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Blog Entries pubblicato da M&M

  1. M&M
    Fauré : la musica per violoncello e pianoforte - Phillips/Tiberghien
    Sonate 1 e 2 per violoncello e pianoforte, brani sciolti
    La Dolce Volta, 20 ottobre 2023, 192/24
    ***
    Il bello é che non solo si trovano nuove interpretazioni di musica conosciuta ma capita comunque piuttosto spesso di incontrare musica per la prima volta.
    E' il caso di questo Fauré per violoncello e pianoforte, prima ascoltato solo in qualcuno dei brani di contorno ma mai nelle due sonate.
    E devo ammettere che con la prima sonata (Op. 109, 1917) è stato amore a prima vista.
    Fauré è un compositore che sa essere enigmatico. Pensando che nel 1917 in Europa c'era la più devastante guerra mai conosciuta fino ad allora e alle altre composizione coeve dei cugini d'oltre Manica, questa sonata mi ha preso immediatamente.
    Il tema principale del primo movimento (Allegro) pare che sia un'idea poi scartata per la sua Sinfonia in re minore. Qui é contraddistinto da una scrittura a zig-zag, con sincopi ma soprattutto accenti decisi che producono un effetto drammatico.
    Questo tema, portato con grande lirica dal violoncello dona una sua grande veemenza molto passionale. Il secondo tema, io non riesco ad identificarlo bene - siamo ancora nella forma sonata classica - perché è avvolto nella forza frenetica che caratterizza tutto il primo movimento
    Sinceramente io non conoscevo questa forza nella produzione di Fauré.
    Più intimistico ma comunque lirico il secondo movimento . Il tema principale è molto cantabile e si intreccia con il secondo, più portato dal pianoforte.
    L'Allegro comodo prende le mosse da una melodia dolcissima ma Fauré si serve di un contrappunto molto complesso per farlo fluire in modo molto fluido.
    Il violoncello ha decisamente il sopravvento, ma perché lamentarsi ?
    Non è altrettanto coinvolgente la seconda sonata, solo di poco successiva (1921) ma che comunque mantiene lo stesso carattere e la stessa impronta. Fauré scrive di aver preso per spunto la prima sonata di Saint-Sans.
    Ma anche se non è - secondo me - un capolavoro come la precedente, è comunque un importante aggiunta alla letteratura per questi due strumenti che vanta grandi esempi anche nel '900.
    Nel mezzo svariati brani sciolti, interessanti o meno, più in tono fin de siecle. Alcuni famosi, trascritti.
    In quanto ai due, non conoscevo Phillips che è stato a lungo allievo prediletto di Rostropovich quando insegnava a Parigi. Ha un suono molto lirico e caldo, perfettamente intonato a questa musica.
    Mentre Tiberghien lo conosciamo benissimo per le sue numerose partnership con alina Ibragimova.
    E devo ammettere che qui prende molto dal calore di Phillips.
    Per conoscerlo meglio segnalo questo altro disco, del 2009, non allo stesso livello per qualità sonora ma estremamente intenso :

    Il suono come ho accennato è spettacolare.
    Merita certamente attenzione.
  2. M&M
    Fanny Cäcilie Mendelssohn
    ***
    Nel mese di maggio del 1847, venti anni dopo la morte di Beethoven, muore di infarto a seguito di un ictus, Fanny.
    Il fratello Felix cui lei ha dato lezioni di pianoforte e che per tutta la vita ha sostenuto e incoraggiato, cade nella più profonda depressione.
    Brucia in pochi mesi tutta la sua aurea felice che faceva eco al suo nome Felix.
    Si riprende solo in settembre quando riesce a dedicarsi ad una composizione in memoria dell'amata sorella.
    Ma anche lui cade vittima di un infarto cui ne seguono altri fino all'ictus finale.
    Il suo ultimo lavoro, il quartetto in Fa minore verrà eseguito postumo, nel primo anniversario della sua morte da una compagine guidata dall'omnipresente Joseph Joachim e pubblicato solo nel 1850 come opera 80.
    L'intera famiglia era affetta da una sindrome che ha portato alla stessa morte anche il nonno, il padre, la madre e i due fratelli, a poca distanza l'uno dall'altro.

    i due fratelli, da ragazzi, al pianoforte 
    Questo quartetto non ha nulla a che fare con i precedenti se non nell'architettura formale e si distacca totalmente dalle altre composizioni del Felix precedente.
    Non che fossero mancati momenti intensi e seriosi nella sua carriera di compositore - bastano i due intensi oratori, oltre alle variazioni per pianoforte - ma qui potremmo dire che Mendelssohn era cambiato.
    Oppure no, probabilmente la disperazione e l'incapacità di continuare non lo avrebbe comunque condotto oltre se non fosse intervenuta la sorte.
    Non possiamo dirlo.
    Quello che ci resta è il quartetto, una sorta di testamento all'amore dei due fratelli per le ultime composizioni cameristiche di Beethoven, sublimato da Schubert, di cui in più momenti riecheggiano i toni già intesi ne "La morte e la fanciulla".
     
    ***
    Allegro vivace assai (fa minore) Allegro assai (fa minore) Adagio (fa minore) Finale. Allegro molto (fa minore) Dei quattro movimenti che lo compongono - in tutto sono circa 26 minuti, il solo adagio sembra dare un pò di tregua e riposo allo spossato compositore - e all'ascoltatore. Sebbene i tratti marcati di tutti gli archi per buona parte mantengano comunque alta la tensione.
    C'è però quel lirismo e quella nota sentimentale che richiamano di lontano il precedente Felix, come ricordare i momenti con l'amata sorella.
    Qualcuno ci sente l'eco del motto "Is est wahr?” del primo Mendelssohn che richiama il “Muß es sein?” beethoveniano, io non arrivo a tanto ma che importa ?
    Gli altri sono tre "allegri", almeno formalmente, costruiti con un incessante e straziante lamento - romantico, ovviamente, é Mendelssohn, non è Bartòk - su una sorta di marcia funebre mai pienamente declinata.
    Il tremolo, le sincopi e i continui cambi di dinamica, di accento e di intensità - in stile schubertiano - caratterizzano i tre movimenti esterni e danno il continuo senso del dolore, dell'irrequietezza, della fredda disperazione su un domani di cui non si vede e non si vedrà la luce.
    Il primo allegro è rutilante, intenso, incessante.
    Il secondo è quasi uno scherzo con frammenti beethoveniani che danzano nell'aria, accennando figure demoniache o comunque a tratti macabre.
    Il finale riprende il materiale tematico dei precedenti movimenti e li porta verso una fuga contrappuntistica che conduce poi ad un finale quasi delirante.
    L'ultima composizione di Mendelssohn è un capolavoro intenso che non rinnega nulla della sua musica precedente ma che la sublima verso l'eternità.
    Io mi tolgo il cappello pensando a quante volte ho paragonato tutta la sua opera "all'acqua minerale" se messa vicino a Beethoven, Schumann o Brahms.
    ***
    Ci sono molte edizioni integrali e non dei quartetti di Mendelssohn spesso unite all'unico quartetto di Fanny.
    Io tendo a prediligere quelle più intense e fredde, in stile Quartetto Italiano, generalmente quelle più recenti.
    Ne elenco alcune.

    Artemis Quartet
    Erato, 2014

    Quatour Ebene
    Erato, 2013

    Escher String Quartet
    BIS, 2016
    cui aggiungerei - ma non ho ascoltato - l'ultima, più recente

    Takacs Quartet
    Hyperion, 2021
    che è stata ben recensita sia da Gramophone Presto Classical (ma che a me non hanno convinto fino in fondo nell'ultimo disco dedicato ad Amy Beach ed Elgar)
    Per una visione più moderata, forse si potrebbe anche inserire nella lista quella dell'Emerson Quartet per DG.
    Ma ognuna ha il suo perchè e qualcuna mi porta realmente a lacrimare nel finale.
    Ad ogni modo, se non conoscete questo quartetto, spero di avervi incuriositi, più con la mia prosa che con gli aneddoti storici
    ***
    Scritto ad un anno dalla morte del mio amato Blackey che ogni giorno mi manca più del precedente.
  3. M&M
    Durante queste feste 2018 ho la casa piena di apparecchiature nuove.
    Materiale audio - di cui parlo su un altro sito  - e fotografico.
    Le due Nikon Z con i loro tre nuovi obiettivi Nikkor Z

    i Sigma Art 40/1.4 e 14-24/2.8 che uso su Nikon D850

    e il Sigma C 56/1.4 per Sony APS-C.
    Sistemi diversi con potenzialità diverse che mi stanno facendo riflettere sulle mie scelte presenti e future.
    Alcune in effetti già fatte, con decisioni ben maturate e consolidate.
    Non si tratta di semplice voglia di possesso - in fotografia conservo con me solo quello che utilizzo, ho veramente pochi vecchi cimeli in casa, tutti i valore veniale minimo - ma di considerazioni sul futuro.
    "Sebbene Nikon presenterà nuove e più perfezionate reflex digitali, per me le attuali rappresentano il massimo dello sviluppo pratico.
    Non acquisterò le prossime reflex Nikon, facilmente ricomprerò la D500 perchè mi serve. Ma nessuna nuova reflex, mai più."
    Ho anche definito quello che sarà il corredo di ottiche da reflex che resterà con me.
    Recentemente ho venduto - un pò a malincuore - tre Sigma Art, il 35, il 50 e il 24-105/4. Ho anche ceduto per fine carriera il Nikon 60/2.8G.
    Tutti sostituiti da obiettivi Nikon Z per mirrorless.
    Penso che le ottiche da reflex - come le reflex stesse - abbiano raggiunto con le ultime proposte i limiti estremi dello sviluppo. Sviluppo che si è dovuto confrontare per decenni con il tiraggio lungo e il bocchettone stretto (parlo di Nikon, ovviamente), facendo crescere le dimensioni degli obiettivi oltre il normale, per permettere prestazioni di valore.
    Gli Zeiss Otus hanno aperto la strada al gigantismo seguito da Sigma nella sua serie d'eccellenza.
    Gli ultimi Sigma 105/1.4 E 40/1.4 rappresentano l'estremo ultimo in questo senso.
    Entrambi hanno prestazioni fantastiche, anche nei confronti dei primi Sigma Art (il 40/1.4 si beve l'ovetto a colazione, sulla lente anteriore dei 35 e 50 Art; il 105 se ne infischia di tutti quanti).
    Ma hanno anche proporzioni che li tolgono dal senso comune della pratica fotografica di tutti i giorni.
    Fantastici ma scomodi come una Bentley a passo lungo ... se usata nei giorni feriali !
    Una tendenza seguita più o meno da tutti, Nikon compresa. Ma comunque insufficiente a coprire il gap con quanto possibile su una differente categoria di macchine, con tiraggio corto e cortissimo, e bocchettone più largo
    (le mirrorless, Nikon Z per intenderci).
    In sola controtendenza i Nikon Phase Fresnel, che con pochi compromessi, consentono pesi ed ingombri compatibili con borne normali (paradossalmente è più facile pensare al 500/5.6 PF che al Sigma 105/1.4 Art ...).
    Ma comunque anche loro vincolati dai limiti di autofocus delle reflex.
    I teleobiettivi Nikon PF consentono buone prestazioni in pesi ed ingombri contenuti. Ma risentono comunque dei limiti di autofocus (tarature, concentrazione dei punti AF in centro) delle reflex.
    Tanto che, potenzialmente almeno per il momento - sembrano più pensati per le mirrorless !
    La prova dei primi tre obiettivi Nikon Z mi ha convinto definitivamente (ma già io avevo l'esperienza dei sistemi Fujifilm e Sony, lato ottiche) che il nuovo attacco, solo il nuovo attacco, permetterà incrementi di prestazioni evidenti.
    Ecco che le mie scelte sono orientate oramai in questa direzione.
    Ho dismesso praticamente tutti gli obiettivi sotto alla focale 85mm per reflex, per sostituirli con quelli da mirrorless.
    Sigma 35, 50 e 24-105/4 per Nikon Z equivalenti. Persino il 24-70/4 che all'inizio trascuravo - ma è un sentiment comune per me verso TUTTI i 24-70 di tutti i marchi e tipi - è risultato vincente.
    E con quello sostituisco anche il vecchio Micro-Nikkor 60/2.8G, mai aggiornato né da Nikon né da altri (Sigma ne ha fatto uno nuovo ma ... sostanzialmente da mirrorless).
    Ed ho tenuto solo i teleobiettivi.
    Nel prossimo futuro ?
    Ecco, andiamo al punto.
    Reflex : Nikon D5, Nikon D850, Nikon D500. Perfetto mix per struttura, costruzione, durata, autonomia, robustezza, capacità dell'autofocus.
    La D850 non all'altezza delle altre due per autofocus dinamico ma superiore ad entrambe le altre per gamma dinamica e risoluzione a bassi iso.
    Obiettivi : Sigma 135/1.8, Sigma 500/4, Nikon 300/4PF, Nikon 500/5.6PF, Nikon 70-200/2.8E FL
    niente altro (con l'85/1.4 Art trattenuto in attesa del Nikon 85/1.8 pe Nikon Z). Unica porta aperta ad un - peraltro mai ventilato ma possibile - Nikon 400/4 PF compatto ma più prestazionale degli altri due già in mio possesso.
    Per il resto mirrorless. In primis gli obiettivi, a tendere sempre più FTZ-FREE
    ai 24-70/4S e 50/1.8S già nella mia borsa, aggiungerò in futuro facilmente gli altri f/1.8, principalmente 85 ma magari anche 35 e 20. Difficilmente altri zoom, salvo che ... con il Nikon Z 70-200/2.8 S Nikon non presenti anche un corpo nuovo, di fascia professionale, idealmente una D5/D500 mirrorless.
    Al di là delle potenzialità di mirino elettronico e autofocus a tutto frame già presenti nelle Nikon Z6 e Nikon Z7, è di tutta evidenza che tutto lo sforzo di Nikon in termini progettuali nelle mirrorless è tutto da venire
    sinceramente la Z7 resterà la mia "mirrorless" da borsetta, ideale compagna della D850 di cui compendia ed estende le prestazioni.
    Ma è con una nuova generazione di mirrorless potenti, robuste, ragionevolmente dimensionate e con prestazioni a tutto tondo superiori a quelle delle reflex che vedremo completarsi lo sviluppo dei sistemi mirrorless di Nikon.
    Idealmente io attendo una evoluzione in fascia professionale della Nikon Z6 come mia prossima macchina principale, capace di mettere a riposo l'inossidabile Nikon D5
    Per quella farò uno sforzo adeguato. Anche in termini di ottiche.
    Immagino una nuova generazione di obiettivi superluminosi f/1.2 o anche oltre, capaci di prestazioni al di sopra di ogni aspettativa.
    Con un corpo professionale, con 15-20 scatti al secondo in totale silenzio e - requisito di base - con un autofocus in condizioni dinamiche allo stato dell'arte, superiore anche a quello della Nikon D5, probabilmente mi scrollerò definitivamente di dosso il retaggio reflex dello scorso secolo.
    Le mie scelte sono già orientate. Zero investimenti per reflex, tutto rivolto al mirrorless ma solo a condizione che Nikon si lasci alle spalle il "piccolo è bello" e diventi anche in campo mirrorless il riferimento di mercato.
  4. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Bach Nostalghia
    Francesco Piemontesi, pianoforte
    Pentatone 19 marzo 2021, formato 96/24

    ***
    Quando ho ascoltato questo disco in marzo l'ho trovato sensazionale ma, non avendo letto il libretto, non riuscivo a capire il titolo.
    Mi è chiaro adesso.
    Non si tratta di un'operazione nostalgica nei confronti di Bach, ovviamente, ma dell'interpretazione della musica di Bach appropriandosene con le trascrizioni al pianoforte da parte di musicisti più vicini a noi come Busoni o Kempff.
    Si tratta di una tradizione tardo-ottocentesca che è rimasta viva fino ai nostri giorni.
    Se pensiamo a Busoni (classe 1866) e a Kempff (classe 1895) e poi saltiamo a Maximilian Schnaus (classe 1986, organista a Berlino) che qui firma una graziosissima trascrizione del corale BWV 650 "Kommst du nun, Jesu, vom Himmel herunter" in cui sono simulate le singole voce al pianoforte, allora diventa chiaro.
    Quindi nostalgia di un'era, seppure viva ancora oggi, di una tradizione interpretativa ad uno strumento che all'epoca di Bach era ancora molto lontano (il pianoforte moderno è solo un lontano discendente di quello che il Re di Prussia fece provare al vecchio Bach in visita al giovane Bach di Berlino) e che ha possibilità espressive ben diverse sia dal clavicembalo che dall'organo.
    Interpretazione e riappropriazione per trascrizione ma con rispetto, deferenza e grande sensibilità che però oggi sembra del tutto datata vista la consueta prassi filologica sempre più spesso con strumenti originali, cui ci siamo abituati.
    La stessa che Francesco Piemontesi, erudito ancora prima che pianista, dimostra in ogni frase di questo disco, sin dal preludio iniziale e già fino alla Toccata di Busoni che precede "idealmente" la trascrizione dello stesso Busoni della fuga in mib+ BWV 552 (il preludio nella realtà apre il disco e fa da aperitivo, entrambe le composizioni, originalmente per organo, sono trascritte al pianoforte da Busoni).
    In mezzo, oltre al "siciliano" BWV 1031 attribuito a Bach, trascritto da Kempff, un bel Concerto Italiano - questo originale, non trascritto, sebbene letto al pianoforte - per un programma che fila via anche troppo rapido nei suoi 52 minuti, molto sotto la media della produzione discografica attuale. Ma che forse anche in questo si vuole rifare ai modelli discografici su cui abbiamo conosciuto da giovani Busoni e Kempff.


    Piemontesi non si atteggia, si avvicina con la stessa sensibilità degli autori che hanno portato Bach al pianoforte, anzi, egli stesso come interprete, li affianca nell'opera deferente di mantenere il segno originale il più puro possibile.
    Quella voce dell'uomo che si eleva fin al più alto dei cieli alla ricerca, umile preghiera, del Creatore.
    Che è il solo modo in cui Bach deve essere proposto, a se stessi innanzitutto, poi agli ascoltatori.
    Anche quando indulge nel fortissimo stretto della coda della grande fuga finale, dopo il distillato dell'arte cerebrale di Busoni che ci prepara al finale del disco, Piemontesi è delicato, umile, eppure produce un suono possente.
    Perfettamente riprodotto dalla registrazione dei tecnici di Pentatone, ripresa a Berlino nel 2019.
    Se posso, a mio gusto il punto più ispirato del disco è il finale, in cui forse l'interprete si rivolge anche a Brendel, oltre che a noi.
    Chiudo riportando le note a firma dello stesso Piemontesi, sperando possano incuriosirvi verso questo bellissimo disco, una delle mie prime scelte delle novità del 2021 :
    Sullo sfondo di un riconoscimento sempre più ampio di una prassi esecutiva "storicamente informata", nonché una svolta verso un suono autentico ideale anche di orchestre di grandi dimensioni con tradizioni sinfoniche pluriennali, gli arrangiamenti di Bach dei grandi i pianisti del XIX e XX secolo mi riempiono di nostalgia. La loro visione del passato è trasfigurata e colmo di malinconia. Le trascrizioni dell'organo di Wilhelm Kempff dei corali furono pubblicati per la prima volta nel 1931, in un momento in cui l'ordine mondiale era sempre più diffusamente allo sbando, non solo musicalmente. Questo diventa ancora più tangibile in quella Toccata di Ferruccio Busoni, che utilizza forme barocche.
    Con le sue trascrizioni per pianoforte, Busoni mirava a rendere accessibili le opere di Bach al mondo musicale moderno. Oggi la situazione si è ribaltata : probabilmente Bach suona molto più antiquato e malinconico alle nostre orecchie su un pianoforte a coda moderno che su un clavicembalo storico. Tuttavia, abbiamo conosciuto questo modo di interpretare Bach fin dalla nostra infanzia, una tradizione che in alcuni è già percepita come un anacronismo, e che le generazioni future potrebbero trovare completamente incomprensibile.
    Ma la versatilità del pianoforte non va sottovalutata. Può suonare come un organo o come un'orchestra completa, ma anche trasparente come un clavicembalo. Tra i corali romanticamente filtrati e l'impeto monumentale del preludio in mi bemolle maggiore, il Concerto italiano è al centro dell'album, mettendo il momento della nostalgia in prospettiva. "Sono capace di sentirmi un infinità di cose contemporaneamente", esclama loro Domenico, il tragico protagonista del film Nostalghia di Andrei Tarkowski che sono entrati : posso sentire un numero infinito di cose contemporaneamente.
    Francesco Piemontesi
  5. M&M
    Il '900 é stato un tripudio per gli amanti del duo violoncello + pianoforte. Da Debussy a Britten, passando per Prokofiev e Shostakovich (senza dimenticare i tanti altri contibuti di compositori meno celebrati) ci sono sublimi gemme di musica di questi due strumenti insieme, molti più di quanto tutto il secolo passato, ben più prolifico su altri strumenti.
    Ma se abbiamo in repertorio - e anche abbastanza spesso - quelle sonate, ce ne sono alcune che invece trovano spazio solo in antologie discografiche per il solo tempo della registrazione, da parte anche di strumentisti validi ma che per forza di cose non ne hanno una frequentazione continua da conoscerle approfonditamente.
    Se poi gli esempi su disco non sono molto copiosi, mancano pure esempi cui riferirsi. Il solito circolo vizioso.
    Tra le mancanze del repertorio c'è, secondo me molto colpevolelmente, la notevolissima sonta per violoncello e pianoforte in re minore H- 125 di Frank Bridge, oggetto di questa guida all'ascolto, la prima di questo sito.
    Perchè ? Probabilmente perchè è del tutto trascurato il suo autore, nato nel 1879, morto nel 1941 e ricordato solo per un paio di aneddoti.
    Essere stato il mentore e l'insegnante privato di composizione di Benjamin Britten fin dalla sua tenera età (lo portava anche ai concerti e discuteva poi con lui le interpretazioni in dettaglio), cui donò alla partenza di questi per gli Stati Uniti, la sua personale viola, morendo prima del ritorno in patria del suo protegé.
    Mentre si tratta certamente di un compositore interessante, tra i più dotati sul piano tematico, un tardo romantico all'inglese, di quella fortunata e sfortunata generazione vissuta a cavallo tra la fine dell'era vittoriana e quella tragica Grande Guerra che lavò via nel sangue buona parte della innocenza europea e si portò via molte delle eredità a lungo custodite, insieme a tutto il resto.
    Frank Bridge era un convinto pacifista e rimase colpito come altri (Elgar, per esempio) dalla tragedia della guerra. Tanto che il suo modo di comporre dopo una pausa durata anni al ritorno della pace, perde buona parte della sua primitiva melodiosa musicalità per assumere toni più aspri e grevi, senza arrivare a prendere i temi della musica mitteleuropea ma tale da essere immediatamente distinguibile dalla precedente produzione.
    Lo stesso autore che ne era conscio, si crucciava perchè il pubblico e la critica tendeva a preferire il prima al dopo. Ma così era ...
    Questa composizione, in particolare, porta in un certo modo la frattura in se.
    Incominciata nel 1913, tenuta in sospeso per completare il quartetto con pianoforte coevo, finito nel 1915. Viene finita solo nel 1917 quando la frattura era in corso. C'era stata la sciagura del Lusitania, silurato in Mediterraneo da un U-boote, cui Bridge dedicò una composizione "Lament" per orchestra d'archi, H 117, dedicata a Catherine di anni 9, perita nel naufragio, e i carnai del fronte belga da cui i giovani inglesi non tornavano o tornavano irreparabilmente menomati.
    Si nota nella struttura, dopo un primo movimento tipicamente "brahmsiano" e melodico, c'è un lamentoso ma tenero secondo movimento adagio cui è attaccato un terzo e conclusivo movimento che attacca in modo precipitoso e veemente per poi proseguire con toni alternativamente gravi e veementi.
    Il violoncello la fa generalmente da padrone, con il pianoforte che all'inizio è quasi in sordina, poi asseconda lo strumento principale nel creare pathos e per dare forza ai passaggi più intensi ma senza acquistare quasi mai un pò di indipendenza.
    Il materiale melodico iniziale è molto coinvolgente e viene svolto per tutto il primo movimento.
    Poi ripreso nell'ultimo, verso il finale, con maggiore forza.
    Il secondo movimento inizia con la parvenza di una ninnananna, qui il pianoforte culla il violoncello che risponde tenendo le note.
    La ninnananna lentamente assume toni più tristi, quasi da veglia. Ma il tono è nel complesso vagamente impressionistico con la linea complessiva che ondeggia e si avvolge su se stessa.
    Il risveglio è brusco con il piano che martella aggressivo e il violoncello che gli risponde a tono. E' la coda finale, in alcuni casi considerato un vero e proprio terzo movimento.
    L'asprezza è solamente tonale, intendiamoci, non è che Bridge sia diventato improvvisamente Bartòk o Hindemith.
    Perchè giusto il tempo di riprendere fiato sulle note del violoncello solo che si ritorno in un mondo onirico, riprendendo i toni del primo movimento.
    Ritorna anche piano piano il tema iniziale, ripreso con ancora più forza nel finale che porta ad un parossismo conclusivo, degno di una composizione che conduce l'ascoltatore tra continui mutamenti di stato d'animo.
    Il violoncello resta padrone assoluto, con il pianoforte che arpeggia, sottolinea, interviene quando serve riempire l'aria di suono.
    E' un canto lamentoso ma non disperato, semplicemente consapevole.
    Si è scritto che alla prima americana del 1923, il pubblico, tra cui Artur Rubinstein, restò catturato dalla bellezza lirica di questo lavoro, che non manca mai in nessun istante di tutto il lavoro. Immagino che sia successo lo stesso alla prima londinese  eseguita da Felix Salmond e William Murdoch a Wigmore Hall.
    Non ne ho dubbi, realmente, e resta per me un mistero perchè non sia costantemente in repertorio una composizione così straordinaria che ho scoperto per un caso nel 2014.
    Semplicemente perchè qui intervengono le scelte discografiche.
    Ho sempre pensato che il mito disco con l'Arpeggione di Schubert, interpretato da Britten e Rostropovich, contenesse sul lato B Schumann e Debussy.

    mi sono sbagliato perchè l'edizione originale del disco Decca, conteneva proprio la sonata di Britten

    la copertina originale DECCA

    con le note di copertina
    evidentemente la casa discografica deve aver pensato di cambiare il programma nei successivi riversamenti per raggiungere un pubblico più vasto.
    Come sia non si può prescindere da questa edizione, come riferimento, semplicemente per la presenza di questo affiatatissimo e eccezionale duo di performer in grado di rendere al meglio ogni composizione ma soprattutto per la presenza di quel Britten che tanto bene conosceva l'antico maestro Bridge.
    I due dialogano da par loro. Protagonista dell'intera esecuzione è la sensibilità e il gusto, cosa normale quando si parla di Britten.
    Rostropovich non indugia mai e nel complesso possiamo dire che l'intera sonata venga resa come ce la potremmo aspettare, ovvero realmente british.
    Il gentiluomo inglese non deve mai mostrare che soffre e in taluni, eccezionali casi, se è opportuno, ciò deve avvenire con contegno inappuntabile.
    E poi fine delle parate ... (per citare un celebre romanzo ambientato nella stessa epoca a cavallo della Grande Guerra).
    E' una registrazione in studio, molto ben incisa e priva di rumore nell'ultimo riversamento (io ho quella del cofanetto dedicato al Britten Performer che ritengo imperdibile per chiunque).
    Di altro tenore è invece la rappresentazione dal vivo, a Lugano, nell'occasione dell'appuntamento annuale del 2014 di Martha Argerich & Friends.
    I due performer qui sono due giovani amici che si esibiscono spesso insieme, Gautier Capucon - violoncello - e di Gabriela Montero - pianoforte - qui registrati dal vivo.
    Ardore giovanile, impudenza, sangue latino, performance dal vivo con il pubblico (che applaude convinto al finale), ma lasciatemi dire che ... non è il riferimento britannico che li guida ma la personale visione di una composizione che può essere eseguita in chiave più passionale e meno compassata di quanto non facciano Britten e Rostropovich.
    Per carità, non voglio essere blasfemo, qui non si tratta di maestri e di allievi, e certamente Britten conosceva meglio di tutti noi il senso che Bridge gli aveva potuto trasmettere della sua sonata. Ma il gusto è il gusto e gli anni passano, per fortuna, qualche volta per il meglio.
    Purtroppo questa registrazione, pur dal suono pieno e potente, è viziata da qualche rumore di compressione e decompressione, avvertibile ma non fastidiosissimo. Mi correva l'obbligo di segnalarlo per completezza di informazione.
    E naturalmente non è disponibile singolarmente (ma l'ascoltatore troverà altre interessanti proposte in questo conanetto).

    la copertina dell'edizione 2014 del Martha Argerich & Friends in cui è possibile trovare la sonata di Frank Brigde.

    Gabriela Montero e Gautier Capucon ripresi qui in un concerto a New York
     
    Questa sonata è anche inclusa in molte antologie di dischi dedicati al violoncello del XX secolo che non ho avuto modo di ascoltare.
    Ne segnalo uno, che possiedo ed apprezzo, dell'etichetta SOMM.

    anche perchè contiene autentiche rarità.
    Il violoncellista Alexander Baillie è molto ben quotato, e a ragione.
    Viene qui accompagnato dal pianista John Thwaites che invece non conosco.
    La loro interpretazione è di ottimo livello.
    Il peso sonoro dei due strumenti é più equilibrati che nelle due versioni già prese in esame.
    Nel complesso ne viene fuori un'atmosfera più pacata, morbida, scevra di tensioni.
    Il risultato è che c'è meno contrasto tra i temi e tra i tre movimenti.
    Non so ma mi appassiona meno.
    Concludendo questo approfondimento, la sonata per violoncello e pianoforte di Frank Bridge è ingiustamente uscita dal repertorio ma dovrebbe invece essere conosciuta ed apprezzata da chi ama e apprezza il violoncello.
    Segna un epoca e probabilmente apre alla storia del genere sonata per questi due strumenti per il XX secolo.
    E' una composizione di grande eleganza e perfetto gusto british ma pervasa di passione tardo-romantica con il colore tipico dell'ultimo Brahms unito alle tensioni tipiche del secolo breve che si manifestano in contrasti che non sono quelli di Britten e nemmeno quelli di Prokofiev o di Bartòk, restano compostamente britannici ma forti e appassionati.
    Delle tre edizioni esaminate, quella che mi coinvolge di più emotivamente è quella dal vivo di Lugano. Ma il disco di Rostropovich e di Britten non dovrebbe mancare in nessuna discoteca che si rispetti ...
  6. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Prokofiev : concerti per violino e orchestra
    Franziska Pietsch, violino ( Carlo Antonio Testore 1751)
    Deutsche Symphonie-Orchester Berlin diretta da Cristian Macelaru
    Audite 2017, disponibile in formato 96/24
    ***
     

    Sergei Prokofiev al tempo dell'esilio in Francia
    I due - bellissimi - concerti per violino e orchestra di Prokofiev circoscrivono idealmente il periodo di inizio e di fine esilio dalla Santa Madre Russia.
    Spigliati, vivaci, con il violino solista che ha una parte da funambolo sull'orchestra. Tanto che per un certo periodo Prokofiev pensò di chiamare almeno il secondo sonata per violino e orchestra.
    La parte solistica è realmente molto impegnativa. Il violino raramente sta fermo ed è un continuo sali e scendi.
    Tempi estremi molto vivaci, vivacissimo quello centrale del primo concerto. Adagio, sebbene indicato come allegretto, quello del secondo.
    Hanno richiami delle atmosfere dei balletti del periodo e in particolare di quello che sarà il Romeo e Giulietta, unica composizione "libera" dopo il rientro in patria.
    Le note di copertina di questo disco legano la biografia di Prokofiev con quella, più a lieto fine (Prokofiev avrà la sventura di morire esattamente lo stesso giorno del suo oppressore Stalin) della solista. Cresciuta a Berlino Est dove incominciò gli studi di violino, ostracizzata dal regime (che le vietà di suonare) dopo la fuga all'Ovest del padre, per fortuna non troppo prima della caduta del muro.
    Di qui l'affrancamente in occidente, gli studi, la carriera solistica e cameristica (con il Trio Testore e poi negli ultimi anni con il Trio Lirico, sempre con repertorio impegnativo).
    Violinista solida, dal suono deciso, sinceramente non ha bisogno che si prema sul pedale autobiografico una volta che la si è ascoltata.


    Franziska PIetsch con Deutsche Symphonie-Orchester Berlin diretta da Cristian Macelaru durante le registrazioni di questo disco
    Mostra di possedere le caratteristiche di ... carattere per padroneggiare queste partiture impegnative.
    Senza mai indulgere in eccessi ma sempre con grande piglio virtuosistico, secondo me centra perfettamente il programma dei due concerti insieme, in particolare nel primo ma il secondo non si discosta poi tanto dall'eccellente.
    I due concerti di Prokofiev stanno nel repertorio di tanti violinisti di oggi e specialmente negli ultimi 3-5 anni sono copiose le nuove registrazioni di queste pagine.
    Questa non vuole essere il nuovo riferimento ma ci va vicino. Meglio di quelli della Lisa Batiashvili, forse più vivi dei freddi ma vibranti concerti nella storica interpretazione di Shlomo Mintz con Abbado del 1983.
    Bella registrazione con il violino ben amalgamato nell'orchestra ma sempre presente.
    Il timbro di questo violino milanese del '700 è particolare, molto diverso dai "soliti" Stradivari e credo che questo contribuisca a rendere più personale una interpretazione già personale per la violinista.
    Ma noi sappiamo che ogni grande solista viene positivamente influenzato dal suono del suo strumento, una volta che se ne è impossessato.
  7. M&M
    Messer Girolamo Frescobaldi scende nella sua stanza da musica e vicino al suo usuale cembalo, vede un'istromento novo, che vuolsi colà provare ...
     
    e maraviglia, le corde non son pizzicate ma martellate. Epperò, il temperamento gli pare eguale, nei toni e nelle distanze intra le note. Tanto che tutti li affetti potea sonar a simiglianza dello cimbalo suo.
    ***

    Che fai quando hai un'idea sensazionale e magari le case discografiche non ti ascoltano.
    Ma naturalmente ti crei una etichetta tutta tua e vai avanti.
    Forse è quello che ha fatto Michele Fontana con la sua Fluente Records con cui tra il 2021 e il 2022 ha pubblicato l'integrale di Frescobaldi al pianoforte.
    Credo sia veramente la prima volta che il maestro del contrappunto italiano viene eseguito con prassi esecutivo fedele al pianoforte.
    Per farlo Fontana ha scelto un pianoforte Yamaha accordato al modo seicentesco, non con il temperamento moderno ma con quello mesotonico.
    In questo modo non si perdono tutti gli affetti musicali tipici della struttura tastieristica di Frescobaldi che invece su un pianoforte accordato normalmente non si potrebbero riprodurre.

    Aggiungiamo una singolare simiglianza tra i due musicisti e l'alchimia porta ad un progetto unico, raro che ha del sensazionale :

     
    e la giusta ironia nell'approccio a veri e propri tesori, normalmente trascurati dai pianisti a differenza di altri, più oscuri compositori dell'epoca, meno sofisticati del nostro ma a cui devono gran parte della loro stessa conoscenza musicale.

    l'opera è disponibile in una serie di doppi CD, egualmente ascoltabile in streaming (io ne scrivo con il player di Qobuz che mi offre una scelta di correnti e arie ballabili) o acquistabile in formato liquido.
    Lo sforzo di Fontana nel mantenere intatta la struttura musicale cogliendone però gli spunti di modernità é quello di aggiungere la dinamica, ereditata dalla scrittura e dalla esecuzione contemporanei, possibile solo con il pianoforte.
    Il pianista non è uno specialista esclusivo di Frescobaldi, ovviamente, ma un musicista completo che si spinge fino a Ligeti.
    Sensibilità e rispetto non gli difettano. Ma con il giusto ardire ...

    ovviamente io sono un devoto ammiratore del principe Frescobaldi e quindi ne sono rimasto folgorato, riscoprendo sonorità e abbellimenti che mi erano sfuggiti (da ragazzo, indegnamente, strimpellavo le Gagliarde e le Correnti del Maestro ferrarese).
    Ma al di là di questo, l'operazione merita un approfondimento magari anche da chi Frescobaldi non l'ha mai sfiorato perchè, appunto, il clavicembalo ...
  8. M&M

    Recensioni : clavicembalo
    Frescobaldi e il sud : Francesco Corti
    Arcana, 7 luglio 2023, formato 96/24, via Qobuz e Presto Music
    ***
    "Intendami chi può, che m'intend'io"
    Eccentrico, aristocratico, musicalmente evoluto ben più del suo tempo, Frescobaldi si rese conto di dovere ai suoi interpreti, la cortesia d'urgenza di fornire le chiavi di lettura della sua opera.
    Ma si rivelò altrettanto enigmatico come pubblicista e insegnante. E l'avvertimento "Intendami chi può" ne è la chiara sintesi.
    Di crescita tradizionale del settentrione, in quella culla artistica che fu Ferrara prima di essere inglobata nel regno papale, praticamente romano, avendo tenuto l'organo di San Pietro ininterrottamente, si trovò al crocevia delle influenze musicali di tutta la penisola, sublimando la sperimentazione melodica napoletana nell'intreccio contrappuntistico veneziano.
    E' questa la chiave di lettura, che viene proposta dall'interprete in questo disco - mirabile è poco dire - che compendia la Toccata con la canzone e la danza.
    Francesco Corti considera indispensabile la contestualizzazione del lavoro di Frescobaldi nella sua epoca, come rielaborazione sistematica delle diverse tradizioni musicali della penisola.
    Una riflessione che però - lo confessa Corti nel libretto - lo porta a seguire l'incoraggiamento dell'autore stesso di dare una interpretazione fortemente personale a quello che si legge nei pentagrammi.
    Un partita che cerca, quanto riuscendoci non sappiamo, di risolvere il rebus costituito dalla musica del fervido seicento in una sorta di "gioco" tra compositore e musicista interprete sullo stesso piano.
    Partendo dalle "raccomandazioni" pubblicate dallo stesso autore alla fine della sua lunga vita e carriera musicale con le pubblicazioni avvenute a Venezia nel 1635, testamento musicale del ferrarese.
    Messer Girolamo era considerato - in vita - dai suoi contemporanei il più grande musicista italiano ed europeo ma probabilmente ne vedevano solo la superficie.
    Modestamente, considero Frescobaldi il più grande musicista italiano in assoluto. Nella sua musica leggiamo echi precoci che ritroveremo in Busoni e in Ligeti, musicisti che hanno con il nostro ben più legami che non quello con Mozart o Beethoven.
    Ma la conferma del suo lavoro di sintesi in questo disco viene dall'inclusione nel programma di composizioni estremamente raffinate di altri autori.
    Qui ci sono parti come il "Capriccio sopra Re, fa, mi, sol" di Giovanni de Macque che avranno soluzioni inattese solo trecento anni dopo (Busoni).
    Mentre la "Terza Ricercata" di Rocco Rodio richiama l'omonima Musica di Ligeti.
    Ma su tutti si pone Frescobaldi, che non cerca affatto di portare ordine in tanta inventiva, lasciando all'interprete scelte assolute, come quella di aggiungere "l'obbligo di cantare la quinta parte senza toccarla" in un suo straordinario Ricercare.
    E se "non senza fatica si giunge al fine" - sottotitolo della Nona Toccata - c'è ancora spazio per la Passacaglia di Luigi Rossi ("seign. Louigi" nel titolo) mentre il disco si chiude con la miniata e brevissima Prima Gagliarda di Giovanni de Macque, tastierista francese cresciuto alla scuola napoletana.
    Corti da una prova straordinaria in questo disco, giacché non c'è nulla di inedito ma c'è tutt'altra arte di toccare il cembalo che ancora non avevo ritrovato in altre esplorazioni del periodo.
    Disco prezioso che però vedo indirizzato solo a chi é capace di intendere ciò che in esso si dice.

  9. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Mozart : concerto per pianoforte e orchestra n. 24 K 491
    Radio-Sinfonieorchester Stuttgart, diretta da Joseph Keilberth
    Beethoven : concerto per pianoforte e orchestra n. 4 Op. 58
    Radio-Sinfonieorchester Stuttgart, diretta da Hans Muller-Kray
    Joseph Haydn : concerto per pianoforte e orchestra n. 11
    Rodio-Sinfonieorchester Stuttgart, diretta da Hans Muller-Kray
    Richard Strauss : Burleske per pianoforte e orchestra
    Radio-Sinfonieorchester Stuttgart, diretta da Hans Muller-Kray
    Claude Debussy : Feux d'artifice. Preludes, libro 2, n.12
    Mozart : concerto per pianoforte e orchestra n. 14 K 449
    Südwestfunk-Orchester Baden-Baden, Hans Rosbaud
    Mozart : concerto per pianoforte e orchestra n. 23 K 488
    Südwestfunk-Orchester Baden-Baden, Hans Rosbaud
    pianoforte : Friedrich Gulda
    rimasterizzazione dai nastri originali delle registrazioni radiofoniche del 1959-1962
    SWR Classics 2020, formato cd, via Qobuz Streaming Unlimited
    ***

    Per me Mozart viene subito dopo Gesù.
    La dice tutta del Gulda degli esordi, tutto Bach-Mozart-Beethoven che trovava ridondanti i tardoromantici.
    Ho notato questo disco che mi era sfuggito all'uscita, lo scorso mese di febbraio, per la presenza del Burleske di Richard, una composizione che io trovo sempre interessante, perchè Gulda di Strauss diceva semplicemente che "ciò che per Bach richiede tre parole, per lui servono un sacco di frasi".
    Ovviamente conosco a memoria il suo Mozart, sia questo del periodo d'oro che quello più tardo con Abbado e l'ultimo, un pò acido degli ultimi tempi con Harnoncourt.
    Il garbo e la facilità digitale di Gulda sono leggendari ed applicati a Mozart, rendono l'ascolto celestiale.
    Semplicemente non mi permetto di discuterne l'interpretazione, almeno per queste registrazioni, preziose che vengono adesso rimasterizzate e rimesse a nuovo.
    Ma in questo disco ho trovato emozionante dalla prima all'ultima nota il 4° di Beethoven. E non uso spesso a sproposito questo aggettivo.
    E il Burleske chiaramente ha ispirato l'interpretazione che ho sempre avuto come riferimento, di Martha Argerich.

    Gulda e la giovanissima Marha Argerich ancora prima del debutto. L'unica allieva di Friedrich Gulda di cui certo condivide la semplicità nell'emettere suoni come se fossero tutte nelle sue dita.
    Meno il garbo complessivo ma certamente l'istrionica presenza un pò la deve al suo antico maestro.
    Tornando al Burleske, ci sono cali di tensione e non è tutto roboante come piace a me. Ma il cronometro si ferma a 19:33 e le accelerazioni sono improvvise.
    Nessun artificio d'effetto ma tanta naturalezza. La leggerezza è più viennese che bavarese.
    Ma è così che deve essere, perchè è l'interprete che conta dopo che l'autore ha consegnato alla storia la sua partitura.
    Insomma, quello che sto commentando non è un reperto storico né un pezzo della storia dell'interpretazione, è un disco attuale che non è appesantito dai 60 anni trascorsi dalle registrazioni se non per la dinamica, invero un pò compressa nonostante la pulizia dei nastri originali.

  10. M&M

    Recensioni : Musica Strumentale
    Fuga Y Misterio
    Musiche di Bach e Piazzolla
    Simone Rubino, vibrafono
    Ensemble La Chimera diretta da Eduardo Eguez
    La Musica 2020, HD via Qobuz
    ***
    Simone Rubino, torinese, percussionista di fama mondiale, non è nuovo ad incursioni bachiane accoppiate ad autori contemporanei.
    Ma se il disco del 2017 (Immortal Bach, con, oltre a Bach, cose di Boccadoro, Xenakis, Cage, Bocca) Bach era un pretesto per avvicinare a musica d'avanguardia, qui c'è un progetto più formale.
    Che poi si riesca a sentire in Piazzolla le radici Bachiane, probabilmente è un compito che va al di là delle mie capacità.
    Ma mi limito a valutare il disco.
    Che per la parte bachiana è ammirevole per la capacità dello strumentista di mantenere integre le composizioni elaborate per i suoi strumenti (la toccata e fuga BWV 565, la Ciaccona per violino, il concerto BWV 1042), specie per la legatura con l'orchestra, non sempre facile con strumenti così sonori e caratteristici in un contesto barocco.
    Piazzolla, può piacere o meno, qui siamo - penso - ai massimi livelli di caratterizzazione. E il disco nel suo complesso risulta una proposta di elevatissima qualità.
    Ho visto Rubino in azione in video con Manfred Honeck in una composizione che è difficile considerare musica sul piano formale, almeno per come la intendo io, ma l'occasione per poterlo valutare ai massimi livelli mondiali, in un contesto - quello dei percussionisti - in cui i protagonisti veri si misurano alla pari in un manipolo molto ristretto.
    Istrionico, con una presenza scenica molto completa, nel gesto e nella postura, oltre che, ovviamente, nelle capacità tecniche superlative.
    Avevamo bisogno di questo "nuovo" Bach ? Non saprei. Ma tanto di cappello a Simone Rubino per questo disco.

  11. M&M
    Henry Purcell : King Arthur (1691)
    Gabrieli Consort, Paul McCreesh
     
    Anna Dennis, Mhairi Lawson, Rowan Pierce, Carolyn Sampson, soprano
    Jeremy Budd, controtenore
    James Way, tenore
    Roderick WIlliams, Baritono
    Ashley Riches, basso-baritono
    libretto di John Dryden
    Signum Classics, 2019, formato 192/24
    ***
     

     


    varie formazioni del Gabrieli Consort, in basso con Carolyn Sampson in primo piano.
    King Arthur è una semi-opera, cioè una composizione musicale/teatrale in cui i principali ruoli sono attori che recitano un testo teatrale mentre i cantanti sono ruoli secondari oppure divinità. Genere tipico nel barocco francese e inglese.
    E' una composizione particolare, perchè ha una chiara connotazione politica, nata dopo la restaurazione, ripensata durante la gloriosa rivoluzione e data alle scene con l'arrivo del nuovo Re Guglielmo d'Orange.
    Non narra le storie d'amore e gli atti cavallereschi di Re Artù, di Ginevra, di Lancelot e dei cavalieri della Tavola Rotonda.
    Nella realtà i protagonisti sono i britannici e i sassoni, capitanati da Arthur e da Oswald, con i loro dei.
    Calati nella realtà di quei giorni, in verità i britannici sono i Tories, Re Artù il defunto Carlo II, i sassoni sono i Whigs e Re Oswald è il Duca di Monmouth.
    Le due fazioni sono influenzate dall'intervento di divinità e semidivinità (Venere e Cupido, Wotan) che ne modulano le azioni.
    Il tutto si chiude con la sintesi tra le due popolazioni. L'auspicio, finalmente, dopo quasi 1000 anni, per la pace tra le due genti che comporranno il Regno.
    Grande successo di pubblico con numerose repliche anche negli anni a venire e nonostante la morte di Purcell (1695),e riprese anche negli anni a venire, proprio per il connotato politica.
    Se vogliamo esagerare con i riferimenti, passato Guglielmo, l'avvento dei Sassoni con Giorgio I d'Hannover - fondatore della dinastia che ancora regna nel Regno Unito - porterà a Londra il Sassone erede di Purcell, il giovane Handel che ne prenderà l'eredità come libero imprenditore.
    L'inglese Purcell stesso nell'ultimo periodo, dopo la morte di Re Carlo II, si libererà dagli incarichi ufficiale per lavorare come libero musicista senza contratti stabili.

    Al di là delle - doverose - note che definiscono King Arthur, la riproposizione in questa edizione curata personalmente da McCreesh con l'ausilio dei suoi colleghi del Gabrieli Consort, ne rende una versione ancora più particolare.
    L'opera nella sua storia ha avuto svariati rimaneggiamenti che l'hanno resa a volte pomposa sicuramente più di quanto intendevano gli autori in origine.
    Qui abbiamo 17 musicisti e 8 cantanti che fanno anche da coro.
    Il suono - con corde di budello intrecciato - è chiaro e terso. Limpido.
    L'inizio peraltro porta 4 brani da Amphytrion.  Poi l'Ouverture di King Arthur e un'aria strumentale.
    Poi l'inizio con l'ode a Wotan (Woden) e il sacrificio auspice per l'imminente battaglia dei sassoni contro i britanni.
    Quindi un continuo di arie, preludi, intermezzi, tunes per trombe per condurre al finale glorioso.
    Per Britannia e San Giorgio.
    E il ballo finale che sancisce la pace tra le due genti.
    Un'ora e trentasette di musica sublime, voci perfettamente equilibrate con il testo e la musica.
    Senza troppa enfasi né pompa, nello stile del Gabrieli Consort.
    Una grande prova di amore per il Molto Onorevole Mr. Henry Purcell, il più autenticamente inglese dei compositori britannici.
    ***
    Personalmente, per quanto colpito dal tono complessivo e dalla chiarezza di questa edizione, non posso dire di considerarla però superiore ad altre edizioni storiche, ad esempio quella di Deller con uno splendido Maurice Bevan o quella di Gardiner con i suoi solisti.
    Che pagano pegno solo per la ripresa ma hanno una carica di umanità e di senso scenico che un pò si perdono in questa ultima ripresa di McCreesh che a me è sempre sembrato un pò troppo "asciutto".
    Ma parliamo di sottigliezze, ognuno giudicherà. 
  12. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Robert Schumann : Sinfonia n.2, Sinfonia n.4, Ouverture Genoveva
    London Symphony Orchestra
    Sir John Eliot Gardiner
    LSO 2019, 96/24
    ***

    Lo scorso aprile Sir John ha compiuto 76 anni.
    Per la prima volta nella sua storia il Monteverdi Choir e la English Baroque Soloists hanno assunto un direttore vicario stabile.
    Forse (anche) per liberarlo dalle sue incursioni alla guida della LSO, come decano dei direttori inglesi ancora in attività.
    Ma la freschezza della sua "riscoperta" del repertorio romantico che sta ripercorrendo per intero per almeno la seconda volta a distanza di un ventennio dalle registrazioni con la DG/Archiv sembra quella del ventenne.
    Dopo Brahms e Mendelssohn, è la volta di Schumann.
    Questo é il primo disco, il secondo comparirà ad inizio 2020.

    La sua lettura è quella integralmente fedele al testo originale, specie nella Quarta Sinfonia che è la stesura del 1841, quella preferita da Schumann e da Brahms che ne curò la stampa nel 1891.

    E senza le incrostazioni novecentesche, le riorchestrazioni mahleriane, la liturgia della seconda metà del novecento, la musica e le idee di Schumann appaiono per quello che erano a Robert e a Clara alla prima rappresentazione. E che a Clara e a Robert ... non erano piaciuti.

    L'aneddotica di questa edizione parla di un Gardiner che ha convinto i musicisti a suonare stando in piedi per sentirsi più uniti tra loro.
    Come sia, conta il risultato.
    La tessitura delle parti si sente chiaramente. Hanno senso anche i movimenti denominati in italiano (nella seconda stesura Schumann userà per la prima volta le dizioni in tedesco).
    Ritmo, velocità, leggerezza sono quelli tipici di Gardiner e non necessariamente quelli di una grande orchestra tradizionale come la London Symphony.
    Servono un paio di ascolti per capirlo. Ma poi diventa immediata l'immagine che viene resa.
    Ricordiamoci che all'epoca della prima al Gewandhaus (non so se in presenza di Mendelssohn) Brahms aveva solo 8 anni, mentre si tende un pò comunemente a "brahmsizzare" queste pagine nelle esecuzioni correnti.
    E' musica che vive di situazioni, di immagini, non del tutto legate tra loro. Frasi e frammenti. Esplosioni.
    Come nel finale della Quarta, epico, con gli echi dei corni inglesi e poi degli ottoni tutti, ben più che segnali per Sigfrido.
    Al limite del commovente l'inizio della Seconda. Arrembante il seguente scherzo, reso con grandissima dinamica.
    E l'adagio non è più mahleriano ma il lamento liederistico di Schumann. Bellissimi i legni e sempre sostenuta la forza dei bassi.
    Esplosione di felicità nel finale dove gli archi si inseguono tra loro tra il fraseggio di legni ed ottoni e timpani.

    Due parole per l'Ouverture Genoveva eseguita abbastanza raramente che inizia questo disco, anzichè chiuderlo per riempirne il programma.
    Struttura, brillantezza della composizione, tessitura, gioco tra archi e ottoni, è perfettamente coerente con le due sinfonie.
    L'opera completa è degli anni successivi. Ed è tanto lontana dal Wagner coevo (Rienzi, Olandese, Tannhauser : Richard si trovava a Dresda in quegli stessi anni, tra Lipsia e Dresda ci sono solo 121 km).
    Insomma, veramente un bel disco che sono certo verrà completato allo stesso livello con la prossima registrazione.
    Come già fatto con Schumann.
    Bella registrazione di sala, suono terso, con dinamiche corrette, senza eccessi

  13. M&M
    E' la NON notizia di oggi.
    La commissione europea nella sua omnicomprensiva conoscenza suprema, consiglia di abbandonare il tradizionale augurio di Buon Natale, sostituendolo con un generico Buone Feste.
    Lo scopo ?
    Non infastidire chi non pensa che a Natale sia nato Gesù.
    Che come tutti sappiamo, non è nato affatto il 25 dicembre di 2021 anni fa ma che, tradizionalmente, da secoli e secoli, tutto il mondo - cristiano e non - festeggia in questa data.
    Insomma, l'apoteosi del politicamente corretto assurto a regola manichea, non essere se stessi per non offendere nessuno.
    Un ... come dire ... modo di trasformarsi in una cosa così sottile - questa cosiddetta EUROPA dei popoli - da essere tanto trasparente da non essere percepibile. Sostanzialmente inutile.
    E poi ci lamentiamo se i cinesi pensano che siamo dei fessi ad aver dato loro il controllo ... delle nostre palle !
    Ah, no, nemmeno le palle possiamo considerare. Perché pure il Padre Nostro è messo in discussione, dovrebbe essere sostituito da un più neutro Genitore 1 o Genitore 2.
    E qui nasce il problema. Quale sarà il Genitore da Pregare e Santificare ?
    Bah, per parte mia continuerò a festeggiare il Natale. Scritto con la N maiuscola, la festa di Babbo Natale, quello vecchio e con la barba, indubitabilmente uomo con le palle pelose sotto al vestito rosso, e di Gesù Bambino che scende dalle stelle per diventare uomo. Entrambe testimonianze del nostro essere occidentali, europei, cioé quello che siamo e che abbiamo impiegato secoli per diventare.
  14. M&M
    Questo articolo è stato originariamente scritto e pubblicato da Mauro Maratta su Nikonland.eu il 29 luglio del 2016.
     
     
    George Hurrell nel suo studio situato nel famoso Sunset Boulevard, si intrattiene allegramente con una giovane Bette Davis.
     
    Quelle che seguono sono parole di Mario Testino, fotografo tra i più accreditati nello star system internazionale, che ha avuto nel suo studio personaggi che vanno da Lady Diana Spencer a Hillary Clinton, passando per star del cinema come JLo o Natalie Portman, tutti resi con inconfondibile fascino e glamour.
     
    E si riferiscono a George Hurrell, fotografo che Testino stesso riconosce come maestro - suo e di altri - in questo consesso e del quale ha curato personalmente più di una mostra a tributo della sua importanza nella storia della fotografia di ritratto.
     
    "E' stato intorno alla metà degli anni 1980 che ho ho cominciato a frequentare Los Angeles per lavorare con pubblicazioni americane, soprattutto, a quel tempo, la rivista GQ. E' stato li che la mia curiosità mi ha spinto a scoprire i fotografi che avevano definito il fascino dell'epoca del grande schermo di Hollywood. Uno solo spicca per me: George Hurrell. Mi è stato subito chiaro che é stato il più importante immagine-maker di quel periodo a Hollywood. Lui aveva una straordinaria capacità di trasformare tutto e catapultandoli alle massime altezze del glamour. Nessuno sembrava più famoso, più magico, più magnifico di quanto non sembrasse nelle sue fotografie".
     
    La scelta delle foto più rappresentative per descriverlo secondo Testino non potrebbero essere più iconiche e sono tutte, tranne una, degli anni '30 :
     
     
    Joan Crawford, MGM maggio 1937
     
     
    Katharine Hepburn, RKO, giugno 1938
     
     
    Carole Lombard, Paramount, giugno 1937
     
     
    Greta Garbo, MGM 1930
     
     
    Jane Russell, United Artists, 1941
     
     
    Jean Harlow, MGM 1930
     
    Credo che anche uno che non si intende di cinema e che non ha mai visto un vecchio film in bianco e nero, non possa non avere in mente il ritratto di Hedy Lamarr che ho scelto per simboleggiare l'opera di Hurrell
     
     
    Hedy Lamarr, 1939
     
    per gli altri le foto scelte da Testino potrebbero anche bastare a dire ... ah, ecco, quello è George Hurrell !
     
    Casualmente, tre di queste attrici sono tra le mie preferite di tutti i tempi, Hollywood e non.
    Io forse non avrei scelto quelle foto ma altre al posto di Testino.
    Ma insomma, abbiamo ben capito di cosa stiamo parlando e probabilmente non ci sarebbe bisogno di indagare oltre.
     
    Stiamo parlando di un'epoca in cui la fotografia di un certo livello era in grado, grazie a magazine come Variety di creare o di ricreare l'immagine di un/una divo/a del cinema e di influenzarne la carriera (insieme a sapienti gossip, inventati o veri che fossero ).
     
    I fotografi erano dipendenti diretti della major cinematografiche, sotto contratto esattamente come le star che immortalavano.
     
    Immortalavano. Proprio la parola giusta in questo contesto. E George Hurrell è quello che ha più lasciato il segno.
     
    Adesso che lo abbiamo identificato nella nostra memoria, legando al suo nome i ritratti che abbiamo sempre visto associati a quelle star, proviamo a conoscerlo meglio.
     

     
     
    George Hurrell sul set davanti alle sui foto delle star della sua epoca
     
    Nato nell'Ohio nel 1904, studia pittura. Si trasferisce in California dopo i venti anni senza aver mai manifestato un particolare interesse per la fotografia.
    A Laguna Beach conoscerà la pioniera dell'aviazione Pancho Barnes (nome d'arte di Florence Lowe) che lo incoraggerà a lasciare la pittura per la più promettente, in termini economici, fotografia.
    Una foto di Hurrell della Barnes, utilizzata per la licenza di volo, gli frutterà un contatto con la MGM tramite l'attore del cinema muto Ramon Novarro che mostrò alcune foto che lo ritraevano fatte da Hurrell all'attrice Norma Shearer, moglie del capo della MGM, Irving Thalberg.
     
     
    Ramon Navarro, 1931
     
    La Shearer, nota fino a quell'epoca per personaggi di donna della porta accanto, voleva accettare una parte dal carattere brillante e di tendenza "La divorziata", ed aveva bisogno di un remake della sua immagine per avvicinarla alle atmosfere mondane frequentate dalle donne emancipate, sofisticate e glamour.
     
    Le foto di Hurrell, mostrate al marito gli fecero esclamare : "Cara non sei mai stata più bella di come sei in queste foto".
     
     
    Norma Shearer, 1926
     
    Thalberg mise così sotto contratto Hurrell che divenne capo del reparto di fotografia di ritratto della Metro Goldwyn Meyer.
    Sotto la sua direzione cambiò del tutto il modo di ritrarre le star.
    Ogni divo veniva messa nella migliore luce e le fotografie contribuivano al lancio dei film sottolineando le qualità peculiari di ogni personaggio interpretato e di ogni pellicola.
    Sul set cinematografico c'era sempre il set fotografico e le fotografie avevano lo stesso spazio delle immagini in movimento.
     
    Davanti alla macchina di Hurrell in quegli anni passarono tutti gli attori sotto contratto con la MGM.
    Norma Shearer rifiutava di farsi fotografare da un altro fotografo, tanto era soddisfatta dell'immagine che Hurrell dava di lei. Feeling generalizzato tra gli attori, con forse l'unica eccezione della divina Garbo che dopo il film Romance del 1930 si rifiutò di lavorare con lui. Bizze da superstar.
     
    Nel 1932 Hurrell comunque lasciò la MGM per divergenze di opinione con la dirigenza ed aprì un proprio studio sul Sunset Boulevard (il famoso vialone di Los Angeles che tocca tra l'altro Hollywood e Beverly Hills).
     
     
    Hurrell sistema la giraffa nel suo studio
     
    Solo nel 1940 accettò di lavorare sotto contratto per la Warner Bros potendo così fotografare l'altra metà delle star che non aveva potuto vedere quando era alla MGM.
     
     
    Bette Davis, 1940, WB
     
     
    Humprey Bogart, WB, 1942
     
     
    Ingrid Bergman, WB, 1942
     
    Nella seconda metà degli anni '40 ebbe anche modo di passare alla Columbia dove di fatto contribuì a costruire l'immagine da bomb-shell di Rita Hayworth
     
     
    Rita Hayworth, Columbia, 1945
     
    Passò quindi per un breve periodo, insieme ad altri fotografi e cineasti (tra cui il grande John Ford) a lavorare per le forze armate.
     
    Al suo ritorno la sua Hollywood era cambiata. Dopo la guerra il tipo di fotografia ricercata e sofisticata che faceva Hurrell era considerata vecchia scuola, sostituita da uno stile più vicino alla realtà di tutti i giorni.
     
    Hurrell risolse così di lasciare Los Angeles per raggiungere New York e dedicarsi alla moda e alla pubblicità, dove lo stile glamour era ancora apprezzato.
    Solo negli anni '60 tornò ad Hollywood dove fotografò le star fino agli anni '80.
     
     
    Julie Andrews e George Hurrell, 1960
     
     
    George Hurrell fotografato da Helmuth Newton nel 1980
     
     
    Diana Ross, negli stessi anni
     
     
    Sharon Stone, 1987
     
     
    Natalie Cole, 1991
     
     
    Sharon Stone, 1992
     
    Morì nel 1992.
     
    continua con altri ritratti
     
    Al di là dell'immagine patinata che da di se stesso in questo ritratto giovanile
     
     
    George Hurrell, giovanissimo con il suo "strumento"
     
    il metodo di Hurrell consisteca nello studiare i suoi soggetti catturando la loro fiducia
     
     
    Clark Gable e George Hurrell scherzano sul set
     
    E' indubbio che sul set Hurrell era considerato di casa - praticamente una star egli stesso - come pochi grandi fotografi dei periodi successivi (Avedon) e di oggi (Demarchelier, Lindbergh, Testino) possono essere considerati.
     
     
     
    la confidenza che riusciva ad ottenere era la fonte del successo degli scatti.
     
    Che però si basavano su grande metodo sul set
     
     
     
     
    e una attenta posa delle luci.
     
    Tutti elementi che avevano lo scopo di costruire una immagine "ideale" della star ritratta.
     
    In fondo noi tutti abbiamo in mente questo ritratto per identificare Gary Cooper, uomo maturo e di successo
     
     
     
    o di Douglas Fairbanks, intrigante sofisticato nottambulo o guascone avventuriero a seconda del film
     
     
     
     
    anche se in fondo, tutto il genio di Hurrell non faceva altro che estrarre dal personaggio ... quei caratteri che doveva poi mostrare sul set.
     
    Una cosa difficile se hai davanti materiale poco malleabile come questo giovane Harrison Ford
     
     
     
    ma facile e divertente se il soggetto è un magnetico Errol Flynn
     
     
     
     
    o un fumoso Humphrey Bogart
     
     
     
    e in tempi più recenti
     
     
    Jessica Lange ripresa come se fosse Veronica Lake
     
     
    Brooke Shields a la Lauren Bacall
     
    Ovviamente nessuno di questi ritratti andava in stampa come era stato ripreso.
    Lunghe sessioni di ritocco con acidi e lamette permettavano ad Hurrell di ottenere l'effetto cercato con la posa sapiente di luci dirette e di Fresnel
     
     
    George Hurrell ritocca negativi
     
    Avrei tante cose da aggiungere - lo farò magari nei commenti - ma mi fermo qui.
    Una ricerca con Google vi farà comparire le migliaia di foto di Hurrell presenti in rete e ritraenti divi noti o meno noti, del cinema muto e di quello sonoro, degli anni d'oro di Hollywood.
     
    Ma voglio chiudere con due personaggi chiave per me, una Carole Lombard che i ritratti (oltre che i film) di Hurrell mi hanno fatto amare
     
     
    il ritratto di Carole Lombard che è anche la copertina del libro su George Hurrell disponibile su Amazon e che vi consiglio di acquistare
     
     
     
    che in fondo rappresentano quello che è anche il mio modo di fotografare le donne
     
    e di suo marito Clark Gable
     
    elegante
     
    o scanzonato
     
    molto di più di quanto in realtà fosse nella vita di tutti i giorni.
     
    perdutamente innamorato di Carole tanto da farlo arruolare appena dopo la morte di lei nel corso di un viaggio per raccogliere fondi per le forze armate per poi finire la carriera annegando nel wisky il suo dolore.
     
    Un'epoca che non c'è più ma che l'occhio e la mano di George Hurrell hanno reso immortale. Per sempre.
  15. M&M

    Recensioni : Masterpieces
    Brahms, concerto per pianoforte e orchestra n. 2
    Grieg, concerto per pianoforte e orchestra
    Géza Anda, pianoforte
    Berliner Philarmoniker diretti da Herberth von Karajan e Rafael Kubelik
    Deutsche Grammophon 1968 (Brahms) 1963 (Grieg), rimasterizzazione in formato 96/24
    ***

    Geza Anda e Herberth von Karajan, due degli eroi della mia gioventù

    l'LP originale con il concerto n. 2 di Brahms.

    Raphael Kubelik, decano dei direttori cechi e uno dei più grandi artisti del XX secolo.
     

    l'LP originale con il concerto di Robert Schumann.
    Acquistato con la paghetta mensile circa quarant'anni fa.
    ***
    DG ha ripubblicato in versione rimasterizzata, ripulità e ad alta risoluzione due dei grandi successi degli anni '60.
    All'epoca non sarebbe stato possibile unirli per la lunga durata del concerto di Brahms che richiedeva un intero disco solo per lui.
    Ovviamente esistono ancora gli originali ma questa nuova edizione è particolarmente pulita.
    E seppure non è possibile aumentare oltre certi limiti la dinamica per cause di ripresa, comunque il suono è purissimo.
    Abbiamo la stessa visione gloriosa ed eroica, direi addirittura sontuosa di un pianismo che fu (nelle note nel libretto si parla di "grandeur" termine che sottoscrivo in pieno).
    Geza Anda non era solo un virtuoso era un grand'uomo, estremamente elegante sia come persona che nel suono.
    Ed ogni anche più piccolo tocco della tastiera in questi due concerti lo testimonia ancora oggi.
    Tanto che due titani della direzione d'orchestra come Karajan e Kubelik, con la stessa compagine orchestrale, gli rendono omaggio senza forzarlo.
    In Brahms certamente l'indole riflessiva e seria di Anda si accorda perfettamente con il Karajan edonista che pretendeva che ogni nota si sentisse perfettamente in un perfetto impasto di colori.
    Probabilmente il baldanzoso Kubelik avrebbe visto un altro Grieg, ma come aggiungere una parola ascoltando il lirismo perfettamente tornito del secondo movimento del concerto del norvegese ?
    I quasi cinquanta minuti del concerto n. 2 di Brahms rendono giustizia al termine "imperatore dei concerti per pianoforte".
    Il piano entra in sincrono con i corni e i fiati riprendono la melodia iniziale chiedendo agli archi di non forzare.
    Anda ferma il loro dialogo prendendosi tutta la scena con un gesto eloquente ma senza autoindulgenza.
    E' come lo avrebbe pensato Brahms, mi viene da crede. Anche se i tempi complessivi sono lenti, la potenza del suono che ne esce, la nobiltà dei temi è tanto potente che sembra frutto di decenni di intesa.
    E' invece pare che bastarono solo 4 sessioni di ripresa diretta, senza altre ripetizioni per raggiungere la perfezione e senza nemmeno lunghi rimaneggiamenti in fase di missaggio.
    Il pianoforte è li, sul palco (ma la ripresa è stata fatta nella Jesus-Kirche di Berlino), solo, nel buio.
    L'orchestra entra aumentando solo la luminosità della scena.
    Nessuno ha la necessità di alzare la voce, perchè tutti sono concordi del momento magico.
    Esistono decine di edizione di questo concerto che possono essere singolarmente scelte come riferimento.
    Questo vi chiede di aumentare il volume per apprezzare il canto dei contrabbassi che fa da sfondo al dialogo tra piano e legni.

    Il duetto con il violoncello nel terzo movimento, il finale che è perfettamente "grazioso" come vuole il titolo.
    Realmente una gemma di magia che siamo fortunati ad avere a disposizione per potercela ascoltare oggi, domani e sempre.
    Ricordando quanto ricco è stata - musicalmente e umanamente parlando - quel decennio fantastico, anche per la musica colta.
    Grazie !
  16. M&M

    Artisti
    Nasceva a Budapest il 19 novembre 1921 Geza Anda, pianista elegante e di straordinario talento, morto anzitempo nel 1976.

    ***
    Negli anni '60 e '70 era considerato tra i più grandi pianisti della sua era - e in quell'era i grandi pianisti erano tanti - ma dopo la sua morte la sua fama è scemata ed oggi raramente viene ricordato.
    Probabilmente per la sua razionale lucidità che ne caratterizzavano l'approccio musicale in ogni partitura, senza la passione viscerale di altri musicisti della sua terra.
    E perché dopo di lui tanti altri pianisti hanno avuto modo di esplorare il suo repertorio tipico, fatto di Mozart, Schumann, Beethoven, Brahms e ovviamente Bartòk.
    Io l'ho conosciuto in disco da ragazzino, con le copertine dei suoi album Deutsche Grammophon, alcuni dei quali sono parte integrante ed insostituibile del mio essere musicofilo.

    Per questo ci tengo particolarmente a ricordarlo nei 100 anni della sua nascita e ad oltre 45 anni dalla sua morte.
    ***
    Formatosi all'accademia Liszt di Budapest con insegnanti come Ernst von Dohnányi e Léo Weiner, si perfezionò a Berlino.
    Nel 1940, durante la guerra, con la i Berliner Philarmoniker eseguì per la prima volta in pubblico il secondo concerto di Brahms prima con Mengelberg e poi con Furtwangler.


    grande didatta, incominciò a dare lezioni di musica ai suoi allievi già a 20 anni, prima di poter emigrare in Svizzera nel 1943.
    Negli anni '60 tenne masterclass a Salisburgo e dal 1969 insegnò ininterrottamente a Zurigo fino alla morte.
    Dal 1952 al 1976 presenziò ogni anno al Festival di Salisburgo.
    Per le raccomandazioni della connazionale Clara Haskil parimenti esule in Svizzera, si avvicinò a Mozart, uscendo per l'occasione dal suo repertorio romantico.
    La Haskil era una interprete altrettanto raffinata dei concerti di Mozart, con la sua ispirazione Geza di dedicò all'intero corpus dei concerti "riconosciuti" del salisburghese, dirigendoli dal pianoforte durante la registrazione integrale della DG.
    Tutti i concerti di Mozart della sua integrale hanno cadenze scritte da Anda.

    ***
    Lo “spirito musicale di Géza Anda” è una ricerca intellettuale, in costante oscillazione tra due poli: da un lato, l'ideale difficilmente raggiungibile della totale padronanza dell'espressione artistica; dall'altro, la quotidiana ricerca del più alto standard tecnico. Questo pendolo è sostenuto da virtù come la dedizione, la perseveranza e l'autocritica incessante.
    Géza Anda si è sempre sentito l'unico responsabile della qualità della sua performance; si rifiutava di incolpare il pianoforte o il pubblico. E non ha mai legato i suoi allievi a una particolare interpretazione: ha insistito sulla corretta esecuzione delle note, per poi lasciare che fossero loro a modellare il pezzo da soli. C'era una sola ricetta: dovevi persuaderlo della validità della tua interpretazione.
    L'indottrinamento non aveva posto nel suo “spirito musicale”; si trattava piuttosto di attendersi una sorta di unità tra un'interpretazione immaginaria e l'adempimento del proprio dovere. Il che ci riporta al cuore della sua ricerca intellettuale: l'appello che un'opera d'arte completa fa alla personalità incompleta. (tratto da Sechzehntel sind auch Musik di Schmidt)
    Come diceva ai suoi allievi "non puoi impararlo, devi diventare tutt'uno con il pezzo che stai studiando".
    Il senso sintetico di questo era una dicotomia solo apparente, una sorta di Eusebio e Florestan nello stesso pianista, un tizzone infuocato un momento, un razionale e lucido intellettuale nel passaggio successivo.
    Insomma, tecnica digitale raffinata asservita completamente ad un pensiero lucido alla base della "gioiosa" qualità del suo stile musicale che ritroviamo esattamente in ogni registrazione disponibile.
    Per preservare questo spirito, la Fondazione Geza Anda ha istituito il concorso omonimo già a tre dalla morte del pianista.
    Quest'anno si è tenuto il concorso per intero dopo una interruzione per la pandemia. Ha vinto il tedesco Anton Gerzenberg non a caso suonando il concerto n. 9 di Mozart
    ***

    Un Geza Anda pensoso, discute del 2° di Brahms con un sornione Von Karajan
    Questa foto è per me particolarmente significativa perchè sono letteralmente cresciuto con il 2° di Brahms della premiata coppia

    non da meno con il concerto di Gried accompagnato da Kubelik, sempre con i Berliner.
    molto prima di esplorare i già citati concerti di Mozart di cui riporto la copertina originale

    dove Geza Anda dirige il Salzburger Mozarteums dal pianoforte, prima volta per una integrale discografica.

    ma ovviamente Geza Anda si è esibito praticamente con tutti i direttori della sua epoca, da Mengelberg ad Abbado, passando per Kubelik e Fricsay.

    questo non è uno dei miei dischi preferiti, probabilmente perchè Geza Anda non è in copertina insieme a Starker, Schneiderman e Fricsay ma il fatto che sia presente nel triplo concerto di Beethoven ne indica il peso nella sua epoca.
    Ma c'era nella copertina originale del solo Beethoven, quando gli LP non potevano contenere tutto il materiale degli odierni album

    eccolo a destra con la sua immancabile sigaretta in bocca. E' difficile trovarlo - non in posa - che non stia fumando.
    Ma naturalmente nemmeno a me che non gradisco molto Bartòk può sfuggire l'importante di questo capitale volume dedicato ai suoi concerti per pianoforte con Fricsay

    qui con la RSO di Berlino, un disco che per essere superato ha atteso in solitario dominio per decenni.
    Da non dimenticare, ancora con Fricsay, il secondo di Brahms con la Rapsodia di Bartòk

    anche qui riporto la copertina originale del solo Brahms, perchè con la rapsodia di Bartòk il suo concerto poco ci azzecca ...


    Questo disco invece mi è stato regalato da mia madre per il mio 13° compleanno e l'ho conservo anche se ne ascolto solo l'edizione digitale

    Geza Anda, Rafael Kubelik, i Berliner, il mio Schumann ...
     
    Naturalmente ci sono edizioni più rare di riversamenti radiofonici o bootleg meno recenti come questi :


     
    ma senza la magia dei dischi DG.
    Ovviamente sin qui il più famoso Geza Anda dei concerti per pianoforte ma non mancano testimonianze di interpretazioni solistiche, ovviamente.

    le Diabelli, portate con leggerezza e spirito, accentuando la "pedanteria" del valzer originale anche nelle successive variazioni

    la sonata S960 di Schubert
    moltissimo Schumann, ovviamente, di cui era forse il più elegante interprete dei suoi anni

    ma cercando si trova anche Chopin, Ravel, persino Bach e Scarlatti

    Ovviamente qui non si voleva che celebrare il grande pianista a 100 anni dalla nascita, ricordandolo per uno stile unico ed inimitabile anche quando lo stile era una caratteristica che faceva distinguere ogni pianista dal primo accordo, a differenza di oggi dove più o meno tutti suonano allo stesso modo.

    perché quello stile si porta fin dalla nascita ma lo si coltiva ogni giorno dedicandosi anima e corpo alle proprie passioni.
    Grande Geza Anda, ogni giorno con me.

     
     
  17. M&M

    Recensioni : Masterpieces
    Beethoven : i concerti per pianoforte e orchestra
    Giovanni Bellucci, pianoforte
    Sinfonie Orchester Biel Solothurn diretta da Kaspar Zehnder
    Calliope 2020
    Registrazioni dal vivo del 2015-2018 a Bienne, Svizzera, diffusione in formato 44/16
    Ascoltato via Qobuz e poi acquistato per la mia collezione
    ***
    Credo che Giovanni Bellucci sia un pianista di una statura tale che non ha rivali oggi, ovunque si guardi.
    Fa semplicemente classe a se, come Liszt e Busoni facevano ai loro tempi.
    Non ha la classe istrionica di Horowitz né l'ammaliante sensualità di Arthur Rubinstein.
    Nè le idiosincrasie di Glenn Gould.A parte una ritrosia per la registrazione classica.
    Ed è un peccato perchè ogni suo disco è un avvenimento, anche perchè le centellina a cadenze quinquennali.
    Ma se Liszt vivesse oggi e suonasse Beethoven, probabilmente non avrebbe spazio nemmeno lui dopo questa esibizione i cui fortunati presenti in sala da concerto (io non ho mai avuto modo di vedere Bellucci dal vivo) hanno avuto il privilegio di godere.
    Oltre ai cinque concerti qui abbiamo una scelta di cadenze e di code le più varie, riprese con l'orchestra nelle varie performance e in sessioni dedicate in studio (per le cadenze alternative).
    E ci sono cadenze che nemmeno conoscevo, a parte quelle di Beethoven e di Glenn Gould, di Reinecke, dello stesso Bellucci. Ma Berhard Stavenhagen per me è un assoluto sconosciuto,.
    E non ricordavo proprio cadenze di Brahms e di Fauré per questi concerti. Per non parlare di Busoni ...
    Giovanni Bellucci suona con una libertà di eloquio - non direi nemmeno tocco - che lascia senza parole.
    C'è lo stesso genio degli altri compositori nel suo modo di esprimersi.
    La facilità di cambio di passo, di tempo, di dinamica sono sconosciute.
    Ci sono, è vero, rare ottime interpretazioni di questi concerti, ne abbiamo ascoltate negli ultimi tempi.
    Ma sono interpretazioni ordinarie dopo questa ... lettura.
    Per taluni sarà spiazzante. Addirittura eretica. Ma siamo al monumentale, ad uno dei momenti più coinvolgenti del panorama discografico internazionale degli ultimi decenni.
    Non credo di parlare per iperboli. Chiunque ascolti queste pagine rilette da Bellucci capirà, anche se le troverà detestabili.
    Per me oltre che una illuminazione è stato trovare finalmente una alternativa alla mitica edizione di riferimento di Backhaus degli anni '60. Finalmente.
    L'orchestra è possente e Zehnder si pone sullo stesso piano del pianista con una visione assolutamente condivisa.
    Non c'è autoindulgenza e non è un semplice tributo.
    Beethoven stesso si sarebbe maravigliato di questa ... meraviglia.
    Disco dell'anno senza possibilità di confronto, secondo me.
    Registrazioni di ottimo livello con il pianoforte in evidenza ma l'orchestra mai in secondo piano. Un incontro, più che uno scontro, tra titani.
    Bellucci, il Busoni del 21° secolo che spero ci degni di ulteriori prove del suo immenso talento.
  18. M&M
    Girolamo Frescobaidi : lavori per organo e mottetti
    Lorenzo Ghielmi (organo e direzione)
    La Divina Armonia
    Passacaille 2018, 96/24
    ***
    Considero Frescobaldi tra i massimi musicisti italiani di tutti i tempi, ingiustamente poco considerato, e lo capisco, per un repertorio non certo di tendenza.
    Ma la sua musica è ricca e piena di invenzione e di grande influenza per tutti i musicisti della sua era.
    Deve pensarlo anche Lorenzo Ghielmi che ritorna sulle sua pagine dopo quasi 30 anni dalla precedente registrazione della Nuova Era che conteneva il Secondo libro delle Toccate.
    E' più vario questo disco che contiene materiale di varie origini, legato dall'organo quale strumento solista o di accompagnamento.
    In gioventù ho suonato le Gagliarde e in particolare amavo la seconda, semplice, veloce, con il da capo da variare ad libitum.
    Lo fa magistralmente Ghielmi in quello che è certamente il più breve e meno impegnativo pezzo di questa raccolta di circa 75 minuti complessivi.
    Prende vita praticamente dallo stesso tema l'Aria detto balletto, che espande in variazioni per quasi 8 minuti, variando registri e temi.
    Meno impegnativa ma solenne l'Aria "La Frescobalda" la firma dell'autore, famoso per le sue improvvisazioni all'organo in occasioni ufficiali o da solo.
    Semplicemente sublime l'aria a tenore solo "O Jesu mi dulcissime", con l'organo che accompagna quasi sottovoce il canto.
    Si susseguono poi toccate, canzoni, arie intervallate da canti a 2 voci - soprani - o a tre voci - con tenore - accompagnati dall'organo.
    Conclude il disco la breve ma intensissima toccata con pedale - una rarità un organo con la pedaliera a cavallo tra '500 e '600 - che chiude con solennità un disco molto, molto bello.
    Non per tutti e per questo ancora più prezioso.
    Registrazione chiara e lineare, che però richiede di alzare un pò il volume per darle giustizia. Medi solo un pò più in evidenza del necessario.
  19. M&M

    Interpreti
    La clavicembalista Giulia Nuti ha insegnato alla Scuola di Musica di Fiesole, si è esibita come solista e in ensemble e ha registrato per diverse importanti etichette. È anche autrice di un importante libro sulla tecnica del continuo all'italiana.
    E' nata a Cambridge, in Inghilterra, nel 1976 ma è cresciuta a Firenze, mantenendo legami fortissimi con la Gran Bretagna. Ha iniziato a suonare il clavicembalo all'età di dieci anni.
    Ha studiato alla Scuola di Musica di Fiesole e poi alla Royal Academy of Music di Londra. Ha frequentato il Royal College of Music e poi il King's College di Cambridge, studiando organo, fortepiano e clavicembalo.
    Alla King's, ha completato un master, scrivendo una tesi sulla pratica esecutiva italiana nella musica antica per tastiera e ottenendo poi una posizione come insegnante del Queens' College, Cambridge.
    Ha trasformato la sua tesi in un libro, The Performance of Italian Basso Continuo, che è considerato un testo importante nel campo.
    Nel 1999 ha debuttato discograficamente con l'ensemble Modo Antiquo, suonando il clavicembalo nell'album di concerti grossi di Corelli.
    Dal 2007 al 2010, ha lavorato con il progetto Listening Gallery del Royal College of Music, fornendo musica appropriata per mostre storiche.
    Nel 2007 è entrata a far parte del corpo docente della sua alma mater, la Scuola di Musica di Fiesole, dove è rimasta dall'inizio degli anni '20.
    Modo Antiquo é solo uno dei principali complessi di musica antica con cui si é esibita frequentemente; ha suonato anche con Il Pomo d'Oro, Orfeo 55 e l'Accademia di Musica Antica. 
    Nel 2014,  ha pubblicato il suo album di debutto da solista per l'etichetta Harmonia Mundi; Les Sauvages: Clavicembali nella Parigi pre-rivoluzionaria ha ricevuto il Diapason d'Or in Francia.
    Ha ottenuto un altro importante riconoscimento nel settore discografico, il Preis der Deutschen Schallplattenkritik, per il suo album del 2017 Le Cœur & l'Oreille: Manuscript Bauyn, apparso sull'etichetta Arcana.
    Quindi ancora con Arcana nel 2022 con The Fall of the Leaf: English Keyboard Music on the Rucellai Virginal.

    il nuovo disco uscito il 19 gennaio 2024 per Arcana con le partite per cembalo di Bach

    il prezioso disco di musica inglese sul virginale Rucellai del 1575, Arcana del 15 aprile 2022
    Celebrando l'età d'oro della musica per tastiera inglese tra la fine del XVI e l'inizio del XVII secolo, questa antologia personale presenta opere dei più grandi compositori dell'epoca.
    Le accattivanti Pavane e Galliard di John Dowland, trascritte da Martin Peerson e William Byrd, sono punteggiate dalle abbaglianti variazioni di canzoni di John Tomkins, dalle danze vorticose di Thomas Morley e William Tisdall e dagli incantevoli madrigali ambientati da Peter Philips e altri.
    Il magistrale O Lord, in Thee is all my trust di John Amner contrasta con le evocative e tintinnanti variazioni di The Bells di William Byrd, che mettono in mostra i diversi stili di questi compositori.
    Questa registrazione estende l’opera di Giulia Nuti di registrazioni acclamate dalla critica su clavicembali storici; il suo recital solista "Le Cœur et l’oreille" (Arcana, 2017), registrato sul clavicembalo costruito da Louis Denis nel 1658, è stato insignito del "Preis der Deutschen Schallplattenkritik".
    In questa registrazione Giulia suona uno squisito virginale italiano del c. 1575.
     

    Le Cœur et l’oreille" (Arcana, 2017)
    Il Manoscritto Bauyn, una raccolta chiave di clavicembalo e altra musica del XVII secolo, mostra l'influenza di varie scuole di composizione sulla scrittura e sull'esecuzione dei grandi clavicembalisti della metà del XVII secolo.
    La registrazione comprende opere di Chambonnières e Louis Couperin, che mostrano i loro diversi stili che portarono Le Gallois (1680) a scrivere che "uno toccava il cuore e l'altro toccava l'orecchio", così come altri compositori contemporanei come Hardel e d'Anglebert .
    Il clavicembalo Denis del 1658 è lo straordinario protagonista di questa registrazione, in cui Giulia Nuti esplora le capacità espressive di uno dei primi clavicembali francesi a doppia manuale esistenti, mostrando come la raffinatezza strumentale consenta scelte esecutive.
    L'approccio è quello della pluripremiata prima registrazione solista di Giulia Nuti di musica per clavicembalo francese del XVIII secolo, Les Sauvages, registrata sul Taskin del 1788, che ha ricevuto un Diapason d'Or.
    Ascoltando questa musica attraverso la voce del clavicembalo Denis si accede al mondo sonoro a cui questi brani appartengono e dovrebbero essere compresi.

    Les Sauvage (DHM 2014), dedicato ai clavicembalisti francesi pre-rivoluzionari, prendere il titolo dalle variazioni di Jean-Francois Tapray sul celeberrimo brano di Rameaus (Les indes galantes).
     

    filologica nell'insieme la lettura delle sonate per cembalo e violino solo, senza basso, in cui Giulia Nuti accompagna Chiara Zanisi.
    Arcana, ancora 2017
    ***

    la copertina della tesi - trasformata in libro di testo e guida alla prassi esecutiva del Basso Continuo all'italiana - pubblicato da Giulia Nuti in Inghilterra.
     
    Artista estremamente raffinata, interprete coltissima e sensibile, dal tocco leggero e sempre intonato con il testo, didatta apprezzata.
    Una delle più interessanti musiciste italiane specializzate nel barocco internazionale.
    Mi sembrava giusto dedicarle una nostra pagina.

     
  20. M&M

    Recensioni : orchestrale
    John Rutter : Suite Antique
    Philip Glass : Concerto per Clavicembalo e orchestra da camera
    Jean Francaix : Concerto per calvicembalo e ensemble strumentale
    Christopher D. Lewis : clavicembalo, Jack McMurtery, flauto traverso
    West Side Chamber Orchestra diretta da Kevin Mallon
    Naxos 2013, formato CD
    registrato a New York nel settembre del 2012
    ***
    Disco molto particolare che ho ascoltato un innumerevole quantità di volte perchè unisce tre composizioni di autori molto diversi tra loro, attratti dalla possibilità di "ricreare" con sonorità contemporanee l'eredità del concerto per clavicembalo in stile barocco (o bachiano se vogliamo), mantenendone il gusto leggero e godibile.
    La "Suite Antique" di John Rutter apre il disco. Si tratta di una composizione in sei movimenti. John Rutter è uno specialista di musica sacra.
    Britannico, nato nel 1945, ha ricevuto la commissione per questa suite nel 1979 e l'ha risolta come omaggio al Bach dei concerti brandeburghesi.
    Nella realtà il clavicembalo è un comprimario del flauto che porta le melodie principali e la composizione stessa è un sorta di pastiche che richiama tanti stili differenti, alcuni da colonna sonora o jazz.
    La chiusura ricorda un rondeau ma i ritmi sono certamente moderni.
    Segue il concerto in tre movimenti di Philip Glass che è del 2002. Qui il clavicembalo è protagonista incontrastato, sia sul piano sonoro che su quello tematico e con accenni di vero virtuosismo.
    Le sonorità sono morbide ed intonate con il timbro del cembalo usato in questa registrazione.
    Glass si sforza di creare il classico confronto tra soli e tutti, comprendendo in questo gioco (non propriamente contrappuntistico) anche i fiati nel loro insieme.
    Nel complesso si sente lo stile di Glass ma non ossessivamente ... ossessivo come in composizioni più tipiche.
    L'ultimo concerto è del più anziano dei tre compositori rappresentati e la sua carriera internazionale gli ha dato una certa notorietà già negli anni '30 del secolo scorso.
    Due toccate in stile francese, o addirittura nello stile francese di un Bach del 20° secolo. Un minuetto, molto melodico e un finale molto veloce e contrappuntistico.
    Nel complesso la suite di Rutter è un brano un pò "nazional-popolare" (come altra sua musica), molto melodico, il concerto di Glass è di un Glass che gioca a non fare il Glass. E in parte ci riesce.
    Il Concerto di Francaix è certamente la composizione più interessante sul piano compositivo e stilistico che non manca dello spirito francese dei suoi contemporanei come ad esempio Poulenc (che non a caso ha scritto musica per clavicembalo), con momenti di vero umorismo.
    Il clavicembalista Christopher Lequis è un gallese che vive negli USA e che ben si disimpegna in questo repertorio un pò borderline, ben coadiuvato dall'irlandese Kevin Mallon e dalla vivace orchestra di New York.
    Una compagine molto eterogenea ma affiatata alle prese con un repertorio di facile accesso che dovrebbe destare una sana curiosità.
    Registrazione pulita, in stile Naxos, famosa per i suoi prodotti di qualità, molto coraggiosi nelle scelte anche di repertorio generalmente trascurato dalle major e proposto sempre a prezzo accessibilissimo.
  21. M&M

    Recensioni : clavicembalo
    Gradus ad Parnassum - Jean Rondeau, clavicembalo
    Erato 3 marzo 2023, formato 96/24, comprato
    ***

    a leggere il "cosiddetto" programma di questo disco e poi le note del libretto si verrebbe chiamati a comporre il numero del servizio sanitario per far ricoverare il nostro.
    Ma è tutto un sogno come cerca di confessare alla fine il clavicembalista annoiato.
    Che probabilmente dopo aver esplorato tutto il repertorio cembalistico francese e messo in disco tra le più quiete Variazioni Goldberg della storia si è messo a viaggiare con la fantasia, a volte accompagnato da amici del suo corso a volte da solo.
    Come in questo caso in cui si appropria al clavicembalo di composizioni pensate per strumenti che sono nati per superare i limiti tecnici ed esecutivi del suo strumento.
    Ci riesce ? Si, ci riesce benissimo.
    Ma a quale scopo ? Non lo so dire anche dopo veramente tanti ascolti di queste pagine, per lo più notissime.
    Credo che alla fine il solo Mozart sia adeguato all'esperimento, il resto composto prima e dopo lo possiamo considerare una Mission Impossible da cui il nostro agente ritorna senza nemmeno dover distruggere ... il messaggio.
    Bravo, applausi a scena aperta. Probabilmente il troppo studio richiede delle pause ... ? 
     
     

  22. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Grenzgänge: Frescobaldi To Pärt
    Alexandra Sostmann, pianoforte
    Prospero Classical, 15 ottobre 2021, formato 48/24, via Qobuz
    ***

    disco estremamente colto questo Grenzgänge (letteralmente valichi di frontiera) che si sporge su un panorama tastieristico originale, trascritto o riscritto che va dal primo barocco fino ai giorni nostri, da Frescobaldi - capostipite del contrappunto post-rinanscimentale - a Part e Ligeti.

    ci guida la sorridente Alexandra Sostmann che già si è dedicata su disco a voli del genere, partendo da contenuti barocchi per arrivare a rivisitazioni tardo-romantiche o post-romantiche, quando non atonali.
    Ha un tocco clavicembalistico, nitido e trasparente "come cristallo" secondo la recensione di BR Klassik.
    In questo viaggio si parte dalla rilettura opulenta di Ottorino Respighi della passacaglia di Frescobaldi (per organo all'origine) passando per una Canzona arrangiata da Samuil Feinberg.
    Una pausa di questo secolo con il #11 della Musica Ricercata di Ligeti (Omaggio a Frescobaldi, in italiano nel titolo originale) per andare al barocco originale del grande Froberger, allievo di Frescobaldi, di cui il giovane Bach trascrisse di nascosto le partiture nella notte per portarsele a casa nel suo celebre viaggio nelle cattedrali del Nord alla ricerca di ispirazione.
    E poi Bohm, Pachelbel oltre a naturalmente Bach, sia in originale che trascrittore (di Marcello ma solo del ... solito adagio) che trascritto da Feinberg e da Brahms nella celebre ciaccona per la sola mano sinistra.
    In mezzo quella gemma che sono le Variationen zur Gesunding von Arinuschka di Arvo Part (1953 ~200 anni dopo il Clavicembalo ben Temperato).
    Sono ricercari e ciaccone, le forme più raffinate di ricerca polifonica della musica barocca le cui radici risiedono in Frescobaldi e viaggiano nel tempo fino a Shostakovich e oltre, passando per Beethoven e Brahms in veste di fuga e fugati.
    Per la raffinata interprete è un viaggio tra mondi apparentemente distinti i cu confini invece diventano facili da varcare attraverso il suo portale pianistico.
    Grazie al gusto gentile e delicato di Feinberg in particolare ma anche di Brahms, che abbassò la ciaccona di una ottava per renderla più confortevole alle particolarità del suo pianoforte.
    Busoni avrebbe stonato in questa gamma di tonalità trasparenti mentre le apparenti lontane variazioni di Part con le loro inversioni e sfumature tra il basso e la voce ci stanno perfettamente.
    Registrazione di gran classe per un disco che consegno alla vostra curiosità (ma voi sapete quanto per me questa musica sia preziosa, una pagina più di tutte le mazurke, walzer e notturni del mondo).
  23. M&M

    Rock
    Greta Van Fleet : Starcatcher
    Republic Records, 21 luglio 2021, via Qobuz in 96/24
    ***
    Largamente anticipato, anche con singoli lanciati negli ultimi tre mesi.
    Il terzo disco dei Greta Van Fleet non si può ascoltare una sola volta.
    La prima volta sembra che Jon Anderson sia rimasto appeso ad un Oceano Topografico del 1973 e cerchi aiuto.
    Esaurito il deja vu viene voglia di riascoltarlo.
    E come per il disco precedente, ti prende.
    Fino a diventare esplosivo.
    In un certo qual modo i tre fratelli Kiszka del Michigan con il loro amico Danny Wagner, tornano alle loro origini, quali che siano.
    E se Plant e Page restano nell'aria, veniamo proprio invitati in un tempio dedicato alla conservazione del progressive. Nel 2023 !
    Solo che Josh canta come se facesse assoli di chitarra e quando non ci arriva, improvvisa con l'armonica. Mentre il suo gemello Jake fatica a stargli dietro.
    E' una scalata verso qualche cosa che è più di un revival, in 42 minuti senza l'aiuto di lunghe ballate sinfoniche (21 minuti meno dell'album del 2021, decisamente più "psichedelico" e un filo più "fanfarone"), con brani brevi e secchi.
    Il loro sound è diventato decisamente più maturo. Il disco ha richiesto due anni. Probabilmente troppi ... perché in certi momenti si nota un eccesso di sofisticazione (riverberi, distorsioni) che fanno apprezzare di più le loro performance dal vivo, decisamente più genuine e dirette.
    Il disco è registrato decisamente forte e il volume di suono non fa certo rimpiangere nulla.
    Fin dal pezzo d'inizio "Fate of The Faithful" per arrivare al "Farewell" finale, una sorta di sospensione in attesa del prossimo passaggio evolutivo.
    Passando per puro rock come The Falling Sky o Frozen Light, inframezzati senza respiro da The Indigo Streak.
    Non ho capito chi sia il "Master" che devono o dovremmo incontrare ma i testi certamente fanno pensare che abbiano trovato un taccuino dimenticato del già citato Jon Anderson.
    In conclusione e in attesa del loro ritorno dopo la tourné in corso, avviatasi in questi giorni e che toccherà anche l'Italia in novembre, una prova estremamente convincente che vi invito ad ascoltare.
    Una volta. E poi un'altra volta. Per tornarci poi qualche giorno dopo. Se avete passato da tempo gli 'anta come me, qualche cosa alla fine sentirete. Vi sentirete vivi.
    Bravi !
     


  24. M&M
    La musica occidentale si basa sul contrappunto, che è nato in età gregoriana e ancora non è tramontato.
    Ogni genere musicale passato e recente deve il suo tributo al contrappunto.
    Che nella sua forma evoluta, ha costituito - sia nella musica colta che nel folk, nel rock, nel jazz - la base strutturale per ogni compositore.
    Per Bach, come per Schonberg. Per Henry Purcell come per John Lennon, che hanno radici comuni più di quanto non si possa dire.
    Nella musica popolare inglese il contrappunto è comune, da almeno 5 secoli.
    Cose come il round, il canone, la fuga e le variazioni e il riff sono la musica. Così come i ritornelli, l'aria con il da capo. Il recitativo che potrebbe essere considerato la forma nobile del rap, al di là di linguaggio, scopo e contenuti molto, molto differenti.
    Questo panegirico per introdurre un disco, il secondo di una formazione americana che ha fatto parlare di se fin dall'esordio. Non per la loro musica, o almeno, non solo, ma per il politicamente corretto applicato alla musica.
    Max Reger e Marco Enrico Bossi scrivevano ad inizio '900 musica per organo alla maniera di Bach, con strumenti moderni e un linguaggio più aggiornato. Certo Bach è Bach, oggi come allora.
    Ma se Bach fosse vissuto 350 anni come avrebbe fatto evolvere la sua musica ?
    Robert Plant e Jimmy Page hanno rivoluzionato il mondo musicale moderno a cavallo del 1970. Ma la loro parabola è durata pochi album. E adesso, che vanno per gli ottanta anni suonati l'uno, non è che se ne siano discostati molto.
    Ai Greta Van Fleet viene caricato l'onere di dover rinnovare il linguaggio musicale. Come se per ogni generazione ci fosse un Beethoven o un Michelangelo. No, non è così, purtroppo ... o per fortuna, perché forse saremmo schiacciati da troppo genio che è bene poter assaporare poco per volta.
    Se ancora oggi Led Zeppelin IV viene considerato per quello che è stato ed ha rappresentato non è un caso.
    Ma nessuno è andato oltre, io credo, per quanto poco ne so di questa musica.
    Perchè dovrebbero esserne in grado i fratelli Kiszka ?
    Ma se non possono "salvare la musica" (da cosa, poi ?) come qualcuno si aspettava, perchè mai non dovrebbero suonare la loro musica, onorando con onesti e sofisticati tributi i loro miti ?
    Che sono i miti di tutti noi, più o meno, anche se abbiamo qualche annetto in più.
    ***
    E' uscito il 21 aprile 2021 il nuovo album, il secondo di questa band.

    la copertina del disco, il titolo ... ok, ci siamo capiti.

    la versione extended, di importazione giapponese come si faceva una volta per i grandi, che contiene anche due brani live
    E' un disco registrato in studio che contiene 14 tracce per un totale di un'ora e 14 minuti di musica.

    Il "peccato" di questo disco è di non essere del tutto lontano da quello di esordio.
    Jake Kiszka continua a suonare come se fosse Jimmy Page e Josh Kiszka continua a cantare come se fosse Robert Plant.
    Alle prime note del primo brano pare di ascoltare Rick Wackeman all'organo Hammond.

    Broken Bells ha la stessa struttura di Stairway to Heaven.

    Gli ultimi 4 minuti di The Weight of Dreams sono un assolo di chitarra con evidenti richiami a chi sappiamo.
    Ma già il riff iniziale è programmatico.
    Ma questi 8 minuti e 50 secondi valgono già il prezzo del biglietto.
    Questi ragazzi suonano maledettamente bene. In alcuni momenti riescono ad essere trascinanti.
    Mantenendo per tutto il disco una coerenza con se stessi che secondo me rende abbastanza superfluo tacciarli di plagio o classificarli all'interno del mero revival.
    Di cover band ce se sono tante. Ma non vanno oltre quello che fanno i tanti Elvis che si esibiscono nei locali di Las Vegas.


    Ok, i Greta Van Fleet non sono del tutto originali. I testi sono infantili. I contenuti si limitano al patinato e non urlano proteste.
    Ma diamine, siamo nel 2021, non nel 1971. Non c'è l'effetto Vietnam anche se dal Vietnam di ... Vietnam ne abbiamo visti di più e anche di più efferati.
    Mi ripeto, se anche Plant e Page non trovano nulla da dire oltre la magia ... irripetibile di quei magnifici anni, perchè qualcun altro dovrebbe poterlo fare ?
    Conoscete un nuovo Beethoven o un nuovo John Lennon (giusto per nominare due che sono inequivocabilmente morti) ?
    Però se non l'avete fatto, ascoltate un paio di volte di seguito questo disco.
    Poi riprendete un disco dei Led Zeppelin, o degli Yes. Di allora o di oggi.
    E ditemi chi vi sembra più originale, o datato.
    O quello che volete voi.
    Questa é musica. E gli eredi di Sebastian Bach, non hanno fatto causa a quelli di Dimitri Shostakovich perchè i preludi e fuga per pianoforte "ben temperato" del russo del 1950 tributavano, a Lipsia, 200 anni dopo, gli onori al sommo vate della musica occidentale.
    Se la pensate diversamente ditelo liberamente. Ma prima meditate bene se non state semplicemente invecchiando male, ricordando un'era che sembra mitica solo perchè eravate giovani. E per questo, come gli anziani del Pianeta delle Scimmie, vi scandalizzate e gridate al plagio. Al rogo.
    ***
    63 minuti di musica non possono essere tutti allo stesso livello. Del resto gli album più mitici della storia del progressive rock, raramente superavano i 40 minuti. E quando lo facevano forse erano dei mattonazzi come Tales from Topographic Oceans degli Yes.
    Ma comunque l'ascolto è sempre di qualità.
    Sopra tutti : The Weight of Dreams, Age of Machine, Heat Above, Caravel, The Barbarians
     
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