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Silvio Renesto

Nikonlander Veterano
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Tutti i contenuti di Silvio Renesto

  1. Grazie a tutti, Dario: La museologia moderna è una scienza raffinata: guardando il ghepardo che corre, specialmente se ambientato in un diorama, 1) è esteticamente più bello, 2) tu sei più coinvolto, 3) ti da' molte più informazioni senza dover leggere troppo, in quest'epoca in cui pochi si fermerebbero a leggere, è quasi una necessità per un museo. Pedrito: sì, è vero, l'articolino è divulgativo e non fotografico, ma volevo comunque spiegare la scelta dell'inquadratura, (la prima): che non fosse troppo asettica, e facesse risaltare il dinamismo. Non è una giustificazione, ma una spiegazione . Che la foto è quel che è (giustamente osserva Max, le luci erano quelle che erano e non potevo farci nulla, io ero lì per altri motivi ) lo so e non cerco giustificazione, forse era inutile, ma mi son sentito di scriverlo . La seconda foto "fotograficamente", non conta, è accessoria, per mostrare meglio la scultura con i muscoli.
  2. Se per caso siete stati di recente in un moderno Museo di Storia Naturale, come ad esempio quello di Milano (Corso Venezia 55, dentro ai Giardini Pubblici), avrete visto come è cambiato il modo di esporre gli animali. Non più rigidi come statue (come "imbalsamati" ) fissi su quattro zampe, gli animali vengono esposti in pose molto dinamiche, come colti in un momento di vita, e non più in aride teche, ma ben ambientati in splendidi diorami che ricostruiscono il più fedelmente possibile l'ambiente originale dove questi animali vivevano. La ricostruzione del diorama è un lavoro complesso che richiede un team di professionisti esperti di varie tecniche, ma anche la preparazione del singolo animale da esporre non è da meno. Ci vuole una competenza ed una abilità artistica non da poco, per riprodurre delle pose realistiche, che oltre a spiegare di più sull'animale e la sua vita, rendono il soggetto più "vivo" (si fa per dire) e sicuramente più attraente. Sono passato di recente a trovare Ermano Bianchi, il preparatore (tassidermista, ma non solo) del Museo di Storia Naturale di Milano, dove lavora da decenni, quasi tutti gli animali che vedete nei diorami di quel Museo sono opera sua. Ermano è uno dei migliori nel suo campo. Ho fotografato la sua ultima fatica per mostrarvi che perfetta alchimia di arte e scienza ci sia "sotto": E, come mio solito, vi voglio annoiare un po' raccontandovi i come e i perchè 😛 Cominciamo dal soggetto, l'animale è un Ghepardo ed è mostrato in corsa, mentre insegue una preda. Da dove viene? Di solito si tratta animali che muoiono di morte naturale in parchi-zoo. Questo ghepardo proviene al Parco delle Cornelle (BG). Una volta arrivato in laboratorio da Ermano, viene stoccato in una cella frigorifera fino al momento di iniziare il lavoro. La fase iniziale è togliere la pelle e metterla da parte, l'animale poi viene scarnificato fino a liberare le ossa. Le ossa poi vengono sottoposte ad un trattamento di essiccazione e "sgrassamento". Poi viene rimontato lo scheletro osso per osso (sono un centinaio). Per la postura finale Ermanno si è basato su fotografie di ghepardi in corsa. Adesso viene la parte più importante, la creazione del modello su cui rimontare la pelle. Si usa parlare di imbalsamazione, di impagliatura, ma oggi non c'è più nulla di tutto questo. Fino a qualche decennio fa si usava il gesso per riprodurre alla meglio le fattezze di un animale, ma il gesso è pesante e fragile al tempo stesso, per cui le pose erano forzatamente statiche perchè il tutto potesse reggere. Adesso si usa fare una scultura in poliuretano, che è leggerissimo. Il lavoro è da una parte una vera opera d'arte, perchè se di certi particolari più minuti (unghie, dita), si possono prendere delle impronte prima di scarnificare, il resto va modellato da zero. Qui, oltre alla capacità artistica ci vuole una grande conoscenza dell' anatomia, della volumetria della muscolatura dell'animale, specialmente per renderlo realistico in una postura dinamica come quella che vedete. Il modello è una scultura creata da zero. Una volta ultimato il modello, gli si monta la pelle e si inseriscono gli occhi (di vetro, o di resina trasparente); le basi esistono in commercio, ma la rifinitura, l'iride colorata ad esempio, spesso si dipinge a mano (all'interno). gli artigli, sono sempre copie perfette in resina e così l'animale è pronto. Questa preparazione è stata progettata e verrà esposta come la vedete, con le tre fasi, scheletro, modello con la muscolatura in evidenza e animale finito affiancati; proprio per mostrare ai visitatori cosa ci "sta sotto" al lavoro di preparazione. L'avreste mai detto quanta arte, conoscenza e "manico" c'è dentro a questo lavoro? La prossima volta che visitate il Museo di Milano e guardate quegli splendidi diorami, lo saprete. Nota tecnica. ( questo è un sito di fotografia....), il laboratorio era ingombro al di sotto dei soggetti e di lato. I tre soggetti in fila erano troppo lunghi e sottili, a meno di tagliare la coda allo scheletro; in più, visti di lato perdevano molto, diventavano troppo didascalici; così per la foto principale ho optato per un tre quarti davanti, con focale corta, che mi pare renda bene il dinamismo della ricostruzione.
  3. Forse nella foto dello scoiattolo, ma se guardate le canne della foto del cigno sono immobili come devono essere.
  4. Le fotocamere con sensore APS-C (nel mondo Nikon... Dx)sono raramente oggetto di discussione negli ultimi tempi perchè, a quanto pare... destinate all'estinzione. La tendenza generale è verso il formato pieno, sia con le DSLR che con le Mirrorless, per gli indubbi vantaggi che offrono come qualità di immagine nella maggior parte dei generi fotografici, come si è più volte scritto. Così anche la D500, per sè una eccellente fotocamera, costruita con standard e prestazioni degne di una professionale, viene ormai considerata dai più come un ottimo moltiplicatore di focale per la foto sportiva e wildlife. Vale quindi ancora la pena di scrivere delle impressioni d'uso di un obiettivo montato su una fotocamera Dx? Nel caso del Nikon 70-300mm f4.5-5.6 Af P penso di sì, perchè anche se progettato quale ottica per corpi Fx, alcune sue caratteristiche lo sposano altrettanto bene ad un corpo Dx. Chi ancora possiede un corpo Dx come una d7XXX e magari sogna il passaggio alla mitica Zeta 6, può pensare a questo obiettivo come ad un buon investimento che può essere poi trasferito sulla Mirrroless con ottimi risultati, come ci ha raccontato Max. Le dimensioni compatte del Nikon 70-300 lo rendono ben bilanciato anche su queste fotocamere e la qualità, superiore rispetto al suo gemello Dx, ne rendono preferibile l'acquisto per i fotoamatori enthusiast, nonostante la differenza sensibile di prezzo. Che comunque non è eccessivo. Sul 70-300 f4-5.6 Af P hanno già fatto due articoli molto esaurienti Mauro e Max, non ripeterò qui ciò che loro hanno scritto meglio di quanto potrei scrivere io. Mi limito perciò a sottolineare alcune cose ovvie, ed altre meno ovvie, legate all'uso di quest'ottica su un corpo Dx (specificamente la Nikon D500), per vedere cosa cambia, se cambia, sul formato Dx. Come scritto sopra, montato sulla D500, anche senza grip, il 70-300 Af P è perfetto. La sua leggerezza fa venir voglia di portarselo sempre dietro. Proprio per la sua costruzione "leggera" sembra addirittura più a suo agio su una DSLR formato Dx che su una formato Fx Questo 70-300 è meglio dei precedenti Nikon dall'escursione focale equivalente, e senz'altro degli equivalenti Tamron; lo hanno scritto Max e Mauro ed io sono assolutamente d'accordo, ho avuto sia il 70-300 nikon G che il Tamron 70-300 VC e il nuovo zoom vince "a mani basse. La nitidezza è buona, anzi , molto buona. Tutte foto a mano libera. Crop 100% dell'immagine sopra. 300mm f7.1 , 1/640s, 200 ISO. Altro crop 100% . 195mm, f8, 1/500s, 200s. Gallinella d'acqua. Crop dell'immagine sopra.300mm f7.1, 1/800s, 200 ISO. Guardare le goccioline sul dorso. Anatra marmorizzata. 300mm, f6.3 1/250s 1250 ISO E' indubbiamente il miglior 70-300 che abbia mai provato. Non va confrontato con il 300 f4 PF perchè non fa parte della stessa categoria ed il paragone non avrebbe molto senso, ma posso comunque dire che non resta troppo indietro, specialmente chiudendo un paio di diaframmi. Anche questo è un crop 100%. Tiene benissimo il controluce. Niente fringing chiudendo un paio di diaframmi. 195mm f8, 1/500s, 220 ISO. La vignettatura presente sul formato FX, diventa irrilevante sul formato Dx 280mm, f5.6 1/2000s, 200 ISO. 150mm, f8, 1/1000s, 200 ISO. Il fattore di crop lo trasforma, dal punto di vista della copertura di immagine, in un 450mm, quindi più che discreto per certa avifauna, unico problema la massima apertura è 5.6 e siccome a tutta apertura è leggermente più morbido che a f6.7/8, ed è meglio chiudere un po' i diaframmi per ottenere la massima nitidezza, occorre una certa attenzione anche nel gestire lo sfondo, piuttosto presente. L'autofocus è "snappy" sulla D500; scattante e preciso nella maggior parte delle situazioni. La stabilizzazione è molto efficace. Scoiattolo grigio (ahimè). 300mm f6.3, 1/250s, 1800 ISO Anatra sposa (di origine americana). 300mm f6.3, 1/250s, 1000 ISO. Codone in pessima luce laterale. 195mm, f4.9, 1/250s, 400 ISO. Sul formato Dx è più "macro", Il Rapporto di riproduzione è di 0.25 a 1,2m (e tale resta) cioè 1:4, però "ritagliando" in Dx si ha una copertura pari a 0.37, un po' più di 1:3. Un buon risultato. Abbiate pazienza, fa ancora freddo per gli insetti. Un RR di 1:4 a 1,2m può sembrare molto buono (e in parte lo è) ma non è poi così eclatante: lo stesso rapporto di riproduzione lo raggiungeva il vetusto Nikon 70-210 f4 Af. Quindi questo è uno zoom di largo respiro (circa 100mm di variazione....) Questo è il massimo rapporto di riproduzione ottenibile a 300mm su un sensore Dx: copertura totale circa 9,5 cm . Per la cronaca, il venerando, obsoleto, Sigma 300mm f4 APO MACRO raggiungeva 1:3 a 1,2m (ed era un 225mm effettivi). in pratica il 70-300 P, alla minima distanza di messa a fuoco è quasi un 200mm effettivi (192mm ad essere precisi). Niente di male, basta saperlo ma, per quel che ci riguarda, con il formato Dx si recupera quel che si perde col focus breathing. Una cosa cui ho dovuto fare l'abitudine, provandolo nella fotografia ravvicinata, è la ghiera di messa a fuoco manuale senza stop. Penso che in altri ambiti fotografici possa essere anche irrilevante, ma nella fotografia ravvicinata avere uno stop alla minima distanza di messa a fuoco a me risulta utile, in quanto posso portare lì la ghiera poi muovermi avanti indietro senza cambiare il RR. Non va però visto però come un difetto dell'obiettivo, intendiamoci, questo è uno zoom tuttofare con discrete possibilità di ripresa ravvicinata, da nessuna parte viene definito come obiettivo macro. In conclusione, se vi serve uno zoom 70-300 bello e versatile, sul vostro corpo Dx questo 70-300mm Af P è assolutamente consigliabile per qualità, dimensioni e prestazioni. Se poi meditate di passare prima o poi ad una Z da 24 mpx, questo zoom entrerà senza problemi nel nuovo sistema (come ha scritto Max!).
  5. Io mi ricordo, e bene, almeno da quando ci sono entrato anni fa, attratto da uno stile molto different da quel che c'era in giro allora. Me ne ricordo tanti, dei vecchi nikonlander, alcuni più di altri. Al di là dei singoli apparsi/scomparsi mi capita anche di pensare a Nikonland come qualcosa che si è evoluto (è cambiato) in modo sostanziale nel tempo, ma è così la vita è cambiamento continuo.
  6. L’amico Effe, commentando questo mio articolino in cui ho pubblicato delle mie foto ad una scultura di Fabio Fogliazza, autore di una ricostruzione dell’Uomo di Neandertal di risonanza internazionale, fra altre cose mi scrive: "...l'argomento è veramente interessante e mi piacerebbe saperne di più del lavoro che svolge il tuo amico Fabio: come nasce una ricostruzione, le tecniche che utilizza. Ti sto proponendo un altro blog, mi rendo conto, ma sono veramente curioso." Gli avevo risposto che glielo avrei fatto raccontare da Fabio stesso, così ecco questa intervista, non è proprio fotografia,, ma a mio parere è molto ghiotta. Fabio, raccontaci qualcosa di te Sono nato a Milano nel 1967, diplomato in pittura all’Accademia di Belle Arti di Brera (un titolo di studio equivalente ad una laurea magistrale). Ho iniziato a frequentare il Museo di Storia Naturale nel 1986, inizialmente come semplice appassionato di fossili…. poi, da cosa nasce cosa e nel ‘92 ho cominciato a lavorare nel Laboratorio di Paleontologia come contrattista. In principio Contratti per Prestazione Occasionale, che mi impegnavano nelle preparazioni di fossili e nella realizzazione di illustrazioni a corredo delle pubblicazioni scientifiche. Il caso ha voluto che proprio in quel periodo fosse appena terminato il recupero dello scheletro del Besanosaurus (Un Ittiosauro, un rettile marino, lungo circa 6 metri NdR), dallo scavo del Sasso Caldo (VA ) e c’era bisogno di personale per la preparazione. I contratti sono diventati a co.co.co (collaborazione coordinata e continuativa ), ed è andata avanti per 15 anni. Sono stato finalmente assunto per concorso pubblico nel 2009. Attualmente sono l’unico tecnico di Paleontologia del Museo e, temo, non lascerò discendenza. Il tuo lavoro ha due aspetti principali, uno più tecnico la preparazione dei fossili ed uno più artistico e interpretativo l' illustrazione o ricostruzione degli antichi viventi. Ci vuoi dire qualcosa sulla preparazione? Come ,credo, in ogni attività la passione si stempera nel mestiere o quanto meno si trasforma in professione. Non c’è alcun particolare segreto nel liberare i resti fossili dalla matrice che li include: tanta pazienza, conoscenza della strumentazione necessaria e una “mano educata”, una appropriata conoscenza dell’anatomia. Il resto lo mette l’esperienza, l’aver visto molti esemplari e aver lavorato sulla maggior parte di essi. Gli strumenti sono diversi a seconda delle esigenze di conservazione dei campioni: dai semplici chiodini d’acciaio da falegname a vibropenne meccaniche fino alla sabbiatrice; naturalmente il laboratorio deve essere progettato per sostenerne l’installazione: molti di questi necessitano di un impianto ad aria compressa e di impianto elettrico appropriato ( per esempio le penne meccaniche e la sabbiatrice ). La preparazione, che si intenda a scopo di studio o anche solo espositivo, è un’attività impegnativa: per fare un esempio, liberare i resti fossili del Besanosaurus, tre tecnici sono stati impegnati per oltre 17.000 ore di lavoro al microscopio ottico binoculare, utilizzando diversi strumenti. Nei tempi d’oro , tra la metà degli anni ‘90 fino al 2006, il Laboratorio poteva contare su tre preparatori a contratto. Fabio al lavoro su un fossile con la punta d'acciaio. Foto S. Renesto. E sull’illustrazione? L’illustrazione e ancor più la scultura sono in realtà le mie “vere” attitudini. Nel primo caso confesso di aver vissuto due fasi distinte: la prima più volta all’aspetto tecnico legato all’acquerello, con il quale ho realizzato la maggior parte dei disegni per il Museo ma non solo, ed una seconda dove ha prevalso l’aspetto interpretativo, più “artistico” se così si può definire, che mi ha dato le soddisfazioni maggiori, sia a livello personale che in ambito professionale. Ultimamente uso quasi esclusivamente la matita. Alcune delle ricostruzioni di Fabio: Cycleryon, un "gambero" preistorico. Placodonte (rettile marino del Triassico) Pontosaurus (rettile marino del Cretacico). Saltriovenator (dinosauro carnivoro giurassico italiano) L'opera che ti ha dato maggiore notorietà è il busto di uomo di Neandertal. Raccontaci la sua storia Ho realizzato diverse sculture per il Museo, fra cui la ricostruzione di Ciro (Scipyonix, il primo dinosauro carnivoro scoperto in Italia, NdR). Particolare della ricostruzione di Scipionyx Il lavoro più apprezzato che ho mai realizzato è certamente la scultura che ritrae un uomo di Neandertal. L’idea nacque qualche anno fa chiacchierando con gli amici archeologi preistorici dell’Università di Ferrara (la preistoria…un’altra mia passione!). Avevano appena concluso la campagna di scavo annuale alla Grotta di Fumane, nei monti Lessini e stavano pubblicando i risultati dell’indagine archeologica su alcuni livelli di occupazione neanderthaliana, molto ben conservati. Il famoso busto di Uomo di Neandertal. Foto di G. Bardelli. Nacque l’idea di realizzare un ritratto realistico che visualizzasse le nostre teorie sulle capacità cognitive ed espressive dell’Uomo di Neandertal, fino ad allora considerato poco più che il nostro cugino mal riuscito. Per la ricostruzione si è partiti da una copia in resina del cranio molto ben conservato e completo di La Ferrassie I (un esemplare francese coevo ai livelli di Grotta Fumane, che purtroppo non ha restituito alcun elemento scheletrico di Neandertal). Su questa base si è ricostruito il probabile aspetto, consultando per gli aspetti di ricostruzione facciale un amico esperto di tecniche di criminologia forense, le stesse che si usano per ricostruire l’aspetto di vittime di omicidi di cui si ritrova solo lo scheletro a distanza di anni dalla morte. Foto di G. Bardelli. Foto di G. Bardelli Con la stessa tecnica Fabio ha realizzato anche i modelli facciali di altri ominidi: La famosissima Lucy (Australopithecus afarensis). Foto di G. Bardelli. Paranthropus boisei, un ominide "robusto". Foto di G. Bardelli. Questa immagine quasi mostruosa di un ominino simile all'Homo erectus è frutto di un accurato studio, una vera autopsia: il cranio mostra che l'uomo aveva preso un colpo che gli aveva incrinato la mandibola e spaccato dei denti, l'infezione conseguente era degenerata producendo degli ascessi che gli avevano deformato il viso, infezione che poi si è propagata fino al cervello, uccidendolo fra sofferenze atroci. Foto di G. Bardelli. Hai rappresentato l’Uomo di Neandertal con un aspetto simile ad un "indiano d'America", ossia un nativo americano del Nord, come mai? Il gruppo del Dipartimento di Biologia ed Evoluzione dell’Università di Ferrara, durante la campagna di scavo nella grotta di Fumane di cui ho accennato sopra, ha scoperto fra l’altro in livelli di 44mila anni fa, resti ossei di varie specie di uccelli (avvoltoi, aquila, falco cuculo, gracchio alpino, ecc.). L’analisi ha mostrato tracce di tagli effettuati con strumenti in pietra, finalizzati al recupero delle ali e delle penne remiganti più vistose. Questo porta indietro di decine di migliaia di anni l’origine della pratica di adornarsi e dimostrerebbe che non è un’esclusiva della cultura di Homo sapiens: già i Neandertaliani utilizzavano oggetti a scopi simbolici ed ornamentali dimostrando di possedere un peculiare senso dell’estetica. Questa ipotesi è sostenuta da scoperte nelle grotte di gran parte del continente europeo, dalla Francia (Pech de L’Azè ) alla Spagna (Gibraltar, Cueva de Antón e Cueva de los Aviones) alla Croazia (Crapina ). In ognuna di queste sono stati riconosciuti gli stessi processi culturali: utilizzo delle penne e degli artigli di rapaci, uso di pigmenti naturali quali l’ocra rossa. La tendenza in campo scientifico, attualmente è di considerare il pensiero simbolico una prerogativa non più esclusiva della nostra specie. Ancora oggi, a distanza di qualche anno e nonostante l’avanzare delle conoscenze, la nostra interpretazione rimane un punto di riferimento per chiunque decida di cimentarsi in una ricostruzione dell’aspetto dei Neandertaliani. Tornando alla tua attività di illustratore, c'è stata una evoluzione, una maturazione nel tuo stile. cosa è cambiato e perchè? Prima ero più legato ad un discorso didascalico, ossia illustrare l’animale preistorico in modo più naturalistico, più vicino a quello che si pensava fosse il suo aspetto reale, passando alla paleoantropologia, pur restando nell’ambito del rigore permesso dalle conoscenze, mi interessa di più invece evidenziare l’aspetto suggestivo, simbolico. Scimpanzè Tyrannosaurus rex Voglio che chi guarda le mie immagini venga coinvolto emotivamente, portato dai segni, dai colori e dai giochi di luci ed ombre, a cogliere l’atmosfera e le sensazioni che pensiamo fossero parte della vita dei nostri antenati. Da qui la scelta della matita, più essenziale, rude ed efficace nel delineare chiaroscuri e l’uso nelle illustrazioni degli stessi colori che venivano usati nella Preistoria, ad esempio il rosso dell’ocra dell’Argilla ed il nero del Carbone,. Donna sapiens (in red) e neandertaliana (in black) Per una mostra sul Neandertaliano di Rio Secco, (Friuli) dove sono stati trovati monili ricavati da artigli d'Aquila. Alla base del disegno il cranio di un Orso delle Caverne. Sciamano aurignaziano (H. sapiens, circa 40.000 anni fa)) Ma il mio interesse artistico va oltre la preistoria e comprende la natura Civetta E l'etnologia, anche i popoli attuali mi ispirano sia al disegno che alla scultura. Donna Berbera Koishan Donna Tuaregh La testa di Mora, come la chiama Silvio, è figlia di un intensa esperienza nel Sud dell’Etiopia, Valle del Fiume Omo. Chi fosse interessato a capire di che cosa parlo, consiglio “Vanishing Africa” di Gianni Giansanti. Foto di S. Renesto La scultura, il cui titolo è in realtà EBANO, è ispirata all’incontro con una giovane donna, di cui non so il nome (per la verità me lo disse ma non è riproducibile … rimpiango di non essermelo fatto scrivere!), conosciuta al mercato di Key Afer …e, probabilmente, anche di tante altre incontrate viaggiando attraverso le Southern Nations. E' stata una lunga carrellata, ma penso ne sia valsa la pena! Un'ultima cosa. Come avete visto quasi tutte le foto non sono mie, ma di Giorgio Bardelli, naturalista, bravissimo fotografo e convinto nikonista (penso di dedicare anche a lui un'intervista prossimamente, le sue foto meritano davvero). E con questo terzetto di figuri, vi saluto... Foto di A. Pobbiati. Alla prossima!
  7. Sono eccellenti! Se appena appena ti tornasse la voglia immagino già che belle immagini ci faresti vedere... A proposito, ne hai altre, d'archivio? sono curioso!
  8. Il bruco del macaone poi è uno dei più simpatici!
  9. Tenero folletto (femmina, vero?).
  10. Ma certo, non devono essere per forza capolavori, l'importante è aver afferrato lo spirito della cosa.
  11. Qualche altro macrofotografo "casalingo" ha voglia di aggiungersi?
  12. Prima di tutto grazie ad Alberto e Andrea, per aver raccolto la sfida, le loro immagini impreziosiscono di molto il mio articolino. E poi...Andrea: Ameles spallanzania! lei e l'Empusa pennata sono due miei vecchi desideri rimasti non esauditi. Quest'estate dovrei passare proprio di lì, spero di avere l'occasione di fotografare un' Ameles, (se poi trovassi un' Empusa, sarei davvero contento!). Per chi non fosse del mestiere... Ameles è la piccola mantide panciuta, la penultima foto. Forza, tirate fuori le vostre macro (so di almeno due altri nikonlander che avrebbero qualcosa di buono da farci vedere)!
  13. Sta arrivando la primavera, il tempo migliore per la macrofotografia. Chi volesse esercitarsi dove può andare? Ci sono sicuramente soggetti particolari, interessanti, che si trovano solo in determinati ambienti e climi, se vogliamo fotografare quelli, dobbiamo per forza viaggiare per cercarli. Come ho raccontato in un altro Articolo , ho fatto 500km per fotografare una libellula. Però ho anche fatto delle foto macro che mi hanno dato molta soddisfazione anche nei parchi cittadini intorno a me, in periferia, nell'orto di mio suocero e persino sul balcone di casa! La macro si può fare sotto casa (a volte anche in casa!) ma, diversamente da quanto ho scritto per il fotografare gli animali sotto casa, la macro richiede comunque interesse, passione ed esperienza, perchè la macro naturalistica non è mai "tanto per". Di nuovo questo non vuole essere un tutorial su come fare macro (se siete interessati ne trovate uno qui ). Anche se qualche nota tecnica sulle foto la troverete, voglio soprattutto dimostrare con esempi come sia possibile trovare tutto un micromondo a pochi passi dalla propria casa, persino per uno che come me vive a ridosso di una metropoli. Uno dei vantaggi della macrofotografia è proprio che si possono avere soddisfazioni senza dover investire tempo e denaro in lunghi trasferimenti. Ecco gli esempi: Giardino della Villa Reale di Monza. Lungo il ruscelletto che vedete sopra (corredato di macrofotografo), è un paradiso per le libellule. Arrivando la mattina presto si possono trovare esemplari neosfarfallati vicini alla loro exuvia vuota Nikon D700, 200mm f4 micro nikkor AfD, f16, 1/80s, 1000 ISO, treppiede. 0.7 ev in sottoesposizione. Cavalletta Tettigonide fra le canne del minuscolo laghetto all'inizio del ruscelletto Nikon D300, micro nikkor 200mm f 4 AfD f11, 1/500s, 640 IS0, treppiede. Accoppiamento di Libellula fulva. Nikon D7100, Micro nikkor 200mm f4 AfD, f8, 1/1000s, 1250 ISO Sorpresa sorpresa, chi da' la caccia alle rane? Natrix natrix (Biscia dal collare). Nikon D800, Sigma 400mm f5.6 Apo Macro, f8, 1/1000s, 1400 ISO. Vista una volta sola, probabilmente ha fatto qualche cattivo incontro (cane o umano o tutti e due...). Una cosa che mi incuriosisce molto è che le libellule vanno ad annate, ci sono specie sempre presenti, ma altre le vedi una stagione e poi più. Ad esempio, dopo molti anni che frequentavo questo posto, l'anno scorso ho visto per la prima volta un Orthetrum albistylum. Nikon D500, Nikon 300mm f4 PF + Tc 14 EIII, f8, 1/320s, 900 ISO treppiede. Parco Nord Milano Anche qui, un anno è stato pieno di esemplari di Libellula depressa Nikon D610, 300mm f4, AfS + TC14, f11, 1/800s, 1250 ISO, treppiede. La femmina, stessa attrezzatura. Poi non ne ho più viste Anax imperator che depone. Nikon D7100, 200mm f4, f4, 1/800s, 560 ISO, appoggiato. Licenide, Nikon D7100, nikon 200mm f4 micro, f8, 1/250s, 640 ISO, treppiede. Flash di schiarita. Rana ridibunda, Nikon D800, 300mm f4 AFS + Tc 14E , f5.6, 1/1250s, 800 ISO, treppiede. Chiocciola ad inizio primavera. Nikon D500, Tamron 180 Macro, f8, 1/250s, 640 ISO, treppiede. Flash di schiarita. Sotto casa Questa mantide l'ha trovata mia moglie vicino ai box, conoscendomi, me l'ha portata. Fotografata sul balcone di casa per essere poi rilasciata in area protetta. Nikon D7100, 105 micro nikkor G VR, f11, 1/250s, treppiede, flash di schiarita. A fine estate gli insetti tendono ad avvicinarsi alle case perchè più calde, le mantidi sono più rare, ma è comunissimo trovare gli Anacridium, grosse cavallette simili a Locuste. Ogni anno ne trovo uno sul balcone o in cortile. Sul mio balcone. Sigma Sd quattro H, Sigma 105 macro OS, f8, 1/200s, 100ISO, treppiede. Ecco, spero di avere dato una piccola idea di quanta varietà di soggetti c'è vicino, anzi vicinissimo a noi che viviamo in città. Questo articolo è molto Milano (Monza) centrico, perchè parlo di "sotto casa" mia, ma invito (anzi amichevolmente sfido!) i nikonlander macrofotografi di questa ed altre province a mettere le piccole meraviglie che vivono da loro, qui di seguito !
  14. Le Ghiacciaie di Cazzago Brabbia, paese di pescatori dove prima dell'avvento dell'elettricità, si usavano questi edifici circolari dove si manteneva il ghiaccio nei mesi caldi, per conservare il pesce.
  15. Certamente, appena faccio qualcosa di "decente", non mancherò di aggiungerlo. Ho in mente di passare al sistema Z , ma purtroppo la cosa non è attuabile in tempi strettissimi.
  16. Verissimo, tuttavia il VR è comunque meno efficace rispetto al 200-500, anche se essendo un 400 e di dimensioni contenute, il problema si sente meno.
  17. Hai ragione Max scusa, invecchiando si perde il filo... però il gatto è effettivamente ripreso col 10-20. Per farmi perdonare aggiungo un paio di altri scatti col 10-20. L'ho preso da poco sono semplici test
  18. Sono incuriosito, il 300 è il PF? O forse l'Af-i? Cosa ci devi fare?... Ah ah, ora che ci penso, credo di saperlo Ho indovinato?
  19. Rilassati, ti fa vedere qualcosa il mio 10-20
  20. Riporto una comunicazione ufficiale: Il Parco Naturale Mont Avic (Valle d’Aosta, Italia), in occasione del trentennale della sua istituzione, organizza il concorso internazionale di fotografia “avic30photocontest” dedicato alla natura delle Alpi. Il concorso prevede due sezioni, la prima, dedicata al "racconto fotografico", riguarda la natura di tutte le Alpi europee, la seconda le montagne del nostro Parco. Ammontare complessivo dei premi 6000 euro. Primo premio: 1500 €. Quota di iscrizione: 5 €. Tutti i vincitori riceveranno in omaggio un cesto enogastronomico di prodotti tipici della Valle d’Aosta. Le immagini del concorso saranno esposte in una mostra fotografica e scelte per il calendario del Parco. Iscrizioni online aperte dal 10 febbraio al 15 settembre 2019. Crediamo possa interessare gli iscritti al Vostro sito e speriamo possiate diffondere la notizia. Grazie. Maggiori informazioni sul sito https://www.avic30photocontest.eu. Forza ragazzi!!!!
  21. Non ti preoccupare, nel rispondere, tra le righe stavo strizzando l'occhio a Mauro per quando avrò da fotografare la fusione in bronzo, si sa mai (Max è logisticamente troppo lontano...)
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