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Silvio Renesto

Nikonlander Veterano
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  1. Fin da studente, per superare certi esami dovevo imparare a riconoscere diversi gruppi di animali, piante, minerali, ecc.. Ancora oggi riconoscere a che specie appartiene un certo esemplare fossile oppure capire che si tratta di una specie nuova è una parte molto importante del mio lavoro di ricerca (contrariamente a quanto si potrebbe pensare nella paleontologia moderna è più spesso un punto di partenza che di arrivo, ma è un'altra storia). La parola classificare deriva da tagliare, suddividere; in pratica classificare è suddividere oggetti, o animali, o piante in gruppi distinti, in base alle somiglianze ed alle differenze seguendo certi criteri. I criteri per la zoologia sono quelli che derivano da un'attento studio dell'anatomia degli animali e l'individauzione di caratteristiche che accomunano un gruppo distinguendolo dagli altri. Non è semplice perchè non tutti i caratteri vanno ugualmente bene. ci sono caratteri che derivano dall'adattamento all'ambiente e possono far somigliare animali che non sono imparentati fra loro: il delfino, il tonno e lo squalo si somigliano tra loro più che il delfino e il cammello, eppure il delfino è parente più prossimo del cammello che degli altri due perchè condivide caratteri (polmoni, ossa degli arti, produzione del latte ecc.) che testimoniano una parentela più stretta. Sono entrambi Mammiferi. Ho semplificato in modo enorme ma il concetto è che sono somiglianze funzionali (convergenze) e somiglianze che invece indicano antenati comuni più prossimi. Queste ultime si usano per classificare La faccenda in realtà è un bel po' più complessa, ma non vado oltre se no vi faccio una lezione. La classificazione poi è gerarchica ossia è fatta di gruppi e sottogruppi: posso avere il gruppo delle sedie distinto dalle poltrone, però all'interno delle sedie posso distinguere quelle da cucina, da soggiorno, ecc. e all'interno di quelle da cucina posso distinguere quelle pieghevoli ecc., insomma avete capito: Si classifica in base ad insiemi di caratteri, partendo da quelli principali che individuano i gruppi più ampi fino a scendere nei dettagli per i sottogruppi via via più piccoli. In Zoologia si chiamano ad es. Ordini, Famiglie Generi e Specie (non li ho nominati tutti). Come si fa a conoscere i caratteri per classificare? In un modo solo, studiando. Se parlate non solo con professionisti, ma anche con birdwatcher o appassionati di questo o quel gruppo di insetti, rettili ecc., tutti avranno studiato le basi e poi via via si sono specializzati (se ne hanno avuto voglia). Dove si studia? Per l'appassionato o il fotografo naturalista non occorre andarsi a prendere testi universitari, ci sono le cosiddette guide da campo, che quando sono buone hanno (quasi) tutto quel che serve. Per le libellule, la migliore guida che conosco è il Dijkstra Che però è in inglese, in italiano c'è questo libro (in formato ebook e anche consultabile da smartphone) Curato da persone di grande esperienza e di cui ho grande stima. C'è anche questo Una volta era gratuito, ora non so, comunque è scritto a una delle più grandi esperte di Libellule in Italia. Come inizio può andare ma è un po' limitato, trattando solo della provincia di Novara si può applicare in pratica al bacino padano e aree circostanti, mancano invece molte specie del Centro e del Sud. Se prendete in mano una qualsiasi guida seria inizierà con la nomenclatura delle parti del corpo della libellula, perchè poi la classificazione si farà sulla base delle differenze che ci sono fra parti corrispondenti in specie diverse. Non c'è altro modo. Ecco ad esempio alcuni caratteri (non tutti) fra quelli riconoscibili "a vista" o in fotografia, senza dover prendere in mano l'esemplare per vedere dettagli minuti (cosa da esperti che può anche danneggiare l'esemplare). Oltre a questi ci sono altri caratteri, alcuni difficili da vedere come la venatura delle ali, poi i colori, dimensioni, differenze di proporzioni e fra maschi e femmine ecc. Non spaventiamoci però, non dobbiamo sapere a memoria tutti questi caratteri per tutte le specie, si cerca di imparare prima quelli principali per distinguere le famiglie, poi si va avanti un po' alla volta e per quel che ci manca si consulta la guida. L'importante è sapere la nomenclatura anatomica così se leggiamo che il segmento S3 è fatto così e cosà, si sa che S3 è il terzo segmento dell'addome e così via. Il bello è che se ci si appassiona, pian piano le nozioni entrano da sole, per cui si comincia a riconoscere le libellule ad occhio e la guida si usa solo per conferma o quando si hanno dubbi. Senza prendere in mano l'esemplare (cosa che non faccio mai) può darsi che la foto non mi mostri tutti i caratteri, ma con un po' di allenamento si diventa in grado di fare con quel che si ha. E' un lavoro da detective che io trovo divertente. Può essere difficile distinguere due specie dello stesso genere perchè le differenze possono essere minime soprattutto fra le femmine. Ma con l'esercizio pian piano si arriva. Come nell'arte: impegno costanza e passione. Non si va a caso. Esempi: Ho fatto il cattivo ed ho preso due specie estremamente simili, in queste foto riesco a distinguerle soprattutto per i tre caratteri indicati dalle frecce: Strie anteomerali grosse in una e sottili nell'altra, grosse righe scure sul torace di una, torace con riga sottile nell'altra, macchie verdi e azzurre sui segmenti addominali di una e solo azzurre nell'altra. se si fossero viste di fronte avrebbero mostrato altri caratteri che le distinguevano, ma ho dato l'idea. Le prime volte non sapevo se avessi fotografato una o l'altra, per cui guardavo le guide. Ora le distinguo quasi a vista. Sopra Crocothemis erythraea (maschio). Sotto Sympetrum sanguineum (maschio). Le vedete le differenze? La principale è che Crocothemis è tutta rossa, l'altro ha le zampe e altre parti nere. Ci vuole un po' di applicazione, che non pesa se la cosa diverte e interessa, ad esempio fatico a distinguere le damigelle, perchè mi interessano meno e le ho "studiate" di meno, per cui ricorro più spesso alla guida. Spero di aver chiarito qualcosa. Ora correte a comprarvi le guide NOTA FINALE Questo tipo di classificazione non è l'unico che si usa, ma è quello più vecchio e più pratico per "il campo". Per il mio lavoro ad es. o per la genetica, si usano anche altri sistemi, lo scrivo perchè se per caso sentite parlare di altri metodi, ebbene sì esistono, ma si usano in altri ambiti. Modifica post
  2. Io non posso essere di aiuto, ma seguo con interesse, nel senso che ho molto da imparare in questo campo. Per ora il flash l'ho usato (poco) come luce di schiarita, ma non ho mai provato ad ottenere effetti particolari. Devo dire che il tuo Macaone (la intera serie del nuovo corso direi) è un incentivo a provare. Ma occorre che l'animale sia tranquillo intanto che sperimenti, quindi perdona l'ingenuità, si può applicare soprattutto al mattino presto?
  3. Bello e mi piace la propositività. Contagia. Le foto le ho già commentate in galleria, ma complimenti anche qui
  4. A tutti i fotografi di natura presenti su Nikonland. Ho creato un club tematico QUI Pensato come posto dove condividere e commentare immagini di fotografia naturalistica di ogni genere, animali, piante, macro, sopra e sott'acqua. Un luogo dove commentare foto, chiedere identificazioni di animali e vegetali, proporre incontri, scambiarsi "dritte" e consigli , discutere di attrezzature per la fotografia naturalistica. Vi aspetto! Silvio
  5. Sarebbe possibile, se volessi fare ordine, creare due-tre album (macro wildlife street ad es) e smistare le foto che ho già caricato un pochino alla rinfusa?
  6. Se il taijiquan può dare problemi a qualcosa purtroppo è proprio alle ginocchia, quando non si fa attenzione all' allineamento piede/ginocchio . Quindi come non detto.
  7. Grazie a tutti Tommowok: praticando la parte "terapeutica" con un buon istruttore, gli acciacchi non dovrebbero costituire un problema, anzi, potresti migliorare. Egidio, sono contento che tu abbia gradito la presentazione. Ho avuto la fortuna di incontrare un maestro ed una praticante cinesi che hanno contribuito a rendere più interessanti le immagini.
  8. Fotografie di Silvio Renesto e Gianni Ragno Testo di Silvio Renesto Un fenomeno culturale. Fino a pochi decenni fa il Tai Chi Chuan (Taijiquan, secondo la translitterazione moderna) in Italia era quasi sconosciuto. Capitava di vederlo nei documentari sulla Cina, dove venivano mostrate numerose ed ordinate folle che nei parchi facevano qualcosa che sembrava una strana ginnastica lenta. Negli anni Settanta/Ottanta era già una moda negli USA: Fra personaggi dell'epoca che praticavano il Taijiquan c'erano il fisico-saggista Fritjof Capra, autore de "Il Tao della Fisica" (1975) e Benjamin Hoff, che ne scrive, un po' fantasiosamente, nel suo "Tao di Winnie Pooh" (1982, libro più che delizioso) Ne scrive anche la pediatra e psicanalista francese Francoise Dolto, confrontandolo con lo Yoga. Nello stesso periodo il Taijiquan ha fatto la sua timida comparsa in Italia, insieme ad altri stili di kung-fu, con l'arrivo dei primi maestri cinesi. Dalla fine degli anni '90, grazie a numerose dimostrazioni pubbliche delle varie scuole, anche da noi la pratica del Taijiquan all'aperto si è diffusa, ed oggi molte persone si allenano nei parchi cittadini, da sole o in gruppo, con indubbio effetto coreografico e i suoi seguaci non suscitano più (tanta) curiosità o sconcerto. Il Taijiquan è ormai così famoso che dal 1999 si celebra la "Giornata Mondiale del Taijiquan", di solito il secondo sabato di Aprile. Parco Sempione Nei parchi ,Praticato nel parco, all'ombra degli alberi, si aggiunge una sensazione liberatoria, quella di muoversi in armonia con l'ambiente che ci circonda. In gruppo, all'aperto è ancora meglio, si lavora con una maggiore sintonia e serenità di spirito. Come molte altre discipline fisiche, il Taijiquan sembra dare di più quando praticato nel verde. Parco Sempione Ed è così che di solito si immagina il Taijiquan. Una mia collega ha addirittura deciso di studiarlo dopo essere rimasta affascinata da alcune scene del film Calendar Girls in cui Helen Mirrell e le sue amiche lo praticano su un bel prato di collina. Il Taijiquan all'aperto è dunque diventato un fenomeno di costume. Giardini di Porta Venezia Inizio della pratica. Parco Trotter. Per questioni logistiche ho scelto di illustrare il Taijiquan all'aperto nei parchi di Milano, con la collaborazione delle scuole che lì lo praticano (che ringrazio sentitamente per la cortesia e disponibilità), ma è ormai così comune, che avrei potuto fare lo stesso reportage in quasi tutte le città italiane. Afferrare la coda del passero. Parco Sempione L'airone (o la Gru) apre le ali. Giardini di Porta Venezia Cos' è il Taijiquan e perchè ha successo. N.B. Quanto segue è frutto della mia trentennale esperienza pratica e di documentazione. E' un quadro forzatamente incompleto e in parte soggettivo, certamente può differire da quel che avete letto o sentito. Se qualche lettore non condivide, sarò felice di approfondire, ma in ambito più consono di un forum fotografico. Taijiquan (Tai Chi Chuan) vuol dire Pugno/Pugilato/Lotta (Quan/Chuan) della Suprema Polarità, o Supremo Principio (Tai Chi/Taiji, rappresentato dal simbolo taoista bianco e nero dello Yin/Yang). Sorvolando su miti e leggende inverificabili riguardo l'origine (ad es. vecchi monaci taoisti che sognano gru e serpenti in lotta...), Taijiquan è il nome che tra il 1700 ed il 1800 è stato dato ad un' arte marziale giudicata talmente elegante ed efficace da meritarsi questo titolo quanto mai impegnativo. Il suo fondatore, Yang Lu Chan, (detto Yang l'Invincibile), la chiamava invece Mienquan (boxe di cotone), oppure Huaquan, (boxe che neutralizza), oggi è lo Stile Yang di Taijiquan. Il nome Taijiquan venne poi esteso alle arti che Yang Lu Chan avrebbe studiato per elaborare il suo metodo (soprattutto lo Stile Chen, risalente al 1300-1400), che a stili derivati (Wu, Sun e tanti altri.), così che oggi si ha una numerosa "famiglia di stili" di Taijiquan, basati su concetti comuni, ma ognuno con le sue caratteristiche. Il più diffuso fuori dalla Cina è proprio lo lo stile Yang.Il Taijiquan comprende pratiche a corpo libero e con armi (spada, sciabola, bastone ecc.) da soli e in coppia. Aggiustarsi il vestito (mantello), postura tipica dello stile Chen. Parco Sempione Il ventaglio è un' arma (aveva in origine le stecche di acciaio appuntite) che è stata introdotta successivamente nel bagaglio tecnico del Taijiquan, ma è molto coreografico. Parco Trotter. La ragione del successo. E' un'arte marziale diversa dalle altre, è considerata interna, perchè fra l'altro, il movimento e l'espressione della forza partono dal "centro" propagandosi come un'onda (dai piedi al tronco, dalla spina dorsale alle braccia). Altre arti marziali cinesi e giapponesi hanno una notevole componente "interna", ma il Taijiquan si distingue per il modo lento di praticare le "forme". Le "forme" (Lu in Cinese, Kata in Giapponese), sono presenti in quasi tutte le arti marziali tradizionali, sono delle sequenze di movimenti, un compendio delle tecniche proprie dell'arte. Il praticante le ripete per perfezionarsi nell'esecuzione, acquisire ritmo, potenza, equilibrio, coordinazione e concentrazione (nel senso di "presenza mentale"). Le "forme" vengono di solito eseguite con velocità e potenza, come se si stesse combattendo contro un avversario. Nel Taijiquan invece si eseguono le forme molto lentamente, almeno all'inizio, per consolidare e connettere le parti del corpo, sentire gli spostamenti del peso, lo scorrere del movimento e così via. Le "tecniche" sono poco esplicite, a volte quasi incomprensibili per chi osserva (anche per qualcuno che le pratica). Anche i nomi piuttosto poetici,, come è lo stile cinese, giocano un certo ruolo (Il nome spiega in modo allegorico il concetto della postura). Il serpente scende dalla collina. Stile Yang Parco Trotter. Afferrare l'ago in fondo al mare. Parco Trotter La pratica lenta e silenziosa ha una indubbia eleganza coreografica specialmente in gruppo, e non esprime violenza. Apparentemente facile (ma a farlo bene è l'esatto contrario), è associata a concetti taoisti e di medicina tradizionale, per cui attrae le persone non interessate alle arti marziali. Come ginnastica fa bene? Se si impara da un valido istruttore e si pratica come si deve fa molto bene perchè, sviluppa la capacità di "mettere in connessione" tutto il corpo, elimina le tensioni eccessive che "bloccano"; insegna come distribuire il peso nei movimenti, migliora l'equilibrio e la scioltezza, soprattutto articolare, ottenendo una struttura fisica solida ma non rigida, che contrasta efficacemente gli effetti dell'avanzare dell'età. I movimenti formano delle spirali, così che l' intero corpo è coinvolto, direi "massaggiato", ad ogni movimento, con effetti molto positivi per tutto l'organismo. Stile Chen. Parco Sempione La lentezza e la corretta esecuzione hanno effetto tonico sulla circolazione e sulla muscolatura profonda, soprattutto del tronco. Con il Taijquan si allena anche la mente perchè i movimenti sono complessi e ci vuole attenzione in quel che si sta facendo. In questo senso è "meditazione in movimento" perchè si impara a sentire il proprio corpo, ad averne consapevolezza in ogni momento. Questo attiva il cervello e il sistema nervoso in generale, con effetto rigenerante. Così praticato, il Taijiquan è molto valido e diverso da una ginnastica stereotipata. Una volta diventati esperti, sentire il movimento che attraversa il corpo, è molto appagante. In tutti questi aspetti somiglia ad alcuni tipi di danza (e ad altre arti marziali tradizionali). Frusta semplice (o singola, tradurre dal cinese ha sempre un margine di incertezza). Giardini di Porta Venezia. Non sembra (più) un'arte marziale. Oggi la stragrande maggioranza di chi pratica Taijiquan, soprattutto nello stile Yang, lo fa per la salute e per rilassarsi. Ma non è sempre stato così.Il capostipite del clan dei Chen era un militare e i suoi discendenti erano famosi per la loro abilità nel combattere, soprattutto con la lancia. Yang Lu Chan e i suoi figli addestravano la guarnigione imperiale. Yang Bahn Hou, Uno dei figli di Yang Lu Chan, aveva fama di combattente spietato, temuto dai suoi stessi studenti. Allora il Taijiquan era veramente un'arte marziale.L'allenamento era ben diverso da oggi: Intenso, quotidiano, per molte ore al giorno, comprendeva posizioni statiche per rafforzare il corpo, forme lente per connetterlo, forme veloci per esprimere la forza in modo esplosivo e penetrante. Ci si addestrava al combattimento contro avversari a mani nude e con armi, a piena forza e velocità. L'evoluzione "salutistica" iniziò a partire dagli anni '30 in Cina, quando un discendente della famiglia Yang iniziò ad ammorbidire la pratica, almeno in pubblico, enfatizzando l'aspetto benefico per la salute, a scapito di quello marziale. I movimenti fisicamente più impegnativi vennero eliminati dalla forma lenta e le forme veloci furono man mano trascurate e per lo più andarono perse. La pratica a due venne ridottaad alcuni esercizi di base. Si recuperarono trattati che collegavano la pratica con il Taoismo e la Medicina Tradizionale Cinese. Questa "svolta terapeutica" ebbe grande successo; la popolarità dello stile Yang aumentò enormemente e col tempo altri stili di Taijiquan si adeguarono, con qualche eccezione (come lo stile Chen), che mantenne, una componente più marziale. Nello stile Chen sono presenti molti movimenti "esplosivi" tipici del Taijiquan marziale. Parco Sempione L'evoluzione "morbida" venne accentuata in Occidente da correnti di pensiero "alternative" che adottarono il Taijiquan come pratica meditativa "Yoga in movimento"oppure arte marziale non violenta (un ossimoro...), arricchita di significati che i fondatori non si sarebbero immaginati (Yang "l'Invincibile" non sapeva nemmeno scrivere...). Ad oggi, gran parte dei praticanti di ogni livello, soprattutto nello stile Yang, non ha mai provato a confrontarsi con un avversario "deciso". Il Taijiquan si può praticare lentamente per la salute. Parco Trotter Parco Sempione. Ma c'è chi continua a studiare anche la parte marziale Negli ultimi anni però si è visto aumentare l'interesse per un Taijiquan un po' più concreto in alcune scuole Yang; mentre lo stile Chen (che fa ampio uso della forza "esplosiva") sta riscuotendo maggior successo. E' importante, non perchè si debba studiare il Taijiquan per combattere, ma perchè gli aspetti marziale e terapeutico sono strettamente legati: se non si conosce il significato dei movimenti è difficile ottenere i desiderati benefici per la salute. Solo sapendo che in quel movimento si sta deviando, tirando, spingendo o colpendo, l'intenzione guida il corpo a muoversi in modo corretto, regola lo spostamento del peso, la tensione muscolare, l'equilibrio, e aiuta a mantenere la struttura. Se non c'è la consapevolezza del gesto, questo rimane un movimento astratto e ci si ritrova allora con una strana ginnastica che non rafforza granchè nè corpo nè mente. La pratica delle armi del Taijiquan oggi ha sicuramente poco senso dal punto di vista combattivo (a meno che non si decida di andare in giro con una sciabola), ma rimane ugualmente utile, perchè aumenta le capacità di coordinazione e rende più impegnativo mantenere equilibrio e connessione.Chi invece fosse attratto proprio dall'aspetto marziale tradizionale del Taijiquan, trovando le scuole in cui questo viene insegnato, avrà molto da scoprire. Una diversa intepretazione di "sistemare il vestito". Giardini di Porta Venezia Nota bibliografica. Se volete informarvi sulla storia del Taijiquan, per lo stile Yang consiglio caldamente due libri:Douglas Wile (curatore) Yang Family Secret Transmissions. Sweet Chi PresseYang Jwing-Ming Tai Chi Secrets of the Yang Style. YMAA Publication Center.Sono due traduzioni degli insegnamenti (orali) trascritti dai discepoli diretti delle prime generazioni degli Yang, commentate in modo approfondito. Gli autori sono due esperti, (un sinologo docente universitario Douglas Wile, un noto maestro di Arti Marziali Yang Jwing-ing). Partendo da background diversi concordano sostanzialmente nelle interpretazioni.Chi volesse invece sapere di più su tutto il Taijiquan, la via più breve è il monumentale sito di Peter Lim Tian Tekhttp://www.itcca.it/peterlim/Abbastanza accurato, molto completo, sufficientemente documentato e di gran (e ripeto gran) lunga meglio di tanti libracci infarciti di panzane.Lasciate stare invece i manuali e le derive troppo filosofeggianti. Come avrete forse notato nel leggere l'articolo, ho omesso volontariamente i nomi delle scuole da me fotografate, delle scuole in cui ho studiato e non ho dato consigli su dove e da chi andare. Questo per non fare pubblicità a qualcuno a scapito di qualcun altro. Pregherei quindi anche chi commenta, qualora fosse praticante, di evitare di citare scuole, nel bene o nel male. Commentate le mie foto, discutete del lato sociale, culturale, storico o tecnico ma asteniamoci tutti da (auto)promozioni. Note fotografiche: per fotografare una forma di una qualsiasi arte marziale in cui i soggetti non si fermino in posa apposta per il fotografo, è meglio sapere qualcosa di quella disciplina, per individuare i momenti significativi. Questo vale ancora di più per il Taijiquan dove i singoli movimenti, pur essendo lenti, fluiscono uno nell'altro senza soluzione di continuità (se i praticanti sono bravi) per cui non si hanno degli stop fra un movimento e l'altro. Il rischio è di cogliere i movimenti in anticipo o in ritardo mancando l'espressione finale del gesto. L'altra difficoltà è che i praticanti nei parchi mostrano di vari livelli di esperienza all'interno di uno stesso gruppo; a volte l'esecuzione dei movimenti è sincrona, con effetto piacevole, altre volte invece c'è chi è in anticipo e chi in ritardo o ha posture strette o larghe; e il risultato "fermato" dall'immagine è disarmonico. Spesso di questo ci si accorge solo quando si selezionano le immagini, al momento della ripresa è difficile avere una vista d'insieme.
  9. (originale del 2012) Ad Arles, in Provenza, si pratica una corrida incruenta. Due squadre fanno a gara chi riesce a togliere pi? coccarde colorate dalle corna di vacche piuttosto aggressive. E' un evento divertente ed abbastanza spettacolare per l'agilit? e velocit? dei contendenti (vacche comprese). Gli "anziani" della squadra , ossia i meno agili, distraggono le vacche, mentre i giovani aspettano l'occasione giusta per scattare tentare di afferrare la coccarda e sfuggire alla vacca infuriata saltando al di l? dei ripari. Mini reportage eseguito con D200 e 80-400VR. L'entrata di una squadra; e della vacca Pronta alla carica! Acrobazie per sfuggire alla "mucca" infuriata.
  10. Here I am, eccomi, je suis ici, Avanti con la nuova rotta E sì, grazie di tutto.
  11. Dopo l'acquisto di una reflex e del corredo base di obiettivi, può succedere di voler approfondire qualche genere fotografico in particolare, il ritratto, il paesaggio piuttosto che la fotografia agli animali, oppure la macro. In questi casi spesso occorre un obiettivo dedicato. Per fare della macrofotografia come si deve ed apprezzare pienamente le meraviglie nascoste nel "molto piccolo", ci vuole un vero obiettivo macro. che permetta di ingrandire, avvicinarsi a sufficienza al soggetto ed avere la elevata nitidezza necessaria per avere soddisfazioni ed appassionarsi a questo genere fotografico. In questa guida all'acquisto ho cercato di presentare e commentare brevemente gli obiettivi per la macro compatibili con le reflex nikon attualmente in produzione, con qualche piccolo consiglio assolutamente soggettivo e non vincolante per aiutare nella scelta, rimandando ai test approfonditi pubblicati su Nikonland per approfondire. Se siete interessati ad una breve introduzione alla macrofotografia vi suggerisco di leggere questo mio articolo su Nikonland da approfondire eventualmente leggendo su altri siti o dei manuali. Gli obiettivi macroHo diviso gli obiettivi macro in tre categorie principali sulla base della lunghezza focale. I normali (50mm - 60mm), i tele corti (da 90mm a 105mm) e i tele medi (da 150-180-200mm) in più ho aggiunto un appendice sugli obiettivi macro dedicati al formato APS-C (Dx per Nikon). I macro normali . Molto ben corretti per quanto riguarda distorsione e aberrazioni, straordinariamente nitidi, sono i più piccoli e leggeri e (nell'ambito della stessa marca) costano meno di quelli di focale maggiore. I limiti possono essere: la distanza di messa a fuoco molto breve e quella di lavoro (distanza fra soggetto e lente anteriore) ancora di più, per cui può capitare di trovarsi a scattare vicinissimi al soggetto. Inoltre il maggiore angolo di campo rispetto a focali più lunghe, rende un po' più difficile ottenere degli sfondi gradevoli. Non sto affermando che le focali da 50-60mm sono poco utili, ma che sono un po' più impegnative nell'uso sul campo, mentre sono ottime per still life, riproduzione in genere. A mio parere, per insetti, altri animali o se si deve fotografare col cavalletto qualcosa che sta in mezzo ai cespugli, forse è meglio garantirsi un po' più di agio usando una focale un poco più lunga. Le focali macro "standard" attualmente disponibili sono queste: Nikon AF-S 60mm f/2.8 G ED Micro Test su Nikonland qui e qui Schema ottico (lenti/gruppi):12/9Diaframmi f/2.8-32Angolo di campo 39°40' (26°30' con formato DX Nikon)Distanza minima di messa a fuoco 18,5cmMassimo rapporto di riproduzione 1xDiaframma 9 lamellePasso filtri 62mmDimensioni (diametroxlunghezza dall'innesto) 73 x 89 mmPeso 425gMotorizzato AFS A mio parere la scelta migliore fra i "normali" per Nikon. Zeiss Milvus 50mm f2M Schema ottico (lenti/gruppi):8/6, Diaframmi f2-22Distanza minima di messa a fuoco 24cmMassimo rapporto di riproduzione 0.5xDiaframma - Passo filtri 67mmDimensioni (diametroxlunghezza dall'innesto) 81x74mm Peso 700gMessa a fuoco manuale Costante per gli Zeiss sono la costruzione superba, la qualità ottica indiscussa, ma... messa a fuoco solo manuale, costo più che notevole e rapporto di riproduzione un po' "vintage", arriva solo a 1:2. I tele macro "corti" da 90-105mm La focale da 100-105mm rappresenta un'ottima scelta per fare della macro sia sul campo che come still life/riproduzione. Si tratta di obiettivi di dimensioni relativamente compatte che possono eventualmente prestarsi come obiettivi da ritratto; alcuni, come il Sigma 105mm f.28 Macro OS, hanno anche un costo contenuto senza rinunciare alla qualità. I nuovi modelli sono quasi tutti IF (internal focus ) per cui il barilotto non si allunga mettendo a fuoco da vicino, il che li rende estremamente comodi nell'uso e non sottrae distanza di lavoro. Ecco i modelli attualmente disponibili (ordinati per lunghezza focalee marca): Tamron 90mm f/2.8 Macro VC USD Schema ottico (lenti/gruppi): 14/11Diaframmi: f2.8-32Distanza minima di messa a fuoco 30cmMassimo rapporto di riproduzione 1xDiaframma 9 lamellePasso filtri 62mmDiametro x lunghezza 79x117mmPeso 600g (baionetta Nikon)Motorizzato USDStabilizzato SI Completamente rinnovato rispetto al modello precedente (ancora in listino), si allinea come specifiche ai 105 Nikon e Sigma: è motorizzato, IF e pure tropicalizzato. Tamron SP AF 90mm F/2.8 Di Macro Schema ottico (lenti/gruppi): Diaframmi: f2.8-32Distanza minima di messa a fuoco 29cmMassimo rapporto di riproduzione 1xDiaframma 9 lamellePasso filtri 55mmDiametro x lunghezza 71x97mmPeso 400grMotorizzato NOStabilizzato NO E' il modello precedente, ma ancora in listino. E' più leggero, molto più economico, ma ha un af vecchio tipo, quindi incompatibile con le reflex entry level (D3xxx- D5xxx) inoltre non essendo IF, il barilotto raddoppia quasi la lunghezza alla minima distanza di messa a fuoco sottraendo distanza di lavoro. Tokina AT-X Pro D 100mm f/2.8 Macro Schema ottico (lenti/gruppi): 9/8Diaframmi: f2.8-32Distanza minima di messa a fuoco 30cmMassimo rapporto di riproduzione 1xDiaframma 9 lamellePasso filtri 55mmDiametro x lunghezza 73,6x95mmPeso 540gMotorizzato NO (Af corpo macchina)Stabilizzato NO Robusto e compatto, come il Tamron 90mm vecchio modello ha una marcia in meno rispetto la praticità d'uso: non è motorizzato, quindi non compatibile con reflex entry level, non ha la correzione manuale della messa fuoco automatica mentre ha un meccanismo di commutazione Af/Mf a camma, piuttosto obsoleto. Zeiss Milvus 100mm f/2M Schema ottico (lenti/gruppi): 9/8Diaframmi: f2-22Distanza minima di messa a fuoco 44cmMassimo rapporto di riproduzione 0,5xDiaframma Passo filtri M67Diametro x lunghezza 85x104mmPeso 820gMessa a fuoco manuale Come per il 50mm Zeiss: Solo per estimatori della massima qualità che non temono la messa a fuoco "a vista", le vibrazioni e gli basta arrivare ad un rapporto di riproduzione di 1:2 Nikon AF-S 105mm f/2.8 G ED VR Micro Test su nikonland qui, qui e qui. Schema ottico (lenti/gruppi): 14/12 (1 lente Ed e trattamento Nano Crystal)Diaframmi: f2.8-32Distanza minima di messa a fuoco 0,314mMassimo rapporto di riproduzione 1xDiaframma 9 lamelle Passo filtri 62 mmDiametro x lunghezza 83x116mmPeso 750 gMotorizzato AFSStabilizzato SICompatibile con i TC 14E/17E/20E nelle varie versioni. Sigma 105mm f/2.8 Macro DG OS HSM Test su Nikonland qui qui e qui Schema ottico (lenti/gruppi): 16/11Diaframmi: f2.8-32Distanza minima di messa a fuoco 31,2cm Massimo rapporto di riproduzione 1xDiaframma 9 lamellePasso filtri 62mmDiametro x lunghezza 78x127cmPeso 725gMotorizzato HSMStabilizzato SICompatibile con il converter 1,4 Sigma In sintesi, gli obiettivi "per tutti" che mi sentirei di consigliare sono i due 105 Nikon VR e Sigma OS, due caratteri diversi (più contrastato il Nikon, più delicato il Sigma, come evidenziato nei test), da scegliere secondo il gusto e le esigenze o possibilità personali. Il nuovo Tamron 90mm f2.8 VC potrebbe assere una alternativa valida, ma non ho avuto modo di provarlo. I tele macro I tele macro di focale superiore a 105mm sono a mio parere riservati a chi vuole fare della macro fotografia sul campo uno dei suoi generi fotografici prevalenti. Questo per via di costi ingombri e difficoltà di utilizzo. Fa eccezione il fantastico Sigma 150mm f2.8 Apo Macro OS, che unisce una discreta compattezza a una notevole qualità. Anche se più caro dei 105mm, lo si può considerare come valida alternativa ad uno zoom 70-200. La distanza minima di messa a fuoco leggermente maggiore rispetto ai 105mm è un valore aggiunto. Sigma 150mm f/2.8 APO Macro EX DG OS HSM Test su Nikonland qui e qui Schema ottico (lenti/gruppi):19/13 Diaframmi f2.8-22Distanza minima di messa a fuoco 38cmMassimo rapporto di riproduzione 1xDiaframma 9 lamellePasso filtri 72mmDimensioni (diametroxlunghezza dall'innesto) 79x150mmPeso 1150gMotorizzato HSMStabilizzato SIAnello treppiede.Compatibile con i TC Sigma Sigma 180mm f/2.8 APO Macro EX DG OS HSM Test su Nikonland qui, qui e, per un uso alternativo qui Schema ottico (lenti/gruppi):19/14 Diaframmi f2.8-22Distanza minima di messa a fuoco 47cmMassimo rapporto di riproduzione 1xDiaframma 9 lamellePasso filtri 86mmDimensioni (diametroxlunghezza dall'innesto) 95x204mmPeso 1640gMotorizzato HSMStabilizzato OSAnello treppiede.Compatibile con i TC Sigma Tamron SP 180mm f/3.5 Di LD Macro Test su Nikonland qui Schema Ottico (lenti/gruppi)14/11Diaframmi f3.5-32Distanza minima di messa a fuoco 47cmMassimo rapporto di riproduzione 1xDiaframma 7 lamellePasso filtri 72mmDimensioni (diametroxlunghezza dall'innesto) 85x166mmPeso 920gMotorizzato NO (usa motore Af fotocamera)Stabilizzato NOAnello treppiede.Non essendo motorizzato l'af non funziona con le reflex Nikon entry level. Nikon Micro-nikkor 200mm f/4 AfD ED IF Test su Nikonland qui e qui Schema Ottico (lenti/gruppi) 13/8Diaframmi f4-32Distanza minima di messa a fuoco 50cmMassimo rapporto di riproduzione 1xDiaframma 9 lamellePasso filtri 62mmDimensioni (diametroxlunghezza dall'innesto) 76x193mmPeso 1190gMotorizzato NO (usa motore Af fotocamera)Stabilizzato NOAnello treppiede.NON compatibile con i TC nikon.Non essendo motorizzato l'af non funziona con le reflex Nikon entry level. A meno che uno non voglia proprio specializzarsi nella macro, o abbia particolari esigenze, fra i tele elencati sopra la scelta più conveniente a mio parere è il Sigma 150mm f2.8 Apo Macro OS. Gli obiettivi macro in formato APS-C (Dx) Se pensate che non farete a breve un upgrade del vostro corpo macchina al formato FX, e volete risparmiare in termini di ingombri e costi, esistono degli obiettivi macro in formato APS-C (Dx per Nikon) sia originali che universali (questi ultimi... se li trovate, è già difficile trovare le specifiche) , ecco l'elencoordinato per focale: Tokina AT-X Pro 35mm f/2.8 Macro Di Schema ottico (lenti/gruppi) 9/8Diaframmi f2.8-22Distanza minima di messa a fuoco 14cmMassimo rapporto di riproduzione 1xDiaframma 9 lamellePasso filtri 52mmDimensioni (diametroxlunghezza dall'innesto) 73x60Peso -Motorizzato SI (non a ultrasuoni) Nikon AF-S DX 40mm f/2.8 G Micro Test su Nikonland qui Schema Ottico (lenti/gruppi) 9/7Diaframmi ff2.8-22Distanza minima di messa a fuoco 16cmMassimo rapporto di riproduzione 1xDiaframma 7 lamellePasso filtri 52mmDimensioni (diametroxlunghezza dall'innesto) 69x65mmPeso 235gMotorizzato SI (AFS)Stabilizzato NO Tamron SP AF 60mm F/2.0 Di II LD [IF] Macro Schema Ottico (lenti/gruppi) 9/7Diaframmi ff2-22Distanza minima di messa a fuoco 236cmMassimo rapporto di riproduzione 1xDiaframma 7 lamellePasso filtri 55mmDimensioni (diametroxlunghezza dall'innesto) 73x80mmPeso 350gMotorizzato SI Stabilizzato NO Nikon AF-S DX 85mm f/3.5 G ED VR Micro Test su Nikonland qui Schema Ottico (lenti/gruppi) 14/10Diaframmi ff3.5-22Distanza minima di messa a fuoco 29cmMassimo rapporto di riproduzione 1xDiaframma 9 lamellePasso filtri 52mmDimensioni (diametroxlunghezza dall'innesto) 73x99mmPeso 355gMotorizzato SI (AFS)Stabilizzato SI Che dire degli obiettivi macro in formato Dx? I due Nikon sono piccoli, leggeri e qualitativamente buoni (specialmente l'85mm) la mia perplessità sul 40 è la stessa che ho per gli standard, un po' corto per un uso sul campo, per cui se la assoluta leggerezza non è una priorità e proprio pensate di volere un obiettivo macro in formato Dx, io opterei per l'85mm. Tutte le opinioni fin qui espresse sono mie personali e possono non essere condivise ma sono dettate da una lunga pratica sul campo.Se la pensate diversamente, siamo qui : parliamone !
  12. La qualità di immagine della SD quattro è stata una vera sorpresa, l'ho provata in un contesto professionale e la macchina si è rivelata uno strumento eccellente per la documentazione paleontologica, sia a scopo didattico che scientifico. Questa insolita macchina fotografica mi ha sorpreso (ed entusiasmato) quale strumento per il mio lavoro, regalandomi un'esperienza davvero speciale (per chi non lo sapesse, sono un Paleontologo, dei Vertebrati per l'esattezza, e mi occupo di Rettli fossili, soprattutto del Triassico, ossia intorno ai 200 milioni di anni fa, presso l'Università dove insegno. Ho al mio attivo oltre sessanta lavori scientifici oltre ad un'intensa attività di divulgazione con conferenze e tutto il resto). La fotografia ha un ruolo fondamentale in Paleontologia,per documentare i risultati dei propri studi, o semplicemente avere illustrazioni di fossili a scopo didattico o divulgativo. Siccome i fossili sono tra le cose più tranquille che si possano immaginare, le limitazioni della SD quattro in fatto di ISO, tempi di reazione e così via, divengono irrilevanti. Con un buon stativo od un treppiedi, e potendo gestire la luce, si possono ottenere eccellenti immagini rimanendo a 100 iso e chiudendo i diaframmi quanto serve. Se ne vanno quindi i difetti di questa fotocamera, ma rimangono i pregi, soprattutto come vedremo, la ricchezza di dettaglio e la sensazione di tridimensionalità che da' ai soggetti fotografati cosa che credo si possa ottenere solo con strumenti molto più costosi, o ingombranti, o tutte e due le cose. Quello che veramente fa la differenza nella Sigma SD Quattro per la mia attività non riguarda tanto le foto di esemplari interi da pubblicare su riviste scientifiche (dove date le dimensioni finali delle foto pubblicate il livello di esigenza è spesso inferiore) quanto nella ricchezza del dettaglio dei particolari indispensabile nelle fasi attive della ricerca e nella sfruttabilità dei crop più spinti, anche per la didattica. Ho fotografato questa ammonite cinese che ha ancora la conchiglia originale conservata, caso piuttosto raro. Il diametro dell'esemplare è circa tre-quattro centimetri. L'ho ripresa con il 50mm f1.4 ART e la Lente addizionale acromatica Marumi da 3 diottrie. Nota: Tutte le foto dell'articolo sono state riprese con il 50mm ART con o senza la lente Marumi a seconda della necessità. E questo è il crop al 100% Qui ho avuto la prima rivelazione. Non avevo mai visto una foto, specialmente un crop così spinto, in cui si vedesse così bene la distinzione fra i vari strati della conchiglia, le suture interne (quelle forme arborescenti) e la roccia sedimentaria che ha riempito l'interno della conchiglia. Una tridimensionalità stupefacente in un crop 100%. Certo non stampabile ma perfettamente usabile a scopo didattico. Infatti, insieme a quella che segue, l'ho inserita nel Power Point della mia lezione di Venerdì scorso. Ammonite in sezione, poco più grande di quella della fotografia precedente, ma conservazione differente. L'Ammonite è ricoperta da Pirite, un minerale di ferro che precipita in ambienti poveri di ossigeno spesso ad opera di batteri. Di nuovo crop al 100% Di nuovo, stupore nell'apprezzare lo "scalino" tra la pirite incrostante nera e i setti della conchiglia che la suddividono in tante camere. Anche questa usata a lezione! Un Bivalve... Volete vedere le strie di accrescimento in rilievo? Eccovi serviti. Ricordo che ho usato un obiettivo standard (come lunghezza focale) ed una lente aggiuntiva; con un vero macro le cose avrebbero potuto essere ancora meglio, sia nei casi precedenti che per quel che segue. Bene i crop per la didattica, ma per la ricerca scientifica, dove trovo il vantaggio? Senza tediarvi troppo, vorrei spiegare che il punto di partenza di uno studio è la descrizione dell'esemplare, o degli esemplari, che si hanno in esame. La descrizione si basa sull'osservazione, di solito al microscopio binoculare (che permette una visione tridimensionale): questa fase è irrinunciabile, si osserva e si scrivono appunti che serviranno per la stesura della descrizione definitiva. La freccia gialla indica la Camera Lucida, che descriverò più avanti. Se l'esemplare è a disposizione nel proprio deposito o laboratorio, non c'è problema, lo si può osservare quante volte si vuole. Se invece è custodito presso un altra istituzione, dove non è possibile recarsi in continuazione, per via della distanza dalla propria sede e delle altre cose che si hanno da fare e del poco tempo a disposizione, che si fa? Si sta presso Il Museo o Università che custodisce l'esemplare quanto più si riesce, in modo da stilare una descrizione il più completa che si può, poi ci si porta a casa una documentazione fotografica più dettagliata possibile, per completare le osservazioni. Anche in questo caso un dettaglio più fine può fare la differenza, per riconoscere strutture... e la Sigma SD Quattro non delude. Pesci della Green River Formation 60 milioni di anni fa, il più lungo è 4cm circa Crop 100%; dove sono più visibili i limiti fra le ossa? Un serpente di mare dell'epoca dei Dinosauri, la lastra è lunga circa 30cm Le ossa della testa, una per una. In questo crop si vede "bene" che i primi serpenti avevano ancora le zampe posteriori, anche se ridottissime. di solito si correda una pubblicazione scientifica, oltre che di fotografie, anche di disegni interpretativi che contribuiscano a chiarire meglio alcuni particolari di ciò che si descrive, che potrebbero essere decifrabili nelle foto. Come si fanno questi disegni? Il modo classico è quello di applicare al microscopio una "camera lucida", un accessorio a specchio che permette di sovrapporre al percorso ottico di uno dei due oculari il riflesso di un foglio di carta. Microscopio stereoscopico (binoculare) con Camera Lucida. Così guardando al microscopio ... a qualcuno viene il mal di mare, gli altri vedono il foglio di carta sovrapposto al soggetto e così si possono disegnare i contorni di ciò che sta sotto al microscopio.E' un lavoro lento, e si deve procedere a pezzetti, perchè sui bordi c'è distorsione. Inoltre il risultato è tremolante e va ripassato "in bella" più volte. Inoltre se l'esemplare è custodito altrove, bisogna recarsi là dov'è tutte le volte che occorre disegnarlo. E occorre che "là" abbiano disponibli il binoculare e la camera lucida, perchè non è molto pratico portarseli dietro. Attualmente si può parziamente sostituire questa procedura usando Photoshop, con una tavoletta grafica e applicando un foglio di lucido virtuale (un livello) sulla foto dell'esemplare e disegnare così le strutture che interessano. Per aumentare la precisione si ingrandisce l'immagine al 200-300%, a volte anche al 400%. Si ha inoltre il grande vantaggio di poterlo fare nella propria sede di lavoro.Ho scritto che questo metodo sostituisce solo parzialmente la camera lucida, perchè la qaulità della foto influisce molto, ombre, aree sfuocate, nitidezza non adeguata, e mancanze di contrasto fra fossile e roccia possono creare problemi di interpretazione, ne qual caso bisogna per forza ritornare a vedere l'esemplare, pena errori nella ricostruzione. Naturalmente più si cura la luce e quanto più incisa è la foto, tanto minori diventano le difficoltà di interpetazione. E qui torniamo alla ricchezza del dettaglio. A scopo di esempio per questo articolo, ho provato a disegnare un avambraccio di una piccola tartaruga marina di 100 milioni di anni fa, basandomi su una foto scattata con la Sigma SD quattro. Ecco un dettaglio della tartaruga Ecco il braccino: Questo è un crop al 100%, ma per disegnare ho ingrandito l'immagine fino al 300% e tutti gli elementi erano perfettamente individuabili. In un tempo brevissimo ho tracciato i contorni delle ossa. Per darvi poi l'idea di come deve apparire l'illustrazione definitiva, ho successivamente stampato e ripassato il disegno aggiungendo la puntinatura ed un po' di lettering (ossia le sigle convenzionali che individuano le diverse ossa). Et voilà. Pronta per essere pubblicata (in realtà dovrei aggiungere qualche altra sigla) Ultravioletto con la Sigma SD Quattro. Mamma mia! In Paleontologia si usa la luce ultravioletta nei casi in cui la sostanza che costituisce il fossile rifletta i raggi ultravioletti in modo diverso (maggiore) della matrice rocciosa ( cosa che putroppo non accade sempre, dipende dal fossile e dalla roccia). Per rendere le cose più difficili alla Sigma SD Quattro, abbiamo preso in esame dei fossili tra i più difficili che ci siano, dei ...polpi (proprio come quelli di oggi, coi tentacoli e tutto). La storia evolutiva dei polpi è pochissimo conosciuta perchè, non avendo parti dure, si trovano allo stato fossile solo in casi rarissimi e solo in pochi giacimenti speciali, che vengono apposta definiti "a conservazione eccezionale". Questo polpo proviene da uno di questi giacimenti, che si trova in Libano, ed ha anche lui 100 milioni di anni. Visto così, non è che entusiasmi troppo, vero? Ma se lo illuminiamo con una luce UV A da 380 nanometri come si comporterà la nostra Sigma, con il suo cinquanta e addirittura una lente addizionale? La ricchezza di informazione e di dettaglio ha dell'incredibile. Mi permetto di attirare l'attenzione su alcuni particolari. E così avete scoperto che i polpi di 100 milioni di anni fa vevano residui di una conchiglia, un po' come le seppie! Tutto questo senza rimuovere il filtro IR (perchè sono maldestro e temevo di romperlo). E senza nemmeno usare un Coastal Optics 100mm macro che costa come una utilitaria. Inutile dire che ho usato questi crop a lezione Altro esempio, una specie di Anguilla preistorica ( fotografata sempre con la SD Quattro ma questa volta con montato il 150 macro OS) Si vede la preda che ha nel ventre, il suo ultimo pasto è stato un crostaceo uguale alle nostre canocchie. In Ultravioletto la definizione è incredibile. Finisco con l'ultravioletto con un ultimo polpetto di pochi cm (in cui si vedono comunque le branchie). In conclusione, la Sigma SD Quattro mi ha entusiasmato (troppo, adesso ne voglio una) e la ritengo uno strumento eccellente per il mio lavoro. Ribadisco quanto ho scritto all'inizio, sono naturalmente ben consapevole che risultati identici e probabilmente superiori si potrebbero ottenere anche con altre attrezzature, ma il punto forte è che la Sigma SD Quattro offre risultati professionali in un insieme agile ad una frazione del prezzo e dell'ingombro rispetto a strumenti più raffinati, mezzi formati, microscopi combinati e quant'altro. Accoppiata ad un 105 macro,e qualche batteria di riserva, posso portarla con me in ogni museo del Pianeta senza alcun problema e riportarmi a casa files che hanno tutta la qualità e la versatilità che mi serve, anzi di più. Da questo punto di vista non posso che esserne pienamente soddisfatto. Vi lascio con una carrelalta di immagini ottenute con la Sigma Sd Quattro ed il 150 Macro, e con il sapiente contributo di Mauro Maratta per quanto riguarda la gestione della luce. Alcune Ammoniti: Particolari: Sezione di osso di Dinosauro: I fossili fotografati per questo articolo sono custoditi presso il Museo Civico di Storia Naturale di Milano, e il Museo "Realini" di Scienze Naturali di Malnate.Colgo l'occasione di ringraziare di cuore i Curatori dei rispettivi Musei (Dr. Teruzzi e Dott.ssa Dotti), per la generosità, gentilezza e disponibilità mostratami in questa occasione (come in tante altre in passato). Grazie anche a Mauro Maratta che mi ha dato l'occasione di provare questa fotocamera, mi sono divertito un mondo. Anche da parte mia un sentito grazie alla sensibilità di Mtrading Srl, distributore italiano dei prodotti Sigma che mi ha offerto l'opportunità di provare questa entusiasmante e singolare fotocamera. Silvio Renesto per Nikonland
  13. Per chi come me usa Nikon e ama fare macrofotografia sul campo con i tele macro "lunghi" da 200 o 180mm, le alternative non sono molte, Nikon con il 200mm f4 micro-nikkor AfD, Sigma con il 180mm f3.5 Sigma Apo Macro (oggi sostituito dal modello più luminoso, ma più costoso e ingombrante f2.8) e.poi ? Poi c'è il 180mm f3.5 della Tamron.Avevo avuto modo di provare i 200mm micro-nikkor Ai e AfD i 180mm Sigma Apo Macro f3.5 e f2.8 (ho provato anche il minuscolo 180mm Sigma Apo f5.6, ma è preistoria). Mi mancava solo il 180mm della Tamron. Ne avevo letto recensioni entusiastiche (ad es quella di Photozone.de e di Nikonians), per cui la curiosità era grande.Grazie alla cortesia dell'amico Paolo (Vento), ho potuto finalmente provare questo obiettivo, e qui vi riporto le mie impressioni. Naturalmente si riferiscono all'esemplare da me provato. Mettete in conto possibili variazioni. Dati tecnici Nome: Tamron SP Af Di 180mm f3.5 Macro Lenti/gruppi: 14/11 (2 lenti a bassa dispersione) Diaframma a 7 lamelle, apertura da f3.5 a 32 Distanza minima di messa a fuoco 47cm, corrispondente ad un rapporto di riproduzione di 1:1 e ad una focale effettiva di 117,5m Distanza minima di lavoro circa 25,5cm Diametro filtri 72mm Dimensioni 166x85mm Peso 820gr Paraluce a baionetta, collare per treppiede staccabile e meccanismo di rotazione filtri FEC in dotazione. Costruzione ed ergonomia. L'obiettivo è compatto e le plastiche sono di ottima qualità, l'assemblaggio è preciso e non ci sono giochi di alcun genere. si impugna bene e non è eccessivamente pesante, ottimamente bilanciato sia su corpi Dx che Fx. L'anello azzurro contraddistingue la serie SP (Superior Performance), un po' come l'anello dorato degli Ex Sigma L'obiettivo non è motorizzato nella versione per Nikon, in autofocus le lenti sono mosse da un alberino che sfrutta il motore Af della fotocamera tramite presa di forza. L'obiettivo è IF (internal focus) per cui non si allunga focheggiando alle brevi distanze. La commutazione Af/Mf si effettua facendo scorrere avanti o indietro la ghiera della messa a fuoco, in Af la ghiera non ruota. La finestrella superiore riporta le distanze in metri e piedi e, come in ogni macro che si rispetti, i rapporti di riproduzione ottenibili alle diverse distanze. La scala delle distanze e dei rapporti di riproduzione, sopra le indicazioni delle posizioni della ghiera in Af e Mf Il FEC (Filter Effect Control) è un anello che consente di ruotare i filtri anche con il paraluce innestato. L'anello FEC L'anello per il treppiedi è veramente ben fatto, solido, ruotabile e staccabile. Il paraluce è ingombrante e ruba parecchia distanza di lavoro, come quello del 180 Sigma f3.5 e diversamente da quello, ottimo, del 200 micro nikkor AfD. A mio parere da usarsi solo se indispensabile. L'obiettivo senza e con il paraluce innestato Sotto certi punti di vista Il Tamron somiglia molto al Sigma 180 mm Apo Macro f3.5: stessa apertura massima , distanza minima di messa a fuoco simile (47cm vs 46cm) e anche la focale effettiva a 1:1 è molto simile (117mm vs 115mm). Essendo un più corto, il Tamron guadagna qualcosa come distanza di lavoro. Le somiglianze finiscono qui. Dal punto di vista dell'operatività e della qualità ottica sono due obiettivi molto diversi, come vedremo. Prestazioni Il Tamron non è stabilizzato. La presenza della stabilizzazione ho provato che fa una certa differenza anche in macro, se non c'è si deve ricorrere molto più spesso al cavalletto. Autofocus. Sotto questo aspetto il Tamron è un obiettivo concettualmente arcaico, condivide con il ben più vecchio 200mm Micro nikkor AfD la mancanza di un motore Af ad ultrasuoni. Di conseguenza l'autofocus è lento, rumoroso ed impreciso (come il 200 micro nikkor AfD) inoltre nel Tamron non sono presenti limitatori di messa a fuoco per cui se non si aggancia, si va all'infinito (e ritorno).Se necessita l'af e lo sfondo è confuso, a mio parere è meglio prefocheggiare a mano e lasciare all'af la regolazione finale, ma tutto ciò rallenta molto la ripresa. Naturalmente essendo l'obiettivo non motorizzato, non è possibile il manual override (correggere manualmente l'Af).Un tempo si diceva che tanto la macro si fa in manuale, può darsi ma un af efficace, soprattutto se la vista non è quella di un tempo, non fa certo male, poi si può anche scegliere di non usarlo. Messa a fuoco manuale. Un altro pianeta rispetto all'Af, la ghiera è ampia, fluida, pastosa e con la giusta resistenza, perfetta. A parte il fatto chela direzione di rotazione è alla rovescia rispetto agli obiettivi Nikkor, per cui bisogna ruotarla in senso contrario a quello che indicano le freccine nel mirino. Qualità di immagine Aberrazione cromatica. Non ne ho trovata, nemmeno nei casi più estremi. Ottimo sotto questo punto di vista. Meglio del Sigma 180mm f3.5 a dispetto della dicitura Apo di quest'ultimo. Sfuocato. A me piace, mi sembra morbido, nonostante il diaframma abbia solo 7 lamelle non lo trovo male. Il vostro metro di giudizio però può essere diverso. Nitidezza. Alle distanze ed ai diaframmi che si usano più spesso in macro, è ottima. Tra f7 e f16 il Tamron da questo punto di vista, non ha niente da invidiare a nessuno. Platycnemis pennipes femmina, ripresa a f10 Crop 100% Alle lunghe distanze ed a tutta apertural'esemplare da me provato è risultato molto, molto morbido, direi troppo. Chiudendo i diaframmi recupera abbastanza in fretta, ma io non lo userei a f3.5. Crop 100% della foto sopra a diverse aperture di diaframma Alle brevi distanze (dove l'apertura massima è f4.5 come correttamente indicato nei dati) a tutta apertura le cose vanno meglio, ma chiudere di un diaframma o due è sempre consigliabile. Crop 100%, sopra f4.5, sotto f8 Avevo scritto sopra che Il Sigma ed il Tamron hanno alcune caratteristiche tecniche che li accomunano. La "filosofia" della resa dell'immagine invece è profondamente diversa. Il 180 Sigma f3.5 è meno contrastato, mentre Tamron invece tende a "caricare", non esageratamente, ma si vede. Ad alcuni può piacere ad altri no. Conclusione PRO: Compattezza, peso, ghiera di messa a fuoco manuale, collare treppiede, assenza di aberrazione cromatica, ottima nitidezza chiudendo di un paio di diaframmi, sfuocato piacevole (per me). Prezzo relativamente contenuto. CONTRO: Autofocus lento, rumoroso e non molto preciso. Mancanza dei limitatori di messa a fuoco. Resa a tutta apertura deludente alle lunghe distanze. E' un vero peccato per l'autofocus vecchio stile e la (non) nitidezza a tutta apertura alle distanze lunghe (a meno che non sia un problema del solo obiettivo da me provato), perchè per il resto il 180mm Tamron va bene e in macro si possono fare delle buonissime foto. Crop 100% Se devo proprio fare confronti, direi che la differenza di qualità di immagine (da f5.6 in poi) rispetto al 180 mm f3.5 Sigma non è rilevante, rispetto al 180 f2.8 Sigma è invece sensibile (a vantaggio del Sigma) così come rispetto al 200 micro nikkor AfD. Date le dimensioni non esagerate e visto che ha una ghiera dei diaframmi, Oserei consigliare di usarlo, tramite anello adattatore, come tele macro per chi ha una mirrorless (non mi risulta che ci siano ottiche simili in catalogo). Credo che con un accorto uso del focus peaking, si possano ottenere risultati molto buoni. Mi rimane la curiosità sul perchè a tutt'oggi l'unico 180/200 macro moderno sia il Sigmosauro 180 f2.8 OS bello, buono ma popco pratico. Un sincero grazie a Paolo per avermi messo a disposizione il suo obiettivo.
  14. Avreste mai pensato di usare lo zoom Nikon 200-500mm f 5.6 E VR per la fotografia ravvicinata? NON FRAINTENDIAMO. E' chiaro che lo scopo principale del Nikon 200-500mm f5.6 E VR per quelli che come me che amano fotografare gli animali, è andare in posti così Avvistare qualcosa di interessante, riprenderlo nell'insieme ad una focale intermedia: Per poi ricavarne scorci zoomando alla massima focale. Oppure addentrarsi in una lanca Ed ssere subito pronti per incontri ravvicinati. Per passare poi a foto ambientate. Certo, può capitare di voler fotografare un fiore, se la cosa interessa (a me raramente), sfruttando lo sfuocato tipico del teleobiettivo. Ma è un caso eccezionale, non pensato per questo. E' certamente uno strumento versatile per il fotografo naturalista, ma non è certo un obiettivo per foto ravvicinate. NE SIAMO PROPRIO SICURI? METTIAMO IL CASO CHE... Per questioni di peso, ingombro, costi o qualsiasi altro motivo, per la vostra uscita fotografica, il vostro safari, la vostra passeggiata, avete con voi solo due ottiche tutto fare: il 16-85 per il paesaggio e il 200-500 per scorci e fauna. Magari, vi ci sta anche un TC14 E. E un flashettino. Cavalletto? Forse. Poi basta. Avete deciso di non comprare (o di non portare) il 300mm f4 perchè preferite la versatilità dello zoom che permette un range di focali molto più vario. Tantomeno avete intenzione di portarvi un macro. Pensate di esservi persi la possibilità di fare fotografia macro? Avete ragione. La vera macro non la potete fare. Ma la cosiddetta fotografia ravvicinata, ossia quella con rapporti di riproduzione che vanno da 1:5 a 1:2, ... chissà, forse ce la potreste fare. Soprattutto se avete un corpo macchina in formato APS-C, ossia Dx. Ecco cosa si può fare (se interessa farlo naturalmente) con il Nikon 200-500 f5.6 E VR nel campo della fotografia ravvicinata, usando come esempio le mie modelle preferite, ossia le libellule. In questo articolo non darò i numeri (rapporto di riproduzione, focale effettiva alle brevi distanze ecc.); vi basti sapere (se non lo sapete già) che la messa a fuoco minima è qualcosa più di 2m (2,2m segnato sulla ghiera). Lascerò che siano le immagini a mostrare quanto si può arrivare vicini restando lontani. Perchè se un vantaggio c'è ad usare questo zoom nella fotografia ravvicinata, è proprio nella distanza di messa a fuoco. A 2,2m, se non sei un elefante nei movimenti e se non ti impegni a proiettare l'ombra sul soggetto, le libellule (e per estensione le farfalle e simili) di te se ne fr non se ne curano (con le rane e le lucertole magari serve un po' più di malizia). Ma ne vale la pena? La parola alle foto. NOTA: DATO CHE LO SCOPO DI QUESTO ARTICOLO E' VALUTARE LA POSSIBILITA' DI FARE FOTOGRAFIA RAVVICINATA, TUTTE LE INQUADRATURE SONO ORIGINALI, NESSUN RITAGLIO IN NESSUNA FOTO AI SOGGETTI (A PARTE I CROP 100% NATURALMENTE). Cliccate sulle foto per vederle al meglio. Maschio di Calopteryx , 1/250s f5.6, auto ISO, flash di schiarita, cavalletto. Possiamo fare meglio? Oh sì. Calopteryx femmina, controluce. Circa 500mm (480). 1/250s F6.3 Auto ISO. Flash di schiarita. Cavalletto. E la nitidezza? Crop 100% Onychogomphus forcipatus maschio, 500mm, 1/250s, f11 auto ISO, flash di schiarita, cavalletto. Sfondo così così. Se pensate che sia un po' deludente come rapporto di riproduzione, potreste sempre croppare, oppure.. Stesso soggetto, con gli stessi parametri di ripresa ma montando anche il TC 14 EIII (700mm focale nominale). Si comincia a ragionare? E la nitidezza? Crop 100% Questo il set di ripresa, la freccia indica dove si trovava il soggetto. Il collarino di neoprene non ha velleità mimetiche, ma se per caso in una ripresa mi dovessi appoggiare ad un tronco rugoso, mi appoggerei con quello così da proteggere il barilotto. Tenete presente che ho piazzato il cavalletto, ho fotografato, smontato il corpo macchina, montato il moltiplicatore, rifotografato senza dovermi spostare indietro e poi riposizionarmi, tanto l'insetto era indifferente. Merito della distanza. Altra femmina di Calopteryx, 500mm, 1/1000s f6.3, auto ISO cavalletto. Con il converter, 700mm nominali, 1/250s f11, auto ISO flash di schiarita. Cavalletto. Il set di ripresa. A causa del ridimensionamento non si vede, ma la libellulina è ancora lì sotto la freccia. Con il Tc14 è meglio chiudere due diaframmi e a volte l'autofocus rallenta o può essere tratto in inganno da sfondi confusi, ma molto raramente soprattutto se c'è poca luce, nel complesso l'autofocus non l'ho trovato peggio di quello el 300f4 con lo stesso converter. Se si ha l'accortezza di non partire dall'infinito, di solito non si hanno problemi. SI PARLAVA DI STARE LEGGERI, MA QUI C'E' SEMPRE DI MEZZO UN CAVALLETTO! NON E' UN INGOMBRO DA POCO. E' vero, accidenti. Rimediamo subito. Crocothemis erythraea femmina. Mano libera 1/1000s f9 Auto ISO. Un altro maschio di Onychogomphus forcipatus, con l'obiettivo poggiato sul ginocchio. 1/1000s f9 Auto ISO Esagero, metto il moltiplicatore, 700mm nominali, 1/1250s f11 Auto ISO. Sempre obiettivo appoggiato al ginocchio (io sono semsdraiato sulla schiena) Crop 100% Accoppiamento di Ortethrum albistylum, in piedi mano libera, 1/1250s, f10, auto ISO. Con il moltiplicatore, 700mm nominali, 1/250s f10, flash di schiarita. Confesso, qui ho usato il cavalletto Conclusione: Come ho scritto più volte, ribadisco: il Nikon 200-500mm non è un macro, e giusto per fugare ogni dubbio, non lo ritengo un sostituto del 300mm f4.E' un'altra cosa. Le differenze sono tante, ad esempio il 200-500 è molto più pesante ed ingombrante ed ingrandisce un po' meno (intendo: ha un rapporto di riproduzione minore); a spanne 1:5 contro 1:4 (ma teniamo presente che per avere 1:4 con il 300mm si deve andare a 1,5m di distanza). Volevo solo dimostrare che con il Nikon 200-500, sia da solo che abbinato al TC 14, si possono avere buone chances anche nella fotografia ravvicinata. Insomma, il Nikon 200-500mm f5.6 E VR mi ha impressionato molto positivamente, ha un VR eccellente, ed offre una versatilità veramente grande ad un prezzo ancora abbordabile. Un sincero grazie a Mauro Maratta per avermi prestato l'obiettivo.Un grazie altrettanto sincero a Francesco Contu per avermi ispirato con le sue "damigelle"
  15. Ho avuto la possibilità di usare La nikon D500 in macro (e foto ravvicinata) e nella wildlife photography (termine anglosassone meno cruento rispetto all'italiano "caccia fotografica" ) e si è confermata come uno strumento validissimo per fotografo naturalista; è robusta, affidabile, ed offre (finalmente!) in formato dx le caratteristiche di un corpo professionale ed una grande velocità operativa, unite ad una ottima qualità di immagine. Ergonomia e praticità d'uso.Uno degli aspetti che mi hanno maggiormente soddisfatto della D500 è che offre (finalmente!) al fotonaturalista le caratteristiche di un corpo professionale nel formato dx. Naturalmente c'è anche la qualità di immagine, aspetto già abbondantemente trattato in altri articoli pubblicati, ma la praticità d'uso mi ha veramente impressionato. La robustezza, la velocità dell'af, il buffer, la raffica, sono caratteristiche fondamentali per la fotografia di natura e sportiva e rendono la D500 uno strumento veramente versatile ed affidabile anche, ad esempio, in macro. Macrofotografia, ma non soloNon va dimenticato che il formato Dx in macro è utile perchè permette, a parità di copertura dell'inquadratura, di stare più distanti dal soggetto, consentendo di avere una maggiore profondità di campo, una migliore gestibilità della luce e, nel caso i soggetti siano vivi e reattivi, la maggiore distanza diminuisce le probabilità di causarne la fuga.Quindi una DSRL che unisce caratteristiche di livello professionale al formato ridotto è uno strumento validissimo anche per il macrofotografo. Ma c'è di più. Il soggetto è rasoterra? Il display orientabile ti permette di controllare l'inquadratura anche da sopra, senza che ci si debba sdraiare e guardare nel mirino (naturalmente se non c'è troppo sole o se si può fare ombra con qualcosa, testa compresa ). Crop 100% dell'immagine precedente, ottima resa. Essendo touch si potrebbe pensare di selezionare il punto di messa a fuoco ottimale e di scattare direttamente con il display, ma in macro è meglio di no, a mio parere, perchè si provocherebbero vibrazioni e spostamenti indesiderati, meglio usare uno scatto a distanza. Buona notizia, sulla D500 c'è una presa a 10 pin, per cui posso usare il mio vecchio cavo di scatto per evitare e vibrazioni e tenermi ben distante. Inoltre, nelle fotocamere della serie D7000 il sollevamento preventivo dello specchio c'è, ma è sepolto nei menù, per cui richede diversi passaggi per essere attivato, cosa che io trovo particolarmente irritante. Nella D500 con mio grande piacere ritorna ad essere selezionabile direttamente dalla ghiera di scelta delle modalità di scatto. Se ne sentiva la mancanza. La freccia gialla indica la modalità mirror up, il cavo di scatto è inserito nella presa a 10 poli. Si teme l'infiltrazione di luce parassita dal mirino? C'è la tendina che chiude l'oculare. Resa ad alti ISOAnche in macro o nella fotografia ravvicinata, poter usare alti ISO senza compromettere la qualità è importante, perché permette di avere contemporaneamente tempi rapidi e diaframmi chiusi, offrendo così grandissima versatilità (e comodità d'uso). Perchè a vibrare non è solo la fotocamera, col vento, in macro, vibra, anzi dondola, il soggetto. Oppure posso cogliere un'occasione scattando a mano libera senza perdere tempo a montare il cavalletto, Entrambe scattate a 1/1000s, 1100 ISO 1/1000s 3600 ISO Cose impensabili qualche anno fa. Particolare della foto precedente ingrandito al 100% Precisione dell'Af.L'af è ottimo, aggancia bene, raramente si fa ingannare dallo sfondo. Queste non sono belle foto, ma mostrano come il soggetto sia a fuoco contro lo sfondo confuso. Lo stesso per il Cavaliere d'Italia. Si può cogliere l'azione: e si seguono senza problemi le libellule come gli uccelli, scattando a raffica. Ombre... Una cosa a cui, ho dovuto fare l'abitudine è la spiccata tendenza a aprire molto le ombre; mi è sembrata più accentuata che nelle reflex precedenti, il che va bene in molti casi, Può capitare che con soggetti molto chiari su fondo più scuro come per esempio libellule in luce diretta o ardeidi dal piumaggio bianco, si rischi la bruciatura. Scattando a questi soggetti ho dovuto quasi sempre sottoesporre da -1/3 a -1/7 di diaframma, o correggere il raw in postproduzione. In conclusione, non posso che essere entusiasta della D500, è secondo me la migliore fotocamera Nikon Dx per la macro e per la fotografia agli animali. Occorre dire altro?
  16. Grazie ad un gentile prestito da parte di Mauro Maratta, ho avuto modo di togliermi una soddisfazione, ossia provare sul campo il Sigma 180mm f2.8 Macro OS, ambizioso tele-macro a grande apertura di Sigma, ed ecco le mie impressioni sull'obiettivo nell' uso in macrofotografia. L'obiettivo: Il 180mm f2.8 Macro OS, afferma Sigma, è l'unico tele-macro di grande apertura che arrivi ad un Rapporto di Riproduzione (RR) di 1:1, il che è vero. La stessa Sigma, molti anni fa, aveva proposto un altro 180mm f2.8 Macro, ma arrivava ad un RR di 1:2 ed era un incubo dal punto di vista dell' ergonomia, dell'Af, e del peso. Sulla qualità del vecchio Sigma 180 f2.8 Macro non mi posso pronunciare perchè non l'ho mai usato. Ho usato il suo fratellino minore, un 180mm macro f5.6 la cui contenuta apertura massima consentiva dimensioni minute, più o meno quelle di un 200mm Ai non micro.Era anche IF, per cui comodissimo nell'uso pratico. La versione a fuoco manuale che ho posseduto aveva una qualità di immagine più che sufficiente e costruzione discreta, la versione Autofocus corrispondente lasciava invece molti (o pochi?) dubbi sulla solidità. Tornando al nuovo Sigma 180 f2.8 Macro OS, è imponente, grosso quasi come il suo predecessore, un vero dinosauro fra i macro, però è costruito in maniera completamente diversa, si tratta di un obiettivo moderno, ben bilanciato e corredato da un collare rimuovibile per l'attacco al treppiedi di forma sensata, al contrario del "vecchio". Il paraluce, doppio a seconda dell'uso in formato Fx o Dx, è enorme, un po' troppo ingombrante, perlomeno per per l'uso in macrofotografia. La grande apertura rende questo 180 molto valido anche per ritratto e fotografia generale, ma non è particolarmente significativa per la macro, dove la profondità di campo è molto ridotta anche a diaframmi piuttosto chiusi, però il partire da una apertura massima elevata permette di usare un converter senza perdere troppi stop, a tutto vantaggio della precisione dell'Af.Bisogna osservare che, come in tutti i macro la luminosità effettiva si riduce con le distanze, diventando f3.2 a 1,5m, f3.5 a 90cm, f4 a 80cm e f5 poi. Il valore effettivo dei diaframma viene indicato sul display della fotocamera e nei dati exif. Qualche numero: La finestrella della messa a fuoco, come in ogni macro che si rispetti porta, oltre alle distanze in metri e feet, anche i rapporti di riproduzione alle varie distanze. Da questi valori con semplici calcoli si può risalire alla focale effettiva al variare dei rapporti di riproduzione e delle distanze di messa a fuoco.Come è ormai consuetudine, la focale effettiva si riduce sempre più man mano che ci si avvicina alla minima distanza di messa a fuoco. A 47cm corrisponde una focale effettiva di 117mm. Distanze di messa a fuoco rispetto al rapporto di riproduzione Variazione della focale effettiva rispetto al rapporto di riproduzione In macrofotografia naturalistica però è molto, direi più, importante la distanza di lavoro, ossia la distanza tra il soggetto e la lente frontale dell'obiettivo). A parità di distanza di messa a fuoco un obiettivo con minore distanza di lavoro (ad es. perchè il barilotto si allunga molto alle brevi distanze) sarà più scomodo da usare e ci sarà maggior rischio di fuga del soggetto se questo è mobile.La maggior distanza di lavoro è uno dei motivi che fanno preferire a molti (me compreso) questi tele macro "lunghi" rispetto ai macro di focale 90-105mm. Se confrontiamo i vari tele-macro, la distanza di lavoro varia così: Il Sigma 180mm f2.8 Macro OS oggetto del test ha una distanza di lavoro di 22,5cm Il precedente Sigma 180mm f3.5 Macro EX ha una distanza di lavoro di 23,5cm IL Sigma 150mm f2.8 Macro OS ha una distanza di lavoro di 18,5cm IL Nikon 200mm f4 micro-nikkor AfD ED ha una distanza di lavoro di 26cm. Questi valori sono riferiti al solo obiettivo senza paraluce che, nel caso dei due Sigma 180 sono piuttosto grossi, o anche molto grossi. In quanto a distanza di lavoro il vantaggio del 200mm f4 micro-nikkor è evidente. Ma anche se, come in altri ambiti, i cm in più contano molto, ci sono altre variabili in gioco. Sul campo Mi sono portato il 180 Sigma sul terreno in due differenti località (entrambe torride!) e l'ho usato soprattutto a mano libera (anche su cavalletto) in modo da sfruttare le sue qualità "moderne", ossia l'af e la stabilizzazione, per verificare se costituivano un effettivo vantaggio rispetto ad obiettivi di pari o superiore qualità ottica, ma più obsoleti, quale ad es. il 200mm f4 micro- nikkor AfD ED. Usare a mano libera il Sigma 180 f2.8 OS non è semplice ma, con mia sorpresa, nella macro non troppo spinta non è affatto impossibile, anzi, grazie alle dimensioni generose ed al peso si ha una presa molto più ferma e sicura, che con altri tele.macro, inoltre l'ausilio della stabilizzazione, permette di ottenere risultati soddisfacenti, almeno finchè il braccio non si stanca. Una posa elegante, colta a mano libera. Una Pieride molto confidente (o meglio un fotografo molto immobile) Colias sp. Maschio di Crocothemys eritraea Se lo sfondo è lontano e/o omogeneo, L'af aggancia bene, altrimenti con sfondi vicini e magari intricati, tende ad essere tratto in inganno e incomincia a fare avanti-indietro o aggancia lo sfondo. Ma questo è fenomeno direi comune in macrofotografia. Se dovessi fare un paragone con il 200 micro-nikkor AfD dal punto di vista ergonomico, direi che il Sigma è migliore per quanto riguarda l'uso a mano libera soprattutto in Af, per la stabilizzazione e l'autofocus più veloce, con il micro nikkor l'autofocus lento e rumoroso rendeva ...consigliabile la messa a fuoco manuale.Il fatto che il Sigma 180 sia usabile (con moderazione) a mano libera è un grosso vantaggio, perchè la possibilità di fare a meno del treppiedi da' grande libertà e velocità di movimento se si deve aggiustare l'inclinazione o modificare rapidamente l'inquadratura. Non ci sono problemi nell'uso su treppiede quando il soggetto lo consente. Mettere a fuoco un soggetto (statico) diventa più semplice ma l'operatività nel complesso rallenta. Argiope bruennichi, grazie alla maggiore focale, come in tutti i tele macro da 180-200mm è relativamente facile ottenere sfondi omogenei che facciano risaltare il soggetto anche in ambientazioni confuse come i cespugli dove l'Argiope tesse le sue tele. Mosca assassina (Fam. Asilidae) con preda. Cirsium sp. Questa coppia di Sympetrum continuava a cambiare posatoio, col cavalletto ho fatto una fatica tremenda. Controluce pieno sovraseposizione per compensare + 0.7fstop Aberrazione cromatica a diversi diaframmi, a f8 non c'è più. Il 180 da me provato alle brevissime distanze a tutta apertura mostrava, sulla D7100, un leggero backfocus, che ho corretto con la regolazione fine in-camera (-10) da f8 in poi il backfocus diventa irrilevante o scompare del tutto. Conclusione.Il Sigma 180mm f2.8 Macro è un'obiettivo utilizzabile nella fotografia generale, ed entusiasmante per l'uso in macro, penalizzato solo da un certo ingombro e peso, da un paraluce enorme (che se possibile è meglio evitare di montare quando si fa macrofotografia a soggetti mobili). Rispetto al suo predecessore, il Sigma 180mm f3.5 Macro EX ha un migliore contrasto, un af più veloce e naturalmente, la stabilizzazione (con i dovuti limiti). Rispetto al 200mm f4 AfD ED Micro-Nikkor, dal punto di vista della qualità di immagine è quasi pari, ha uno sfuocato migliore (col micro nikkor i punti fuori fuoco formano cerchi dai bordi "seghettati", mentre col 180 Sigma sono perfettamente circolari), un contrasto leggermente minore e colori più delicati. Dal punto di vista tecnico è superiore ad entrambi per l'af a ultrasuoni e la stabilizzazione.Si potrebbe dire che il Sigma 180mm f2.8 macro OS ha uno spettro d'azione più ampio che va oltre la macrofotografia, pur mantenedo prestazioni validissime anche in macro. Il 200 micro-nikkor AfD in confronto è molto meno versatile, ma più "portabile" e più "macro oriented", più adatto del 180 alla focheggiatura manuale su cavalletto e meno all'uso a mano libera in Af.Grande vantaggio è, oltre alla distanza di lavoro, la satbilizazione c'è la possibilità di montare un converter 1.4 che compensa la riduzione di focale effettiva. Quando ho provato questa combinazione sul Sigma 180 f 3.5 EX la perdita di qualità era insignificante. Unica controindicazione è la limitazione dell'af da infinito a 60-70cm, a distanze minori si deve focheggiare a mano.Il peso e l'ingombro possono costituire per alcuni (non per me) un deterrente e rendere i Sigma un po' più corti, soprattutto il Sigma 150 f2.8 OS, un accettabile compromesso fra portabilità e lunghezza focale.
  17. Molti tele-zoom medi si definiscono macro, ma in genere non superano il rapporto di riproduzione di 1:3-1:4. Ci sono stati in realtà almeno due zoom, i 70-300mm Sigma e Tamron, che arrivavano addirittura ad un RR di 1:2 che, anche se non è proprio macro, è un ottimo valore che permette discrete foto ravvicinate, ma sul lato della qualità di immagine mostrano qualche compromesso qualitativo, comprensibilissimo ed addirittura accettabile se si pensa che si tratta di zoom economici, questo valeva soprattutto se venivano usati su reflex digitali che non superavano i 12 megapixel, mentre con i sensori attuali i limiti sono diventati piuttosto evidenti . Nikon un po' di anni fa ebbe il coraggio di proporre un vero zoom macro di qualità elevata, tanto da fregiarlo della prestigiosa denominazione micro, il Nikon 70-180mm 4.5-5.6 Micro-nikkor Af D ED. Il Nikon 70-180mm f 4.5-5.6 micro-nikkor AfD ED. Da appassionato di Macro non potevo non desiderarlo e così, un po' di anni fa, vedendone uno usato-poco-usato che faceva bella mostra di sè nella vetrina di Matuella (negozio storico di Milano, ahimè scomparso da decenni), l'ho preso al volo. Lo rivendetti abbastanza in fretta, come spiegherò più avanti. Ne avevo pubblicato le impressioni d'uso su Nikonland.1 qui con foto d'archivio scattate con reflex da 6 megapixel. Non avrei quindi riproposto l'articolo, se il mio amico Gianni a fine Luglio 2017 non ne avesse acquistato uno usato in ottime condizioni, che gentilmente mi ha prestato per testarlo su reflex più attuali, quindi ecco le mie impressioni d'uso aggiornate a... l'altro ieri, ed una descrizione più dettagliata dell'obiettivo stesso. Dati Tecnici: Lenti/gruppi: 18 / 14 (1 elemento ED ) Distanza minima di messa a fuoco: 0.37 m Massimo rapporto di riproduzione: 1:1.33 Diaframmi: f/4.5-32 Diametro filtri: 62 mm Diaframma a 9 lamelle Paraluce HB-14 in dotazione Collare per treppiede presente ruotabile di 300° non asportabile. Dimension (DxL): 75 x 175 mm Peso: 990 g Costruzione ed ergonomia: Dal punto di vista costruttivo il 70 180 era (è fuori produzione) un gran bell'obiettivo, robusto, cadeva benissimo in mano; dotato di doppia ghiera per zoom e messa a fuoco manuale (quest'ultima agevolata dalla giusta resistenza della ghiera stessa), elegante finitura "crinkle" (raggrinzita) dei Nikon professionali. Dotato di collare (ruotabile ma non asportabile) per l'attacco al treppiede, accessorio indispensabile per fare macro, paraluce di serie.L'af era di vecchio tipo, con l'alberino che sfrutta il motore della fotocamera per cui lento e non compatibile con le reflex digitali entry level. Più che un difetto, è una conseguenza dell'età di progettazione . La commutazione Af/Mf avveniva tramite un anellino con pulsante di sblocco. In Af la ghiera di messa a fuoco era bloccata. Roby C in un commento al precedente articolo mi segnala la presenza di parti in plastica fragili, fra cui il blocco della messa a fuoco manuale , lo riporto per dovere di cronaca. La finestrella mostrava le distanze di messa a fuoco in metri e feet, e la distanza di lavoro (ossia la distanza tra il soggetto e la lente frontale), questo è curioso, perchè gli altri micro nikkor riportano invece i rapporti di riproduzione, come in tutti gli obiettivi macro. La freccia indica l'indicatore delle distanze di lavoro. Sopra l'anello in plastica di commutazione Af/Mf, molto simile a quello del 200mm micro nikkor F4 AfD ED L'estensione dell'elemento frontale quando si focheggia alla minima distanza è notevole. Il paraluce era a baionetta, innestato all'esterno del barilotto, questo aveva una stana conseguenza: siccome l'obiettivo non era IF, focheggiando alle brevi distanze la parte anteriore si allungava fino ad arrivare al limite del paraluce rendendolo praticamente inutile. C'era infatti chi avvitava un paraluce supplementare/alternativo alla filettatura porta filtri (da 62mm). Il rapporto di riproduzione arrivava ad 1:1.3 (0,75x), non era al pari dei micro nikkor Af fissi che arrivano a 1:1, ma ci si poteva accontentare. Nikon suggeriva di comprarsi una lente addizionale 6T per arrivare ad 1:1. Curiosamente, il 70-180 Micro manteneva più o meno la stessa apertura effettiva di diaframma passando dalle distanze normali a quelle ravvicinate, mentre di solito nei macro il diaframma alle minime distanze è un (bel) po' più chiuso dell'apertura nominale. Può sembrare un pregio, ma in realtà questo implica una vistosa riduzione della focale reale. Ed infatti alla minima distanza di messa a fuoco (37cm), zoomando a 180mm la focale effettiva era di appena 90mm. Questo ovviamente ha qualche conseguenza, una è che può diventare più difficile staccare il soggetto dallo sfondo, La variazione della focale effettiva è comparabile con quella del Sigma 150 f2.8 Macro, ma quest'ultimo non si "allunga" alle brevi distanze Anche la distanza di messa a fuoco rispetto al rapporto di riproduzione è simile a quella del Sigma 150, vale sempre quanto detto sopra sull'allungamento del barilotto. L'altra conseguenza è che date le dimensioni (e l'allungamento) del barilotto, la distanza di lavoro (distanza del soggetto dalla lente frontale dell'obiettivo) alla minima distanza di messa a fuoco era di appena 13cm, ossia minore di quella consentita da un 105mm Af Micro VR a 1:1 (16cm). Questo è un limite per un uso sul campo, specialmente se si vogliono riprendere insetti di piccole dimensioni. E' questo è il motivo principale per cui l'ho rivenduto, preferendogli focali fisse come il 200mm f4 micro AfD o il 180 f3.5 Sigma Apo Macro che garantivano uan distanza di lavoro notevolmente superiore (oltre ad un rapporto di riproduzione pari a 1:1). Non è impossibile fotografare soggetti vivi anche piccoli, con ottimi risultati. Ma ci vuole impegno.... (la cavalletta delal foto precedente è nell'ovale nero) Il fotografo naturalista romano Riccardo Polini suggerisce di usare la lente addizionale nikon 5T (1,5 diottrie) per ovviare a questo limite, con la lente si riesce infatti ad avere un po' più di distanza di lavoro a parità di ingrandimento oppure di ingrandire un po' di più, senza perdere in qualità. Questo può sembrare strano ma è dovuto al fatto che a parità di distanza dal soggetto,con la lente montata la ghiera di messa a fuoco è impostata su distanze maggiori, per cui la riduzione di focale è minore. Ad esempio se il soggetto è a 30cm, con la lente montata per averlo a fuoco si dovrà impostare la ghiera ad 3m (numero a caso) quindi la focale sarà quella effettiva a 3m e non quella a 30cm. Libellula fotografata con montata la lente 5T si ha più agio e la nitidezza rimane eccellente. Crop 100% Qualità di immagine, Molto buona, la parola alle fotografie: Conclusioni. Il 70-180 può essere usato per quel che è, un ottimo zoom tuttofare che permette di fare del paesaggio e subito dopo dell'eccellente fotografia ravvicinata, ma anche della (quasi) vera macro, con maggiore facilità a fiori e altri soggetti immobili e per tutto questo rappresenta una soluzione indovinatissima, per cui il mio giudizio sullo zoom è positivo.Con un po' di attenzione si possono fotografare anche gli insetti, come abbiamo visto, ma se si pensa di fare della macro più specialistica soprattutto a soggetti mobili e reattivi, allora può essere più indicato usare uno dei tele macro fissi da 105/180/200 mm secondo le preferenze. Pro: Ottima qualità di immagine. Costruzione solida (ma con dei punti deboli). Ghiera di messa a fuoco perfetta per l'uso in manuale. Grande versatilità. Contro: L'autofocus di vecchio tipo.Alla minima distanza di messa a fuoco l'estensione dell'elemento frontale annulla l'efficacia del paraluce. La corta distanza di lavoro lo rende meno adatto anche di un 105mm per fotografare sul campo insetti ed altri soggetti reattivi. Grazie a Gianni Ragno per il gentile prestito dell'obiettivo.
  18. Ho provato il nuovo Sigma 150mm f 2.8 Apo Macro OS, obiettivo dalla eccellente reputazione anche per ritratto, nell'ottica della macrofotografia, confrontandolo anche con il 105VR e il suo diretto rivale il mitico nikon 200mm f4 micro-nikkor AfD ED. (Riedizione articolo del 2012) Anni fa avevo usato per un breve periodo il Sigma 150mm Apo Macro prima versione, e l'avevo trovato di ottima qualità per la fotografia generale ma un po' "giallino" come colori ed anche un po' corto per i miei scopi, così l'ho sostituito con il Sigma 180mm f3.5 Apo macro Ex prima e successivamente con il Nikon 200mm f4 micro-nikkor AfD ED. Ora mi è stato gentilmente offerto in prova il nuovo Sigma 150mm Apo Macro OS per verificarne le prestazioni in macro. Da appassionato, ho accettato con entusiasmo, spinto anche dalla curiosità di vedere se da una parte le prestazioni sono all'altezza della fama che ha ottenuto e dall'altra se il mio atteggiamento verso la relativamente corta lunghezza focale è cambiato. Dati tecnici: Schema ottico: 19 elementi in 13 gruppi 3 elementi SLD Diaframma a 9 lamelle Minima distanza di messa a fuoco 38 cm (rapporto di riproduzione 1:1) Dimensioni 80x150mm peso 1150g diametro filtri 72mm Paraluce e collare ruotabile e staccabile forniti di serie. Limitatore di messa a fuoco e naturalmente stabilizzatore. Costruzione ed ergonomia. Direi che è come minimo entusiasmante. per la prima volta in un obiettivo Sigma riscontro contemporaneamente una sensazione di solidità e di piacevolezza al tatto (niente rivestimenti appiccicosi o screpolantisi!!), il 180 era solido, e il 50-500 aveva un buon rivestimento, ma qui siamo davvero al top per Sigma. Altro punto a favore, come per il suo predecessore, è la compattezza, perfettamente in sintonia con una reflex media. Cade in mano che è una meraviglia. Il 150 è poco più grande e pesante del 105VR come quest'ultimo si usa con piacere a mano libera, ma a differenza del 105 su cavalletto è molto più pratico grazie al collare ruotabile. Rispetto al 200 micro Afd è più compatto (anche se un po' più largo), ma per il resto, benché diversi, sono entrambi ottimi dal punto di vista ergonomico. I tre contendenti, con e senza il paraluce, la differenza di dimensioni fra il Sigma 150 e il 105VR nikon è davvero poca. Autofocus. Per essere un macro, è sorprendentemente veloce, direi un poco meglio del 105VR e anni luce avanti al 200 micro che ha ancora l'Af vecchio stile non AFS. Ottimo (per un macro). Messa a fuoco manuale. Ottima resistenza della ghiera, perfettamente usabile; unico neo, tipico di molti obiettivi macro Af "veloci", da 3m a infinito la ghiera ha una rotazione di pochi mm, per cui diventa difficile mettere a fuoco a mano con precisione al di fuori del campo macro. La possiblità di passare da Af a Mf senza trafficare con blocchi ed interruttori è comunque un vantaggio enorme sul 200 micro AfD. Stabilizzazione. Funziona. Bene. Appena avviato il sistema OS si avverte un "salto" dell'inquadratura nel mirino, dopodichè tutto è stabile. Man mano che si va verso RR elevati però l'utilità diminuisce. Direi che è una cosa normale. Qualità ottica. Nitidezza. L'ho provato su nikon D800 sia alla minima distanza (rapporto di riproduzione 1:1) che alla distanza corrispondente al RR di 1:2, più qualche scatto "libero" (purtroppo la stagione non è la migliore per la macro di campo). L'ho confrontato con il 200 micro-nikkor AfD e il 105 VR. Come nitidezza è a mio parere al pari se non meglio del 200 micro e questo dice tutto.E mi sembra meglio del 105VR (ma ho il sospetto che l'esemplare in mio possesso non sia uno dei meglio riusciti, bisognerebbe verificare con un altro). Le foto del test sono eseguite su cavalletto con cavo di scatto, alzo preventivo dello specchio e flash di schiarita. Non ho badato troppo all'esposizione, per cui ci sono leggere differenze di luminosità tra un'immagine e l'altra. Si tratta di crop al 100% senza alcuna postproduzione (tranne conversione jpg e ridimensionamento). A tutta apertura al centro fotogramma rapporto di riproduzione 1:1 crop 100%: N. B. Tutta apertura a queste distanze è simile per i 3 obiettivi: 5.6 per il 150, 5.3 pr il 105 e 6.3 per il 200. Tenete presente che il ridimensionamento uccide un po' di nitidezza, basta un colpettino leggero di sharpening e si fanno faville. A tutta apertura, lato estremo in basso a destra A f 11centro fotogramma crop 100% nessuna pp. Lato estremo del fotogramma stessi parametri: Insomma, in macro si possono ottenere risultati di altissimo livello. "io vivevo nel mare..." solamente appoggiato con flash a f8 no Vr leggerissimo sharpening per recuperare la compressione. e con leggero sharpening: Ma basta aridi test, mettiamo qualcosa di vivo! Crop 100% senza pp: con leggero sharpening: Eccellente. Comportamento con i moltiplicatori.Con il Sigma 2x EX DG l'autofocus si spegne automaticamente. Punto.Con il Sigma 1.4 EX DG l'autofocus funziona bene fino a 50cm, poi diventa erratico o si blocca (poca luce o elettronica anche qui?). Con il Kenko 1.4 Pro DGX in mio possesso ha un funzionamento irregolare a qualsiasi distanza.Con il Sigma 1.4x EX DG la qualità rimane molto buona, anzi ottima.Crop 100% del centro e lato del fotogramma a f8, RR intorno 1:1: Con moltiplicatore 1.4x Crop 100% nessuno sharpening. Qualità generale:Trovo che abbia colori, plasticità e quant'altro superiori al modello precedente e da obiettivo di gran classe. Focale effettiva. Come tutti gli obiettivi IF la focale effettiva è pari a quella nominale solo ad infinito, in campo macro la riduzione della focale è sempre consistente, il che porta a distanze di lavoro ridotte, un problema per chi fotografa soggetti mobili e reattivi. Ho confrontato la variazione di focale effettiva fra il 200 micro-nikor AfD e il 150 Sigma : Al RR di 1:5 il 200 micro ha una focale effettiva di 180mm, il 150 Sigma di 138mm. Al RR di 1:3 il 200 micro ha una focale effettiva di 169mm, il 150 Sigma di 113mm. Al RR di 1:2 il 200 micro ha una focale effettiva di 155mm, il 150 Sigma di 111mm. Al RR di 1:1 il 200 micro ha una focale effettiva di 125mm, il 150 Sigma di 93mm. Al RR di 1:5 il 200 micro mette a fuoco a 130cm, il 150 Sigma a 100cm. Al RR di 1:3 il 200 micro mette a fuoco a 90cm, il 150 Sigma a 60cm. Al RR di 1:2 il 200 micro mette a fuoco a 70cm, il 150 Sigma a 50cm. Al RR di 1:1 il 200 micro mette a fuoco a 50cm, il 150 Sigma a 38cm. Sintetizzando in un paio di grafici: Ha importanza? Sì, in macro sì.Ecco cosa succede fotografando un soggetto a 80cm di distanza con il Sigma 150, il 200 micro e il 105VR. Anche mettendo il moltiplicatore 1.4x sul 150 e sul 105VR il 200 la spunta sempre (nonostante che 150x1.4 "dovrebbe" fare 210). Questo perchè il 150 cala bruscamente proprio in corrispondenza del RR di 1:3-1:4, prima e dopo si comporta un po' meglio come mostrano i grafici: Un esempio del significato pratico della cosa: come cambiano le distanze per fotografare un (s)oggetto al RR di 1:3 con il 200 micro AfD e con il Sigma 150 OS. Se anziché di pietra il serpentino fosse vero, avrei un problema di distanza di sicurezza (sua o mia, dipende). Conclusione. Il 150 Sigma OS a mio parere è un obiettivo eccellente sotto tutti i punti di vista,operativamente superiore al 200micro AfD e, senza sottilizzare troppo, qualitativamente pari. Rimane il problema della riduzione spinta della focale che, anche al RR di 1:2 è piuttosto scarsa per un 150mm. Ciò non toglie che moltissimi macrofotografi ottengano foto spettacolari con questo obiettivo (ma anche con i 100-105 macro se è per questo), è in parte almeno questione di abitudine e di comodità d'uso. Tutto sta a valutare se sia più vantaggiosa la praticità d'uso o la distanza di lavoro. Però... se il nuovo 180 macro f2.8 OS si comportasse come il fratellino minore, il problema sarebbe risolto (a parte il prezzo..). Grazie di cuore a Mauro Maratta per avermi dato la possibilità di provare quest'obiettivo, ed all' amico Gianni per il prestito dei duplicatori Sigma. Silvio Renesto
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