Vai al contenuto

M&M

Amministratori
  • Numero contenuti

    42.383
  • Iscritto

  • Ultima visita

  • Giorni Vinti

    1.162

Tutti i contenuti di M&M

  1. Per la suite di Parry consiglio in alternativa questo disco del 1993 : molto interessante e frizzante e che contiene musica effettivamente per orchestra d'archi (e probabilmente il disco vale per le due meravigliose composizioni di Frank Bridge che la precedono). Mentre chi volesse realmente capire cosa sia la sonata per organo Op. 28 di Elgar, potrebbe essere catapultato in età edoardiana dall'organo della Cattedrale di Westminter in questa bella edizione Meridian del 2010 che contiene altri interessanti esempi tipicamente elgariani di musica organistica, molto solenne e degni di colorare l'incoronazione del nuovo Re.
  2. British Music for Strings I Parry, Elgar, Jacob Sudwestdeutches Kammerorchester Pforzheim diretta da Douglas Bostock CPO 8/1/2021, formato CD, via Qobuz *** Trovo semplicemente deliziosa la An English Suite di Charles Parry che qui apre questo primo volume di quella che sembra una raccolta di dischi di musica inglese per orchestra d'archi. E' realisticamente una suite con tanto di minuetto e di sarabanda ma vicina ad una vera e propria sinfonia per archi. Qui è ben resa anche se conosco edizioni anche più frizzanti. Credo che comunque rappresenti bene lo spirito veramente britannico di questa composizione (scritta durante la guerra tra il 1914 e il 196) Segue una versione per orchestra d'archi scritta da Hans Kustovny della sonata per organo Op. 28 di Edward Elgar (1895). Si tratta di un arrangiamento tedesco contemporaneo (2006) di una composizione classicamente inglese. E' mantenuta l'atmosfera tranquilla dell'originale ma se con l'orchestra d'archi guadagna la tessitura della trama musicale, si perde l'immanenza organistica. Il risultato è interessante ma un pò criticabile. La sinfonia per archi di Gordon Jacob è il più recente dei lavori presentati in questo disco (1943). E' musica "tedesca", nel senso della tensione contrappuntistica, specie nel terzo movimento, tutto fatto di fugati ed abbastanza vivace (non proprio "molto vivace" come indicato dall'autore) e viene dopo due movimenti andanti, piuttosto desolanti. Probabilmente ispirati dal tempo di guerra. Nel complesso, probabilmente il brano più impegnato e tecnico dei tre ma il meno piacevole da ascoltare (tranne, appunti, gli interessanti fugati finali, molto tecnici ma poco musicali alla fine). Questo disco mi pare interessante ma un pò "freddo" e non troppo coinvolgente. Anche il suono degli archi è un pò freddo (ascoltato sia nei diffusori che in cuffia elettrostatica) e probabilmente questo non aiuta a convincere di più l'ascoltatore.
  3. Beethoven I Concerti per pianoforte e orchestra Ronald Brautigam, fortepiano Die Kolner Akademie diretta da Michael Alexander Willens Bis 2019, formato 96/24 *** Il fortepiano non è uno strumento antico, non è un clavicembalo, è il primo tipo di pianoforte. Nato in Italia nel 1710 era caratterizzato sin dall'inizio dalla percussione delle corde al contrario degli altri strumenti a tastiere che invece pizzicavano le corde per ottenere il suono. Era costruito con una cassa di legno e fino alla prima metà del '800 è stato lo strumento di elezione dei musicisti europei. Già Bach apprezzo i fortepiani Silbermann di Berlino di cui Federico di Prussia aveva una collezione nelle sue residenze. Ma poi Mozart, Haydn e naturalmente Beethoven che pensò tutta la sua musica al e per il fortepiano. L'evoluzione con cassa interna in ghisa, l'allungamento della coda, corde più lunghe, spesse e tese, migliori sistemi di percussione portarono - ma solo nell'ultima parte della sconda metà dell'ottocento, al pianoforte che conosciamo oggi. Che solo nel '900 è diventato capace di intrattenere sale da concerto molto grandi ed assorbenti. Insomma, senza il fortepiano non ci sarebbero i fantastici Fazioli di oggi. E nemmeno tutta la musica per pianoforte del periodo classico e romantico. Il pianista olandese (classe 1954) Ronald Brautigam non è il primo ad usare il fortepiano (naturalmente ha un trascorso discografico e di performance con il pianoforte) ma è il primo (credo) a completare le opere di Beethoven a quello che era lo strumento di Beethoven. Dopo le sonate e tutte le variazioni è adesso il momento dei concerti. E intanto lo stesso Brautigam ha assunte anche l'aspetto ... di Beethoven. Ronald e Ludwig Brautigam al fortepiano in concerto solistico. Lo strumento usato per i primi tre concerti è un Paul McNuty del 2012, costruito sul modello originale Walter & Sohn del 1805. Anton Walter era il più famoso costruttore di fortepiano della sua epoca. I suoi strumenti erano molto costosi ma tra i suoi clienti annoverava Mozart, che comprò il suo fortepiano nel 1782 e Beethoven che ne acquistò uno a buon prezzo nel 1802. Si tratta di uno strumento in noce di 221 cm e circa 97 chilogrammi con la cassa alta solo 32cm. Per il 4° e 5° concerto invece Brautigam è costretto ad usare uno strumento più pesante del 1819, di Conrad Graf, lungo 240cm, alto 35 e del peso di ben 160 kg. Questo era il fortepiano di Beethoven, di Chopin, di Robert e Clara Schumann, di Liszt, di Mendelssohn e di Brahms. Bene, fatte queste premesse, come sono questi dischi ? Appena fatto l'orecchio alla pressoché mancanza di bassi del fortepiano e ad un suono più brillante e molto meno potente di quanto siamo abituati si comincia ad apprezzare l'equilibrio tra il solista e l'orchestra. La tessitura complessiva è più chiara, la tonalità complessiva lo è. Bratigam suona in modo molto brillante, specialmente nei primi tre concerti. Più ampolloso e più autoindulgente - come è giusto - negli ultimi due. E a me viene naturale immaginare che davanti a me ci sia lo stesso Beethoven ansioso di mostrarmi come sentiva lui le sue creature. Il risultato è estremamente convincente e questa, nel suo complesso, mi sembra una delle più belle interpretazioni di questi concerti degli ultimi anni. In una parola illuminante. Anche l'orchestra è molto brillante ma nel complesso leggera. Giustamente in equilibrio acustico con il solista. Certo da ascolto ravvicinato (come con i miei monitor) perchè in una sala delle nostre credo che in fondo non arriverebbe molto del volume complessivo. La registrazione nel suo complesso è chiara per non oscurare il pianoforte che si staglia perfettamente in mezzo all'immagine. - segnalo della stessa serie sempre da Bis e consigliatissimi : che costituiscono adesso un unicum complessivo sul Beethoven originale (non necessariamente filologico, qui in fondo c'è solo lo sforzo di ristabilire i volumi e i suoni originali ma la prassi esecutiva è quella moderna cui siamo abituati, almeno quando il solista si mette al servizio della musica con amore, passione, vicinanza con la partitura originale.
  4. Clara, Robert, Johannes : Darlings of the Muses Schumann : Sinfonia n. 1 Clara Wieck Schumann : Concerto per pianoforte e orchestra Op. 7 Johannes Brahms : Sinfonia n. 1 Gabriela Montero : 5 improvvisazioni Gabriela Montero, pianoforte Alexander Shelley alla testa della Canada's National Arts Centre Orchestra Analekta 2020, via Qobuz Streaming *** Segnalo questo disco principalmente per l'interpretazione che non esito a definire straordinaria di Gabriela Montero del bel concerto di Clara Schumann. E' un concerto semplice, a prima vista banale che è facilissimo banalizzare con l'interpretazione. Ma il sangue latino qui ci mette la differenza e ne viene fuori una interpretazione realmente fuori dal comune. Sono anche molto interessanti le 5 improvvisazioni della stessa pianista che separano il concerto di Clara dalle sinfonie n. 1 di Robert e di Johannes che iniziano e chiudono il disco. Le due sinfonie sono tese e intense allo stesso modo. Specialmente quella di Brahms, roboante e veloce sin dal primo rullo di tamburi. Se avete in mente Furtwangler o Bruno Walter .... ecco, l'opposto, secondo lo stile corrente di rilettura di Brahms, posto anello del Nibelungo. Si vede l'intento complessivo dei curatori del disco che tessono il legame tra i tre amici sul piano spiccatamente sentimentale. Buon suono, ampio e definito con un pianoforte e in generale tutte le voci soliste ben chiare ma senza sembrare ingigantite ad arte. Peccato che Qobuz non offra il libretto di questo disco perchè mi sarebbe piaciuto leggere il punto di vista degli interpreti. Rimarco ancora una volta la presenza e il valore di Gabriela Montero, una delle pupille di Martha Argerich che l'ha valorizzata a Lugano (ricordo una memorabile sonata per violoncello e pianoforte di Frank Bridge con Capucon che è sicuramente la mia preferita) Un disco che vi consiglio caldamente. Applausi, specialmente per il terzo movimento del concerto di Clara, emozionante e anche per le cinque improvvisazioni ben costruite ai confini tra i tre straordinari compositori qui rappresentati.
  5. Beethoven : Concerti per pianoforte e orchestra n.1 e n. 4 Martin Helmchen, pianoforte Deutches Symphonie-Orchester Berlin diretta da Andrew Manze Alpha 2020, formato 96/24 *** ci sono occasioni in cui la visione comune di due artisti che vedono allo stesso modo quello che stanno suonando fa la differenza. Come il caso di Backhaus con Hans Schmidt-Isserstedt, di Pollini con Addado, di Horowitz con Toscanini, di Van Cliburn con Fritz Reiner. Conta poco se ci sono altre edizioni, altri momenti più alti, altri dettagli. Il risultato si sente, si vede, si tocca. La foto qui sopra lo dimostra. E le seguenti di più Questo secondo disco - già mi era molto piaciuto quello con il 2° e il 5° che però non sono i concerti di Beethoven che mi piacciono di più - aggiunge una dimensione superiore. Perchè è passato più tempo. Perchè i concerti sono più belli o forse più adatti all'indole introversa dei due interpreti. Il primo è rotondo come deve essere. Il secondo intimo, come deve essere. I silenzi, i neri tra le note, eloquenti. L'atmosfera tesa ma rilassata allo stesso tempo. Il piano ha un suono e una calma olimpica che ricordano il miglior Curzon. Ogni nota è quella giusta. Ogni sottolineatura dell'orchestra è quella giusta. E il pianoforte risponde perfettamente a modo. Helmchen non è un pianista che ha bisogno di dimostrare di essere meglio di quello che sembra. E'. Complimenti ad Alpha che ha messo insieme questa coppia. Grande suono, degno di questa eccellente prova.
  6. Brahms : concerto per pianoforte e orchestra n.1 /Pezzi per pianoforte op. 118 Sunwook Kim, pianoforte Staatskapelle Dresden diretta da Myung-Whun Chung Accentus Music, giugno 2020, formato 96/24 *** The South-Korean Brahms Connection Non solo i due eminenti interpreti ma il disco è stato anche sponsorizzato da Hyundai e l'occasione è nata durante un tour in Korea del Maestro Chung con Kim, dove hanno suonato per la prima volta questo concesto. Nel libretto c'è una intervista a Sunwook Kim che dichiara il suo amore sconfinato per Brahms e in particolare per questo concerto, appassionato e appassionante. Dolore, nostalgia, solitudine. Giustapposto ai sei pezzi per pianoforte dell'Op. 118. Il giovane Brahms e il vecchio Brahms. Devo ammettere che l'approccio iniziale, sia sinfonico che solistico è ... all'opposto del mio. Lento, compassato, probabilmente anche troppo rispettoso. Fino al minuto 11:16 quando Kim si lascia andare e comincia a trillare con forza. L'orchestra resta mite e poco aggressiva. E, maledizione, riesce a rallentare di nuovo il solista che invece dovrebbe sentirsi libero di sparare. Come fa qualche battuta dopo. E finalmente le cose cominciano a raddrizzarsi come in certi concerti iniziati male per la freddezza del pubblico. Ecco comparire finalmente Brahms. Il finale del primo movimento si riscatta quindi con fraseggi ampi, più dinamica ma un tono di dolcezza di fondo che resta sconfinato. Del resto la registrazione è avvenuta dal vivo nella Mendelssohn Saal di Lipsia, dove fu eseguito per la prima volta il concerto di Schumann. Ci sta. Il lirismo dell'adagio centrale introduce il piano che resta di incedere leggero e tutto il lungo intermezzo è improntato di una dolcezza infinita. A tratti ricorda Chopin ma senza quella brillantezza. Non nascondo che l'ho trovato piuttosto pesante. Per fortuna il Rondò finale risveglia il pubblico e questo risulta in definitiva il movimento che preferisco di questa proposta. Sempre non eccessivo e senza esagerazioni ma ci siamo. Il pianismo di Kim è tutto sussurrato e in ogni momento si possono sentire le singole dita in azione. Nonostante tutto il suo amore per il concerto, credo che Sunwook Kim si trovi decisamente più a suo agio con il feeling dei sei pezzi op. 118. Dolcezza e tocco leggero ben si addicono a queste atmosfere. Nel complesso, non è il mio Brahms, io lo preferisco più virile, anche quello della maturità. Ma è una proposta comunque interessante. Buona registrazione senza un rumore di fondo nonostante la ripresa dal vivo
  7. Johannes Brahms : Sinfonia n. 1, Ouverture Tragica Orchestra del Gewandhaus di Lipsia diretta da Herbert Blomstedt Pentatone 2020, formato SACD/HD *** le parole del 93enne Blomstedt sono scritte nel giugno scorso e si augurano che questa musica luce nell'anima umana (citando Schumann, mentore di Brahms), in questo momento difficile per l'umanità. Ed è molto umana, dolce e "alleggerita" delle complessità della mente e dell'animo brahmsiano questa lettura di Blomstedt che si avvale di una compagine con cui si è trovato centinaia di volte e che conosce questa musica da generazioni. Passo lento ma alle volte più spedito, fraseggio ampio, equilibrio assoluto tra le parti. Oserei dire antiretorico. Nient'affatto quella sciocca 10a sinfonia di Beethoven con cui questa sinfonia è stata bollata per oltre un secolo. Si, certo, l'atmosfera resta quella di una tempesta che ha uno sviluppo tormentato. Ma tra suoni umani, non lo stridio dei flutti. Lo si vede perfettamente nell'andante ma soprattutto nell'allegretto che sottolinea la parola "grazioso" del titolo. E anche il finale, grandioso ma non sopra le righe, ci fa vedere la tempesta già ben scemata già alle prime note. L'orchestra si conferma straordinaria - resta tra le compagini migliori al mondo, ben più di altre meglio celebrate - Ci spiegherà il Maestro la scelta dell'Ouverture Tragica nel finale e non all'inizio di questo programma Live registrato circa un anno fa - e quindi ben prima dei drammi del Covid - ma è più ouverture che tragedia. In fondo ci sta. Ma forse il Coriolano di Beethoven a questo punto sarebbe servito meglio a rendere un messaggio diretto. Non sarebbe stato nello stile del mite Blomstedt. Quindi va bene così. Registrazione eccezionale, come da routine per chi ha inventato il SACD. *** Nota a margine. C'era bisogno dell'ennesima 1a di Brahms diretta da Blomstedt nel 2020 ? Ce ne sono così e secondo me, oramai si dovrebbe andare per valore aggiunto, quando c'è molta musica semisconosciuta che andrebbe meglio valorizzata. Ma chi sono io per dirlo ? In fondo bastano gli ottoni e le percussioni della Gewandhaus che aprono la strada agli accordi dei bassi nel più straordinario tema (il finale) mai scritto in una sinfonia romantica. Quando persino il compassato direttore si lascia andare al ritmo coinvolgente della musica di Brahms.
  8. Beethoven : sinfonie n. 1,2, 3 Barry : Beethoven, Piano Concerto Britten Sinfonia diretta da Thomas Adés Signum Classics 2020, formato 192/24 *** Credo che per quanto mi sia detestabile come compositore, Thomas Adés sia un eccellente direttore d'orchestra Non condivido per nulla la scelta di mettere le prime tre sinfonie di Beethoven insieme a spazzatura del calibro di quella scelta in questo disco ma la direzione di Adés è di primordine. Restando in casa inglese, bisogna tornare al giovane (perchè quello vecchio ... te lo raccomando !) Simon Rattle per ascoltare qualche cosa di così gajardo, frizzante, originale, personale. Non a caso Sir Simon l'ha tenuto a battesimo in tempi non sospetti e se il Thomas Adés compositore a me da fastidio, il direttore d'orchestra invece sa il fatto suo. La mia cartina di tornasole è sempre la terza sinfonia. La sinfonia delle sinfonia. Il punto di svolta, the turning point per restare in casa d'Albion. Qui cè vita, per fortuna. E con una formazione così vivace come la Britten Sinfonia, perbacco, non ci vuole una pinta di birra rossa, si fa musica per davvero. Il primo tempo scorre come un direttissimo che non fa fermate. La Marcia Funebre è tutt'altro che soporifera come quella di certi tedeschi che vanno per la maggiore. Lo scherzo è inarrestabile. E le variazioni del finale, sono fuochi d'artificio per il compleanno del re ! Sullo stesso piano le altre due sinfonie, certo più facili. L'orchestra è eccellente, il direttore il meglio che England offre. Forse il mio riferimento al momento, per le tre sinfonie prese nel mazzo. Che vogliamo di più ? Niente, va bene così. Registrazione piena di dinamica con bassi fragorosi e archi chiarissimi. Disco del mese di aprile, per quanto mi riguarda.
  9. Beethoven : Concerti per pianoforte e orchestra n.1 e n. 2 - Rondò in SIb WoO 6 Boris Giltburg, pianoforte Royal Liverpool Orchestra Vasily Petrenko Pianoforte Fazioli # 2782273 Registrazione del maggio 2019 Naxos, formato 96/24 *** E' un fiorire di edizioni dei concerti per pianoforte di Beethoven. Non che ce ne sia bisogno, abbiamo decine di edizioni di riferimento dei più grandi pianisti della storia. Ma è giusto che ogni interprete si cimenti con questi capisaldi della letteratura tastieristica. Qui abbiamo due musicisti di primordine, Boris Giltburg e Vasily Petrenko che mostrano una buona intesa e propongono un risultato di buon livello. Boris suona uno dei possenti Fazioli presenti in Inghilterra. L'orchestra di Liverpool ha una articolazione perfetta per Beethoven sotto il bastone di Petrenko. Ci sono tutti gli ingredienti giusti per una ricetta perfetta. E le aspettative suggerite dal duo sono tante. Il risultato ? E' effettivamente perfetto. Forse un pelo troppo perfettino, insomma. Un confronto rapido con la mai perfetta Martha Argerich del 2017 con il compassato Ozawa alla guida della Mito Chamber Orchestra ci mostra che, ad esempio, si possono pareggiare i tempi del rondò del primo concerto ma proponendo musica di tutt'altra verve. Cosa manca insomma perchè una performance diventi un disco perfetto ? Un filo meno di autoindulgenza, forse, meno attenzione al suono prodotto e un pò più alla musica. Brendel diceva che Mozart è facile da suonare ma è ben difficile da suonare veramente bene. Questi due concerti (e il rondò senza numero d'opera selezionato da GIltburg per cui usa anche una sua cadenza) sono i cavalli da battaglia del Beethoven che si fa strada attraverso la Germania verso Vienna, per conquistarsi la fama di solista prima che di compositore. Sono brillanti. Sono personali. Richiedono ardore e anche la necessità di prendersi dei rischi. Che qui in tanti passaggi mancano. Beninteso, il livello è altissimo. Ma il Giltburg del 2019 ci ha viziati con un Rachmaninov sensazionale. E le nostre pretese sono cresciute. Ci risentiamo al prossimo disco con il pianismo più eroico del Beethoven Napoleonico ? Delizioso il Rondò, con quel misto tra lezioso e spavaldo che ci vuole. Vale tutto il disco (ma ripeto, nei due concerti la performance è tutt'altro che insufficiente .. é che vorremmo ... di più !). Ma anche qui con tempi più lenti di quanto avremmo desiderato (confronto con Brautigan, Kodama ma anche con il Richter maturo). Più coraggio Boris. Più ardore. Con Beethoven bisogna correre sulla fune. Alla prossima
  10. Robert Schumann : Sinfonia n.2, Sinfonia n.4, Ouverture Genoveva London Symphony Orchestra Sir John Eliot Gardiner LSO 2019, 96/24 *** Lo scorso aprile Sir John ha compiuto 76 anni. Per la prima volta nella sua storia il Monteverdi Choir e la English Baroque Soloists hanno assunto un direttore vicario stabile. Forse (anche) per liberarlo dalle sue incursioni alla guida della LSO, come decano dei direttori inglesi ancora in attività. Ma la freschezza della sua "riscoperta" del repertorio romantico che sta ripercorrendo per intero per almeno la seconda volta a distanza di un ventennio dalle registrazioni con la DG/Archiv sembra quella del ventenne. Dopo Brahms e Mendelssohn, è la volta di Schumann. Questo é il primo disco, il secondo comparirà ad inizio 2020. La sua lettura è quella integralmente fedele al testo originale, specie nella Quarta Sinfonia che è la stesura del 1841, quella preferita da Schumann e da Brahms che ne curò la stampa nel 1891. E senza le incrostazioni novecentesche, le riorchestrazioni mahleriane, la liturgia della seconda metà del novecento, la musica e le idee di Schumann appaiono per quello che erano a Robert e a Clara alla prima rappresentazione. E che a Clara e a Robert ... non erano piaciuti. L'aneddotica di questa edizione parla di un Gardiner che ha convinto i musicisti a suonare stando in piedi per sentirsi più uniti tra loro. Come sia, conta il risultato. La tessitura delle parti si sente chiaramente. Hanno senso anche i movimenti denominati in italiano (nella seconda stesura Schumann userà per la prima volta le dizioni in tedesco). Ritmo, velocità, leggerezza sono quelli tipici di Gardiner e non necessariamente quelli di una grande orchestra tradizionale come la London Symphony. Servono un paio di ascolti per capirlo. Ma poi diventa immediata l'immagine che viene resa. Ricordiamoci che all'epoca della prima al Gewandhaus (non so se in presenza di Mendelssohn) Brahms aveva solo 8 anni, mentre si tende un pò comunemente a "brahmsizzare" queste pagine nelle esecuzioni correnti. E' musica che vive di situazioni, di immagini, non del tutto legate tra loro. Frasi e frammenti. Esplosioni. Come nel finale della Quarta, epico, con gli echi dei corni inglesi e poi degli ottoni tutti, ben più che segnali per Sigfrido. Al limite del commovente l'inizio della Seconda. Arrembante il seguente scherzo, reso con grandissima dinamica. E l'adagio non è più mahleriano ma il lamento liederistico di Schumann. Bellissimi i legni e sempre sostenuta la forza dei bassi. Esplosione di felicità nel finale dove gli archi si inseguono tra loro tra il fraseggio di legni ed ottoni e timpani. Due parole per l'Ouverture Genoveva eseguita abbastanza raramente che inizia questo disco, anzichè chiuderlo per riempirne il programma. Struttura, brillantezza della composizione, tessitura, gioco tra archi e ottoni, è perfettamente coerente con le due sinfonie. L'opera completa è degli anni successivi. Ed è tanto lontana dal Wagner coevo (Rienzi, Olandese, Tannhauser : Richard si trovava a Dresda in quegli stessi anni, tra Lipsia e Dresda ci sono solo 121 km). Insomma, veramente un bel disco che sono certo verrà completato allo stesso livello con la prossima registrazione. Come già fatto con Schumann. Bella registrazione di sala, suono terso, con dinamiche corrette, senza eccessi
  11. Mark Sutton a Silverstone D6 e 180-400/4 come sistema standard
  12. Si ma guardati bene dallo stamparli ! Inglese Italiano Guida di riferimento online in italiano PS : raccomandazione per l'ambiente : non stampate inutilmente i manuali, consultateli online quando vi serve
  13. M&M

    Nuova Nikon Z fc

    Anche noi siamo stati contattati in tal senso. Devo dire che il servizio è impeccabile, peccato che non abbiano prodotto abbastanza pezzi per accontentarci subito. Aspetteremo.
  14. La dimensione del file è una questione geometrica e di numero di fotogrammi. Quindi più è denso il file, più è pesante. Ma qui parliamo di surriscaldamento durante la ripresa con la macchina che va in protezione e si spegne dopo pochi minuti. La Z50 non alcun problema del genere.
  15. La penso allo stesso modo, specialmente considerando che queste "macchinette" (tutte, non solo le Nikon) non sono strutturate per lavori di questa entità elaborativa che dovrebbe essere riservata solo ai pesi massimi con adeguata ventilazione e capacità dissipativa. In alternativa ci sono le macchinette con sensori da 1'', 1/2'', 1/4''.
  16. Mi informano dall'assistenza che l'ultimo firmware "dovrebbe" aver risolto questo problema : motivo per cui ribadiamo il concetto : fate sempre gli aggiornamenti dei firmware anche quando sembrano superflui ...
  17. In relazione a perplessità simili espresse dai fotografi Canon circa la velocità di autofocus dei nuovi 400/2.8 e 600/4 RF - che peraltro sono del tutto identici alla versione EF con l'aggiunta di un anello di conversione EF->RF integrato - Canon ha anticipato che la Canon EOS R3 offrirà un livello di potenza (leggi : batteria a 10.8 V) che consentirà migliori prestazioni indotte di questi superteleobittivi. CVD salvo verifica in casa Nikon.
  18. Mozart : Concerti per pianoforte e orchestra (d'archi) K413 n.11, K414 n. 12, K415 n. 13 (cadenze di Alexander Schimpf ispirate a Mozart) Alexander Schimpf, pianoforte Bayerische Kammerphilarmonie diretta da Gabriel Adorjan GEMA 2020, via Qobuz streaming unlimited *** Concerti celeberrimi, qui ripresi nella stesura "autorizzata" dallo stesso Mozart per pianoforte e soli archi. E quindi senza fiati, protagonisti nelle altre edizioni che conosciamo di coloriture e abbellimenti. Il risultato è naturale e se vogliamo ancora più equilibrato. Questi sono i concerti di transizione prima di quelli finali cui si deve la fama del Mozart pianista e direttore. la scelta del pianoforte con un suono se vogliamo un pò "leggero" rispetto ai soliti grancoda Steinwey ha stemperato ancora di più il dualismo tra le parti. La compagine al completo (in questi concerti però mancano del tutto i fiati). Con il leader, primo violino in mezzo. Schimpf è un mozartiano nato e qui si è divertito anche a comporsi le cadenze. In questi anni stiamo assistendo ad ogni sorta di esperimento su questi ed altri concerti che io conosco fin nelle più minute pieghe del fraseggio. E' difficile trovare qualche cosa di nuovo e quando mi capita, mi sembra di vedere un panorama noto da un'altro punto di vista, un'altra finestra. Per fortuna c'è ancora chi vuole mostrarsi vivo e vivace, senza clichet ma senza nemmeno voler stravolgere inutilmente e in modo autoreferenziale e autoindulgente là dove ha già detto tutto l'autore. L'esperimento a me sembra perfettamente riuscito e la musica che ne viene fuori vi invita ad alzare la manopola del volume. Viva Mozart.
  19. Shschedrin : Carmen-Suite Respighi : Pini di Roma Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks diretta da Mariss Jansons BR Klassik 2020, formato HD *** E' vero che la Carme è tra le poche opere in francese che io riesca a tollerare (o l'unica ?) e che già la Suite originale di Bizet sia una composizione che apprezzo moltissimo. Ma la Carmen-Suite di Rodiòn Shschedrin aggiunge spirito e forza ad un amalgama già convincente. Grazie alle percussioni e alla volontà di farne una composizione da balletto. Insomma l'ho sempre adorata ed è forse l'unica composizione che digerisco di questo autore. Non la ascoltavo da decenni e questa bella registrazione - probabilmente tra le ultime fatte - di Mariss Jansons con la sua orchestra di Monaco è stata una grande sorpresa. Come molte delle ultime uscite del Maestro il ritmo è un pò più compassato di quanto ci piacerebbe ma la coerenza complessiva esemplare. E alla fine il risultato è molto convincente anche se non così effervescente come potrebbe. Anche nei Pini di Roma di Respighi, altra composizione dove la tavolozza sonora di una grande orchestra come questa non può che distinguersi, il gioco è tra piani sonori anzichè per effetti speciali. Ci piace così. E il giudizio finale non può che essere positivo. Grazie ancora Mariss. Bel suono, terso, potente, chiaro.
  20. Beethoven : Concerti per pianoforte e orchestra 0-5 Mari Kodama, pianoforte Deutsches Symphonie-Orchester Berlin Berlin Classics 2019 *** Chiariamo due punti subito. Kodama e Nagano sono moglie e marito nella vita. E questa non è la prima volta che registrano insieme. Come possa essere costruire insieme un repertorio così importante quando si è così legati non so immaginarlo. Ma credo sinceramente che questo elemento abbia profondamente influenzato (in positivo) il risultato finale. Kent Nagano e Mari Kodama durante le prove di una di queste registrazioni. Il titolo sottintende che si tratta di una integrale allargata. Ovvero si parte dal "concerto n. 0", cioè il giovanile WoO 4 del 1784 (Ludwig quattordicenne) e si arriva all'Imperatore, passando per il triplo concerto e il rondò WoO 6. Riempitivo molto gradito le variazioni Op. 35 sull'Eroica. Ma mancherebbe se vogliamo la trascrizione del concerto per violino e orchestra, voluto fortemente da Clementi e tutt'altro che disprezzabile, sebbene raramente eseguito. Nagano sul podio durante una performance una foto di repertorio di Mari Kodama Conosco benissimo il Nagano accompagnatore di solisti eccezionali (mi vengono in mente Lugansky, Tetzlaff e Repin, ad esempio) e la solidità della sua interpretazione. Attenzione al senso generale pur nel rispetto della posizione del solista. Della moglie ho ascoltato alcune delle 32 sonate di Beethoven per la Pentatone e ricordo un disco dedicato a Martinu con la sorella Momo. Tocco concreto, tempi generalmente veloci, visione brillante anche se non necessariamente approfondita. Tono "chiaro", veemente, chiaroscuro appena accennato. Che ben si "sposa" con quello del marito tanto che la fusione delle due visioni in questo cofanetto di 4:30 ore non si presta a nessuna critica particolare. Non cercheremo la delicatezza di Pollini nel 4°, la forza titanica della Argerich o di Gilels nel 3°, l'umanità di Backhaus nell'insieme. Ma l'ascolto è piacevole ed a tratti avvincente. Di un Beethoven possente e virile, se mi è concesso. Sempre lucidamente contrappuntistico, pienamente nel suo tempo, sebbene non ci sia alcuna concessione "filologica" per un prodotto che è sinceramente del 21° secolo. Bella l'interpretazione anche del concerto giovanile del 1784, un bell'esercizio di stile dove, senza forzare oltre modo, gli interpreti ci fanno intravvedere chiaramente il Ludwig che verrà di li a poco. Nella registrazione, l'orchestra, ha un bel suono, pieno ed ampio, specie sul basso. Il pianoforte è spesso un pò troppo ravvicinato ed asciutto, forse per una questione di bilanciamento ed a tratti un pò forzato. Ma va bene anche così. Nella realtà sono registrazioni riprese in periodi differenti, il bel triplo concerto, ad esempio, ha un suono molto caldo con il pianoforte più in ritirata, il rondò WoO è dolce come sua la musica prevede. In sintesi una bella sorpresa questa visione nipponica di Beethoven (nella realtà Nagano è americano di terza generazione mentre Kodama è praticamente cresciuta ed ha studiato in Europa), tanto che l'ho ascoltato di getto ed ho scritto a caldo queste mie considerazioni.
  21. Mozart : - trio in sol maggiore K 496 - tre movimenti per trio, K 442, completati da Robert Levin Robert Levin, pianoforte Hilary Hahn, violino Alain Meunier, violoncello Le Palais des Dégustateurs 2019, disponibile in formato 96/24 *** Tra le tante partiture lasciate incomplete a vario titolo da Mozart, ci sono tre movimenti sciolti per trio composto da pianoforte, violino e violoncello, pubblicati nel catalogo Köchel al n. K 442. Sono esattamente : - un allegro in Re maggiore, composto da 169 battute, completo dall'inizio alla ripresa finale, composto non prima del 1787, pubblicato col numero 442/2 - un altro allegro, questo in Re minore, di sole 50 battute, probabilmente composto nel 1785, che ha la evidente forma sonata tipica dei primi movimenti, pubblicato col numero 442/1 - un minuetto in Sol maggiore, di 150 battute, del 1787, pensato in origine come movimento finale del Trio in Sol maggiore K 496, poi scartato e lasciato incompleto, K 442/3 Ciò ha dato origine all'equivoco che esistesse un Trio K. 442 ... un trio inesistente, proprio perchè composto da tre brani in chiavi differenti, equivoco convalidato dal completamento ad opera dell'allievo di Mozart, Stadler, su richiesta della vedova Constanze. Stadler era un musicista e un compositore molto quotato alla sua epoca, per noi è passato alla storia come estremamente capace di comporre alla maniera di Mozart. Tutto sommato il completamento di Stadler non è male, anche nelle parti aggiunte, probabilmente un lavoro migliore di quello di Sussmayer per il celeberrimo Requiem. E così per un certo periodo circolò un Trio K 442 che in parte è di Mozart, in parte no ma che certamente Mozart non pensò mai in questa forma e con questo scopo. Venne pure stampato ufficialmente con il numero di catalogo, come appartenente a Mozart. E' stata fatta ammenda solo di recente, ripubblicando l'originale di Mozart, pur incompleto, e ... l'originale di Stadler, a sua firma e con un intero movimento in Re maggiore completamente di Stadler. Robert Levin, oltre che ottimo pianista è anche un raffinato musicologo che conosce ogni pagina nota di Mozart, ha completato di recente i tre movimenti originali che vengono proposti come piatto principale di questo nuovo disco. Giusto insieme al trio K 496 la cui origine è vicina al minuetto K 442/3. Le parti aggiunte da Levin sono ben evidenziate e l'autore stesso ne parla come di un lavoro rispettoso ma naturalmente assemblato. Il risultato devo dire che è splendido, la musica di gran livello ma soprattutto l'esecuzione lo porta al pari dell'altro trio originale di Mozart, in una sorta di "equalizzazione" del tutto convincente. Levin suona con piglio, la Hahn lo asseconda con malizia, un pò in secondo piano - come all'origine in queste composizioni - il violoncello. I tre comunque pongono queste due composizioni tra quelle più serie di Mozart e non nel repertorio cameristico da passatempo casalingo. Una prova interessante ed originale che ci permette di ascoltare queste pagine di Mozart, altrimenti raramente eseguite se non a scopi accademici. Bella registrazione da parte di una etichetta che propone materiale molto originale e che adesso, grazie alla musica "liquida" viene portata anche alla nostra attenzione di ascoltatori generalisti. Ripeto, è un bell'ascolto, non una curiosità per specialisti o fanatici dell'integrale di Mozart.
  22. Madame Schumann Musiche di Clara e Robert Schumann, Scarlatti, Handel, Schubert, Mendelssohn, Chopin, Gluck Ragna Schirmer, pianoforte Berlin Classics 2019, formato CD *** Il 13 settembre 2019 saranno duecento anni tondi dalla nascita di Clara Schumann, nata Wieck. Figlia, moglie, madre, musa ispiratrice per l'immaginario collettivo degli appassionati di musica romantica ma soprattutto il prototipo della donna concertista che si permette di mettere in programma le sue composizioni in un mondo per soli uomini che prevedeva per la donna il solo ruolo di cercare di fare il miglior matrimonio possibile o, in caso contrario, di fare l'istitutrice per i figli degli altri. Clara Wieck nel 1839 Questo disco è un omaggio alla concertista e alla compositrice e idealmente replica un recital tenuto proprio dalla stessa Clara durante un tour in Inghilterra nel 1872. In questo recital la pianista viene presentata come Madame Schumann nel programma stampato in oltre mille copie, a testimonianza della grande celebrità riconosciuta per tutta Europa. Clara Schumann in un ritratto degli anni '50 del XIX secolo Nel recital, il Quartetto per Pianoforte ed Archi Op. 47 di Robert, il Trio Op. 17 di Clara, le Kinderzsenen di Robert (dedicate alla moglie), un lieder di Schubert, uno di Schumann, due brani di Chopin, uno di Mendelssohn, una sonata di Domenico Scarlatti. Nulla di Johannes Brahms, ma la sua mano si legge nell'arrangiamento della gavotta di Gluck e nella scelta di tre pezzi da una suite per cembalo di Handel, compositore che Brahms conosceva a memoria e il cui amore condivideva certamente con Clara. Due parole in più sulla scelta dei brani che rappresentano il mondo di Clara Schumann. Un recital molto simile era stato presentato dagli Schumann nella casa berlinese di Fanny Hensel-Mendelssohn nel 1847 e questo programma "inglese" ne rappresenta la replica, nella memoria del marito. Clara cominciò lo studio del pianoforte con il padre all'età di quattro anni. Il padre era un famoso didatta e tra i suoi studenti aveva Robert Schumann. Aveva certamente il temperamento e le doti della grande solista ma era piccola e gracile. Per tutta la vita ebbe problemi fisici dovuti allo sforzo impresso nel suonare. Problemi che si acuirono dopo la morte del marito quando per sostenere i suoi sette figli riprese a pieno l'attività concertistica con impegno sovrumano (si parla di un momento nella stagione del 1854 con 22 concerti in due mesi). Sopportò il dolore con disciplina fino al culmine nel 1875 quando il solo pensiero di sedersi al pianoforte le provocava rifiuto e dovette smettere di suonare. Per superare in parte il problema accettò cure alternative basate su un approccio psicologico e su fisioterapia sperimentale che le permisero di proseguire l'attività concertistica quasi fino agli ultimi. Ma dovette anche limitare il proprio repertorio a ciò che non l'affaticava eccessivamente, escludendo, per esempio, tutta la musica di Brahms con cui suonava solamente in occasioni private, in casa, a quattro mani o a due pianoforti, perchè richiedeva troppo sforzo Anche questo spiega in parte la scelta dei brani scelti per questo lungo recital (due ore di musica). Il mio pensiero va a quella che doveva essere la vita di un concertista dell'epoca, che suonava in tour in Europa con questi ritmi. Oltre alle case malsane, i trasporti in carrozza, in nave o con i treni a carbone, lenti e scomodi. Le luci ad olio e solo più avanti i lumi a gas (ragione per cui molti concerti erano dati in matineè). Le frontiere, le guerre, i moti rivoluzionari. Le malattie tipiche del periodo, acuite dall'assenza dei medicinali che oggi sono di base. Insomma, ci voleva una volontà d'acciaio quando il fisico non reggeva e suonare doveva essere veramente una prova di stoicismo. Ragna Schirmer che presta la sua arte (e il suo volto nella copertina) in questo omaggio discografico è una appassionata studiosa dell'opera e della vita di Clara Schumann (sempre per la stessa etichetta ha pubblicato un disco che si intitola più semplicemente "Clara" in cui interpreta il Concerto per Pianoforte Op. 7 di Clara Schumann insieme al 4° concerto di Beethoven con le cadenze della stessa Clara ). Devo dire che questa passione si sente in ogni nota del disco. E se i punti più elevati sono raggiunti - a mio pensare - piuttosto nella parte cameristica del disco - nel Quartetto iniziale di Robert Schumann e poi nel Trio di Clara Schumann - che in quella solistica, la suggestione creata è tale che ad un certo punto dell'ascolto io ho cominciato ad essere convinto di ascoltare Clara Schumann e non Ragna Schirmer. Tanto che il disco scorre veloce, sebbene non si tratti di interpretazioni del tutto memorabili e il pianoforte non sia intonato con l'epoca. Ma c'è una grandissima sensibilità e un garbo ammirevoli. Probabilmente anche la volontà di offrire uno stile non del nostro tempo ma di quello di Clara, anche in quello che un pubblico comune poteva accettare in una donna al pianoforte. Insomma, un disco non fondamentale sul piano puramente interpretativo (anche se, ribadisco, la parte cameristica è di ottimo profilo) ma molto interessante su quello artistico. Confidiamo anche in altri tributi a questa grande dama della musica nell'anno del suo bicentenario.
  23. Bach : Goldberg Variationen BWV 988 trascrizione per trio d'archi del Trio Zimmermann Bis 2019, formato originale in 96/24 *** Frank Peter Zimmermann suona il violino Stradivari Lady Inchiquin del 1711 Antoine Tamestit suona la viola Stradivari "Mahler" del 1672 Christian Poltéra suona il violoncello Stradivari "Mara" del 1711 il Trio Zimmermann durante la ripresa alla Tonhalle di Dusseldorf nel 2017 i tre protagonisti del disco, Zimmermann, Poltéra e Tamestit Dopo aver approfondito la trascrizione disponibile da tempo di Dmitry Sitkovetsky per trio d'archi delle Variazioni Golberg di Bach, il Trio Zimmermann ha trovato una ricchezza così articolata di dettagli e splendori musicali che ha voluto attingere direttamente alla partitura originale per farsene la propria trascrizione. Sappiamo che l'originale è stato scritto per un cembalo a due manuali che trae la sua ragion d'essere proprio per quello strumento e con quella articolazione, tanto che nella versione per pianoforte - oramai più eseguita in assoluto - diventa "piatta" e richiede al pianista di compensare con l'espressività del piano e del forte, quello che perde in termini di ricchezza armonica. Il trio d'archi idealmente permette di recuperare l'idea originale e di renderla al meglio, anche se non sappiamo certamente come e con quali accorgimenti l'avrebbe trascritta lo stesso Bach che, come sappiamo, considerava di routine questa prassi, avendo adattato il proprio e l'altrui materiale musicale innumerevoli volte per le sue proprie necessità di esecuzione in funzione di chi e cosa avrebbero suonato i musicisti a disposizione. I tre - eccezionali - e perfettamente amalgamati strumentisti di questo trio che prende il nome dal celebre Frank Peter Zimmermann (non che gli altri due siano degli sconosciuti "carneadi" ...) si avvale di una terna di spettacolari Stradivari dal suono inconfondibilmente ricco e rugoso. Lo spirito è quello di Bach, non c'è l'idea di trasmutarlo anche temporalmente. Le dinamiche sono brillanti, molto più coinvolgenti della medie delle edizioni "Sitkovetsky", fanno pensare quasi a Vivaldi o comunque al barocco italiano nello sviluppo. La musica sensazionalmente bella (del resto, non a caso, ci siamo ispirati a questo caposaldo della letteratura musicale europea per intitolare questo sito). L'armonizzazione delle parti rende giustizia ai tre strumenti e alla polifonia della composizione. Nessuna voce è in evidenza o sovrasta le altre. Il violoncello sussurra la sua parte, senza violentare gli altri. Lo stesso fa il violino che non copre la viola. Le tre parti contrappuntistiche si integrano perfettamente. Ma comunque le tre voci sono perfettamente chiare e limpide, distinte, cantabili. Un vero trio d'archi. Metti una grande partitura, tre grandi solisti, tre grandi strumenti, una registrazione a regola d'arte (come di ... regola per Bis) ed avrai un disco di grande interesse. Ci sono altre edizioni delle Goldberg per trio d'archi ma in questo momento non me ne viene in mente una migliore di questa. BRAVI !
×
×
  • Crea Nuovo...