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Blog Entries pubblicato da M&M

  1. M&M
    Beethoven : Complete works for fortepiano and violoncello
    Alexander Lonquich, fortepiano
    Nicolas Altstaedt, violoncello
    Alpha 2020, formato 96/24 via Qobuz Streaming
    ***
    Ci tengo a sottolineare il titolo, opere per fortepiano e violoncello di Luigi Van Beethoven, non violoncello e pianoforte.
    Perchè in queste composizioni in fondo la prevalenza va al pianoforte, qui un fortepiano del 1826, quindi perfettamente coevo con Beethoven, l'ultimo, simile al pianoforte di Brahms ma non esattamente, dal suono brillante e pulito, un Graf, costruito a Vienna.
    Che si fonde perfettamente col Guadagnini del 1749 dal suono molto brunito e tutt'altro che squillante di Alstaedt.
    Ma, appunto, fortepiano e violoncello e non il contrario.
    Diciamo che le due ore e rotti di questo disco non sono una novità assoluta, abbiamo un panorama sconfinato di queste composizioni, celeberrime ma non le cose migliori di Beethoven in assoluto.
    Qui c'è, come dicono le note, però un vero elogio alla maturità.
    Di Lonquich con cui Alstaedt si accompagna in punta di ... dita, realmente rispettoso del sessantenne pianista oramai al massimo della sua maturità.
    E che produce un suono veramente perfettamente attinente con questa musica. Salottiera, mai troppo seria o seriosa.
    Che non si prende mai sul serio.
    Il Beethoven in fondo meno accademico, meno allocutorio, almeno tra la musica formale, non popolare.

     


    i due strumenti protagonisti, i due musicisti protagonisti.
    Un bel disco che ho ascoltato due volte di seguito ... senza nemmeno accorgermene.
    Oltre all'affiatamento tra i due interpreti, il suono maestoso e pastoso dei due strumenti, quasi pensati per suonare insieme fin dall'origine e che pure al sordo Beethoven sarebbero piaciuti infinitamente.
    Io sono un grande estimatore del grande Lonquich che ho ascoltato dal vivo in un indimenticabile 2° di Brahms, quando avevamo entrambi meno di trent'anni.
    Mi levo il cappello di fronte a quello che è diventato, lui, a sessanta.
    Grande disco.
  2. M&M
    Beethoven : Sinfonia n. 5 in Do Minore Op. 67
    MusicaAeterna diretta da Teodor Currentzis
    Sony Classical 2020
     

    Beethoven : Sinfonia n. 5 in Do Minore Op. 67
    NDR Radiophilarmonie diretta da Andrew Manze
    Pentatone 2020
    I Movimento :
    - Teodor : 6:42
    - Andrew : 7:34
    II Movimento :
    - Teodor : 8:39
    - Andrew : 9:53
    III Movimento :
    - Teodor : 4:40
    - Andrew : 5:07
    IV Movimento :
    - Teodor : 10:34
    - Andrew : 11:26
    Durata Complessiva :
    - Teodor : 30:37
    - Andrew : 34:02
     
    Ha studiato violino insieme alla letteratura classica ad Oxford e forse adesso studia da Sir l'inglese Andrew Manze, ha studiato violino ad Atene e poi direzione d'orchestra a San Pietroburgo il greco Teodor Currentzis.
    Le due foto che ho scelto per la copertina li identificano. Atletico, in maniche corte, col matitino in mano Teodor, impeccabile nel suo frac e con la bacchetta d'ordinanza il compassato Andrew che ha suonato e diretto barocco e musica antica in formazioni piccole, filologiche e con strumenti originali.
    Estroversa, roboante, estenuante (per i musicisti e per gli ascoltatori) la 5a di Beethoven del greco, solida, diretta, omogenea la visione dell'inglese che al traguardo arriva tre minuti e mezzo dopo il greco.
    Eppure in tema di campionati di atletica anche Currentzis viene lasciato indietro dai battistrada italiani che restano davanti al plotone (l'Arturo scende a 29:27 minuti mentre il Riccardo la risolve in 30:05 la sinfonia nazionalpopolare di Beethoven).
    Certamente non stiamo parlando di cronometrie ufficiali e di campionati del mondo, i tempi devono essere coerenti tra loro. Ma devo segnalare che il classico dei classici di Beethoven, ovvero Karajan ed. 1963, se la cava comunque in 31:23 e nessuno credo abbia mai pensato fosse troppo veloce o troppo lento.
    Semplicemente era giusto.
    Quindi perché sto dando tutta questa enfasi ai tempi ? Perché la visione moderna di queste sinfonie oggi vuole che si cerchi di rispettare i tempi effettivamente annotati da Beethoven e finalmente abbiamo archiviato il tardo-romanticismo della vecchia scuola, quella in cui Toscanini non si è mai voluto iscrivere, con nostra gioia.
    Perché Beethoven è Beethoven e deve essere rispettato il ritmo delle sue composizioni, specialmente quelle eroiche.
    Detto questo ed archiviate le statistiche perchè di questi giorni, purtroppo di statistiche ne leggiamo ogni giorno e di più funereo, andiamo al dunque.
    Si sta - Dio lo voglia - concludendo l'inutile 250° anniversario beethoveniano e ci vengono ancora proposte le peggio cose in salsa Ludwig.
    Spero che il Titano di Bonn come lo chiamavano certi critici quando ero ragazzo, continui a riposare sonni sereni.
    Non sarà il palestrato Teodor con il suo "matitino" a risvegliarlo. La sua è una prova di atletica, non una interpretazione sinfonica.
    Ammettiamolo, la 5a sinfonia è perfetta in mano ad un perfetto esibizionista come l'inimitabile Herbert Von Karajan che ne ha cesellato miniature eroiche indimenticabili ma è una roboante cacofonie di musica per banda sinfonica che deve essere imbrigliata perchè abbia un senso.
    E' del tutto inutile aggiungere dell'altro thrilling ad un pastone già troppo ricco.
    Di contro il compassato Andrew, se la sfanga quando si tratta di accompagnare un solista che sa il fatto suo come Helmchen, ma lasciato solo confeziona dei consommè tiepidi.
    Come questo.
    Morale ?
    Non vince nessuno. Ma entrambi fanno venire voglia di rispolverare Toscanini, Furtwangler, Karajan, Glien, Abbado, Harnoncourt.
    E Savall. Savall ? 😍
  3. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Richard Strauss : Metamorphosen (1945)
    Beethoven : Sinfonia n.3 Eroica (1804)
    Sinfonia Grande au Lac
    diretta da Esa-Pekka Salonen
    Alpha 2019, formato 96/24
    ***
    Bene, e che ci azzecca l'ultimo lavoro sinfonico dell'ultimo sinfonista tedesco con l'opera di apertura del sinfonismo tedesco moderno ?
    Verrebbe da rispondere direttamente un bel nulla se non fosse che Strauss nella sua Metamorphosen fa citazioni del Beethoven "eroico", dalla 5a Sinfonia e dalla marcia funebre della 3a sinfonia.
    Ed ecco qua combinato un bel programma a tema, che può stimolare i più annoiati.

    Salonen e l'Orchestra Sinfonia Grande au Lac.
    Diciamo che però le cose non funzionano del tutto.
    Metamorphosen è un lavoro introspettivo, mortalmente triste, mortalmente lungo, parzialmente autobiografico, velleitariamente "in memoriam" di Beethoven o non si sa bene chi ... e in fondo quasi una trentina di minuti di noia mortale per soli archi in una combinazione bizzarra.
    Alla fine dei quali uno troverà certamente sollievo in uno squillo di tromba e in tutta la vivacità del Beethoven più autontico.
    Purtroppo è così solo in parte.
    Perchè se i tempi nel complesso ci stanno, non ci stanno i ritmi.
    E quella che viene fuori è la terza sinfonia di Salonen e non proprio quella di Beethoven che ho in mente io.
    Quella i cui squilli echeggiano le fanfare della cavalleria che si scontra sulle alture del Pratzen di fronte ad Austerlitz.
    La terza è una apoteosi di ritmi, di cambiamenti di velocità, di frizzanti melodie ballabili, a volte pacchiane, a volte liriche, con in mezzo una marcia funebre messa li a posta per rompere ...
    Per la sensibilità nordica di Salonen - direttore e compositore della mia generazione, tra i più genuini ed originali, dotato di un grande senso del ritmo e di cui io sono acceso fan - deve essere troppo.
    Intendiamoci, alla fine oltre ad essere un sollievo è pure un bel sentire.
    L'orchestra è validissima, la registrazione all'altezza.
    Ma manca una firma riconoscible. Manca la vitalità popolare di quel Beethoven. Resta sempre troppo garbo. Troppa eleganza. Troppo Salonen.
    Per alcuni non sarà un male, anzi. Ed è certamente questione di punti di vista.
    Ma dopo tanti ascolti io non riesco a promuovere questo disco. 
    28 minuti sprecati nella prima parte e poi solo in parte riscattati.
    Sarà per la prossima volta, magari con Sibelius, Nielsen o ... Salonen stesso.
  4. M&M
    Elgar : Sea Picture e The Music Makers
    Kathryn Rudge, soprano, coro e orchestra Royal Liverpool Philarmonic Orchestra diretta da Vassily Petrenko
    Onyx 2020, streaming di Qobuz
    ***
    Disco pubblicato oggi ed ascoltato in streaming via Qobuz su un sistema Sonos collegato in rete.
    L'inglesizzazione e direi anche la elgarizzazione di Petrenko prosegue a marce forzate.
    Questo disco è sublime nel contenuto, Kathryn Rudge è un angelo (quasi) come la Ferrier e sembra di sentir dirigere Beecham, Barbirolli o ... Elgar.
    Ho provato svariate volte i brividi.
    Grande fascino, direzione magistrale, suono pieno e orgogliosamente britannico.
    Un disco veramente ai massimi livelli.
    Voce in primo piano ma pieni orchestrali possenti, ottimo anche il coro.
    Consigliatissimo.
  5. M&M

    Recensioni : Vocale
    The Gasparini Album, arie di Francesco Gasparini
    Roberta Invernizzi
    Auser Musici diretta da Carlo Ipata
    Registrazione dell'agosto 2016 a Pisa, pubblicata da Glossa nel 2018
    Formato 96/24
    ***
    Francesco Gasparini, chi era costui ?
    Contemporaneo di Alessandro Scarlatti, nativo di Camaiore, attivo a Roma dove venne ammesso nella Congregazione di Santa Cecilia.
    Maestro di Cappella per il Principe Ruspoli e molto vicino al Principe Marcantonio Borghese.
    Autore di 61 opere - quelle conosciute - e considerato tra i più grandi musicisti della sua epoca.
    Grande didatta con all'attivo varie pubblicazioni erudite, oltre che maestro di Benedetto Marcello e Domenico Scarlatti.
    Compositore raffinato, sebbene non alla moda come molti suoi più giovani contemporanei.
    Tanto che ne abbiamo perso la memoria ed è un peccato.
    Benemerito, in questo senso, il lavoro di Carlo Ipata che ci propone questa antologia di arie d'opera interpretate da Roberta Invernizzi.
    Devo ammetterlo ancora, io stravedo per il garbo e la voce, la dizione perfetta e l'assenza di enfasi inutili della Invernizzi, tanto che se cantasse le canzoni di Nilla Pizzi, le amerei come ho amato ogni sua incisione.
    Suono chiaro e ben articolato, bella l'orchestra del tutto priva di asprezze. Voce in primo piano ma non fastidiosa.
    Questo disco è prezioso, bello e ricco. Uno scrigno di tesori che ogni amante del barocco dovrebbe tenere in grande considerazione.
    Raccomandatissimo e presente nella mia personale short-list del disco dell'anno 2018.
  6. M&M

    Recensioni : Vocale
    The Divine Muse
    Musiche di  Schubert, Haydn e Wolf
    Mary Bevan, soprano
    Joseph Middleton, pianoforte
    Signum Classics 2020, formato HD
    ***
    Al di là delle note programmatiche firmate dalla stessa Mary Bevan, che si soffermano sostanzialmente a spiegare il titolo del disco - qualora se ne sentisse il bisogno - questo recital ci trasporta semplicemente in una grande hall londinese (o, se preferite, di una villa di campagna a Nord di Cambridge, dove Mary ha studiato).
    Potremmo fissare una data intorno all'inizio del '800 se escludessimo Hugo Wolf, ma il suo inserimento ci sposta nella seconda parte dell'era vittoriana.
    Questa è l'impressione che ricavo, una serata illuminata da centinaia di candele, drappeggi, mobili stile impero, stucchi dorati.
    Scollature - come quella che esibisce arditamente Mery in copertina - ammiratori cortesi, amanti della musica che cercano di zittire vegliastri rumorosi.
    Sguardi e monocoli.

    Mary Bevan e Joseph Middleton evidenziano il loro affiatamento con un sorriso reciproco.
     
    La linea viennese non ci trae in inganno. La dizione della Bevan è ottima sia in italiano che in tedesco.
    L'equilibrio della registrazione leggermente a favore del pianoforte che è coprotagonista a pieno del recital.

    La musica d'eccezione, legata a personaggi divina o semidivini, religiosi o mitologici.

    Il meglio lo da e lo danno in Schubert, perfettamente intonato con l'idea dell'atmosfera che mi sono fatto, idealmente, certo.
    E' un recital moderno, la registrazione di pochi mesi fa.
    Con questo disco, più che con il precedente, la soprano dimostra di essere adatta ad un repertorio più ampio di quello barocco dove eccelle.
    Non è (ancora) nata una stella ma è un piacere ascoltarli.
    Intanto vi lascio con il sorriso smagliante di Mary Bevan, fresca MBE per nomina reale :
     


     




  7. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Tales From Russia
    Rymski Korsakov (Scheherazade), Mussorgsky (Una notte sul monte calvo), Prokofiev (Storie di una vecchia nonna Op.  31)
    Simon Trpceski, pianoforte
    Onyx 2019, 96/24
    ***
    Simon Trpceski è un pianista acclamato in Inghilterra dove spesso si é esibito con Petrenko a Liverpool.
    Qui confeziona un disco sontuoso, con uno Steinway che si trasforma letteralmente in un'orchestra sotto le sue dita, in una delle più affascinanti Scheherazade che abbia ascoltato sinora.
    L'arrangiamento di Paul Gilson è estremamente fedele ed altrettanto caleidoscopico della versione originale con la magistrale orchestrazione di Rimsky-Korsakov.
    Ci vuole grande tecnica per reggere gli oltre 42 minuti di musica dei quattro brani selezionati ma al contempo anche molta sensibilità per non strafare.
    Trpceski ci porta fino ad un finale denso di pathos e di passione, come ci si aspetterebbe dall'Orchestra Nazionale Russa.
    Non è da meno la versione con il doppio arrangiamento (dal piano all'orchestra) di Rimsky-Korsakov e (dall'orchestra al piano) di Konstantin Chernov, della Notte sul Monte Calvo di Mussorgsky.
    La relativa brevità dle brano consente al pianista di tenere tempi stretti e comunque di mostrare una tavolozza completa di toni e di colori.
    Le storie dalla Russia nella realtà iniziano con i racconti della nonna di Prokofiev.
    Un antipastino leggero che diventa il degno prologo dei due brani successivi.
    Grande disco di Natale che vi consiglio vivamente.
    Registrazione calda, piena, dinamica.

  8. M&M
    Erno Dohnanyi : Ruralia Hungarica, Humoresken in Form einer Suite, Pastorale su una canzone natalizia ungherese
    Valentina Tòth, piano
    Challengerecords, aprile 2018
    Disponibile in formato 192/24
    ***
    Erno Dohnanyi (o Ernst Von Dohnanyi) è stato un raffinato compositore, esponente della scuola nazionale ungherese del '900 ma in realtà un compositore tardo-ottocentesco, una sorta di discendente ungarico di Johannes Brahms.
    Pianista eccelso, suonava regolarmente le sue composizioni.
    Qui abbiamo due composizioni molto differenti. La prima è una raccolta di melodie rurali ungheresi, elaborate al pianoforte.
    La raccolta è una sorta di suite, se la vogliamo vedere così ma i brani sono totalmente slegati.
    La seconda è un'altra raccolta di "humoresken", come dire brani di genere indefinito, organizzati in suite con definizioni "barocche", marcia, pavane, toccata, pastorale, fuga. Termini non tutti calzanti, salvo per la fuga che inequivocabilmente un fuga.
    Il programma di oltre 62 minuti si completa con una "pastorale" su una canzone natalizia ungherese.
    Valentina Tòth (classe '94) è olandese ma di famiglia originaria dell'Ungheria e cerca di mettere in questa musica qualche cosa della sua eredità culturale.
    Se non avessimo il riferimento registrato dallo stesso Donhanyi, potremmo prendere per buona la sua visione della Ruralia che è complessivamente molto tenera e dolce anche nei vivace, con tempi generalmente più lenti e una lettura più ... moderata di questa musica.
    Quindi molto tenero é in effetti molto, molto tenero, quando per il compositore é un sincopato che sembra venire da una filastrocca per bambini.
    Morale, Donhanyi era certamente il meno ungherese della scuola ungherese ma la Tòth é certamente più olandese che ungherese, e certamente i suoi nonni non conoscevano queste filastrocche.
    Si ascolta molto volentieri e la musica è bella, ma la lettura originale mostra tutto un altro mondo.
    All'ascoltatore il giudizio non deve sembrare severo, né qui si vuol far passare il principio secondo cui l'interpretazione dell'autore debba sempre essere superiore a quella degli interpreti. Se fosse così oggi Rachmaninov non lo suonerebbe più nessuno.
    Questa Ruralia della Tòth è struggente dove quella di Donhanyi è più estroversa e disinvolta.
    Molto più interessante la Suite successiva, più strutturata e certamente più "tedesca". Qui la lettura è ottima, in particolare nel finale.
    Probabilmente perché finisce il pretesto folkloristico e la musica diventa decisamente più brahmsiana.
    Veramente fiabesca l'ultima pastorale che invita a rischiarare la mente da ogni nube grigia.
    Complessivamente un bel disco che vi invito ad ascoltare, di un compositore troppo trascurato dal repertorio corrente.
    Registrazione di buon livello con pianoforte non troppo in primo piano come piace a me.
  9. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Rachmaninov : Rapsodia su un tema di Paganini (trascrizione per organo e orchestra di Cameron Carpenter)
    Poulenc : Concerto per Organo e Orchestra 
    Konzerthausorchester Berlin, direttore Christoph Eschenbach
    Vierne : il finale della Sinfonia per Organo n. 1 in Re minore
    Sony Classical 2019, formato 96/24
    ***

    ha rinunciato alla criniera punk e ad un pò (non tutte) delle sue peculiari eccentricità Cameron Carpenter per questa incisione Sony che è forse la più "canonica" delle sue registrazioni all'attivo.
    Insomma non è "All you need is Bach" anche perchè lo sforzo per adattare all'organo la celeberrima Rapsodia di Rachmaninov non deve essere stato da poco e l'occasione, la location, il direttore, richiedevano un pò più di sobrietà.
    Ma l'organo specialissimo di Carpenter è sempre quello (un organo moderno, elettronico, modellato sopra a quello tipico a vapore delle occasioni pubbliche americane, ricchissimo di registrazioni e con un pieno strepitoso ma pur sempre capace di espressività sconosciute agli organi tradizionali) e l'istrionica capacità di ricamare sulla musica dell'esecutore se vogliamo, persino più ricca.
    E' un Rachmaninov che richiama le atmosfere dei bistrot di Parigi, molto meno russo di quanto lo vogliamo credere.
    Impensabili al pianoforte certe soluzioni (vedi Variazione XV) permesse da quest'organo. Viscerale in certi momenti (Var. XVII) , pastorale in altri (diametralmente opposta all'originale la XVIII). Una cavalcata trionfale in altri passaggi (XX).
    Intenso e solenne il concerto di Poulenc che si giova certamente della guida di Eschenbach (cui Carpenter tributa grandi ringraziamenti per averlo sostenuto in questo progetto) ma mai banale, nonostante sia una composizione certamente complicata da leggere.
    Il disco si chiude con il finale della prima sinfonia per organo di Vierne che è omerico tanto da sembrare uscire dalla cabina del capitano Nemo sul suo Nautilus.
    Insomma, non si smentisce questo estroverso mucista sempre border line, anche se qui è decisamente più calato nella sua parte di concertista tradizionale in una sala tradizionale come non ce n'è e di fronte ad un pubblico non troppo abituato ad istrionismi da tacchi alti e borchie.
    Io credo che anche ai più ortodossi amanti di Rachmaninov, questa versione della Rapsodia "Paganini" finirà per piacere.
    Mentre gli altri si avvicineranno - e questa è certo la missione che si è data Carpenter quando ha cominciato il suo percorso concertistico - a pagine certo non facilissimi ed eseguitissime come il concerto di Poulenc o le sinfonie (fantastiche !) per organo di Vierne.
    Insomma, non è del tutto vero che All you need is Bach. A volte ci vuole anche dell'altro.

    Cameron Carpenter davanti al suo organo, costruito su suo progetto originale e capace di una ricchezza espressiva impossibile per ogni organo tradizionale.
    Registrazione di ottimo livello che valorizza tutta la gamma dinamica dello strumento, compresi tutti i suoi straordinari registri .
  10. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Beethoven e Sibelius, concerti per violino e orchestra
    Christian Tetzlaff, violino
    Robin Ticciati alla testa della DSO Berlin
    registrazione Ondine 2019, formato 96/24
    ***

     
    Mi sono preso più tempo del solito nell'ascolto di questo disco. L'ho portato anche in auto in queste settimane e l'ho ascoltato tante volte.
    Tetzlaff a 53 ha raggiunto una maturità personale e artistica che merita tutto il rispetto possibile.
    E Robin Ticciati - non solo secondo me - rappresenta il meglio della sua generazione direttoriale (insieme, purtroppo, a pochissimi altri).
    Il giudizio in estrema sintesi è che avrei voluto essere in sala semmai qualcuno avesse autorizzato un programma così ricco per gli spettatori e così impegnativo per il solista.
    Unire due dei più importanti concerti per violino della storia può solo far tremare i polsi se uno non ha il cuore forte.
    Ma se Ticciati si sta facendo una fama anche come accompagnatore di solisti, Tetzlaff è nella seconda fase della sua carriera.
    Qui siamo addirittura alla terza registrazione del concerto di Beethoven e alla seconda di quello di Sibelius.
    Saranno le ultime e definitive ?
    Credo di si, più che altro per ragioni editoriali/discografiche. Ma forse anche perchè difficilmente nella vita un solista può trovare altro da dire che non abbia la capacità di esporre a questa età.
    E' quello che penso, almeno, delle suite e partite di Bach, pubblicate per la terza volta da Tetzlaff ad inizio anno e secondo me la migliore prova in disco di questo straordinario interprete.
    Che è freddo di carattere, senza dubbio. E che soffre di una patologia dolorosa alla mano che per il violinista è quella fondamentale.

     
     
    Maturità e rispetto per il testo e soprattutto l'autore, con a fianco un custode della tradizione europea, pronto a riportare il solista per la strada maestra se questo dovesse andare fuori giri è quanto osserviamo nel concerto di Beethoven.
    Il primo movimento è arrembante quando serve - quasi militaresco, con echi, tra timpani, fiati e corni, dell'Eroica e delle marce equestri cui Beethoven spesso indugiava - e pacato quando ci vuole.
    Il rispero è ampio, solenne, virilmente sostenuto.
    Tetzlaff anche qui usa le cadenze originali scritte da Beethoven ... per la trascrizione del concerto per violino commissionata da Clementi al pianoforte.
    Quella con i timpani obbligati, per intenderci.
    Praticamente un movimento allegro di sonata sola e capace di identificare perfettamente il taglio dell'interpretazione.
    Che è personale, robusta, sostenuta nel lunghissimo primo movimento.
    Il lento seguente è ben condotto dalle parti, senza lasciare un attimo di ... noia all'ascoltatore (un rischio che nella realtà in questa partitura c'è, di un movimento messo li tra due pezzi di bravura).
    Il trio finale è mio gusto il più straordinario della storia di questo concerto. Bello dalla prima all'ultima nota.
    Questa interpretazione è il nuovo riferimento.
    Purtroppo no. Abbiamo sempre di meglio.
    Ma siamo a livelli difficilmente avvicinabili da altri interpreti di questi anni.
    Per Sibelius siamo a livelli altissimi ma spesso sembra che Ticciati sia più nel mood di Tetzlaff.
    Sinceramente non credo che questo concerto sia il più vicino al suo temperamento (come non lo è, secondo me, di quello di Kavakos che però lo considera il suo cavallo di battaglia). Manca del tutto quella sensualità e quel rapporto carnale nella ricerca del suono giusto in ogni nota che riconosciamo dal primo momento in Heifetz o nella Jansen che in queste pagine fanno cantare il loro violino commuovendo alle lacrime gli ascoltatori.
    Ma c'è tutto l'ardire, la forza, l'arte di un grande violinista. E la prova risulta in ogni caso molto convincente, specialmente nel terzo movimento.
    In conclusione un ottimo disco, ben condotto, ben suonato, ben registrato che vale i soldi pretesi.
    Da tenere come alternativa ad altre incisioni e come promemoria per quello che verrà in futuro.
    Ah, se una sera mi proponessero questo programma dal vivo, con loro due e un'orchestra ispirata.
     
    Beethoven ci azzecca con Sibelius quanto il Lambrusco con la Vodka ? Verissimo, ma proprio per questo ...
     
    Alternative :

    L'edizione prodotta da Arte Nova Classics con David Zinman alla testa della Tonhalle Orchestra Zurich nel 2006
     

    L'edizione del concerto di Sibelius registrata con Thomas Dausgaard per la EMI/Virgin nel 2002
    Riferimenti :
    Beethoven : Itzhak Perlman con Giulini o Barenboim
    SIbelius : Janine Jansen con Christoph Eschenbach, Jasha Heifetz con chiunque ci sia sul podio

  11. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Alexandre Tharaud : Versailles
    Musiche di Rameau, Couperin, d'Anglebert etc. etc.
    Erato 2019, formato 96/24
    ***
    Con la premessa che io "tollero" solamente il pianoforte che si appropria della musica clavicembalistica francese o italiana, devo dire che quando il garbo e lo stile personale sono a livello di quelli messi in campo da Tharaud in questo disco, le cose vanno su un altro piano.
    Versailles è certamente il legante tra le tante composizioni di raccolte e di autori differenti e possiamo immaginarci che la selezione prescelta dal pianista (che è spesso autori di arrangiamenti di musica francese e non del periodo) animi le sale della Reggia di Luigi XIV e Luigi XV.

    Il tocco clavicembalistico c'è tutto ma è di natura molto personale.
    I tempi sono molto rallentati - anche rispetto ad altre raccolte dello stesso pianista - e manca quella violenza che sarebbe possibile con il pianoforte e che con il clavicembalo si può fare solo raddoppiando i manuali, cosa che trovo corretta.
    Basta tutto questo ?
    Credo di si, anche se molti specialisti del periodo saranno liberi di storcere il naso. Ed io stesso che pure sopporto solo a piccole dosi il barocco francese (anzi, la musica francese in generale, di ogni epoca) lo farei.
    Ma Tharaud è un pianista di un rango a se. E qualche volta si permette di metterci il gusto di un Sokolov, ma senza alcuna idea di imitarlo.
    Basta ascoltare la celebre Les Sauvages di Rameau, molto, molto differente da quella in punta di dita e tutta sussurrata di Sokolov (ovviamente sempre al pianoforte).
    Ma la ricchezza degli abbellimenti, il ritmo, la freschezza sono tutti li. Ed è un piacere ascoltarli.
    Insomma, non sarà il disco dell'anno per me ma è una proposta estremamente di classe.
    Ripresa morbida ma senza troppa ambienza. Il piano è uno Steinway D preparato.
  12. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Bernstein : complete solo piano music
    Michele Tozzetti, pianoforte (Fazioli)
    Piano Classics 2019, formato HD
    ***
    La musica per pianoforte solo di Leonard Bernstein è intesa in senso privato o per gli amici.
    Ne è prova la lunga serie di piccoli schizzi per anniversari di amici, parenti, colleghi.
    Come anche le sabra (con riferimento al termine israelitico per dei tipi di cactus commestibili tipici di Israele cui si fa riferimento per indicare indistintamente i nati in quel difficile Paese).
    Nella realtà i brani più interessanti di questo disco sono i più lunghi, come l'iniziale Sonata I, in due movimenti e Touches.
    Due composizioni con grandi influenze jazzistiche, rese in modo ritmico molto bene da Michele Tozzetti, pianista romani dell'ultima generazione.
    In particolare la Sonata è migliore - a mio parere, della registrazione di Nathan Williamson del 2016, mentre sembra proprio un'altra composizione rispetto alla ripresa del 2018 di Katie Mahan che - anche a causa dei tempi dilatati [18 minuti contro 14] - si perde buona parte della costruzione ritmica.
    Touches è un insieme di brevi frasi atonali o bitonali, alla Ives. Da bere d'un fiato.
    Non manca un breve brano commemorativo per il maestro Aaron Copland. E uno per la figlia Nina, non troppo tenero a prima vista, che probabilmente Leonard avrà suonato in famiglia.
    In sintesi un disco molto particolare che consiglio a chi si annoia dell'ennesimo disco dedicato ad Haydn ma che avviso trattarsi di 76 minuti di musica piuttosto criptica.
    Bella registrazione col solito possente Fazioli in primo piano.


  13. M&M
    Parliamo di recupero degli "antichi maestri" negli anni '50 del secolo scorso, quando ancora nessuno aveva mai sentito parlare di interpretazione filologica e di strumenti originali.
    Parliamo poi di trascrizioni, con il non celato scopo di rendere più vicine alle abitudini delle orecchie del pubblico contemporaneo di musiche dimenticate, di compositori per lo più mai sentiti.
    Purtroppo in Italia non abbiamo avuto se non in epoca molto tarda un processo di ripresa dei nostri grandi musicisti del tardo rinascimento e del primo barocco, come è avvenuto in Germania e in Inghilterra.
    E anzi, per molti versi, il merito del recupero effettivo di Monteverdi, Gabrieli, Frescobaldi, persino di Vivaldi, in molti casi è merito di musicisti stranieri.
    Detto questo, è merito di un direttore straniero, Dennis Russell Davies e di una compagine della vicina Svizzera Italiana, per una etichetta tedesca, il recupero, questa volta ... del recupero fatto da Bruno Maderna di brani di antichi maestri italiani del 500-600.
    Queste trascrizioni per una moderna orchestra d'archi, rispecchiano a pieno la mano dell'autore - Maderna - grande direttore d'orchestra che della complessa tavolozza di colori dell'orchestra sinfonica, era indiscusso maestro.
    Di Gabrieli, di Frescobaldi, di Legrenzi, di Viadana restano temi e melodie, certamente, ma gusto, ritmi e colori, sono quelli del sinfonismo italiano del secondo dopoguerra.
    Questo non li rende meno godibili o importanti, ci sono grandi gemme che in edizione originale offrono grandi momenti di musicalità.
    E parliamo di alcuni che sono da considerare a tutto titolo tra i grandi della musica italiana.
    Attenzione però, sono grossomodo trascrizioni fedeli, non sono pastiche tipo quelli di Casella su temi di Scarlatti o di Stravisnky su Pergolesi.
    Nemmeno fantasie su temi di Tallis in stile inglese.
    Sono il ponte ideale, le radici in un certo senso, tra l'ora e l'allora, ripresi da un grande sinfonista.
    Ve li rappresento così, in questo disco che mi ha molto incuriosito (c'è un vecchio disco pubblicato da Amadeus che non ho mai potuto ascoltare e che è di difficile reperimento, come alternativa non sovrapponibile).
    Tra le peculiarità, il concerto, originariamento attribuito a Pergolesi, ma che è invece del contemporaneo Von Wassenaer, su temi attribuiti originariamente a Palestrina ma che in verità sono di William Byrd.
    Come dire che la filologia riesce ad andare a fondo delle cose ma che l'operazione ha un suo senso solo se la musica di fondo ha un suo valore intrinseco. In altri casi, francamente, non ne vale la pena e un contemporaneo, a mio avviso, può anche impadronirsene per fare di meglio.
    Nel disco c'è anche una pagina di Berio, che è di fatto una trascrizione dello stesso Berio di un brano precedente. Ma Berio va oltre la mia comprensione e ve la segnalo esclusivamente perchè occupa circa 20 minuti di questo ottimo disco, registrato secondo i canoni normali per l'etichetta ECM.
    Le note sono degne di interesse e le accludo in allegato e che spiegano i motivi che hanno condotto a questo titolo poetico dato al disco.
    Un ascolto diverso per chi è stufo del solito repertorio offerto dalle grandi case discografiche.
  14. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Beethoven : le nove sinfonie
    Danish Chamber Orchestra
    Adam Fischer
    Naxos 2019, formato 96/24
    ***
    Ci si chiedeva dove è stato negli ultimi 50 anni l'allegro Adam Fischer, fratello del più noto Ivàn ?

    Ha registrato l'integrale delle sinfonie di Haydn e di Mozart, prima di dedicarsi, come il fratello, in una delle più convincenti integrali di Mahler.
    E adesso Beethoven ?

     

    E adesso Beethoven.
    Ma è un Beethoven completamente libero da incrostazioni tardo-romantiche, o peggio, wagneriane.
    Pulito.
    A tratti cameristico, sfruttando le qualità di duttilità e leggerezza della compagine danese. Che sarebbe orchestra da camera ... non a caso.
    Leggero, veloce, frizzante, onestamente visto alle radici con tutto il materiale da "ballo" da cui trae origine la musica di Beethoven.
    Forte quando serve ma senza esagerati raddoppi.
    E sempre con gusto, anche quando i timpani si fanno sentire sulla tessitura di archi o legni.
    Sinceramente questa edizione è diventata rapidamente il mio riferimento. L'avrò ascoltata, tra casa e auto, decine e decine di volte in questi mesi.
    Ciò di cui non mi capacito è come non si legga il mio stesso entusiasmo in altre recensioni.
    Eretica rispetto alla prassi corrente ? E sia.
    Priva della retorica che comunemente si attribuisce al Beethoven idealizzato alla Goethe ? Assolutamente si.
    A tratti scarna e povera, con intrecci praticamente quartettistici ? Concesso.
    E che altro sono le sinfonie di Beethoven una volta tolta la cappa ideologica in cui siamo cresciuti ?
    La musica di Beethoven.
    Ma quando già al primo ascolto si riescono a trovare momenti di musica apparentemente "mai ascoltati" in composizioni che tu pensavi di conoscere a memoria, vuol dire che qualche cosa di magico si è depositato in queste registrazioni.
    Ecco, non vedo migliore occasione per celebrare l'anno 2020 dei 250 anni dalla nascita dell'astro di Bonn.
    Se devo scegliere tra tutte, la mia preferenza va in ordine a 3a, 7a, 5a, 9a, 8a.
    Ma nessuna delle altre è meno che eccellente.
    Per me disco dell'anno 2019 e riferimento moderno per l'integrale di Beethoven.
    E 10 a 0 per Adam rispetto al fratello Ivàn 
    Registrazione di eccellente livello che rende giustizia a tale sforzo con pieni e dinamica per tutti i gusti.
  15. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Colour and light : Musica per pianoforte britannica del 20° secolo
    Delius, Lutyens, Dickinson, Hill
    Nathan Williamson, pianoforte
    SOMM RECORDINGS 2019, formato liquido 88.2KHz/24bit
    ***

    Confesso di provare grande interesse per la musica inglese del XX secolo.
    Dopo due secoli di silenzio - sostanzialmente dalla morte di Handel - il risveglio britannico di epoca vittoriana corrisponde alla fine dell'età classica europea, sostanzialmente con la Grande Guerra da cui l'Inghilterra e l'intera Europa non torneranno mai più indietro.
    Apprezzo però che salvo contaminazioni dell'ultimo periodo, i compositori inglesi manterranno per lo più un'anima originale - come i contemporanei russi - senza il timore di essere considerati antichi per non aver abbracciato, come il resto del continente, la dodecafonia viennese o la musica seriale.
    Questo disco rende onore una volta tanto al titolo programmatico di "colore e luce" ed interpretato dal bravo pianista Nathan Williamson su un grande Fazioli F278.

    Abbiamo musica che parte da Delius di inizio secolo, fino a Anthony Herschel Hill di cui sono presentate due opere del 1992 e del 1999.
    In mezzo composizioni di William Alwyn e Peter Dickinson degli anni '50 e '60.
    Un arco di tempo vasto con grandi mutazioni, conflitti, scenari differenti.

    William Alwyn (1905-1985) ha composto musiche per oltre 70 film anglo-americani, alcuni di grandissimo successo.
    La raccolta di 12 preludi (1958) che introduce questo disco è giocata nel suo stile tipico, che alterna melodico a dissonante.
    Di grande intensità con momenti veramente lirici e coinvolgenti, sono probabilmente il pezzo forte della raccolta.
    Non è un caso che siano stati un cavallo di battaglia del grande John Ogdon.
    All'estremo opposto, in chiusura di disco, la Litany e la Toccata di Hill (nato nel 1939), si tratta di musica attuale ma ben ancorata nella tradizione pianistica che va da Liszt a Prokofiev, in particolare la Toccata che non stenterei ad avvicinare a quella ... inavvicinabile di Prokofiev e che chiude in modo mirabile il disco (prima registrazione mondiale).
    Molto vicino allo stile di Ives, le cui influenze sono chiarissime, le variazioni Paraphase II di Peter Diskinson, del 1968 che si permette anche un omaggio a Erik Satie con una sorta di walzer della mattonella che porta alla toccata finale, percussiva e declamante.
    Più che variazioni, sono permutazioni, certamente per la felicità dei teorici della musica computazionale.
    Nathan Williamson è esemplare in tutto il disco e il suo è un sacro tributo alla musica che ha selezionato per questo ideale recital e alla tecnica pianistica che ha raggiunto oggi livelli per cui tutto sembra permesso.
    Timbro molto deciso della registrazione dove la potenza del Fazioli emerge con grande prepotenza. Richiede un sistema di riproduzione all'altezza per essere goduto.
    Nel complesso uno dei miei dischi di riferimento per questo 2019.
    Non per tutte le orecchie, naturalmente.
  16. M&M
    César Franck :
    Prelude, choral et fugue CFF 24 in Si minore
    Prelude, aria ed final CCF 26 in mi maggiore
    Prelude, fugue et variation CFF 30B (trascrizione di Harold Bauer da Sei pezzi d'organo)
    Choral pour grand orgue n.2 in Si minore CFF 106 (trascrizione di Nikolai Lugansky)
    Harmonia Mundi 2020, formato HD
    ***
    Forse non sono soltanto io a vedere una fase travagliata dell'arte di Lugansky.
    Si vede nella scelta del repertorio e nell'interpretazione, quanto mai introversa e personale, quasi ascetica.
    Questo César Franck non entrerà in nessuna hit-parade perchè é musica che non può attirare il grande pubblico.
    E non credo che sia questa l'intenzione di Lugansky.
    Nell'ascoltarlo sembra di volersi tenere in disparte, schivo, suona per se stesso senza voler dimostrare nulla.
    Il legato della fuga del primo brano, certo il più celebre, non è né bachiano né lisztiano che sono certamente i due estremi in cui si muove Franck in queste composizioni molto poco sceniche.
    C'è anche il rifiuto ad andare oltre il forte, in questo ben coadiuvato dalla ripresa che è stata fatta abbastanza lontana dal piano, senza pregiudicarne la dinamica.
    Perchè la dinamica c'è invece tutta e ci sono anche i cambi di ritmo. Di quelli che ti tengono ancorati alla poltrona.
    Come nel finale del Preludio, aria e finale, tutto sussurrato ma con ritmi incalzanti e piena indipendenza dei registri.

    Immanente, chiaro tributo alla Passacaglia di Bach, il corale conclusivo, scelto da Lugansky in aggiunta ad un piatto già ricchissimo (sono 66 minuti di musica in totale) ma del tutto privo degli effetti dell'originale per organo, a conferma della chiave di lettura dell'interprete di questo disco che privilegia la trama e la tessitura - specie del basso - anzichè il facile sensazionalismo.
    Nel complesso un disco estremamente intenso che credo sia la chiave attuale del pianismo di Lugansky, meglio di altre recenti uscite secondo me, e molto vicino al mio modo di sentire la musica.

    BravoOOOOOOOOOOO !
  17. M&M
    Nielsen, Ibert, Arnold : concerti per flauto e orchestra
    Clara Andrada, flauto
    Frankfurt Radio Symphony diretta da Jaime Martìn
    Ondine 2020, formato 96/24
    ***
    Mentre sono vicini temporalmente i primi due concerti - quello di Nielsen è del 1926 mentre quello di Ibert è del 1932 - il concerto per flauto di Malcolm Arnold è del 1954.
    Questo disco recupera registrazioni differenti, del 2018 di Nielsen e di Ibert, del 2015, di Arnold.
    Ma sono composizioni simili, con la parte solistica molto brillante e l'accompagnamento non troppo sviluppato.

    Su toni abbastanza solari Nielsen, la cui dedica andava al flautista di Copenagen Holger Gilbert-Jespersen.
    Prevede un'orchestra di modeste dimensioni sia in termini di archi che di fiati e ottoni, cui si aggiunge un basso tuba e i timpani.
    Il primo movimento è caratterizzato da una lunga cadenza che cerca di mantenersi su toni spontanei, quasi da improvvisazione, in modo da lasciare libero il solista la cui trama viene punteggiata ora dal basso tuba ora dai timpani.
    E' più breve il secondo e ultimo movimento che comincia in modo impetuoso ma prosegue con un tema molto grazioso.

    "Quasi" settecentesco il concerto di Ibert, che si muove su tempi rapidi. Sempre con il flauto che è libero di cinguettare su tutta la gamma mentre gli archi si aggiungono sottovoce.
    Dopo un adagio molto lirico e delicato il concerto si chiude con un movimento molto ritmico la cui virtuosità richiede al solita veramente tanto ... fiato !
    Il concerto di Arnold è più moderno ma manca di certe asprezze che caratterizzano quello di Nielsen (ricordo che Arnold è il compositore della colonna sonora del Fiume sul Ponte Kwai con il suo celeberrimo tema vincitore di Oscar).
    Infatti c'è tantissimo materiale melodico esposto in successione dal flauto, l'orchestra partecipa sostanzialmente a sottolineare i passaggi con interventi ritmici.
    Il secondo movimento è di una bellezza disarmante con tema delicato ed articolato.
    Il finale è infuocato ma resta molto orecchiabile, senza eccessivi e ricorda qualche situazione da colonna sonora.
    Dovendo classificare i tre concerti, metterei il più "sinfonico" Nielsen al primo posto, poi Arnold e infine Ibert. Ma il trio mi sembra quanto mai ben assortito e il programma ben bilanciato.
    Clara Andrada è veramente una solista brillante e dotata con già una grande esperienza alle spalle. Si disimpegna in queste pagine - impegnative in molti passaggi - con estrema personalità.
    Direi che il resto della compagine è all'altezza del compito.
    La registrazione è di ottimo livello, equilibrata e perfettamente definita.
    In estrema sintesi uno dei dischi più piacevoli che ho ascoltato negli ultimi mesi

  18. M&M

    Recensioni : violoncello
    Bach le sei suite per violoncello solo senza basso
    Domenico Gabrielli : 7 ricercari per violoncello solo (e un canone a due violoncelli)
    Mauro Valli
    Arcana 2019, formato 96/24
    ***

    Mauro Valli suona "virtualmente" il canone a due violoncelli di Domenico Gabrielli
    Quando mi trovo davanti una nuova edizione di un capolavoro mi pongo sempre la domanda se ci sia un motivo reale per questa nuova registrazione.
    Sia - come in questo caso - le recenti edizioni di suite, partite, sonate per strumento solo di Bach, siano le sinfonie di Beethoven o quelle di Mozart.
    Certamente si tratta di un caposaldo del repertorio per violoncello solo e credo che ogni violoncellista serio - anche dilettante - abbia in repertorio, abbia studiato, si sia confrontato con questo monumento bachiano ad uno strumento che solo più tardi assumerà il ruolo solistico che noi gli attribuiamo.
    Ma un conto é suonarlo in privato, un conto portarlo in concerto, un altro ancora registrarlo.
    Evidentemente questa dovrebbe essere la domanda ma vedo che non molti se la fanno a se stessi.
    Qui Mauro Valli non solo si è domandato il perchè di questo progetto, ma ce ne rende edotti nelle note - questa volta, per cambiare, anche in italiano - per esteso, oltre a chiarirci i punti nodali della sua interpretazione, lo strumento, l'accordatura (o la scordatura in un caso).
    Bach e l'Italia, Bach e Bologna. Non solo Bach e Frescobaldi, o Bach e Vivaldi ma, in questo caso Bach e questo oscuro violoncellista bolognese.
    Domenico Gabrielli é musicista della generazione precedente a Bach (nato nel 1659, morto nel 1690 quando Bach aveva solo 5 anni) ma nella sua brevissima carriera di musicista e di compositore si impegnò nel valorizzare il violoncello come strumento solista, forse per primo, probabilmente sviluppando lo stile veneziano per la composizione solistica quando nella sua città la richiesta era comunemente "da chiesa".
    Mauro Valli non ipotizza una contaminazione - non ci sono le prove - ma abbiamo chiari esempi, citazioni, trascrizioni del Bach nel suo periodo felice e sperimentale di Kothen in cui assorbe la musica italiana e quella francese che fonde con le sue radici articolatesi tra la Germania Centrale e quella più severa, settentrionale. 
    Le sue sonate e le suite di questo periodo hanno profondi legami con la musica strumentale italiana, e ci sono le prove che Bach possedeva svariati manoscritti di compositori italiani, con materiale ampiamente "riciclato" (si pensi, uno su tutti, forse il più esemplare, riutilizzo dello Stabat Mater di Pergolesi nel suo Salmo 51 BWV 1083).
    Perchè non potrebbe aver dato una sbirciatina ai ricercari di Gabrielli e trarre spunto da questi per le sei suite per violoncello, musica monodica che vuole diventare da grande, polifonica ?
    Non aggiungo altro a questo azzardato - ma non troppo - parallelo perchè in alcuni tratti dell'esecuzione si sente.
    L'interprete ammette che - ovviamente - nell'interpretazione dei differenti autori ha usato una impostazione mutuamente influenzata, già a partire dall'accordatura dello strumento, una media tra le due tradizioni per averne una lettura omogenea.
    Non solo. Nella lettura di Bach, l'ortodossia dell'originale lascia lo spazio alla filologia interpretativa (cit. Ottavio Dantone che scrive delle interessanti note al riguardo nel libretto di questo disco). E così le suite per violoncello di Bach diventano italiane nel gusto, nell'impostazione, nella libertà di fioritura e di abbellimento, specie nei "da capo" che diventano realmente dei "da capo" nello stile italiano.
    Ne viene fuori una edizione che non solo merita la registrazione ma che è a mio avviso tra le più vive e palpitanti riprese di questi eccezionali capolavori che in esecutori troppo lontani dalla logica e dall'humus in cui si sono create, tendono a mostrare più di se che della musica che suonano. Con risultati non troppo raramente soporiferi.
    In conclusione un doppio disco per complessivi 120 minuti che consiglio vivamente a chi ama Bach e a chi ama le letture appassionate, con particolare suggerimento di iniziare l'ascolto non dal primo brano ma dal canone a due violoncelli del "piccolo violncellista di Bologna" in cui Valli suona in sincrono due differenti strumenti per le differenti voci.
    Registrazione esemplare che mostra tutta l'espressività di uno strumento che può suonare in tutti i toni (un violoncello francese del 1743) con una potenza avvincente. Un plauso, oltre che all'esecutore, ad una etichetta estremamente raffinata e disco da 5 stelle ++.
  19. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Johann Sebastian Bach
    Vikingur Olafsson, piano
    Deutsche Grammophon 2018
    Reykiavik 1-4 aprile 2018
    ***
     
    Bach è un territorio libero.
    Prendiamo alla lettera quanto scrive lo stesso Olafsson nelle note introduttive.
    E anzichè ascoltare il disco nell'ordine dei brani che ha selezionato il pianista, facciamo un nostro percorso.
    Iniziamo dal fondo, dalla Fantasia e Fuga BWV 904, che qui secondo chi scrive è resa nella migliore forma possibile, meglio di Fischer e di Brendel.
    Pianistica, tenera, cantata la Fantasia. Trascinante la doppia fuga, con le voci che si inseguono senza soluzione di continuità, finché non entra la seconda parte.
    Poi passiamo alle trascrizioni, tante, a cominciare da quella dello stesso Olafsson sull'aria della Cantata n. 54.
    La trascrizione di Busoni del corale Nun komm der Heiden Heiland, inesorabilmente sussurrata.
    Il preludio n. 10 dal Clavicembalo ben Temperato, per la penna di Siloti.
    Un momento di pausa, per gustare la differente interpretazione, con l'originale preludio e fuga n. 10 dal primo libro del citato Clavicembalo ben Temperato.
    E poi la Gavotta dalla 3a suite per violino solo, portata al piano magistralmente da Rachmaninov.
    E infine il precipitatissimo Preludio a Corale "Nun freut euch, lieben Christen g'mein" trascritto da Wilhelm Kempff.
    Ancora una pausa con l'andante della sonata n.3 per organo (trascr. dell'oscuro Stradal).
    Per poi completare l'ascolto col vero Bach.
    Il concerto per oboe e orchestra di Alessandro Marcello, trascritto al cembalo da Bach e qui interpretato dall'islandese con piglio clavicembalistico alla ... francese.
     
    L'aria variata alla maniera italiana, BWV 989, cavallo di battaglia della Tureck - citata tra i riferimenti di Olafsson, insieme a Fischer, a Gould e alla Argerich della toccata BWV 903 - questa si in stile clavicembalistico "italiano", con il basso ben evidenziato, che si chiude in modo perfettamente ellittico.
    In mezzo preludi e fughe, invenzioni, sinfonie, scelte a gusto da un interprete che è cresciuto con Bach come maestro e che di Bach non riconosce una interpretazione canonica che non sia quella dell'interprete stesso, nel tempo in cui si trova a suonarla.
    Venendo al nostro, c'è della grandezza in questo disco, molta. Una proposta che secondo me va tra i dischi dell'anno.
    Nonostante tempi molto personali, ora molto atipici in velocità, ora in lentezza.
    Benvenuto Olafsson, era ora che ti facessi conoscere. Dopo tante delusioni da parte di più giovani pianisti dell'ultima generazione.
    Bella registrazione, pianoforte ben ambientato ma senza riverbero, suono caldo senza eccessi.
  20. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Charles Ives, sonata n. 1 (1910)
    Béla Bartòk, improvvisazioni su canzoni paesane ungheresi Op. 20 (1920)
    Olivier Messiaen, Cantéyojaya (1949)
    Bach, Aria variata alla maniera italiana (1709)
    Influences
    Tamara Stefanovich, pianoforte
    Pentatone 2019, 96/24
    ***
    Programma molto impegnativo per questo esordio.
    L'interprete nelle note di copertina e nelle interviste pone l'accento a considerazioni autobiografiche (le influenze di cui parla, i paesi e le origini che hanno caratterizzato la sua vita e quella dei suoi cari).
    Sinceramente poco importa leggere queste "influenze", la scelta va su un repertorio decisamente moderno ma per nulla relato e si conclude con il Bach all'italiana che resta comunque Bach così come gli altri tre autori sono e restano assolutamente tipici ed originali e totalmente slegati dalla tradizione musicale classica.

    Il piglio è solido anche quando si avvicina a composizioni ostiche come la sonata di Ives. Per nulla sonatistica a dispetto di quello che vogliono dire i critici (penultima sonata romantica ?), alterna ritmi ragtime ad influenze jazzistiche, con rari momenti di cantabilità in un mare di atonalità. Si sentono richiami tipicamente americani che si perdono però rapidamente in tentativi di polifonia dissonanti.
    Come interpretare questi 41 minuti di canzoni americane rivisitate da un Pollock della tastiera andrebbe ben oltre le mie capacità di immaginazione, eppure ci sono momenti veramente potentemente espressivi.
    Il Bartòk di questo disco è quello intimo delle radici popolari ungheresi, portato dalla pianista senza troppa indulgenza sentimentale come chiaramente pretende l'autore. Le melodie sottostanti si intuiscono ma il gioco delle improvvisazioni le smaterializza in un gioco di suoni.
    Effettivamente la settima - come dice il libretto - ha una evocazione debussyana ma non mi riuscirebbe di definirla oltre. Evocazione, appunto, ma né tributo né memoria.

    Interessanti gli esperimenti ritmici di Messiaen che per 12 minuti conducono il pianista (e l'eventuale ascoltatore, perchè non sono così convinto che si tratti di un pezzo "da concerto") per temi e improvvisazioni, citazioni, ritmi e cambi di ritmo.
    Qui la Stefanovich ha garbo quando invece si sarebbe più semplicemente portati ad indulgere sull'ossessività dei cambi di velocità per strappi rapidi, ostinando di più le ripetizioni rispetto ai toni.

    Preparata, allo stesso modo, con tonalità molto morbide, definirei mite, l'Aria di Bach, cantabile, sussurrata, senza nessuno staccato.
    Anche qui sono i cambi di ritmo - e questo crea il vero legame interpretativo di tutte queste altrimenti molto eterogenee composizioni - caratterizzano tutte le variazioni.
    Senza forzare, praticamente senza forti. Con la mano sinistra che asseconda la destra senza forza ma restando comunque sempre udilissima.
    Fino all'ultima variazione, molto intimista, dopo accelerazioni e veloci cambi di tempi nelle precedenti.
    Un disco complesso, impegnativo da ascoltare ma assolutamente encomiabile, ben più dell'ennesima inutile raccolta di sonate beethoveniane su cui difficilmente si troverà qualcosa da dire di nuovo o su un improbabile disco schumanniano di cui non si mostra di comprendere nemmeno la decima parte della sua reale essenza.
    E' un disco che non mi sento di raccomandare alla leggera, non perchè non meriti ma perchè estremamente particolare.
    Lei é molto brava, molto garbata e sensibile e i mezzi non le mancano pur se non è ostentarli il suo obiettivo.
    La ascolteremo molto volentieri ancora se qualche etichetta vorrà seguirla.
    Suono chiaro e pulito, senza nessun riverbero o alone, frequenze equilibrate.

  21. M&M

    Recensioni : organo
    Bach to the future
    Musiche di Bach
    Olivier Latry al grand organo Cavaillé-Coll della Cattedrale di Notre Dame de Paris
    La Dolce Volta 2019, formato HD
    ***
    Olivier Latry è da anni l'organista titolare di Notre Dame.
    E questo è l'ultimo disco registrato prima del tragico incendio di questa primavera del 2019.
    L'organo è andato distrutto. Sarà certamente ricostruito ma non sarà più questo.
    Per tale ragione questo è un disco storico.



     
    Un disco che si può amare o detestare a primo ascolto, vedete un pò voi.
    Per la presentazione che ammicca al titolo del famoso film Back to the Future, giocando con l'assonanza "francese" tra Back e Bach, con tanto di grafica

    pose da rockstar
     


    o da visionario del nostro Latry
     
     
    Ma questo è un disco di Bach registrato ad uno dei più straordinari organi del mondo.
    Un organo lontano da quelli barocchi che suonava Bach quasi quanto lo è quello elettronico di Cameron Carpenter.
    Latry non è nuovo in incursioni temporali, nel 2003 ha registrato per la DG un SACD contenente tra l'altro una potente Chaconne in Re minore con questo organo poderoso e ricco di registri.
    Ma veniamo a questo Bach to the future.
    Ovviamente nessuna scelta filologica ma la libera scelta di usare un organo post-romantico al meglio delle sue possibilità espressive, dei suoi registri, del suo potere.
    Il ricercare a 6 dall'Offerta Musicale inizia in sordina e molto lentamente. L'interpretazione è chiaramente ellittica rispetto alla Passacaglia e Fuga in Do minore che conclude il disco.
    Non è messa in evidenza la linea delle variazioni ma la linea del basso che incede inesorabile, con qualche sprazzo di chiarore cambiando manuale.
    Nel suo fluire la musica aumenta di intensità e di veemenza, con il subbasso che quando entra sposta le panche della Cattedrale.
    Le singole voci sono ovviamente rese per l'uso di registri differenti.
    Il tono è comunque pacato.
    Segue la celeberrima Fuga in Sol minore BWV 578, più tradizionale nel suo sviluppo. Un tantino più lenta di quanto piacerebbe a me (o a Ton Koopman  ). Anche qui il pedale - quando entra - si staglia rispetto ai due manuali per la cui registrazioni sono scelte impostazioni simili.
    L'ancora più celebre Toccata e Fuga in Re Minore BWV 565 è certamente il brano che più si distacca dal tradizionale e dove quest'organo si mette a disposizione del testo più profondamente.
    Per quanto so io di Bach, avrebbe provato entusiasmo nel disporre di uno strumento tanto esagerato.
    Non sarebbe diventato Widor o Vierne - come si potrebbe commentare in questi passaggi - ma chi può dirlo.
    L'improvvisazione e l'adattamento del testo alla disponibilità di materiale, sia strumentale (musicisti) che strumentistico (strumenti) per Bach era la prassi, non motivo di discussione.
    La Toccata effettivamente sembra una composizione di fine '800. La fuga .... beh, è tra le più belle pagine di musica mai scritta.
    Lo stacco dall'accordo tenuto della toccata è spettacolare, ripartendo dal pianissimo.
    Le singole voci perfettamente identificabili (cosa che con gli organi barocchi, specie quelli modesti è spesso praticamente impossibile).
    E il pedale ... il pedale ... 
    Forse, forse, anche qui, un pizzico di velocità in più non avrebbe guastato ma probabilmente sarebbe andato a detrimento della chiarezza dell'eloqui.
    Registri totalmente avulsi dalla tradizione bachiana. Ma funzionali al gusto e all'interpretazione voluta.
    Un lungo corale in mezzo per provare le tonalità tipiche delle nostre chiese per poi andare alla Fantasia e Fuga BWV 542.
    Anche in questo caso Latry mostra come i preludi, le fantasie e le toccate lo ... tocchino più delle rispettive fughe (sostanzialmente il mio esatto opposto !).
    La Fantasia infatti è portata con gusto scenografico e una registrazione estremamente ricca, crescendi appassionanti, un suono pieno e magnifico.
    Anche una certa libertà nei cambi di passo e di velocità che non guasta. Il tono resta comunque molto solenne.
    Molto più tradizionale la fuga seguente anche se pure qui vengono usati - benissimo - i differenti registri per caratterizzare le singole voci.
    Segue il gioioso corale In dir ist Freude BWV 617, in cui vengono usate le campane e i martelletti che - giustamente sottolinea l'organista  : nel mio organo ci sono, non vedo perchè non usarli ! - ma che certamente faranno pizzicare il purista.
    Molto vicini alla poetica degli organisti francesi (Saint Saens in testa) il corale seguente e il pezzo d'organo BWV 572.
    Il disco si chiude con la Passacaglia e Fuga in Do minore BWV 582,
    La Passacaglia comincia praticamente con subsuoni e prosegue per toni a crescere, lentamente, inesorabilmente.
    Le voci salgono piano, piano, piano.
    Prosegue fino a diventare fragoroso con la bombarda che si inserisce verso il finale (07:49).
    La fuga comincia al minuto 09:10 e questa volta lo stacco è meno netto in termini sonori. E la velocità pure perchè resta sullo stesso ritmo della Passacaglia. Il pedale recita lo stesso inesorabile marcatore del ritmo.

    L'intera composizione é certamente il brano più interessante dell'intero disco. E anche la fuga è resa con grande originalità, oltre che sensibilità.
    Non per il gusto di fare una cosa diversa dal solito ma per dire una cosa in modo differente dall'usuale.
    In questo il disco è perfettamente coerente in ogni nota.
    Latry dimostra di essere degno dell'organo di Notre-Dame (e spero che glielo ricostruiscano ancora migliore di quello che è andato distrutto : io ho contribuito alla sottoscrizione di Qobuz in favore dell'opera) e di avere grande originalità pur di fronte a pagine assolutamente frequentate, se non abusate, spesso da concertisti ingessati che professano una scuola, piuttosto che rendere la musica vicina al gusto attuale.
    Non è un disco che piacerà ai filologi, chi ama Helmuth Walcha o Karl Richter se ne starà lontano.
    Ma chi si entusiasma a sentire il pedale che gli scava nei visceri e nel sentire che il vecchio Bach, nel 2019 ancora ci sa fare come quel tipo la con le scarpine a punta ... beh, daje con il volume !
     

  22. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Schubert : Quintetto in Do maggiore Op. 163 (D. 956) (con Eckart Runge) - Quartetto n. 14 in Re minore "Der Tod und das Mädchen" D. 810
    Quartetto di Cremona
    Audite 2019, 96/24, registrazioni del 2017
    ***
    Un'occasione per sentire all'opera il Quartetto ... Paganini ?
    Perchè il Quartetto di Cremona (nella realtà composto da musicisti genovesi) suona il celeberrimo quartetto di archi Stradivari appartenuto a Paganini, qui in prestito dal fondo giapponese che li possiede (per sovrammercato Eckart Runge, a lungo violoncello del Artemis Quartet suona un violoncello Amati del 1595).

    L'ingenuità musicale di Schubert mi mette sempre in imbarazzo. "Canzonettaro" all'inverosimile, capace di far ripetere anche un centinaio di volte lo stesso ritornello, ma quando interpretato a modo, nessuno che abbia cuore può evitare di commuoversi 
    Qui il Quartetto di Cremona non solo produce un tributo a strumenti che vanno oltre il comune dire, lo fa anche alla memoria del Quartetto Italiano.
    Le durate dei movimenti del Quartetto sono quasi al secondo identici alla versione Philips in mio possesso.
    L'intensità sembra la stessa (ma non può essere la stessa, nessuno può eguagliare il Quartetto Italiano quando si parla di intensità del suono) lo è certamente la dinamica e l'amalgama.

    L'interpretazione è complessivamente basata sul ritmo, senza invece esagerare sui tratti melanconici, di cui questa composizione è densa.
    La chiarezza del suono salta subito all'orecchio. E ogni singola nota é perfettamente scandita. Ritmo e chiarezza musicale, insieme fanno naturalmente mettere in movimento il vostro piede destro se vi lasciate andare a seguire la struttura oltre che la melodia.
     
    Il Quintetto è un capolavoro assoluto di Schubert, apparentemente più impegnativo da comprendere. Soprattutto iniziando con quei quasi 20 minuti di durata del primo movimento.
    Lo spirito messo in campo da questa compagine, rinforzata dal violoncello di Runge è quello giusto, perfettamente intonato all'epoca della composizione e senza nessuna sovrastruttura tardo-romantica o, peggio, novecentesca.
    E' una composizione di confine, tra classicismo e primo romanticismo. Non c'è nulla di rivoluzionario e il materiale melodico é naturalmente espanso - nei limiti del possibile per l'arte schubertiana - per tutta la composizione.

    Suono terso, aperto, pulito che rende giustizia ad ogni rugosità di questi straordinari strumenti ( e dei loro musicisti), perfettamente al servizio della polifonia schubertiana. Se alzate il volume al livello giusto e il vostro sistema vi assiste, magicamente il Quartetto di Cremona vi comparirà dinnanzi a voi.
    Disco dell'anno sinora, a tratti entusiasmante.
  23. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Bartòk, Poulenc, Ravel
    Patrizia Kopatchiskaja, violino
    Polina Leschenko, pianoforte
    Alpha, 2018, formato 96/24
    ***

     

     



     
     



    Sinceramente trascurerei l'aneddotica riportata nel libretto.
    Ciò che lega i brani in programma di questo strepitoso disco non sono le radici folkloristiche, né l'Ungheria ideale sognata da Ravel o quella reale vissuta dall'oscuro Bartòk. Non è la trascrizione magistrale di Donhanny del walzer di Coppelia di Delius.
    Il Duo, Deux del titolo sono le due folli protagoniste musicali descritte perfettamente dalle foto del libretto.
    La pazza Patrizia che suona a piedi nudi e ogni tanto si straia a terra a guardare il soffitto ha trovato una partner che non dovrebbe lasciarsi scappare.
    La Leschenko è una delle protette di Martha Argerich con la quale ha suonato pezzi di grande virtuosismo.
    E qui tiene perfettamente testa al folletto moldavo con un pianismo che è ben lungi dall'accompagnare ma è protagonista, in ogni nota, non solo nella personalissima interpretazione del walzer.
    In questo disco ci sono tesori. La più coinvolgente e palpitante interpretazione della Tzigane di Ravel, un brano di difficoltà inusitata e di grande vivacità tematica.
    La focosa sonata per violino e pianoforte di Poulenc.
    L'ombrosa sonata per violino e pianoforte n.2 di Bartòk.
    Da ogni nota Patrizia trova qualche cosa di originale da dire. Le risponde con carattere Polina.
    Due vulcani liberi, capaci di coinvolgere l'ascoltatore per tutti i 52 minuti del disco, meravigliosamente registrato dai tecnici Alpha.
    Difficile trovare un disco dell'anno 2018 più personale, bello e vivo di questo, confezionato con assoluta naturalezza da due musiciste integrali che vivono di musica.
    Patrizia, Polina, non lasciateci attendere troppo una seconda puntata !
  24. M&M

    Recensioni : Vocale
    Luigi Rossi : La Lyra d'Orfeo e Arpa Davidica
    Arpa Davidica
    Christina Pluhar
    Erato 2019, formato 192/24
    ***

    L'arpeggiata (a sinistra Christina Pluhar) durante una performance pubblica (in centro il grandissimo Philippe Jaroussky)
     

    Veronique Gens, il soprano protagonista de La Lyra d'Orfeo
     

    le voci dell'Arpa Davidica
     
    ***
    Questo disco è un tributo sensazionale al primato della musica italiana della metà del seicento.
    Quella che conquistò le corti di tutta Europa, a partire da quella francese, grazie al Cardinale Mazzarino che di fatto reggeva la Francia e che volle rappresentare l'Orfeo di Monteverdi come se si fosse a Venezia e poi invitò a turno tutti i grandi musicisti italiani, alcuni dei quali si naturalizzarono come francesi. E poi Londra, Vienna, Berlino fino ai primi decenni del settecento.
    Christina Pluhar ha più volte dimostrato il proprio amore per la musica barocca e per quella nostra, a cominciare proprio da Monteverdi ma per Luigi Rossi pare abbia una predilezione particolare.
    E si capisce perchè è stato un compositore completo, raffinato, sensibile ed estremamente colto. Tra i massimi musicisti italiani di sempre di cui Salvator Rosa ebbe a dire "morì sonando il cimbalo".
    Impiegato presso le corti nobiliari romane insieme ai familiari, anche essi virtuosi musicisti, fu tra quelli che patirono il cambio di di politica dovuta all'elezione del Papa Innocenzo X. Rossi serviva i Barberini, amici della Francia in un'Italia ancora divisa e dominata.
    Il trasferimento a Parigi di alcuni principi della Chiesa della famiglia Barberini, invisa a Papa Innocenzo, facilitò la diaspora di musicisti romani attratti dalle simpatie del Cardinale Mazzarino.
    Luigi Rossi si trasferisce nel 1644 ma già ben accolto perchè la sua musica lo aveva preceduto.
    Qui si fa apprezzare dai reali francesi e anche da quelli inglesi esiliati a Parigi a causa della rivoluzione.
    Il successo è tale che Luigi XIV ascolta, appena incoronato re, fino a 4 ore di musica italiana ogni sera. Tra questa, 39 arie in italiano, di cui 10 attribuite a Rossi, 9 a Lulli e altre 3 a Giacomo Carissimi.
    Qui sono due riunite due opere simili, guarda caso proprio la Lyra di Orfeo e poi l'Arpa Davidica.
    I due strumenti mitici, sono qui i protagonisti insieme alle voci dei cantanti.
    E' musica di una bellezza disarmante, profonda e raffinatissima, sinceramente senza eguali nei decenni successivi.
    Priva dell'ampollosa sovrastruttura che diventerà tipicamente francese. Eppure capace di colpire un Re come Luigi, oltre a sua madre e a Re Carlo d'Inghilterra.
    L'Arpeggiata è una formazione piccola ma perfettamente capace di rendere con serietà - come sono queste pagine - o di scherzare sui temi barocchi come nei più leggeri dischi più che vagamente jazzistici su musiche di Monteverdi o di Purcello che ci hanno fatto sorridere negli scorsi anni.

    Ce n'è traccia anche qui, nella ricostruzione con "basso ostinato" de "La bella più bella il cor mi ferì" che guarnisce come una gemma la prima parte del disco.
    Jaroussky é particolarmente ispirato, mentre Veronique Gens ha una voce bellissima ma è meno chiara nella dizione italiana.
    Di grandissimo livello la parte arpistica della Pluhar che accompagna "divinamente" i cantanti.
    Registrazione di qualità elevatissima e ad alta risoluzione.
    Una scoperta che merita un ascolto estremamente attento e disco candidato alla nostra selezione dell'anno.
  25. M&M
    le Regine di Handel : Francesca Cuzzoni e Faustina Bordoni
    Lucy Crowe (Cuzzoni), Mary Bevan (Bordoni)
    London Early Opera diretta da Bridget Cunningham
    Signun Classics 2019, formato liquido 96/24
    ***
    Abbiano parlato diverse su queste pagine delle regine di Handel.
    Le protagoniste delle sue opere, a cominciare da Cleopatra.
    Le protagoniste dei suoi palcoscenici, le dive italiane dell'opera di inizio '700, quelle che tolsero definitivamente la scena ai castrati più famosi del tempo.
    In questo caso abbiamo un lungo repertorio di arie, non solo di Handel ma anche di Bononcini, di Hasse (il marito della Bordoni), di Porpora, di Vivaldi, di Bononcini ...
    E i due usignoli sono due soprani inglesi.

    Lucy Crowe
     
    Conosco Lucy Crowe da tempo. Voce d'angelo e grandissimi tecnica. Capacità di articolazione eccellente.
    Qui interpreta la Cuzzoni ma sinceramente avrei visto le parti invertite.
    Perchè delle due, certamente quella con la coloritura e l'estensione più straordinarie era certamente la Bordoni, qui interpretata invece da Mary Bevan, che ha una voce non meno interessante ma certamente è meno brillante (ed anche con una dizione in italiano più approssimativa) ma che canta l'Handel inglese o il Bach tedesco in modo splendidamente coinvolgente.
    Comunque è questione di gusti. E' grandissima musica, non ci sono le arie ultracelebratissime e che hanno fatto a suo tempo la fortuna delle due ma brani meno noti ma non per questo meno straordinarie.
    A cominciare dal Cesare iniziale, "Da tempeste il legno infranto", dove la Crowe mette tutta la sua arte in un dacapo pieno di fioriture da pelle d'oca.
    Per arrivare allo Scipione, "Scoglio d'immota fronte" , altrettanto coinvolgente (e bellissima : un'opera che non ascolto quasi mai, ho in mente quella vecchia di Rousset con la Piau).

    Mary Bevan
    I due timbri di voce sono comunque perfettamente ben assortiti (vedi "Placa l'alma", Alessandro, altro brano di bellezza assoluta).
    Naturalmente la Signora Faustina si rifà con un'aria del marito ("Se fosse il mio diletto", Dalisa, Adolf Hasse 1730) e restando tra i concorrenti di Handel, anche nel "Son prigioniera d'amore" di Nicola Porpora del 1731.
    E se non arrivano alle mani (come successo dal vero, dopo epiteti sulla rispettiva moralità direttamente sulla scena ... col Senesino a bocca aperta) nel duetto dal Tolomeo che precede l'aria di Elisa, "Voglio amore", interpretata ancora da Faustina.
    Questo lungo recital si chiude (dopo un'altra aria di Hasse per la moglie Faustina), con la Cuzzoni che interpreta un'aria dal Caio Marzio Coriolano di Attilio Ariosti (1723) in cui sinceramente le sue doti liriche si perdono un poco.
    Per il tripudio della Bordoni che chiude con l'ultima aria da una cantata da camera di Maurice Greene (chi era costui ?).
    Che non a caso è stato al vero l'addio della Signora Faustina dai palcoscenici inglesi, presenti tutti i più importanti personaggi del bel mondo (compresi i regnanti) nell'estate del 1728.
    E qui invece tutte le doti liriche della Bevan finalmente vengono fuori. Sinceramente Mary Bevan rende al meglio nell'Handel inglese (all'opposto della Bordoni che si sa non cantò mai nemmeno una sillaba che non fosse in italiano ... ).
    Complessivamente ?
    Un disco da fulmine in pieno luglio che mi ha proiettato con la macchina del tempo indietro di 3 secoli in quel momento magico, per la musica all'italiana, per Handel, per le sue regine, italiane, reali e di fantasia.
    Ma che bello !
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