Vai al contenuto

M&M

Amministratori
  • Numero contenuti

    42.272
  • Iscritto

  • Ultima visita

  • Giorni Vinti

    1.158

Tutti i contenuti di M&M

  1. E' un processore di segnale digitale. Quindi un elaboratore in questo caso applicato all'audio. Il suo compito è fare determinate operazioni sul segnale in ingresso e restituirlo elaborato in uscita. Da solo serve a poco ma in una catena completa può fare diverse cose. in particolare può fungere da cross-over elettronico, equalizzatore parametrico, può applicare i filtri di correzione ambientale elaborati con Dirac Live (è il motivo per cui l'ho comprato). Secondariamente è un dispositivo di rete in grado fare render di musica da sorgenti diverse ed ha anche un attenuatore digitale (volume) fisico e una uscita cuffia. io sostanzialmente entrerò via porta USB o via RJ45 con il segnale audio prodotto da uno dei miei computer connessi ed uscirà con un segnale digitale su quel cavo XLR verso il mio DAC. Da li al cross-over e dal cross-over agli amplificatori a 8 canali che pilotano i diffusori grandi. Lo scopo è quello di elaborare una curva filtrata che tenga conto dell'intervento ambientale sul suono dei miei diffusori (che al naturale non sono corretti ma solo tagliati ed attenuati per banda via per via). L'operazione si fa con un microfono calibrato e un programma che si incarica di misurare la risposta in ambiente "delle casse" e poi applicare una serie di filtri che rendano la loro risposta secondo le mie aspettative, allineandone anche la fase e il ritardo esattamente nel punto di ascolto. Divertente da fare ma maledettamente importante per avere un ascolto ottimale con un sistema complesso come il mio.
  2. No, dai, è un buon cavo ma comunque abbordabile, compresi i Neutrik di ottima qualità e contatti dorati e il cavo Mogami originale, viene 10 euro al metro.
  3. Carina l'idea della foto evocativa di Saverio, come dire che quando non c'è l'occasione, il fotografo se la crea Direi di archiviare, che ne pensate ?
  4. É fuori discussione, tutti i tele da 300/2.8 a 800/5.6 verranno portati su Z, ci sono i brevetti. Per ora in roadmap ci sono solo i due citati. Ma é un fatto temporaneo. Di Pf Z per ora non ci sono tracce mentre l'unico TC integrato é in un 200/4 non micro.
  5. Si, attenti che qui parliamo della prima tendina, non della seconda.
  6. John Rutter : Suite Antique Philip Glass : Concerto per Clavicembalo e orchestra da camera Jean Francaix : Concerto per calvicembalo e ensemble strumentale Christopher D. Lewis : clavicembalo, Jack McMurtery, flauto traverso West Side Chamber Orchestra diretta da Kevin Mallon Naxos 2013, formato CD registrato a New York nel settembre del 2012 *** Disco molto particolare che ho ascoltato un innumerevole quantità di volte perchè unisce tre composizioni di autori molto diversi tra loro, attratti dalla possibilità di "ricreare" con sonorità contemporanee l'eredità del concerto per clavicembalo in stile barocco (o bachiano se vogliamo), mantenendone il gusto leggero e godibile. La "Suite Antique" di John Rutter apre il disco. Si tratta di una composizione in sei movimenti. John Rutter è uno specialista di musica sacra. Britannico, nato nel 1945, ha ricevuto la commissione per questa suite nel 1979 e l'ha risolta come omaggio al Bach dei concerti brandeburghesi. Nella realtà il clavicembalo è un comprimario del flauto che porta le melodie principali e la composizione stessa è un sorta di pastiche che richiama tanti stili differenti, alcuni da colonna sonora o jazz. La chiusura ricorda un rondeau ma i ritmi sono certamente moderni. Segue il concerto in tre movimenti di Philip Glass che è del 2002. Qui il clavicembalo è protagonista incontrastato, sia sul piano sonoro che su quello tematico e con accenni di vero virtuosismo. Le sonorità sono morbide ed intonate con il timbro del cembalo usato in questa registrazione. Glass si sforza di creare il classico confronto tra soli e tutti, comprendendo in questo gioco (non propriamente contrappuntistico) anche i fiati nel loro insieme. Nel complesso si sente lo stile di Glass ma non ossessivamente ... ossessivo come in composizioni più tipiche. L'ultimo concerto è del più anziano dei tre compositori rappresentati e la sua carriera internazionale gli ha dato una certa notorietà già negli anni '30 del secolo scorso. Due toccate in stile francese, o addirittura nello stile francese di un Bach del 20° secolo. Un minuetto, molto melodico e un finale molto veloce e contrappuntistico. Nel complesso la suite di Rutter è un brano un pò "nazional-popolare" (come altra sua musica), molto melodico, il concerto di Glass è di un Glass che gioca a non fare il Glass. E in parte ci riesce. Il Concerto di Francaix è certamente la composizione più interessante sul piano compositivo e stilistico che non manca dello spirito francese dei suoi contemporanei come ad esempio Poulenc (che non a caso ha scritto musica per clavicembalo), con momenti di vero umorismo. Il clavicembalista Christopher Lequis è un gallese che vive negli USA e che ben si disimpegna in questo repertorio un pò borderline, ben coadiuvato dall'irlandese Kevin Mallon e dalla vivace orchestra di New York. Una compagine molto eterogenea ma affiatata alle prese con un repertorio di facile accesso che dovrebbe destare una sana curiosità. Registrazione pulita, in stile Naxos, famosa per i suoi prodotti di qualità, molto coraggiosi nelle scelte anche di repertorio generalmente trascurato dalle major e proposto sempre a prezzo accessibilissimo.
  7. Bach, Concerti per Violino e orchestra BWV 1041, 1042, 1052R, 1053 Kati Debretzeni, violino English Baroque Soloists diretti da John Eliot Gardiner SDG 2019, formato 96/24 *** Disco in uscita a metà novembre 2019, offerto agli "amici" in anteprima, con uno sconto friends. Per sole £6,40 ci si porta a casa il Bach umano degli amici inglesi del complesso English Baroque Soloists, di cui John Eliot Gardiner è solo il socio fondatore ma di cui ogni componente ha ruolo paritario. Lo mostrano le foto lo mostrano i sorrisi durante le prove. Lo prova la loro musica. Se facciamo un confronto con l'edizione di inizio anno, degli "specialisti" tedeschi della Akademie fur Alte Musik Berlin guidati da Isabelle Faust che certo Bach lo masticano a colazione fin da bambini, lo stacco è netto sin dalla prima nota del celeberrimo 1052 finale. Ma ancora di più nel 1042, dove il tono soave e schietto, genuino di Kati Debretzeni si limita a portare la melodia sopra gli altri archi. I tempi sono tranquilli, senza forzare. Non è una maratona. Del resto la solista è il primo violino del complesso dal 2000. Tanti anni di frequentazione con tutte le Cantate di Bach e i Concerti Brandeburghesi (altra grande registrazione SDG) che non le hanno impedito di crearsi anche una solida fama di solista con altre compagini. Lo spirito è quello solito di Gardiner, il gusto di fare musica insieme. L'amore per Bach, non per l'apparire. Suono un pò secco, immagine costretta al centro (ma guardando il video si capisce il perchè). Il violino solista si perde un pò nel suono complessivo del tutti ma anche questo ci sta. Ultima nota, il concerto BWV 1053 qui viene eseguito nell'arrangiamento della stessa Kati Debretzeni, dall'originale per clavicembalo. Aggiungo le note scritte di pugno dalla solista e da Gardiner per ora non disponibili nel CD : A personal letter from Kati Debretzeni soloist and leader Recording this album of Bach violin concertos with John Eliot Gardiner and my colleagues and friends from the English Baroque Soloists was a special experience. I have spent the last 22 years playing Bach with John Eliot. On the one hand I ‘grew up’ (musically speaking) with the strong dance element in this music, and on the other, the Monteverdi Choir’s singing just behind me or around me. Alongside the two mainstream violin concertos (A Minor and E Major) I chose to record two ‘borrowed’ ones. The first is a reconstruction based on the popular D minor harpsichord concerto which might (or might not, depending on which eminent musicologist you believe) have started life as a violin concerto. The second one is my own arrangement of another harpsichord concerto, that in E major, in keeping with Bach’s own custom of arranging and re-arranging his own works. Both these concertos have counterparts in Bach’s cantatas, where he uses the very same musical material (with the organ instead of harpsichord shining through), but superimposes the most glorious choral textures above the concerto material, with poignant texts sung - a ready-made source of inspiration for playing them in their concerto form, and one I was intimately familiar with from my time in that unforgettable, unique experience, the Bach Cantata Pilgrimage. John Eliot was not willing to conduct the recording sessions at first - historically, the violinist (or harpsichordist) would have directed a Baroque orchestra in this repertoire. I ended up asking him to do so during the sessions, as I felt his presence and his fine-tuned ‘Bachian’ instincts gave a huge amount of extra energy for the orchestra to tap into, leaving me free to engage with them all with the greatest freedom. The many years of leading and playing Bach with him at the helm paid dividends galore - this meant speeds and characters were readily agreed upon, and I felt supported by him (both musically and personally) every inch of the way. Doing all this with the dedication, skill and support of all my long-time friends and colleagues within the EBS was an extra bonus - and a huge one at that. We danced and sang our way through 5 wonderful days last December, engaging close-up with this throughly life-enhancing music. I hope you enjoy the fruits of this labour of love. Kati Debretzeni --- Bach’s violin concertos reveal an ebullient sense of invention and rhythmic exuberance in their dance-based outer movements and a hushed intimacy in the sublime slow movements. It is rather as if one is overhearing a passionate conversation between friends. Yet to maintain the conversation’s flow the soloist needs not just to master the different technical demands of each concerto and to capture moods that range from the playful to the profound, but also to locate the spirit of each individual movement and, as a result, to touch your soul. To me that is exactly how it felt when we recorded these four miraculous concertos with Kati Debretzeni and members of the EBS last December - with everyone sharing a palpable delight in the music-making. John Eliot Gardiner
  8. Gustav Mahler, Sinfonia n. 6 MusicAeterna Teodor Currentzis Sony Classical 2018, formato 96/24 *** Si pone nel mezzo della tradizione per durata, questa interpretazione di Currentzis della 6a di Mahler. E se vogliamo molto meno provocatoria o affatto, rispetto ad altre scelte della stessa formazione nel recente passato (ho sempre in mente "l'assurdo" concerto per violino di Chaikovsky con l'istrionica Kopatchinskaja). Questa edizione è viva, palpitante, viscerale fin dalla prima nota. I bassi giungono cavernosi con un senso di urgenza, più che di immanenza. Ma senza che questo influenzi sui tempi di esecuzioni che restano "normali". In fondo però non c'è sensazionalismo, solo musica nel senso pieno del termine. Forse - ma questo sarà un male - Currentzis screma questa finestra sulla musica di Mahler da buona parte di quella sovrastruttura decadente da finis-Germaniae che spesso nel passato ha condito più del necessario un sinfonismo troppo biografico. Vista sul piano del segno e senza troppo indugiare sugli aneddoti personali di Gustav (e famiglia) o sulle vicende degli imperi centrali a cavallo della Grande Guerra - che Mahler non vedrà e che forse nemmeno immaginava - la 6a è un affresco formale, pieno di dinamiche interne, a volte difficili da seguire e discernere per l'ascoltatore se il direttore indugia sulla spettacolarità delle pagine più che sul filo del discorso. Currentzis ne fa più una questione di nitore, affidandosi per il ritmo e il suono alla sua compagine, perfettamente affiatata ed allineata con le sue visioni, e ai tecnici del suono per la ripresa del fragore della matassa sonora. Non sarebbe piaciuta anche a Brahms questo modo di porgere questa musica che solo ai giorni nostri è diventata così ... nazional-popolare ? Forse no ma è piaciuta a me che pure non vivo di Mahler e metto questo disco tra le migliori proposte del 2018, per spessore musicale e per qualità del suono. Insomma, non è Bernstein, non è Kondrashin, non è nemmeno Scherchen, (e chi potrebbe esserlo ?), forse è un pò Boulez ma non troppo : è Currentzis ! E ci va bene così.
  9. "American Rapture" Jennifer Higdon : concerto per arpa e orchestra (prima assoluta, dedicato a Yolanda Kondossis)Samuel Barber : Sinfonia n. 1 Op. 9 in un movimentoPatrick Harlin : Rapture (versione per orchestra)Yolanda Kondonassis - Arpa The Rochester Philharmonic Orchestra Ward Stare - Direttore Azica Records 2019, 96/24 *** L'arpista Yolanda Kondossis, interprete del concerto per arpa e orchestra di Jennifer Hogdon La musica contemporanea oggi si divide in diversi filoni. C'è quella celebrale - tipo le composizioni di Esa-Pekka Salonen - che io non riesco a capire e sinceramente nemmeno ad ascoltare. C'è quella in stile cross-over che cerca di legare uno spirito classico con uno un pò più pop, per così dire. E c'è quella che cerca di esprime lo spirito del nostro tempo mantenendo la musica vicina - per quanto possibile - agli ascoltatori. E' certamente di questo filone la musica americana e in particolar modo quella di questo disco molto interessante, che contiene peraltro due prime assolute. Veniamo innanzitutto al titolo. Rapture sarebbe la sensazione che provano gli speleologi quando trascorrono periodi molto lunghi sotto terra nelle grotte o nelle caverne. Io naturalmente non ho mai provato queste situazione ed essendo piuttosto claustrofobo mi auguro sinceramente di non provarla mai. Il brano - qui eseguito per orchestra per la prima volta - va in crescendo fino ad un finale veramente impegnativo, che vede praticamente la disgregazione del linguaggio sonoro. Non sono convinto di averlo ben compreso, probabilmente bisognerebbe avere una buona introduzione dall'autore (qui il suo sito). Stiamo comunque parlando di avanguardia (Harlin ha conseguito il dottorato nel 2016 e la sua musica tratta sostanzialmente di soundscape, se intendiamo quello che lui intende). Un brano recentissimo, non mi cattura particolarmente ma certamente c'è sia originalità che innovazione. Il pezzo forte del disco probabilmente doveva essere la prima sinfonia di Samuel Barber inserita tra le due composizioni in prima assoluta probabilmente per rassicurare l'ascoltatore e l'acquirente, essendo del 1936. E' una composizione pienamente sinfonica in un solo movimento che dura circa 22 minuti. Si ispira nella struttura alla settima di Sibelius e certamente ne ha la modulazione (di fatto ci sono i tradizionali 4 tempi, condensati in un unico movimento). ma senza la ricchezza inventiva e la passionalità tipica del finlandese. Appare di tutta evidenza che dal punto formale ed intellettuale sia qualcosa che sta certamente su un piano ben differente rispetto al resto del disco. Non ci sono dubbi che la compagine di Rochester (siamo nella Kodak Hall, nata sotto il patrocinio della fu la fondazione Kodak) dia il meglio di se in questa sinfonia. Ma è comunque una composizione ostica, decisamente meno immediata di quanto pensiamo usualmente di Barber (che è un compositore, lo confesso, che non frequento quotidianamente). Invece mi ha attratto di questo disco il concerto per arpa e orchestra di Jennifer Higdon (classe 1962) che secondo me fa il paio col suo bel concerto per violino. Quello dedicato a Hillary Hanh nel 2009 e pluripremiato e celebrato, questo dedicato all'arpista Kondossis, solista in questa prima assoluta. E' una composizione in quattro movimenti estremamente frizzanti già a partire dai titoli (First Light, Joy Ride, Lullaby, Rap Knock). La stesura della trama orchestrale è abbastanza tradizionale per il 2018 e l'ingresso dell'arpa perfettamente strutturato, così come il fraseggio con gli archi e i legni, il tutto sottolineato dalle ricchissime percussioni. La cavalcata del secondo movimento ha un chè di bartokiano ma senza alcuna asperità meccanica, diciamo che ci sono gli echi del compositore ungherese ma nel mood complessivo del concerto in cui si legge la firma della Higdon, oramai abbastanza riconoscibile. La parte dell'arpa è tutt'altro che semplice e non deve essere stato nemmeno uno schermo durante le prove mettere a punto quei ritmi e quegli interventi a tempo. Lullaby è l'adagio seguente che inizia con l'arpa sola. Più che una ninnananna diciamo che è un momento di intimità. L'intervento del violoncello e del flauto si intrecciano con l'arpa che mantiene però il dominio della melodia. Probabilmente è il più tradizionale dei concerti della Higdon ma non vi immaginate di essere all'interno della strutturazione sonatistica di Haydn. Ci sono intuizioni sonore che si susseguono e questa lullaby è piuttosto una danza di esserini fatati più piccoli di un ditale che lasciano una scia di stelline per una stanza assolata. Il Rap percussivo finale stravolge completamente tutta la composizione e la porta ad un livello di originalità abbastanza inaspettato. Ci sono accenni di temi di danze latine insieme a passaggi jazzistici, l'orchestra e le sue parti tendono all'anarchia con l'arpa che cerca di ricucire la struttura. Le percussioni sono aumentate di numero e di importanza e l'arpista qualche volta deve alzare la voce anche bussando sulla tavola in legno. Sul finale, quando la coesione sembra venire meno e l'arpa non ce la fa più a tenere a freno il resto della compagnia, si sente qualche cosa che ricorda un pò il Barber che segue. E probabilmente da qui è venuta la scelta del programma di questo disco. Tenendo a mente che stiamo parlando di un concerto in prima assoluta, composto nel 2018 (e che comunque non parliamo di capolavori assoluti) credo che Jennifer Higdon sia un compositore estremamente interessante nel panorama odierno, capace di produrre musica vivace, originale, che riesce a raggiungere l'ascoltatore. In America le sue rappresentazioni hanno successo e non stento ad immaginare che anche questa sua nuova prova ne avrà. La registrazione è di buon livello, forse un filino secca ma nel complesso l'orchestra ne viene fuori bene. Arpa e solisti in buona evidenza senza apparire 10 metri davanti agli altri. Un disco che vi suggerisco, anche per cambiare musica, al posto dell'ennesimo quartetto di ultime sinfonie di Mozart o di concerti a programma di Vivaldi
  10. Bach Concerti per Violino e Orchestra BWV 1041, 1042, 1043, 1056R e 1052R Giuliano Carmignola (Mayuki Hirasaki primo violino nel concerto doppio 1043) Concerto Koln Archiv 2014, registrazione fatta a Colonia nel 2013 Disponibile in formato CD *** Una scelta classica di concerti per violino e orchestra di Bach, incluso il celeberrimo in Re minore per due violini BVW 1043, con il più italiano dei violinisti barocchi contemporanei che guida anche l'ottimo Concerto Koln, specialista del repertorio bachiano. Non è una scelta insolita in quanto è notorio quanto Bach si sia rifatto al modello italiano nella gran parte dei suoi concerti. E' rimarcato anche nel libretto della Archiv che riporta il titolo "Bach all'italiana" (in italiano nel testo originale) ed è normale, dato il background di Carmignola, cresciuto in terra veneta con Corelli, Vivaldi e i fratelli Marcello come base culturale. Se ne giova l'interpretazione e anche l'ascolto. Carmignola ammette che i suoi riferimenti per questi concerti sono stati fin dalla gioventù Stern e Oistrakh. Ma non c'è traccia della solennità e della drammaturgia del suono di Oistrakh (famosa l'edizione con il figlio del concerto doppio) né del pieno rispetto del segno di Stern. Se ne giova anche l'ascoltatore che vede tolte molte delle stratificazioni storiche di queste pagine che, proprio per rifarsi al concerto italiano che imperava in tutte le corti d'Europa nel primo settecento, hanno tutti allegri assai e adagi sì lirici ma non "troppo" bachiani. Il tocco leggero, veloce, estroso di Carmignola aggiunge spezie e vivacità al ritmo, riuscendo a farsi seguire anche dal complesso di Koln, spesso un pò ingessato e teutonicamente compassato. Vedi ad esempio i raddoppi del terzo movimento del BWV 1042 che sembrano veramente crescendo vivaldiani. Ha un suono "veneziano" anche il BWV 1043, nonostante la prima voce sia giapponese, segno di quanto sia contagioso il nostro spirito. E appunto, il secondo movimento, privo dei toni enfatici di russi e in generale dei musicisti di chiave romantica. Il terzo movimento è addirittura "troppo" liberatorio con tempi veramente svelti, quasi come a scusarsi di quel momento di autocompiacimento del largo (ma non tanto) del concerto. Questo bel disco finisce con due concerti "ricostruiti" da Marco Serino, dai due concerti per cembalo di pari numero di catalogo, che Carmignola interpreta se vogliamo ancora più all'italiana, visto che qui la tessitura è ancora più leggera e il suono del suo Guarnieri si ritrova più libero dai bassi. Non c'è eccesso di fioriture, giusto il necessario. Anche l'ultimo, il 1052 che è il mo concerto per cembalo preferito del genio bachiano, è alleggerito dalla monodia del violino che chiaramente suona più in alto del resto del complesso (vedere per confronto la recente interpretazione molto brunita di Bonizzoni dell'originale per cembalo). Se non capite cosa sto scrivendo provate ad ascoltare per confronto l'ultimo movimento della Ibragimova (Hyperion 2014) alla ripresa del solo, verso il minuto 2:13) lei non fraseggia, suona, Carmignola da respiro alla musica, sussurrando la seconda frase su un volume più basso e leggermente rallentando. Il risultato è di tutta ovvietà per chi conosce il nostro repertorio, molto meno per chi pensa al Bach luterano officiato da musicisti romantici. Non che la Ibragimova abbia una visione incoerente ma è tanto diversa da rendere i due dischi, peraltro coevi, del tutto giustificati per quanto diversi. Insomma, se Bach fosse venuto nel trevigiano per una settimana di vacanza, oltre ad ascoltare la nostra musica in originale e non ripresa da complessi tedeschi ossequiosi del loro principe, avrebbe potuto ascoltare la sua musica così come ce la porge oggi Carmignola. Ovviamente di dischi come questo ne abbiamo già a decine, ognuno di noi ne avrà più scelte a seconda dei momenti ma questo si aggiunge volentieri per un tocco molto personale e più disteso sel solito. Registrazione con un buon registro complessivo, senza quelle secchezze tipiche di certe prove Archiv, basso non troppo lungo e violino (il Guarneri di Carmignola) non esageratamente in evidenza come è giusto che sia in generale ma specialmente in questo repertorio dove il solista è semplicemente un primo violino più esperto degli altri.
  11. Perdonami ma a me questi tuoi sfondi un pò granulosi non piacciono molto due pennellate a proprio gusto e le cose cambiano.
  12. Parliamo comunque di 2 cm (163mm contro 140). Io trovo impegnativo il 600mm a bordo campo (si inquadra la metà campo avversaria e quando l'azione é da questa parte è inutile, motivo per cui il 600mm non viene usato negli sport di squadra). Ma per bestiole e altri accidenti (anche a 4 ruote) 600mm valgon ben una messa un paraluce più largo. Ragionando di 3 kg di peso e mezzo chilo probabilmente guadagnato anche dal corpo macchina (tra specchio e pentaprisma in meno), forse, forse, qualche pensiero "non da geometra" lo si dovrebbe fare. Io ho usato il 600/4 pre VR che era un pachiderma e l'ho venduto per usare solo il 400/2.8 VR. Ma qui parliamo veramente di pesi piuma (fino a qualche anno fa un 300/2.8 pesava circa 3 kg). Anche se, per me, l'opzione ideale sarebbe sempre un 600/5.6 PF, Z, ovviamente.
  13. Infatti io mi chiedevo dove fosse il problema, dato che quella è la mia scelta di default ed aspetto con ansia che l'otturatore meccanico diventi superfluo per evitare qualsiasi tipo di sollecitazione meccanica o di vibrazione.
  14. + minidsp SHD Studio con un cavo Mogami di segnale XLR da 5metri. Se a qualcuno interessa ne cominciamo a parlare qui, se no, ad installazione e tarature effettuate, quando scriverò l'articolo sul blog
  15. Ma se il Nikkor Z 600/4 S pesasse quanto il Nikkor F 500/4E ... ... fareste l'upgrade anche della focale ? Mi spiego meglio. Il Nikkor Z 105/2.8 MC pesa molto meno del vecchio 105/2.8 VR. Il Sony 600/4 pesa quasi esattamente quanto il Nikon F 500/4E. Il Canon 600/4 RF pesa 3.100 grammi. Il Nikon 600/4 pesa 3.881 grammi. E' lungo 432mm. Il Nikon 500/4E pesa 3.090 grammi. E' lungo 387mm. Io sono pronto a scommettere che sia 400/2.8 che 600/4 Z peseranno meno dei corrispondenti Nikon F. Se il 600/4 pesasse quanto l'attuale 500/4E, la differenza sarebbe solo su quei 4 cm circa di differenza di lunghezza. Per 100mm di focale in più.
  16. Abbiamo solo questo scenario : Z6 II (Z7 II ?), video 4K60P lungo, XQD/CFEx.
  17. E' stata segnalata in questi giorni l'esistenza di una anomalia di funzionamento della Z6 II in modalità video 4K60P. In pratica dopo 8-10 minuti di funzionamento, la macchina va in protezione (overheating) e si spegne. Non abbiamo informazioni circa l'eventualità dello stesso problema con la Z7 II (anche perchè la modalità di cattura del video tra le due macchine è differente, oversampling hardware contro downsampling software). Sappiamo che Nikon è informata ma non abbiamo spiegazioni al riguardo. Al momento il suggerimento che possiamo dare - salvo verifica pratica, io non ho più una Z6 II per provare - è di impiegare la sola scheda SD per queste riprese video. Se qualcuno in possesso di Z6 II e/o Z7 II volesse dedicarsi a fare qualche prova (registrando video 4K60P per durate fino a 30 minuti, salvando su scheda CFE/XQD e poi su SD), ci farebbe cosa veramente gradita riportando qui di seguito le sue osservazioni.
  18. L'utente SilvanoO ha segnalato sul proprio profilo il 10/7 quella che sembra una anomalia indotta dal Nikkor 105/2.8 MC : effettivamente l'anomalia esiste e non solo con le Z7, anche con la mia Z50 in sostanza, a differenza degli altri obiettivi non è possibile selezionare dal menù d4 la modalità ad otturatore meccanico ma solo alternativamente Auto (scelta consigliata) oppure a "prima tend. elettr.". Non sappiamo se sia una scelta o un bug (il nuovo 50/2.8 MC invece permette di selezionare l'opzione M). Né se questa sia una limitazione pratica (dove starebbe il problema ?). Comunque in Nikon sono informati. La soluzione proposta da Gianni54 al momento sembra quella funzionale sebbene poco pratica, in quanto se si dovesse avere necessità di cambiare modalità durante gli scatti, sarà possibile cambiare per una delle altre due ma per tornare a quella ad Otturato meccanico, si dovrà comunque ripetere l'operazione (togliere l'obiettivo, selezionare l'opzione, rimettere l'obiettivo). *** Approfitto dell'occasione per rammentare a SilvanoO e a tutti gli altri che la sede giusta per fare una domanda su Nikonland è questa in questa sezione dedicata al materiale fotografico, non il proprio profilo, non il messaggio personale, non il modulo di contatto non ... Perché qui sarà visibile a tutti e tutti potranno eventualmente rispondere. Altrove, non è detto ...
  19. M&M

    Nuova Nikon Z fc

    Nikon Japan sta promuovendo la Nikon Z fc con il pubblico femminile come target : qui
  20. Sul sito cinese Xitek è stata pubblicata una intervista ai progettisti dei due nuovi Nikkor Z micro MC. In estrema sintesi : il minor peso è stato ottenuto usando una particolare lega di alluminio per il barilotto interno e per l'attacco che a parità di robustezza pesa meno del precedente; anche il motore è più compatto e leggero la scelta di non rendere il 105/2.8 MC compatibile con i teleconverter Z deriva dalla volontà di mantenere dimensioni, pesi e prestazioni velocistiche di primo livello e senza compromessi. Non è prevista una versione di alcun teleconverter compatibile con il 105/2.8 MC il nuovo disegno della S del 105/2.8 deriva dalla volontà di caratterizzare meglio la linea S rispetto agli altri con un design più "lussuoso", Ci sarà una ulteriore evoluzione del design dei superteleobiettivi (dal 300/2.8 al 800/5.6) l'effetto della stabilizzazione é inversamente proporzionale alla distanza di ripresa il 105 mm ha un'elevata proprietà antipolvere e antigoccia ottenuta sigillando le parti mobili. Il 50 mm è progettato per impedire l'ingresso di gocce d'acqua e polvere nel corpo principale non siamo andati oltre il rapporto 1:1 per non compromettere l'equilibrio tra prestazioni ottiche, prestazioni AF e riduzione del peso.
  21. Johannes Brahms : le cinque sonate per violino e pianoforte Vol. 1 e Vol. 2 Ulf Wallin, violino Roland Pontinen, pianoforte Bis 2019, formato HD *** Quante sono le sonate per violino e pianoforte di Brahms ? Il quesito viene posto in questi due dischi. Di getto io risponderei chiaramente che sono 3. Più un movimento della sonata FAE. Quindi al massimo 3 e 1/4. No, invece anche le due sonata Op. 120, pensate per clarinetto, proposte per viola, sono anche esse sonate per violino e pianoforte (o in qualche caso, per pianoforte e violino). Quindi siamo a 4 sonate. E un quarto per il movimento della sonata FAE. Ma c'è chi pensa che le sonate in totale siano cinque, di cui una persa, forse costruita attorno a quel movimento. Come sia l'arcano mistero, qui abbiamo due volumi con l'integrale di queste sonate (Op. 78, Op. 100 e Op. 108, le due Op. 120, il movimento senza numero d'opera) e per sovrammercato abbiamo anche due trascrizioni di lieder del periodo 1868-1877. Bene fin qui. Una aggiunta singolare ad uno sterminato catalogo di edizioni di queste gemme musicali. Ma come sono ? Sono rese alla maniera scandinava. I due musicisti - lo svedese Ulf Wallin che suona un violino italiano del 1746, lo svedese ma di origini finlandesi Roland Pöntinen, che suona uno Steinway D - non indugiano né sulla chiave crepuscolare dell'ultimo Brahms (Op. 120) né su quello virile eroico della FAE o dell'Op.78. La "Regen" appare qui chiara e limpida, senza ombre. Umana ma apparentemente priva di difetti. La "Thun" di una calma più che Olimpica. E la terza abbastanza priva di quella irrequietezza che invece viene facile leggere. Le due sonate Op. 120 continuano con questa chiave di lettura di tranquillità interiore, non rassegnata ma di accettazione. Un modo di vedere Brahms che è molto lontano dal mio (non che io ne possa sapere di più di loro. Ma Brahms ebbe un travaso di bile per non essere arrivato in tempo al funerale di Clara. Non che il fatto potesse essere importante ma quanto può essere rassegnato o tranquillo un uomo simile ? Permettetemi di dubitare). I due comunque mostrano un affiatamento totale e se non ci sono i guizzi di coppie come Perlman/Barenboim o Perlman/Ashkenazy è perchè probabilmente non è più quella l'epoca. Il Brahms svedese è questo. Anche quello sinfonico. Ma Brahms amava il calore del sud. Della Baviera, dell'Austria e dell'Italia Registrazione limpida come da standard Bis.
  22. Felix e Fanny Mendelssohn : musica da camera per violoncello e pianoforte Johannes Moser e Alasdair Beatson Pentatone 2019, formato 96/24 *** I fratelli Mendelssohn avevano la stessa inclinazione musicale. Le consuetudini del tempo però sfavorivano la composizione per le giovani. Fu il caso, oltre che di Fanny, anche di Clara Wieck e di altre giovani donne in età Vittoriana. E' un peccato perchè Fanny aveva gusto e un equilibro musicale che apriva più a Brahms di quanto il fratello abbia mai potuto fare nella sua breve vita. Uniti a stretto filo, anche dopo il matrimonio di entrambi, dal primo all'ultimo giorno di vita (spirati, entrambi, per lo stesso male, a pochi mesi di distanza l'una dall'altro), lo erano anche nella scelte musicali. Questo bel disco intriso di puro primo romanticismo ne è la prova. E sebbene sia in larghissima parte fatto di musica di Felix (le due sonate, le variazioni concertanti, uno dei tanti lied senza parole), ci regala una meravigliosa interpretazione della Sonata-Fantasia in Sol Minore di Fanny che veramente sono sicuro sarà tanto piaciuta a Johannes Brahms se avrà avuto modo di ascoltarla, cosa di cui dubito. Di grandissimo respiro anche il Capriccio in La bemolle, più brillante ma sempre intensissimo. Condivido la scelta di chiusura del disco, l'Assai Tranquillo in Si minore di Felix, quasi un commiato dei due, nel loro stile pacato e sinceramente tenero che si chiude quasi in un respiro, un sussurro. Grande affiatamento dei due interpreti, cosa necessaria in questa musica, con pari peso dei due strumenti che rappresentano idealmente le due voci del cuore del musicista. Il violoncello, caldissimo è un Guarneri del 1694 mentre il pianoforte è un Erard 1839, scelta assolutamente felice, per il suono caldo e mai invadente che riesce esprimere, perfettamente immerso nell'epoca in cui sono state scritte queste pagine. La registrazione è altrettanto calda ed asseconda perfettamente lo stile della musica e il tono dei due strumenti. Grandissimo disco, nonostante il repertorio possa apparentemente sembrare poco attraente.
  23. Per il centenario, stesso repertorio, stesso titolo, altri interpreti, AVI MUSIC 2014, uscito l'estate del 2018
×
×
  • Crea Nuovo...