Parafrasando, indegnamente, il romanzo di Jane Austen, e con qualche considerazione autobiografica, forse necessaria. Forse no.
Sono sempre stato appassionato di calcolo numerico. Da ragazzo ho vito un concorso che consisteva nel trovare per primo il ... primo numero diverso da zero del fattoriale di 10.000 (una cifra il cui sviluppo stampato su carta A4 occupa una decina di pagine). Mi sono appassionato di metodi di calcolo efficiente. Tipo come trovare un gran numero di decimali di pi greco nel minor tempo possibile ...
Amenità del genere. I numeri la mia passione.
Ma sono anche cresciuto imbevuto d'arte visiva - pittura e fotografia ma soprattutto cinema - e nella musica.
Finita la mia carriera accademica e professionale, anzi già qualche anno prima, mi sono trovato sempre meno inclinato al calcolo fine a se stesso ma applicato a quello che stavo facendo, fino a perdere interesse per il metodo ma sempre più per il risultato. Spesso più per l'estetica del risultato.
I numeri hanno una loro estetica naturale. Ma il creato è una rappresentazione ancora più affascinante e per quanto lo si possa rappresentare numericamente, per me oggi è più facile lasciare solo accennata la descrizione analitica per fidarmi direttamente della mia percezione.
A questo punto, sapendo per di più che scrivo queste parole ascoltando musica seicentesca di Orazio Michi, scritta per l'Arpa Barberini (famoso strumento della famiglia romana omonima) penserete che sia veramente arrivato il momento per cui io consulti qualcuno. Ma uno bravo.
Troppo tardi. Ho il potere di continuare e me lo prendo tutto. Ma, tranquilli, adesso arrivo al punto.
Forse perché fotografo da più di quaranta anni, probabilmente, magari perché finalmente adesso sono arrivati strumenti che mi consentono di dimenticarmi totalmente dell'aspetto tecnico e numerico di quello che faccio, posso concentrarmi su quello che la mia sensibilità mi detta.
Luce. La fotografia è fatta di luce. Diaframma, tempo, livello, sono solo rappresentazioni di parametri convenzionali su come gestire la luce. Ma è con gli occhi che un fotografo dosa la luce.
Né un algoritmo può sostituire i miei occhi, né quanto descrive un istogramma possono darmi la sensazione che una scena, in cui ho luce e soggetto, dà alla mia sensibilità.
E un esposimetro, anche precisissimo, mancherà della sensibilità necessaria per dosare quella luce che solo quella luce può darmi in quella scena con quel dato soggetto.
E' da questa idea che, oggi, vengono le mie fotografie. Che la luce sia quella naturale, riflessa, attenuata o diretta senza intermediari, o quella artificiale offerta dagli splendidi monoled che la tecnologia moderna di oggi offre a prezzi accessibili anche a me, comune fotoamatore, non importa.
Il mio modo di fotografare oggi è quello di mettere un soggetto in luce, vedere come le ombre lo modellano, livellare l'effetto perché soddisfi l'idea che il momento, la musica che ascolto, la persona che ho davanti suggeriscono alla mia sensibilità e quindi fermare quel microcosmo di realtà in una serie di scatti che mi permettano di avere un descrizione di quel momento per il tramite di tanti fermo immagine.
Fare che quel momento sia il più prezioso momento possibile. Perché adesso non tornerà mai più come è adesso, non importa quanti sforzi farò per farlo riaccadere. Sarà diverso da adesso, se mai potrà essere ancora.
Come mi ricorda Girolamo Frescobaldi con la sua meravigliosa "Se l'aura spira tutta vezzosa" mentre sto scrivendo.
e quindi Silvia, tra un filo di luce e una zona d'ombra
mentre gioca con la mia Nikon
baciata dalla luce dove io non potrei baciarla (la fronte, che avete capito !)
osando come mai potrei se non fossi un artista. Come sento di essere in questo momento. Per rivedere poi in futuro cosa sentivo allora.
Con la luce dura e diretta del sole per forme più beate
come quelle di Nicole, disegnate e modellate a tagli e linee d'ombra. Chiaroscuri che vengono direttamente dal seicento, il secolo più fecondo dell'arte visiva della nostra breve storia.
Noi "pittori di oggi" dobbiamo tutto alla luce del '600, con l'uomo che si affranca culturalmente e parte alla ricerca di se stesso non più vincolato alla parola scritta.
Dicono che i bambini imparino a disegnare prima che a scrivere
e a cantare prima che a leggere
perché abbiamo dentro di noi gli strumenti per comporre, disegnare, fare musica, mentre le convenzioni per descrivere, scrivere, codificare l'arte e la conoscenza vengono dopo.
Ma soprattutto, abbiamo occhi per vedere e orecchie per sentire.
e non solo per fare, ma anche per confrontarci con noi stessi, con gli altri e con la realtà stessa.
Il tutto filtrato in ogni momento da una sola cosa : la nostra sensibilità.
Quindi, certo, continuiamo a parlare di modalità di messa a fuoco, di esposizione, di banchi di memoria e di impostazioni utente delle nostre fotocamere.
Di nitidezza e di vignettatura. Di aberrazioni e di velocità di scatto. E di tutto quanto di tecnico offre oggi la fotografia.
Ma finito di elaborare le basi, ricordiamoci che si può comporre musica, senza aver studiato le note e si può dipingere o scolpire senza parlare o scrivere.
E fotografare semplicemente guardando la luce e sapendo come mettere il soggetto dove sta meglio, costruendogli attorno una immagine unica, irripetibile, eterna.
Tutti ne siamo capaci. Sono queste capacità che ci identificano.
Light and sensibility. Luce e sensibilità.
Recommended Comments
Join the conversation
You can post now and register later. If you have an account, sign in now to post with your account.