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Mostra il contenuto con la massima reputazione di 21/10/2023 in tutte le aree

  1. Vorrei suggerire che...scattare fotografie e guardare fotografie altrui sono attività che prendono le mosse da esigenze ed impulsi ben differenti Per cui ci saranno: 1) fotografi ben soddisfatti esclusivamente di ciò che siano riusciti a produrre e della fatica necessaria ad ottenere quei risultati. Beninteso, a questa categoria appartengono tutti coloro che utilizzino la fotografia come pretesto per muoversi, andare, viaggiare e non per forza ...condividere. 2) fotografi che hanno come obiettivo quello prevalentemente di replicare quanto già fatto da altri ed a cui il confronto serva solo per sincerarsi di aver fatto bene, benino o sufficientemente bene le proprie foto. Ma che di considerare le immagini di altri soggetti che non siano i loro parametri.... non gliene può importare più di tanto. 3) persone (fotografanti o meno) interessate esclusivamente alle immagini, che impiegano il loro tempo nella ricerca e visita di raccolte e mostre, nella lettura di libri e magari coltivano segretamente di riuscire un giorno a mettersi alla prova: di solito non lo fanno perché sarebbero troppo severi con se stessi. 4) collezionisti: anche di fotografia. Nel senso quantitativo oltre che, anche, qualitativo: a loro manca ancora qualcosa al completamento, qualcosa che forse riusciranno a trovare, scattare, aggiungere alla collezione. Rigorosamente classificatori. Non solo per le foto. 5) cinestesici, cui la fotografia risulta essere uno soltanto degli stimoli a produrre sensazioni, pari a quelle ricavate dai risultati ottenuti, alla perenne ricerca insoddisfatta di perfezionamento, di sollecitazioni esterne, visive, cromatiche, uditive ed estese anche a quelle gustative e tattili. Una foto non è mai satisfattiva: preferiscono orientarsi verso un lavoro, un' idea compositiva, che non è detto venga raggiunta, perché nel frattempo sopravviene quasi sempre un' esigenza ulteriore. Si cibano anche delle esperienze altrui, perché sono pane per la loro ricerca, ma le trasformano quasi sempre. Non sono artisti, non sempre almeno, ma sicuramente hanno aspetti di genialità risolutiva . Ovviamente sono categorie che possono (alcune) interagire, condizionate magari dalle esigenze del quotidiano: perché qui sto parlando di non professionisti, che sul piatto della bilancia devono aggiungere altri elementi. Una quadratura difficile: specie nelle valutazioni a distanza. Ci sono anche i mistificatori: quelli che fotografano nudo perché così vedono il nudo e i cacciatori mancati (o pavidi) che sparano anche con la fotocamera : ma questa è gente che non mi interessa.
    5 punti
  2. Ieri mi è capitata una donna, mi viene da chiamarle ragazze quando sono vicine alla mia età ma oramai sono donne da un pezzo 😅 che voleva una foto per il curriculum, una persona con un bel piglio, carattere forte e determinato. Ovviamente anche se in studio monto l'85 1.2 come prima scelta ma mi accorgo subito che sul mezzobusto è troppo corto per la natura del suo viso, la "caricaturizza" ho montato il 105MC ed è venuta decisamente più corretta. Bisognerebbe averle tutte ste meraviglie a patto di sapere quando usarle.
    5 punti
  3. Un po' per contrastare la recente tendenza a mostrare solo il lato "cute", "coccoloso" del gatto, che non è nemmeno metà del suo fascino, e poi pensando al prossimo Samahin-Halloween, ecco un piccolissimo portfolio di ispirazione (ma guarda) felina, dark gothic come piace a me. Nel folklore irlandese e scozzese c'è una creatura dalla forma di gatto gigantesco, delle dimensioni di un cane pastore, tutto nero tranne per una macchia bianca sul petto. Gira di notte per le Highlands e incontrarlo di solito non è bene. E' il Cat Sith o Cait Sith (gatto fatato). Su di lui esistono due leggende. Per una è un ladro d'anime, che porta via l'anima del defunto nel tempo tra la morte e la sepoltura; per questo anticamente si tenevano delle veglie funebri apposite, se il Cat Sith si fosse presentato lo avrebbero distratto (coi gatti è facile) con musica, danze ed altro. Secondo un'altra tradizione il Cat Sith sarebbe una strega. Le streghe potevano trasformarsi in gatto e riprendere forma umana per otto volte, la nona volta erano condannate a restare gatti. E Halloween cosa c'entra? Il malevolo Cat Sith a Samahin/Halloween cambiava carattere e diventava una creatura anche benevola; in cambio di un piattino di latte fuori dalla porta avrebbe lasciato qualche piccolo dono, ma attenzione, se non gli si lasciava nulla avrebbe potuto prendersela a male e lanciare una maledizione sugli abitanti della casa. Quando, un po' di tempo fa, ho incontrato questo Gatto mi è subito venuto in mente il Cat Sith, così gli ho scattato un paio di foto prima che si dileguasse, elaborandole successivamente in modo da rendere un'atmosfera gotico-notturna. Rovistando poi nel mio archivio felino, mi sono accorto che avevo già una sua foto pubblicata (a colori) ed ho pensato di elaborare e riproporla. Le foto sopra sono quindi inedite mentre questa sotto è una rivisitazione. Alla radice del mito del Cat Sith forse c'è un gatto vero, molto grosso e molto raro, il Gatto di Kellas. Vivrebbe in Scozia ma se ne conoscono solo tre o quattro esemplari, trovati morti oppure uccisi da chi li ha avvistati. Sono identici al Cat sith tranne che per le dimensioni, che sono grandi sì, ma non come il gatto delle leggende, il più grosso era lungo un metro e sei centimetri coda compresa. Secondo alcuni esperti sarebbero ibridi fra gatti domestici ed il Gatto Selvatico scozzese. Il "Gatto di Kellas" imbalsamato al Museo Zoologico dell'Università di Aberdeen, Scozia Oh, se qualcuno di voi amasse la letteratura gotica, "il Gatto Nero" dell'omonimo racconto di Edgar Allan Poe ha molto del Cat Sith.
    3 punti
  4. Ho scritto questo articolo su Nikonland.eu nell'ormai lontano ottobre del 2013. L'ho scritto con il cuore - come mi commentò all'epoca Silvio Renesto - perché allora credevo. Oggi non più. Ciononostante, è possibile che presto o tardi il vecchio sito salti per aria per obsolescenza incurabile e mi spiacerebbe che si perdesse per sempre. Per cui, per i pochi che lo leggeranno, eccolo qui, parola per parola. E' una copia conforme al netto del differente format della piattaforma. *** Quegli occhi di Alida Valli in quel particolare ritratto mi hanno sempre affascinato. Molto ma molto prima di conoscere l'autore. Lo dico senza timore, invidio molto Arturo Ghergo per la possibilità che ha saputo conquistarsi di fotografare il meglio dei volti italiani dell'epoca d'oro. I suoi ritratti sono icone o i personaggi da lui ritratti sono diventati icone. E' lo stesso, tanto è il significato nella nostra memoria collettiva delle sue fotografie di tanti e tanti personaggi, specialmente femminili tra gli anni trenta e cinquanta del passato secolo. Non andrei oltre a parlarne e mi fermerei per ore a discutere anche semplicemente di questi tre straordinari ritratti : Alida Valli Luciana d'Avack Rossana Martini (prima miss Italia nel 1948) Un fondale in gesso, due luci fisse da 500 W. Pose lunghe con un banco ottico in legno e lastre da 18x24. Che guardino in camera mentre siedono (o fingano di guardare altrove) : ancora una splendida Alida Valli o guardino altrove mentre sono distesi : un conturbante Massimo Girotti all'apice della carriera le pose sono dinamiche e trasmettono forza, passione, vita, la tensione di un'epoca. Non sono naturali come ce le potremmo aspettare da persone di tutti i giorni ma nemmeno ingessate e di maniera come erano ritratti i divi del cinema dell'epoca. Certo, direte, facile far posare una attrice, è il suo mestiere. Ma da Ghergo andavano anche celebrità ed aristocratici della società più in vista dell'epoca : la Principessa Marella Caracciolo, poi Agnelli Papa PIO XII "Santo Padre, dovreste provare a benedire utilizzando solo tre dita, per la Santa Trinità" , fu il suggerimento che Arturo Ghergo diede al Papa prima di questo ritratto. E da quel giorno divenne normale per quel Papa benedire in quel modo, come il suo ritratto di Ghergo ricordava ogni giorno. Sono innumerevoli i ritratti di celebrità di Arturo Ghergo. La figlia Cristina ha curato due mostre pubbliche a Milano e a Roma nel 2012, con 350 ingrandimento degli originali sia in bianco e nero che a colori. Ci sono tra gli altri Sophia Loren, Silvana mangano, Gina Lollobrigida, Alida Valli ma anche Alcide De Gasperi, Papa Pio XII, Luigi Einaudi, l'Aga Khan, Pietro Badoglio, perfino Giulio Andreotti. Ma anche Edda Ciano Mussolini, il Duca Marco Visconti, Francesca Ferrara Pignatelli di Strongoli, i fratelli Bulgari, le sorelle Fontana. *** Se fosse andato in America probabilmente Arturo Ghergo avrebbe raggiunto fama planetaria e le sue "creazioni" pubblicate su Vogue ed Harpers Bazaar. Forse avrebbe fatto amicizia o sarebbe stato in concorrenza con Irving Penn. Ma veniva dalla provincia italiana (era nato a Montefano, Macerata nel 1901) e il suo punto di arrivo e di svolta fu Roma, dove si svolse tutta la sua carriera. Non gli vanno certo bene le cose all'inizio. Nel 1929 la crisi arriva anche nell'Italia fascista che ancora non aveva superato le difficoltà del dopoguerra. Sono anni difficili ma la scelta di prendere il già noto e centralissimo studio di Via Condotti al n. 61 lo premiano con il tempo. Lui lavora per i suoi clienti, per chi lo cerca per avere un ritratto nello stile originale e ricercato di Ghergo. In quell'Italia autarchica non c'erano riviste di moda e dell'America di Hollywood arrivavano solo le cartoline dei divi e qualche raro numero di Variety di contrabbando. Là era la produzione che controllava anche le immagini delle celebrità. Un ritrattista stipendiato eseguiva ritratti già durante le fasi di ripresa dei film, negli stessi set. il tipico ritratto hollywoodiano sponsorizzato da Camel : Gary Cooper, 1936 Non possiamo sapere cosa sapesse di quel mondo a Ghergo che comunque si inventa autonomamente la via italiana per il glamour, fatta di sessioni estenuanti in studio e ancora più estenuanti fasi di post-produzione. Già perchè se l'immagine in ripresa è costruita ad arte con la luce e si studia il soggetto finchè la luce non lo interpreta come lui vuole interpretarlo ... è in camera oscura, in stampa e in ... quella che oggi chiameremmo post-produzione che si crea l'immagine di Ghergo. Eleonora Rossi Drago Senza Photoshop ma usando acidi e lamette per lisciare il negativo, mascherature e bruciature in stampa, e poi ancora pennelli ed inchiostri direttamente sul lavoro stampato, Ghergo e poi il suo stampatore di fiducia, puliscono la pelle, tolgono le imperfezioni, stringono la figura, alzano e curvano, piegano. Aggiungono ombre che non ci sono, accentuano luci che appena si intuiscono. Gli occhi scintillano, le forme vengono intagliate ... Marella Agnelli Caracciolo Marina Berti set e sfondi semplicissimi, addirittura spogli ma attenzione agli accessori e all'abbigliamento. Nelle foto di Ghergo c'erano i gioielli e gli abiti degli atelier più famosi, come quello delle celebri sorelle Fontana qui immortalate dallo stesso Ghergo e che inventarono il pret-a-porter italiano vestendo le più eleganti donne del mondo (Grace kelly, Audrey Hepburn, l'abito di Linda Christian nel matrimonio con Tyrone Power a Roma, Soraya, Ava Gardner) Come in questa serie : Consuelo Crespi Mariella Lotti Francesca Strongoli una aristocratica di cui mi sfugge il nome in abito da sposa ma certamente il suo massimo apice lo raggiunge nel glamour dove anche dive note per il carattere angelico diventano sensuali : come la protagonista del film di Blasetti "Quattro passi tra le nuvole", Adriana Benetti, nota come "fidanzatina d'Italia" tra il 1938 e il 1946 Rossella Falk Elli Pravo Elisa Cegani Valentina Cortese Isa Pola Francesca Pignatelli di Strongoli ma soprattutto Isa Miranda, trasformata in una Marlene Dietrich all'italiana : Probabilmente l'alchimia con Alida Valli, trasferitasi a Roma durante la guerra deve essere stata particolare. Entra nello studio con il suo volto e ne esce con 20 fotografie che raprpesentano 20 donne diverse. Le due già presentate sopra : e queste : oggi diremmo casual o fitness utilizzando termini inglesi ma è una dea incorporea quella che indossa questo abito da sera elegantemente sensuale e misteriosa anticipando il Senso di Luchino Visconti Tornando alla mondanità più austera e ai personaggi pubblici. Giannalisa Feltrinelli con le figlie le duchesse d'Aosta-Aimone Edda Ciano Mussolini il giovane Giulio Andreotti ai suoi primi passi in politica Alcide De Gasperi Luigi Einaudi il giovane Re Hussein di Giordania Trascuro le foto dell'era a colori della Dolce Vita romana (Sofia Loren, Lollobrigida & Co.) e le foto per pubblicizzare le pellicole della Ferrania che appartengono ad un periodo meno originale dell'attività di Ghergo che alternò alla fotografia anche la pittura di tipo cubista, per mettere ancora due ritratti in b&n, differenti nello stile ma sempre con una impronta evidente : Monica Vitti a inizio carriera l'attrice berlinese Vera Bergman Io continuo a restare ammaliato dagli occhi di Alida Valli cui il pennello del grande Arturo Ghergo, antesignano e maestro dei fotografi glamour nostrani di oggi, ha dato forma e vita immortale : segnalo che i due cataloghi delle mostre romane e milanese sono in vendita presso Amazon ma in via di esaurimento ... Ghergo è morto nel 1959 dopo trenta anni di attività romana di cui non si perderanno mai le tracce. Lo studio è stato mantenuto aperto dalla figlia Cristina fino al 1999. MI ricordo di averlo notato nel mio periodo romano di fine anni '80. Una vetrina misteriosa che nascondeva sogni.
    2 punti
  5. Mozart : concerti per pianoforte n. 20, 22, 23, 24 Charles Richard-Hamelin, pianoforte Les Violons du Roy diretto da Jonathan Cohen Analekta, 96/24 e 192/24, 20/10/2023 e 31/1/2020, via Qobuz *** Prima una precisazione, Charles Richard-Hamelin non è imparentato con il pianista connazionale Marc-André Hamelin, sono due ottimi pianisti canadesi ma non sono affini e nemmeno tanto vicini sul piano musicale. Secondo, per proporre ancora dei concerti per pianoforte di Mozart, benché sempre piacevoli, ci vorrà qualche cosa di nuovo da dire, non lo pensate anche voi ? Charles Richard-Hamelin non è il figlio fi Marc-André Hamelin Ma qui abbiamo ingredienti interessanti. E soprattutto per il momento non è detto che l'iniziativa si debba trasformare per forza nell'ennesima integrale non troppo significativa, come tante ce ne sono. Abbiamo un consort che suona a parti reali con strumenti originali caratterizzato da un suono leggero, veloce e frizzante, specializzato nel repertorio barocco del '600 e del primo '700. A questo non è stato aggiunto il solito fortepiano ma un pianoforte moderno che qui viene valorizzato al massimo, senza però che ci sia una sproporzione di forze in campo che renderebbe il tutto un esperimento cameristico. Infine, ma in particolare, un pianista molto eclettico, dotato di grande spirito di improvvisazione che aggiunge fioriture e imbellettamenti ad una musica che apparentemente non ne necessiterebbe. E che si è scritto tutte le cadenze, tutte. Con tanti bei richiami operistici (nel #22 c'è un Don Giovanni agli inferi bello bello) e tante invenzioni ad effetto ma senza mai andare a farla "fuori da vasino". Così, tra il suono leggero e brillante, degno del miglior Leporello e tante belle note aggiunte in più che avrebbero fatto impazzire l'Imperatore Giuseppe II. La ricetta del miglior Mozart con questi chef è un successo assicurato. Ed infatti, già quando avevo ascoltato il primo disco (che certo, sia per il #20 che per il #24 in termini interpretativi non impensieriscono i miei riferimenti) mi aveva attirato. Con questo secondo disco ancora di più, facendomi fermare in certi passaggi, qualunque cosa stessi facendo. In una lunga intervista Richard-Hamelin dice che Chopin gli ha cambiato la vita. Io ho sbocconcellato un pò dei suoi dischi di Chopin editi dalla stessa Analekta ma non li ho trovato così straordinari come questi di Mozart. Ed è per questo che ve li propongo in questa recensione, sottolineando come il carattere di queste letture, dal pianoforte ai timpani, richiamino anche nei momenti da "do minore" i sorrisini esibiti dai due protagonisti sulle copertine dei dischi. Perché la musica a volte deve saper sdrammatizzare e togliere un pò di patina anche da monumenti come questi, venerati già da Beethoven e dai giovani Chopin e Schumann, male non fa ...
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  6. Fauré : la musica per violoncello e pianoforte - Phillips/Tiberghien Sonate 1 e 2 per violoncello e pianoforte, brani sciolti La Dolce Volta, 20 ottobre 2023, 192/24 *** Il bello é che non solo si trovano nuove interpretazioni di musica conosciuta ma capita comunque piuttosto spesso di incontrare musica per la prima volta. E' il caso di questo Fauré per violoncello e pianoforte, prima ascoltato solo in qualcuno dei brani di contorno ma mai nelle due sonate. E devo ammettere che con la prima sonata (Op. 109, 1917) è stato amore a prima vista. Fauré è un compositore che sa essere enigmatico. Pensando che nel 1917 in Europa c'era la più devastante guerra mai conosciuta fino ad allora e alle altre composizione coeve dei cugini d'oltre Manica, questa sonata mi ha preso immediatamente. Il tema principale del primo movimento (Allegro) pare che sia un'idea poi scartata per la sua Sinfonia in re minore. Qui é contraddistinto da una scrittura a zig-zag, con sincopi ma soprattutto accenti decisi che producono un effetto drammatico. Questo tema, portato con grande lirica dal violoncello dona una sua grande veemenza molto passionale. Il secondo tema, io non riesco ad identificarlo bene - siamo ancora nella forma sonata classica - perché è avvolto nella forza frenetica che caratterizza tutto il primo movimento Sinceramente io non conoscevo questa forza nella produzione di Fauré. Più intimistico ma comunque lirico il secondo movimento . Il tema principale è molto cantabile e si intreccia con il secondo, più portato dal pianoforte. L'Allegro comodo prende le mosse da una melodia dolcissima ma Fauré si serve di un contrappunto molto complesso per farlo fluire in modo molto fluido. Il violoncello ha decisamente il sopravvento, ma perché lamentarsi ? Non è altrettanto coinvolgente la seconda sonata, solo di poco successiva (1921) ma che comunque mantiene lo stesso carattere e la stessa impronta. Fauré scrive di aver preso per spunto la prima sonata di Saint-Sans. Ma anche se non è - secondo me - un capolavoro come la precedente, è comunque un importante aggiunta alla letteratura per questi due strumenti che vanta grandi esempi anche nel '900. Nel mezzo svariati brani sciolti, interessanti o meno, più in tono fin de siecle. Alcuni famosi, trascritti. In quanto ai due, non conoscevo Phillips che è stato a lungo allievo prediletto di Rostropovich quando insegnava a Parigi. Ha un suono molto lirico e caldo, perfettamente intonato a questa musica. Mentre Tiberghien lo conosciamo benissimo per le sue numerose partnership con alina Ibragimova. E devo ammettere che qui prende molto dal calore di Phillips. Per conoscerlo meglio segnalo questo altro disco, del 2009, non allo stesso livello per qualità sonora ma estremamente intenso : Il suono come ho accennato è spettacolare. Merita certamente attenzione.
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  7. Grazie, sono in download in questo momento Con il know-how che hai, un Editore di riviste/magazine specializzato di musica dovrebbe chiederti di lavorare per lui (a gettone)
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  8. Fantastica questa disamina, diciamo che mi identifico più in questo segmento.. Anzi diciamo che leggendo con attenzione e lentezza ogni singola parola che hai scritto.. mi ci riconosco in maniera quasi imbarazzante. Tra l'altro, pur essendo fortemente visivo ed auditivo, al corso di PNL è uscito proprio che risulto essere cinestesico dominante, con grande mia sorpresa peraltro, che pensavo di essere visivo in pieno.
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  9. Gran bel disco! Non delude le aspettative
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  10. Bari, la si potrebbe definire la "Napoli dell'Adriatico", si, passeggiando nei vicoli della "Bari Vecchia" dove casalinghe di consolidata esperienza presentano e fanno gustare( chi vuole puo' anche pranzare in abitazioni private) le tipiche orecchiette con ragu' di Brasciole ( involtini di carne equina con dentro formaggio, uva sultanina, prezzemolo, lardo). In due foto si vedono esposti alla vendita i tipici " Schiaffoni",strascinati in formato maxi. Vorrei poter mostrare la particolarita' del vivere questo centro storico ma, e' meglio passeggiarvici dentro per poter comprendere il valore del semplice vivere con tutte le sue sfumature; dagli odori della cucina che escono dalle abitazioni ed invadono la strada , agli usci socchiusi dove si puo' intravvedere la nonna che chiacchiera o la friggitoria con i tipici panzerotti o le scagliozze( frittelle di polenta fritta). Mi ha colpito, in particolare, una bottega mai vista prima, " il burattinaio " ; in essa con all'opera l'artigiano ed esposte vi erano le marionette tipiche dei ricordi della nostra infanzia. Un omaggio e' d'obbligo alla padrona di casa,BARI. A rappresentarla il suo lungomare, il Castello Normanno-Svevo, il Teatro Piccinni, il Teatro Margherita e, in Via Sparano, avvolto nel suo splendore, il Palazzo Minguzzi icona dell'abbigliamento di classe e nella vendita di tessuti pregiati. o
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  11. Mi aggrego alla conversazione e cito Dario Secondo me potrebbe valere lo stesso discorso anche sul lato dei commenti. Se penso che il livello sia alto e non me la sento di pubblicare e condividere una foto che potrebbe ricevere una critica, allo stesso modo non mi sento in grado di commentare una foto fatta da uno che ritengo bravo e al massimo potrei dargli un cuoricino (come dice Silvio). Detto ciò concordo al 100% che la critica costruttiva aiuta a crescere e se nessuno vede le tue foto resti chiuso nella tua bolla dove puoi sentirti bravo oppure incapace (dipende se siamo presuntuosi o modesti). Ma tu che osservazioni critiche puoi ricevere? Quando condividi pubblicando una tua foto lo fai descrivendo già gli aspetti positivi e negativi dello scatto stesso.
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  12. I commenti sono fertilizzanti per la condivisione altrimenti è come scrive Mauro, non si ha partecipazione. Io pubblico, condivido e contribuisco ai commenti, o perlomeno "reagisco" (sarebbero i cuoricini ecc), quindi non posso che apprezzare l'intervento. E' vero che qui c'è tanta gente che è brava e ne sa molto, ma a parte lodevoli eccezioni, è gente che pubblica poco (e commenta poco) . Però vedo anche foto che ...non vorrei proprio vedere. Ultimamente provo un certo ritegno a criticare queste foto perchè solitamente sono "quasi" il solo a farlo (---) e spesso quando lo faccio, col massimo tatto, ho avuto reazioni aggressive/difensive come se avessi offeso la persona, anzichè discussioni sensate (la cosa non mi fa paura, ma mi fa pensare che ho perso tempo inutilmente) oppure il fatto stesso di vedere foto completamente diciamo casuali, mi fa pensare che manchino le basi per capire. Però è utile per chi legge da fuori e quindi val la pena di insistere. Naturalmente il discorso è a doppio senso, se quel che propngo io ricevesse osservazioni critiche giustificate, sarebbe stimolante e proverei gratitudine verso chi mi aiuta a correggermi. Insomma ho dilatato l'osservazione di Mauro: Se un po' di "quelli che sanno" ma che non intervengono, almeno si unissero ai pochi(ssimi) che commentano costruttivamente, sarebbe meglio e si capirebbe che qui si può discutere e crescere.
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  13. E ... invece guardare e commentare le foto degli altri ? Complicazioni anche li ? Perché chi posta una foto, vorrebbe sentire cosa ne pensano gli altri, non solo esibirsi. E se vede che nessuno se lo fila, la volta dopo tira diritto. No ?
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  14. Pochi scatti perchè avevo finito il rullino e non ne ho trovati nella città di Lecco ... Jorgos segue attento gli aneddoti di Gabriele seduto a capo tavola con il suo turbo elevatore da strada a cui non vede l'ora di poter hackerare i limiti di velocità Francesco Valerio e Leo Moi che passo il Plena all'altro lato (di sfondo Silvio e Giannantonio con la mano tesa, Fabio) il mio calice che è rimasto per lo più vuoto (non bevo più alcolici). Nikon Zf, Nikkor Z 40/2 SE, B&W OOC (jpg normal).
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