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Chaikovsky : Trio Op. 50 in la Minore


M&M

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Composto tra il 1881 e il 1882, quando l'autore aveva 40 anni.
La prima esecuzione avvenne a Mosca il 30 ottobre 1882.

Il trio venne completato a Roma e la dedica è metà in francese, la lingua colta per i russi, e metà in italiano «A la mèmoire d'un grand artiste. Roma, gennaio 1882» ma in nessun modo si fa riferimento diretto a Nikolaj Rubinstein morto nel 1881 lasciandolo sottinteso.

Si tratta di una composizione che spezza ogni tradizione, peraltro dalla mano di un compositore per niente legato alla musica da camera.
I due movimenti sono contrapposti, il primo "Pezzo elegiaco" nel manoscritto, in tre tempi, appunto dall'elegiaco al Moderato assai all'allegro giusto finale (~18 minuti)
Ma soprattutto il secondo movimento, un lungo tema seguito da variazioni, finale e coda (~15 minuti)

Il pianoforte apre con arpeggi su cui si innesta il tema portato dal violoncello cui risponde nella seconda frase il violino.
Continua così il dialogo tra i due archi con il pianoforte che ne sottolinea le trame e riempie di sonorità sommesse gli spazi, stretti, tra i due strumenti.
Poi il violoncello sostituisce il pianoforte che invece riprende il tema iniziale su cui il violino ricama.

L'atmosfera è dolente ma non tragica come si vorrebbe definire, il pianoforte aumenta di volume, idealmente cantando un dolore crescente.
Ma subito dopo violino e violoncello riprendono a portare la musica in un crescendo di ritmo che lascia poco spazio al pensiero.
Il piano riprende con forza martellante, veemente, cui si oppone solo il violino.
Torna la calma con il piano che introduce la seconda parte melodica del violino, il violoncello intanto cade un pò in disparte, al servizio dei suoi pari.

E' ancora il piano che da il ritmo nella parte più veloce ma anche un pò salottiera del primo movimento.

Verso il minuto 7 riprende il dialogo tra violoncello e violino con altro materiale melodico derivato dai precedenti. E' una rincorsa tra le voci. Si sentono echi dai temi operistici di Chaikovsky, sembra di vedere in qualche momento Olga che si rivolge ad Evgenji.
I toni sono più smorzati, forse nostalgici, di qualche cosa che non può tornare ma si ricorda con piacere. Il violoncello non forza mai e nemmeno il pianoforte. Il violino ha un assolto melodico dopo oltre la metà del movimento che termina in un sussurro tenuto.

Ritorna il tema iniziale, ancora con il violino che lo canta dolente, il violoncello si aggiunge sui registri più gravi ma la parentesi dura poche battute e il violino cerca di stemperare i toni con più ritmo, sincopando il tema.
Il finale è disteso, nell'allegro giusto ma nella realtà nasconde una certa parodia di marcia funebre.
In sintesi abbiamo tre grandi temi con lunghe variazioni, un intreccio teso con fraseggi che variano di modulazione, i tre strumenti hanno ampio spazio anche di assoli lirici.

Il Secondo movimento è diametralmente opposto, un tema portato dal pianoforte di derivazione popolare apre ad una serie di variazioni "non formali" veloci, frizzanti, travolgenti. Con tanto di valzer, carillon, tema con contrappunto e fuga elaborata (per Chaikovsky) e una variazione finale di proporzioni sinfoniche che mi sarebbe sempre piaciuto ascoltare orchestrata.


La letteratura narra che l'idea del Trio che, come sappiamo era tra le cose più lontane dalla mente del nostro, venne dalla solita mecenate Nadezhda von Meck il cui musicista di casa, tale Claude Debussy, aveva deliziata con un frizzante trio con pianoforte.

Piotr doveva alla von Meck l'indipendenza economica e quindi dovette abbozzare, trovando alla fine l'ispirazione di questa sorta di sinfonia da camera che coincise con la morte di Rubinstein, fondatore del Conservatorio di Mosca - il famoso Rubinstein che rifiutò di eseguire il Primo Concerto per pianoforte di Chaikovsky definendolo "ineseguibile e triviale" - cui l'autore era estremamente legato.
Per esagerare l'aneddotica, Rubinstein era malato grave di tubercolosi e pensò che un soggiorno in Costa Azzurra l'avrebbe aiutato.

Non ci arrivò mai, l'aggravarsi della malattia lo costrinse a fermarsi a Parigi dove spirò ingozzandosi di ostriche.
Il fratello Anton insieme a Chaikovsky, ovviamente, si precipitarono per rendere omaggio alla salma prima che venisse caricato sul treno per Mosca.
Chaikovsky fu devastato dalla perdita dell'amico. La precarietà della sua sfera sentimentale e personale gli fanno perdere del tutto l'ispirazione.
Trascorre mesi senza una sola idea musicale.

I loro trascorsi datavano oltre venti anni e nonostante le molte differenze di visione - Rubinstein molto tradizionalista, Chaikovsky più moderno ma anche più "occidentale" - li legava grande amicizia.
Fu Rubinstein a chiamare Chaikovsky in Conservatorio come insegnante di armonia e sempre Rubinstein a presentare le prime musicali delle principali composizioni dell'amico.
Anche dopo il primo giudizio sul concerto, fu Rubinstein a dirigere l'orchestra con Tanejev come solista alla prima esecuzione.

Quindi la morte e la devastazione conseguente, lasciano lo spazio al tributo musicale per il suggerimento della von Meck e nonostante le ritrosie iniziali spiegate in questa lettera un pò delirante :

"I miei organi uditivi sono fatti in modo tale da non poter assolutamente ammettere alcuna combinazione con un violino o un violoncello. Per me i diversi timbri di questi strumenti si combattono ed è per me, vi assicuro, una vera tortura ascoltare un Trio o una Sonata con il violino o il violoncello [...] Un Trio presuppone uguaglianza di diritti e omogeneità, come avviene nel Trio per archi. Ma come può esistere una tale omogeneità fra strumenti ad arco da una parte e il pianoforte dall'altra?"

che poi all'atto pratico della composizione non pesano affatto.

Lasciando l'aneddotica e ritornando alla composizione, si tratta di una architettura di tali proporzioni ed impegno da aver richiesto grandissimo sforzo nella stesura e di fatto è diventato l'archetipo/prototipo del trio elegiaco russo successivo, per Rachmaninov e per Shostakovich.

Ma richiede particolare impegno degli interpreti nel non banale dominio della dialettica tra le voci per tutta la durata "sinfonica" della composizione.

Esistono decine e decine di interpretazione nella nostra discografia, con esimi violinisti (Heifetz, Menuhin, Perlman) e violoncellisti (Piatigorsky, Rostropovich), pianisti (Rubinstein, Gilels) solo per citarne alcuni.
Ma l'affiatamento e l'intesa richiesti per non disperdere il carattere della musica per tutta questa durata sono non comuni e richiedono grande frequentazione.

Tra le tante io sono particolarmente legato alla edizione EMI del 1972 con Barenboim, Zukerman e Du Pré il cui legame era intenso sia sul palco che nella vita di tutti i giorni.
L'intera performance è viva, vivace, intensa, passionale, appassionata ma allo stesso tempo rispettosa, aperta, decisa, inappuntabile.
Dalle prime note del pianoforte che aprono l'elegia iniziale alle ultime che chiudono la coda finale con un passo di marcia funebre.

 

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la copertina del LP rimasterizzato digitalmente nel 1985 della registrazione originale dei tre amici (i due di sinistra all'epoca anche marito e moglie) come si può intuire i queste altre foto fuori scena durante la registrazione

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Ma, che diamine, basta citarli per emozionarsi, i tre che seguono in questa ripresa che unisce il trio di Chaikovsky con quello in mi minore di Shostakovich.

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Rostropovich gioca a scacchi con Leonid Kogan durante una pausa sotto lo sguardo divertito del loro amico Gilels.

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Una delle edizioni di questo disco, con registrazione del 1954, appena morto Stalin (e si sente).

Di registrazioni recenti ce ne sono molte, non sempre su questi livelli irraggiungibili.

Segnalo giusto questa con un Capucon in grande spolvero

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In conclusione, vi invito ad esplorare l'inconsueto trio di Chaikovsky che forse conoscete per Patetiche e Cigni ma non come camerista.

E' inutile che vi stia a scrivere quanto io ami senza nessuna riserva questa grandissima opera d'arte.

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1 Commento


Commenti Raccomandati

  • Nikonlander Veterano

Eh, il trio di Tchaikovsky è un'opera bizzara, difficile da interpretare e piuttosto lunga (su per giù 45 minuti)! Ci vuole slancio, bravura e equilibrio tra gli strumenti, altrimenti facilmente diventa un mattonazzo difficile da digerire. In buone mani, però, è meraviglioso!

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