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happygiraffe

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  1. happygiraffe

    Recensioni Audio
    Breve preambolo per chi non fosse un impallinato di hifi e musica liquida.
    Ci sono principalmente due modi di ascoltare la musica liquida, che provenga da una delle diverse piattaforme (tidal, qobuz, apple, amazon, etc) o dal nostro archivio di musica digitale. Il primo è quello di usare uno streamer, ovvero un apparecchio dedicato che si collega tramite internet alle varie piattaforme di musica liquida e tramite un dac interno converte il segnale digitale in un formato analogico che viene poi inviato ad un amplificatore e da qui alle casse. In pratica lo streamer è il corrispettivo "liquido" di quello che una volta era il lettore cd.
    Il secondo modo è quello di usare un pc come player. La musica in formato digitale esce tramite la porta usb e viene inviata a un convertitore digitale-analogico (DAC) e da qui a un amplificatore. 
    Ogni sistema ha i suoi pro e contro. Li ho usati entrambi, ma alla fine ho preferito servirmi del pc per modularità, versatilità e minore obsolescenza rispetto a uno streamer.
    Il pc, nel mio caso un portatile, ha però un grosso problema. A meno che non parliamo di computer particolari progettati per la riproduzione audio, solitamente i pc dei comuni mortali usano l'uscita usb per mandare i file musicali all'esterno. L'uscita usb non nasce per la riproduzione audio ed ha due grossi problemi: il primo è che il segnale audio è "sporcato" dal rumore digitale, il secondo è che il segnale è affetto da "jitter": in pratica il metronomo che batte il tempo della musica che stiamo ascoltando non è preciso, a volte accellera, a volte rallenta.
    Per risolvere il problema, già da anni esistono sul mercato quelle che si chiamano interfacce digitali, ovvero degli apparecchi che prendono il segnale audio dall'uscita USB del computer, lo ripuliscono dal rumore e lo rimettono al tempo corretto, grazie a un clock interno sensibilmente migliore di quelli normalmente usati nei pc, e infine lo inviano al DAC.

    Dopo aver ignorato le interfacce digitali per anni e sottovalutato i problemi di jitter e rumore digitale, qualche settimana fa ho deciso di provarne una: il Singxer SU-6.
    Singxer è un'azienda cinese, presente da una decina d'anni sul mercato. L'SU-6 si presenta come una scatoletta poco pretenziosa, larga circa 24cm:

    Sul retro troviamo l'ingresso USB e le diverse uscite:

    - due uscite S/PDIF, una con connettore RCA e una BNC
    - AES/EBU
    - ottica
    - i2s tramite RJ45
    - i2s tramite HDMI (doppia)
    - un'uscita per il clock con interfaccia BNC
    L'SU-6 impiega due oscillatori Crystek CCHD-957 e accetta file PCM fino a 384kHz/32bit e DSD512 (tramite I2S). Sul mercato ci sono apparecchi che arrivano a risoluzioni maggiori, ma a me queste bastano e avanzano.

    Una particolarità riguarda l'alimentazione: un banale trasformatore esterno carica un supercondensatore, che viene quindi usato per alimentare L'SU-6 e che virtualmente annulla l'impatto dell'alimentatore esterno sulla performance. Non c'è un interruttore, si collega il trasformatore alla presa, il condensatore ci mette circa un minuto per caricarsi abbastanza da far funzionare l'SU-6 e a quel punto si accende la spia sul display frontale. Il sistema è fatto per rimanere sempre acceso. In realtà occorrono 20 minuti perché il condensatore sia completamente carico.


    Altra particolarità è che sulla parte inferiore dell'apparecchio ci sono degli switch per configurare l'uscita i2s HDMI. Il manuale fornisce i dettagli per configuare i vari switch per alcuni marchi di DAC:


    E' una soluzione che va bene se non si prevede di passare spesso da un modello di DAC a un altro.
    L'impiego è banale: si collega l'ingresso usb al pc e una delle uscite al DAC. Fine. Il display frontale non fornisce indicazioni particolari: ci informa se stiamo riproducendo musica e file DSD.
    Ci vuole qualche giorno di rodaggio perché suoni al meglio. 
    All'ascolto il risultato è semplicemente eclatante! In realtà un'interfaccia digitale ha il solo il compito trasferire al DAC il segnale digitale così come dovrebbe essere, vale a dire ripulito dal rumore e dal jitter, e quanto pare il mio DAC è stato felice di cibarsi finalmente di un segnale di qualità! Quello che mi ha sorpreso è la naturalezza del suono e del posizionamento degli strumenti nella scena, nonché la sensazione che diffusori e cuffie scompaiano letteralmente (con buone registrazioni ovviamente).
    Già con l'uscita coassiale il risultato è notevole, passando all'uscita i2s c'è ancora un po' di miglioramento.
    Non nascondo di aver avuto qualche problema con l'uscita i2s su hdmi. Saltuariamente riscontravo un'attenuazione e delle distorsioni delle alte frequenze. Il problema sembra essere rientrato pulendo i contatti della presa sul DAC con del DeoxIT. 
    Il costo ad oggi si aggira tra i 600 e i 700€, non pochissimo, ma se penso a quanto è migliorato il suono del mio impianto, il rapporto qualità/prezzo è molto elevato. In conclusione arrivo a dire che non si tratta di una semplice ottimizzazione, ma di un upgrade sostanziale.
     

     
  2. happygiraffe

    Recensioni Cuffie
    Hifiman è un produttore cinese di cuffie di cui abbiamo parlato spesso qui su VG. Le HE1000SE sono uno dei modelli di punta del marchio, con un prezzo che si aggira intorno ai 3500€, superate solo dalle mitiche Susvara. 3500€ sono una cifra decisamente impegnativa per un paio di cuffie, per molti oltre i limiti della follia, per cui vediamo di capire cosa hanno di speciale queste HE1000SE.
    Si tratta della terza generazione delle originali HE1000, ma si distinguono dai due modelli precedenti per una facilità di pilotaggio che gli altri non avevano.
    A un primo sguardo l’aspetto è molto elegante, con i due padiglioni ovali molto ampi, contornati da inserti di legno scuro. I padiglioni possono ruotare di 360° e la striscia centrale di pelle può essere regolata in altezza. Le orecchie alloggiano molto comodamente all’interno degli ampi cuscinetti, che si presentano rivestiti in pelle esternamente e di tessuto all’interno. Pur pesando 440g, sono molto comode e apparentemente leggere da indossare, anche per sessioni di ascolto molto prolungate.

    Le cuffie arrivano in una bella scatola di legno con una placca di alluminio. Hifiman questa volta è prodiga di cavi: uno da 1,5m con jack piccolo da 4,4mm, uno sempre da 1,5m con jack grande da 6,3mm e uno lungo 3m bilanciato con XLR a 4 pin. I cavi hanno una sezione piuttosto sottile e una consistenza invero bizzarra, per non dire inquietante, però, al di là dell’aspetto, sono dei buoni cavi.

    Le HE1000SE impiegano un diaframma molto ampio, siamo nell’ordine di 60mmm x 100mm, molto più grande rispetto a delle cuffie dinamiche e molto più sottile. Stiamo parlando di una pellicola con uno spessore dell’ordine dei nanometri! Un trasduttore sottile, comporta una massa più ridotta e di conseguenza una risposta più veloce e minori distorsioni. Inolte HifiMan ha lavorato sulla forma e la posizione dei magneti in neodimio, nonché sul design della griglia, per ridurre interferenze e diffrazioni.

    La sensibilità è stata portata a 96dB dai 91dB dei modelli precedenti, rendendo questa cuffia semplice da pilotare per qualsiasi amplificatore, compresi i DAP portatili. Il mio consiglio, però, è quello di abbinare queste cuffie con un amplificatore di qualità per poterne estrarre tutto il meglio di quello che possono dare.
    Passiamo ora alla parte più divertente, ovvero ai test, perché, al di là degli aspetti costruttivi e della tecnologia che c’è dietro, quello che veramente importa è come suonano.
    Test di ascolto
    Per questo test ho usato sia l’irreprensibile DAC con ampli cuffia Audio-GD Master 11 che il più economico Audio-GD R2R-11 mk2.
    Ho ascoltato un po' di tutto per questa recensione, spaziando tra diversi generi musicali, e devo ammettere che mi sono divertito parecchio. Qui di seguito ci sono le mie impressioni relative ai singoli ascolti. Se non avete voglia di leggerle, potete passare direttamente alle conclusioni in fondo alla pagina.

    The Allman brothers band, The 1971 Fillmore East recordings. Island Def Jam, 2014.
    You don't love me (first show). 24/192kHz.
    Questo disco raccoglie le storiche registrazioni dei concerti al Fillmore East del 1971 degli Allman brothers. Quello che stupisce è l’ampiezza del palcoscenico, la localizzazione precisa di tutti gli strumenti e una sensazione di musica dal vivo molto realistica. Tutto bellissimo, manca tuttavia quell’impatto viscerale che provo con le mie cuffie dinamiche, le Focal Clear.

    Nirvana, Nevermind. Geffen, 2014.
    Smells like teen spirit. 24/96.
    Album mitico del 1991 del gruppo grunge di Seattle. Incredibile come le HE1000SE siano veloci e dinamiche. Il basso è corposo, la batteria suona piena fino alle frequenze più elevate, solo la chitarra elettrica risulta un pelo fastidiosa alle mie orecchie. Nel complesso l’energia del brano viene trasmessa senza compromessi,

    Paul Simon, Still crazy after all these years. Legacy recordings, 1975.
    50 ways to leave your lover. 24/96 kHz.
    L’inconfondibile introduzione delle percussioni di Steve Gadd suona incredibilmente ricca di dettagli. La raffinatezza con la quale vengono riprodotti gli strumenti acustici e la voce di Paul Simon è semplicemente pazzesca. Meraviglioso.

    Beck, Sea Change. Interscope, 2002.
    Paper Tiger. 24/88.2.
    La linea del basso di Justin Meldal-Johnsen, articolata e inizialmente sottile, poi via via più presente, rimane spesso nascosta sotto gli altri strumenti. Qui invece viene messa nella giusta luce e valorizza l’intero brano.

    Bob Dylan, Rough and rowdy ways. Columbia, 2020.
    I contain multitudes. 24/96.
    L’ultimo disco di Bob Dylan, con in copertina un'iconica foto di Ian Berry, è l’ennesimo gioiello della sua lunghissima carriera. La sua voce consumata dagli anni non è mai suonata così vera. Fa da sfondo un articolato tappeto sonoro di chitarre armoniche, una pedal steel guitar e un contrabbasso suonato con l’archetto.

    Radiohead, Kid A. XL Recordings, 2000.
    The National Anthem. 16/44.1.
    Brano mitico dei Radiohead, molto difficile da riprodurre per la sovrapposizione di svariati strumenti (addirittura delle onde Martenot) e di efffetti sonori. Rimango stupito dall’ottima resa spaziale degli effetti che volteggiano intorno a me. Stupefacente la voce distorta di Tom Yorke quando finalmente comincia a cantare.

    Keith Jarrett, Jan Garbarek, Palle Danielsson, Jon Christensen, My Song. ECM, 1978. 
    Country, 24/96 kHz.
    Era il 1977 quando Keith Jarrett e il suo quartetto norvegese incidevano questo bellissimo disco. I timbri del piano e del sax vengono riprodotti con grandissima raffinatezza. Da commuoversi per come suonano i piatti, così ricchi di dettagli. Bello pieno il contrabbasso nel duetto con il piano. Sembra di esserci.

    Fred Hersch Trio, Live in Europe.
    Newklypso (for Sonny Rollins). 24/44.1 kHz.
    Disco straordinario, inciso benissimo in uno studio radiofonico in Belgio. Pieno e robusto il basso in apertura, ma è impressionante la vividezza di tutti gli strumenti. Chiudendo gli occhi si può vedere la scena davanti a noi.

    Bill Frisell, Epistrophy. ECM, 2019.
    You only live twice. 24/96 kHz.
    Un disco live con la chitarra elettrica di Bill Frisell che duetta con il contrabbasso di Thomas Morgan. La resa timbrica è pazzesca, come pazzesca è la qualità dei bassi, che scendono molto, molto giù. La scena è praticamente in 3D. Emozionante.

    Muddy Waters, Folk singer. Geffen Records, 1964.
    Good morning little schoolgirl. 24/192.
    Disco unplugged inciso divinamente nel 1964 e ora riproposto in 24/192. Tutto magnifico, ma forse più di tutto quello che mi colpisce è la ricchezza del timbro della voce di Muddy Water. Al di là dei dettagli, è veramente’ difficile resistere alla tentazione di batter il piede e ondeggiare col corpo.

    Gyorgy Ligeti, Works for piano: études, Musica ricercata. Pierre-Laurent Aimard, pianoforte. Sony Classical, 1996.
    L'escalier du diable. 24/44.1.
    Un pezzo per pianoforte di Ligeti molto difficile da suonare e da riprodurre. Il pianoforte viene usato in maniera percussiva e le dinamiche sono molto elevate. Lo strumento appare perfettamente centrato all’interno del palcoscenico, l’acustica è molto spaziosa e si possono indovinare le dimensioni della sala. Le HE1000SE sono ancora una volta molto veloci e perfettamente a loro agio nel riprodurre l’ampia gamma di timbri del pianoforte.

    Prokofiev, concerti per violino e orchestra. Lisa Batiashvili, Chamber Orchestra of Europe, Yannick Nézet-Séguin. DG, 2018. 
    Secondo concerto, terzo movimento Allegro, ben marcato. 24/96.
    E’ un disco ottimamente registrato che con le HE1000SE suona divinamente. Il violino della Batiashvili è riprodotto in ogni sua sfumatura e bel si amalgama con il resto dell’orchestra. Il vasto uso delle percussioni (piatti, triangolo, castagnette, grancassa, rullante) in questo terzo movimento del secondo concerto di Prokofiev è perfettamente documentato, con un’evidenza tale che, ancora una volta, sembra di essere seduti in mezzo alla platea.

    Telemann : concerti per viola, ouvertures, fantasie, sonate. Antoine Tamestit, viola, Akademie fur Alte Musik Berlin. Harmonia Mundi, 2022.
    Fantasia per viola sola, TWV 40:14. 24/96.
    Qui siamo proprio all’estasi pura. Ho scelto questo brano per viola sola, perché le HE1000SE sono realmente magiche. La viola Stradivari di Antoine Tamestit, uno dei migliori violisti al mondo, suona divinamente. Lo strumento è di fronte a noi, l’acustica è ampia e riverberante. Si riesce a percepire ogni più piccolo dettaglio e sfumatura di questo meraviglioso strumento.

    Bartók: Orchestral Works. Helsinki Philharmonic Orchestra, Susanna Mälkki. BIS, 2021.
    Musica per archi, percussioni e celesta; Concerto per Orchestra. 24/96.
    Un disco ideale per questo genere di test. Il livello tecnico della registrazione e dell'interpretazione qui sono al top. Inoltre, la Musica per per archi, percussioni e celesta prevede una disposizione particolare dei musicisti, con la sezione degli archi divisa in due e disposta in maniera simmetrica a destra e a sinistra del direttore, e l'impiego di strumenti particolari. La riproduzione con le HE1000SE risulta assolutamente tridimensionale, con ogni strumento che suona come suonerebbe dal vivo. Nel Concerto per Orchestra, dove ogni strumento ha dignita di solista, la compagine orchestrale risulta più amalgamata, ma ogni sezione risulta chiaramente distinguibile. L'esperienza di ascolto è memorabile.
    Conclusioni
    Bassi
    Con riferimento alla gamma bassa, sono due i fattori che mi hanno molto colpito: la linearità fino a frequenze bassissime e la qualità timbrica. In questo senso l’ascolto di Bill Frisell e Beck possono dire molto su queste cuffie. Le HE1000SE sono in grado di scendere davvero molto in basso, mantenendo un elevatissimo grado di dettaglio e di pulizia. Nel complesso la gamma bassa è molto uniforme e equilibrata rispetto alle altre frequenze.
    Medi
    La gamma media è assolutamente meravigliosa, pulita, aperta, neutrale. E’ difficile descrivere il grado di accuratezza con la quale vengono riprodotti i timbri dei diversi strumenti e della voce umana, ma qui siamo a livelli superlativi.
    Alti
    Queste cuffie sono capaci di andare al tempo stesso molto in basso e molto in alto. La quantità di informazioni che riescono a restituire nelle alte frequenze è inaudita. L’accuratezza della resa timbrica è pure impressionante. Per quanto riguarda gli alti, l’unico limite è rappresentato dai nostri timpani. Con alcune dischi, specialmente di musica rock, dove le chitarre elettriche sono spesso distorte, avrei voluto abbassare un po’ le alte frequenze. Qui sta a ciascuno decidere se equalizzarle un po’ o meno.
    Soudstage
    La scena sonora riprodotta è molto ampia e profonda, in maniera assolutamente realistica. Nelle buone registrazioni sembra davvero di aver davanti i musicisti. Giusto a livello di aneddoto, mi è capitato diverse volte di indossare le cuffie, premere play e avere l’impressione che la musica venisse da fuori, al punto di credere di non aver fatto lo switch dai miei diffusori alle cuffie.
    Immagine
    I diversi musicisti sono perfettamente isolati e collocati nello spazio
    Risoluzione
    La risoluzione è impressionante. Queste cuffie sono assolutamente radiografiche, nel senso che sono in grado di isolare e riprodurre qualsiasi infinitesimo dettaglio presente nel segnale sonoro. Di contro, le registrazioni di scarsa qualità mostrano tutti i loro limiti.
    Dinamica
    Per essere delle cuffie planari, le HE1000SE hanno una dinamica eccellente e sono molto veloci. Con registrazioni dall’alto contenuto energetico (rock, metal, etc) a mio avviso perdono leggermente, rendendo a volte preferibile una cuffia dinamica.
    Equalizzazione
    Ha senso equalizzare delle cuffie di questo livello?? A mio avviso per la musica classica, jazz, acustica in generale non è necessario. Nel caso uno fosse sensibile alle frequenze più alte (è una cosa molto soggettiva, io lo sono, ad esempio) si può prendere in considerazione un leggera equalizzazione quando si ascoltano musica rock e affine.
    Conclusioni finali
    Le HE1000SE sono indubbiamente delle cuffie di qualità superlativa. Non manca niente: accuratezza e raffinatezza nella riproduzione dei timbri strumentali, risposta in frequenza esemplare, dinamica notevole, soundstage molto ampio, risoluzione pazzesca.
    In rete c'è chi dice che queste cuffie sono talmente analitiche che si presta più attenzione alla registrazione che non alla musica. Onestamente non mi trovo d'accordo: è vero che sono cuffie che rivelano molto della qulità delle registrazioni che stiamo ascoltando, ma quando si ascoltano buone incisioni, sono in grado di regalare momenti di pura magia, facendoci perdere nella pura dimensione musicale.
    Mi sento di fare ancora una considerazione: per quanto uno strumento come questo possa essere molto costoso, non esistono cuffie che vadano ugualmente bene per tutti i generi musicali. Le HE1000SE, che sicuramente  suonano in maniera spettacolare con qualsiasi musica, danno però il meglio con gli strumenti acustici, rivelandocene ogni più intimo segreto.
     
    Pro
    -          Semplici da pilotare
    -          Comodità e design
    -          Soundstage e separazione degli strumenti
    -          Dettaglio
    -          Realismo e raffinatezza dei timbri strumentali
    -          Linearità e estensione della risposta in frequenza
    -          Probabilmente rappresentano il top per la musica classica e acustica in generale
    Contro
    -          Qualche scricchiolio quando si indossano
    -          Cavi buoni, ma esteticamente non sono un granché
    -          Prezzo molto elevato
     
  3. happygiraffe
    Premessa
    Faccio una breve premessa prima di iniziare la recensione delle Adam Audio S3V.
    Sono passati ormai parecchi mesi da quando ho stravolto il setup del mio impianto hifi e penso che ormai sia arrivato il momento di condividere con voi le mie impressioni.
    Diversi mesi ci aveva impiegato anche l’amico Florestan a convincermi ad abbandonare la tradizionale configurazione con sorgente + pre + finale (integrato nel mio caso) + diffusori passivi a 2 vie e passare a qualcosa di molto diverso, ovvero usare un pc come sorgente + dac con pre integrato + diffusori attivi a 3 vie.
    Abbiamo già parlato su queste pagine di questo tipo di catena audio e in effetti, avendo ormai una collezione di dischi completamente digitalizzata che risiede su un NAS, aveva perfettamente senso liberarmi del lettore CD che ormai prendeva polvere da anni e del lettore di rete Naim e impiegare come sorgente un semplice laptop collegato al NAS. Come player uso con soddisfazione JRiver, che permette ogni tipo di personalizzazione, e da qualche tempo anche Audirvana. che è perfettamente integrato con Qobuz.
    Il segnale digitale in uscita dal PC viene poi mandato al DAC, nel mio caso il meraviglio DAC con Pre e Ampli cuffia bilanciato Master 11 Singularity di Audio-GD, marchio che negli ultimi anni ha sfornato ottimi convertitori DA e ampli cuffia con un rapporto qualità prezzo incredibile.

    Nel mio caso il Master 11 è diventato il cuore della mia catena audio, avendo il compito di convertire il segnale digitale in arrivo dal pc, di amplificarlo e di inviarlo o alle cuffie o ai diffusori attivi.
    Veniamo ora all’ultimo componente, ossia i diffusori attivi.
    Cosa sono innanzi tutto? Si tratta di speakers che contengono al loro interno una sezione di amplificazione ottimizzata per ogni driver. In pratica con questo tipo di setup si dice addio agli amplificatori finali perché i diffusori già li contengono al loro interno. Il vantaggio evidente di questa scelta è che il prodotto che esce dalla fabbrica è concepito e ingegnerizzato in modo che tutte le componenti si integrino alla perfezione tra di loro.  Ogni driver ha il suo amplificatore,  pensato, realizzato, ottimizzato per farlo suonare al meglio. Non abbiamo più un unico ampli che deve cercare di gestire più canali contemporaneamente, ma un singolo ampli calibrato per gestire un solo driver e che in soldoni deve fare solo una cosa e la fa bene. Questo si traduce in una maggiore riserva di potenza a disposizione di ogni singola via e quindi in una maggiore capacità di risolvere le necessità di ogni driver senza influenzare gli altri.
    Un altro vantaggio è che si eliminano un po’ di cavi, spesso costosi e fonti di interferenze, mentre quelli che rimangono sono bilanciati, quindi non costosi e pensati appositamente per ridurre le interferenze.
    In termini di spesa, se è vero che i diffusori attivi non sono in assoluto economici, lo diventano però quando consideriamo che l'esborso per un paio di diffuri passivi , ampli e cavi sarebbe sicuramente di gran lunga superiore a parità di qualità.
    Lo svantaggio di un diffusore attivo chiaramente è quello di essere un sistema completamente blindato, per cui non è possibile sostituirne delle parti in caso volessimo fare degli upgrade.
    Fatta questa premessa, arriviamo a parlare degli altoparlanti che ho scelto e che sono poi l’oggetto di questa recensione.
    Caratteristiche principali
    Si tratta degli Adam Audio S3V, diffusori attivi professionali a 3 vie, in pratica quelli che vengono definiti dei monitor. Sono strumenti pensati per chi lavora in studio e deve masterizzare, mixare o comporre, per cui devono avere una risposta in frequenza più lineare possibile, una spiccata capacità di rivelare i dettagli delle incisioni e quella di ricreare un palcoscenico virtuale. Ascolto prevalentemente musica classica, per cui linearità, dettaglio e soundstage sono elementi per me molto importanti. Il vantaggio poi di lavorare con questo tipo di setup è che, se desideriamo evidenziare qualche range di frequenze, ad esempio i bassi, le voci, etc, possiamo sempre equalizzare il suono a nostro piacimento, sia in JRiver che tramite i diffusori.
    La famiglia S di Adam Audio prevede anche un modello più piccolo a 2 vie (S2V) e un modello più grande e più potente a 3 vie con un woofer da 12" (S5V). Esite anche una versione orizzontale delle S2V che si chiama S2H. 
    Gli S3V sono diffusori midfield, pensati quindi per essere usati a una certa distanza dall’ascoltatore, a differenza dei nearfield che solitamente sono sparati in faccia a chi ascolta.

    Sono piuttosto voluminosi: 53cm di altezza senza stand, 29 di larghezza, ma soprattutto sono molto profondi, 38cm, perché devono contenere tutta l’elettronica. Il peso è di 25kg. Solidi e massicci, ricordano più un carro armato che un sofisticato diffusore hifi!

    Sul davanti si notano i tre driver e l’uscita bass-reflex, mentre sul pannello posteriore troviamo la presa XLR per l’ingresso bilanciato, due prese XLR per audio digitale AES3 e collegare più diffusori in serie, alimentazione e interruttore, presa USB per collegare un pc per le regolazioni del DSP, un piccolo display OLED e una rotellina per regolare varie impostazioni (crossover, ottimizzazione dei driver, possibilità di scegliere tra 5 diverse equalizzazioni, di cui due già pre-impostate).

    Ogni driver ha una sezione di amplificazione dedicata: 500W in classe D per il woofer, 300W in classe D per i medi, 50W in classe A/B per il tweeter. Le frequenze di crossover sono a 250Hz e a 3kHz. Da specifiche Adam Audio la risposta in frequenza va da 32Hz a 50kHz, la distorsione armonica totale del 0.4% (sopra i 100Hz) e una SPL a 1m superiore a 124dB.
    Il fatto che siano diffusori a 3 vie permette, rispetto ai 2 vie, di avere un altoparlante  ottimizzato per le medie frequenze, che sono quelle dove passa la maggior parte del segnale audio, uno dedicato agli alti e uno ai bassi. Ogni altoparlante gestisce quindi un range di frequenze più piccolo, permettendo quindi una migliore linearità, a patto che gli ingegneri facciano bene il loro lavoro e gestiscano bene le frequenze di crossover, ovvero quei punti in cui il suono passa da un altoparlante all'altro.
    Le basse frequenze (32-250Hz) sono gestite da un nuovo driver di casa Adam Audio da 9” realizzato espressamente per la serie S..
    Per i medi c’è un interessante driver da 4” ibrido cupola/cono in composito di carbonio. Il driver è collocato in una guida d’onda concepita per favorire la dispersione del suono in senso orizzontale e limitarla invece verticalmente, questo per creare un’immagine larga con uno “sweet spot” ampio e ridurre le riflessioni del suono su superfici orizzontali poste di fronte al punto di ascolto (parlando di monitor si intende una console di mixaggio).

    Per gli altri (sopra i 3kHz) c’è il nuovo tweeter a nastro S-ART con la sua guida d’onda HPS (“high propagation system”), che come per i medi è progettata per offrire uno sweet spot molto ampio orizzontalmente.

    DSP
    Come si diceva prima, c’è la possibilità di accedere dal retro dei diffusori a un menù impostazioni che permettere di accedere alla regolazioni DSP e a 5 preset di equalizzazione.

    Se non fosse agevole accedere al retro dei diffusori, c’è la possibilità di fare queste regolazioni da pc, tramite una presa USB, utilizzando il software di controllo.
    Le due equalizzazioni preimpostate sono “Pure” (curva piatta) e UNR (Uniform Natural Response), una curva creata da Adam con una moderata accentuazione di basse e alte frequenze.

    Si può intervenire su 8 bande di equalizzazione: high shelf, low shelf e 6 filtri parametrici che permettono fino a +/-12dB di regolazione da 20 a 20kHz.
    Segnalo solo che le modifiche impostate via software hanno bisogno di qualche decina di secondi per essere memorizzate nei diffusori.
    Posizionamento
    Nel mio caso il posizionamento non ha richiesto molto tempo. Ho lasciato i richiesti 40cm di spazio dalla parete posteriore. Ho messo i due diffusori a circa 180cm l’uno dall’altro con un punto di ascolto a circa 3m. Gli S3V hanno suonato subito bene, con un’immagine ampia e coerente.
    Risposta in frequenza

    La risposta in frequenza è quella tipica di un monitor professionale: perfettamente lineare su tutta la gamma. Le basse frequenze cominciano a decadere poco dopo i 36kHz.
    Non ascoltando musica dal mio impianto in uno studio professionale o in un ambiente d’ascolto ottimizzato, ho equalizzato il segnale che va ai diffusori usando un software di correzione ambientale (Dirac).
    Qui vi riporto la risposta in frequenza reale misurata con Dirac e una possibile curva target (tipo Harman😞

    E questa come dovrebbe apparire la risposta in frequenza in seguito alla correzione del software:

     
    La correzione apportata da Dirac è assolutamente efficace. Posso dirlo con certezza, perché in questi giorni sto avendo qualche problema con l'ultima release di Dirac, per cui non posso usarlo. La differenza è come tra il giorno e la notte!
    L’ascolto
    Ok, veniamo alla parte più interessante: come suonano queste S3V?
    La prima cosa che mi ha colpito è l’ampiezza e l’accuratezza dell’immagine che restituiscono, così come il fatto di avere uno sweet spot di ascolto effettivamente piuttosto esteso.
    C’è poi una sensazione di linearità e chiarezza lungo tutto lo spettro che colpisce molto.
    Bassi e medio bassi ci sono tutti, chiari, precisi, controllati, senza una sbavatura e con tutta la potenza che serve quando serve. Nella regione dei bassi profondi (sotto i 40Hz) si comincia a perdere sotto i 36Hz. Chi avesse la necessità di arrivare così in basso (non è che sia tanta la musica registrata che ci arriva), un subwoofer permetterebbe di arrivare ai 20Hz o poco più (Adam Audio realizza anche degli ottimi subwoofer), sempre che le nostre orecchie ci arrivino e che non ci si complichi troppo la vita con il setup del sub.
    La riproduzione della gamma media è semplicemente eccellente, per chiarezza, precisione, dettaglio e dinamica. E’ realmente difficile mettere in difficoltà questi diffusori, anche con le partiture più complesse. La voce umana suona naturale e reale.
    Negli alti, i tweeter a nastro S-ART fanno un gran lavoro, raffinati e dettagliati nel rendere gli strumenti che arrivano fin qui, tipicamente gli strumenti a percussioni.
    Vediamo ora qualche prova “sul campo”.
    Disco 1
    Ligeti, L’escalier du diable, Pierre Laurent Aimard, pianoforte.
    Sony Classical, 1996. FLAC 44,1kHz/16bit.

    Un brano questo che sembra composto per mettere alla frusta il pianista, ma anche gli impianti hifi. Grandi dinamiche, cambi di registri improvvisi, la tastiera usata in tutta la sua estensione, suono percussivo, ma anche brevi tratti di sonorità ovattate. Pierre Laurent Aimard lo suona con passione e una buona dose di furore. La registrazione è ottima. Il pianoforte è ben centrato davanti a noi, nonostante i continui cambi di registro (quante volte capita di sentire dei pianoforti con i bassi da un lato e gli alti dall’altro?). Si sentono bene le risonanze della sala in cui è stato registrato, soprattutto quando Aimard pesta sulle note più acute. I transienti sono perfettamente gestiti. Le S3V non si scompongono mai durante tutto il brano. Il finale, con il pianoforte che viene lasciato risuonare dopo gli ultimi accordi per diversi secondi, è da brivido!
    Disco 2
    King Crimson, "Starless" da "Radical action to unseat the hold of monkey mind".
    DGM 2016. FLAC 44,1kHz/24bit.

    Questo disco del 2016 riprende alcuni pezzi storici dei King Crimson. Parlando di Starless questa nuova registrazione è decisamente migliore di quella  del 1976 presente nell'album Red.
    La formazione non è più la stessa, basti pensare che il mitico batterista Bill Bruford è sostituito da addirittura tre batteristi.
    Il riff di basso in apertura di Tony Levin è pieno, caldo e accattivamente. L'ingresso della chitarra Robert Fripp, acida al punto giusto e finalmente in primo piano rispetto alla vecchia incisione, regala un brivido di soddisfazione a tutti i fan, così come la voce calda e possente di Jakko Jakszyk. Ma la vera sfida di questa registrazione è la ripresa dei 3 diversi drumset:

    OK, è difficile rendere un palcoscenico così ampio, ma il risultato è comunque realistico e il contributo di ogni singolo batterista/percussionista si distingue in modo chiaro dagli altri.
    Disco 3
    Beethoven, sinfonia n.5, Musicaeterna, dir.Teodor Currentzis, Sony Classical, 2020. FLAC 96kHz/24bit.

    Teodor Currentzis con la sua compagine Musicaeterna si esibisce in una (a tratti) feroce interpretazione della quinta sinfonia di Beethoven. Il disco ci offre un sofisticato esempio di ingegneria sonora. Ogni gruppo di strumenti è chiaramente distinguibile all'interno della trama sonora e nello spazio. Dal contrabbasso al flauto piccolo si sentono tutti ed ognuno ha una precisa collocazione nello spazio, con un'effetto di tridimensionalità sorprendente, anche se un po' artificioso. 
    Disco 4
    Fiona Apple, Fetch the bolt cutters.
    Epic, 2020. FLAC 48kHz/24bit.
     

    L'ultimo formidabile lavoro di Fiona Apple è stato registrato in casa, con una produzione ridotta all'osso. Pochi strumenti, molte percussioni e di ogni genere (Fiona usa anche una scatola contenente le ossa del suo compianto cane) e su di tutto la voce della Apple, che mai come in questo disco appare messa a dura prova.  Tutto converge nel trasmetterci un messaggio di rabbia e viscerale insoddisfazione. Un inaspettato e violento pugno nello stomaco. E le nostre S3V che ci restituiscono la voce di Fiona Apple senza filtri di qualsiasi tipo, in tutta la sua ruvida  e sconcertante bellezza.
    Disco 5
    Avishai Cohen Trio, "Beyond" da "From the darkness".
    Razdaz, 2015. FLAC 96kHz/24bit.

    Il grandissimo contrabbassista israeliano Avishai Cohen qui in trio con il pianista Nitai Hershkovits e il batterista Daniel Dor in un bellissimo disco Jazz del 2015. Beyond è la prima traccia del disco e si apre con una travolgente e dinamica progressione. Con le S3V mi sento letteralmente scaraventato sul divano. Il contrabbaso di Cohen è potente è sempre in evidenza, il piano di Hershkovits limpido e con una notevole gamma dinamica, la batteria di Dor straordinariamente spumeggiante. Una gioia da ascoltare!
    Disco 6
    Schumann, Myrthen. Christian Gerhaher, baritone, Camilla Tilling, soprano, Gerold Huber, pianoforte.
    Sony Classical, 2019. FLAC 96kHz/24bit.

    Lo Schumann giovanile dei Myrthen affidato alle voci di Gerhaher e Tilling e al pianoforte di Huber. Una bellissima interpretazione valorizzata da un'ottima qualità della registrazione.
    Il pianoforte di Huber è ben presente, il suono è pieno e caldo, leggermente in secondo piano, com'è giusto che sia. La voce della Telling chiara, brillante, a volte volutamente fragile. Quella di Gerhaher più matura, calda ed ambrata. Possiamo tranquillamente chiudere gli occhi e immaginare gli interpreti sul palco davanti a noi.
    Disco 7
    Gustav Mahler, sinfonia n.2 "Resurrezione". Budapest Festival Orchestra, coro della radio ungherese, Lisa Milne soprano, Birgit Remmert contralto, Ivàn Fischer direttore.
    Channel Classics, 2006. FLAC 192kHz/24bit.

    La seconda sinfonia di Mahler è un'opera mastodontica che prevede un'orchestra decisamente rinforzata (10 corni, 8 trombe, 2 arpe, organo, 5 percussionisti), un soprano, un contralto e un coro.
    Probabilmente uno dei peggiori incubi per gli ingegneri del suono, che in questo caso fanno un lavoro davvero impressionante. A differenza della quinta di beethoven con Currentzis, in cui il punto di vista sembra essere quello del direttore d'orchesta che ha tutti gli strumenti intorno a sé, qui sembra di essere seduti in mezzo alla platea con l'orchestra ad una certa distanza e il suono dei vari strumenti dell'orchestra che si amalgamano perfettamente insieme.  Preferisco questa impostazione, meno radiografica e più  vicina al vero.  Voci, coro e tutti i gli elementi dell'orchestra sono ben identificabili, ma alla stesso tempo parti di un tutto più ampio, con una dinamica che sembra non aver mai fine. Complimenti agli ingegneri di Channel Classics!
    Conclusioni
    Spesso le recensioni che si trovano online di materiale di questo tipo sono fatte da professionisti che li usano quotidianamente per lavoro. Non è questo il caso mio, che invece ne faccio un uso assolutamente ludico, per cui invito i professionisti capitati su questa pagina a prendere tutto quello che ho scritto fin qui e le mie conclusioni "cum grano salis". 
    Personalmente, il passaggio da un paio di diffusori passivi agli S3V per me ha rappresentato un miglioramento notevole della mia esperienza di ascolto. Linearità e estensione della risposta in frequenza, dettaglio, dinamica, immagine, non c’è un parametro che non sia migliorato in modo significativo. Penso che per fare di meglio in ambito hifi (intendo non nel contesto dell’attrezzatura professionale) bisognerebbe spendere molto, molto di più. In fondo stiamo parlando di un diffusore a 3 vie con un sistema di amplificazione che arriva a 850W  di potenza complessiva. Roba che nelle boutique hifi vengono vendute a costi esorbitanti.
    Chiaramente questi sono diffusori che non perdonano: se da un lato sono in grado di valorizzare tutte le incisioni di buona qualità,  facendocene apprezzare tutte le sfumature, dall’altro sono spietati con quelle mediocri e non potrebbe essere diversamente. Sono pensati per chi predilige una riproduzione audio analitica e più neutra possibile, ma, come avete visto, oggi c'è la possibilità di lavorare sull'equalizzazione in maniera semplice e efficace per ottenere un suono complessivo più adatto ai nostri gusti o al genere musicale che stiamo ascoltando.
    Pro
    Prestazione audio complessivamente eccellente Immagine stereo ampia, stabile e coerente Ampiezza dello sweet spot di ascolto C'è una riserva di potenza a disposizione impressionante Rapporto qualità/prezzo molto elevato se paragonato al mondo hifi non professionale, non saprei dire invece per l'ambito professionale dove in questa fascia di prezzo ci sono altri concorrenti (Neumann, Genelec, etc), che non ho avuto la fortuna di ascoltare. Contro
    Aspetto: sono strumenti professionali, non di arredamento. L’estetica non fa parte dei loro punti di forza Software di controllo migliorabile Manca una griglia frontale per ripararli dalla polvere, cosa frequente in tutti i monitor professionali.  Mancano una manciata di Hz nei bassi profondi per avere una risposta in frequenza perfetta
  4. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Erik Satie, John Cage, pezzi vari per pianoforte.
    Bertrand Chamayou, pianoforte.
    Erato, 2023.
    ***
    L'accostamento tra Erik Satie e John Cage è molto insolito e prima vista potrebbe apparire privo di senso. Da un lato il compositore francese, ribelle, eccentrico, fuori dagli schemi, una figura chiave della scena musicale parigina dei primi 20 anni del '900. Dall'altro John Cage, compositore americano tra i più importanti delle avanguardie del secondo dopoguerra. Se tutti abbiamo ascoltato almeno una volta la prima delle 3 Gymnopédies di Satie, John Cage è solitamente ricordato per 4'33", opera che prevede che l'esecutore non suoni nulla per 4 minuti e 33 secondi. 
    Eppure Chamayou nelle belle note di copertina ci racconta di essere approdato a Satie proprio studiando Cage e scoprendo l'ammirazione del compositore americano per il francese. Del resto Satie fu il primo ad avere l'idea di mettere degli oggetti sulle corde del pianoforte, inventando di fatto il "pianoforte preparato", che fu poi largamente usato da Cage. 
    Chamayou ci presenta in questo disco una perfetta sequenza di brevi brani di entrambi i compositori, che chiarisono come sia stato profondo il segno lasciato da Satie su Cage. Il tono è spesso intimo e malinconico. 
    La mia perplessità iniziale è stata spazzata via al primo ascolto. Questo disco è un luminoso omaggio a due dei compositori più strambi e innovativi del loro periodo da parte di un pianista che si dimostra ancora una volta uno dei migliori talenti della sua generazione.


     
  5. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Claude Debussy, Études, Pour le piano, La plus que lente, Berceuse héroïque, Étude retrouvée.
    Steven Osborne, pianoforte.
    Hyperion, 2023.
    ***
    Che lo scozzese Steven Osborne sia uno straordinario interprete di Debussy non è certo una sorpresa, ma devo ammettere che ogni nuovo disco mi riempe di meraviglia.
    Il piatto forte di questa raccolta sono i formidabili études del 1915, ultima composizione pianistica di Debussy e per molti anni dimenticati nei repertori concertistici, a vantaggio di pagine più celebri. Nonostante la dedica dell'autore alla memoria di Chopin, questi brani non potrebbero essere più diversi dai celebri studi del compositore polacco. Le finalità didattiche sono completamente trascese, in uno scherzoso e raffinato gioco di richiami alla tradizione pianistica, siano essi nella musica stessa, così come nei titoli dei pezzi e nelle indicazioni sulla partitura. 
    La caratteristica del Debussy di Osborne è quella di non dimenticare mai proprio l'aspetto umoristico, a tratti sornione, a tratti ironico, a tratti giocoso, allontanandosi da una tradizione interpretativa volta più ad avvolgere questa musica in una seriosa bruma sonora tesa ad esaltarne il carattere più impressionistico. Il suono di Osborne è brillante, terso e cristallino, delicato, ma anche potente quando occore, perfettamente assecondato da una registrazione di straordinaria chiarezza. La musica scorre con naturalezza, dimostrando ancora una volta l'affinità di Osborne per questo compositore.
    L'approccio è coerente con quello delle altre sue raccolte dedicate a Debussy:

    Il precedente disco del 2022.

    Quello del 2017 con Images, Estampes e Childer's corner.

    I Préludes del 2006.
    E' un disco che raccomando senza la minima esitazione. Per chi amasse fare i confronti, suggerisco le registrazioni di Mitsuko Uchida e Maurizio Pollini.
  6. happygiraffe

    Recensioni : Novità dell'anno
    Impressioni, brevi recensioni e suggerimenti sulle uscite discografiche del 2023.
    Si comincia con i botti con questo sfavillante disco di Patrizia Kopatchinskaja e Fazil Say, che interpretano pagine di Janáček, Brahms e Bartók. Qui la recensione completa:
     
  7. happygiraffe
    Scrivo questo pezzo per condividere con voi la bellezza di alcuni luoghi in cui da anni ho la fortuna di passare qualche giorno di ferie.
    Faccio qualche premessa.
    Molti fotografi più seri di me vengono in questi posti solo per fotografare queste montagne straordinariamente belle. Youtube è piena di video di gente che condivide i propri viaggi fotografici nelle Dolomiti, riprendendo sempre le stesse cime, dagli stessi luoghi. Si alzano all'alba per cogliere i primi raggi di sole indorare le cime, dormono in camper sui passi di montagna.
    Ecco, io non sono tra questi. Io il mio è il punto di vista dell'escursionista.

    Non voglio portarmi sulle spalle troppa attrezzatura pesante. Non posso portarmi dietro la macchina quando arrampico o faccio ferrate impegnative. Voglio godermi la camminata, la giornata all'aperto, i colori, gli odori dei prati e dei boschi. Se poi capita l'occasione giusta e ho dietro la macchina fotografica, beh, ne approfitto! Tante volte ho rimpianto di non averla avuta con me e di essermi dovuto accontentare di qualche scatto con lo smartphone.
    Molte altre volte mi sono trovato nel posto giusto, ma con la luce sbagliata, come qui:

    In fondo non importa, sono contento così.
    Altre volte il cielo minaccioso, che preoccupa l'escursionista che non vuole prendersi tanta acqua, regala al fotografo una luce e dei contrasti incredibili, come nelle foto che seguono, dove ho messo insieme due diverse gite negli stessi posti, ma con condizioni meteorologiche molto simili.
    Siamo dalle parti del Passo Giau, luogo mitico per ciclisti, motociclisti e fotografi!




    Motociclisti e fotografi dal fiato corto spesso si fermano al rifugio al passo, ignorando che dopo una camminata non eccessivamente lunga, ma assai ripida nell'ultimo tratto, si arriva in uno dei posti più fiabeschi che abbia mai visto:


    Qui un'altra vista della Re Gusela (la montagna che sovrasta passo Giau):

    E qui i Lastoi de Formin e la Croda da Lago visti proprio dalla Ra Gusela in un contesto un po' lunare:

    Quest'estate ho avuto modo di passare più volte nella zona Lagazuoi, Fanis, Tofane, attraversando la magnifica Val Travenanzes.
    Quando si è "in alto" i panorami sono letterlamente vertiginosi:





     

    Man mano che si scende gli scenari si fanno più rassicuranti 




    Così come sono rassicuranti e piene di magia le cime dei monti quando il sole al tramonto le accende di arancione:

    L'imponente parete della Tofana di Rozes e qui sotto le Cinque Torri in compagnia di Nuvolau e Averau:

    Molto amate da noi fotografi sono le cime riflesse negli specchi d'acqua, come qui il Becco di Mezzodì che si riflette nel lago Federa (purtroppo non nelle condizioni migliori):

    O qui il Lagazuoi che si specchia nel microscopico lago Limedes:

    Altre volte le mie gite mi portano in luoghi meno spettacolari e fotogenici, ma altrettanto piacevoli:




    Un'emozione particolare mi prende quando riesco a vedere qualche animale, che sia una comunissima marmotta (marmottina in questo caso):

    o uno dei tanti caprioli:

    O i più schivi camosci (quelli bisogna proprio andarseli a cercare, avere fortuna e occhi buoni, possibilmente anche un buon binoccolo Nikon):


    Siamo arrivati alla fine di questa lunga carrellata di immagini. Spero di avervi messo un po' di voglia di visitare questi luoghi nell'unico modo in cui si può conoscerli veramente, ossia camminando . 
     
  8. happygiraffe
    Sono poco più di 3 settimane che mi diverto con la Z8 e mi sembra di averla da sempre. Dopo un po' di studio iniziale e una volta settata per quello che voglio fare, il resto è uro divertimento. Devo solo preoccuparmi di inquadrare il soggetto, al resto ci pensa lei con il suo autofocus "telepatico" (come mi diceva oggi Silvio). 
    Il passaggio dalla D810 è stato rapido e felice. Quello che apprezzo di questa fotocamera più di ogni altra cosa è l'autofocus: affidabile e reattivo, sbaglia davvero pochissimo, e con copertura di tutto il fotogramma. A seguire la stabilizzazione che permette di scendere molto con i tempi e per finire il display orientabile, per me una novità. che permette molta versatilità nelle riprese.
    Questo capolavoro di tecnologia ha tutto quello che da tempo sognavo in una fotocamera. E magicamente mi ha fatto tornare la voglia di fotografare!
    Qui di seguito qualche foto fatta per le strade di Milano. Tutte con il 24-120 f/4.

    Milano, CityLife.

    Milano, CityLife.

    Milano, Porta Volta.

    Milano, Passeggiata Boris Pasternak.

    Milano, Porta Volta. Un gruppo di ragazzi mi ha chiesto di fotografarli e io li ho accontentati!

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi. Altissime modelle asiatiche.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi. Un bravo musicista di strada. L'accoppiata con la foto precedente dei due ciclisti mi fa venire in mente un verso di una canzone di Paolo Conte:"i sax spingevano a fondo, come ciclisti gregari in fuga" 

    Milano, Via Paolo Sarpi. Un spettacolo di strada.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Piazza dei Mercanti di domenica mattina.

    Milano, Galleria Vittorio Emanuele. Due poliziotti a cavallo (e che cavalli! erano delle bestie bellissime!) posano per un fotografo (immagino per qualche calendario). Di lì a poco uno dei cavalli avrebbe sbavato copiosamente sul fotografo.

    La Z8 ha messo a fuoco sull'occhio del cavallo.

    Milano, Via Palazzo Reale.

    Milano, CityLife.

    Milano, CityLife.

    Milano, CityLife.

    Milano, Galleria Vittorio Emanuele.

    Milano, Via Santa Radegonda.

    Milano, Via Santa Radegonda.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Via Torino.

    Milano, Via Torino.
    C'è anche qualche foto a colori:

    Milano, Porta Nuova.

    Milano, Galleria Vittorio Emanuele.

    Milano, Galleria Vittorio Emanuele. La variopinta signora che si fa in selfie in bicicletta mi ha fatto molto ridere!

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo. La vie en rose!
     
    Spero di non avervi ammorbato con tutte queste foto. Avevo un po' di ritardo da recuperare!
     
  9. happygiraffe
    Mendelssohn: Vatiations sérieuses Op.54, Romanze senza parole, Phantasie Op.15.
    Rachmaninov: Scherzo da "Sogno da una notte di mezza estate" Op.61.
    Peter Donohoe, pianoforte.
    Chandos, 2023.

    ***
    Con questo secondo volume delle Romanze senza parole di Mendelssohn Peter Donohoe conclude il percorso iniziato a gennaio del 2022 con la prima raccolta:
     

    Le Romanze senza parole furono composte in un arco di tempo piuttosto lungo, tra il 1829 e il 1945. e pubblicate in otto raccolte di sei brani ciascuna. Si tratta di brevi brani di due, tre minuti al massimo, caratterizzati da uno stile intimo e cordiale e da una tecnica non virtuosistica. Donohoe non li esegue in ordine cronologico, ma li mischia in modo da offrire un'esperienza di ascolto più varia e interessante. Donohoe affronta questi brani con un tocco leggero e brillante e con consumato mestiere. Detto questo, per quanto graziose possano essere le Romanze senza parole e per quanto queste miniature possano essere giustamente ricordate come dei piccoli capolavori, alla lunga possano stancare (mia personalissima opinione e ricorrente esperienza con questi brani  ), non avendo il Mendelssohn quelle caratteristiche che rendono alle mie orecchie più interessanti i suoi compositori coevi: la visionaria e appassionata follia di Schumann, la febbrile disperazione di Chopin, la tragica malinconia di Schubert, il diabolico e irrequieto virtuosismo di Liszt.
    E così il nostro Donohoe, come aveva già fatto nel primo volume di questa raccolta, ben fa ad accostare altri brani alle Romanze. Il disco si apre infatti con le frizzanti Variations sérieuses e si chiude con la meno nota Phantasie Op.15 sulla canone irlandese "The last rose of summer" e infine il diabolico arrangiamento di Rachmaninov dello Scherzo dal Sogno di una notte di mezza estate, che ci risveglia dopo un'ora e venti di intime e morigerate confessioni romantiche.
    Nel complesso un ottimo disco, suonato in maniera ideale dall'irreprensibile Peter Donohoe.
     
  10. happygiraffe
    Igor Stravinsky: Concerto per violino e orchestra in re maggiore e composizioni da camera.
    Isabelle Faust, violino; Les Siècles, dir.François-Xavier Roth.
    Harmonia Mundi, 2023.
    ***
    Ho sempre trovato Stravinsky un compositore piuttosto controverso. Geniale nel rompere con la tradizione con l’innovativa e scandalosa (per il pubblico parigino del 1913) Sagra della Primavera, eclettico nel passare successivamente a un linguaggio volto alla reinterpretazione dei modelli classici, per poi clamorosamente approdare alla musica dodecafonica e seriale, ma a modo suo, ovvero con un occhio rivolto al tempo stesso alla musica polifonica rinascimentale. 
    Prolifico ogni oltre misura, difficile da etichettare, a volte mi chiedo cosa rimanga di Stravinsky a 110 anni da quella serata di maggio al Théatre des Champs-Elisées in cui sconvolse il pubblico parigino e mi accorgo che mi trovo ad apprezzare più il suo periodo neoclassico di quelli precedenti, per non parlare di quello successivo dodecafonico.
    In quest’ottica, del tutto personale, mi è piaciuto moltissimo questo disco della violinista tedesca Isabelle Faust con l’orchestra Les Siècles, nota per il fatto che suona strumenti dei primi del ‘900, e del suo direttore François-Xavier Roth.
    Questo disco idealmente segue questi due dischi, entrambi del 2021:


    Qui il concerto per violino occupa gran parte del programma, per la restante parte parte composto da musica da camera.
    Composto nel 1931, il concerto per violino si discosta completamente dai modelli del concerto romantico e tardoromantico, puntando invece a un’oggettività neoclassica, priva di sentimentalismi e virtuosismi. In quello che la Faust chiama un concerto brandeburghese del XX secolo, il violino dialoga principalmente con gli strumenti a fiato in una partitura quasi cameristica, orchestrata magistralmente in un gioco di colori e richiami timbrici, in cui l’orchestra Les Siècles, dal suono così diverso da quello lussureggiante e setoso delle moderne orchestre, fa meraviglie.
    Questa lettura del concerto mi ha stupito per il grande equilibrio, la chiarezza della trama e la raffinatezza timbrica, con la Faust che dialoga con gli altri strumenti senza mai volerli sovrastare.
    Seguono il concerto alcune brevi composizioni da camera: i tre pezzi per quartetto d’archi del 1914 (sensazionale il terzo!), il Concertino per quartetto d’archi (1920) in un unico movimento, l’incantevole e elegante Pastorale nella trascrizione del 1933 per violino (al posto della voce), oboe, corno inglese, clarinetto e fagotto e per finire il brevissimo doppio canone per quartetto d’archi.
    Tirando le somme, un disco eccellente e ottimamente registrato, con una versione finalmente convincente del concerto per violino e una serie di composizioni di camera che è stato un piacere scoprire.

     
     
     
  11. happygiraffe
    Michael Tilson Thomas:"You come here often?"; Teddy Abrams, Concerto per pianoforte.
    Yuja Wang, pianoforte; Louisville Orchestra, dir.Teddy Abrams.
    DG 2023
    ***
    Yuja Wang, oltre essere una pianista fenomenale, è anche una ragazza estroversa e esuberante. Basta ascoltare qualche intervista o guardare il suo abbigliamento ai concerti o anche solo la copertina di questo disco per capirlo.
    E si deve essere divertita molto a suonare i pezzi di questo disco, composti per lei dagli amici Teddy Abrams e Michael Tilson Thomas.

    Il concerto per pianoforte di Abrams doveva essere un pezzo da affiancare in concerto alla Rhapsody in Blue di Gershwin, che ha il difetto di durare solo 16 minuti, ma poi il nostro compositore si è fatto un po' prendere la mano e ne è uscito un pezzo di circa 40 minuti. E' una sorta di pastiche che contiene un po' di tutto, da Gershwin appunto, ai musicals, alla musica da film (e forse pure da telefilm) e molto altro, pensato per mettere in risalto le mirabolanti qualità tecniche della Wang. E' musica leggera, frizzante, spensierata e divertente. Fa battere il ritmo con il piede e mette di buon umore. Si ascolta volentieri, insomma, ma 40 minuti sono tanti e può diventare un po' stucchevole.
    Apre il disco un breve pezzo del direttore d'orchestra e compositore Michael Tilson Thomas "You come here often", lo stile è sempre molto brillante, ma più riflessivo. Perfetto per i bis pirotecnici dei concerti di Yuja!
    In sinstesi un programma molto brillante, suonato divinamente dalla Wang (e come poteva essere diversamente?), di facile ascolto, ma non so di quanto facile riascolto (forse quando abbiamo bisogno di tirarci su il morale?). 
     
     
     
  12. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Chopin, Sonate per pianoforte n.2 Op.35 e n.3 Op.58, Notturno Op.48 n.2, Barcarolle Op.60.
    Rafał Blechacz, pianoforte.
    DG 2023.
    ***
    Rafał Blechacz, ritorna all’amato Chopin con questo disco che contiene la seconda e la terza sonata.
    Da quando ha vinto nel 2005 il concorso Chopin, che ha lanciato la sua carriera e gli ha fatto ottenere un contratto con la prestigiosa etichetta DG, Blechacz sembra essersi mosso sempre con una certa cautela in un mondo musicale che fagocita i giovani talenti in una specie di tritacarne di dischi e concerti.
    Pochi dischi e di qualità, con Chopin a farla da padrone, ma con graditi fuori programma (Bach e Debussy).
    Questo ritorno a Chopin ci chiarisce, se ce ne fosse bisogno, il motivo del primo premio al concorso Chopin del 2005. Senza mezzi termini, Blechacz è probabilmente il migliore interprete del compositore polacco in circolazione!
    Interpretazioni energiche e vibranti, prive di sentimentalismi, con una straordinaria limpidezza del suono, ma soprattutto una grande fluidità nel dipanare il discorso musicale senza indugiare in manierismi, con un rubato molto naturale. Insuperabile e commovente nei movimenti lenti in pianissimo (il secondo tema della celeberrima marcia funebre della seconda sonata e il Largo della terza sonata). A fare da contorno alle sonate il Notturno op.48 n.2 e la Barcarolle.
    Sono pagine molto note del repertorio pianistico (al punto che personalmente mi erano venuto un po’ a noia) e sono numerosissime le incisioni di riferimento, ma è bello riascoltarle in questa lettura di Blechacz, in cui tutto scorre alla perfezione.
    Buona anche la qualità della registrazione, effettuata agli studi Teldex di Berlino.
    Un disco che non esito a raccomandare.
  13. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Schubert: Trii per pianoforte n.1 e 2, Trio per pianoforte op.148 D.897 "Notturno", Rondò op.70 D.895 "Rondeau brillant", Sonata D.821 "Arpeggione".
    Christian Tetzlaff, violino, Tanja Tetzlaff, violoncello, Lars Vogt, pianoforte.
    Ondine, 2023.
    ***
    Questo è un disco molto particolare e con una storia molto toccante.
    E’ l’ultima registrazione di Lars Vogt insieme agli amici di una vita, Christian e Tanja Tetzlaff, prima della sua scomparsa prematura nel 2022 a soli 51 anni.
    All’epoca dell’incisione Vogt era già sofferente e fu proprio in quel periodo che gli fu diagnostica la malattia.
    Con Christian e Tanja Tetzlaff li lega un percorso artistico comune di 25 anni, costellato da tanti dischi di musica da camera, e una lunga amicizia.
    Questo penso sia il loro primo o uno dei primi dischi insieme, del 2003:

    Ma ce ne sono tanti altri che immancabilmente li ritraggono insieme in copertina:



    E questi che ritraggono Lars e Christian decisamente più giovani:



    Ma veniamo a quest’ultimo disco, che contiene alcune delle più belle pagine di musica da camera di Franz Schubert: i due trii op.99 e 100 e la sonata “arpeggione” per violoncello e pianoforte.
    Quello dei Trii è un Schubert maturo, ormai lontano dall’intrattenimento mondano e salottiero, prossimo alla morte nonostante la giovanissima età (il povero Schubert morì a soli 31 anni).
    In questo senso il secondo Trio in mi bemolle maggiore, sicuramente il piatto forte del disco e uno dei massimi capolavori della musica da camera tout court, ha un carattere tragico e carico di angoscia, nonostante la consueta bellezza schubertiana delle linee melodiche.
    E il terzetto Vogt-Tetzlaff riesce a esprimerci tutta l’angoscia e il dramma dell’animo di Schubert, nascosti sotto l’apparente bellezza e perfezione di queste pagine immortali. Spesso queste opere (e Schubert in generale) vengono interpretate prestando più attenzione al fascino della melodia e alla perfezione del suono e dei timbri, in qualche modo compiacendo l’ascoltatore, che non a far emergere le angosce sotterranee del compositore.
    Qui invece a chi ascolta si propone un messaggio più impegnativo, più difficile, lontano da qualsiasi sentimentalismo, ma infinitamente più emozionante. I suoni sono a volte aspri, la dinamica molto ampia, dai pianissimo quasi impercettibili ai fortissimo molto…forti, com’è giusto che sia!
    Si sente che i tre interpreti, ormai all’apice delle loro capacità tecniche, hanno investito tutto loro stessi in queste pagine, per farci arrivare qualcosa di più del semplice bel suono.
    Il libretto del disco contiene una lunga e toccante intervista a Christian e Tanja Tetzlaff, nella quale parlano dell’amico Lars, delle sessioni di registrazione e di Schubert.
    Ci riportano queste parole di Vogt:
    "Mi sembra che tutto, almeno nella mia vita, si sia sviluppato verso questo Trio in mi bemolle maggiore", ha scritto in un messaggio dopo aver ascoltato la registrazione. "Se non rimane molto tempo, allora è un degno addio".
    Il disco contiene anche per altri brani del tardo Schubert, tra cui il Notturno per trio, D897, di struggente semplicità, il Rondò per violino e piano, D895, e la famosa Sonata per arpeggione, che Tanja Tetzlaff e Vogt rappresentano con grande naturalezza e intesa. Sono però le esecuzioni dei due trii che definiscono questo disco. Sono però le esecuzioni dei due trii a definire questo set. Naturalmente esistono già molte belle esecuzioni di queste opere, a partire da quella Eugene Istomin, Isaac Stern e Leonard Rose degli anni ‘60, ma questa sicuramente si pone come un nuovo riferimento tra quelle recenti.
    Caldamente raccomandato.

  14. happygiraffe

    Recensioni : clavicembalo
    J.S.Bach: Suites francesi BWV 812-817, 818a, 819.
    Pierre Gallon, clavicembalo.
    Encelade, 2022.
    ***
    Le Suite francesi sono delle composizioni per clavicembalo di J.S.Bach derivate dalle forme di danza che ne compongono i diversi movimenti. Furono chiamate francesi solo successivamente, perché idealmente si rifanno allo stile francese, anche se in realtà ritroviamo anche elementi dello stile italiano.
    Nelle belle note del libretto è lo stesso Gallon che ci dice che “testimoniano della volontà di Bach di inculcare ai suoi allievi una certa idea dello stile francese: finezza del discorso, elegante semplicità della linea melodica, nobiltà e varietà portate dai diversi caratteri delle danze”.
    Per chi studia il pianoforte e il clavicembalo, le Suite francesi sono state spesso considerate un facile punto di ingresso nel complesso universo musicale bachiano. Già dai tempi di Bach i suoi allievi le consideravano tali, come testimoniano le diverse copie manoscritte che ne fecero, complicando così la vita agli interpreti e studiosi moderni che si devono districare tra le diverse varianti stratificate.

    Il clavicembalista francese Pierre Gallon, collaboratore stabile dell’Ensemble Pygmalion e del suo direttore Raphael Pichon, in questo disco affianca alle sei suite francesi della raccolta canonica anche le due suite BWV 818a e 819 (completandola con una Giga di W.F.Bach), che compaiono nel primo manoscritto, ma che spariscono dalle copie successive. Inoltre, fa precedere ogni Suite da un preludio, preso in prestito dallo stesso JS Bach, ma anche da Couperin e Dieupart, come era solito avvenire nella prassi esecutiva del tempo. E' lo stesso Gallon che ci spiega che in alcune fonti si trovano in effetti dei preludi prima delle Suite di danze. Il risultato è indubbiamente molto convincente.
    L’interpretazione di Gallon è molto fluida e “danzante”, con tempi piuttosto comodi, ma che trovo corretti, e soprattutto una grande attenzione alla relazione tra i vari movimenti.
    Lo strumento che suona è una riproduzione moderna di un magnifico clavicembalo fiammingo del 1679,  opera dell’Atelier Ducornet.
    La registrazione è sublime e ci restituisce tutta la varietà timbrica di questo strumento in un’acustica sontuosa.
    Gran bel disco, molto curato in ogni suo aspetto.
     
  15. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Beethoven: Variazioni e fuga "Eroica" Op.35; 6 variazioni WoO  77; 32 variazioni in do minore WoO 80.
    Bruno Leonardo Gelber, pianoforte.
    Orfeo, 2016.
     
    ***
    Mi chiedevo perché la rivista francese Diapason abbia recentemente deciso di premiare con il suo "diapason d'oro" questo disco del 2016 di una registrazione del 1983 del pianista Bruno Leonardo Gelber.
    La risposta è venuta naturale con l'ascolto: dovevano riparare all'onta di non averlo fatto prima!
    Bruno Leonardo Gelber è un pianista argentino nato nel 1941 a Buenos Aires e allievo dello stesso Vincenzo Scaramuzza che fu maestro di Martha Argerich. Ha avuto una lunga carriera internazionale e ha inciso per lo più per Denon e Emi, ma per qualche  motivo è stato un po' trascurato dai media, specialmente negli ultimi anni.

    In questo disco suona le variazioni Eroica, le variazioni facili WoO 77 e le 32 variazioni in do minore WoO 80. Le interpreta con una naturalezza, una limpidezza che non rinunciano, al contrario, al brio e alla fantasia. Troviamo uno slancio e allo stesso tempo una sapienza interpretativa che tolgono letteralmente il fiato.
    E' molto buona anche la qualità della registrazione, che restituisce un'immagine dello strumento molto omogenea e coerente.
    Un disco che non posso che raccomandare molto caldamente.
  16. happygiraffe

    Recensioni : orchestrale
    Weinberg: sinfonie 3 e 7; concerto per flauto n. 1.
    City of Birmingham Symphony Orchestra, Deutsche Kammerphilarmonie Bremen, Dir.Mirga Gražinytė-Tyla.
    Kirill Gerstein, clavicembalo; Marie-Christine Zupancic, flauto.
    DG 2022.
    ***
     
    Da qualche anno è in corso una vera e propria riscoperta dello sfortunato compositore polacco Mieczysław Weinberg (1919-1996). Due artisti si sono fatti paladini di questa riscoperta: il violinista Gidon Kremer, di cui avevamo parlato QUI, e la direttrice lituana Mirga Gražinytė-Tyla, qui al suo secondo disco per DG dedicato interamente a Weinberg.

    Weinberg ebbe una vita sfortunata, fuggì dai nazisti dalla Polonia all’URSS dove venne accolto a braccia aperte dai sovietici che lo accusarono di formalismo (peccato mortale per i compositori dell’epoca) e lo arrestarono pure. Solo alla morte di Stalin poté riprendersi, ma componendo più che altro per cinema, teatro, tv e addirittura spettacoli circensi.
    Nonostante questo, compose tantissimo, addirittura 22 sinfonie e 17 quartetti. Tutta musica che si sta riscoprendo di recente. Non tutta meritevole di attenzione, ma ci sono in ogni caso opere davvero interessanti, caratterizzate da un linguaggio sempre personale.
    Il disco si apre con la sinfonia n.7 per orchestra d’archi e clavicembalo del 1964, cupa, ma non tragica, caratterizzata da interventi del clavicembalo, qui affidato addirittura a Kirill Gerstein, piuttosto stranianti, che alla fine lasciano all’ascoltare più dubbi che risposte.
    Decisamente più brillante, ironico e godibile il concerto per flauto Op.75 del 1961. Bravissima la flautista Marie-Christine Zupancic, ben sostenuta dalla City of Birmingham Symphony Orchestra.
    Chiude il disco l’ambiziosa terza sinfonia, frutto di una genesi molto complicata. Iniziata nel 1949, composta cercando di reinterpretare e in qualche modo aggirare i dettami delle autorità, criticata dall’”Unione dei Compositori Sovietici”, rimaneggiata e tenuta in un cassetto in attesa di tempi migliori, vale a dire la dipartita di Stalin e l’arrivo di Krusciov, è un’opera densa e molto intensa, ma al tempo stesso caratterizzata da una ricca inventiva melodica. Certamente riflette il clima del momento, ma personalmente la trovo di grande fascino.
    Nel complesso un ottimo disco, ben registrato, con un’ampia gamma dinamica, che aggiunge dei nuovi tasselli alla riscoperta di un compositore rimasto molto a lungo nell’ombra.
     
  17. happygiraffe
    E’ uscita da poco un sontuoso cofanetto di 48 cd dedicato al pianista tedesco Walter Gieseking (1895-1956). Non è disponibile digitalmente, ma Warner ha comunque pubblicato diversi album in formato liquido rimasterizzati in alta risoluzione.
    Gieseking fu un pianista straordinario e un personaggio curioso e geniale. Nacque in Francia, a Lione, dove il padre entomologo soggiornò diversi anni alla ricerca di nuovi lepidotteri da catalogare, e fino a 16 anni studiò il pianoforte praticamente da autodidatta. Fu solo al rientro in Germania che si iscrisse al conservatorio di Hanover, ma nel frattempo aveva studiato un repertorio già sorprendentemente ampio. Si dice che Gieseking passasse molto più tempo a studiare le partiture lontano dal pianoforte, che non a esercitarsi sul suo strumento. Dotato di una memoria formidabile, memorizzava i pezzi semplicemente leggendoli e analizzandoli. 
    La sua carriera di pianista prese il volo nel periodo tra le due guerre, quando si esibì in tutta Europa e spesso anche negli USA.
    Più difficile fu invece la ripresa dell’attività concertistica nel secondo dopoguerra, specialmente negli USA, dove veniva accusato di collaborazione culturale con il regime nazista. Nel 1947 venne prosciolto da queste accuse, ma è solo del 1953 il suo ritorno trionfale alla Carnegie Hall di New York.
    Gieseking ebbe un’importanza notevole nella storia del disco: fu il primo a incidere le opere integrali di Claude Debussy e Maurice Ravel, incisioni per le quali viene ricordato ancora oggi. Sorprendono ancora oggi la raffinatezza timbrica del suo modo di suonare, così come la sensibilità e la fantasia con cui era in grado di dar vita alle pagine di quei compositori. Fu probabilmente il primo a creare un mondo sonoro, che ancora oggi associamo a quella musica.


    Riascoltare oggi il suo Debussy e il suo Ravel, così come Mozart, le cui sonate incise integralmente, ci permette di (ri-)scoprire un pianista di una finezza straordinaria.
    Sono davvero incredibili le sonorità che riesce a creare in alcune pagine di Ravel e Debussy. Mi vengono in mente, ad esempio, Ondine da Gaspard de la nuit di Ravel e Des pas sur la neige dai Préludes di Debussy.

    Una curiosità finale sul personaggio: come suo padre, anche Gieseking coltivava la passione delle farfalle, al punto che due sottospecie di farfalla hanno preso il suo nome: Giesekingiana e Walteri
     
  18. happygiraffe
    Il pianoforte sembrava uno strumento ormai maturo e per il quale era difficile prevedere particolari evoluzioni. I grandi produttori come Yamaha e Steinway da decenni producono i loro strumenti senza mostrare particolari tensioni innovative. E' stato il belga Chris Maene negli ultimi anni a dar prova di grande originalità, prima con il pianoforte a coda con corde parallele, sviluppato insieme al pianista e direttore d'orchestra Daniel Barenboim:

    e più recentemente con un pianoforte con la tastiera erognomica, vale a dire curva, in modo che il pianista possa suonare agli estremi della tastiera in maniera più naturale è confortevole:

    Anche in questo modello le corde sono disposte in modo da non sovrapporsi:

    L'idea di questo strumento nasce da una chiacchierata tra l'architetto Rafael Viñoly, Martha Argerich e Daniel Barenboim ed è poi stata realizzata da Chris Maene sulla base del progetto di Viñoly, con la collaborazione di artisti del calibro di Emanuel Ax, Daniel Barenboim, Kirill Gerstein e Stephen Hough. Per la realizzazione del telaio è stata necessaria la consulenza dell'Università di Leuven e di una società di ingegneria.
    Lo strumento ha un aspetto principesco, così come principesco è l'assegno che bisogna staccare per portarselo a casa (330k€ più IVA, per chi fosse interessato).

    Il pianoforte è stato presentato al festival di Verbier la scorsa estate dal pianista Kirill Gerstein. Vi condivido il breve video che gira in rete, dal quale però è difficile farsi un'idea di come suoni davvero. Bisognerà aspettare ancora qualche mese per poterlo ascoltare in qualche disco. 
     
  19. happygiraffe
    Robert Schumann, integrale dei lieder.
    Christian Gerhaher (baritono), Anett Fritsch, Julia Kleiter, Christina Landshammer, Sybilla Rubens, Camilla Tilling (soprani), Stefanie Iranyi, Wiebke Lehmkuhl (mezzosoprani), Martin Mitterrutzner (tenore), Gerold Huber, James Cheung (pianoforte).
    Sony Classical, 2021.
    Cofanetto da 11 CD oppure disponibile in streaming su Qobuz in 96-724.
    ***
    Arriva finalmente a compimento l'integrale dei Lieder di Schumann da parte del baritono tedesco Christian Gerhaher, affiancato dal pianista Gerold Huber e da una compagine di altri 8 cantanti. Dello Schumann di Gerhaher avevamo gia parlato su queste pagine (Qui e ancora qui) e questo bel cofanetto di ben 11 CD arriva a suggello di un percorso iniziato nel 2004.
    Se da un lato vengono ripresi alcuni dischi recenti, Frage e Myrthen del 2018 e 2019, e meno recenti, come Melancholie del 2007 e alcune registrazioni del 2004, dall'altro questa raccolta è ricca di novità e di qualche significativa rilettura, come ad esampio di Dichterliebe e dell'Op.90.
    Gerhaher è uno specialista di Schumann e la sua voce ambrata e così ricca di sfumature fa meraviglie. Le sue interpretazioni si adeguano alle diverse opere e al periodo in cui furono composte: dai toni vibranti e ardenti delle opere giovanili a quelli più riflessivi e tormentati dei lavori della maturità. Prevale comunque spesso la sensazione di uno Schumann intimo e perso in un suo mondo interiore. Qui siamo nel cuore del Romanticismo, dove musica e letteratura vanno a braccetto, producendo risultati artistici di sublime bellezza. 
    Incantevoli anche le composizioni nelle quali Gerhaher, che nel complesso fa la parte del leone, si alterna o si unisce agli altri cantanti, che certamente non sfigurano (quasi) mai. Si distinguono le bravissime Julia Kleiter e Camilla Tilling.
    Accompagna i dischi un sostanzioso libretto di più di 200 pagine, che purtroppo non riporta la traduzione dei testi tedeschi.
    Sembre molto buona la qualità della registrazione, che riesce a mantenere una certa coerenza, nonostante l'arco temporale ampio delle diverse incisioni.
     
  20. happygiraffe
    Prokofiev, sonate per pianoforte n.4, 7, 9.
    Alexander Melnikov, pianoforte.
    Hamonia Mundi 2019
    ***
    Ritorna a Prokofiev l'imprevedibile ed eclettico pianista russo Alexander Melnikov. Dopo il primo disco, che comprendeva le sonate 2, 6, 8, questa seconda registrazione contiene tre sonate, le n. 4, 7, 9, molto diverse tra loro per stile e periodo di composizione. Se la settima sonata è probabilmente una delle pagine più note per pianoforte di Prokofiev, le altre due sono decisamente meno conosciute.
    Nella quarta sonata (1917), piuttosto cupa e introspettiva, così come nella più serena e comunicativa nona sonata (1947), Melnikov è davvero superlativo nel restituirci emozioni, contrasti improvvisi, cambi di colori e ritmi, con una sensibilità e una poesia poco comuni. Questa sua magistrale interpretazione della nona sonata è probabilmente una delle migliori in discografia.
    Mi ha lasciato invece piuttosto perplesso nella settima sonata (una delle tre sonate "di guerra"), affrontata da un lato con grande intensità, dall'altro con un'insolita e sorprendente prudenza. Se nella versione di Richter (che ne fu il primo esecutore, dopo averla imparata in soli quattro giorni) ci sembra di sentire i colpi dei cannoni e le bombe che esplodono, se nell'altra famosa interpretazione, quella di Pollini, siamo pervasi da una furiosa disperazione, sembra che qui Melnikov abbia meno successo nel trovare una propria visione interpretativa di questo lavoro, sicuramente più appariscente e virtuosistico rispetto alle altre due sonate del disco, più posate e reticenti. Il diabolico e difficilissimo ultimo movimento in 7/8 viene affrontato con insolita e disarmante lentezza, che rende priva di senso l'indicazione di "Precipitato" del compositore.
    Peccato, ma anche poco male, perché il disco è comunque da ricordare per le altre due sonate.
    Un altro passo falso di questo disco, purtroppo, è la qualità della registrazione, realizzata nei celebri Teldex Studio di Berlino: nonostante la dinamica e i timbri del pianoforte siano ottimamente restituiti, l'immagine del pianoforte sembra quasi quella di un'orchestra, con gli alti tutti a sinistra, i medi in mezzo e i bassi tutti a destra. Una scelta davvero incomprensibile da parte di un etichetta di livello come Harmonia Mundi.

  21. happygiraffe
    G.F.Handel: Suites per clavicembalo 1-8, Ouvertures (trascr.).
    Francesco Corti, clavicembalo.
    Arcana, 2022.
    ***
    Il clavicembalo è uno strumento che mi ha sempre causato qualche problema. Di sonnolenza, principalmente. E’ solo negli ultimi anni che ho cominciato ad apprezzarlo (senza cadere in letargo). Poi finalmente mi sono imbattuto in questo del clavicembalista aretino Francesco Corti ed è scoppiato l’amore!
    Di lui avevo ben presente gli ultimi dischi dedicati ai concerti per clavicembalo di J.S.Bach:


     
    Così come questo del 2020:

    In realtà, Corti collabora da diversi anni con i principali ensemble di musica barocca: lo Zefiro diretto da Bernardini (suo il clavicembalo nel magnifico disco dei Brandeburghesi per Arcana), Les Musiciens du Louvre (Minkowski), il Bach Collegium Japan (Suzuki), Les Talens Lyriques (Rousset), Harmonie Universelle (Deuter) e Le Concert des Nations (Savall).
    Quest’ultimo disco è dedicato al primo volume delle Suites per clavicembalo di Handel, pubblicato a Londra nel 1720.
    Tra le diverse Suites Corti inserisce alcune trascrizioni dello stesso Handel delle Ouvertures di alcune opere (Rodenlinda, il Pastor fido, Radamisto, Teseo) e l’arrangiamento per clavicembalo di William Babell di alcune pagine del Rinaldo (Lascia ch’io pianga, tra tutte).
    Ho sempre avuto un parere combattuto su queste pagine di Handel, che fossero eseguite al clavicembalo o al pianoforte, anche da mani illustri, ma qui Corti riesce a riportarle letteralmente in vita, spazzando via qualsiasi perplessità su opere che ormai hanno più di 300 anni di vita alle spalle.
    Quello che Corti riesce a estrarre dal suo strumento (una ricostruzione del 1998 di Andrea Restelli di un esemplare di Christian Vater del 1738) ha del miracoloso: riesce certamente a farlo cantare in modo sublime, ma quello che più stupisce è il volume e l’energia che riesce a produrre, ricordando più il suono potente di un moderno pianoforte o se vogliamo di un organo, che quello minuto e monocorde che normalmente associamo a un clavicembalo.
    Il programma è lungo (quadi 2 ore e mezza di musica) e denso, ma le trascrizioni d’opera sapientemente inserite tra le suites e la maestria di un interprete così brillante e ricco di personalità fanno trascorre il tempo dell’ascolto molto velocemente e con molto piacere.
    Interessante il confronto con la bellissima e recente interpretazione delle prime quattro Suites di Pierre Hantaï. Questione di gusti, ma personalmente mi ritrovo di più nella lettura dell’italiano, più energica e meno leziosa (non me ne voglia Hantaï), e anzi possiamo spingerci ad affermare che anche in Italia ci sono artisti in grado di competere con l’eccellente scuola clavicembalistica francese.
    Ottima la registrazione di Ken Yoshida, che ci rivela ogni minimo dettaglio sonoro dello strumento, un po’ a discapito dell’acustica dell’ambiente.
    Consigliatissimo!
  22. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Tchaikovsky: Nocturne Op. 10 No. 1; Le stagioni Op. 37a: X. Ottobre, XI. Novembre; Diciotto pezzi Op. 72: X. Scherzo-fantaisia, V. Meditazione.
    Prokofiev: quattro Etudes Op.2.
    Rachmaninov: Variazioni su un tema di Chopin Op.22
    Tianxu An, pianoforte.
    Alpha Classics, 2022.
    ***
    Del pianista cinese Tianxu An si era parlato nel 2019 per una brutta avventura che gli capitò durante le finali del celebre premio Tchaikovsky. Salito sul palco per suonare il primo concerto di Tchaikovsky, dopo un breve momento di confusione, il presentatore parlando in russo annunciò qualcosa al pubblico, che lui evidentemente non colse. Fu così che l’orchestra diretta da Vassily Petrenko prese a suonare un altro brano, la Rapsodia su un Tema di Paganini, che era il secondo pezzo in programma. Il pianista mostrò un grande sangue freddo e dopo aver perso il primo attacco e qualche momento di smarrimento, portò a casa in qualche modo il pezzo. Si classificò quarto e questo scherzetto gli costò una posizione migliore, ma la giuria, che gli aveva in ogni caso proposto di eseguire di nuovo il brano, cosa che lui rifiutò di fare, gli concesse un riconoscimento speciale per il coraggio e la concentrazione dimostrati!

    Nella foto, un più che perplesso Tianxu An osserva il direttore Petrenko al concorso Tchaikovsky del 2019.
    A distanza di tre anni e superato il trauma di aver vissuto il peggior incubo di ogni concorrente, il nostro Tianxu An si ripresenta al pubblico con il suo disco di debutto dedicato a tre grandi compositori russi: Tchaikovsky, Prokofiev e Rachmaninov.
    Già dalle prime note si dimenticano tutte le disavventure passate di Tianxu An.
    La selezione di 5 brani di Tchaikovsky (notturno Op.10n.1, Ottobre e Novembre dalle Stagioni, Scherzo-Fantasia e Meditazione dall’Op.72) mostra un’ottima affinità per questo compositore, con interpretazioni caratterizzate da sensibilità e immaginazione, suono pulito e articolato e un’impressionante palette timbrica.
    Con i 4 studi Op.2 del giovane Prokofiev si cambia ritmo. Tianxu An li suona con grande slancio, suono potente quando serve e tutta la verve che occorre. Un’ottima prova per questi pezzi che per la loro rarità in discografia valgono da soli il prezzo del disco.
    Si passa poi al pezzo forte, vale a dire le variazioni su un tema di Chopin di Rachmaninov. Tianxu An è assolutamente a suo agio sia nei momenti più lirici che in quelli più virtuosistici. E’ una composizione che personalmente trovo assai stucchevole, ma An sa il fatto suo e il pezzo tiene bene dalla prima all’ultima variazione.
    Nel complesso un ottimo recital di un brillante giovane artista di 22 anni, che speriamo di non veder passare come una meteora.
    Registrazione esemplare: suono realistico, vivido, croccante!
  23. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Brahms, sestetti per archi.
    Belcea Quartet, Tabea Zimmermann (viola), Jean-Guihen Queyras (violoncello).
    Alpha Classics, 2022.
    ***
    Ricordo un programma del V canale della filodiffusione (oggi Radio3 Classica) che si intitolava “i capolavori della cameristica brahmsiana”. In effetti il termine capolavoro non è usato a sproposito per un compositore che ha saputo arricchire il repertorio cameristico, creando dei nuovi riferimenti assoluti per ogni genere affrontato, che siano quartetti, quintetti, sestetti per archi, sonate per violino e pianoforte, per violoncello e pianoforte, quintetto per pianoforte o per clarinetto, etc.
    I due sestetti per archi, pur essendo opere di un Brahms non ancora trentenne, sono tra le sue prime gemme nell’ambito della musica da camera. Probabilmente in soggezione davanti al modello dei quartetti di Beethoven, Brahms decise di cimentarsi con un organico decisamente insolito e poco esplorato fino a quel momento, quello del sestetto, ossia due violini, due viole e due violoncelli e questo gli diede modo di sperimentare diverse combinazioni dei vari strumenti, trasformando di fatto il sestetto in qualcosa che va ben oltre il concetto di un quartetto vitaminizzato.
    Il quartetto Belcea aveva già fatto meraviglie con questo disco di qualche anno fa contenente i tre quartetti e il quintetto con pianoforte di Brahms:

    In questa nuova incisione sono accompagnati dalla viola di Tabea Zimmermann e dal violoncello di Jean-Guihen Queyras. L’intesa è semplicemente perfetta, dovuta con buona probabilità alla tournée di concerti che hanno preceduto la registrazione e che ha creato un ottimo affiatamento tra i musicisti.
    Fin dalle prime battute del primo sestetto si rimane colpiti dalla trasparenza della trama, con un uso molto discreto del vibrato, dalla raffinatezza timbrica che non sconfina nell’autocompiacimento, dall’infallibile senso del ritmo. Emblematico è il secondo movimento, Andante ma moderato, con il tema stupendamente enunciato dal timbro caldo e vellutato della viola e le variazioni che seguono via via più intricate e ritmicamente complesse. Si ascolti l’incredibile effetto coloristico che ottengono a circa 6’16’’ con le voci degli strumenti ridotte a un sussurro.  L’interpretazione nel suo complesso restituisce un carattere serenamente affettuoso che ben si confà a questo primo sestetto Op.18.
    Più severa e malinconica la lettura del secondo sestetto Op.36, opera più complessa e raffinata da un punto di vista compositivo e figlia di un periodo buio per il compositore, con la scomparsa improvvisa della madre e il fallimento della relazione con il soprano Agathe von Siebold (il cui nome appare traslitterato in note musicali in un tema della viola nel primo movimento). Nelle variazioni del meraviglioso terzo movimento, Poco adagio, il Belcea mette in risalto un sentimento di fragilità e inquietudine, fino ad arrivare ai fremiti e agli slanci, mai troppo consolatori, dell’ultimo movimento. Anche in questo secondo sestetto il suono è terso, preciso, con poco vibrato, la lettura intima e ricca di pathos, ma mai pesante.
    Nel complesso è un disco che mi è piaciuto molto e che sono tornato a riascoltare diverse volte nelle ultime settimane, apprezzandolo ogni volta di più. Non mancano le versioni alternative, da quelle storiche (Stern e amici, Amadeus, Alban Berg) a quelle più recenti (Isabelle Faust e amici, Renaud Capuçon e compagni, gli strumentisti della WDR), ma questa per il momento è diventata il mio personalissimo riferimento.
    Semplicemente magnifica la qualità della registrazione. Sembra realmente di avere i sei musicisti disposti davanti noi.
    Molto consigliato!

  24. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Dmitri Shostakovich, 24 Preludi e Fughe Op.87.
    Ronald Stevenson, Passacaglia on DSCH.
    Igor Levit, pianoforte.
    Sony Classical, 2021.
    ***
    Igor Levit negli ultimi anni si è imposto come uno dei migliori pianisti della sua generazione, distinguendosi da un lato per le scelte di repertorio che danno ampio spazio a compositori e composizioni meno noti, dall’altro come l’uomo delle incredibili maratone pianistiche (l’ultima sua follia che mi viene in mente è la diretta su YouTube di Vexations di Érik Satie, 18 ore di musica!). Levit è un pianista colto e intelligente che affronta la sala d’incisione con grandissima serietà e preparazione. Quest’ultimo disco ci offre un’altra prova ciclopica: i 24 preludi e fighe Op.87 di Shostakovich e la meno nota Passacaglia su D.S.C.H. di Ronald Stevenson, per un totale di 3 ore e 50 minuti di musica.
    Era il 1950 quando Dmitri Shostakovich (1906-1975), che aveva allora 44 anni, fu chiamato a Lipsia come giurato di una rassegna che celebrava il secondo centenario della morte di Bach. In quello stesso contesto conobbe la giovane pianista russa Tatjana Nikolaeva, vincitrice del concorso pianistico. Fu in quell’occasione che decise di rendere un omaggio a Bach, componendo una serie di 24 preludi e fughe per pianoforte, che percorrevano tutte le tonalità maggiori e minori, così come aveva fatto Bach nel Clavicembalo ben temperato, ma questa volta non in ordine cromatico, bensì secondo il circolo delle quinte (Do-Sol-Re-La-Mi ecc. dove al maggiore segue il relativo minore). Era la sequenza già adottata da Chopin nei suoi 24 Preludi, op.28.

    Una prima parziale esecuzione avvenne per mano dello stesso compositore nel 1951, ma l’opera fu bollata di “formalismo” dal regime sovietico (in pratica non era conforme al realismo social-popolare al quale gli artisti dovevano piegarsi in quegli anni). Fu la stessa Tatjana Nikolaeva ad eseguire integralmente i Preludi e Fughe in pubblico nel 1952 e ad assicurarne la pubblicazione.
    Pur nell’evidente omaggio a Bach, il linguaggio di quest’opera è lontano da ogni manierismo e anzi si apre a un ampio ventaglio di stili e caratterizzazioni diversi: da lirico a marziale, da epico a introspettivo, da sfrenato a dolente, da serio a sarcastico.
    Ed è nella precisa e raffinata restituzione di tutti questi diversi caratteri che si rivela la maestra di Igor Levit. Ascoltiamo la soave evocazione delle primo preludio in do maggiore, o l’andamento misterioso del quarto preludio e fuga in re maggiore. E poi l’iridescente e gioiosa settima fuga in la maggiore, resa con una delicatezza commovente, seguita dall’ironica marcetta dell’ottavo preludio, che porta a quello che forse è il capitolo più introspettivo e doloroso di tutta l’opera, la lunga fuga in Fa diesis minore. La vivace immediatezza della successiva fuga in Mi maggiore ci riporta gioia e speranza. Si arriva così alla conclusione della prima metà, con Levit che ci porta dagli abissi del dodicesimo preludio alla sfrenata cavalcata della fuga in 5/4!
    Il provocativo sarcasmo del quindicesimo preludio è restituito in maniera implacabile e la successiva fuga in re bemolle maggiore, velocissima, ci trascina in un feroce vortice in cui si arriva a sfiorare l’atonalità. Il preludio e fuga che seguono, arrivano alle nostre orecchie come una soave e lunga consolazione. Il suono delicato e morbido di Levit è di commovente bellezza.
    Si arriva così all'ultimo grandioso preludio e fuga al quale il pianista riesce a conferire un senso di tragica inesorabilità, pur mancando nel finale di imprimere quel furioso cambio di tempo, indicato nella partitura e eseguito da molti altri pianisti.
    Tatjana Nokolaeva registrò tre volte i Preludi e Fughe Op.87, nel 1962, 1987e 1990 e per molti anni queste incisioni sono state considerate un riferimento assoluto nella discografia.

    Grandi pianisti russi come Richter e Gilels ne incisero purtroppo solo una manciata. C’è una testimonianza discografica dello stesso Shostakovich che ne esegue un discreto numero in questo disco molto interessante:

    In tempi più recenti si ritrovano diverse incisioni (addirittura ce n’è una di Keith Jarrett), delle quali ricordo quella notevole di Alexander Melnikov per Harmonia Mundi, purtroppo non disponibile su Qobuz, ma reperibile comunque su altri siti.

    Quest’ultima di Igor Levit si pone a mio avviso come il nuovo riferimento assoluto per chi si voglia avvicinare a quest’opera. 
    Veniamo ora alla seconda parte di questo disco, la Passacaglia su DSCH di Ronald Stevenson (1928-2015), compositore scozzese conosciuto solo agli addetti ai lavori e decisamente meno noto di Shostakovich. Socialista, pacifista, obiettore di coscienza, Stevenson fu un compositore, ma anche un grande virtuoso del pianoforte, ponendosi sulla scia di Busoni. E’ ricordato principalmente proprio per questa Passacaglia, famosa per essere un’opera in un unico movimento (in realtà contiene delle suddivisioni) della durata di circa 85 minuti.

    Composta nel 1963, la Passacaglia è un omaggio dichiarato allo stesso Shostakovich. DSCH è il monogramma musicale ideato dallo stesso Shostakovich: D.Sch., D–Es–C–H, che nella notazione tedesca equivalgono infatti ai nostri Re, Mi bemolle, Do, Si. Il compositore russo usò queste 4 note in molte sue composizioni, come una vera e propria firma.
    Lo stesso motivo è alla base della lunga serie di variazioni di Stevenson che compongono la Passacaglia.
    Stevenson la suddivide in tre grandi parti: la prima che riunisce l’iniziale Sonata, una suite di danze e altri pezzi brevi, il secondo che ricorda più una fantasia composta da variazioni di carattere molto diverso e études, il terzo contenente una poderosa tripla fuga.
    Quest’opera monumentale contiene diversi riferimenti e influenze musicali (oltre a Shostakovich, scorgiamo Liszt, Busoni, Messiaen, fino alle manifeste citazioni finali del Dies Irae e del monogramma di Bach, B.A.C.H.), così come storici (da uno slogan di Lenin, alle vittime dell’Olocausto, passando per l’Africa emergente). 
    Si tratta di un lungo viaggio, che richiede tempo e concentrazione all’ascoltatore, ma che può regalare molte soddisfazioni.
    Pochissime le incisioni alternative, tra le quali quella di John Ogdon, che però non è più reperibile.
    Questa versione di Levit sicuramente si pone come un riferimento, non solo per le capacità tecniche con le quali supera le difficoltà della partitura, ma per la capacità di tenere insieme una struttura così lunga, articolata e complessa.
    Tirando le conclusioni, questo è un disco monumentale che impegna l’ascoltatore in un lungo tour de force, ma che da un punto di vista artistico e intellettuale è probabilmente una delle migliori produzioni discografiche degli ultimi anni.

     
  25. happygiraffe
    Mi è capitato di ascoltare negli stessi giorni due dischi dedicati a Schubert di due artisti molto diversi tra loro e così ho deciso di farli salire sul ring per una sfida all'ultima nota.
    Signore e signori, preparatevi a un incontro senza pari. Da un lato l'esuberante georgiana Khatia Buniatishvili, classe 1987, dall'altro lo schivo pianista tedesco Alexander Lonquich, classe 1960.
    Partiamo dalla veste grafica.
    Khatia si presenta come una novella Ophelia, vestita di bianco e semi-annegata in acque torbide:

    Se da un lato vien da pensare al celebre Lied "La morte e la fanciulla", visivamente questa immagine richiama la celebre Ophelia del pittore preraffaellita John Everett Millais:

    Passiamo alla copertina del disco di Lonquich, dove ci appare un primo piano del pianista con gli occhi chiusi, di tre quarti, in penombra, con uno sfondo nero:

    Per una strana associazione della mia mente stramba, a me questa immagine ha fatto venire in mente il Kurtz di Marlon Brando in Apocalypse Now di Coppola:

    Per fortuna, appena aperto il libretto Lonquich ci appare in un ritratto vagamente più rassicurante con gli occhi aperti:

    Dovendo scegliere tra le due, la mia preferenza va a Khatia, per aver avuto il coraggio di posare nell'acqua gelida pur di realizzare questa copertina 
    Copertina: Khatia Vs Alexander 1-0.
    Passiamo ora ai programmi dei due dischi:
    Khatia Buniatishvili esegue di Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 4 Improvvisi Op.90, D.899
    - Ständchen, trascrizione di Franz Liszt S. 560/7 dal Lied D.957/4
    Alexander Lonquich invece esegue di Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.19 D.958
    - Sonata per pianoforte N.20 D.959
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 3 Klavierstucke D.946
    Il disco si intitola 1828, anno in cui furono composte queste opere e anno in cui morì il giovane Franz.
    Decisamente più denso e impegnativo il programma presentato da Lonquich.
    Voto sul programma: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Proseguiamo e andiamo a leggerci i libretti che accompagnano i due dischi.
    Cominciamo da quello della Buniatishvili.
    Al di là di altri due ritratti della giovane georgiana sempre immersa nelle stesse acque fredde e torbide della copertina, il libretto ci stupisce per un breve saggio della stessa pianista intitolato "Note di una femminista", dove ci parla del lato femminile, della vulnerabilità e della grande sensibilità di Schubert. Rimango un po' perplesso e rimango in ogni caso convinto che il femminismo sia una cosa ben diversa da quanto ci dice Khatia.
    Passo al libretto del disco di Lonquich, dove trovo un saggio anche in questo caso scritto dall'interprete stesso. Lonquich analizza le quattro opere in programma, fornendo spunti e rimandi molto interessanti. Davvero un'ottima lettura, che ci serve anche per capire le scelte interpretative.
    Anche per il libretto non c'è storia...
    Voto sul libretto: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Passiamo ora alla parte più gustosa: il confronto tra le due interpretazioni.
    Le scelte dei due pianisti non potrebbero essere più diverse. In verità, ho trovato entrambi i dischi spiazzanti, ma per motivi opposti. 
    La lettura della Buniatishvili, che come sappiamo mira a esaltare l'aspetto femminile di Schubert, tende a restituirci un'atmosfera ovattata di calma assoluta, in cui ogni asperità appare smussata, ogni contrasto appiattito. Il rischio che corre è che le "celestiali lunghezze" di Schubert (come le aveva definite Schumann), diventino dei languidi momenti di torpore. La sonata D.960 scivola via con dolcezza, senza troppi sussulti, se non fosse per alcune repentine accelerazioni e decelerazioni, che spesso non sembrano giustificate. Anche i quattro improvvisi op.90 non lasciano il segno e confermano l'impressione di un'interpretazione che, nonostante le intenzioni, non vada mai in profondità.
    Ho trovato anche la lettura di Lonquich piuttosto spiazzante e ammetto di aver ascoltato il disco più volte prima di ritrovarmici. Il suo è uno Schubert molto diverso da quello al quale siamo abituati. Diciamo innanzitutto che Lonquich sembra non voler fare molto per compiacere l'ascoltatore: Il timbro è spesso spigoloso e duro, dimentichiamoci il suono morbido e raffinato di un Brendel o addirittura di Zimerman e lo Schubert intimo e consolatorio che ci ha tramandato la tradizione. Al contrario di Khatia, i contrasti vengono portati all'estremo e ogni piccola asperità della partitura viene enfatizzata, restituendoci uno Schubert tormentato, in cui la tensione drammatica viene amplificata nota per nota, creando un collegamento evidente con l'ultimo Beethoven. Si percepisce che quella di Lonquich è una visione maturata a lungo nel corso degli e che questa interpretazione è il frutto di un'analisi e di uno studio che hanno scavato a fondo la partitura. Il risultato può essere più o meno persuasivo (personalmente ho apprezzato di più la 958 e la 960 del resto del programma) e soprattutto può convincere o meno l'ascoltatore, abituato ad ascoltare uno Schubert generalmente molto diverso da questo, ma comunque penso che meriti un grande rispetto. 
    Dovendo scegliere tra le interpretazioni di Khatia e Alexander, anche qui non ho dubbi. La lettura di Lonquich, per quanto spiazzante e molto personale, lascia il segno e rimane impressa nella memoria. Quella di Khatia, non me ne voglia!, l'ho trovata acerba e superficiale.
    Voto sull'interpretazione: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Un'ultima nota sulla qualità della registrazione dei due dischi. 
    Il pianoforte della Buniatishvili mostra un'enfasi eccessiva sul registro medio-basso, che appare gonfio  e riverberante, pur mantenendo una mano destra leggibile e chiara. Molto più omogeneo e limpido il suono del pianoforte di Lonquich, anche se un po' "asciutto", reso in ogni caso in maniera più realistica e convincente dagli ingegneri del suono dell'Alpha, che battono a sorpresa quelli di Sony.
    Voto sulla qualità della registrazione: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Siamo arrivati alla fine della nostra sfida: Alexander Lonquich sconfigge senza troppa fatica Khatia Buniatishvili, con il punteggio finale di 4 a 1.

    Ci farebbe piacere vedere un pianista del calibro di Lonquich più presente sul mercato discografico e sicuramente ci fa piacere vedere che l'etichetta Alpha gli abbia permesso di realizzare questo disco.
     
    ***
     
    I due contendenti di questa sfida:
    Khatia Buniatishvili, Schubert.
    - Franz Schubert, Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - Franz Schubert, 4 Improvvisi Op.90, D.899
    - Franz Schubert, Ständchen, trascrizione di Franz Liszt S. 560/7 dal Lied D.957/4
    Sony Classical, 2019.
    _____
    Alexander Lonquich, 1828.
    Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.19 D.958
    - Sonata per pianoforte N.20 D.959
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 3 Klavierstucke D.946
    Alpha, 2018.
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