meccanico, anziché affidarti alla macchina.
  2. Io vorrei che Nikon continuasse a distinguersi a questo modo, cioè mantenendo una mappa di cosa sarà proposto in materia di obiettivi nel prossimo periodo in modo preciso e impegnandosi a rispettare il piano di immissione sul mercato. Sarebbe un modo abbastanza economico anche se impegnativo in termini di marketing, di mantenere il contatto con la clientela che la sta seguendo in questa avventura mirrorless. Dando anche un segnale importante a chi resta alla porta, dubbioso. Ma in particolare per quanto mi riguarda, sarebbe importante sapere che altro verrà proposto nel breve-medio periodo - arco di 3 anni al massimo - per orientarmi nei miei acquisti. Mi spiego meglio. In roadmap ci sono due obiettivi che ancora mi interessano. L'85/1.2 e il 200-600/5.6-6.3. Ma se nella roadmap di ottobre/dicembre comparissero anche un 105/1.4 da ritratto e un 180-400/4 con TC integrato o un supertele Z PF, tipo l'agognato 600/5.6 o un 400/4 con TC integrato, beh, decisamente aspetterei quelli L'85mm non è più una focale che uso spesso e tutto sommato l'85/1.8 mi basta. Mentre il 200-600 come gamma di focali mi attira. Ma se ci fosse un obiettivo di fascia superiore con prerogative migliori, mi orienterei diversamente In questo senso, sapere cosa uscirà, permette di pianificare meglio gli acquisti, risparmiando tappe intermedie non del tutto allineate con i propri bisogni con il relativo "spreco" di risorse meglio allocabili anche se su spese superiori.
  3. ultima "roadmap" Nikkor Z disponibile aggiornata con le ultime novità di giugno. Secondo le promesse Nikon porterà a compimento questa lista di obiettivi entro l'anno o, al massimo entro marzo 2022. Con l'uscita degli obiettivi elencati e, quasi certamente, con un altro paio di corpi Nikon Z, Nikon avrà un sistema già piuttosto maturo anche se per niente completo. Concentrandoci sul fronte obiettivi, Nikon potrebbe decidere di mantenere la roadmap anche per il futuro, aggiornandola anche dopo il completamento di questo programma. Ma sarebbe sostanzialmente l'unica a farlo, perchè nessuna delle concorrenti lo fa allo stesso modo. Quindi potremmo vedere continuare gli annunci ma senza un quadro sinottico di cosa attenderci nei prossimi anni. A voi farebbe piacere che Nikon mantenesse questo genere di approccio, oppure no ? Rispondete al sondaggio semplice semplice che vi proponiamo. E, se volete, aggiungete nei commenti che obiettivi vorreste che Nikon proponesse nel triennio 2022-2024, spiegando però chiaramente perchè li vorreste e perchè non vi basta ciò che ci è già stato già promesso. Grazie. ______________ M&M
  4. Direi che possiamo affermare, come dicono gli anglosassoni, che la prova sta nel pudding. Ovvero che il deludente andamento dei contest in corso (quello appena conclusosi e gli altri aperti da tempo e con partecipazione al minimo "sindacale") non abbia altre scusanti, che non il sostanziale disinteresse. Da settembre ci sarà un ultimo tentativo con il tema libero a rotazione settimanale (la foto della settimana). Se anche quell'esperimento non andrà in porto, non date come al solito, la colpa all'Admin che su questo versante si è speso oltre le sue inclinazioni
  5. Vivaldi : Argippo RV Anh. 137 Opera-pasticcio con arie di Pescetti, Hasse, Porpora, Galeazzi, Fiorè e Vinci e Libretto di Domenico Lalli Prima rappresentazione al Teatro Sporck, Praga, 1730 Manoscritto rinvenuto a Darmsdt nel 2011 e questa è la prima esecuzione integrale nell'edizione critica redata nel 2019 da Bernardo Ticci Emőke Baráth soprano ARGIPPO Marie Lys soprano OSIRA Delphine Galou contralto ZANAIDA Marianna Pizzolato contralto SILVERO Luigi De Donato basso TISIFARO Europa Galante Fabio Biondi direttore Naive 2020, vivaldi edition vol.64 opere teatrali, formato HD, via Qobuz, 49 tracce per 2 ore e 2 minuti *** Abbiamo molte tracce di quest'opera ma nessuna certezza. Esistono due copie dei libretti e la commissione ma quanto di Vivaldi e quanto delle altre firme ci sia in questa composizione non si sa. Quella che ascoltiamo, inserita nella benemerita monumentale raccolta dedicata a Vivaldi da Naive al volume 64 è la ricostruzione di Bernardo Ticci del 2019 di quello che in realtà è un pasticcio di Vivaldi perduto , creato nel 1730 per l'impresario veneziano Antonio Peruzzi da mettere in scena a Vienna e Praga. La vicenda e la trama sono deboli e sinceramente imbarazzanti (Bengala, Gran Mogol, figlia disonorata, rogo e via spropositando) e se non fosse per lo sforzo grandioso di Fabio Biondi che da vita ad ogni singola nota dell'opera neanche fosse l'Oratorio di Natale di Bach e la qualità del cast non sarebbe particolarmente degno di nota. Ma c'è tanta di quella vita in queste arie e persino nei recitativi, se si resiste ad un leggero moto di repulsione dopo la bella sinfonia iniziale. Certo arrivare al terzo atto conclusivo é difficile ma si riesce, proprio per la qualità della compagine impegnata e per tutte le bollicine effervescenti che il grande Biondi riesce a spruzzare ovunque. Brani salienti (secondo me). Atto 3, scena 2 : Vado a morir per te (Osira) di Andrea Stefano Fiorè Melodrammatica ma intensa, forse la più elevata ispirazione dell'intera opera qui portata con forza e passione da Marie Lys Atto 3, scena 3 : Vi sarà stella clemente (Argippo) altrettanto delicata ed apprezzabile Atto 3, scena 5 : Se la bella tortorella (Silvero) E' una vera gemma con l'accompagnamento del violino di Biondo che improvvisa, fiorisce, arricchisce la parte cantata con in sottofondo la tiorba. E Marianna Pizzolato qui è un credilissimo contraltista ma tutta la sua parte rende Silvero persino simpatico, pur essendo il cattivo dell'opera. Atto 1, scena 1 : Se lento ancora il fulmine (Zanaida) Riconoscibilissimo Vivaldi in questa aria portata in disco da Cecilia Bartoli qualche tempo fa e qui sinceramente "doppiata" da Delphine Galou che nel timbro ricorda l'italiana ma rispetto a quella ha più modulazione, più coloritura e con un tono ben più pieno, capace certo anche in scena e non solo in disco. Atto 1, scena 4 : Anche in mezzo a perigliosa (Argippo). Anche questa aria ripresa dalla Bartoli. Aria di bravura con trilli ed acuti estremi. La Barath la rende al meglio. Complessivamente una prova eccellente. Resta un'opera non memorabile, per questo dimenticata ma nelle mani di Fabio Biondi e dell'Europa Galante siamo tornati alla corte Imperiale Asburgica in quel 1730. Ve la consiglio anche oltre la semplice curiosità. Queste registrazioni Naive non sono sempre all'altezza dello sforzo degli artisti. Qui siamo nella media.
  6. Handel : Saul HMV 53 Philarmonia Baroque Orchestra & Chorale diretta da Nicholas McGegan Performance dal vivo 2019, pubblicata il 5 giugno 2020, formato 192/24, ascoltata via Qobuz *** Saul non è un'opera lirica, è un oratorio. Ma non è un oratorio come il Messiah, per nulla. Si, la rappresentazione è in forma di concerto, i cantanti leggono le parti, non ci sono scene. Ma se i temi sono biblici - Giudea, Re Saul, il futuro Re David, i filistei e la guerra con Israele - la vicenda è tutt'altro che religiosa, anzi. Ma all'epoca il pubblico londinese ne aveva le tasche piene dell'opera lirica drammatica all'italiana e soprattutto, delle star canore italiane e delle loro bizze. Di qui la serie di oratori di Handel che inseguiva il gusto del suo pubblico pagante da buon impresario e produttore. Vicende bibliche dense di dramma, spesso di morte, tradimento, intrighi, gelosie, amori felici e meno felici. Insomma tutti gli ingredienti dell'opera liriche, per cui io metto questo genere al confine, formalmente oratori (per la forma, la grande presenza del coro e delle corali, decisamente più invadenti che nelle opere liriche, più giocate su recitativi e arie) Qui i recitativi sono del tutto tagliati, sinceramente non so se ci fossero in origine, ma non credo. McGegan comunque ha contenuto in 2 ore e 20 il tutto, forse pensando al suo, di pubblico, quello americano del Walt Disney Concert Hall di Los Angeles dove è stata ripresa dal vivo quest'opera. La compagine è di primo livello anche se lontana dalla quotidianità di noi europei. E segna anche la fine del lungo sodalizio del britannico purosangue McGegan con la Philarmonia Baroque Orchestra che ha portato ad alti livelli nel repertorio di inizio settecento. L'organico strumentale è sontuoso, praticamente tutto su strumenti contemporanei con Handel. Abbiamo doppio accompagnamento con cembalo e organo (all'organo il cembalista Jory Vinikour, interprete a sua volta di dischi solistici barocchi). Nonostante la vicenda un pò pesante, il tono di McGegan è al solito resta leggero. Anche la celebre marcia funebre del terzo atto che accompagna Saul nel regno dell'aldilà e che ha fatto lo stesso con statisti nel corso della storia, inclusi George Washingon e Wiston Churchill, è resa con toni non troppo scuri. E nel complesso il direttore resta fedele a se stesso. Insomma se non seguiamo i testi, continua a non essere il Messiah, non ci sono i bambini, ma è quell'Handel. Edizione degna di essere tenuta in considerazione e che vi suggerisco di ascoltare se vi interessa questo repertorio. La registrazione è dal vivo, registrata con qualità adeguata ma ad un livello un filo troppo basso e con qualche strumento particolare (tipo il trombone) che si perde nel tutti. Applausi, finali, meritati, per questi americani impegnati a questo livello nel barocco inglese, a volte un pò acerbi e magari un pochino sguaiati ma genuini come sempre.
  7. Handel : Semele Monteverdi Choir English Baroque Soloists Sir John Eliot Gardiner Soli Deo Gloria 2020, disponibile in formato CD e flac ad alta definizione sul sito SDG *** Nel 1983 con la medesima compagine, Sir John firmava la prima edizione dell'oratorio Semele di Handel. Ritorna sui suoi passi a distanza di ben 37 anni e dopo una stagione 2019 di concerti (tra cui a Santa Cecilia esattamente un anno fa) esce con questa nuova registrazione che su 3 DC o 68 file, propone una fresca rilettura di due ore e 35 minuti. Come sostenitore del Monteverdi Choir ho potuto acquistarla in anteprima perchè il disco sarà disponibile al pubblico solo il mese prossimo. Il Semele ha una storia non del tutto originale tra le mille opere di Handel. E' in inglese perchè sul finire degli anni '30 del 700 i londinesi ne avevano le tasche piene dell'italiano e degli italiani. E Handel che leggeva le foglie di té corse ai ripari gradualmente passando alla lingua inglese e agli oratori. E' il periodo del ritorno al sacro che culminerà con l'Ode a Santa Cecilia e al Messiah. E ad una serie di oratori sacri che ebbero discreto successo. Ma Semele no. Perchè il pubblico si aspettava un'altra storia biblica mentre i personaggi di questo oratorio sono pagani e dei dell'Olimpo. Perchè il tema è di fondo erotico con accenni farseschi o buffi. La musica è impegnativa e benchè ricca di momenti lirici di grandissimo livello, manca dei voli del periodo d'oro di Handel dei decenni prima. Non è di fatto un oratorio con i suoi recitativi eleganti e non è un'opera con i suoi 13 interventi del coro. La si rappresentava sul palco, senza scene. Mentre avrebbe meritato scene fastose. La prima donna, La Francesina (di cui parliamo in altra recensione proprio oggi, casualità non troppo casuale) doveva certo avere grandi doti anche se certa critica tendeva a demolirla letteralmente (ma in verità non ne abbiamo prove) però non era una superstar come la Bordoni e la Cuzzoni. Morale il Semele non venne rappresentato più nemmeno da Handel e fu dimenticato fino al 1957 per una ripresa che lo ha piano piano rivalutato fino agli ultimi anni con una ricca rappresentazione che culmina con questa di Gardiner e le sue compagini. E' un'opera impegnativa come dicevo (io la considero un'opera, non un oratorio), la musica è estremamente raffinata. E Gardiner per me non è un vero operista ma più un fine cesellatore al servizio della musica. Insomma i pareri saranno contrastanti, almeno per chi la ascolta per la prima volta in disco e non era alla Scala o Santa Cecilia l'anno scoro. Ma è un disco di rara bellezza con momenti splendidi. Il garbo è quasi "francese" ma l'eloquio praticamente .... "italiano" tradotto in inglese. E nonostante le pronunce terribili di certe cantanti dei nomi mitologici, bello come il Sogno di Mezza Estate. Forse abbiamo altri edizioni a disposizione e interpretazioni di arie famose più ispirate nella voce (penso a Endless Pleasure di Semele e Wherev'er you walk di Jove che sono nei repertori di molti cantanti celebri). E forse una Francesina più suadente l'avremmo apprezzata. Un Giove più possente e severo, forse. Ma il complesso è sublime e ci sono momenti degni di Serse. Insomma, un disco prezioso, una scelta in più e un ritorno dell'ultimo più asciutto e ricercato Gardiner che apprezziamo moltissimo.
  8. Henry Purcell : King Arthur (1691) Gabrieli Consort, Paul McCreesh Anna Dennis, Mhairi Lawson, Rowan Pierce, Carolyn Sampson, soprano Jeremy Budd, controtenore James Way, tenore Roderick WIlliams, Baritono Ashley Riches, basso-baritono libretto di John Dryden Signum Classics, 2019, formato 192/24 *** varie formazioni del Gabrieli Consort, in basso con Carolyn Sampson in primo piano. King Arthur è una semi-opera, cioè una composizione musicale/teatrale in cui i principali ruoli sono attori che recitano un testo teatrale mentre i cantanti sono ruoli secondari oppure divinità. Genere tipico nel barocco francese e inglese. E' una composizione particolare, perchè ha una chiara connotazione politica, nata dopo la restaurazione, ripensata durante la gloriosa rivoluzione e data alle scene con l'arrivo del nuovo Re Guglielmo d'Orange. Non narra le storie d'amore e gli atti cavallereschi di Re Artù, di Ginevra, di Lancelot e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Nella realtà i protagonisti sono i britannici e i sassoni, capitanati da Arthur e da Oswald, con i loro dei. Calati nella realtà di quei giorni, in verità i britannici sono i Tories, Re Artù il defunto Carlo II, i sassoni sono i Whigs e Re Oswald è il Duca di Monmouth. Le due fazioni sono influenzate dall'intervento di divinità e semidivinità (Venere e Cupido, Wotan) che ne modulano le azioni. Il tutto si chiude con la sintesi tra le due popolazioni. L'auspicio, finalmente, dopo quasi 1000 anni, per la pace tra le due genti che comporranno il Regno. Grande successo di pubblico con numerose repliche anche negli anni a venire e nonostante la morte di Purcell (1695),e riprese anche negli anni a venire, proprio per il connotato politica. Se vogliamo esagerare con i riferimenti, passato Guglielmo, l'avvento dei Sassoni con Giorgio I d'Hannover - fondatore della dinastia che ancora regna nel Regno Unito - porterà a Londra il Sassone erede di Purcell, il giovane Handel che ne prenderà l'eredità come libero imprenditore. L'inglese Purcell stesso nell'ultimo periodo, dopo la morte di Re Carlo II, si libererà dagli incarichi ufficiale per lavorare come libero musicista senza contratti stabili. Al di là delle - doverose - note che definiscono King Arthur, la riproposizione in questa edizione curata personalmente da McCreesh con l'ausilio dei suoi colleghi del Gabrieli Consort, ne rende una versione ancora più particolare. L'opera nella sua storia ha avuto svariati rimaneggiamenti che l'hanno resa a volte pomposa sicuramente più di quanto intendevano gli autori in origine. Qui abbiamo 17 musicisti e 8 cantanti che fanno anche da coro. Il suono - con corde di budello intrecciato - è chiaro e terso. Limpido. L'inizio peraltro porta 4 brani da Amphytrion. Poi l'Ouverture di King Arthur e un'aria strumentale. Poi l'inizio con l'ode a Wotan (Woden) e il sacrificio auspice per l'imminente battaglia dei sassoni contro i britanni. Quindi un continuo di arie, preludi, intermezzi, tunes per trombe per condurre al finale glorioso. Per Britannia e San Giorgio. E il ballo finale che sancisce la pace tra le due genti. Un'ora e trentasette di musica sublime, voci perfettamente equilibrate con il testo e la musica. Senza troppa enfasi né pompa, nello stile del Gabrieli Consort. Una grande prova di amore per il Molto Onorevole Mr. Henry Purcell, il più autenticamente inglese dei compositori britannici. *** Personalmente, per quanto colpito dal tono complessivo e dalla chiarezza di questa edizione, non posso dire di considerarla però superiore ad altre edizioni storiche, ad esempio quella di Deller con uno splendido Maurice Bevan o quella di Gardiner con i suoi solisti. Che pagano pegno solo per la ripresa ma hanno una carica di umanità e di senso scenico che un pò si perdono in questa ultima ripresa di McCreesh che a me è sempre sembrato un pò troppo "asciutto". Ma parliamo di sottigliezze, ognuno giudicherà.
  9. Benedetto Marcello Arianna Athestis Chorus, Academia de li Musici, diretti da Filippo Maria Bressan Chandos 2000 *** Benedetto Marcello, con il fratello Alessandro, possono essere definiti effettivamente dei compositori dilettanti. Dilettanti perchè, essendo nobili veneziani, nel '700 non potevano avere una professione. Ed in effetti non componevano che per diletto, loro e della loro cerchia. Non per questo non possono essere entrambi annoverati tra i più interessanti musicisti italiani dell'intero barocco. Questa composizione, in particolare, è probabilmente l'unico melodramma lirico di Benedetto, più incline alla musica sacra e strumentale o agli intermezzi vocali. Lo stesso autore non la definiva che una "trama scenico musicale" e fu composta di fatto per essere presentata in un consesso ristretto, probabilmente per intrattenere il Cardinale Ottoboni, nel 1727. E poi più, perduta sino al 1885, per essere pubblicata solamente nel 1948. Ed incisa per la prima volta in questo disco della Chandos nel 2019, praticamente due secoli dopo. L'intreccio è quello visto già innumerevoli volte da Monteverdi a Strauss, Arianna - che qui non si lamenta in tono drammatico - divisa tra il suo amore per Teseo che non la riconosce e la corte di Bacco che la vuole per se. Il libretto di tale Pietro Pariati in se non è grande cosa, ma la musica è degna di Handel e che rappresenta una novità per il teatro veneziano (sebbene, come dicevamo, Benedetto non compose mai per il teatro pubblico, certamente influenzò altri compositori che ascoltarono la sua opera). E c'è il coro, oltre ai solisti, cosa inusuale in composizioni del genere. Già l'ouverture in tre parti rivaleggia con quelle del sassone. E poi c'è un'aria che da sola vale l'intera opera e che è tra le gemme del barocco italiano. Arianna, sconsolata, si rivolge al suo amore Teseo dicendo : "Come mai puoi vedermi piangere senza che frangere il cor ti senta? Come mai spenta è in te pietà? Morta mi vuoi? Crudel m'esanima. Togli a quest'anima la pena amara, che da te cara la morte avrà." con una melodia dolce e delicata ma di espressività da togliere il fiato. L'aria è disegnata con un accompagnamento obbligato a due flauti, estremamente originale (che ricorda certe arie di cantate di Bach : ricordiamoci che Benedetto Marcello nacque nel 1686, Bach ed Handel nel 1685, Bach non conobbe Marcello ma ne leggeva e trascriveva la musica, Handel invece lo incontrò più volte nei suoi viaggi in Italia). Il punto debole della composizione è probabilmente la soavità complessiva che non indugia sul tono drammatico ed anzi, appena può, gira sul festoso, non appena è chiaro che Bacco avrà la meglio su Arianna e che Teseo riuscirà a fuggire con Fedra, sorella di Arianna. Non è un limite perchè probabilmente la destinazione - intrattenimento - e il consesso - eruditi, musicisti e prelati - richiedeva un tono lieve. Il melodramma per un pubblico comune non era l'obiettivo della composizione. Questo lascia un pò l'amaro in bocca perchè di fondo poteva veramente uscirne un'opera di livello mondiale. Nell'ultimo periodo l'aria ha un certo successo - è stata registrata in un paio di raccolte, tra cui l'ultimo disco della Kozena (non particolarmente brillante) - mentre questa è l'unica registrazione dell'intera Arianna. La direzione è brillante, le voci perfette, lo stile adeguato al profilo, la registrazione priva di difetti. La riscoperta di questa composizione colma un vuoto nella purtroppo non copiosissima discografia dedicata ai fratelli Marcello ed ad altri nobili musicisti veneziani, eclissati sempre dalla fama non sempre meritata di Vivaldi, alla cui ombra certamente, dovettero sottostare in vita (e in morte).
  10. Wolf-Ferrari : Il segreto di Susanna, intermezzo in un atto Serenata per archi in mi bemolle maggiore Judith Howarth, soprano Angel Odena, baritono Oviedo Filarmonia diretta da Friedrich Haider Naxos 2019, 44/24 *** Non conosco la ripresa del 2010 di Vassily Petrenko a Liverpool ma ricordo l'edizione più storica della Decca condotta magistralmente da Lamberto Gardelli. E' una rarità questo intermezzo in un atto che richiama l'opera buffa italiana del settecento quando il panorama lirico è intriso di drammae tragedie. Lieve ed intensamente ... mediterraneo che nulla ha a che vedere con Strauss o Puccini, tantomeno con Wagner. Vi rimando alla trama ben descritta nel libretto (un fresco marito geloso pensa dapprima che la moglie abbia un amante "fumatore", lui detesta il fumo già dall'odore, lei indulge con le sigarette per ristorarsi in qualche modo dall'eccessiva guardiania del marito, poi la scopre, è lei e non il suo amante né il servitore che intanto prepara la cioccolata. Un richiamo della Serva Padrona che in qualche modo fa da modello a questa piccola opera). L'ouverture è un piccolo capolavoro di temi intrecciati, di contrappunto, di frizzantezza (tanto brillante da essere stata incisa anche da Bernstein) E tutta la composizione (13 tre arie e duetti, anche con accompagnamento al piano solo) è fatta di pura melodia all'italiana, del pur italiano solo per parte di madre, Wolf-Ferrari. Il finale riprende i temi dell'ouverture Aggiungo solo che la composizione data 1905-1909 ed è stata composta ed eseguita per la prima volta a Monaco nel 1909, in tedesco. L'autore aveva una trentina d'anni. Di li a poco l'Europa sarebbe annegata nel sangue, Mahler stava completando la sua opera. E proprio contemporaneamente a questo momento di gioioso menage familiare dell'epoca edoardiana, Schonberg impostava atonalità e dodecafonia, probabilmente quanto di più lontano dal mondo musicale del brillante Ermanno Wolf-Ferrari. Ancora più lieve e con un leggerissimo sentore di melanconia (ma leggero, leggero), la serenata per archi del 1893 (l'autore diciassettenne). L'articolazione delle parti è già ricca e si permette di chiudere il finale con un fugato estremamente veloce. L'ispirazione è mozartiana ma non è affatto una operazione di restaurazione musicale, si tratta di una piccola gemma che è ben più interessante, musicalmente, di altre più celebrate nei repertori correnti (tipo, senza fare nomi, quella di Chaikovsky). Una bella operazione di recupero di Naxos che approfitta di un cast di primordine. La soprano è ben conosciuta ed ha cantato per Soldi, Abbado e Sinopoli. Il baritono spagnolo è ad uso al repertorio italiano (tra Verdi e Puccini). Il direttore è austriaco ma ha sangue italiano ed è un estimatore dell'opera di Wolf-Ferrari. L'interpretazione nel complesso è molto ben condotta, su toni frivoli e frizzanti che richiamano effettivamente più la musica italiana del barocco (senza strafare) dove invece quella meno recente di Gardelli ha come modello, probabilmente, Mascagni. Bel disco che consiglio anche per andare oltre la curiosità, Ermanno Wolf-Ferrari è un compositore di cui dovremmo andare più fieri, noi italiani. Edizione alternativa, Decca (probabilmente introvabile) :
  11. Non sono d'accordo. I manuali Nikon per il 90% contengono informazioni comuni che ben conosciamo. Solo la restante parte ha informazioni che possono tornare utili in determinate circonstanze. Motivo per cui la stampa di 624 pagine è un inutile spreco di risorse in ogni caso. Poi, sinceramente quante volte ricorri al manuale nella vita utile di una macchina, dopo il primo approccio orientativo quando è nuova ? E quando hai bisogno di una informazione specifica, non è 100 volte più pratico usare una funzione "cerca" in formato elettronico che stare li a sfogliare indici, scoprire che la pagina non è giusta, tornare all'indice, riprovare etc. etc. e intanto sfogliare centinaia di pagine di volumazzo ?
  12. Il primo Club che nasce con questo orientamento. Proprietario, ispiratore ed animatore, Silvio Renesto :
  13. Non starà sfuggendo a chi è attento alle cose di questo sito quanto stia languendo la partecipazione. Come se la fotografia avesse stancato, avesse stancato fotografare. Persino certe "novità" attese o presentate, sembrano interessare meno. Non per tutti, ovviamente, i più di noi sono sempre interessati. Ma magari la fotografia sta tornando ad essere quello che è per molti o per la maggior parte di noi, un modo per sublimare altre passioni. Niente di male, e nessuna recriminazione, critica, appello o chiamata alle armi. I vestiti si cambiano nel corso della vita, vuoi perchè il corpo cambia, vuoi perchè i vestiti stessi si logorano. Nella mia visione attuale e per quanto io possa fare al riguardo, vedo Nikonland trasformarsi sempre più in un Polo Multiculturale, dove Nikon e la fotografia fanno da collante per tante altre cose, non necessariamente di matrice fotografica, anzi. Ho deciso che Nikonland sarà il mio unico sito per il futuro e che qui dentro ci saranno tutti i miei interessi online. Lo avete visto l'anno scorso con il modellismo, quest'anno con la musica classica, prossimamente con la mia passione per le cose "guerresche". Ma vorrei estendere questa possibilità/opportunità anche a chiunque altro iscritto nutra forte e sana passione per qualche cosa. (Quasi) Qualsiasi Cosa. Lo strumento che può consentire tutto ciò sono i Club che possono crescere a piacere oltre gli attuali, oltre l'attuale, senza limitazioni (salvo parlarne di volta in volta). Chi volesse può propormi per messaggio personale un suo progetto che necessiterebbe di un Club. L'unico impegno, IL SUO FORTE IMPEGNO a mantenere il suo CLUB vivo, possibilmente ogni giorno, tutti i giorni, per ... sempre o per un tempo vicino a "per sempre". Eventualmente, fatemi sapere che ne pensate o se avete proposte al riguardo. Mauro PS : nei club non ci sono i vincoli nikonisti che ci sono in prima pagina (lato editoriale : articoli), né quelli fotografici, purchè, anche se un Club si dedicasse che so, alla poesia romantica della Papuasia, ci sia comunque una connotazione di immagini a corredo. Almeno quelle necessarie. Siamo pur sempre in un sito fotografico. PS2 : vi potete anche coalizzare per gestire un Club, come me e Giovanni per la musica classica (VariazioniGoldberg). PS3 : non ci sono limiti a quanti Club uno può avere. Se li sa gestire ed alimentare con costanza.
  14. Raccomandazione per l'ambiente : non stampate inutilmente i manuali, consultateli online quando vi serve Nikon li pubblica, in tutte le lingue e soprattutto li mantiene aggiornati in caso di necessità. Consideriamo i manuali come se fossero software.
  15. Per la suite di Parry consiglio in alternativa questo disco del 1993 : molto interessante e frizzante e che contiene musica effettivamente per orchestra d'archi (e probabilmente il disco vale per le due meravigliose composizioni di Frank Bridge che la precedono). Mentre chi volesse realmente capire cosa sia la sonata per organo Op. 28 di Elgar, potrebbe essere catapultato in età edoardiana dall'organo della Cattedrale di Westminter in questa bella edizione Meridian del 2010 che contiene altri interessanti esempi tipicamente elgariani di musica organistica, molto solenne e degni di colorare l'incoronazione del nuovo Re.
  16. British Music for Strings I Parry, Elgar, Jacob Sudwestdeutches Kammerorchester Pforzheim diretta da Douglas Bostock CPO 8/1/2021, formato CD, via Qobuz *** Trovo semplicemente deliziosa la An English Suite di Charles Parry che qui apre questo primo volume di quella che sembra una raccolta di dischi di musica inglese per orchestra d'archi. E' realisticamente una suite con tanto di minuetto e di sarabanda ma vicina ad una vera e propria sinfonia per archi. Qui è ben resa anche se conosco edizioni anche più frizzanti. Credo che comunque rappresenti bene lo spirito veramente britannico di questa composizione (scritta durante la guerra tra il 1914 e il 196) Segue una versione per orchestra d'archi scritta da Hans Kustovny della sonata per organo Op. 28 di Edward Elgar (1895). Si tratta di un arrangiamento tedesco contemporaneo (2006) di una composizione classicamente inglese. E' mantenuta l'atmosfera tranquilla dell'originale ma se con l'orchestra d'archi guadagna la tessitura della trama musicale, si perde l'immanenza organistica. Il risultato è interessante ma un pò criticabile. La sinfonia per archi di Gordon Jacob è il più recente dei lavori presentati in questo disco (1943). E' musica "tedesca", nel senso della tensione contrappuntistica, specie nel terzo movimento, tutto fatto di fugati ed abbastanza vivace (non proprio "molto vivace" come indicato dall'autore) e viene dopo due movimenti andanti, piuttosto desolanti. Probabilmente ispirati dal tempo di guerra. Nel complesso, probabilmente il brano più impegnato e tecnico dei tre ma il meno piacevole da ascoltare (tranne, appunti, gli interessanti fugati finali, molto tecnici ma poco musicali alla fine). Questo disco mi pare interessante ma un pò "freddo" e non troppo coinvolgente. Anche il suono degli archi è un pò freddo (ascoltato sia nei diffusori che in cuffia elettrostatica) e probabilmente questo non aiuta a convincere di più l'ascoltatore.
  17. Beethoven I Concerti per pianoforte e orchestra Ronald Brautigam, fortepiano Die Kolner Akademie diretta da Michael Alexander Willens Bis 2019, formato 96/24 *** Il fortepiano non è uno strumento antico, non è un clavicembalo, è il primo tipo di pianoforte. Nato in Italia nel 1710 era caratterizzato sin dall'inizio dalla percussione delle corde al contrario degli altri strumenti a tastiere che invece pizzicavano le corde per ottenere il suono. Era costruito con una cassa di legno e fino alla prima metà del '800 è stato lo strumento di elezione dei musicisti europei. Già Bach apprezzo i fortepiani Silbermann di Berlino di cui Federico di Prussia aveva una collezione nelle sue residenze. Ma poi Mozart, Haydn e naturalmente Beethoven che pensò tutta la sua musica al e per il fortepiano. L'evoluzione con cassa interna in ghisa, l'allungamento della coda, corde più lunghe, spesse e tese, migliori sistemi di percussione portarono - ma solo nell'ultima parte della sconda metà dell'ottocento, al pianoforte che conosciamo oggi. Che solo nel '900 è diventato capace di intrattenere sale da concerto molto grandi ed assorbenti. Insomma, senza il fortepiano non ci sarebbero i fantastici Fazioli di oggi. E nemmeno tutta la musica per pianoforte del periodo classico e romantico. Il pianista olandese (classe 1954) Ronald Brautigam non è il primo ad usare il fortepiano (naturalmente ha un trascorso discografico e di performance con il pianoforte) ma è il primo (credo) a completare le opere di Beethoven a quello che era lo strumento di Beethoven. Dopo le sonate e tutte le variazioni è adesso il momento dei concerti. E intanto lo stesso Brautigam ha assunte anche l'aspetto ... di Beethoven. Ronald e Ludwig Brautigam al fortepiano in concerto solistico. Lo strumento usato per i primi tre concerti è un Paul McNuty del 2012, costruito sul modello originale Walter & Sohn del 1805. Anton Walter era il più famoso costruttore di fortepiano della sua epoca. I suoi strumenti erano molto costosi ma tra i suoi clienti annoverava Mozart, che comprò il suo fortepiano nel 1782 e Beethoven che ne acquistò uno a buon prezzo nel 1802. Si tratta di uno strumento in noce di 221 cm e circa 97 chilogrammi con la cassa alta solo 32cm. Per il 4° e 5° concerto invece Brautigam è costretto ad usare uno strumento più pesante del 1819, di Conrad Graf, lungo 240cm, alto 35 e del peso di ben 160 kg. Questo era il fortepiano di Beethoven, di Chopin, di Robert e Clara Schumann, di Liszt, di Mendelssohn e di Brahms. Bene, fatte queste premesse, come sono questi dischi ? Appena fatto l'orecchio alla pressoché mancanza di bassi del fortepiano e ad un suono più brillante e molto meno potente di quanto siamo abituati si comincia ad apprezzare l'equilibrio tra il solista e l'orchestra. La tessitura complessiva è più chiara, la tonalità complessiva lo è. Bratigam suona in modo molto brillante, specialmente nei primi tre concerti. Più ampolloso e più autoindulgente - come è giusto - negli ultimi due. E a me viene naturale immaginare che davanti a me ci sia lo stesso Beethoven ansioso di mostrarmi come sentiva lui le sue creature. Il risultato è estremamente convincente e questa, nel suo complesso, mi sembra una delle più belle interpretazioni di questi concerti degli ultimi anni. In una parola illuminante. Anche l'orchestra è molto brillante ma nel complesso leggera. Giustamente in equilibrio acustico con il solista. Certo da ascolto ravvicinato (come con i miei monitor) perchè in una sala delle nostre credo che in fondo non arriverebbe molto del volume complessivo. La registrazione nel suo complesso è chiara per non oscurare il pianoforte che si staglia perfettamente in mezzo all'immagine. - segnalo della stessa serie sempre da Bis e consigliatissimi : che costituiscono adesso un unicum complessivo sul Beethoven originale (non necessariamente filologico, qui in fondo c'è solo lo sforzo di ristabilire i volumi e i suoni originali ma la prassi esecutiva è quella moderna cui siamo abituati, almeno quando il solista si mette al servizio della musica con amore, passione, vicinanza con la partitura originale.
  18. Clara, Robert, Johannes : Darlings of the Muses Schumann : Sinfonia n. 1 Clara Wieck Schumann : Concerto per pianoforte e orchestra Op. 7 Johannes Brahms : Sinfonia n. 1 Gabriela Montero : 5 improvvisazioni Gabriela Montero, pianoforte Alexander Shelley alla testa della Canada's National Arts Centre Orchestra Analekta 2020, via Qobuz Streaming *** Segnalo questo disco principalmente per l'interpretazione che non esito a definire straordinaria di Gabriela Montero del bel concerto di Clara Schumann. E' un concerto semplice, a prima vista banale che è facilissimo banalizzare con l'interpretazione. Ma il sangue latino qui ci mette la differenza e ne viene fuori una interpretazione realmente fuori dal comune. Sono anche molto interessanti le 5 improvvisazioni della stessa pianista che separano il concerto di Clara dalle sinfonie n. 1 di Robert e di Johannes che iniziano e chiudono il disco. Le due sinfonie sono tese e intense allo stesso modo. Specialmente quella di Brahms, roboante e veloce sin dal primo rullo di tamburi. Se avete in mente Furtwangler o Bruno Walter .... ecco, l'opposto, secondo lo stile corrente di rilettura di Brahms, posto anello del Nibelungo. Si vede l'intento complessivo dei curatori del disco che tessono il legame tra i tre amici sul piano spiccatamente sentimentale. Buon suono, ampio e definito con un pianoforte e in generale tutte le voci soliste ben chiare ma senza sembrare ingigantite ad arte. Peccato che Qobuz non offra il libretto di questo disco perchè mi sarebbe piaciuto leggere il punto di vista degli interpreti. Rimarco ancora una volta la presenza e il valore di Gabriela Montero, una delle pupille di Martha Argerich che l'ha valorizzata a Lugano (ricordo una memorabile sonata per violoncello e pianoforte di Frank Bridge con Capucon che è sicuramente la mia preferita) Un disco che vi consiglio caldamente. Applausi, specialmente per il terzo movimento del concerto di Clara, emozionante e anche per le cinque improvvisazioni ben costruite ai confini tra i tre straordinari compositori qui rappresentati.
  19. Beethoven : Concerti per pianoforte e orchestra n.1 e n. 4 Martin Helmchen, pianoforte Deutches Symphonie-Orchester Berlin diretta da Andrew Manze Alpha 2020, formato 96/24 *** ci sono occasioni in cui la visione comune di due artisti che vedono allo stesso modo quello che stanno suonando fa la differenza. Come il caso di Backhaus con Hans Schmidt-Isserstedt, di Pollini con Addado, di Horowitz con Toscanini, di Van Cliburn con Fritz Reiner. Conta poco se ci sono altre edizioni, altri momenti più alti, altri dettagli. Il risultato si sente, si vede, si tocca. La foto qui sopra lo dimostra. E le seguenti di più Questo secondo disco - già mi era molto piaciuto quello con il 2° e il 5° che però non sono i concerti di Beethoven che mi piacciono di più - aggiunge una dimensione superiore. Perchè è passato più tempo. Perchè i concerti sono più belli o forse più adatti all'indole introversa dei due interpreti. Il primo è rotondo come deve essere. Il secondo intimo, come deve essere. I silenzi, i neri tra le note, eloquenti. L'atmosfera tesa ma rilassata allo stesso tempo. Il piano ha un suono e una calma olimpica che ricordano il miglior Curzon. Ogni nota è quella giusta. Ogni sottolineatura dell'orchestra è quella giusta. E il pianoforte risponde perfettamente a modo. Helmchen non è un pianista che ha bisogno di dimostrare di essere meglio di quello che sembra. E'. Complimenti ad Alpha che ha messo insieme questa coppia. Grande suono, degno di questa eccellente prova.
  20. Brahms : concerto per pianoforte e orchestra n.1 /Pezzi per pianoforte op. 118 Sunwook Kim, pianoforte Staatskapelle Dresden diretta da Myung-Whun Chung Accentus Music, giugno 2020, formato 96/24 *** The South-Korean Brahms Connection Non solo i due eminenti interpreti ma il disco è stato anche sponsorizzato da Hyundai e l'occasione è nata durante un tour in Korea del Maestro Chung con Kim, dove hanno suonato per la prima volta questo concesto. Nel libretto c'è una intervista a Sunwook Kim che dichiara il suo amore sconfinato per Brahms e in particolare per questo concerto, appassionato e appassionante. Dolore, nostalgia, solitudine. Giustapposto ai sei pezzi per pianoforte dell'Op. 118. Il giovane Brahms e il vecchio Brahms. Devo ammettere che l'approccio iniziale, sia sinfonico che solistico è ... all'opposto del mio. Lento, compassato, probabilmente anche troppo rispettoso. Fino al minuto 11:16 quando Kim si lascia andare e comincia a trillare con forza. L'orchestra resta mite e poco aggressiva. E, maledizione, riesce a rallentare di nuovo il solista che invece dovrebbe sentirsi libero di sparare. Come fa qualche battuta dopo. E finalmente le cose cominciano a raddrizzarsi come in certi concerti iniziati male per la freddezza del pubblico. Ecco comparire finalmente Brahms. Il finale del primo movimento si riscatta quindi con fraseggi ampi, più dinamica ma un tono di dolcezza di fondo che resta sconfinato. Del resto la registrazione è avvenuta dal vivo nella Mendelssohn Saal di Lipsia, dove fu eseguito per la prima volta il concerto di Schumann. Ci sta. Il lirismo dell'adagio centrale introduce il piano che resta di incedere leggero e tutto il lungo intermezzo è improntato di una dolcezza infinita. A tratti ricorda Chopin ma senza quella brillantezza. Non nascondo che l'ho trovato piuttosto pesante. Per fortuna il Rondò finale risveglia il pubblico e questo risulta in definitiva il movimento che preferisco di questa proposta. Sempre non eccessivo e senza esagerazioni ma ci siamo. Il pianismo di Kim è tutto sussurrato e in ogni momento si possono sentire le singole dita in azione. Nonostante tutto il suo amore per il concerto, credo che Sunwook Kim si trovi decisamente più a suo agio con il feeling dei sei pezzi op. 118. Dolcezza e tocco leggero ben si addicono a queste atmosfere. Nel complesso, non è il mio Brahms, io lo preferisco più virile, anche quello della maturità. Ma è una proposta comunque interessante. Buona registrazione senza un rumore di fondo nonostante la ripresa dal vivo
  21. Johannes Brahms : Sinfonia n. 1, Ouverture Tragica Orchestra del Gewandhaus di Lipsia diretta da Herbert Blomstedt Pentatone 2020, formato SACD/HD *** le parole del 93enne Blomstedt sono scritte nel giugno scorso e si augurano che questa musica luce nell'anima umana (citando Schumann, mentore di Brahms), in questo momento difficile per l'umanità. Ed è molto umana, dolce e "alleggerita" delle complessità della mente e dell'animo brahmsiano questa lettura di Blomstedt che si avvale di una compagine con cui si è trovato centinaia di volte e che conosce questa musica da generazioni. Passo lento ma alle volte più spedito, fraseggio ampio, equilibrio assoluto tra le parti. Oserei dire antiretorico. Nient'affatto quella sciocca 10a sinfonia di Beethoven con cui questa sinfonia è stata bollata per oltre un secolo. Si, certo, l'atmosfera resta quella di una tempesta che ha uno sviluppo tormentato. Ma tra suoni umani, non lo stridio dei flutti. Lo si vede perfettamente nell'andante ma soprattutto nell'allegretto che sottolinea la parola "grazioso" del titolo. E anche il finale, grandioso ma non sopra le righe, ci fa vedere la tempesta già ben scemata già alle prime note. L'orchestra si conferma straordinaria - resta tra le compagini migliori al mondo, ben più di altre meglio celebrate - Ci spiegherà il Maestro la scelta dell'Ouverture Tragica nel finale e non all'inizio di questo programma Live registrato circa un anno fa - e quindi ben prima dei drammi del Covid - ma è più ouverture che tragedia. In fondo ci sta. Ma forse il Coriolano di Beethoven a questo punto sarebbe servito meglio a rendere un messaggio diretto. Non sarebbe stato nello stile del mite Blomstedt. Quindi va bene così. Registrazione eccezionale, come da routine per chi ha inventato il SACD. *** Nota a margine. C'era bisogno dell'ennesima 1a di Brahms diretta da Blomstedt nel 2020 ? Ce ne sono così e secondo me, oramai si dovrebbe andare per valore aggiunto, quando c'è molta musica semisconosciuta che andrebbe meglio valorizzata. Ma chi sono io per dirlo ? In fondo bastano gli ottoni e le percussioni della Gewandhaus che aprono la strada agli accordi dei bassi nel più straordinario tema (il finale) mai scritto in una sinfonia romantica. Quando persino il compassato direttore si lascia andare al ritmo coinvolgente della musica di Brahms.
  22. Beethoven : sinfonie n. 1,2, 3 Barry : Beethoven, Piano Concerto Britten Sinfonia diretta da Thomas Adés Signum Classics 2020, formato 192/24 *** Credo che per quanto mi sia detestabile come compositore, Thomas Adés sia un eccellente direttore d'orchestra Non condivido per nulla la scelta di mettere le prime tre sinfonie di Beethoven insieme a spazzatura del calibro di quella scelta in questo disco ma la direzione di Adés è di primordine. Restando in casa inglese, bisogna tornare al giovane (perchè quello vecchio ... te lo raccomando !) Simon Rattle per ascoltare qualche cosa di così gajardo, frizzante, originale, personale. Non a caso Sir Simon l'ha tenuto a battesimo in tempi non sospetti e se il Thomas Adés compositore a me da fastidio, il direttore d'orchestra invece sa il fatto suo. La mia cartina di tornasole è sempre la terza sinfonia. La sinfonia delle sinfonia. Il punto di svolta, the turning point per restare in casa d'Albion. Qui cè vita, per fortuna. E con una formazione così vivace come la Britten Sinfonia, perbacco, non ci vuole una pinta di birra rossa, si fa musica per davvero. Il primo tempo scorre come un direttissimo che non fa fermate. La Marcia Funebre è tutt'altro che soporifera come quella di certi tedeschi che vanno per la maggiore. Lo scherzo è inarrestabile. E le variazioni del finale, sono fuochi d'artificio per il compleanno del re ! Sullo stesso piano le altre due sinfonie, certo più facili. L'orchestra è eccellente, il direttore il meglio che England offre. Forse il mio riferimento al momento, per le tre sinfonie prese nel mazzo. Che vogliamo di più ? Niente, va bene così. Registrazione piena di dinamica con bassi fragorosi e archi chiarissimi. Disco del mese di aprile, per quanto mi riguarda.
  23. Beethoven : Concerti per pianoforte e orchestra n.1 e n. 2 - Rondò in SIb WoO 6 Boris Giltburg, pianoforte Royal Liverpool Orchestra Vasily Petrenko Pianoforte Fazioli # 2782273 Registrazione del maggio 2019 Naxos, formato 96/24 *** E' un fiorire di edizioni dei concerti per pianoforte di Beethoven. Non che ce ne sia bisogno, abbiamo decine di edizioni di riferimento dei più grandi pianisti della storia. Ma è giusto che ogni interprete si cimenti con questi capisaldi della letteratura tastieristica. Qui abbiamo due musicisti di primordine, Boris Giltburg e Vasily Petrenko che mostrano una buona intesa e propongono un risultato di buon livello. Boris suona uno dei possenti Fazioli presenti in Inghilterra. L'orchestra di Liverpool ha una articolazione perfetta per Beethoven sotto il bastone di Petrenko. Ci sono tutti gli ingredienti giusti per una ricetta perfetta. E le aspettative suggerite dal duo sono tante. Il risultato ? E' effettivamente perfetto. Forse un pelo troppo perfettino, insomma. Un confronto rapido con la mai perfetta Martha Argerich del 2017 con il compassato Ozawa alla guida della Mito Chamber Orchestra ci mostra che, ad esempio, si possono pareggiare i tempi del rondò del primo concerto ma proponendo musica di tutt'altra verve. Cosa manca insomma perchè una performance diventi un disco perfetto ? Un filo meno di autoindulgenza, forse, meno attenzione al suono prodotto e un pò più alla musica. Brendel diceva che Mozart è facile da suonare ma è ben difficile da suonare veramente bene. Questi due concerti (e il rondò senza numero d'opera selezionato da GIltburg per cui usa anche una sua cadenza) sono i cavalli da battaglia del Beethoven che si fa strada attraverso la Germania verso Vienna, per conquistarsi la fama di solista prima che di compositore. Sono brillanti. Sono personali. Richiedono ardore e anche la necessità di prendersi dei rischi. Che qui in tanti passaggi mancano. Beninteso, il livello è altissimo. Ma il Giltburg del 2019 ci ha viziati con un Rachmaninov sensazionale. E le nostre pretese sono cresciute. Ci risentiamo al prossimo disco con il pianismo più eroico del Beethoven Napoleonico ? Delizioso il Rondò, con quel misto tra lezioso e spavaldo che ci vuole. Vale tutto il disco (ma ripeto, nei due concerti la performance è tutt'altro che insufficiente .. é che vorremmo ... di più !). Ma anche qui con tempi più lenti di quanto avremmo desiderato (confronto con Brautigan, Kodama ma anche con il Richter maturo). Più coraggio Boris. Più ardore. Con Beethoven bisogna correre sulla fune. Alla prossima
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