Maurice Ravel : sonate per violino, trio
Venendo da un mondo musicale fondato su regole ferree ho faticato molto - in gioventù - ad avvicinare la musica da camera di Maurice Ravel.
E' anche vero che se mi fossi lasciato guidare da quello che mi suscitava il Bolero e la sua sovraesposizione mediatica ai miei tempi, non ci sarei mai riuscito.
Limitandoci alle sonate e al trio con pianoforte - il quartetto è già un altro piccolo scrigno a se stante - si trattava di entrare in un bosco dove risiedono sogni e richiami esotici, liberi di dialogare tra loro.
Con suoni rappresentativi di quel mondo, prodotti per l'effetto che fanno e non perché, citando Bernstein a proposito di Beethoven, la nota seguente è sempre quella che deve essere.
Il resto lo ha prodotto il film del 1992, "Un cuore in inverno", dove la colonna sonora è rappresentata dalla musica in sala d'incisione, dove tre giovani musicisti stanno provando il trio, la sonata e il duo di Ravel.
Uscendo dalla digressione autobiografica, Ravel ha prodotto musica molto raffinata, con una firma unica, che resta del tutto invariata anche nelle dinamiche cameristiche.
Anzi, privata di tutti colori dell'orchestra, é ancora più diretta.
Sono contrapposizioni trai musicisti più che tra gli strumenti. Le parti hanno tutte pari dignità ed importanza, le gamme si fondono una sull'altra solo dopo uno scontro fisico più che musicale.
il carattere imitatorio di certe parti è più l'espressione delle differenti posizioni delle voci che la costruzione musicale.
Quindi risulta totalmente inutile parlarne per struttura, quando il significato è l'assonanza o la dissonanza.
Le composizione di cui parlo sono la sonata in duo per violino e violoncello del 1922, la sonata per violino e pianoforte del 1927 e il trio il la minore del 1914.
Cominciando dal trio, composto vicino al paese natio, al confino con i Paesi Baschi, risente di quella atmosfera sin dalle prime note.
Ci sono svariati aneddoti su questa composizione, completata in pochi mesi, prima che Ravel si arruolasse e fosse accettato come camionista nell'esercito (date le sue misure sotto norme, specialmente in fatto di peso).
L'assenza di reali temi, lo sforzo di far si che il violoncello non venga prevaricato da piano e violino, che all'ascolto si sentono naturalmente di più.
La quiete che rapidamente diventa concitazione, i ritmi ossessivi che si placano rapidamente, le voci separate, specie nei lenti. Ma soprattutto la vicinanza tra le parti, distanziate solo di due ottave tra violino e violoncello.
Struttura della composizione apparentemente tradizionali, in quattro movimenti, con gli esterni in "forma di sonata" e gli interni scherzo (assai vivo) e largo (passacaglia).
C'è chi vede negli ultimi due movimenti i prodromi dei dolori della guerra.
Non saprei, la musica comunque è li da ascoltare. Ed è meravigliosa.
Una nota sulla prima esecuzione, con addirittura Alfredo Casella al pianoforte (gennaio 1915).
Andando alla sonata per violino e violoncello, una forma di duo rarissimo in epoca moderna, è stata completata dopo il periodo di recupero di Ravel, funestato dal lutto per la madre oltre che i postumi della guerra.
La dedica a Debussy viene dalle manifestazioni parigine per commemorare il grande musicista morto nel 1918.
Anche qui abbiamo i quattro movimenti tradizionali della sonata ma ci fermiamo qui, come chiarito dall'autore stesso :
"Credo che questa sonata segni una svolta nella evoluzione della mia carriera. La spoliazione vi è spinta all'estremo e comporta la rinuncia al fascino dell'armonia e in orientamento sempre più pronunciato in direzione della melodia"
è una composizione modernista, pienamente novecentesca ma - a dispetto delle tradite aspettative del pubblico, molto perplesso in sala alla prima - lontana da certe dissonanze (penso a Ives, per stare dall'altra parte dell'oceano), per tacere della musica tedesca.
Ci sono arpeggi, triadi, rapidi mutamenti di volume e di velocità. Una certa ostinazione nella ripetizione dei frammenti tematici.
La tipicità della composizione si sente nel secondo movimento - molto vivo - che si apre con un pizzicato cui l'altro strumento risponde con suoni parzialmente disarmonici, più ad imitazione di suoni naturali che armonici.
C'è una inquietudine diffusa per tutto il movimento che il lento successivo non dissipa per nulla.
E' un ostinato iniziato dal violoncello cui il violino risponde allo stesso modo con una sovrapposizione quasi di due passacaglie spostate di tono.
Il finale riprende questa ostinazione ma in modo molto vivo. E' quasi un Bartok trasferitosi nella campagna parigina.
E infine andiamo alla sonata per violino e pianoforte, composizione del 1927 commissionata dalla violinista parigina Hélène Jourdan-Morhange che già tenne a battesimo la sonata per violino e violoncello.
Questa però soffriva di artrite in quel periodo così la prima venne eseguita da Enescu al violino con Ravel stesso al pianoforte.
Di fondo c'è un problema tonico che Ravel non ammetteva. Già nel 1897 aveva cominciato una sonata, fermatasi al primo movimento e pubblicata solo di recente, postuma.
Secondo l'autore i due strumenti non sono compatibili e quindi devono suonare separatamente.
E' una soluzione già proposta da Brahms che chiamava le suo sonate per pianoforte e violino, qui sublimata da una scrittura ovviamente più libera.
I tre movimenti non hanno proprio nulla della tradizionale forma sonata, usata dall'autore più per consuetudine che per necessità.
Comincia il pianoforte con un tema vagamente impertinente che poi diventa un martellato ritmico quando entra il violino che a sua volta risponde allo stesso modo quando il pianoforte riprende.
Le due voci si intrecciano, in un certo modo dicendo la stessa cosa ma diversamente e quando uno risponde, sembra più che controbatta.
Il secondo movimento è intitolato "Blues" che ha chiari echi della musica del sud degli States, con una nota un pò sarcastica a mio gusto.
Credo che all'epoca questo inserimento abbia destabilizzato le platee ma è una vera perla che invece sarà piaciuta a Gerschwin che sappiamo, venerava Ravel.
Il finale è un vero e proprio moto perpetuo portato dal violino, un gioco delle parti ad inseguimento, molto ritmico ma estremamente raffinato in cui il pianoforte ricama sul continuo borbottio del violino.
Forse potremmo aggiungere la Tzigane in questo piccolo mondo, originariamente pensata per violino e pianoforte "preparato" e coevo della sonata per violino e violoncello.
Ma adesso viene ripreso con un piano normale, e comincia con un lunghissimo monologo per il solo violino.
Nella mia lettura di queste tre composizioni invece non si può prescindere dalle parti singole.
Che io vedo idealmente una donna, rappresentata dal violino, tra due uomini diversi, il violoncello e il pianoforte, in un gioco a tre, raffinato ma non privo di offese.
***
Chiarito il punto, la mia proposta di ascolto.
Che secondo me, per il carattere cosmopolita di Ravel e le sue ricerche di sonorità esotiche, può spaziare.
Ma che mi ritrova più convinto da interpreti francesi.
il disco con cui ho conosciuto Ravel e a cui sono ancora estremamente legato, nonostante il suono aspro tipico della prima era della registrazione digitale per il CD e la sua compressione scellerata.
Registrato per EMI (oggi Warner Classics), con Agustin Dumay imbattibile prima voce al violino ma ben coadiuvato da Collard al pianofrte e Lodéon al violoncello.
Le due sonate e il trio, più il movimento dell'inedita prima sonata e la citata Tzigane.
per Virgin, del 2002, con i due fratelli Capucon agli archi e Frank Braley al pianoforte é la mia seconda scelta, certamente più piacevole nelle dinamiche e nel suono.
Ma una visione più complessiva che aggiunge in tre volumi anche altre composizioni in edizione cameristica o solistica di questo mondo raveliano è data da un ensemble multinazionale, pubblicato lo scorso novembre 2022
che comprende anche una Tzigane con il pianoforte (non preparato).
La musica è ben rappresentata, senza il carattere del primo disco ma un pò più di organicità rispetto al secondo.
C'è anche il quartetto se uno non si vuole proprio far mancare nulla.
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