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Mostra il contenuto con la massima reputazione di 09/01/2021 in tutte le aree

  1. Approfittando di una rara congiunzione astrale per la quale mi è stato contemporaneamente possibile uscire di casa in quanto residente in zona gialla-Covid, contare su tempo favorevole dopo una serie di inconsuete e copiose nevicate, ed avere disponibilità di una mezza mattinata libera, ho allora approfittato per fare una breve visita al Santuario della Verna – nel Parco delle Foreste Casentinesi – e scattare le prime foto in questo nuovo Anno. Il Monte Verna con il suo Santuario è il luogo francescano più famoso dopo Assisi perché qui il Santo si recava per periodi di preghiera e penitenza, e qui ricevette le Stimmate nel 1224 dopo averlo avuto in dono dal Conte Orlando Cattani ed avervi fondato un romitorio nel quale soleva passare lunghi periodi di meditazione e di preghiera assieme ai suoi frati. Ma questo "crudo sasso intra Tevero e Arno", come lo definisce Dante Alighieri (Divina Commedia, Paradiso, canto XI), è anche uno dei luoghi simbolo di un territorio dalle bellezze naturalistiche straordinarie, tanto che è protetto dal Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, Monte Falterona e Campigna istituito nel 1994. Il Santuario con la neve appare ancora più mistico, magico, dove la spiritualità che si respira nel silenzio che lo circonda sembra potenziata dall’atmosfera che il bianco candore della neve dona a tutto il comprensorio. Pur tuttavia dopo tanto tempo di inattività fotografica, mi sono sentito quasi un impedito con la macchina in mano a cercare di fissare gli scatti che avevo in mente. E’ mai successo anche a voi? Ma tant’è, da qualche parte dovevo pur cominciare, e avevo forte il desiderio di fotografare e di condividere con voi questo “ritorno”. Il Santuario sorge quasi aggrappato sul Monte Verna. 1. Nel viale d’ingresso viene raccomandato il silenzio per ascoltare la spiritualità del luogo. 2. I tetti imbiancati sembrano quelli di un presepe. 3. La Basilica Maggiore, costruita a partire dal 1348 a ridosso della chiesetta di Santa Maria degli Angeli. 4. Il quadrante della Verna con la grande croce in legno che domina la vallata. 5. 6. 7. Il bel panorama che si gode dal quadrante. 8. La croce a tau, adottata come simbolo anche da San Francesco, è ognora presente. 9. 10. Grazie a chi vorrà lasciare un commento.
    4 punti
  2. Dopo l'imperatore, arrivano i Dragoni. Si tratta delle Aeshna. Anche loro sono libellule grandi, appena più corte di Anax imperator, ma più vivaci nei colori. Non so il perchè il nome comune in italiano di queste libellule sia Dragone, però gli sta bene. Il nome Aeshna invece pare che non abbia un significato, qualcuno suggesisce che sia una corruzione del nome greco Aechma che vuol dire "dardo", se fosse vero sarebbe azzeccato, perchè in volo sono delle vere frecce. I Dragoni sono molto belli a vedersi per via della varietà dei colori, come al solito più spiccata nei maschi. Come Anax, sono velocissimi ed instancabili nel pattugliare il territorio, di solito al bordo degli specchi d'acqua, ma seguono rotte più prevedibili e si fermano più spesso a fare l'hovering, il volo stazionario, fermi in aria. Questo fa sì che sia spesso più facile cogliere in volo un Dragone che non un Imperatore. Di Dragoni (cioè di Aeshna) ci sono diverse specie in Italia, ciascuna col suo nome "italiano". Tra quelle che ho fotografato: Il Dragone autunnale (Aeshna mixta) che è più che altro estivo, è molto comune e abbastanza facile da fotografare quando i maschi controllano il territorio di riproduzione a bassa quota, fermandosi spesso a mezz'aria, vicino alla vegetazione, questo crea uno sfondo caratteristico ed evita che l'obiettivo si perda a focheggiare all'inifinito. Inizia l'accoppiamento, il maschio ha agganciato la femmina dietro la testa Poi la femmina aggancia i suoi genitali con quelli dei maschio, che sono appena dietro al torace. Il Dragone verdeazzurro (Aeshna cyanea), preferisce zone ombreggiate, ha un volo molto irregolare, è gelosissimo del suo territorio, sempre impegnato a ispezionare ogni angolo per scacciare i maschi rivali. E' anche molto curioso, mi è capitato più volte che qualcuno di questi maschi mi volasse incontro, come per controllare chi o cosa fossi, con mia grande gioia. La loro curiosità, estesa anche al sorvolo dei prati a bassa quota, ogni tanto però li rende preda dei ... gatti . Stava venendo a vedere se ero pericoloso oppure commestibile, mi sono immobilizzato puntandolo e... eccolo. Il Dragone alpino, (Aeshna juncea) è molto simile al Dragone verdeazzurro, lo si distingue perchè le strisce gialle sul torace sono più sottili e qualche altro particolare qua e là Come dice il suo nome, di solito sta a quote più alte. Lo si incontra a volte in collina, ma soprattutto in montagna, dove il grande capo tribù Giovanni Giraffa Felice (per i nuovi arrivati, è uno scherzo, mi riferisco al nickname di un Nikonlander ) ha potuto fotografarne l'accoppiamento, per puro caso (grrr...). Anche lui abbastanza avvicinabile. Qui l'inquadratura è un po' ritagliata. Più che un Dragone, un Draghetto. Il Dragone occhiverdi (Aeshna isoceles o isosceles, ho trovato tutti e due i nomi). E' un po' più piccolo delle altre Aeshna e più dimesso nei colori, maschi e femmine si somigliano molto, si posa anche molto più spesso. Infatti, eccolo qui . Sogno nel cassetto.... Il Dragone Bruno (Aeshna grandis). Mi manca ; è grosso, colorato a chiazze mimetiche come un marine ed ha magnifiche ali di colore bruno dorato. E' raro, l'ho visto in Val D'Aosta ma non mi è andata bene, ahimè non sono riuscito a fotografarlo. Alla prossima. Il vostro affezionato fotografo di Libellule.
    4 punti
  3. Continuazione ideale di uno dei miei primissimi articoli su Nikonland, al quale sono affezionato quanto alle fotocamere, che continuo a conservare e riverire... L'insostenibile pesantezza dell'essere F... ho pensato a questa reprise perchè sono molto contento di aver ricomprato una F5, a distanza di dodici anni da quando avevo venduto la precedente, per finanziare parte dell'acquisto di una D200 gli anni non passano mai invano ed ecco che uno sconosciuto nipponico ha nel frattempo tenuto da parte quest'altra per me ...per me che sono il primo di sicuro a far scorrere il suo mirino DP-30 fuori dalle guide, denudandola...davanti alle altre quattro geishe spogliarelliste notare le finestrelle di controllo dell'esposizione, del tracking e del telemetro elettronico sullo chassis come anche già su F4 ed F3 (solo quelle dell'exp) Ora mi cerco i vetrini di messa a fuoco alternativi a quello standard... e poi magari vado anche a caccia dei suoi mirini, come già posseggo per tutte le altre F che consentono l'intercambiabilità: (photo courtesy MIR.com) a partire dal mirino sportivo DA30 o il mirino ingranditore 6X DW-31 fondamentale nei lavori con soggetti a distanza ravvicinata o il suggestivo, quanto...inutile sulle reflex, mirino a pozzetto DW-30 ognuno dei quali comporta una serie di opportunità, ma anche di limitazioni dal punto di vista esposimetrico, dove ovviamente il più completo è lo standard DP-30 con tutte le opportunità di misurazione Matrix/Matrix 3D, pesata al centro e spot, seguito dal mirino sportivo che usa un Matrix semplificato a soli 5 segmenti (come alle origini del Matrix su FA, F801, F601) CW e spot, mentre il mirino-loupe DW-31 (interessantissimo sempre) ha il solo esposimetro spot, così come il mirino a pozzetto. (MIR.com)
    3 punti
  4. Bloccato in zona arancione mi guardo intorno e trovo un sentiero che, a pochi passi da casa, mi porta in un'altra dimensione. Un sentiero frequentato da runners che costeggia il torrente Lavino a Zola Predosa (BO). Il torrente poco interessante in inverno, si rivela nelle sue casse di espansione. Oggi, dopo lunghissimi giorni piovosi e grigi ho potuto ripetere le immagini che avevo scattato il 31 dicembre con lo smartphone, al tramonto. Il sole ha illuminato il Foveon ed è colore!
    2 punti
  5. Rinnovo i complimenti per notevole collezione di apparecchi e accessori del sistema Nikon.
    1 punto
  6. Articolo ironico con contenuto serio. Questo blog esprime le mie opinioni personali, basate su quel che so, ma essendo opinioni non hanno pretesa di verità, ed è assolutamente possibile non essere d'accordo in parte o del tutto. Non è mia intenzione offendere nessuno. Credo che tutto possa essere più o meno cominciato con questo libro (questa la versione italiana, ma il libro è stato un successo enorme in tutto l'Occidente): In cui l'autore, un professore tedesco di filosofia, racconta che essendo incapace di concepire lo Zen a livello intellettuale (lo credo bene!) gli viene consigliato di provare ad avvicinarsi tramite una delle arti in cui lo Zen è presente, nel caso il tiro con l' arco giapponese, il Kyudo (kyu- arco, do- via, metodo). Il libro è breve, interessante, di piacevole lettura, e porta in appendice anche un discorso di un maestro giapponese sullo Zen e l'arte della scherma (Ken-jutsu). Il meritato successo di questo libro ha portato in tempi successivi, a partire dall'epoca buia della New Age, ad una serie infinita di altri libri dal titolo "Lo Zen e .... (mettere una qualsiasi attività a piacere)", il cui scopo, oltre alla vendita del libro, sarebbe di spiegare come con lo Zen tutte le cose vengano meglio, meravigliosamente meglio, e si sia tutti più felici. Che sarebbe proprio bello. Eh sì, non manca nemmeno "lo Zen e l'arte di scopare" di Jacopo Fo, figlio del più noto Dario. Confesso di non averlo letto. NOTA: Caso a parte è "Lo Zen e l'arte della manutenzione della Motocicletta" interessante libro biografico di M. Pirsig, dove la "manutenzione della motocicletta" è un pretesto per scrivere d'altro, un po' come le balene in Moby Dick, per cui non c'entra con i vari manuali dello "Zen e...". Tutti questi manuali presuppongono forse che chi scrive abbia raggiunto lo Zen così da poterlo insegnare ad altri (?). Implicano forse che lo Zen sia un modo, uno strumento, per fare meglio le cose, e che possa essere trasmesso con un libro? Sarà, ma da modesto cultore di alcune arti e forme di pensiero orientale da almeno quarant'anni, mi permetto di avere qualche dubbio in merito. Temo cioè che si faccia un po' di confusione, ingenuamente o astutamente, non lo so. La sensazione è che si usi il termine Zen banalizzandolo come ricettacolo di "semplici trucchi" , infilandoci con una massiccia dose di superficialità. Quindi in tutta umiltà vorrei provare a chiarire un pochino, tutto qui. Lo Zen. Lo Zen (in cinese C'han) ha origine quando il Buddhismo dall'India arrivò in Cina ed assorbì degli elementi del Taoismo (non vi tedio oltre con la storia, è facile trovare il modo di approfondire, se interessa). Dalla Cina è stato poi portato in Giappone (il nome Zen è la versione giapponese di C'han). Come tutto il Buddhismo ma, in fondo, come tutte le maggiori religioni, lo Zen è una via per la liberazione dalle sofferenze, che per i Buddhisti si ottiene raggiungendo uno stato di "risveglio" o "illuminazione", in giapponese Satori (per inciso la prima scuola di arti marziali che ho frequentato a quindici anni si chiamava pomposamente "Ryu Satori" cioè "Scuola dell'Illuminazione", ma non "illuminava" molto ). Non vado oltre, aggiungo solo che rispetto ad altre pratiche lo Zen ha un carattere più diretto, ma non per questo è più facile anzi, richiede intensa applicazione. Lo Zen, pur essendo sorto in un contesto religioso, può essere esportato anche al di fuori dall'ambito della religione, come molte altre pratiche Buddhiste, ad esempio la "mindfulness" che mi sembra sia ancora molto in voga nella psicoterapia, nel coaching aziendale e in non so cos'altro, ma che in fondo non è che una "occidentalizzazione" di alcune pratiche buddhiste di consapevolezza. Ma non sono cose facili, possono richiedere una intera vita di pratica, non ci sono semplici trucchi. Il Maestro Taisen Deshimaru, scomparso nel 1982, esperto anche di arti marziali, è fra quelli che ha diffuso lo Zen in Europa in tempi recenti. I suoi libri sono sì una valida lettura. Lo Zen e... Tornando ai libri, posso sbagliare, ma sembra che in quei "manuali" lo Zen sia visto come un qualche cosa, un metodo semplice per migliorare quel che si fa, presupponendo quindi uno scopo, un fine pratico, che è il contrario esatto dello Zen . Se pensiamo uno dei requisiti fondamentali per raggiungere lo Zen è l'essere quello che in Giapponese si dice mushotoku (privo di intenzione, di fine, di desiderio, di attaccamento), cercare di raggiungere lo Zen per ... già escluderebbe la possibilità di arrivarci. E in ogni caso è riduttivo. Il fatto può essere che la parola Zen piace, è breve , semplice ed ha appigli nell'immaginario delle persone (di un certo genere), per cui "attira" ma il concetto che c'è dietro a quella parola è profondo. E' altro. Lo Zen e la Fotografia? In Internet e sulla carta stampata non mancano titoli come "Lo Zen e la Fotografia", oppure "Fotografia Zen", anzi, ce ne sono tanti. L'impressione che ho leggendo questi articoli è che si pensi esistano delle ricette per fare una non meglio identificata "Fotografia Zen" o che un approccio Zen alla fotografia ci darà la pace interiore. Può essere benissimo che tramite una pratica intensa e rigorosa di un'arte, fotografia compresa, si arrivi alla piena maestria e questo potrebbe essere un modo di "avvicinarsi" allo Zen. E può essere benissimo anche che chi ha "capito" lo Zen (si è "risvegliato") dato che tra le tante altre cose è diventato spontaneo, sereno, calmo, attento, presente a se stesso, concentrato e non ossessionato dal risultato, di conseguenza sia in grado fotografare molto meglio di prima, anzi tutte le cose che fa gli vengono meglio che se fosse preoccupato, precipitoso, distratto, nervoso ed ansioso per il risultato. Ma da questo a dare "ricette rapide" per fotografare Zen o arrivare allo Zen ce ne passa. Io purtroppo non so dirvi come sia essere Zen, ma penso di saperne abbastanza da suggerire che nelle "semplici ricette" NON c'è lo Zen. Quindi a mio personale ed arbitrario parere, sono comunque letture simpatiche, e alcuni i consigli possono essere utili, quindi leggiamo pure i vari "Zen e la fotografia di questo e di quello" ma stiamo attenti che ... Non è necessariamente vero che se uso una fotocamera manuale a pellicola e solo obiettivi manuali del secolo passato arrivo prima allo Zen, uno può essere (o non essere) consapevole praticando con una Sony A4R o una Nikon Z6II tanto quanto con una vecchia Nikon SP. Non è necessariamente vero che lo scatto singolo è Zen, la raffica no. Non è necessariamente vero che lo street o la foto naturalisitica sono Zen e il Fashion o che altro no. Se la persona è "risvegliata" questo si riflette in qualsiasi cosa faccia. Quando Musashi capì l'arte della scherma, divenne anche un ottimo calligrafo e poeta. Non è necessariamente vero che fotografare in bianco e nero sia più Zen che fotografare a colori. Può esserlo oppure no, come sopra. Non è detto che si debba per forza fotografare pile di sassolini , giardini, ruscelletti, cespugli di bambù, paesaggi nebbiosi o gatti addormentati per fare fotografia Zen. Qualsiasi soggetto (o quasi) può esprimere lo Zen oppure (più spesso) non esprimerlo. Perchè non è tanto il soggetto che conta ma come (con che disposizione interiore) lo si fotografa, cosa che si dovrebbe riflettere nella foto e si spera, arrivare a chi la guarda. C'è qualche differenza tra le foto sopra e quelle sotto? Quali trasmettono qualcosa? Buon Anno a tutti!! Tutte le immagini sono copyright dei rispettivi aventi diritto, riprodotte solo a scopo illustrativo.
    1 punto
  7. fantasia, intuizione, colpo d'occhio e velocità di esecuzione... NdR
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  8. Bellissimo e interessantissimo articolo. Un po' di zen forse l'ho percepito leggendolo. Se la fotografia fosse la mia via per avvicinarsi (anche solo lontanamente) allo zen, questa sarebbe praticabile solamente quando produco degli autoritratti. Se faccio paesaggio o street o qualsiasi altro genere che non presupponga l'interazione con altre persone al massimo potrebbe essere un'attività rilassante, ma nulla a che vedere con lo zen. Quando faccio ritrattistica con un soggetto coinvolto è più una sensazione di piacere, interesse, soddisfazione. Quando faccio ritrattistica con mia moglie, dovrei sempre consultare prima un trattato, anche questo di origine orientale, molto noto: L'Arte della Guerra.
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