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M&M

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  1. M&M
    Sola : musiche per viola di compositrici contemporanee / Rosalind Ventris, viola
    Delphian, 27 gennaio 2023, formato 96/24, via Qobuz
    ***
    Disco di debutto di una virtuosa della viola che sceglie un repertorio particolare, fatto tutto di musiche composte da donne, per viola sola, uno strumento che nei secoli è stato abbastanza bistratto, stretto tra violino e violoncello.
    La viola si presta a melodie intimiste e lamentose che ben sono rappresentate in questo disco. L'assenza di accompagnamento fa il resto. Quindi sinceramente vi consiglio di ascoltare questo disco solo in momento di particolare euforia per evitare di cadere in depressione e dover ricorrere d'urgenza a Mozart.
    Ma, a scanso di equivoci, è tutta musica molto interessante, meravigliosa. A prescindere, lo scrivo alla Signorina Ventris, dal fatto che sia stata scritta da Signore, anziché da Signori.
    Registrazione splendida con l'intera gamma sensuale dello strumento in ottima evidenza.
    I miei complimenti.
  2. M&M

    Recensioni Audio
    Quando mi hanno detto, scegli tu dal catalogo dei prodotti Sonos (link allo store  - ricordo che questo sito non è sponsorizzato) cosa vuoi provare, mi sono sentito come da bambino quando mi fermavo davanti alla vetrina del mio negozio di giocattoli preferito e chiamavo la mamma perchè me ne comprasse una, sapendo che le avrei volute tutte.
    Ho voluto cominciare con il piccolo One Gen. 2 che si presenta come un cilindro molto stilish che può tranquillamente essere ambientato in un arredamento moderno e che vedete qui sopra in un angolo del mio attuale "garage", giustappunto tra un paio delle mie rosse preferite.
    Partiamo dalla confezione prima di capire cos'è e di parlare più a fondo di cosa possa offrire dal punto di vista musicale.
    Perchè avrete capito che non è una lampada da tavolo e nemmeno una radiosveglia 
    Scatola di cartone con inserti cartonati secondo il trend ecologista di oggi.
    Anche l'involucro di protezione del diffusore è in tessuto e viene tenuto chiuso da un adesivo nero griffato Sonos.


    eccolo qua "scartato".
    Dietro, l'unica connessione, una presa ethernet standard e il pulsante di "connessione" al mondo wireless.

    l'unica cosa da "montare", sul fondo, la presa di corrente. L'alimentatore è interno e questo è un doppio vantaggio.
    Non ci sono aggeggi ingombranti in giro - che già per casa ce ne sono anche troppi - così il sistema è proprio minimal (il diffusore con il suo cavo e stop), e poi il trasformatore e i circuiti di alimentazione sulla base, contribuiscono al peso (consistente) dell'oggetto e abbassano il baricentro per eliminare quasi totalmente i rischi di "ribaltamento" accidentale (e di conseguente possibile rotolamento) in caso di urto.


    lo spinotto va dentro a pressione, con tolleranza zero. E devo dire che rimuoverlo poi è un pò impegnativo tanto è solida la presa.
    Insomma non capiterà mai che la spina si stacchi e voi non sappiate perchè lo speaker non suona più !

    il cavetto non disturba e sparisce del tutto, specie se mettete lo speaker a scaffale.

    il "welcome kit" è sostanzialmente inutile. Le istruzioni dicono l'unica cosa importante, che va alimentato con la corrente e che si deve scaricare l'App Sonos Controller per configurarlo via smartphone.

    in termini di dimensioni non può spaventare nessuno

    gli altri apparecchi Sonos sono certo più impegnativi :
     

    lo One posato su un Play:5, e qui sotto gli imballi relativi

    e controllarlo dopo averlo configurato è semplice, sicuro, sempre intuitivo anche nelle impostazioni più sofisticate.
    ***
    Allora, avrete capito che questo è uno speaker wireless intelligente.
    Sulla scatola è pure stampligliato un microfono e già vi verrà in mente a che pro.
    Insomma, è un piccolo cilindro musicale, bello come un carillon moderno ma certamente molto ma molto più flessibile.
    Quando vi arriva (potete ordinarlo online senza andarlo a cercare in negozio) la prima cosa da fare dopo averlo disimballato e collegato alla corrente, è installare l'App Sonos Controller sul proprio smartphone.
    Sinceramente non ho provato la connessione ethernet che credo sarà utile se la vostra rete wi-fi è ballerina, ci sono interferenze o se preferite usare la bella cablatura della vostra casa nuova per giustificarne la spesa.

    L'App esiste ovviamente sia per ambiente iOs che Android. E c'è anche la versione desktop per Windows e OS.
    Io ho fatto la configurazione iniziale con il mio iPhone 8 e devo dire che è stata semplicissima anche per uno refrattario del tutto a queste cose come è il sottoscritto (non riuscivo, ai bei tempi, nemmeno a programmare una cosa stupida come un registratore VHS per registrare i programmi di notte).
    A parte l'iniziale break dovuto al fatto che l'applicazione dava per scontato - usando un Apple - che io avessi una Airbase come sistema wi-fi mentre la mia rete è del tutto tradizionale, il sistema è riuscito a trovare lo speaker, a chiedermi le informazioni per connetterlo in rete (la mia è protetta da password per evitare intrusioni indesiderate) e lo ha messo in linea creandosi una sua rete temporanea al volo da se.
    Durante l'impostazione vi viene persino chiesto di usare lo smartphone per misurare la risposta audio del dispositivo nella posizione della stanza in cui l'avete installato. Se guardate il video esplicativo vi viene un pò da ridere (bisogna letteralmente girare attorno allo speaker agitando la mano che regge lo smartphone su e giù per valutare il campo generato da un segnale di base che non è esattamente rumore rosa come è abituato a chi lavora in campo audio). Ma funziona. E tutte le operazioni durano pochi minuti senza richiedere né fatica né competenze particolari.
    Non ho idea di quali correzioni apporti ma i dsp oggi fanno miracoli, sia in campo hardware che audio, quindi mi fido.
    E qui l'hardware è di primordine.
    Infatti, non a caso, parlandone ad altri, l'unico riferimento che mi viene in mente è Apple.
    Sia per la costruzione di livello superlativo, che per i materiali utilizzati.
    Ma anche per la confezione, l'imballo, tutti i dettagli.
    Soprattutto per il software.
    Si, il software perchè oltre ad essere (quasi) idiot-proof (la prova sono io !) è stabilissimo, affidabile, sofisticato e sempre pronto all'uso.
    Perchè non c'è nulla di più noioso di quando avete bisogno di ascoltare - subito ! - il vostro disco preferito e il sistema non risponde ...

    E non può essere altrimenti perchè lo speaker di suo ha solo un bottone posteriore per iniziare la ricerca della rete (si usa una volta sola o quando l'App lo richiede) e un paio di tasti superiori. Uno è il Play/Stop, in mezzo, gli altri due sono il volume, Up e Down.
    Sinceramente però io li avrò usati solo una volta per vedere la risposta e per sentire il bloimp! di conferma del comando.

    perchè si più presto via App, che è rapidissima da usare in touch ma anche nella versione desktop, via mouse

     
    Riporto di seguito qualche screenshot del mio iPhone in un momento in cui ascoltavo Miles Davis con i tre diffusori Sonos in prova configurati in modalità "party", con i due grandi in stereo frontale e il piccolo One dietro, come se fosse un surround.
    Il tutto configurato con un click e perfettamente sincronizzato tra le stanze.
    Lo One simulava la Biblioteca, il gruppo degli altri due, la Camera da Letto (uno dei due è stato per qualche giorno la Cucina).
     

     
    due schermate delle opzioni di configurazione del sistema e delle impostazioni generali e di dettaglio
     
     
    i miei album "preferiti" nella mia biblioteca su Qobuz, e i servizi che ho abilitato (una libreria di file del mio pc, Amazon Music e Qobuz, per l'appunto in cui sono abbonato allo streaming unlimited).
     
     
    configurare un servizio aggiuntivo è un gioco da ragazzi, basta ricordarsi account e password e si entra nel servizio e si può ricercare la musica, ritrovando i propri album favoriti e le proprie playlist.
    Che sono ovviamente condivise su ciascun dispositivo in cui gira l'app, sia esso il tablet, il pc, il Mac o l'iPhone.
    Gli speaker si "risvegliano" al volo (o meglio, si dovrebbe dire che non dormono mai) passando da una stanza ad un altra.
    Il wi-fi pesca anche a distanza abbondante (ho provato a portare lo One in taverna, due piani sotto la basetta del wi-fi che è potente ma spesso altri dispositivi fanno fatica oltre i 10 metri di distanza).
    Spostare uno di questi apparecchi da una stanza costa solo la fatica di collegare la presa di corrente.
    E dopo un attimo lo speaker suona. Anche ripartendo dal punto in cui avevamo interrotto il brano quando ci siamo spostati.


    due schermate dell'App Sonos Controller in versione desktop. Potendo sfruttare la maggiore superficie e le varie sotto-finestre per poter selezionare sorgenti, playlist, album, singolo brano, con tutto a portata l'occhio è certamente molto ma molto più comodo del concentrato di comandi dello smartphone.
    Ma in fondo è solo una questione di abitudine e di attitudini. Io sono un uomo da desktop, sempre.
    Tutti gli speaker connessi vengono anche visti come renderer audio da eventuali media-server in vostro possesso.
    Io ad esempio li ho visti subito con JRiver e li ho fatti suonare anche da li usando direttamente la mia biblioteca musicale residente su una NAS senza che l'App Sonos e gli speaker stessi sapessero cosa stava succedendo (loro pensavano ingenuamente di essere connessi con una radio).
    Sottolineo che al di là della facilità di utilizzo, di impostazione, della naturalezza dei passaggi che annullano totalmente la necessità di leggere manuali o cercare dritte e scorciatoie su forum ed help-line, c'è l'assoluta stabilità del sistema che non perde mai un colpo e in nessuna circostanza si ferma o si blocca.
    Non saprei cosa chiedere di più al riguardo.
    In un mese di utilizzo quotidiano lavorando in "smart-working" non ho avuto un singolo crash nè un momento di break di musica se non per momentanei blocchi della fonte, Qobuz ma non a causa di hardware o di software Sonos.
    Solo un accenno al simbolino del microfono che campeggia sullo speaker e sulla confezione.
    Questo è un apparecchio intelligente che può essere pilotato anche a voce, abilitando la procedura con l'app relativa e potendo poi comandare da qui Alexa piuttosto che altri sistemi che interpretano i comandi vocali tipo Google.
    Io li non ci sono ancora arrivato. Nemmeno in automobile. Ma in futuro certamente mi sentirò meno idiota a parlare con un "macinino" e lo troverò naturale, magari deciderò anche che fare la spesa all'Esselunga evitando la cassiera e facendomi il conto da solo con il lettore di codici a barre sia "in". Per ora ancora no ...

    Bene, ma il suono ?
    Ecco, mi aspettavo la domanda. E' ottimo.
    Questo è un sito dove si parla di musica colta ben riprodotta. Quindi la musica e il suono sopra a tutto.
    Allora, spendo solo due parole su questo fronte, perchè non essendo provvisto di un ingresso analogico a filo, non ho trovato un modo creativo di misurarne la risposta in frequenza.
    Però conosco bene l'efficacia e l'efficienza degli amplificatori in classe D odierni e la capacità dei DSP di manipolare la risposta di driver anche di ridotta dimensione.
    Non ho trovato specifiche dettagliate ma questo "cosino" si permette di avere due vie con due driver separati (mid-wooferino e tweeter) e due amplificatori separati con crossover dedicato, oltre alla circuteria di pilotaggio.
    Ed ha un controllo della risposta in campo vicino e del loudness di primordine.
    Al di là delle sofisticherie dell'Airplay e del controllo vocale, della rete e di tutto quando fa spettacolo :
    il campo sono è eccezionalmente elevato per un apparecchio alto 15 cm e largo 11. sonorizza riccamente qualsiasi stanza, magari non a livello party (per quello ci sono altri speaker nella gamma Sonos) ma abbastanza da sentirci anche il rock a volumi che a 3/4 di volume danno fastidio alle orecchie non è stereo ma lo scopo di questo apparecchio in installazione singola non è certo quello il suono è chiaro, cristallino, forte, dettagliato (in questo momento sto ascoltando Free Hand dei Gentle Giant ad un volume persino fastidioso) certo non può esserci il basso profondo di una cassa reflex con un woofer da 12'' (c'è solo l'illusione del basso, sarà tagliato a 100 Hz al massimo) ma può bastare il rapporto con le dimensioni e il prezzo è certamente premiante, pur parlando di un sistema di fascia premium che non costa pochissimo ma secondo me costa il giusto Se a questo aggiungiamo un servizio di primordine di post-vendita (l'App si aggiorna con maggiore frequenza del mio iPhone ed aggiunge nuove funzionalità oltre a correggere bugs o problemi di cui nemmeno ti eri accorto), la garanzia e l'assistenza che può offrire un player nazionale conosciuto come Nital, il prezzo al netto di campagne promozionali (credo sia di listino 229 euro), appare persino conveniente, tanto da consigliarne l'acquisto come dispositivo di riproduzione musicale di qualità "quasi" audiophile quando l'ascolto non sia esageratamente critico.
    Idealmente per stanze secondarie, come la cucina o il locale hobby.
    Anche perché, come dicevo all'inizio, nella gamma ci sono altri apparecchi e la possibilità di estendere la risposta in basso con un notevole subwoofer.

    la garanzia offerta da Nital Spa

    Insomma, non mi aspettavo una tale qualità sia sul piano costruttivo già a partire dalla confezione e dei dettagli, sia su quello software, che spesso in altre realizzazioni concorrenti e solo una promessa più che un effettivo risultato.
    ***
     
    Due parole infine su Sonos.
    E' una società americana fondata nel 2002 a Santa Barbara e vanta una lunga collaborazione nel campo dei sistemi di sonorizzazione ambientale con connessioni cablate e wireless di tipo WLAN anche con giganti come Ikea.
    Al momento ha in catalogo speakers, subwoofer, amplificatori, soundbar, sistemi portatili a batteria.
    Le soluzioni intelligenti di Sonos sono state premiate al CES di Las Vegas e l'hanno fatta affermare sul mercato tanto che nel 2017 ha sfiorato il miliardo di dollari fatturato.
    Insomma l'alta tecnologia nello stile occidentale per l'audio del 21° secolo. Giustamente scelta da Nital Spa che ne cura la distrubuzione in Italia per l'alto livello tecnologico offerto nelle sue soluzioni.
  3. M&M

    Recensioni Audio
    Sintesi della prova :
    Punti di forza
    costruiti come gli Apple, sono oggetti realmente premium, non solo per il prezzo.
    Ci sono aggeggi cinesi su Amazon che promettono cose simili per 57 euro e 50. Li ho provati. E buttati ! tanta tecnologia in un involucro compatto. Sei altoparlanti, sei amplificatori, infrastruttura di rete, cross-over, dsp totale assenza di rimbombi, risonanze, distorsioni, senza necessità di impiego di pannelli assorbenti, punte, distanziali, solette. Metteteli dove vi pare suoneranno come vi piacerà immediatezza di messa in opera. La configurazione è guidata ed a prova di bomba. Durante la prova ho cambiato l'access point del wi-fi con un modello più potente.
    E' bastato farli ripartire perchè rientrassero in rete senza alcun intervento nel software l'app è a prova di bomba.Non ci sono incertezze, né ritardi. E' il minimo aspettarsi un funzionamento privo di grattacapi. Purtroppo la realtà è spessissimo ben distante dalle promesse.
    Anche in questo aspetto (oltre che nell'hardware e nella confezione, nei dettagli, mi ricordano Apple) se alzate il volume : suonano forte (5a di Beethoven in questo momento !). volendo (ma io non ho più nulla di "analogico" in casa) si può collegare un apparecchio hi-fi per la presina mini-jack ed usare lo speaker per riprodurne il suono di debolezza
    almeno allo stato attuale (non so nulla dell'imminente aggiornamento della piattaforma) la riproduzione è limitata nella risoluzione dei file eventualmente presenti nella rete locale _____________________
     

    Già si vede dalla confezione, l'imballo ha una sicurezza, se non si rimuove quella, la scatola non si apre.
    E la qualità si conferma prendendo in mano l'oggetto e toccandolo.
    E' solido e concreto. Pesa più di quello che le dimensioni farebbero pensare.
    Non c'è accenno di risonanza e questo è importante.
    Ho esperienza di monitor professionali attivi (per chi non ha dimestichezza con il termine, parlo di diffusori amplificati internamente, che si usano normalmente nelle sale di registrazione per verificare il missaggio) con la "cassa" tanto ballerina che al tatto risuona.
    E che necessitano in genere, per evitare rimbombi e risonanze, di un bel setto spugnoso sotto al mobile per disaccoppiarlo dal piano dove lo si mette a suonare.
    Questo Sonos Play:5 invece al tatto è totalmente sordo.
    Ed è anche del tutto refrattario al posizionamento. Nel senso che può stare in campo aperto, con aria sui 5 lati, oppure a parete, scaffale, coricato o in piedi, il suono resta sempre pulito e limpido, senza code.
    Certo non ha un cono enorme a riprodurre il basso, ma probabilmente la scelta di mettere tre piccoli mid-woofer che suonano insieme deve essere stata influenzata da questa esigenza.
    Come quella di avere tre tweeter per le vie alte. E un totale di 6 amplificatori dedicati. Oltre al filtro, l'infrastruttura di rete, di comunicazione e di controllo.
    Insomma, piaccia o meno l'estetica, è un oggetto di fattura ragguardevole che tradisce la progettazione Made in Usa, e che mi fa pensare solo ad Apple, giusto come riferimento.
    Stesso discorso sul lato software, assolutamente fondamentale negli speaker di rete wireless. Perchè potremmo avere un poderoso monitor in grado di scuotere le pareti ma se non si connette o se è sempre sconnesso quando vorresti sentirlo suonare, allora non serve a niente che sia ben costruito o ben suonante.
    Invece qui abbiamo tutto insieme. Un oggetto eccellente come fattura, che suona bene e che funziona sempre nel modo in cui ti aspetteresti.

    eccolo in piedi. Sulle superfici - esclusa quella esterna - sono ricavati dei minuscoli piedini di appoggio che offrono una ulteriore via di disaccoppiamento con il piano di appoggio.
    Il diffusore può stare sia sdraiato sul lato lungo che, in piedi, su quello corto.
    In configurazione stereo con due speaker uguali sceglieremo certamente la formula in piedi. Possibilmente con i tweeter orientati all'interno e, se è possibile, posizionati alla stessa distanza dal punto di ascolto in un ideale triangolo.
    Il minimalismo dell'oggetto è massimo.
    Nella parte posteriore sono presenti tre connettori e un unico tasto.
    Al centro l'alimentazione, sotto, a sinistra, l'ingresso per il cavo di rete nel caso vogliate collegarli alla vostra ethernet cablata (motivi potrebbero essere la scarsa qualità del campo wi-fi o la presenza di interferenze), in mezzo l'ingresso linea per un mini-jack, a destra il tasto di connessione che l'App a volte vi chiederà di premere.



    lo spinotto di alimentazione è ben costruito, solido, a prova di ... strappo.
    Una volta inserito nella presa è quasi impossibile che esca senza che voi applichiate una adeguata e intenzionale forza per estrarlo.

    la griglia anteriore è a prova di urto. Sotto la protezione (che non è in tessuto ma in materiale sintetico anti-graffio, c'è una ulteriore gabbia di protezione per gli altoparlanti.
    L'unica concessione griffata è il marchio Sonos, ben posizionato e visibile.

    a scaffale o posizionato su un tavolo. Facile da ambientare ed anche da spostare.


    Sull'estetica, i gusti sono gusti. C'è chi preferisco "retro", chi il moderno. Questi rispecchiano uno stile un pò scandinavo, con superfici lisce del tutto prive di spigoli.
    Andamento morbido e rilassante.
    Sono disponibili bianchi o neri. Coordinati con eventuali altri dispositivi che potreste decidere di aggiungere alla vostra rete per popolare di musica la vostra casa.
    Bene. Bell'oggetto. Ma come suona ?
    L'impostazione sonora è comune al Sonos One Gen. 2 che ho provato contemporaneamente.
    Ottimizzato o meno, il suono è limpido, cristallino, privo di risonanze e di rimbombi.
    Con una potenza che apparentemente sembra sproporzionata per oggetti di queste dimensioni.
    D'accordo i sei altoparlanti e i sei amplificatori ma qui c'è dell'altro che non può che essere generato con l'uso sapiente di DSP.
    Sia che si usi da solo, che in coppia stereo. Sia posizionato in mezzo ad una stanza o a ridosso di una parete, il campo sonoro è generoso, potente, privo di distorsioni e chiaro.
    Ecco, l'impostazione del suono si può definire chiara ma questo non significa carente, semmai non artatamente gonfiata.
    Naturalmente anche qui il basso non potrà essere quello dei miei diffusori principali (che hanno ognuno 2 woofer da 15 pollici e 2 woofer da 11 pollici in vetro, pilotati da un amplificatore ciascuno da 1200 W di picco) ma c'è ed è convincente.
    Psicoacustica ? Può essere.
    Nel catalogo Sonos c'è un subwoofer intrigante che si può sempre aggiungere in un secondo momento io però non ne ho mai sentito un effettivo bisogno e comunque bisognerebbe sentire dal vivo se l'aggiunta ha senso o se, al contrario, rischia di rovinare l'equilibrio del sistema
    Li ho provati anche in modalità "party" due Play:5 e uno One Gen. 2, e assicuro che possono sonorizzare bene una stanza anche di ampie dimensioni.
    Magari non a livelli da concerto heavy metal ma certamente non sarà questo il motivo per cui uno si andrà a comprare questi apparecchi.
    Insomma, suono premium, ulteriormente perfezionabile sia con l'Ottimizzazione permessa dall'App (che si fa in cinque minuti con una procedura guidata che prevede l'utilizzo del vostro iPhone come monitor/microfono) che con l'equalizzatore integrato nell'app.
    Parte software : Sonos Controller
    Ne ho parlato già diffusamente nel test dello One qui :
    Ho provato sia la versione per iPhone che quella per Android su tablet Samsung. E su PC la versione desktop.
    Ricavandone sempre una impressione di solidità operativa, affidabilità, certezza di risultato.
    Cose non di poco conto in un sistema che deve fornire semplicemente il risultato atteso senza tanti grattacapi.
    Chi si siede in poltrona o si sdraia sul divano vuole potersi rilassare ascoltando il proprio disco preferito o l'ultima novità in streaming senza dover regolare nulla.
    Accendere nulla. Verificare nessun cavo o fare altre operazioni complicate.
    Qui le cose vanno sempre come ci si attende. E passando da una stanza ad un'altra si può continuare ad ascoltare la propria musica.
    Se ad un certo momento interrompiamo, possiamo essere sicuri che anche a distanza di ore o di giorni, premendo play lo/gli speaker riprenderanno a suonare dal punto di interruzione.
    Devo ammettere che l'effetto stereo (i due Play:5 in piedi e configurati per suonare i due canali sinistro e destro) mi ha sorpreso, considerando la mia provenienza "tradizionale" e il fatto che non c'è alcuna interconnessione tra i due canali ma solo la gestione via software in wi-fi.
    Una schermata dall'App desktop in una configurazione di un certo momento durante il lungo test. Stavo ascoltando un album in stereo, mentre in un'altra stanza ne andava un'altro.

    Meraviglia delle meraviglie, tutti gli speaker vengono visti come renderer di rete anche da server più evoluti.
    Qui la mia installazione di JRiver Media Player versione 26 che sta mandando sulla coppia di Play:5 in stereo un brano presente sul mio NAS registrato in alta risoluzione.
    Operazione effettuata con due click e nessun ritardo di risposta.
    Fantastico !

     
    Conclusioni :
    Mentre riepilogo le mie impressioni su questi speaker Mark Knopfler e la sia chitarra intonano le prime note di Brothers in Arms.
    Il volume è a 2/3. Ho incrementato un filo i bassi e ridotto di altrettanto gli alti. E' inserito il Loudness.
    Il risultato è credibilissimo e godibilissimo. Anzi, abbasserei un pochino il volume perchè è addirittura troppo in casa.
    Sto suonando il disco dallo streaming di Qobuz e il mio abbonamento.
    Ma potrebbe essere residente ovunque in rete.
    Oppure intercettato in una radio online (è attivo un servizio radio da Sonos, per esempio).
    Con il dito cerco tra i miei preferiti, l'ultimo disco di jazz vocale di Silje Nergaard e la sua voce compare nel tempo di premere, chiarissima, in avanti, con il piano indietro.
    Il suono resta di tipo "monitor" che può o meno incontrare i gusti dell'ascoltatore. Io ho sempre gradito questa impostazione e quindi sono soddisfatto.
    Altri dovrebbero ascoltarlo in uno showroom se è possibile. Almeno prima di fare l'investimento completo di due speaker e subwoofer e dotarsi in un colpo solo di un impianto che toglie dai piedi ogni forma tradizionale di amplificazione/conversione/cavetteria/discoteca.
    Giusto per la spesa complessiva da affrontare, non indifferente.
    Ma a livello di singolo speaker e per avere un suono pieno e corretto, concreto su ogni tipo di programma musicale e per ogni tipo di sorgente, sinceramente consiglierei ad occhi chiusi chi abbia esigenze di potenza e diffusione superiori al già generoso One.
    Io francamente non sono riuscito a trovare nemmeno un difetto.
    Sarà che avevo aspettative abbastanza basse (per esperienze precedenti) e questi apparecchi le hanno superate di diversi ordini di grandezza.
    Sarà che io sono poco sofisticato nelle mie esigenze che sono semplicemente quelle di poter ascoltare quello che voglio, nel momento in cui ne ho voglia, senza dover fare operazioni noiose e con la certezza di una risposta immediata al mio "comando".
    Mi hanno segnalato che mentre io provavo questi, Sonos ha aggiornato il catalogo e c'è stato un avvicendamento. Il Play:5 è diventato Play Five.
    Stessa estetica ma con la disponibilità anche del bianco/grigio. Hardware potenziato coerentemente con gli altri dispositivi della nuova generazione.
    Per giugno è annunciata anche una nuova versione dell'App con una piattaforma annunciata.
    A testimonianza della cura e dell'impegno di Sonos a mantenere up-to-date la sua linea di prodotti.
    Insomma, in estrema sintesi, esperienza pienamente positiva.
  4. M&M

    Recensioni Cuffie
    Risale a diversi decenni fa la mia passione per le cuffie Stax.
    Il primo ascolto fu con un modello entry-level, forse le SR-34 non mi ricordo più, in un negozio in metropolitana a Milano che non esiste più da un sacco di tempo.
    Ascoltai per intero il secondo concerto di Brahms con Ashkenazy accompagnato da Solti.
    L'effetto fu elettrizzante. Non avevo idea che si potesse ascoltare ad un livello tale, ben superiore ad ogni diffusore che avevo visto sino ad allora.
    Soprattutto la neutralità e la naturalezza di emissione e la facilità di ascolto, senza alcuna fatica. Potendo distinguere ogni singolo strumento.
    Le cose poi non vanno come si immagina e le cuffie con cui ho avuto la più lunga frequentazione furono invece le venerande AKG K340, molto differenti salvo il fatto che la via medio-alta di quelle cuffie ... era elettrostatica.
    Molti anni dopo (ma comunqu molti anni fa) soltanto sono entrato in possesso di un sistema Stax all'altezza delle mie aspettative, mio sistema di riferimento fino a qualche mese fa.
    Si tratta delle SR-404, versione Signature, modello medio della serie Lambda, accoppiate con l'amplificatore/elevatore di tensione, Stax SRM-006T.
    Cominciamo proprio da questo apparecchio che mi permette di scrivere qualche appunto sulle cuffie elettrostatiche.
     
    Le cuffie elettrostatiche
    Sono trasduttori che appartengono alla famiglia dei planari (ortodinamiche) come le magnetostatiche.
    Un sottilissimo diaframma di materiale plastico trasparente è polarizzato ed immerso in un campo elettrostatico generato da armature caricate elettronicamente.
    La differenza rispetto alle magnetostatiche sta principalmente qui (queste ultime hanno un campo magnetico permanente) e nella necessità di avere un amplificatore dedicato che produca anche la tensione necessaria a generare il campo magnetico necessario al funzionamento.
    Senza sarebbero mute.

    Le mie Stax SR-404 signature posate sul loro amplificatore

    il frontale champagne del mio Stax SDM-006t a valvole.

    qui il dettaglio dei pulsanti e degli attacchi per i cavi. E' possibile collegare fino a tre cuffie contemporaneamente.
    Il controllo di volume incorpora anche un controllo di livello (sono sostanzialmente due potenziometri coassiali indipendenti).
    Il dispositivo riceve il segnale da una doppia entrata linea, sia bilanciata che sbilanciata, passante per connettere eventualmente qualcosa d'altro in cascata. C'è addirittura una presa per la terra, in caso si colleghi un giradischi.
     

    ovviamente, le cuffie Stax hanno una configurazione completamente bilanciata già a partire dall'amplificatore, per cui l'unica cosa sensata è utilizzare l'ingresso bilanciato.
    Questo amplificatore ha una topologia ibrida, con stadio pilota a valvole e stadio finale a transistor, tutto in classe A.

    le due valvole hanno un cupolino sulla parte superiore del telaio con i forellini per favorire la ventilazione.
    Nel funzionamento l'amplificatore scalda moltissimo ma il meglio di se lo dà proprio quando è molto caldo.
    Ogni dettaglio è ben strutturato, ben costruito, ben congegnato. Dà sicurezza già a partire dall'aspetto.
     
    Dai connettori, proprietari di Stax e praticamente uno standard (anche HIFIMAN per le sue elettrostatiche utilizza la stessa configurazione) parte sia il segnale bilanciato, che la tensione di alimentazione delle armature elettrostatiche.

     
    Come sono fatte le cuffie
    Hanno la tipica struttura delle Stax serie Lamba, il cui primo modello ha oramai quaranta anni (e ci sono esemplari che ancora funzionano perfettamente).
    La costruzione è interamente in plastica. Tranne i padiglioni e la fascia sotto l'archetto che sono in pelle.



    il marchio Signature sull'archetto. Notare il segno dello stampo della plastica. Pessimo l'accoppiamento dei colori, verde, rosa, argento, marrone ?
    Per un italiano è un vero colpo in un occhio ... !

    anche il marchietto del modello è in rosa, posto sopra al padiglione.
    L'archetto è smontabil ed intercambiabile.


     
    i due padiglioni sono sostanzialmente identici. Se smontati bisogna poi riconoscerli ad occhio perchè non c'è un marchio che ricorda quali siano i canali (entrambi sono alimentati dal cavo di collegamento allo stesso modo e solo sull'archetto ci sono le indicazioni dei due canali Right e Left).

    l'imbottitura è morbidissima, la pelle è vera. E' intercambiabile (infatti io ho sostituito entrambi con un ricambio nuovo fatto arrivare dal Giappone).

    la sagoma trapezioidale del singolo trasduttore.

    l'interno del padiglione.
    I due lati sono schermati e le due armature protette da una struttura metallica.
    Non ho mai infilato le dita ma credo siano protetti da intrusioni.
    Nel complesso comunque la costruzione si presta a svariate critiche.
    Le plastiche non sono robuste, l'insieme un pò precario.
    Al di là dell'estetica - certamente discutibile per gusto ed assieme - è proprio la fattura che non sembra a livello dello status del marchio e del prezzo preteso (considerate che un paio di STAX SR-404 Sn usatissime costano 1300-1500 euro ancora oggi ...).
    Però sinora non mi hanno abbandonato e devo anche ammettere - al netto dell'invecchiamento dei miei timpani - che suonano sempre come il primo giorno, nonostante l'età.
    Le SR-404 sono chiaramente fuori produzione, sostituiti da modelli più recenti.
    La serie LAMBDA si differenzia dalla serie OMEGA già a partire dalla struttura.
    Le OMEGA hanno il padiglione circolare, sono in metallo. Costano un botto.
    E sono considerate da tutte il rifermiento da sempre per le cuffie di ogni livello.
    Le Lambda non sono a quelle livello ma sono genuinamente tra le migliori cuffie che si possano ascoltare.
     
    L'ascolto
    Le cuffie elettrostatiche STAX sono famose per la loro analicità, trasparenza, neutralità. Suono cristallino.
    Per anni sono state usate negli studi di registrazione CBS in America, almeno finchè non è arrivata Sony a comperarsi tutto quando.
    Non lo sono invece per la loro estensione, almeno non le LAMBDA.
    Il suono è dichiaratamente monitor, con una grande presenza delle medie e un impatto che è fortemente a favore dei solisti che risultano sempre perfettamente in primo piano.
    Ne è prova la misura della risposta in frequenza, eseguita con i microfoni miniDSP Ears e il programma REW
    Un canale solo
     

    due canali ad un livello di ascolto tipico.

    le differenze di livello tra i due canali sono probabilmente da ascrivere al controllo di livello o ad una imperfetta pressione dei padiglioni sulle orecchie artificiali.
    Nulla di distinguibile all'ascolto, considerando che tutto è perfettamente regolabile.
    La misura conferma una estensione ridotta sulla gamma bassa, il medio basso con un evidente "gonfiore", la gamma delle voci in netta evidenza, l'alto in ritirata e l'altissimo non esageratamente tormentato (come invece si vede in molte cuffie dinamiche con trasduttori metallici).
    La prova sta ne pudding, cioè nell'ascolto.
    Voci femminili, cori, strumenti a fiato, archi, tutto in evidenza.
    Basso acustico bello pieno, basso estremo non allo stesso livello.
    Violini setosi, clarinetti sottili, oboi nasali.
    L'immagine non è la loro caratteristica principale. Il suono si sente nelle due orecchie e sopra la testa, nonostante la forma asimmetrica e trapezioidale dei due trasduttori possa far pensare diversamente.
    La grande orchestra si perde di impatto e la collocazione degli strumenti un pò artificiosa.
    Ma continua ad essere estremamente affascinante la facilità con cui si individua perfettamente ogni singolo strumento, anche nella tessitura più complessa e numerosa.
    Se dovessi dire per cosa sono più indicate, sceglierei certamente le voci femminili e la musica da camera in generale.
    Il coro anche, sebbene manchi un pò di corpo nei bassi più potenti.
    L'organo proprio non è per loro, diventa troppo esile.
    E nonostante certi commmenti, assolutamente inadatte ad ogni genere che non sia acustico, pulito, naturale.
    Soprattutto due caratteristiche, la naturalezza complessiva dell'ascolto, una volta fatta la tara al suono di tipo "monitor" e ad un certo deficit nella parte bassa dello spettro, e specialmente l'assenza di fatica d'ascolto e l'assenza di fatica fisica nel tenere le cuffie in testa che nemmeno dopo otto ore vi faranno venire voglia di metterle via.
    La bassissima distorsione, almeno da 100 HZ in su, tende a farti prendere la mano con il volume a livelli poco salutari per le orecchie.
    Forse alla ricerca di un pò di più di musica in basso ma senza successo.
    Non sono cuffie che sopportano tanta potenza e l'equalizzazione abbastanza inutile, perchè quanto poteva essere fatto per compensare i limiti del trasduttore, è già stato fatto in fabbrica.
    In sintesi
    Io le adoro ma non sono cuffie adatte a tutto (nella realtà non ci sono cuffie adatte ad ogni genere musicale).
    Impagabili con la musica da camera e la voce accompagnata da pochi strumenti, non riescono a dipanare la grande massa orchestrale.
    C'è anche una certa artificiosità, tipica dell'impostazione da monitor, che vi fa immaginare di non essere di fronte all'evento reale ma nella sala da registrazione.
    I singoli strumenti sono così dettagliati ed isolati che vi sembrerà di avere da vanti la console dell'ingegnere del suono.
    E' una sensazione unica che non riesco a descrivere oltre e che bisognerebbe provare se avete ... orecchie adatte.
    Alla ricerca di qualche cosa di più universale, dal dicembre scorso ho acquistato le HIFIMAN Arya che, pur non essendo elettrostatiche, hanno un suono che coniuga alla perfezione - per il mio gusto - l'analicità estrema delle elettrostatiche, con una tenuta in potenza e una capacità di impatto più da dinamiche, benchè l'impostazione sia simile.
    Ma so che prima o poi cercherò altre elettrostatiche perchè è difficile non immaginare che la tecnologia intanto si sia raffinata.
    Certo queste Stax SR-404 resteranno per sempre con me.
    PRO
    totale assenza di fatica di ascolto suono trasparente, dolce, naturale, privo di asperità sensazionale capacità di identificare perfettamente ogni singolo strumento rispetto a tutto il resto del tessuto sonoro leggere da portare anche per ore e ore e ore l'amplificatore è di qualità assoluta CONTRO
     
    costruzione ed estetica decisamente criticabili estensione carente lato basse suono monitor con le medie in avanti e in generale i solisti in primo piano l'amplificatore - indispensabile per il loro funzionamento - scalda parecchio l'immagine della scena sonora non è propriamente il loro punto di forza, sebbene sia perfettamente identificabile ogni singolo punto sonoro, non si ha mai l'impressione di essere davanti ai veri musicisti in sala, ma ad una loro ricostruzione olografica al servizio dell'ascoltatore. Quasi una scena 3D al posto di una concretamente reale. hard rock, heavy metal, techno, registrazioni "pompate" decisamente non sono roba per loro molto, molto costose  
  5. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Stenhammar Sinfonia n. 2 in Sol Minore Op. 34 (1915)
    Musica per "Ett drompsel" di Strindberg
    Orchestra Sinfonica di Anversa
    Christian Lindberg
    Bis 2018
    disponibile in formato 96/24
    ***
    La vicinanza tra Stenhammar e Sibelius va ben oltre la mutua dedica di composizioni (il quarto quartetto a Sibelius, la sesta sinfonia a Stenhammar).
    Tutta la musica più recente dello svedese riflette la profonda revisione del suo metodo compositivo dopo l'ascolto della seconda sinfonia del finlandese.
    E si sente.
    Anche se lo stile e la musica restano personali.
    C'è molto materiale popolare in questa musica ma resa con grande forza contrappustica e una tavolozza di colori completa, tipicamente sostenuta dai bassi e poi dipinta dai fiati.
    La trovo di una bellezza struggente.
    E molto più convincente della pur interessante edizione del 1994 edita sempre dalla benemerita Bis con Jarvi nell'ambito dell'integrale sinfonica.
    Questa dura complessivamente 3 minuti in più (stiamo sui 46') ed è decisamente più intensa e profonda.
    Da ascoltare.
    A chi mi chiedesse : Stenhammar chi ? Lo pregherei di ascoltare i due brahmsiani concerti per pianoforte e poi questa sinfonia.
    Edizione alternativa : Jarvi, Bis nell'ambito dell'integrale dell'autore svedese edita nel 1994
  6. M&M
    Richard Strauss
    - Burleske per pianoforte e orchestra
    Michael Mchale, pianoforte
    - Duett-Concertino per clarinetto, fagotto arpa e orchestra d'archi
    Julie Price, fagotto, Michael Collins, clarinetto
    - Romanze in mi bemolle maggiore per clarinetto e orchestra
    Michael Collins, clarinetto
    - concerto per violino e  orchestra in re minore
    Tasmin Little, violino
    BBC Symphony Orchestra diretta da Michael Collins
    Chandos 2019, disponibile in 48/24
    ***

    Michael Collins, clarinetto e direttore d'orchestra in questo disco Chandos

    Julie Price protagonista del brillantissimo Duetto Concertante per clarinetto e fagotto insieme a Michael Collins
    Riichard Strauss è certamente famoso per le sue opere liriche che hanno segnato l'epoca post-wagneriana a cavallo tra '800 e '900.
    E chiaramente per i suoi poemi sinfonici celebrati dal cinema.
    Ci dimentichiamo spesso che è stato anche un brillante compositore di musica concertistica, forte della sua profonda conoscenza delle dinamiche d'orchestra e di tutti i possibili strumenti solistici.
    E anche nella musica solistica e cameristica ha lasciato il segno in un'epoca in profonda trasformazione.
    E' musica post-romantica che cerca di allontanarsi dal solco brahmsiano ma resta comunque musica tradizionale anche quando sperimenta.
    In questo bellissimo disco Chandos abbiamo ottimi solisti britannici che si mettono al servizio di pagine non notissime, se togliamo il celebre Burleske.
    Cominciando dal Duett-Concertino che è una delle ultime pagine composte da Strauss. Completato a fine 1947, nell'idea precedente era un concerto doppio tradizionale ma è diventata una fiaba di fate, dove il clarinetto idealmente rappresenta una principessa e il fagotto un orso che ovviamente si trasforma in principe come nelle più belle storie di Hans Christian Handersen.
    E' una composizione di grandissima grazia, con materiale melodico ricchissimo e dove le due tonalità di questi due meravigliosi strumenti si fondono insieme all'orchestra conducendoci per mano, mano nella mano. Dopo i primi due movimenti molto lirici, il rondò finale completa l'opera mantenendo atmosfere alpine e rupestri, molto suggestive.
    Bravissimi tutti gli interpreti ad assecondare il concetto del compositore, senza alcuna forzature.
    In fondo sia Julie Price che Michael Collins hanno una lunga carriera alle spalle e non hanno nulla da dimostrare.
    Quasi operistica la Romanza giovanile per clarinetto e orchestra, di toni e atmosfere dichiaratamente mozartiane.
    Già a 15 anni Strauss dimostra grande equilibrio nel miscelare suoni e dinamiche, già nello stile che consoliderà da grande.
    La composizione è brillante, veramente da concerto e non da sala, il che dimostra anche le velleità del giovane compositore (siamo nel 1879 con Brahms in pieno spolvero ...).
    Tasmin Little conduce il concerto per violino e orchestra composto due anni dopo e la cui prima esecuzione è del 1882.
    E' un concerto nella tradizione di Mendelssohn e di Brahms con un inizio molto veemente che poi prosegue con un primo tema molto coinvolgente, accompagnata da accordi ritmati.
    Tasmin Little ha una sensibilità straordinaria che ne fanno secondo me l'interprete ideale per tutto il repertorio di fine dei decenni a cavallo del cambio-secolo. E questo concerto sembra dipinto su di lui perchè mancano totalmente episodi che richiedano interventi ruvidi mentre sono ricchissimi quelli di pieno lirismo con cambi di scene sempre molto delicati.
    E' un concerto molto lontano da quello di Brahms ma ne ha i colori. Mancano i temi malinconici di Mendelssohn ma il materiale tematico è di una ricchezza e di una varietà straordinarie.
    Il secondo movimento in particolare.
    Mentre il finale è un rondò dove il solista suona in punta di dita, veloce ma senza forzare con l'orchestra che pizzica prima di entrare di forza.

    lei è sensazionale e approfittiamo anche per farle gli auguri per il compleanno appena passato 
    Arriviamo al Burleske, la composizione più straordinaria di Strauss, a mio parere e forse tra le più originali della storia del concerto per pianoforte.
    Nasce nella testa di Strauss a Meiningen dove diventa assistente del celebre direttore Hans Von Bulow che gli presenta Johannes Brahms.
    La composizione è piena di Brahmsschwarmerei ovvero di Entusiasmo Brahmsiano, qualche cosa che non si può imitare e che si deve possedere.
    Ne aveva in abbondanza Strauss che costruisce in un solo movimento di 20 minuti una sorta di concerto per pianoforte, timpani e orchestra, una crasi tra i due concerti di Brahms, senza metterci i toni scuri del 1° (estranei all'indole olimpica di Richard) né quelli aulici del 2° (unici in tutta la storia della musica) ma iniettando la brillantezza di un carattere aperto nei suoi 22 anni.
    Prima esecuzione con Eugen d'Albert al piano - il più famoso concertista dell'epoca e non a caso grande amico di Johannes Brahms, perchè è in questo humus che questa composizione è nata. Bulow si rifiutò di dirigerlo perchè lo ritenevo un pezzo di una difficoltà impossibile ed inutile da studiare.
    Cosa che per Strauss apparve una sfida, prima di quelle più celebri con Mahler. E ovviamente diresse il suo pezzo da solo.
    Il lungo e fitto dialogo tra il piano e l'orchestra viene scandito dai colpi di timpano per tutta la composizione, quasi a dirgli qualche volta stai zitto, quando prende il sopravvento ed esclude l'orchestra dal fraseggio, senza che ci siano delle cadenze formali.
    In questo sta probabilmente il carattere di Burla, tipico di Strauss, comune con alcuni dei suoi poemi sinfonici.
    Il solista deve possedere il carattere necessario per interpretare con il giusto piglio una composizione realmente molto complessa ed impegnativa e che richiede tanti cambi di passo. Non a caso tra i pochi pianisti ad avere in repertorio il Burleske di Strauss c'è Martha Argerich oltre a Byron Janis e Sviatoslav Richter, pianisti cui certo non difetta il carattere.
    Questa edizione che è quella sonicamente migliore in mio possesso, dura 2 minuti pieni di più di quella storica, diretta dallo stesso Strauss a Londra nel 1947 (Testament), qualche secondo meno di quella di Byron Jani e Fritz Reiner del 1957, un minuto in più di quella - bellissima - di Marc-André Hamelin per l'Hyperion.
    Ma è anche quella più intonata al resto del programma e nel complesso in questo momento tendo a preferirla e a consigliarla (ne possiedo altre ma al momento non esagererei con i confronti).
    Concludendo un bellissimo disco, nella tradizione Chandos cui ogni proposta è sempre di grandissima qualità.
    Qui siamo lontani dalla tradizione britannica cui la casa è sempre legata ma i suoi musicisti mettono le loro migliori qualità al servizio di musica che non esito a definire meravigliosa, sebbene non contenga messaggi filosofici trascendentali ...
    Suono e ripresa perfetti. Disco consigliatissimo sotto tutti i punti di vista.
  7. M&M

    Interpreti
    Sviatoslav Richter durante le prove di un concerto di Mozart sotto l'occhio attento dell'amico Benjamin Britten sul podio della English Chamber Orchestra

    Sviatoslav Richter davanti alla videocamera di Bruno Monsaingeon racconta di come ha perso l'orecchio e deve accontentarsi di leggere la musica per suonarla.
     
    Cade oggi il compleanno di Sviatoslav Richter, pianista che possiamo continuare tranquillamente a definire sovietico senza troppi timori di non essere trendy.
    Nato il 20 marzo 1915, a Zytomir, allora Impero Russo, da madre proveniente da una ricca e nobile famiglia terriera e padre di chiare origini tedesche.
    Spostatisi ad Odessa durante la rivoluzione, Sviatoslav racconta dell'infanzia in semi-povertà, della sua occupazione di accompagnatore di film muti e di cantanti d'opera al teatro lirico cittadino, pur senza una istruzione formale.
    E di come i comunisti andarono a prelevare il padre . che non rivide più - di notte, nel 1941, all'invasione tedesca della Russia. Della demolizione del campanile di una delle chiese più belle della città.
    Ma per questo vi invito a vedere il documentario un pò triste girato da Monsaingeon negli ultimi mesi di vita di Richter.
    L'istruzione formale Richter la ebbe al Conservatorio di Mosca, dove arrivo già adulto e formato e dove venne ammesso nella classe di Heinrich Neuhaus senza l'esame di ammissione previsto.
    Neuhaus, nato in una cittadina tra Zytomir e Odessa, di famiglia austriaca, sarà anche il maestro di Emil Gilels, altro gigante del pianismo sovietico, nato ad Odessa.
    Costituirà l'anello di congiunzione che ci permette di legare Richter (e GiIels) al pianismo occidentale, il maestro di Neuhaus, fu suo zio Felix Blumenfeld, pianista di origini austriache, zio di Karol Szymanowsky e dello stesso Neuhaus, nato non incidentalmente, a Cherson.
    Richter vincerà nel 1949 il premio Stalin, di cui suonerà l'elogio funebre al funerale di stato nel 1953 (a poca distanza dagli amici Gilels e Rostropovich). Nel 1960 farà il primo viaggio in occidente, durante gli anni della distensione culturale tra URSS, Europa e Stati Uniti. Eseguirà prime assolute di Prokofiev e di Shostakovich.
    Nella nostra mania classificatrice, Richter viene inserito nella nobile stirpe di pianisti che vanno da Liszt, Busoni, appena dopo il conterraneo Horowitz ed è tuttora, a dispetto della morta che già lo allontana nel tempo da noi (avvenuta nel 1997), considerato tra i più grandi pianisti di tutti i tempi.
    Io lo ricordo bene, avendo avuto la fortuna di vederlo due volte al Conservatorio di Milano, con tutta la sua statura e camminatura dinoccolata a dispetto degli anni e degli acciacchi, avvicinarsi al pianoforte al buio, con una lampada da tavolo ad illuminare lo spartito, assistito da un voltapagine.
    E' stato un poeta della tastiera, a volte proprio titanico con tutta la forza di spalle e polsi caricata sulle lunghe dita. Ma dal volto fragile, capace di stecche clamorose da cui non si riprendeva.
    Spesso un forzato del concerto, condotto ovunque nel mondo, trasportato per le vie di ogni città. In Italia, si é esibito spesso e sovente, anche in manifestazioni che probabilmente non lo meritavano.
    Modesto, schivo, taciturno. Amico di tutti ma senza farlo troppo notare. Serissimo.
    Il lo ricordo così, come in queste due fotografie :


    mentre studia e sogna come quei segni neri sulle pagine bianche possano essere trasformate ... in altrettanti sogni concreti.
    Le registrazioni di Richter, ufficiali e non, sono innumerevoli. Anzi, di più.
    Quando compravo CD credo di averne collezionati più di 600. Ma tanti me ne mancavano.
    Non ho l'ardire né la voglia di compilarne qui una lista degli imperdibili o degli essenziali.
    Anzi, come mio solito, preferisco fare scelte meno en vogue. Per avere liste complete basta afferrare Google o Qobuz, non è questo il mio scopo.
    ***
    Comincio da un disco che amo tantissimo, non troppo celebrato, peraltro di un concerto trascurato in sala da concerto ma era nel repertorio di Richter abbastanza stabilmente.
    A proposito, nonostante le centinaia di registrazioni e le migliaia di concerti, il repertorio di Richter non era affatto sconfinato, erano selezioni personali.
    Non mi pare che abbia mai fatto integrali, nemmeno degli autori più amati.
    Non troverete mai niente di completo nei dischi di Richter. Né di ripetitivo. Ci sono interpretazioni dello stesso brano che stanno nell'olimpo del pianismo di tutti i tempi, ed altre, sempre dello stesso brano, in un altro momento e in un altro luogo, quasi inascoltabili.

    Dvorak, concerto per pianoforte e orchestra
    Alla guida della Bavarian State Orchestra, l'inarrivabile Carlos Keliber, Emi/Warner 1976, qui ripresentato in edizione corrente via Qobuz

     
    Chaikovsky, concerto n.1 per pianoforte e orchestra
    Herbert von Karajan sul podio
    Non so come sia stato l'incontro tra l'algido "tedesco" Richter e l'istrionico greco-austriaco Karajan che si imponeva su tutti i suoi pianisti.
    Questo disco fa parte della serie registrata al suo primo viaggio in occidente da Richter. Con alcune compagini di dubbia qualità ed altre di livello assoluto.
    Questa lettura è alla Karajan, piuttosto rallentata, con note scandite, potenti, possenti.

    il disco che mi ha fatto innamorare di Richter.
    Per anni non ho trovato qualche cosa che si potesse avvicinare (nonostante il mio approccio a Brahms sia venuto proprio con il 2° concerto, ai bei tempi ...)
    Chicago, 1960, primo viaggio di Richter negli Stati Uniti.
    Il Secondo di Brahms, con Leinsdorf e la Chicago Symphony.
    Nelle recensioni dell'epoca questa lettura viene definita "lavish" ed ancora oggi tiene, sia per la qualità della registrazione da parte di RCA Victor che del grande vigore di tutte le parti in causa !
    Ma questi sono capisaldi della discografia, andiamo un pò controcorrente

    Benjamin Britten : concerto per pianoforte orchestra Op. 13
    Richter, Britten, English Chamber Orchestra, Aldemburgh, 1970
    Registrazione un pò secca e con le alte frequenze un pò taglienti, ma l'eloquio e il colloquio tra i due grandi musicisti si sente ad ogni nota

    come è eccezionale il concerto registrato dalla BBC dei due grandi amici alle prese con il meglio di Schubert.
    La Fantasia D940 è da accaponare la pelle.
    L'ho esclusa volutamente dal mio articolo su questa grande composizione, perchè fuori classe.

    altro incontro titanico, con Mravinsky e la Filarmonica di Leningrado, qui nel 1° di Chaikovsky che esiste in svariati riversamenti a partire dal materiale originale Melodjia.
    C'è anche un 2° di Brahms molto ma molto meno estroversa di quella "americana"

     

    questo disco - che da ragazzo ascoltavo solo in cuffia per evitare che in casa mi guardassero "strani" - è quello che mi ha avvicinato ad Hindemith per il suo approccio semplice, piano, assolutamente naturale.
    Come se quella musica contorta potesse in qualche modo essere dipanata e resa ascoltabile.
    In particolare il Ludus Tonalis che è una straordinaria dimostrazione di competenza armonica, non necessariamente " da concerto ".

    andando sulla cameristica, sinceramente io non riesco ad innamorarmi di un'altra versione del Quintetto di Shostakovich - che è una delle mie composizioni predilette di tutto il '900 - come quella data da Richter con il Quartetto Borodin, qui in questa registrazione dell'integrale da Melodjia.
    La prima ripresa dopo l'apertura del preludio con il pianoforte che porta la melodia e il violoncello che lo accompagna mi lascia sempre senza parole.
    Restando su Shostakovich, le due sonata, violino e viola, sono rese in modo tale da dimostrarne la vicinanza con l'humus in cui sono state scritte

    Richter a destra, Shostakovich al centro, il grande Oistrakh, a sinistra, alla prima della sonata per violino e pianoforte nel 1969

    e qui in una delle tante edizioni delle due sonate, con Oleg Kagan e Yury Bashmet, amici di sempre di Richter.
    Tralascio il Beethoven con Rostropovich, forse un pò troppo smaltato ma ci sono innumerevoli dischi in cui Richter accompagna vari grandi solisti russi in un rapporto di assoluta amicizia e parità di scena, riprese in tutte le parti del mondo, da Firenze a Tokyo.

    c'è poi una serie dischi italiani di Stradivarius, registrati durante gli ultimi concerti di Richter dalle nostra parti.
    Non esaltanti per la ripresa e per il tocco, oramai di un Richter molto vecchio e stanco ma non per questo meno interessanti.
    Il Bach di Richter è molto romantico, a metà strada tra quello tedesco ante-filologia e quello tradizionale russo alla Rachmaninov.
    E altri innumerevoli esempi che magari metteremo insieme nei commenti.
    Vorrei invece chiudere con il meno estroverso Saint-Saens che possiate trovare in questo disco Melodjia
     
    che io trovo straordinario.
    Questo è un ricordo, un omaggio, un pensiero al più grande che io abbia mai ascoltato dal vivo.
  8. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Charles Ives, sonata n. 1 (1910)
    Béla Bartòk, improvvisazioni su canzoni paesane ungheresi Op. 20 (1920)
    Olivier Messiaen, Cantéyojaya (1949)
    Bach, Aria variata alla maniera italiana (1709)
    Influences
    Tamara Stefanovich, pianoforte
    Pentatone 2019, 96/24
    ***
    Programma molto impegnativo per questo esordio.
    L'interprete nelle note di copertina e nelle interviste pone l'accento a considerazioni autobiografiche (le influenze di cui parla, i paesi e le origini che hanno caratterizzato la sua vita e quella dei suoi cari).
    Sinceramente poco importa leggere queste "influenze", la scelta va su un repertorio decisamente moderno ma per nulla relato e si conclude con il Bach all'italiana che resta comunque Bach così come gli altri tre autori sono e restano assolutamente tipici ed originali e totalmente slegati dalla tradizione musicale classica.

    Il piglio è solido anche quando si avvicina a composizioni ostiche come la sonata di Ives. Per nulla sonatistica a dispetto di quello che vogliono dire i critici (penultima sonata romantica ?), alterna ritmi ragtime ad influenze jazzistiche, con rari momenti di cantabilità in un mare di atonalità. Si sentono richiami tipicamente americani che si perdono però rapidamente in tentativi di polifonia dissonanti.
    Come interpretare questi 41 minuti di canzoni americane rivisitate da un Pollock della tastiera andrebbe ben oltre le mie capacità di immaginazione, eppure ci sono momenti veramente potentemente espressivi.
    Il Bartòk di questo disco è quello intimo delle radici popolari ungheresi, portato dalla pianista senza troppa indulgenza sentimentale come chiaramente pretende l'autore. Le melodie sottostanti si intuiscono ma il gioco delle improvvisazioni le smaterializza in un gioco di suoni.
    Effettivamente la settima - come dice il libretto - ha una evocazione debussyana ma non mi riuscirebbe di definirla oltre. Evocazione, appunto, ma né tributo né memoria.

    Interessanti gli esperimenti ritmici di Messiaen che per 12 minuti conducono il pianista (e l'eventuale ascoltatore, perchè non sono così convinto che si tratti di un pezzo "da concerto") per temi e improvvisazioni, citazioni, ritmi e cambi di ritmo.
    Qui la Stefanovich ha garbo quando invece si sarebbe più semplicemente portati ad indulgere sull'ossessività dei cambi di velocità per strappi rapidi, ostinando di più le ripetizioni rispetto ai toni.

    Preparata, allo stesso modo, con tonalità molto morbide, definirei mite, l'Aria di Bach, cantabile, sussurrata, senza nessuno staccato.
    Anche qui sono i cambi di ritmo - e questo crea il vero legame interpretativo di tutte queste altrimenti molto eterogenee composizioni - caratterizzano tutte le variazioni.
    Senza forzare, praticamente senza forti. Con la mano sinistra che asseconda la destra senza forza ma restando comunque sempre udilissima.
    Fino all'ultima variazione, molto intimista, dopo accelerazioni e veloci cambi di tempi nelle precedenti.
    Un disco complesso, impegnativo da ascoltare ma assolutamente encomiabile, ben più dell'ennesima inutile raccolta di sonate beethoveniane su cui difficilmente si troverà qualcosa da dire di nuovo o su un improbabile disco schumanniano di cui non si mostra di comprendere nemmeno la decima parte della sua reale essenza.
    E' un disco che non mi sento di raccomandare alla leggera, non perchè non meriti ma perchè estremamente particolare.
    Lei é molto brava, molto garbata e sensibile e i mezzi non le mancano pur se non è ostentarli il suo obiettivo.
    La ascolteremo molto volentieri ancora se qualche etichetta vorrà seguirla.
    Suono chiaro e pulito, senza nessun riverbero o alone, frequenze equilibrate.

  9. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Amy Marcy Cheney Beach : Sonata per violino e pianoforte Op. 34 (1896)
    Clara Schumann : tre romanze per violino e pianoforte dedicate a Joseph Joachim (1853)
    Ethel Smyth : Sonata per violino e pianoforte Op. 7 (1887)
    Amy Marcy Cheney Beach : Romance Op 23 (1893), Invocation Op. 55 (1904)
    Tasmin Little, violino
    John Lenehan, pianoforte
    Chandos 2019, registrazione in formato 96/24
    ***
    ll disco porta Clara Schumann come autore di richiamo ma nella realtà sono le altre due dame a tenere la scena.
    Di Clara ci sono le celebri tre romanze dedicate all'amico (di Robert, di Clara e di ohannes) violinista Joseph Joachin e composte nel 1853, l'estate prima del definitivo ricovero di Robert.
    Ma Clara è legata ad Ethel Smyth. Sia Clara che Johannes incoraggiarono negli studi e nella carriera l'inglese Ethel Smyth, contro il volere del padre.
    Più flebile il contatto con Amy Beach, americana di buona famiglia. Ma forse basterebbe l'anno di composizione della sonata presente in questo disco, datata l'anno della morte di Clara.
     
    Il programma è profondamente romantico, diciamo di matrice schumann-brahms se è consentito intenderci sui termini.
    Non lo si legga in termini riduttivi. La stessa Clara Schumann per tanti anni ha potuto affermare la sua arte anche come compositrice, in una stagione in cui lo spazio per le musiciste era limitato. Per la grande musicista che era e non per essere moglie e amica di due dei più grandi musicisti tedeschi di tutti i tempi.
    Ma la musica raramente esce fuori dal proprio tempo e in questa prospettiva va letta.
    Le tre romanze di Clara Schumann sono state eseguite in vita da Clara stessa insieme all'amico Joachim e sono poi uscite dal repertorio fino ai giorni nostri. Sono concepite esattamente come vuole il genere, romanze senza parole in cui il violino si sostituisce al canto - generalmente sopranile - e in cui la melodia è portata appunto, cantando. Il lirismo è massimo e in questo si riconosce sia il gusto di Clara che quello del dedicatario, Joachim, uomo profondamente sensibile.
    Le mie preferite sono la 2 e specialmente la 3.
    La sonata di Amy Beach è molto bella e si muove tra toni drammatici a tratti solenni, e leggeri (lo scherzo), per tornare nostalgici (brahmsiani ma questo torna ad essere un aggettivo inteso con merito) nel largo "con dolore" e finire con grande vigore.
    La scrittura pone i due strumenti su piani di quasi- parità come di prassi all'epoca.
    Più salottiere la romanza e l'invocation finali, quest'ultima molto lirica.
    La sonata di Ethel Smyth, anche essa in la minore, sembra meno matura, procede con gli stessi passi di quella di Beach, è certamente molto interessante, forse sono io che non riesco a cogliere il momento in cui la tessitura spicca il volo, la ascolterò ancora.
    Tasmin Little è probabilmente la più solida violinista inglese della sua generazione, suona con vigore e molto fuoco un Guadagnini del 1757 ed ha il gusto di selezionare sempre un repertorio di qualità e molto ricercato, coadiuva ottimamente in questo dalla Chandos che è sempre alla ricerca di occasione per valorizzare il repertorio anglosassone in parte perduto.
    E' accompagnata da un pianista che si distingue sempre per il suono preciso e incisivo, John Lenehan, che è solito accompagnare altri grandi solisti in tutti i teatri del mondo.
    Registrazione ineccepibile come da prassi per Chandos.
    In estrema sintesi un disco molto, molto interessante. Romantico al 100% - non aspettatevi accenni di '900 in questo disco - di musiciste che da noi sono poco o per nulla frequentate.
  10. M&M

    Recensioni : violino
    Telemann senza basso (lavori per 2 e 4 violini senza basso continuo)
    Imaginarum Ensemble, The Shard Band guidata da Enrico Onofri (violino)
    passacaille 6 gennaio 2023, formato 96/24, via Qobuz
    ***

    il programma del disco, rimarchevole la trascrizione per 2 violini della sonata per flauto e violino TWV 40.111
    la formazione con i quattro violinisti

    il leader, Enrico Onofri

     
    Telemann è un musicista particolare, famosissimo in vita, dimenticato nei secoli successivi (era una quasi esatto contemporaneo di Bach e Handel), autore di tantissima musica, multiforme di tutti i generi.
    E' oggetto abbastanza recente di rilettura critica da parte di musicisti che ne stanno rendendo un profilo più approfondito.
    Io ho scoperto le cantate - almeno alcune delle cantate sopravvissute - come musica di primo rango.
    Altre composizioni mi lasciano un pò freddino. E' il caso delle fantasie per violino solo, forse perché il riferimento (con Bach) è inarrivabile.
    Qui abbiamo musica piacevole, per formazioni di violini, in forma di duetto o di concerto, a due e a quattro.
    Che all'apparenza sono stucchevoli ma che al secondo ascolto invece prendono, nonostante la registrazione sia proprio tutta sul registro "sharp" come il nome della band.
    Le note, anche in italiano a firma dello stesso Onofri e di Stefano Aresi, ben descrivono il programma musicale "fatto di scherzi, imitazioni, galanti duelli amorosi ed inseguimenti in un vuoto senza basso".
    Che è effettivamente causa del primo disorientamento. Aggiungendo una parte di continuo e il raddoppio di alcune parti, avremmo dei concerti alla Vivaldi.
    Ma il pubblico di queste composizioni - copiose nel catalogo di Telemann - era quello degli amatori, non dei professionisti che si esibivano in pubblico.

    Quindi formazioni amatoriali, per lo più a livello familiare, composte in modo disomogeneo in termini di qualità e livello esecutivo.
    Musica abbastanza semplice ed eseguibile facilmente con strumenti differenti a seconda della disponibilità.
    Addirittura con la facilitazione di trasposizione di chiave, già in lettura, per passare, ad esempio, dal violino al flauto a becco.
    Quindi struttura semplice, forme a canone anziché fugati, imitazioni per terze, divertissement in gusto francese, che era la lingua colta imperante in tutta Europa a quell'epoca.
    Di consumo, non destinata a magnificare le doti del compositore ma, piuttosto, la borsa  con la vendita delle stampe.
    Però non mancano soluzioni interessanti sul piano architettonico e compositivo, come il duetto n. 3 e in tutti i concerti a 4 violini.
    Questi, nella loro brevità, offrono comunque quattro movimenti e sono particolarmente concentrati di idee.
    Per il piacere di suonare insieme, alla breve, con le dita sulle quattro corde dello strumento.
    I violini sono strumenti italiani, originali o copie, dal suono chiaro e perfettamente amalgamato.
    Della registrazione ho già accennato : secca, chiara, brillante.
    Ma del resto, è un Telemann senza basso ...
  11. M&M
    Telemann : concerti per viola, ouvertures, fantasie, sonate
    Antoine Tamestit, viola
    Akademie fur Alte Musik Berlin
    Harmonia Mundi, 7/1/2022, formato HD, via Qobuz
    ***
    Telemann era considerato ai suoi tempi il "più grande compositore vivente", forse per la enorme quantità delle sue opere, in larga parte di servizio.
    Per lungo periodo poi è stato trascurato e unanimemente considerato un compositore di routine.
    Salvo poi sorprendere quando il recupero di alcune sue opere viene fatto da musicisti che sanno metterne in risalto le qualità.
     
    In questo vive lo stesso destino della viola, strumento che nell'orchestra oggi sta tra i violini e i bassi e vi si perde. Non ha mai avuto un grande repertorio specifico salvo che nel XX secolo.
    E all'epoca di Telemann solo Bach probabilmente l'amava per quello che era (era lo strumento che suonava nella musica di famiglia, normalmente quella da gamba ma anche quella "da braccio").
    Antoine Tamestit sta sfruttando il suo eccezionale talento per fare ammenda e dopo aver messo in luce quanto di specifico c'è per la viola, vola alla ricerca di qualsiasi altra cosa che possa essere nobilitata.
    Nella realtà fu proprio il negletto Telemann a scrivere il primo vero concerto per orchestra con viola solista. Il Concerto in sol maggiore TWV 51:G9 in quattro movimenti si trova come secondo pezzo di questo disco, anticipato dalla Ouverture Burlesque, una buffa composizione fatta di danze ispirate alle maschere italiane della Commedia dell'Arte.
    Ma nella realtà il pezzo forte di questo disco di circa 70 minuti è nelle composizioni per viola sola, in particolare le due fantasie TWV 40, in tre e in quattro movimenti.
    Segue la bellissima "sonata canonica" per due viole in re minore - sempre TWV 40 ma al numero 121 - con le due viole che si inseguono tra loro con brillante imitazione (la seconda vuole è suonata da Sabine Fehlandt). Il termine canonico sta appunto ad indicare che le due viole si inseguono a distanza di una terza tra loro.
    Questa sonata ha una larghezza di modulazione superiore alle fantasie, perchè concepita per strumenti come la Stradivari 1672 che suona Tamestit, mentre le fantasie mancano del registro inferiore, perchè probabilmente pensate per strumenti più simili ai violini.
    Il disco poi aggiunge un ulteriore ouverture - sempre alla francese, dal titolo "Le changeante" e si chiude con un concerto finale ancora per due viole, molto morbido e meno brillante delle due ouverture.
    Una proposta interessante da parte di un solista che però ci ha viziati con ben altre proposte.
    Registrazione chiara, un filo secca ma è tipico della formazione berlinese.
  12. M&M

    Interpreti
    Schubert, Siszt : Excursions
    Teo Gheorghie, pianoforte
    Musikkollegium Winterthur, diretto da Douglas Boyd
    Sony Classical, 2015, via Qobuz
    ***
    La recensione di questo disco è incidentale.
    Si tratta di un disco del 2015 che comprende "il solito" collegamento Schubert-Liszt.
    In questo caso i 4 Imprompus D 899, la Vallée d'Obermann e infine la Fantasia Wanderer S.366 trascritta da Liszt per pianoforte e orchestra.
    I quattro Impromptus sono condotti con grande disinvoltura e anche una certa audacia. Tempi rapidi, ritmo giocoso, grande lirismo. Tutto quanto fa questi piccoli pezzi delle vere gemme della letteratura pianistica.
    Nulla che possa far impensierire Schiff o Sokoloff.
    Ma ricordiamoci che Teo Gheorghiu nel 2015 aveva 23 anni. Anche se suonava da quando ne aveva 5 e già a 12 anni aveva esordito con l'orchestra (e il concerto di Schumann).
    Ma poi arriva una strepitosa e matura Vallée d'Obermann. Intensa per tutti i suoi 12:21 minuti, con momenti di passione elevatissima che raramente ricordo in pianisti di questa età.
    E per finire la brillante esibizione con l'estroversa Wanderer, resa, ovviamente, roboante e trombonosa dal nostro Liszt.
    Un bel disco. Degno di darvene nota.
    Perciò mi viene voglia di guardare che altro ci sia online.
    Non trovo tantissimo. L'ultimo disco è Roots, che richiama le radici culturali del pianista (nato a Zurigo ma chiaramente di famiglia rumena)

    un interessante disco Claves che però contiene più che altro musica spagnola (non proprio la mia passione) di cui l'interprete parla allegramente, raccontandoci che ha preso ispirazione dal pedalare in bicicletta per Francia e Spagna per "letteralmente" migliaia di chilometri (2020)

    un Dvorak da camera col Carmina Quartet

    e niente più.
    Ma me lo ha segnalato mia madre dopo averlo ascoltato alla Radio Svizzera in un programma con Scriabin, Schumann e Chopin.
    E dove sarà mai quella musica ?
    Cazzo, questo fa un concerto ogni 10 giorni e non ci sono tracce discografiche a disposizione.
    E anche Youtube è poverissimo.
    Trovo questo disco, esaurito, di quando aveva 14 anni

    ma questo è Vitus !
    Vitus è un film svizzero tedesco che racconta degli esordi di un bambino prodigio dotato di intelligenza superiore che si finge malato per togliere pressione da parte della famiglia e intanto giovare col nonno (uno straordinario Bruno Ganz).
    Capace di salvare il padre dal tracollo finanziario giocando in borsa con una società di facciata sul mercato dei future.
    E di incantare la ragazza - molto più grande di lui - di cui si è innamorato.
    Il protagonista, della parte oltre che, ovviamente, di tutta la colonna sonora è proprio Teo Gheorghiu.
    Vincitore di premi internazionali, incontrato dal Principe di Galles insieme a pochi altri allievi di una prestigiosa scuola londinese.
    Capace di suonare praticamente qualsiasi cosa con un equilibrio perfetto tra chiarezza di dizione - anche nei passaggi più difficili - e di pura passione musicale.
    Un poeta. Ma potente !
    E mentre risuona con potenza la sua - sensazionale - lettura della Vallèe d'Obermann, mi chiedo che cosa ci stiamo perdendo.
    Cosa si sta perdendo questa generazione di musicisti - almeno quelli che se lo meritano - senza il tempo di pensare e di registrare, lasciando un segno della loro arte.

    la colonna sonora del film Vitus del 2006
    la locandina del film

    e l'attuale Teo, mezzo santone indiano e mezzo funambolo della tastiera

    incantatore alle prese con qualsiasi repertorio


     
    Speriamo trovi il tempo di fermarsi e di lasciarci qualche cosa, almeno per noi che non possiamo andare a sentirlo in sala da concerto ...
    Perché veramente, ascoltatelo in questi pochi dischi che abbiamo, a 30 anni è strepitoso.
    Ma lo era già a 12 e a 22.
    Chissà cosa sarà tra 10 o 20 anni !
  13. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Beethoven e Sibelius, concerti per violino e orchestra
    Christian Tetzlaff, violino
    Robin Ticciati alla testa della DSO Berlin
    registrazione Ondine 2019, formato 96/24
    ***

     
    Mi sono preso più tempo del solito nell'ascolto di questo disco. L'ho portato anche in auto in queste settimane e l'ho ascoltato tante volte.
    Tetzlaff a 53 ha raggiunto una maturità personale e artistica che merita tutto il rispetto possibile.
    E Robin Ticciati - non solo secondo me - rappresenta il meglio della sua generazione direttoriale (insieme, purtroppo, a pochissimi altri).
    Il giudizio in estrema sintesi è che avrei voluto essere in sala semmai qualcuno avesse autorizzato un programma così ricco per gli spettatori e così impegnativo per il solista.
    Unire due dei più importanti concerti per violino della storia può solo far tremare i polsi se uno non ha il cuore forte.
    Ma se Ticciati si sta facendo una fama anche come accompagnatore di solisti, Tetzlaff è nella seconda fase della sua carriera.
    Qui siamo addirittura alla terza registrazione del concerto di Beethoven e alla seconda di quello di Sibelius.
    Saranno le ultime e definitive ?
    Credo di si, più che altro per ragioni editoriali/discografiche. Ma forse anche perchè difficilmente nella vita un solista può trovare altro da dire che non abbia la capacità di esporre a questa età.
    E' quello che penso, almeno, delle suite e partite di Bach, pubblicate per la terza volta da Tetzlaff ad inizio anno e secondo me la migliore prova in disco di questo straordinario interprete.
    Che è freddo di carattere, senza dubbio. E che soffre di una patologia dolorosa alla mano che per il violinista è quella fondamentale.

     
     
    Maturità e rispetto per il testo e soprattutto l'autore, con a fianco un custode della tradizione europea, pronto a riportare il solista per la strada maestra se questo dovesse andare fuori giri è quanto osserviamo nel concerto di Beethoven.
    Il primo movimento è arrembante quando serve - quasi militaresco, con echi, tra timpani, fiati e corni, dell'Eroica e delle marce equestri cui Beethoven spesso indugiava - e pacato quando ci vuole.
    Il rispero è ampio, solenne, virilmente sostenuto.
    Tetzlaff anche qui usa le cadenze originali scritte da Beethoven ... per la trascrizione del concerto per violino commissionata da Clementi al pianoforte.
    Quella con i timpani obbligati, per intenderci.
    Praticamente un movimento allegro di sonata sola e capace di identificare perfettamente il taglio dell'interpretazione.
    Che è personale, robusta, sostenuta nel lunghissimo primo movimento.
    Il lento seguente è ben condotto dalle parti, senza lasciare un attimo di ... noia all'ascoltatore (un rischio che nella realtà in questa partitura c'è, di un movimento messo li tra due pezzi di bravura).
    Il trio finale è mio gusto il più straordinario della storia di questo concerto. Bello dalla prima all'ultima nota.
    Questa interpretazione è il nuovo riferimento.
    Purtroppo no. Abbiamo sempre di meglio.
    Ma siamo a livelli difficilmente avvicinabili da altri interpreti di questi anni.
    Per Sibelius siamo a livelli altissimi ma spesso sembra che Ticciati sia più nel mood di Tetzlaff.
    Sinceramente non credo che questo concerto sia il più vicino al suo temperamento (come non lo è, secondo me, di quello di Kavakos che però lo considera il suo cavallo di battaglia). Manca del tutto quella sensualità e quel rapporto carnale nella ricerca del suono giusto in ogni nota che riconosciamo dal primo momento in Heifetz o nella Jansen che in queste pagine fanno cantare il loro violino commuovendo alle lacrime gli ascoltatori.
    Ma c'è tutto l'ardire, la forza, l'arte di un grande violinista. E la prova risulta in ogni caso molto convincente, specialmente nel terzo movimento.
    In conclusione un ottimo disco, ben condotto, ben suonato, ben registrato che vale i soldi pretesi.
    Da tenere come alternativa ad altre incisioni e come promemoria per quello che verrà in futuro.
    Ah, se una sera mi proponessero questo programma dal vivo, con loro due e un'orchestra ispirata.
     
    Beethoven ci azzecca con Sibelius quanto il Lambrusco con la Vodka ? Verissimo, ma proprio per questo ...
     
    Alternative :

    L'edizione prodotta da Arte Nova Classics con David Zinman alla testa della Tonhalle Orchestra Zurich nel 2006
     

    L'edizione del concerto di Sibelius registrata con Thomas Dausgaard per la EMI/Virgin nel 2002
    Riferimenti :
    Beethoven : Itzhak Perlman con Giulini o Barenboim
    SIbelius : Janine Jansen con Christoph Eschenbach, Jasha Heifetz con chiunque ci sia sul podio

  14. M&M

    Recensioni : Vocale
    The Gasparini Album, arie di Francesco Gasparini
    Roberta Invernizzi
    Auser Musici diretta da Carlo Ipata
    Registrazione dell'agosto 2016 a Pisa, pubblicata da Glossa nel 2018
    Formato 96/24
    ***
    Francesco Gasparini, chi era costui ?
    Contemporaneo di Alessandro Scarlatti, nativo di Camaiore, attivo a Roma dove venne ammesso nella Congregazione di Santa Cecilia.
    Maestro di Cappella per il Principe Ruspoli e molto vicino al Principe Marcantonio Borghese.
    Autore di 61 opere - quelle conosciute - e considerato tra i più grandi musicisti della sua epoca.
    Grande didatta con all'attivo varie pubblicazioni erudite, oltre che maestro di Benedetto Marcello e Domenico Scarlatti.
    Compositore raffinato, sebbene non alla moda come molti suoi più giovani contemporanei.
    Tanto che ne abbiamo perso la memoria ed è un peccato.
    Benemerito, in questo senso, il lavoro di Carlo Ipata che ci propone questa antologia di arie d'opera interpretate da Roberta Invernizzi.
    Devo ammetterlo ancora, io stravedo per il garbo e la voce, la dizione perfetta e l'assenza di enfasi inutili della Invernizzi, tanto che se cantasse le canzoni di Nilla Pizzi, le amerei come ho amato ogni sua incisione.
    Suono chiaro e ben articolato, bella l'orchestra del tutto priva di asprezze. Voce in primo piano ma non fastidiosa.
    Questo disco è prezioso, bello e ricco. Uno scrigno di tesori che ogni amante del barocco dovrebbe tenere in grande considerazione.
    Raccomandatissimo e presente nella mia personale short-list del disco dell'anno 2018.
  15. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    The Handel Project : Seong-Jin Cho, pianoforte
    DG 3 febbraio 2023, formato 96/24
    ***
    Detesto questo uso del termine "Progetto" se non è un vero e proprio progetto di integrale o di riedizione critica o qualsiasi altra cosa di grande respiro.
    Qui abbiamo un semplice tentativo - perfettamente riuscito - di riportare tre suite di Handel sul pianoforte moderno, suonandolo alla Handel e non alla Richter.
    Il parallelo con le "più grandi variazioni per pianoforte mai scritte" (le Handel di Brahms), ci sta. Ma il progetto finisce qui ?
    Speriamo di no.
    Detto questo, il nostro Seong-Jin Cho che avevamo tanto apprezzato in Chopin, sa veramente quello che fa.
    Prende uno Steinwey, evita accuratamente il pedale, suona staccato, con la sinistra che sostituisce il basso continuo e la destra la prima voce, violino, oboe o soprano che vogliate.
    Raddoppia quando serve, rafforza quando di vuole, rallenta quando è necessario.
    Il suo Handel ne esce vincente ed è un peccato che altri non si impegni in questo modo. Perché diciamolo, tranne rari casi, questa musica al clavicembalo è noiosa - non è Bach ! - necessità di aria, vita e chiaroscuri per esprimere tutta la vitalità e la gioia che Handel ha inteso metterci dentro.
    Così come la suona il coreano, con leggerezza, competenza, amore e senza "servizio sacerdotale" come tanti clavicembalisti strettamente osservanti, appare per tutta la bellezza che cela.
    Le famose variazioni sul "l'armonioso maniscalco", per esempio, sono una danza in punta di dita, un gioco di bravura, ritmato, semplicemente sensazionale.
    Etereo e danzante il finale, con il minuetto arrangiato da Kempff .
    E Brahms ?
    In mezzo scorre il fiume.
    Per Brahms, Handel era "il migliore di tutti noi" e persino Wagner arrivò ad apprezzare le Variazioni Handel di Brahms ...
    Anche qui l'interprete danza sulla tastiera, cogliendo così il legame tra il Brahms del 1861 e l'Handel del 1733.
    E' un bell'ascoltare dalla prima variazione sino alla fuga finale che cresce passaggio dopo passaggio.
    Insomma, sulle prime il disco mi era sembrato velleitario. Ma al terzo ascolto è cambiato tutto, si è levato un velo, la chiarezza di tocco e l'onestà di Seong-Jin Cho mi hanno vinto.
    E' veramente un bel tributo. Al di là del progetto ...
  16. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    The Muse : Nino Gvetadze, pianoforte
    musiche di Johannes Brahms e Clara Wieck
    Challenge Classics, 3 novembre 2023, 48/24, via Qobuz
    ***
    Non c'è libretto allegato a questo album, ho cercato sul sito dell'etichetta ed ho trovato il riferimento ad Elisabeth von Herzogenberg oltre ovviamente a Clara Schumann.
    Amiche, confidenti, critiche, capaci di recensire le partiture che Johannes mandava loro in anteprima rispetto alla pubblicazione.
    Entrambe morte prima del povero Hannes.
    Elisabeth, per un paio di lezioni anche allieva di Brahms che però rinunciò subito perché "non aveva nulla da insegnarle".
    Nel programma, le variazioni Handel che sono state in qualche modo ispirate da Clara, le due rapsodie Op. 79, dedicate ad Elisabeth, i tre intermezzi Op. 117, ispirate a Brahms dalla morte di Elisabeth, la romanza Op.21/1 di Clara a chiudere il disco.
    Insomma, d'accordo sul programma, sul nome, sul tema.
    L'interpretazione però non mi pare che si inserirà nella discografia di riferimento per queste opere.
    Se le variazioni sono piacevoli, le due rapsodie mancano un pò di mordente, stentano a decollare e diventano subito ripetitive.
    Le tre ninna nanne (questo sono gli intermezzi Op. 117) a me sembrano soporifere, e solo per questo conciliano il sonno.
    La romanza, non pervenuta.
    Quindi il disco è spiacevole ? No, almeno per la prima parte.
    Per questo ho esplorato la discografia, indiscutibilmente vasta di questa pianista georgiana. Ed ho trovato alcune cose interessanti.
    Però al di là dell'apprezzabile sensibilità di tocco, molto femminile, non mi ritrovo generalmente con i tempi rilassati scelti.
    Per carità, non è che sia sempre necessario fare certe prove di forza dei virtuosi di oggi, però alcune cose pretendono una verve che qui non trovo.
    Certamente è colpa mia.
  17. M&M
    The Queen's Delight - Les Musiciens de Saint-Julien/Francois Lazarevitch
    Fiona MacGown: mezzosoprano
    Enea Sorini: baritono, timpano e percussioni
    François Lazarevitch: flauti, flauti e direzione del complesso

    Alpha 2020, formato 96/24, via Qobuz Unlimited
    ***

    E' un disco di ballate inglesi e danze popolari a cavallo tra il '600 e il '700.
    Include una bella aria variata "italian", cantata in italiano (Enea Sorini).
    Naturalmente non si può negare l'influenza italiana in questa musica, specie considerando il valore dell'opera nazionale in quell'epoca.
    Ma è musica inglese, di radice popolare, universalmente praticata, sia tra la nobiltà che tra il popolo. Non so se effettivamente la Regina se ne sia deliziata ma è certo tutto il resto della popolazione, Principe di Galles incluso, si.
    La ricchezza della musica inglese di questo disco traspare del tutto. E' un momento di passaggio tra l'austera fase di musica di rigorosa matrice religiosa dei Tudor, attraverso l'era degli Stuart, verso la Gloria degli Hannover.
    Tanto che pur di matrice puramente isolana (non solo inglese ma anche scozzese, irlandese, gallese) queste danze hanno raggiunto fama anche in Francia e nel resto del Continente Europeo, fino ad oggi.
    Le conoscono molto bene i Musiciens de Saint-Julien ottimamente intonati che ne danno una immagine viva ed attuale, come la vediamo spesso anche nei film di ambientazione britannica.
    L'impulso ritmico è eccellente ma soprattutto lo è il colorato strumentario cui partecipano, secondo la regola di queste compagini, tutte le parti.
    Così Enea Sorini, baritono che dà la voce all'aria "Fuggi, fuggi, fuggi" (prima parte del '600) si occupa per tutto il disco delle percussioni e del timpano.
    Le conoscono anche perchè gli inglesi hanno raccolto questa musica popolare e ne hanno pubblicato la musica in una raccolta già nel 1651, un fatto piuttosto raro, forse per la relativa pochezza della musica istituzionale indigena del periodo ma non per questo rende meno importante il fatto.
    I brani di danza per lo più vivono di "ostinato" a servizio dell'intrattenimento, quando non c'è prosa.
    Non dimentichiamo comunque che oltre a brani celeverrimi ("Drive the cold winter away"), qui ci sono molte pagine firmate da Henry Purcell.
     
    Registrazione chiarissima con tutte le parti in assoluto primo piano. Una gioia seguire ognuna.
    Ottimi gli strumentisti, perfette le voci.
    Un disco semplicemente eccellente e mia scelta per questo mese (la pubblicazione è del 2/10/2020).

     



    Modificato 4 Ottobre 2020 da Florestan

  18. M&M

    Recensioni : Vocale
    Mozart : The Weber Sisters
    Sabine Devieilhe, soprano
    Ensemple Pygmalion diretto da Raphael Pichon
    Erato 2015, formato CD
    ***
    Non si tratta di un semplice recital. Anche perchè è registrato direttamente per il disco, non in esibizione pubblica.
    In una chiesa.
    Ogni dettaglio di questo grande disco è pensato per il tema.
    Il rapporto di Amadeus con le sorelle Weber. Delle quattro sorelle, tre erano soprani. Cantanti con caratteristiche differenti tra loro. E almeno due, Aloysia e Costanze, molto vicine ad Amadeus e ottime musiciste. Nonostante molte sciocchezze che si sono lette o viste.
    Il disco è diviso in quattro capitoli.
    PROLOGUE : LA CONFIDENCE NAÏVE, OU L’ATTENTE
    L'Ensemble Pygmalion suona per la prima volta senza un coro e si mette al servizio della cantante. Che in ogni modo modula la voce per quella delle tre sorelle.
    Dopo l'Ouverture "Les petit riens" c'è una sensazionale versione vocale di "Ah, vous dirais-je maman", aria che in forma pianistica strimpellavo da ragazzo e di cui Mozart ha scritto anche delle meravigliose variazioni.
    La realizzazione è originale e prosegue, sempre in francese per i seguenti brani.
    ALOYSIA, MIA CARISSIMA AMICA
    In italiano. Come le tre arie iniziali, dedicate ad Aloysia.
    JOSEPHA, OU L’ENTRÉE DANS LA LUMIÈRE
    Prosegue in tedesco, tre arie, tra cui la celeberrima aria della Regina della Notte.
    PER MIA CARA COSTANZA
    Ancora in italiano nel testo.
    Ancora un'aria del Flauto Magico, poi un solfeggio (idealmente pensato per rappresentare il ruolo di maestro di Mozart nei confronti della futura moglie)
    Infine il "Et incarnatus est" dalla Messe in Do minore K 427.
    La Devieilhe è incantevole in tutte le lingue, appena un pò appuntita in italiano ma più che passabile ... per una austriaca che canta per l'Imperatore.
    Modula la voce e quando serve la coloratura è di livello.
    L'accompagnamento con cui il Pygmalion la sostiene è realizzato con pathos, partecipazione, veemenza. Spirito.
    Ogni brano diverso è interpretato con il giusto spirito. Siamo lontani milioni di anni luce da certe raccolte di circostanza per valorizzare una diva.
    Qui è l'opposto, benché la Devieilhe sia una eccellente soprano.
    Se non mi credete, guardate l'intervista che ho pubblicato nei commenti. 11 minuti di passione e di commenti appassionati sia della cantante che di Pichon che secondo me è un genio musicale.
    Registrazione fantastica anche nei pieni dove sarebbe facile saturare il segnale.
    Persino le fotografie sono di alto livello e legate al concept, senza inutili ammiccamenti (nel video si vedono anche le immagini del backstage del fotografo incaricato di ritrarre le ... tre sorelle).
    E non dimentichiamo il libretto che è illuminante.
    Completo di spiegazioni, lettere, testi dei brani.Tranne per una cosa.
    La simpatica Sabine accenna nell'intervista ad una sorpresa.
    Ed infatti c'è. Se uno ci pensa. Il brano della Missa dura 11 minuti.
    Ma prima del minuto 08:00 c'è una interruzione.
    Uno magari fermerebbe l'ascolto.
    Un pò di pazienza e andiamo avanti.
    Abbiamo ancora nelle orecchie l'ultimo accordo dell'organo.
    Ma ... ?
    Ci aspetta la soprano che accenna uno straordinario canone da sola, subito accompagnata dalle altre voci e poi dall'orchestra in un rincorrersi emozionante che va in crescendo verso l'epilogo.
    Entrano gli archi, le trombe, le percussioni.
    Una apoteosi di ...
    "Lech mich im arsch"   ricostruita da Vincent Manach (come gli altri brani originali del disco). Sul testo non censurato del canone K231 ritrovato solo nel 1991 che Amadeus teneva nella raccolta musicale di famiglia e che Costanze, sempre a corto di denaro, consegnò al suo editore nel 1799.
    Gli acuti di Sabine Devieilhe sule trombe e i timpani sul finale valgono l'intero disco. Come l'espressione tra il birichino e l'imbarazzato, mentre pronuncia "Leccami il culo ..." 
    Certamente Mozart sarebbe corso ad abbracciarli se gli fosse stato possibile. Disco fantastico, tra i miei preferiti degli ultimi anni.
    Grazie ragazzi !

  19. M&M
    Nonostante sia una vera gatta morta, fino a qualche anno fa, adoravo Gwyneth Paltrow

    specie nelle vesti della mitica Pepper, segretaria/amica di Iron Man.
    Nel tempo la ragazza si è fatta strada con quella sua aria da santarellina, appoggiandosi al fidanzato Brad Pitt e poi al grande Harvey Weinsten che le ha pure fatto avere un oscar, nonostante la dote principale della bionda oggi quarantottenne non sia proprio la recitazione.

    Brad e Gwyneth, prima che lui andasse con Angelina e lei con il frontman dei Coldplay

    Gwyneth e Harvey agli oscar 1999
     
    Ma naturalmente il tempo passa e ci vogliono nuove iniziative.
    Dopo la stagione salutistica e di cucina-benessere (ci sono trasmissioni TV in cui Gwyneth insegna alle donne americane come cucinare per aver cura di se), arriva l'ultima trovata che penso sia assolutamente sensazionale.
    E' in commercio ed è andata letteralmente a ruba, nonostante costi ben $75 dollari, una candela prodotta per conto di Gwnyeth Paltrow che sull'etichetta reca una assicurazione ben più che allusiva :
    "ha lo stesso odore della mia vagina"

     
    Per me è geniale e mi auguro che faccia veramente tanti soldi.
    Però mi resta la curiosità di sapere da Brad e da Harvey - lo ammetto, con tanta invidia - se lo slogan corrisponda a realtà ...
     

    Gwyneth Paltrow colta dai paparazzi mentre prende il sole con Brad Pitt quando erano fidanzati (foto prese del web, copyright dei legittimi proprietari)
  20. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Beethoven : sinfonie n. 1,2, 3
    Barry : Beethoven, Piano Concerto
    Britten Sinfonia diretta da Thomas Adés
    Signum Classics 2020, formato 192/24
    ***


    Credo che per quanto mi sia detestabile come compositore, Thomas Adés sia un eccellente direttore d'orchestra
    Non condivido per nulla la scelta di mettere le prime tre sinfonie di Beethoven insieme a spazzatura del calibro di quella scelta in questo disco ma la direzione di Adés è di primordine. Restando in casa inglese, bisogna tornare al giovane (perchè quello vecchio ... te lo raccomando !) Simon Rattle per ascoltare qualche cosa di così gajardo, frizzante, originale, personale.
    Non a caso Sir Simon l'ha tenuto a battesimo in tempi non sospetti

    e se il Thomas Adés compositore a me da fastidio, il direttore d'orchestra invece sa il fatto suo.

    La mia cartina di tornasole è sempre la terza sinfonia.
    La sinfonia delle sinfonia. Il punto di svolta, the turning point per restare in casa d'Albion.
    Qui cè vita, per fortuna.
    E con una formazione così vivace come la Britten Sinfonia, perbacco, non ci vuole una pinta di birra rossa, si fa musica per davvero.
    Il primo tempo scorre come un direttissimo che non fa fermate.
    La Marcia Funebre è tutt'altro che soporifera come quella di certi tedeschi che vanno per la maggiore.
    Lo scherzo è inarrestabile.
    E le variazioni del finale, sono fuochi d'artificio per il compleanno del re !
    Sullo stesso piano le altre due sinfonie, certo più facili.
    L'orchestra è eccellente, il direttore il meglio che England offre.
    Forse il mio riferimento al momento, per le tre sinfonie prese nel mazzo.
    Che vogliamo di più ? Niente, va bene così.
    Registrazione piena di dinamica con bassi fragorosi e archi chiarissimi.
    Disco del mese di aprile, per quanto mi riguarda.
  21. M&M

    Recensioni : Vocale
    Tom + Will : Weelkes & Byrd 400 anni dalla morte (1623)
    Musiche di Thomas  Weelkes e William Byrd (e James MacMillan)
    The King's Singers e Fretwork
    Sigmun Classics, 13 gennaio 2023, formato 96/24, via Qobuz
    ***
    Quest'anno non si celebrano solo i 150 anni dalla nascita di Rachmaninov ma anche i 400 anni dalla morte di due compositori inglesi che, in epoca elisabettiana, fornirono il materiale per il dopo Tallis.
    Tallis è morto (1585), la musica è morta. 
    Ma no, é arrivata una nuova generazione di musicisti che fino a Dowland e poi a Purcell sanciranno il passaggio all'età moderna post-rinascimentale della musica inglese. Che poi, purtroppo, andrà in letargo per due secoli limitandosi ad importare il prodotto già fatto dagli italiani e dai francesi.
    Se Byrd è noto anche come virginalista e musicista a tutto tondo, Weelkes è più conosciuto per la musica del servizio liturgico, specialmente vespertino.
    Ma certo entrambi vissero in un'epoca ravagliata dal punto di vista religioso, con passaggi tra cattolicesi e protestantesimo seguiti alla morte di Enrico VIII e fino al consolidamento del regno di Elisabetta I.
    Legati al servizio - a Oxford e a Winchester - ma anche liberi di esprimersi come madrigalisti per occasioni più mondane.
     
    Il programma di questo disco commemorativo é un misto, con salmi, brani devotamente dedicati (O Lord make thy servant Elizabeth) e musiche popolari.
    Al King's Singers si affianca un complesso di viole, il Fretwork, che alterna musiche strumentali.
    Insieme - non so bene perché - a musiche contemporanee commissionate dai Singers a MacMillan e a Williams che sinceramente io ... skippo allegramente durante l'ascolto.
    Perché il resto è musica genuinamente inglese, a tratti austera, a tratti ironica e gioiosa, che sia di orientamento cattolico o inglese, poco mi importa.
    Disco estremamente interessante che dipinge un periodo forse ancora di più dei meravigliosi contrappunti di Bull e di Gibbons per la vena popolare.
    Che nella musica inglese, ancora oggi praticata anche dalla gente comune nei tantissimi cori a Cappella dell'isola, disseminati nei villaggi, specie di Wessex e Sussex, Dorset, insomma, al Sud.
    Registrazione spettacolare. Dei King's Singers - pluripremiati e con una discografia sterminata - direi che non è il caso di soffermarsi.
     
     


  22. M&M
    A me piace la musica. Quella che si definisce "colta". Non la musica commerciale.
    Mi piace il rock di una volta. Mi piace persino l'heavy metal.
    Adoro l'organo a canne, specie se enorme e maestoso (da ragazzo l'ho anche suonato).
    Ho una discoteca sconfinata. Per tanti motivi, non ultimo la pigrizia, non frequento eventi di musica dal vivo.
    Ma adoro potermela godere al meglio.
    Chi mi ha seguito nelle mie vicissitudini autunnali, ricorderà che due anni fa mi sono costruito due monitor planari a 4 vie, con amplificazione separata per ogni via pilotate via DPS che funge da cross-over elettronico e controllate da un programma che in tempo reale compensa i limiti del sistema e della stanza.
    Quei monitor hanno due quindici pollici in vetro ciascuno. E due 11 pollici per i medio bassi. Oltre ad un complesso planare lungo un metro e 20 cm per le medio-alte.
    Insomma, preferisco ascoltare la musica con un impatto fisico, via speaker di un certo "peso". Ma per gli ascolti meno impegnati da mesi sto usando due Sonos (anche essi controllati a DSP) collegati in rete ai miei dispositivi di casa.
    Ed ho l'abbonamento unlimited a Qobuz con milioni di tracce musicali a mia disposizione ovunque io sia.
    Ma ... mi piacciono anche le cuffie, sebbene le ascolti sempre per una frazione di tempo.
    Sono scomode e innaturali.
    Ma quando sono di qualità elevata - ed io ho cominciato da ragazzo utilizzando cuffie ibride ed elettrostatiche - sebbene non possano per motivi fisici fare da surrogato ad un evento reale, nemmeno se riprodotto da un sistema di altoparlanti come il mio (le mie bambine sono altre 185 cm e larghe 80 : pesano 80 chili l'una), consentono invece una analicità che gli speaker, nemmeno i monitor di studio consentono.
    Si arriva a sentire ogni dettaglio, ogni nuance, ogni sussurro. Il respiro del trombettista, la saliva di Diana Krall, l'unghia del bassista sulle corde.

    Qualche anno fa ho conosciuto il marchio HIFIMAN americano fa e sono presto diventato proprietario di alcune delle loro cuffie.
    Di recente li ho contattati direttamente negli States per chiedere qualche cosa da provare.
    Dopo qualche "assaggino" mi hanno fatto avere un sistema - cuffie e amplificatore - che per loro è comunque entry-level ma che costa qualche cosa come 2.500 euro.
    E le ho messe a confronto in batteria con le altre miei cuffie di quel livello.
     


    Le HIFIMAN Jade II con la loro caratteristica colorazione verde del driver elettrostatico.
    E' stata una prova molto impegnativa perchè per tutti i dischi che ho ascoltato, ho commutato tra le tre ed ho annotato le mie impressioni.
    Che sono giunte a conclusioni attese per certi versi ma abbastanza sconcertanti per altri, almeno per me.
    Per qualcuno questi sembreranno sofismi, lo so. Il mondo oggi si nutre di MP3 digeriti via cuffiette.
    Ma io non sono un ascoltatore comune.
    Tra Monteverdi


     
    e Till Bronner, ogni sorso di musica una sensazione diversa.
    Chi fosse interessato :
    HIFIMAN JADE II
  23. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Treasures from New World
    Quintetti per pianoforte e quartetto d'archi di Amy Beach e Henrique Oswald
    + Marlos Nobre : Poema XXI Op. 94, n.21, Amy Beach : Romance per violino e piano
    Clélia Iruzun, pianoforte, Coull Quartet
    SOMM RECORDINGS 2020, formato 96/24
    ***
    Musica cameristica di impostazione romantica dalle americhe.
    Amy Beach (1867-1944) potrebbe passare per esser figlia di Clara Wieck o di Johannes Brahms, nipote di Mendelssohn o di Schumann.
    Affermata concertista, anche in Europa ad inizio XX secolo, e certamente la più importante compositrice della sua epoca (oltre 150 composizioni differenti al suo attivo).
    Il quintetto qui rappresentato in Fa# minore Op. 67 fu da lei presentato per la prima volta, quale pianista, nel 1908. Il modello cui si richiama possiamo dire che sia il quintetto di Schumann, più che quello di Brahms, che comunque portava in tourné per gli Stati Uniti con Brahms ancora in vita.
    E' una composizione puramente romantica, con toni lievi nonostante la chiave che generalmente sottintende atmosfere patetiche.
    In tre movimenti, dura circa 30 minuti.
    Il primo movimento è un adagio, il secondo un bell'adagio espressivo con una melodia decisamente brahmsiana. Il terzo, finalmente, un allegro agitato con la parte del pianoforte molto brillante che caratterizza l'intera composizione.
    Henrique Oswald (1852-1931) è stato un compositore brasiliano, anche egli con connessioni europee, non solo stilistiche ma anche ancestrali (di famiglia svizzera/italiana e con studi fatti a Firenze dove rimase per 30 anni fino al 1902).
    Amico di Anton Rubinstein che lo definiva "il Faurè brasiliano".
    Il suo quintetto qui registrato è stato completato nel 1895 a Firenze e può essere facilmente scambiato per una composizione di Fauré.
    Anche qui il modello è il quintetto di Schumann.
    Quattro movimenti per circa 26 minuti di durata.
    Pubblicato nel 1937 anche se l'autore lo suonava regolarmente nei suo recital.
    L'atmosfera è certamente più riservata di quella del quintetto di Amy Beach, certamente più estroverso e virtuosistico, specie nella parte pianistica.
    Si riscatta nell'allegro finale, molto vivace (e più brahmsiano con qualche richiamo al quartetto op. 25).
    Come riempitivo del programma c'è un Poema del contemporaneo Marlos Nobre (1939), una composizione molto orecchiabile che sembra perfetta per colonne sonore cinematografiche (pianoforte e archi).
    E la romanza per violino e pianoforte finale, ancora di Amy Beach, certamente la firma più importante del disco, un brano molto fin-de-siècle (1893) non particolarmente memorabile ma comunque ben costruito e con la particolarità di essere scritto da una donna e dedicato ad una donna (la violinista Maud Powell, praticamente sua coetanea).
    Clélia Iruzin è un'ottima pianista che caratterizza ogni pagina del disco, ben coadiuvata dalla restante brigata in un disco estremamente interessante, che rappresenta praticamente la propaggine americana del romanticismo europeo al suo massimo.
    Praticamente una macchina del tempo di musica che in Europa era già tramontata da uno o due lustri quando questa veniva concepita.
    Bella registrazione, la SOMM Recordings ha una produzione estremamente interessante che rifugge le ovvietà per dedicarsi alla scoperta o riscoperta di tesori nascosti oppure ingiustamente trascurati, specie del nuovo continente.
  24. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Daniil Trifonov : Bach, The Art of Life
    Deutsche Grammophon 8 ottobre 2021, formato HD, acquistato
    ***
    Un altro monumentale volume della visione di Trifonov dell'arte pianistica.
    Sono 2 ore e 16 minuti in totale.
    Il pezzo forte è l'Arte della Fuga, come il titolo del disco fa immaginare.
    Con tanto di Contrappunto #14 completato in forma "obbligata" dallo stesso Trifonov.
     
    Ma il percorso "di vita" per giungere all'opera capitale di Sebastian passa per brani dello stesso Bach - più lievi come alcuni della raccolta del Notebuch per la moglie Magdalena - e dei figli, tutti quanti, Emanuel, Christian, Friedrich, Christoph e Friedemann (se non ne ho dimenticato qualcuno).
    Con un intruso che ci sta come il cacio sul minestrone, il basso sassone Johannes Brahms e la sua trascrizione per sola mano sinistra della Ciaccona in re minore, che sostanzialmente è come se fosse una traduzione giurata dell'originale.
    Trifonov ha rilasciato interviste, video e i media hanno parlato a lungo di questo volume.
    Il progetto è nato dall'Arte della Fuga prima del periodo Covid su suggerimento del suo maestro Babayan che - giustamente - dopo aver visto il "mattonazzo" dedicato ai russi, intenso ma al limite dell'inascoltabile, uscito in precedenza - deve aver pensato che il suggerimento giusto fosse quello di far tornare Daniil alle origine.
    Cosa ti ha fatto sentire che era giunto il momento di affrontare The Art of Fugue?
    "Mi è stato suggerito dal mio insegnante, Sergei Babayan. Mi ha dato l'idea qualche tempo fa. Avevo molte altre cose su cui stavo lavorando, ma alla fine ho iniziato con The Art of Fugue . Certo, questo è un pezzo estremamente affascinante quando guardi la partitura e come lavorare con il materiale. Una cosa è scrivere una fuga su un singolo tema, ma un'altra è scrivere tanti contrappunti diversi così complessi usando lo stesso tema. È tutta un'altra lega di complessità polifonica."
    E in mezzo a tutto quel "Re minore" (compresa la Ciaccona) 
    "L'Arte della Fuga è un sacco di re minore, ed è una grande esperienza di ascolto, ma volevo mostrare alcuni altri lati della musica di Bach, e in particolare la musica dei suoi figli. Molti dei suoi figli stavano producendo musica estremamente ben scritta. C'è CPE Bach, ovviamente, ma anche fantastici pezzi di Johann Christian Bach, Wilhelm Friedrich Bach e poi anche Johann Christoph Friedrich Bach. E poi abbiamo il Quaderno di Anna Magdalena"
    Ancora, sulle origini del suo interesse per Bach 
    "Mi è sempre piaciuto suonare la musica di Bach, e questo è uno dei motivi per cui Tatiana Zelikman, la mia ex insegnante a Mosca, ha voluto che studiassi con Sergei Babayan a Cleveland: venerava così tanto il suo Bach. Con l'Arte della Fuga , una volta che inizi ad impararlo, ti attira e il tempo passa molto più velocemente rispetto ad altra musica. Per due periodi di due settimane – quando ho appena iniziato a impararlo e più tardi quando stavo per iniziare a suonarlo – è stato normale per me esercitarmi 8 ore al giorno, cosa che non consiglierei mai. Non ricordo che sia mai stato così con altra musica."
    Mentre sul completamento della parte incompiuta :
     
    Per la registrazione, hai completato tu stesso l'ultimo Contrapunctus XIV incompiuto. Puoi spiegare come ti sei avvicinato a questo compito?
    In realtà non ci sono molti modi per affrontarlo: c'è letteralmente solo una combinazione in cui ogni tema può iniziare che può far funzionare tutti e tre i temi. Una cosa che faccio, però, è usare le versioni invertite di tutti i temi, perché la cosa miracolosa è che funziona davvero! Questo è probabilmente il più grande vantaggio dall'apprendimento di questo pezzo e dalla scrittura di questo completamento. Non è stato così difficile da fare perché tutto è andato a posto. I temi e il contrappunto hanno molto senso e funzionano in qualsiasi combinazione, e anche nella versione retrograda [invertita]. Bach non l'ha usato in questa occasione, come ha fatto in Un Offerta Musicale , ma chi lo sa? Forse se fosse vissuto più a lungo avrebbe potuto farlo anche nell'Arte della Fuga .
    Devo ammettere che ho cominciato ad ascoltare il disco già questo venerdì con un certo scetticismo. Vinto subito dopo le prime pagine, effettivamente, lievi sia della musica dei figli di Bach che del loro sommo Padre.
    In particolare è stata una grande scoperta - limite mio - quello delle variazioni su "Ah, vous dirai-je, Maman" di Christoph, del quale ho ascoltato veramente pochissimo.
    Mano mano che ho ripetuto l'ascolto - non so quante volte - nell'arco del week end mi sono persuaso che questo è probabilmente il primo disco veramente convincente del "sudaticcio" Daniil che affronto in questo modo.
    L'Arte della Fuga non è rigida ed ascetica come quella di molti clavicembalisti ma non è nemmeno libera come quella di tanti pianisti russi. In questo probabilmente dobbiamo veramente ringraziare Babayan che oltre ad essere un pianista raffinatissimo è anche un didatta inestimabile.
    L'immagine che ci da Trifonov è rispettosa ma aperta, vitale, non da Finis Germaniae o Gotterdammerung.
    Il tocco è lieve, senza troppo pedale. I tempi liberi ma comunque asserviti a questo spirito del sublime senza troppo ... sublimare.
    In ogni nota c'è vita, come il titolo del disco vuole a questo punto sottolineare.
    Eppure in alcuni fugati non manca di entusiasmare, ben più che in Chopin o in Prokofiev per dire solo alcuni dei suoi ultimi, celebri tentativi.
    Chiude il disco un solenne Jesu Meine Freude, corale dalla cantata BWV 147 trascritto dalla dolcissima mano della Dama Myra Hess. Lieve come l'ultima neve di primavera che prelude al tiepido sole delle prossime stagioni.
    Peccato solo che questo tripudio di musica strepitosamente interpretata soffra del perpetuo limite di molte registrazioni pianistiche DG : microfoni ravvicinati, dinamica inesistente, rumori, compressione elevata, al limite del metallico.
    Daniil cambia etichetta, questi non ti meritano ...

    stampato anche in vinile

    una delle foto del libretto. Il mood è intonato con l'interpretazione. Bravo Daniil.
  25. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Brahms : Trio per corno, violino e pianoforte Op. 40 - 1865
    Shostakovich : Trio per violino, violoncello, pianoforte Op. 8 - 1923
    Krenek : Trio per violino, clarinetto e pianoforte Op. 108 - 1946
    Trio Klavis : Jenny Lippl, violino, Miha Ferk, sassofono, Sabina Hasanova, pianoforte
    Genuin 2/4/2021, formato 96/24
    ***
    Si tratta di trascrizioni dagli originali, per violino, sassofono contralto e pianoforte a cura di Miha Ferk.

    i tre componenti del Trio Klavis
    Tre composizioni cameristiche in origine differenti e lontane, unite qui dalla presenza del saxophone (ma in origine il trio di Shostakovich ha la tipica formazione violino-violoncello-piano mentre le altre due hanno l'innesto del corno o del clarinetto).
     
    Il trio Op. di Brahms è una composizione intimista e una sorta di attestazione di amore per il corno francese che tanta importanza ha nella musica orchestrale di Brahms.
    Qui prende il posto del violoncello donando alla composizione profondità e oscurità e con la solita inesauribile malinconia tipica della musica dell'amburghese. 
    Ma che si riscatta nella rutilante foga del finale allegro con brio.
    Nasce con le stesse atmosfere l'eccezionale trio Op. 8 del diciassettenne Shostakovich che dimostra profonde radici musicali nella tradizione tedesca romantica ma con la straordinaria inventiva di un fuoriclasse, ancora libero di esprimersi senza i condizionamenti "di partito" che lo influenzeranno più avanti.
    Non è un caso che la composizione non sia stata pubblicata che dopo la morte, solo nel 1983 (cioé 60 anni dopo la composizione).
    Formalmente in un unico movimento, in effetti composto di più tempi per i suoi 14 minuti, ricorda in molti momenti la musica del giovane Hindemith (e di qui il collegamento col mondo tedesco).
    Ma comunque musica tonale, fortemente tonale, legata da un leitmotiv portato con ossessione.
    Diverso il trio di Krenek, austriaco di quelli scappati in america per evitare le persecuzioni naziste, e messo al bando con la consueta bolla di "arte degenerata".
    E' un lavoro molto libero i cui due movimenti sono di fatto distinti, il primo è atonale, il secondo dodecafonico.
    In entrambi i casi efficacemente espressivi. Cosa mai scontata nella musica scritta con questo linguaggio.
    Benché in origine si tratta di una composizione pensata per scopi pedagogici e formativi (Krenek negli Stati Uniti insegnava).
    Quindi linguaggio tedesco, con Brahms il progressista - per dirla alla Schonberg - che apre agli echi del '900, 60 o 80 anni prima, Shostakovich che ne cementa la struttura formale destrutturandone la natura, Krenek che rielabora in linguaggio viennese lo stesso tipo di strutturazione, anche se in apparenza non si direbbe mai leggendo il programma.
    Ma qui interviene il trio Klavis, viennese ed attivo dal 2013, livellando le sonorità con l'intervento sostanziale del saxofono contralto il cui equilibrio è impostato nelle trascrizioni effettuate proprio dall'interprete Miha Ferk.
    Impegnati dal vivo in concerti con programmi molto estrosi e intriganti, suonano liberamente andando decisamente oltre la forma delle composizioni pur rispettando la lettera degli autori.

    L'intepretazione che propongono in questo disco è estremamente convincente, tanto da aver convito perfino me con Krenek che ho sempre detestato nonostante l'endorsement di Glenn Gould.
    Un disco per questo molto molto interessante che vi consiglio per andare oltre la 36° edizione delle sonate per violino e pianoforte di Beethoven o la 51° del Winterreise di Shubert che evidentemente quest'anno vanno di moda.
    Segnalo anche quest'altro disco, dedicato a musiche di tutto il mondo sotto il titolo invitante di "Geography of Sound"

    Bella registrazione con strumenti in primissimo piano.
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