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happygiraffe

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Blog Entries pubblicato da happygiraffe

  1. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    César Franck (1822-1890)
    - Prélude, Choral et Fugue, M.21
    - Prélude, Aria et Final, M. 23
    - Quintetto per pianoforte, M. 7
    - Prélude da Prélude, Fugue et Variation, M. 30
    Michel Dalberto, pianoforte, Novus Quartet.
    Aparté 2019.
    ***
    Il pianista francese Michel Dalberto raccoglie in questo disco alcune tra le pagine più belle di musica da camera scritte dal compositore belga César Franck: il famoso Prélude, Choral et Fugue del 1884, il Prélude, Aria et Final, composto due anni più tardi e il Quintetto per pianoforte del 1879, eseguito qui insieme al Novus Quartet.
    Sono brani che Dalberto ha nel proprio DNA: è proprio lui a dirci nelle belle note di copertina di aver studiato il Prélude, Aria et Final al Conservatorio di Parigi con il grande Vlado Perlemuter, a sua volta allievo del grandissimo Alfred Cortot.

    Sia il Prélude, Choral et Fugue che il Prélude, Choral et Fugue sono opere caratterizzate da una complessa struttura architettonica, caratterizzata dalla forma tripartita e da quella ciclica, così ricorrente in Franck, così come da una scrittura che trae molto dall'organo.
    Se è evidente l'ispirazione bachiana e religiosa del primo dei due pezzi, dal tono mistico e solenne, il secondo invece è di carattere sicuramente più profano e più visibilmente virtuosistico.
    L'esecuzione di Dalberto è semplicemente magistrale, per la chiarezza della polifonia, la lucidità interpretativa, il senso della struttura e per la palette di colori che riesce a estrarre dallo strumento, un meraviglioso Boesendorfer Vienna Concert 280.
    Mi lascia più perplesso la seconda parte del programma dedicata al quintetto per pianoforte e archi in fa minore, considerato insieme alla famosa sonata per violino e pianoforte in la maggiore e al quartetto in re maggiore una delle composizioni cameristiche più significative di Franck. Dalberto è accompagnato dal Novus Quartet, una giovane compagine coreana, giù piuttosto nota. Ho trovato la loro interpretazione piuttosto cerebrale, a tratti anche aspra, complessivamente non particolarmente emozionante. Se si prende come paragone l'esecuzione del quartetto Amadeus con Clifford Curzon (Ed.BBC Legends), così vivace, trascinante e ricca di pathos, si capisce di essere ad una distanza siderale rispetto al Novus con Dalberto.

    Il disco si chiude con il Prélude dal Prélude, Fugue et Variation, trascrizione della versione originale per organo: semplicemente meraviglioso! Tre minuti di musica celestiale. 
    Così si chiude il disco e subito viene il desiderio di rimetterlo dall'inizio!
     
    Notevole la qualità della registrazione, realizzata alla Salle Philarmonie di Liegi, che restituisce molto bene la gamma timbrica e dinamica del pianoforte.
    Disponibile in 96/24.
  2. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Chopin, Ballate e Notturni Op.15 N.1, Op.48 N.1, Op.62 N.1
    Leif Ove Andsnes, pianoforte.
    Sony Classical 2018
    ***
    A 48 anni il pianista norvegese Leif Ove Andsnes è all'apice di un percorso musicale costruito con serietà e senza il divismo di tanti suoi colleghi più giovani.

    Ritorna a Chopin dopo più di 25 anni dall'ultimo disco dedicato al compositore polacco con un programma dedicato alle magnifiche Ballades.
    Ho molto apprezzato la scelta di inframezzare le Ballate con tre Notturni: la Ballate infatti furono composte nell'arco di diversi anni e comunque non per essere suonate come un ciclo completo. I tre Notturni spezzano un'intensità emotiva che in un ascolto continuo potrebbe essere eccessiva.
    Andsnes affronta le Ballate con decisione ed è in grado di rendere l'architettura dei brani con straordinaria chiarezza. Il confronto con la recente incisione delle Ballate dell'ultimo vincitore del concorso Chopin Seong-Jin Cho mette bene in risalto quest'ultimo aspetto.
    Il suono che produce Andsnes è meravigliosamente terso e cristallino, passando dalle più delicate sfumature ai fortissimo pieni e corposi.
    Ma se vogliamo trovare un difetto al pianismo per molti versi magistrale del norvegese è quello di essere eccessivamente controllato: da questa musica e da un interprete di questo calibro mi aspetto un ardore e un trasporto che sappiano contagiare chi ascolta. Qui spesso i finali delle Ballate, dove Chopin porta il discorso musicale a un climax irresistibile per poi concludere con delle code assolutamente fiammeggianti, li ho trovati un po' sgonfi.
    E' possibile, anzi è probabile, che Andsnes dal vivo sappia regalare emozioni che finora in alcuni suoi dischi non ho trovato, ma purtroppo non ho mai avuto modo di ascoltarlo in concerto.

    Rimane comunque un disco di assoluto rilievo, meravigliosamente registrato, ma a mio avviso un pelo sotto altre incisioni come, solo per fare un paio di esempi, quelle di Perahia o di Pollini.
     

  3. happygiraffe
    Beethoven, concerti per pianoforte n.2 e n.5 "Imperatore".
    Kristian Bezuidenhout, fortepiano; Freiburger Barockorchester, direttore Pablo Heras-Casado.
    Harmonia Mundi 2020
    ***
    Devo ammettere che, al primo ascolto di questo disco, non ho seguito l’ordine delle tracce che prevederebbe prima il quinto e poi il secondo, ma sono passato direttamente al secondo concerto, uno dei miei preferiti. Non avevo particolari aspettative: stimo Bezuidenhout come un ottimo fortepianista, ma le sue incisioni dei concerti di Mozart sempre con Heras-Casado non mi avevano entusiasmato. E invece…BANG!!…sono stato letteralmente cappottato sul divano! 

    La sensazione che ho provato è stata quella di ascoltare quel concerto per la prima volta, ma anche di essere trasportato nello spazio e nel tempo al momento della sua prima esecuzione.
    Non è solo l’effetto degli strumenti d’epoca (Bezuidenhout suona una replica del 1989 di un Graf del 1824), dei tempi vivaci, del piglio energico del solista e del direttore e dell’affiatamento che c’è tra i due, ma c’è dell’altro e precisamente una freschezza di approccio e una certa libertà che ricorda l’improvvisazione, come se questi pezzi fossero eseguiti per la prima volta. E’ come se Bezuidenhout e Heras-Casado si fossero dimenticati di due secoli di tradizione interpretativa, tale è la spontaneità con cui rivisitano queste pagine.

    E del resto lo stesso Beethoven, ci ricorda Bezuidenhout nelle note di copertina, alle prime esecuzioni dei suoi concerti lasciava molto spazio all’improvvisazione, non avendone ancora ultimato la partitura in ogni dettaglio, al punto da presentarsi con i fogli della parte per pianoforte appena abbozzati o spesso completamente bianchi!
    Sempre Bezuidenhout conferma le nostre sensazioni, dichiarando che l’approccio seguito nelle sedute di registrazione è stato proprio quello di combinare lo studio approfondito delle edizioni critiche moderne con una maniera di suonare rispettosa di quelle che erano le abitudini ai tempi di Beethoven, vale a dire di “usare il testo come una sorta di canovaccio o, se vogliamo, di trampolino”.
    Nel complesso ho trovato assolutamente entusiasmante il secondo concerto, mentre un po’ più tradizionale il quinto, ma non per questo meno interessante. In entrambi si percepisce in ogni momento una totale immedesimazione nello spirito di questa musica.
    Per le cadenze, nel secondo concerto Bezuidenhout ha rielaborato dei materiali scritti da Beethoven per la cadenza del primo concerto, mentre per il quinto concerto ha utilizzato una trascrizione della cadenza improvvisata da Robert Levin per la registrazione del 1999 con John Eliot Gardiner (Archiv).
    Praticamente irreprensibile la qualità della registrazione, come da standard Harmonia Mundi.
    Consigliatissimo!
     
  4. happygiraffe
    Franz Schubert, sonate per pianoforte D959 e D960
    Krystian Zimerman
    Deutsche Grammophon 2017
    ***
    Ammetto che sono un po' in imbarazzo nel dover parlare di questo disco. Krystian Zimerman è considerato una leggenda vivente del pianoforte e in più i suoi dischi da solista sono molto rari: se si esclude la seconda sonata per pianoforte della Bacewicz del 2011, il disco precedente risale addirittura al 1993 (Préludes di Debussy).
    Nutrivo quindi grandi aspettative, anche se devo ammettere che ho sempre guardato con una certa diffidenza al pianista polacco: pur riconoscendogli una tecnica straordinaria e alcuni dischi leggendari, spesso mi lascia perplesso per una ricerca maniacale del suono e per una cura del microdettaglio che va a scapito della spontaneità.
    In questa incisione dedicata a Schubert leggiamo che ha addirittura modificato la meccanica del pianoforte con il duplice scopo di sostenere meglio il suono della linea melodica e non appesantire le note ripetute dell'accompagnamento.
    Il timbro che ne risulta è in effetti molto particolare e conferisce un carattere ben definito a questa registrazione.
    Zimerman ancora una volta colpisce per la raffinatezza del suo pianismo, per la tecnica sopraffina, per la cura del dettaglio. Le sue interpretazioni di queste due celebri sonate sono sicuramente di un livello altissimo, tuttavia...tuttavia dopo diversi ascolti ho l'impressione che manchi quella fluidità del discorso musicale, quella capacità di rendere il senso della struttura, vado oltre sperando di non essere accusato di blasfemia, quella capacità di andare coraggiosamente in profondità per cogliere il senso pieno del discorso musicale,  tutte cose che permettono di catturare l'attenzione dell'ascoltatore per quella quarantina di minuti che dura ciascuna di queste due sonate. 
    In conclusione, certamente un disco importante, con alcuni momenti memorabili, ma che aggiunge poco di nuovo all'ampia discografia già presente.
  5. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Franz Schubert, quartetti per archi n.14 "La morte e la fanciulla" e n.9
    Chiaroscuro quartet
    BIS 2018
    ***
    Il quartetto n.14 di Franz Schubert, composto nel 1824,  rappresenta probabilmente uno dei vertici più alti del repertorio romantico per quartetto d'archi. Viene chiamato "La morte e la fanciulla" perché il tema del secondo movimento venne ripreso dal lied omonimo composto dallo stesso Schubert nel 1817 su testo di Matthias Claudius.
    Il quartetto Chiaroscuro, guidato dalla brava violinista russa Alina Ibragimova, ha la particolarità di suonare su strumenti d'epoca (con corde di budello e archetti classici), ma questo elemento mi è parso secondario rispetto alle emozioni che mi ha regalato questo disco.
    Quello che più di tutto mi più mi ha colpito di questa registrazione e che mi ha fatto letteralmente riscoprire e apprezzare nuovamente questo lavoro è l'esattezza della scelta dei tempi. Prendiamo ad esempio il celebre secondo movimento, eseguito in 11'48'', quasi due minuti in meno di quella che è la prassi (penso all'Italiano o più recentemente al Pavel Haas). Questo riporta il movimento all'indicazione dell'autore di "Andante con moto", togliendo un eccesso di dolente pesantezza al brano, ma senza perdere in drammaticità, anzi.
    Per il resto una lettura tesa, che non manca di pathos, energia, contrasti, raffinatezza timbrica. 
    Dopo tante emozioni, passa onestamente in secondo piano il quartetto giovanile n.9, che preso singolarmente rimane tuttavia un piccolo gioiello.
    La qualità della registrazione, infine, rende giustizia alla bravura degli artisti. Palcoscenico sonoro piuttosto ampio. Disponibile in 96/24.
  6. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Eugène Ysaÿe (1858-1931): Poème élégiaque Op 12
    César Franck (1822-1890): Sonata per violino in La maggiore
    Louis Vierne (1870-1937): Sonata per violino in Sol minore Op 23
    Lili Boulanger (1893-1918): Nocturne
    Alina Ibragimova, pianoforte, Cédric Tiberghien, pianoforte.
    Hyperion Records, 2019
    ***
    Ruota tutto intorno alla figura imponente del violinista belga Eugène Ysaÿe il programma di questo disco e se a prima vista il pezzo forte sembrerebbe la celebre sonata di Franck, in realtà già dal primo ascolto si capisce che i piatti di contorno sono più sostanziosi di quello che saremmo pronti a pensare.
    Il disco si apre proprio con una composizione dello stesso Ysaÿe, il Poème élégiaque Op.12 del 1893. E' un brano di atmosfera di quindici minuti scarsi, dal fascino misterioso e intimista, ispirato alla scena della tomba di Romeo e Giulietta. Il libretto ci informa che nella "scène funébre" centrale la corda di sol del violino viene accordata sul fa, ottenendo così un colore più cupo, simile alla viola.

    Eugène Ysaÿe
    Segue la famosa sonata di César Franck, forse una delle sonate per violino e pianoforte più eseguite e conosciute in assoluto. Composta nel 1886 fu il regalo di nozze di Franck a Ysaÿe e quest'ultimo ne fu il primo esecutore e la portò al successo in Francia e nel mondo. Si tratta di uno dei vertici della musica da camera francese, composta in forma ciclica, motivi uguali si ritrovano infatti in tutti i movimenti, e caratterizzata da uno straordinario equilibrio strutturale e da un'inventiva melodica trascinante, specialmente nell'ultimo famosissimo movimento, composto secondo un procedimento a canone, con la melodia che si intreccia e si insegue da uno strumento all'altro in modo irresistibile. 
    L'intesa e l'affiatamento tra i due interpreti sono assoluti, si sente eccome che Ibragimova e Tiberghien suonano insieme da anni. Il suono della russa è morbido e dolce, dal canto suo il pianista francese riesce a estrarre dei timbri incredibili dal suo Steinway. Nel complesso è un'interpretazione che mi ha colpito per la sua sensibilità e profondità, ma soprattutto per la naturalezza con cui il discorso musicale si dipana nel corso dei quattro movimenti, mantenendo al contempo delicatezza, grande chiarezza e trasporto.
    E arriviamo così alla sonata per violino Op.23 di Vierne e qui la domanda che mi sono posto immediatamente è stata:"ma chi diamine è Vierne?" 
    E' un nome che probabilmente è noto agli amanti della musica per organo: Vierne è stato dal 1900 al 1937 organista della cattedrale di Notre-Dame, il cui organo, che all'epoca versava in pessime condizioni, fu restaurato grazie ai fondi che lo stesso Vierne riuscì a raccogliere nel corso di una tournée in Europa e America. Vierne da giovane aveva vinto anche un premio di violino al Conservatorio di Parigi e nel corso della sua vita fu anche compositore, nonostante la sua quasi cecità gli imponeva di scrivere la musica in Braille, e un noto improvvisatore all'organo.
    Fu così che Ysaÿe commissionò a Vierne, allievo e ammiratore di Franck, una sonata per violino, che fu poi pubblicata nel 1908. Il violinista la eseguì per la prima volta con successo in quello stesso anno e continuò a portarla in concerto anche l'anno seguente.
    Se si può a tratti sentire l'influsso di César Franck, in realtà il linguaggio di Vierne appartiene al tempo in cui è stata composta: siamo ormai ai primi del '900 e Vierne è nato 48 anni dopo Franck. Basta l'attacco divertito e ironico del primo movimento per accorgersene.

    Louis Vierne
    Il disco si chiude con un breve Nocturne di Lili Boulanger (sorella della più celebre Nadia, morta a 24 anni nel 1918) del 1911, che chiude il disco con grande delicatezza, così come si era aperto.
    Tirando le somme, questo è un disco che mi è piaciuto molto: prima di tutto per la capacità di impostare un programma di grande fascino, in grado di affiancare a un brano arcinoto come la sonata di Franck, altri molto meno conosciuti, ma in grado di reggere il confronto; in secondo luogo per la straordinaria bravura e l'affiatamento dei due interpreti. Da ultimo va menzionata la qualità irreprensibile della registrazione, che rende giustizia alla bravura di Ibragimova e Tiberghien.
  7. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Julia Fischer, Daniel Mueller-Schott: Duo Sessions
    Orfeo, 2016.
    ***
    Riprendo volentieri questo disco uscito qualche tempo fa. 
    Adoro la musica per violino e violoncello e ascoltando un disco come questo viene da chiedersi come mai il repertorio sia così limitato.
    Possiamo dire che questo programma, peraltro quasi identico a quello di un disco di Nigel Kennedy e Lynn Harrel del 2000, comprenda le migliori opere del repertorio per questi due strumenti.
    Composte nell'arco di un decennio le opere di Kodaly, Schulhoff e Ravel si sposano perfettamente tra loro.
    Il Duetto Op.7 di Kodaly, composto nel 1914, ma mai eseguito in pubblico fino al 1924, incorpora diversi temi di origini popolare in una struttura classica in tre movimenti. Questo Duetto è probabilmente secondo in popolarità solo alla Sonata di Ravel.
    Fischer e Mueller-Schott ne offrono una lettura appassionata e esuberante, mantenendo al tempo un equilibrio esemplare tra i due strumenti.
    Segue il Duetto di Schulhoff. Composto nel 1925 e dedicato al maestro Janacek, si articola in quattro movimenti traendo ispirazione dalla musica popolare ceca. Il linguaggio di Schulhoff è stilisticamente più complesso e impiega un ampio bagaglio di scelte tecniche che si traducono in un ricco ventaglio di timbri e dinamiche.
    L'interpretazione di Julia Fischer e Daniel Mueller-Schott è ancora una volta trascinante, rendendo magistralmente la ricchezza stilistica, timbrica e la frenesia dei ritmi di questo lavoro.
    Il pezzo forte del programma è naturalmente l'imprescindibile Sonata di Ravel. Pubblicata nel 1922, costò al compositore francese un anno e e mezzo di lavoro e fu dedicata alla memoria di Claude Debussy, morto nel 1918. Questa sonata rappresenta una delle opere più sperimentali di Ravel, che parlò di "scarnificazione spinta all'estremo" e di "rinuncia alla fascinazione armonica". L'accoglienza del pubblico fu a dir poco fredda ("un massacro"), sconcertato dal linguaggio scabro e il ripetersi ossessivo delle linee melodiche. Nonostante sia certamente uno dei lavori più arditi del compositore francese, oggi questo pezzo è considerato un classico del repertorio per violino e violoncello e ci affascina proprio per le stesse ragioni che all'epoca disorientarono i primi ascoltatori.
    Fischer e Mueller-Schott ne danno un'ottima lettura, molto intensa, anche se forse non all'altezza di altre interpretazioni. Si ascolti ad esempio la versione dei Capuçon (Erato, 2001), non meno intensa, ma più vibratile e viva.
    Si termina con la Passacaglia di  Johan Halvorsen, compositore, violinista e direttore d'orchestra norvegese. Composta nel 1894, la Passacaglia è la virtuosistica trascrizione per violino e violoncello (o viola) dell'ultimo movimento della Suite in Sol minore HWV 432 di Handel. E' un brillante e pirotecnico brano da concerto che chiude felicemente questo bel disco.
  8. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    After Bach
    Brad Mehldau, pianoforte
    Nonesuch 2018
    Tracklist:
    1. Before Bach: Benediction
    2. Prelude No. 3 in C# Major from The Well-Tempered Clavier Book I, BWV 848
    3. After Bach: Rondo
    4. Prelude No. 1 in C Major from The Well-Tempered Clavier Book II, BWV 870
    5. After Bach: Pastorale
    6. Prelude No. 10 in E Minor from The Well-Tempered Clavier Book I, BWV 855
    7. After Bach: Flux
    8. Prelude and Fugue No. 12 in F Minor from The Well-Tempered Clavier Book I, BWV 857
    9. After Bach: Dream
    10. Fugue No. 16 in G Minor from The Well-Tempered ClavierBook II, BWV 885
    11. After Bach: Ostinato
    12. Prayer for Healing
    ***
    Lo dichiaro subito: parlare su queste pagine di un disco di Brad Mehldau potrebbe apparire un po' strano o fuori contesto, ma a me, che non ascolto solamente musica classica, Mehldau è sempre piaciuto, per cui ammetto candidamente che ho colto il pretesto di questo suo disco di ispirazione Bachiana per parlarne qui su variazionigoldberg.

    Semplificando le cose si può dire che Brad Mehldau sia un pianista jazz tra i migliori della sua generazione. Andando anche un po' oltre si più anche affermare che sia un musicista molto versatile, cogliendo in pieno quella caratteristica del jazz che è quella di prendere costantemente spunto dai temi musicali più disparati. Ma Brad non si è fossilizzato sui soliti standard del Jazz: ascoltando i suoi dischi si trovano interpretazioni di brani che vanno dai Beatles ai Radiohead, da Paul Simon a Nick Drake, da Dylan a Fiona Apple, da Brian Wilson a Kurt Cobain.

    Quello che mi ha sempre affascinato del suo stile, già dal primo ascolto venti anni fa, è la forte presenza di solide radici classiche: pur se il linguaggio musicale è proprio del Jazz, non è difficile ritrovare echi che vanno da Bach a Brahms. E proprio qualche Intermezzo di Brahms è comparso in alcune sue incisioni live, come testimonia il disco "10 Years Solo Live" del 2015.
    Quest'ultimo disco, "After Bach", si spinge oltre. Alcuni preludi e fughe del Clavicembalo ben temperato sono suonati da Mehldau e diventano il punto di partenza per le sue composizioni.
    Un'operazione che potrebbe irritare gli integralisti della musica classica, così come spiazzare i jazzofili più incalliti. 
    Volendo invece accogliere la proposta del versatile pianista americano senza pregiudizi, si può rimanere sorpresi. Le divagazioni di Mehldau sui pezzi del Clavicembalo ben temperato vanno ben oltre un approccio "jazzy". Il suo linguaggio musicale supera i confini del jazz e quella che ne risulta è una scaletta molto omogenea con un affascinante gioco di rimandi tra i brani di Bach e quelli originali.
    L'ho trovato nel complesso un disco molto godibile e sicuramente una delle proposte più interessanti uscite in questo periodo. Lo consiglio a chi non si lasci stranire da questa commistione di generi e lo ascolti con mente e cuore aperti prima di giudicarlo.

  9. happygiraffe

    Recensioni Cuffie
    Come promesso, dopo un abbondante rodaggio eccomi qui a parlarvi delle Focal Clear. In realtà queste cuffie suonano abbastanza bene fin da subito, ma il suono è andato comunque modificandosi e assestandosi anche dopo diverse decine di ore di ascolto.
    Uscite nel 2018 non sono il top di gamma del catalogo Clear, ma con i loro 1.499€ a listino possiamo collocarle a metà strada tra le mirabolanti Utopia da 3.999€ e le più accessibili, ma non economiche, Elear (999€).
    Si tratta di cuffie dinamiche aperte: ciò vuol dire che chi le indossa sentirà i rumori dell’ambiente che lo circonda, quasi come se non le avesse addosso, e chi ci sta intorno sentirà un po’ di suono provenire dalle cuffie. Inutile pensare di usarle, quindi, in ambienti rumorosi, per strada, eccetera.

    Il design è sobrio e curato, l’accostamento dei colori, con il grigio dell’alluminio e il grigio chiaro dei cuscinetti e delle rifiniture, lo trovo moderno ed elegante.
    Pur non essendo leggerissime (450g), nell’uso si sono rivelate molto comode, ben bilanciate e con la giusta pressione sulla testa. I due cuscinetti in schiuma a memoria di forma rivestiti in microfibra, così come l’imbottitura dell’archetto, sono molto morbidi e confortevoli. Ho qualche dubbio sul fatto che col tempo tenderanno a sporcarsi, ma per il momento non sono in grado di parlarne.
    Dal punto di vista degli accessori, Focal fa le cose davvero in grande: le Clear sono dotate di una bella custodia semirigida in cui riporle e di addirittura tre (!) cavi: un cavo da 1.2m con jack da 3.5mm, un cavo da 3m bilanciato con spina XLR a 4 poli, 1 cavo da 3m con jack grande da 6.35mm.

    Ho apprezzato la presenza di tutti questi cavi, che ho avuto modo di usare tutti, e penso che tutti i produttori dovrebbero allinearsi a questa scelta. Il cavo ha una sezione importante ed è contraddistinto da una certa rigidità. Per darvi meglio l’idea, assomiglia un po’ al cavo del ferro da stiro (perdonatemi il paragone!). Questo non mi ha dato particolare fastidio durante l'ascolto, ma quando arriva il momento di riporre le cuffie, i cavi vanno un po' dove vogliono loro.

    Le Clear montano dei driver a M di produzione Focal da 40mm in lega di alluminio-magnesio.

    I trasduttori sono posizionati nella parte anteriore e rivolti all’indietro, con l’obiettivo di creare un ampio soundstage.

    La bassa impedenza le rende facilmente pilotabili anche da dispositivi portatili, tipo DAP e smartphone, ma se vogliamo rendere giustizia a queste cuffie bisogna abbinarle a un amplificatore di qualità.
    Per questo test ho usato l’irreprensibile Audio-GD Master 11, impiegando l’uscita bilanciata, ma ho ascoltato le Clear anche attaccandole a un più modesto ampli cuffia Matrix M-Stage o addirittura all’iPad. Ma con il Master 11 è proprio tutta un’altra storia!
    Test di ascolto
    Ho ascoltato un po' di tutto per questa recensione e devo ammettere che mi sono divertito parecchio. Qui di seguito ci sono le mie impressioni relative ai singoli ascolti. Se non avete voglia di leggerle, potete passare direttamente alle conclusioni in fondo alla pagina.

    The Allman brothers band, The 1971 Fillmore East recordings. Island Def Jam, 2014.
    You don't love me (first show). 24/192kHz.
    Le storiche registrazioni dei concerti al Fillmore East del 1971 degli Allman brothers. Rimango sbalordito: sembra di essere catapultati di fronte al palco la sera del concerto! La voce di Gregg Allman è limpida al centro circondata dagli strumenti dei suoi compagni. Solo la batteria suona un filo indietro. Il ritmo è pulsante, l’impatto è assolutamente realistico e viscerale. Comincio a battere il piede a tempo e mi perdo nella musica. Non ricordavo che questo disco fosse così bello. Cosa si può volere di più?

    Nirvana, Nevermind. Geffen, 2014.
    Smells like teen spirit. 24/96.
    Un pezzo mitico di Cobain e compagnia. Dopo il primo riff di chitarra, entra la batteria di Dave Grohl come una raffica di mitragliatrice: i Nirvana ci danno dentro come se non ci fosse un domani (e per Kurt fu proprio così). Le Clear restituiscono tutta l’energia del brano. Le chitarre elettriche sono aggressive senza essere fastidiose, il basso è pieno e potente. La batteria è in assoluto primo piano e viene riprodotta ottimamente, tranne che per le frequenze più alte dei piatti che man mano che il brano prosegue sembrano perdere un po’ di sostanza. Nel complesso la resa è ottima, tanto che mi vien voglia di mettermi a saltare in mezzo alla sala come un ragazzino. Occhio al volume, perché qui si rischia di lasciarci i timpani. 

    Paul Simon, Still crazy after all these years. Legacy recordings, 1975.
    50 ways to leave  your lover. 24/96 kHz.
    Il groove delle percussioni di Steve Gadd in apertura ha impresso il proprio marchio a questa famosa canzone di Paul Simon. Si sente la pelle dei tamburi vibrare e ogni minimo dettaglio. Poi parte la voce soave di Simon. Ottima la produzione e la recente rimasterizzazione in 24/96. Registrazione molto pulita e ricca di dettagli.

    PJ Harvey, Stories from the City, stories from the sea. Universal-Island Records, 2000.
    You said something. 16/44.1.
    Un disco del 2000 della cantante inglese. La canzone suona decisa e potente, come decisa è la voce di PJ Harvey. Chitarre elettriche e basso sono presenti e pieni di energia. Bene la batteria, a volte un po' indietro i piatti, ma suonano indietro anche con i miei monitor.

    Radiohead, Kid A. XL Recordings, 2000.
    The National Anthem. 16/44.1.
    Un pezzo iconico della band di Oxford che sta a metà tra l’alternative rock e il free jazz. Il brano è un caotico mix di strumenti che vanno a sovrapporsi al riff di basso di Colin Greenwood: troviamo addirittura delle onde Martenot e un ensemble di ottoni. Succede veramente di tutto in questo pezzo, con effetti sonori che volteggiano davanti a noi. Le Clear non si scompongono mai, mettendo ogni strumento od effetto nella sua giusta posizione e trasmettendoci tutta l’energia di questo brano. The National Anthem viene spesso usata per testare gli impianti hifi. Per le Clear esame superato.

    Janis Joplin, Pearl. Columbia Legacy, 1971.
    Mercedes Benz. 24/96.
    in questo breve pezzo, che fu l’ultimo da lei inciso nella sua breve vita, la Joplin canta a cappella. Devo dire di non aver mai ascoltato la sua voce con questo grado di dettaglio: roca, nasale, urlata. Si percepisce con chiarezza riverbero della sala d’incisione. Un’esperienza da pelle d’oca. 

    Keith Jarrett, Jan Garbarek, Palle Danielsson, Jon Christenses, My Song. ECM, 1978. 
    Country, 24/96 kHz.
    Un bellissimo album di Keith Jarrett con il suo quartetto norvegese. Era il 1977, ma suona fresco come mai in questa rimasterizzazione in HD. I quattro musicisti sono perfettamente rappresentati nello spazio. Il piano di Jarrett suona limpido e duetta con il sax di Garbareck, incisivo, ma mai fastidioso. Il contrabbasso è ben presente e nell’assolo suona pieno e ricco di dettagli. La batteria rimane un pelo indietro, a mio avviso.

    Fred Hersch Trio, Live in Europe. Newklypso (for Sonny Rollins). 24/44.1 kHz.
    Un disco straordinario, sia musicalmente che per la qualità dell’incisione. I tre strumenti sono perfettamente definiti davanti a noi e la resa timbrica è eccellente. Difficile sentire un pianoforte così in un disco di Jazz. La batteria, in questo brano in evidenza con un bell’assolo, ci convince pienamente, a differenza del disco precedente di Jarrett.

    Bill Frisell, Epistrophy. ECM, 2019. You only live twice. 24/96 kHz.
    I morbidi virtuosismi della chitarra elettrica di Frisell, qui alla prova con un celebre brano di un film di James Bond, ci deliziano. Frisell è davanti a noi. il contrabbasso di Thomas Morgan, pieno e caldo, è stato volutamente lasciato un pelo indietro. 

    Pharoah Sanders, Africa. Timeless Records, 1987.
    You've got to have freedom. 24/44.1kHz.
    L’incipit di questo pezzo è incredibile. Il coltraniano Sanders fa urlare il suo sax tenore nel suo registro più acuto producendo un effetto che potrebbe ricordare un’oca alla quale si stia tirando il collo (almeno a me dà questa idea!). Le Clear lo seguono senza difficoltà. Il timbro del sax è reso molto bene. Nonostante si spinga molto sugli alti, l’ascolto non è fastidioso e, anzi, quando entra il resto della band è una vera e propria festa.

    Muddy Waters, Folk singer. Geffen Records, 1964.
    Good morning little schoolgirl. 24/192.
    Un disco unplugged registrato incredibilmente bene e riproposto in 24/192. Waters pizzica inizialmente le corde più sottili della sua chitarra, poi comincia a cantare e la sua voce incredibile ci ammaglia. I musicisti sono davanti a noi. La resa timbrica è impeccabile. Siamo nel 1964, ma sembra registrato ieri.

    Smaro Gregoriadou, A healing fire (Bach, Britten, Gubaidulina, Hétu). Delos, 2020.
    Benjamin Britten, Nocturnal after John Dowland. Op.70. 24/48.
    Le Clear rendono bene ogni sfumatura di timbro della chitarra della virtuosa greca Smaro Gregoriadou in questo capolavoro di Benjamin Britten. Il suono è dettagliato e presente, ma anche asciutto e con poco riverbero dell’ambiente di registrazione.

    Gyorgy Ligeti, Works for piano: études, Musica ricercata. Pierre-Laurent Aimard, pianoforte. Sony Classical, 1996.
    L'escalier du diable. 24/44.1.
    Un pezzo massacrante per chi lo suona, per chi lo registra e per l’hifi che lo riproduce. Pianoforte usato in modo percussivo in tutta la sua gamma, dinamiche elevate, grande varietà timbrica. L’incisione di Sony la trovo ottima, così come l’interpretazione di Aimard. Le Clear restituiscono un pianoforte perfettamente centrato, facendoci percepire molto bene i riverberi dell’ambiente circostante. Il suono dello strumento viene riprodotto in tutta la sua varietà di timbri e di dinamiche.

    Beethoven, Trii per pianoforte Op.1 n.3 & Op.70 n.2. BIS, 2020.
    24/96.
    Un disco recente e ottimamente registrato (come di routine con BIS). L'immagine è precisa e ben equilibrata. La scena corretta, anche se non eccessivamente ampia. Il timbro dei tre strumenti tendente al caldo. 

    Monteverdi, il terzo libro dei madrigali. Concerto italiano, Rinaldo Alessandrini. Naïve, 2019.
    Vattene pure, crudel. 24/88.2
    Dio mio, che incisione pazzesca! Difficile fare di meglio. Mi sento Alessandrini in mezzo ai musicisti del Concerto Italiano. Il palcoscenico è incredibilmente tridimensionale. La resa delle voci delle Clear è sublime. Una volta superato lo choc, mi perdo nella musica. E' questo madrigale ("Vattene pure, crudel") su versi del Tasso è così bello che mi commuovo.

    Prokofiev, concerti per violino e orchestra. Lisa Batiashvili, Chamber Orchestra of Europe, Yannick Nézet-Séguin. DG, 2018. 
    Secondo concerto, terzo movimento Allegro, ben marcato. 24/96.
    Un disco registrato divinamente. Il violino si amalgama perfettamente con l’orchestra, né troppo in primo piano, né troppo indietro. Le diverse sezioni dell’orchestra sono chiaramente distinguibili, le percussioni (piatti, triangolo, castagnette, grancassa, rullante) suonano piene e ben presenti. Il palcoscenico è ampio e profondo. 

    Mahler, das Lied von der Erde. Budapest Festival Orchestra, Direttore Ivan Fischer. Robert Dean Smith, tenore, Gerhild Romberger, contralto.
    Channel Classics Records, 2020. 24/192.
    Le incisioni della channel classics sono sempre di grandissima qualità. La scena è ampia, sembra di essere seduti in platea di un grande auditorium, con l’orchestra davanti a noi. Si percepiscono con chiarezza i vari settori dell’orchestra e gli strumenti nel dettaglio. L’organico è ampio e arriva a comprendere addirittura un mandolino che si sente nel finale di Abschied. Le voci dei cantanti sono chiare e in equilibrio con l’orchestra. Robert Dean Smith ha il suo bel da fare per non farsi sommergere dai volumi orchestrali nel primo movimento: ci riesce dal vivo con Jurowski (in un altro disco, però), figuriamoci in questa versione in studio. La voce della Romberger suona pulita e limpida. Nonostante la sua interpretazione possa risultare un po’ distaccata, riesce a commuoverci nell’ultimo, sublime movimento. Nonostante il grado di dettaglio, il suono complessivo è ben amalgamato e realistico. Complimenti agli ingegneri del suono!
    Conclusioni
    Avrete capito che le Clear mi sono piaciute molto. Sono delle straordinarie cuffie aperte, ben bilanciate in quasi tutta la gamma, con un’ottima resa timbrica, dettagliate, ma anche molto coinvolgenti.  Come per tutte le cuffie, però, c’è qualche zona d’ombra. Vediamo i vari elementi nel dettaglio.
    Bassi
    I bassi sono pieni, dettagliati, molto veloci e di grande impatto. Soprattutto sono equilibrati rispetto alle altre frequenze, né troppo enfatizzati, né poco presenti: una giusta e bilanciata via di mezzo. Si estendono piuttosto in basso, ma nella regione dei bassi profondi c’è una certa attenuazione, ma neanche eccessiva.
    Lo dico chiaramente: chi sia alla ricerca di una cuffia con una marcata enfasi nei bassi, non troverà nelle Clear il prodotto giusto.
    Medi
    La gamma media è lineare, limpida e ben dettagliata. Le voci, sia maschili che femminili, suonano in modo totalmente realistico, con una resa timbrica molto convincente e senza particolari problemi di sibilanti. La presentazione del suono è tendenzialmente molto neutrale.
    Alti 
    Gli alti suonano dettagliati e trasparenti, ma anche leggermente indietro e questo rende l’ascolto delle Clear non fastidioso sulle alte frequenze, alle quali io sono piuttosto sensibile. Nella parte più alta dello spettro ci sono però delle zone di comportamento non lineare, per cui, a seconda delle registrazioni, a volte i piatti possono perdere un po’ di sostanza e suonare un po' vuoti. Ripeto, dipende molto dalla registrazione e dal genere musicale che stiamo ascoltando. Nella musica classica, ad esempio, non ho minimamente percepito il problema. 
    Soundstage
    Il palcoscenico varia chiaramente in funzione di quello che stiamo ascoltando. Possiamo dire che per complessi strumentali ridotti, a prescindere dal genere musicale, rock, jazz, classica, il soundstage è piuttosto “intimo”, ponendo l’ascoltatore molto vicino ai musicisti. Per la musica orchestrale, quando è ben registrata, l’impressione è diversa: la scena è assolutamente realistica, come fossimo a un concerto. Il palcoscenico risulta ampio e profondo, anche se in modo non esagerato o artificioso.
    Immagine
    Ho trovato ottima la capacità delle Clear di isolare i vari strumenti e collocarli nello spazio.
    Risoluzione
    In termini di risoluzione, le Clear hanno un grado di dettaglio elevato e possono essere spietate con registrazioni che non siano di buona qualità, tuttavia probabilmente non allo stesso livello di cuffie planari o elettrostatiche in questa fascia di prezzo. Personalmente, trovo che Focal abbia trovato un giusto compromesso, offrendoci un ottimo grado di dettaglio, senza risultare eccessivo o radiografico. Poi, come sempre, tutto dipende da quello che uno si aspetta da un cuffia: se ascoltate musica in cuffia per sentire il ticchettio dell’orologio del direttore d’orchestra e in generale tutto quello che con i diffusori si perde, allora probabilmente ci sono modelli che offrono qualcosa in più.
    Dinamica
    La dinamica è assolutamente stellare. Sono cuffie che danno il meglio in quei tutti quei dischi con grande contenuto energetico: dal rock, alla musica orchestrale, a certa musica jazz. Sanno far pulsare la musica come poche! Mi raccomando, prestate attenzione ai volume d’ascolto: i nostri timpani sono preziosi!
    Equalizzazione
    A mio avviso suonano praticamente perfette così come sono, specialmente per la musica classica. Se volete dare un po’ più di corpo alle altissime frequenze o ai bassi profondi, si possono equalizzare con ottimi risultati. In rete si possono reperire facilmente le impostazioni necessarie.
     
    Conclusioni delle conclusioni
    Per me le cuffie sono un ripiego, perché preferisco nettamente ascoltare la musica dai diffusori. Devo ammettere, però, che con le Clear ho ritrovato molte delle emozioni che provo nell’ascolto in cassa e in alcuni casi anche di più. Sono cuffie molto lineari e omogenee, veloci e in grado di trasmettere tutta l’energia della musica. L’accuratezza dei timbri delle voci e degli strumenti è notevole.
    Le Clear al momento del lancio venivano a listino 1.499€, oggi si trovano anche a 1.275€. Nel valutare il prezzo, bisogna anche tener conto che Focal ci offre tre cavi di diverse tipologie e lunghezze e una bella custodia.
    Certo, sono sempre tanti soldi per un paio di cuffie, per cui bisogna considerare bene quali siano le nostre aspettative e se questo modello sia in grado di soddisfarle. Io nelle Clear ho trovato un grado di coinvolgimento che sinceramente non mi sarei aspettato!
     
    Pro
    gli accessori: custodia e cavi bilanciati e non. buona linearità della risposta in frequenza resa timbrica dinamica, trasparenza, risoluzione capacità di essere pilotate da qualsiasi dispositivo comfort Contro
    qualche irregolarità nella risposta delle frequenze più alte soundstage buono, ma non enorme qualcuno potrebbe desiderare un filo di risoluzione in più i cuscinetti e l’imbottitura dell’archetto sono soggetti a sporcarsi con l’uso. I ricambi dei cuscinetti originali sono piuttosto costosi (200€) I cavi sono un po’ rigidi e non molto comodi da ripiegare  
    P.S.
    Questo test non è stato eseguito utilizzando materiale fornito in prestito dal produttore.
     
  10. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Gabriel Fauré, Nocturnes.
    Eric Le Sage, pianoforte.
    Alpha, 2019.
    ***
    Gabriel Fauré (1845-1924) fu un compositore particolare: pur rimanendo ancorato a certi modelli compositivi del passato e impermeabile rispetto all'evoluzione del linguaggio musicale suo contemporaneo, e in questo senso fu sempre indietro rispetto ai suoi tempi, sviluppò uno stile originale, raffinato e di grande fascino. 
    I tredici Nocturnes di questa raccolta furono composti nell'arco di mezzo secolo, dal 1875 al 1921, e testimoniano l'evoluzione dello stile del compositore francese. Se i primi si rifanno dichiaratamente al modello di Chopin, con il tempo Fauré sviluppa un linguaggio originale, lirico, meditavo, equilibrato, molto affascinante dal punto di visto armonico. Per carità, non tutti sono ugualmente belli o interessanti, ma ci sono dei pezzi di assoluta bellezza, come il sesto Nocturne, ma non solo quello, dopo il quale lo stile di Fauré si fa via via sempre più spoglio e concentrato.
    E' un peccato che questi brani e questo tipo di repertorio non sia più diffuso e sia praticamente appannaggio dei soli pianisti francesi. 
    Eric La Sage è certamente uno specialista di questo genere di repertorio: ha inciso tutta la musica da camera con pianoforte di Fauré e tutta la musica per pianoforte di Poulenc (oltre all'integrale della musica per pianoforte e da camera di Schumann, ma questa è un'altra storia).
    La Sage sfodera qui una grande sensibilità interpretativa e svolge la matassa del discorso musicale, a tratti anche denso e complesso, con grande chiarezza e naturalezza, e con un'ampia tavolozza di timbri a disposizione.
    Buona la qualità della registrazione, disponibile in formato liquido a 24 bits/88.20 kHz, con il pianoforte reso in modo limpido, omogeneo e coerente.
    In conclusione un disco che consiglio, sia per la scelta del repertorio, molto bello e ingiustamente trascurato, che per la qualità dell'interpretazione.
  11. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Alina Ibragimova (violino), Cédric Tiberghien (piano)
    Mozart Violin Sonatas
    Hyperion 2017
    ***
     
    Manca ancora il quinto volume per completare questa bella integrale delle sonate per violino e pianoforte di Mozart, ma già è un fioccare di premi e menzioni per Alina Ibragimova e Cédric Tiberghien.
    A dire il vero sorprende la scelta dei due artisti di dedicarsi alla registrazione di tutte le sonate per violino e pianoforte, che sono trentasei, non tanto per il numero, quanto per il livello compositivo molto poco omogeneo.
    Le prime 16 sonate furono composte da Mozart a un'età compresa tra i sette anni e i 10 anni, mentre le successive furono composte dopo una pausa di dodici anni tra il 1778 e il 1788. Nelle sonate di gioventù è il pianoforte che ricopre il ruolo principale, mentre il violino svolge un ruolo di accompagnamento, secondo una tendenza allora in voga. Erano pensate per essere eseguite in casa e molto probabilmente per mettere in risalto le capacità del giovane pianista.
    Il livello delle sonate successive varia molto a seconda delle circostanze in cui ciascuna sonata fu composta, principalmente dal committente e dalla bravura del violinista destinato a suonarla. Per fare un esempio la bellissima K454 fu eseguita davanti all'Imperatore Giuseppe II e suonata dalla violinista italiana Regina Strinasacchi, celebre a quei tempi, mentre la successiva e deludente K547, ultima delle sonate, fu probabilmente pensata, sebbene mai pubblicata in vita, per essere venduta come sonata facile a musicisti principianti.
    Tuttavia, anche le partiture più semplici possono portare a risultati sorprendenti quando affidate a musicisti di questo calibro.
    Alina Ibragimova è una violinista russa, cresciuta a Londra, Cédric Tiberghien è un pianista francese. Suonano insieme ormai da più di dieci anni e si sente!  
    E' notevole la fluidità che riescono a imprimere al discorso musicale. Anche nelle sonate più semplici, la raffinatezza, la vitalità, la sensualità delle loro interpretazioni sono totali. Cédric Tiberghien ha un ruolo di primissimo piano e non delude: con un suono molto articolato e limpido, e un uso molto parsimonioso del pedale, rende perfettamente lo stile mozartiano. Ibragimova è sublime nell'intrecciarsi con le linee del pianoforte, in modo spontaneo e naturale, sempre originale, anche nelle numerosi parti ripetute.
    Anche se, in tutta onestà, ad un ascolto prolungato le sonate giovanili possono diventare rapidamente stucchevoli e forse avrebbe potuto avere un senso non inciderle proprio, questa integrale rappresenta un punto di riferimento certo per chi fosse interessato a questo repertorio.

  12. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Sándor Veress, Trio per archi.
    Bela Bartók, Quintetto per pianoforte.
    Vilde Frang (violino), Barnabás Kelemen (violino), Lawrence Power (viola), Nicolas Altstaedt (violoncello), Alexander Lonquich (pianoforte).
    Alpha, 2019
    ***
    E' sempre bello quando il caso ci fa fare scoperte interessanti! Ho ascoltato questo disco più che altro spinto dalla curiosità per il quintetto di Bartók e sono invece rimasto folgorato dal Trio per archi di Sándor Veress, compositore ungherese poco conosciuto, che probabilmente meriterebbe maggiore attenzione.
    Veress fu allievo di Bartók e Kodaly all'Accademia di Budapest e sostituì quest'ultimo alla cattedra di composizione fino al 1949 anno in cui preferì trasferirsi a Berna, per sottrarsi alle imposizioni del regime comunista, dove insegnò composizione e visse fino alla morte, avvenuta nel 1992. Tra i suoi allievi vi furono György Ligeti e György Kurtág, ma anche il celebre oboista e poi direttore d'orchestra Heinz Holliger, che si è fatto promotore delle composizioni di Veress.
    Davvero bello e intenso il Trio per archi, in cui Vilde Frang, Lawrence Power e Nicolas Altstaedt si tuffano con straordinaria partecipazione e bravura. E' una composizione del 1954 in due movimenti, ricca di contrasti e momenti sorprendenti.
    Mi ha appassionato di meno il quintetto per pianoforte di Bartók. Si tratta di una composizione giovanile (1903-1904, Bartok aveva 22-23 anni) che viene eseguita di rado,  ma non per questo non interessante. E' un lavoro denso, appassionato, di chiara ispirazione romantica e con forti echi brahmsiani. Si ascolta molto volentieri. La mia perplessità è legata solo al fatto che non ha proprio niente a che vedere con il Bartok che conosciamo. Se fosse stato il lavoro di un altro compositore, probabilmente lo avrei apprezzato di più, sapendo invece che l'autore è Bela Bartók, mi viene invece da considerarlo per quello che è: un lavoro giovanile, bello, per carità!, ma anacronistico e avulso dal corpus delle composizioni per le quali l'ungherese è entrato nella storia della Musica.
    Ad ogni modo questo disco, realizzato in collaborazione con il Festival internazionale di musica da camera di Lockenhaus, ha il grosso merito di proporci due autentiche rarità, eseguite alla perfezione da un gruppo di ottimi artisti. E mi ha lasciato con la voglia, che appagherò al più presto, di andare ad ascoltare altre composizioni di Veress!
     
  13. happygiraffe
    Tchaikovsky: Gran Sonata Op.37, Le Stagioni.
    Nikolai Lugansky
    Naïve Classique 2017
    ***
    Quando parliamo di Tchaikovsky è difficile che il pensiero vada subito alle sue composizioni per pianoforte, eppure la sua produzione pianistica fu piuttosto intensa. Si tratta per lo più di brani "leggeri" destinati a un'esecuzione da salotto.
    Fa eccezione la sua seconda sonata per pianoforte in sol maggiore, Op.37a, composta nel 1878. E' una composizione decisamente ambiziosa che gli costò diversi mesi di lavoro. Tchaikovsky rese omaggio al genere della sonata per pianoforte, ormai passato di moda da qualche decennio, (ma destinato a rifiorire proprio in Russia nei decenni a seguire), con lo sguardo rivolto al modello di Schumann.
    E' un'opera caratterizzata dal contrasto tra il tono eroico e monumentale del primo movimento e il carattere più intimo e lirico del secondo movimento. Lo scherzo e il finale riportano un clima più gioioso, se vogliamo tradizionale, a una composizione che al primo ascolto può lasciare un po' spiazzati per una certa sua disomogeneità. 
    Dimenticata poi per diverso tempo fu il grande pianista sovietico Sviatoslav Richter a riscoprirla e a riproporla al pubblico. Per chi fosse interessato, ricordo un bel disco dell'etichetta Melodiya con la sonata di Tchaikovsky e i Quadri di Mussorgsky.
    Tutt'altra musica i 12 pezzi "caratteristici" delle Stagioni. Composti su commissione di Nikolay Matveyevich Bernard, editore della rivista "Il Novellista", si tratta di 12 brevi pezzi che furono pubblicati mensilmente nel 1876. Bernard propose un sottotitolo per ogni mese dell'anno e Tchaikovsky ne ricavò 12 gradevolissime piccole composizioni. Alcune sono delle vere e proprie gemme e anche piuttosto note, come la Barcarolle (Giugno) e la Troika (Novembre),  suonato spesso da Rachmaninov come bis nei suoi concerti.
    Veniamo ora all'interpretazione di NIkola Lugansky.

    Per chi non lo conoscesse Lugansky è un pianista russo e uno dei migliori della sua (e non solo della sua) generazione. Allievo della grande Nikolaeva, si è affermato già negli anni '90 come interprete straordinario di Rachmaninov, Chopin e Prokofiev. Ha una tecnica straordinaria, un suono cristallino e uno stile interpretativo molto elegante, sobrio e poco incline al sentimentalismo.

    E così sono anche queste sue letture di Tchaikovsky, sobrie, eleganti e pulite. Lugansky è perfettamente a suo agio e convincente sia nei passaggi più drammatici e tempestosi (primo movimento della sonata) , sia in quelli più intimi e lirici (secondo movimento della sonata). Alcuni potrebbero sentire la mancanza di un po' di trasporto nella sua interpretazione, specialmente perché stiamo parlando di un autore come Tchaikovsky. E allora possiamo sempre fare riferimento all'incisione della Sonata del grande Richter (Melodiya), mentre per per Le Stagioni mi sentirei di raccomandare il disco di Pletnev (Erato 2005), che ha un approccio decisamente più fantasioso.
    In conclusione un ottimo disco che copre un repertorio poco frequentato. Mi sento di dire, però, che probabilmente non è uno dei dischi migliori del pur sempre bravissimo Lugansky.
  14. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Chopin: 2 Notturni Op.55, 3 Mazurche Op.56, Berceuse Op.57, terza Sonata per pianoforte Op.58
    Maurizio Pollini, pianoforte.
    Deutsche Grammophon 2019
    ***
    Con una straordinaria carriera pianistica alle spalle, migliaia di concerti e decine di dischi che hanno fatto storia, mi sono chiesto che cosa abbia spinto Pollini, alla veneranda età di 77 anni, a ritornare in studio per registrare ancora una volta Chopin. Molti dei pezzi, poi, come la terza sonata o la Berceuse, li aveva incisi quando era all'apice del suo percorso artistico. E poi l'ultimo suo disco dedicato a Chopin del 2017 mi aveva lasciato l'impressione di un artista ormai alla fine (per poi in parte ricredermi lo scorso anno con la sua lucida e moderna lettura del secondo libro dei Préludes di Debussy). Così, con la consapevolezza di chi sta andando incontro a una delusione, mi sono avviato ad ascoltare questo disco, con ben poche aspettative.
    Invece, è stata una sorpresa trovare un Pollini diverso dal solito. Decisamente più lirico e espressivo, con un'inconsueta flessibilità ritmica, è un Pollini che ha perso un certo suo tratto di nervoso e aggressivo, che emerge a tratti in alcuni dischi e dal vivo, per trovare una nobile serenità. Un artista finalmente in pace con se stesso.
    D'altra parte Pollini è un consumato interprete di Chopin, basti sentire l'eleganza belcantistica con cui conduce la melodia del Notturno Op.55 n.1 o della Berceuse. E anche se nei passaggi più impegnativi non troviamo più la tecnica infallibile di un tempo, le mani filano ugualmente veloci e senza troppe preoccupazioni. 
    In conclusione un buon disco, che probabilmente non aggiunge molto al glorioso lascito discografico di Pollini, ma che ci mostra un'artista che, arrivato in tarda età, ha ancora il coraggio, la voglia e la passione per sperimentare percorsi diversi.
     
  15. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Yuja Wang, the Berlin recital.
    Musiche per pianoforte di Rachmaninov, Scriabin, Ligeti, Prokofiev.
    Deutsche Grammophon 2018
    ***
    Esce per DG la registrazione di un concerto della pianista Yuja Wang tenutosi alla Philarmonie di Berlino a giugno del 2018.
    Già da alcuni anni inserita nella centrifuga dello star system musicale, la trentaduenne pianista cinese riesce a mantenere un livello qualitativo sempre altissimo, migliorando anno dopo anno. Sarà merito anche della scelta di tenere pochissimi concerti da solista, nonostante il suo fittissimo calendario, privilegiando il repertorio con orchestra e la musica da camera, scelta che probabilmente la preserva da una logorante e per molti versi alienante routine, permettendole un proficuo e continuo scambio con altri musicisti.
    Tornando al concerto berlinese, Wang propone un bel programma tutto novecentesco e per tre quarti russo. Esegue brani di Rachmaninov, Scriabin, Ligeti e Prokofiev, tutti autori che ha in repertorio da diversi anni e per i quali, penso a Prokofiev e Rachmaninov, ha una spiccata familiarità. 
    Si comincia con alcuni pezzi di Rachmaninov: dal celebre preludio op.23 n.5, non proprio un pezzo semplice per iniziare un concerto, passando ai due études-tableaux op.39 n.1 e op.33 n.3 e chiudendo con il magnifico preludio op.32 n.10.
    Se il preludio op.23 n.5 è reso con straordinaria bellezza e passione, mi hanno convinto leggermente di meno gli étude-tableaux (si può fare il confronto con il magnifico disco di Stephen Osborne del 2018 per Hyperion) e il preludio op.32 n.10, a mio avviso reso con maggiore tensione emotiva da Nikolai Lugansky (Harmonia Mundi 2018).
    Si passa così alla Sonata n.10 Op.70 di Scriabin. Questa breve sonata in un solo movimento (12 minuti scarsi) rappresenta uno dei momenti più alti del pianismo di Scriabin, che la definì “sonata d’insetti” per il suo tentativo di cogliere il battito vitale e solare dell’elemento naturale che ci circonda. E’ un pezzo molto interessante (e incredibilmente impegnativo) anche per il suo ricorso al trillo come elemento non tanto ornamentale, bensì strutturale della composizione. L’interpretazione di Yuja Wang è bella e intensa, regalandoci qui il momento più alto di tutto il concerto. Siamo lontani dall’elettrizzante eccitazione della celebre interpretazione di Horowitz. Wang ci conduce con grande semplicità dai misteriosi sussurri delle battute iniziali al successivo svolgimento palpitante e frenetico, in  un climax reso con molta coerenza e incredibile limpidità.
    Seguono tre brevi études del compositore ungherese György Ligeti (n.3 “Touches bloquées), n.9 “Vertige”, n.12 “Désordre”). L’abilità tecnica di Wang non ha problemi a domare questi pezzi famosi per la difficoltà, ma qui non è solo questione di bravura: la pianista cinese ci mette molto altro e il confronto con l’edizione considerata di riferimento, quella del chirurgico Pierre Laurent Aimard, parla chiaro.
    Il programma si conclude con la Sonata per pianoforte n.8 op.84 di Sergej Prokofiev. Ultima delle tre sonate “di guerra” del compositore russo, quest’opera si differenzia dalle altre due per l’impronta decisamente meno drammatica. E’ una sonata lunga e complessa da rendere in modo coeso da un estremo all’altro. Qui alla Wang, che si distingue per brillantezza e effervescenza e per la delicatezza con cui affronta l’Andante sognando del secondo movimento, manca probabilmente la tensione e l’energia di un Gilels (che fu il primo a eseguire in pubblico questa sonata) o di un Richter (celebre la sua registrazione per DG). Ma i nostri sono altri tempi, Gilels e Richter avevano storie e culture molto lontane da quella della giovane pianista cinese.
    Il disco si conclude qui, ma DG ci concede la possibilità di acquistare separatamente un supplemento, che penso sia disponibile solo in formato “liquido”, con i sfavillanti bis che hanno chiuso il concerto e che immagino abbiano lasciato il pubblico in estasi:

    Tirando le somme, complessivamente un ottimo concerto, elettrizzante dalla prima all'ultima battuta, che a mio avviso ha raggiunto l'apice con la Sonata n.10 di Scriabin. 
    Molto buona la qualità dell'incisione, che ci fa dimenticare la presenza del pubblico (applausi solo alla fine e rumori del pubblico poco percepibili), con un pianoforte reso in modo convincente, con buona dinamica e immagine. Solo nei primi minuti si avverte un po' di saturazione nei fortissimo, problema poi risolto dagli ingegneri del suono nel resto del concerto.
  16. happygiraffe
    Mahler: das Lied von der Erde
    Robert Dean Smith, tenore. Gerhild Romberger, contralto.
    Budapest Festival Orchestra, Direttore Ivan Fischer.
    Channel Classics 2020
    ***

    Mahler: das Lied von der Erde
    Robert Dean Smith, tenore. Sarah Connolly, contralto.
    Rundfunk-Sinphonieorchester Berlin, Direttore Vladimir Jurowski.
    Pentatone 2020
    ***

    Mahler: das Lied von der Erde
    Yves Saelens, tenore, Lucile Richardot, contralto.
    Het Collectief, Direttore Reinbert De Leeuw.
    Alpha 2020
    ***
    Il Canto della Terra, composto negli ultimi anni di vita di Mahler, rappresenta probabilmente uno dei punti più alti della su arte. E’ un’opera particolare, che Mahler definisce sinfonia, ma che curiosamente non rientra nel computo delle sue sinfonie (scaramanzia?). E’ composto da sei lieder orchestrali per tenore e contralto, su testi tratti da un’antologia di poesie cinesi curata da Hans Bethge, di cui l’ultimo, il meraviglioso Der Abschied, dura quanto gli altri cinque messi insieme.
    Fu composto nel periodo buio che seguì la scomparsa della figlia primogenita di Gustav e Alma a soli cinque anni nel 1907, anni in cui il loro matrimonio entrò in crisi e in cui a Mahler fu diagnosticata una patologia cardiaca che lo portò alla morte nel 1911. 
    i coniugi Mahler cercarono rifugio dal loro dolore in Val Pusteria, nei pressi di Dobbiaco, dove Gustav si fece costruire una piccola capanna per poter comporre. E fu quindi nei boschi ai piedi delle Dolomiti che portò a compimento nel 1908 il Canto della Terra, che però fu rappresentato postumo solo nel 1911.
    Opera figlia di un dramma personale, ma anche così rappresentativa di un periodo storico che stava per svanire, ha avuto interpretazioni storiche di grande valore (Walter, Klemperer, Jochum, Berntein, Kubelik) con voci straordinarie (Ludwig, Ferrier, Wunderlich, Haefliger, tra gli altri). 
    Stupisce vedere nel 2020 uscire in contemporanea tre nuove incisioni del Canto del Terra di ottimo livello. Si tratta di tre produzioni che hanno però degli elementi distintivi.
    Vediamole ordine cronologico di registrazione.

    Ivan Fischer
    La prima è quella pubblicata da Channel Classics che vede la Budapest Festival Orchestra diretta da Ivan Fischer. Robert Dean Smith è il tenore, Gerhild Romberger il contralto. Si tratta di una registrazione effettuata a marzo del 2017.

    Vladimir Jurowski
    La seconda esce per Pentatone e si tratta di una registrazione live di un concerto che si è tenuto nel mese di ottobre del 2018 alla Philarmonie di Berlino. La Rundfunk-Sinphonieorchester di Berlino è diretta da Vladimir Jurowski. Ritroviamo anche qui Robert Dean Smith, a distanza di un anno e mezzo dalla prova con Fischer, e Sarah Connoly come contralto.

    Reinbert De Leeuw
    La terza e più recente esce per Alpha ed è quella più particolare. Si tratta di un arrangiamento per quindici strumentisti più le due voci eseguito dallo stesso Reinbert De Leeuw, che qui è anche alla direzione. Le voci sono quelle di Yves Saelens e Lucile Richardot. La registrazione è del gennaio del 2020. Fu il canto del cigno di De Leeuw, che morì il mese successivo.
    Come dicevo si tratta di tre interpretazioni di grande spessore. 
    Nel primo dei tre, Fischer può contare su un’orchestra, la sua orchestra, in forma smagliante e su un’ottima coppia di cantanti. Smith domina la partitura con naturalezza. La Romberger pure, ma mi è parsa meno emotivamente coinvolta e coinvolgente rispetto alle grandi interpreti del passato. Diciamo che interpreta il ruolo con un maggiore understatement. L'affiatamento tra direttore e orchestra è tale, che la Budapest Festival Orchestre sembra essere un'emanazione del pensiero di Fischer.

    Robert Dean Smith, protagonista delle versioni di Fischer e Jurowski.
    La versione di Jurowski ha i pregi (tanti) e i difetti (pochi) di un live: al di là della magnifica prova orchestrale, sono le voci che fanno la differenza. Smith, a distanza di un anno e mezzo dalla registrazione con Fischer, sembra aver maturato ancora di più la propria parte o forse l’esibizione dal vivo gli dà quell’adrenalina in più che gli fa fare un’ulteriore salto di qualità. La Connoly da un lato ci emoziona più della Romberger con Fischer, dall’altro ci lascia un po’ perplessi per un vibrato che a tratti (ahimè nei momenti più belli) sembra essere fuori controllo.

    Sarah Connoly
    Dovendo scegliere tra Fischer e Jurowski (scelta davvero difficile!), probabilmente sceglierei il primo, perché offre il risultato più omogeneo (la Connoly in certi momenti non mi è proprio andata giù, non me ne voglia).

    Gerhild Romberger
    Il terzo Canto della Terra, quello di De Leeuw, è davvero particolarissimo. De Leeuw sceglie di arrangiare la partitura riducendo l’immenso organico orchestrale di Mahler ad appena una quindicina di strumentisti (qualcuno suona due strumenti). L’effetto è davvero particolare e devo dire che non sembra assolutamente di ascoltare una versione semplificata o addirittura impoverita del capolavoro mahleriano, quanto piuttosto un Canto della Terra portato ai suoi elementi essenziali, in cui ogni musicista dà il meglio di sé. I cantanti, Yves Saelens e Lucille Richardot, offrono un’ottima prova, ma a differenza dei loro colleghi hanno forse la vita più semplice, non dovendo rivaleggiare con un’orchestra di grandi dimensioni, ma con un ensemble da camera.

    Lucille Richardot
    In questi mesi bui, queste pagine pregne di un senso commiato e di febbrile malinconia, mi hanno offerto quella consolazione che solo la musica può dare. Fischer, Jurowski e De Leeuw e i loro splendidi musicisti e cantanti le interpretano in modo diverso, ma con uguale sottigliezza e profonda immedesimazione.
    Pur andando la mia preferenza a Fischer, raccomando caldamente l’ascolto di tutte e tre le versioni!
  17. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Igor Levit, Life.
    Musiche per pianoforte di Busoni, Brahms, Schumann, Rzewski, Liszt, Evans.
    Sony 2018
    ***
    Ad ogni nuovo disco del trentunenne pianista Tedesco Igor Levit rimango senza parole. 
    Prima l'esordio con le ultime cinque sonate di Beethoven, affrontate con una maturità e una intensità impressionanti, poi le Partite di J.S. Bach, successivamente un poderoso triplo disco contenente le variazioni Goldberg, le variazioni Diabelli e le bizzarre 36 variazioni di Frederic Rzewski “The people united will never be defeated!”. Tutto questo nell’arco di soli tre anni. 

    Ora esce con un doppio disco, intitolato Life, un concept album che letteralmente svernicia i diversi album a programma, spesso molto simili tra loro, che le etichette discografiche ci stanno proponendo (o propinando?) sempre più frequentemente. 
    Il programma è denso e originale, ricco di opere che non si ascoltano spesso (vivaddio!) e in grado di passare dalle epiche costruzioni di un Busoni a momenti di lirica riflessione.
     L’idea di questo album nasce da un momento di profonda sofferenza di Igor Levit per la morte di un caro amico avvenuta nel 2016. Ma questo programma, già dal titolo “Life”, celebra in qualche modo la continuità dell’esistenza, ma anche la continua rinascita del pensiero musicale di un compositore attraverso le riletture degli interpreti e soprattutto tramite le diverse rielaborazioni che ne possono fanno i compositori successivi. Basta uno rapido sguardo alla scaletta per accorgersi che è ricca di trascrizioni e omaggi ad altri compositori (Busoni-Bach, Brahms-Bach, Liszt-Wagner, Busoni-Liszt-Meyerbeer).

    L'elemento del lutto o della morte rimane tuttavia un elemento ben presente in diversi brani del disco. Si comincia infatti con Busoni e la sua Fantasia da Bach BV 253, dedicata alla memoria del padre scomparso. L'interpretazione è intensa e dolente, di un minuto più lunga della versione di Marc-André Hamelin del 2013 per Hyperion, che però tendo a preferire.
    Segue la trascrizione di Brahms della Ciaccona per violino solo dalla seconda partita di Bach per pianoforte, per la sola mano sinistra. Qui Levit ha preferito la rispettosa rilettura di Brahms alla più virtuosistica rilettura di Busoni, che considera più un pezzo da concerto. 
    La sua interpretazione è pura ed essenziale, decisamente diversa dalla versione di Trifonov, più lunga di 2 minuti e mezzo e più...eccessiva in tutto. Levit è più misurato e lascia che le emozioni si accumulino gradualmente man mano che la musica avanza, evitando di eccedere con la retorica.
    Il terzo brano in programma sono le cosiddette Geistervariationen (Variazioni fantasma) WoO 24 di Robert Schumann. Sono l'ultima opera per pianoforte composta da Schumann prima che venisse internato in manicomio. Il povero Schumann sosteneva che il tema gli fosse stato suggerito da delle voci di angeli e durante la composizione delle variazioni tentò il suicidio gettandosi nelle gelide acque del Reno. 
    Si tratta di un lavoro eseguito di rado, che possiede una sua scarna bellezza, sicuramente molto lontano dalle scintillanti e fantasiose opere giovanili.
    Si arriva quindi al lavoro del compositore americano Frederic Rzewski "A Mensch" del 2012, dedicato alla memoria dell'attore e poeta Steve Ben Israel, che lo stesso Levit aveva ascoltato in concerto insieme al suo amico scomparso.

    Si torna poi indietro nel tempo con la trascrizione di Liszt della marcia solenne al sacro Graal dal Parsifal di Wagner (S.450). L'interpretazione è tesa, magistralmente controllata, così intensa da togliere il fiato.
    Si arriva così al pezzo più lungo e complesso del disco: la mastodontica composizione di Liszt Fantasia e Fuga sulla corale "Ad nos, ad salutarem undam" di Meyerbeer (S.259) nella trascrizione dall'organo al pianoforte ad opera di Busoni. Chiaramente la trasposizione dall'organo al pianoforte ci riconsegna un pezzo che sembra totalmente nuovo rispetto all'originale. Io l'ho trovato molto bello, con il meraviglioso Adagio centrale, onirico nella versione per organo, che qui diventa qualcosa di trascendente.
    Si continua con Liszt e la sua trascrizione del Liebestod di Isotta, dal Tristano e Isotta di Wagner. La versione di Levit è di circa un minuto più lunga di quella di Alfred Brendel, che però a mio modo di vedere ci regala una lettura più avvincente.
    Ci si avvia alla conckusione del disco e passando dalla breve e dolce Berceuse tratta dalle Elegie BV 249 di Busoni, si arriva, con una certa sorpresa, alla lirica e meditativa Peace Piece, celebre brano del jazzista statunitese Bill Evans, improvvisato durante le registrazioni di "Everybody digs Bill Evans" (Riverside, 1959). Già Jean-Yves Thibaudet aveva ripreso questa composizione nel suo disco del 1997 dedicato a Bill Evans (Conversations with Bill Evans, Decca). Levit nei tempi è più vicino alla versione di Evans di quanto non lo sia Thibaudet, decisamente più lento. Il pezzo con la sua serenità prende per mano l'ascoltatore e lo accompagna fuori da un percorso contraddistinto da una certa cupezza. 

    In sintesi un programma molto interessante e originale, che tiene la strada nonostante una certa eterogeneità dei pezzi, eseguito in modo straordinario da un pianista che si conferma dotato di una intelligenza interpretativa e di una maturità fuori dal comune. Sicuramente, visti il tema conduttore del disco e l'intensità emotiva che ne deriva, va ascoltato con una certa predisposizione d'animo. Per me è uno dei migliori dischi del 2018.
     
     
  18. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Claude Debussy, Préludes II livre, La Mer (trascrizione a 4 mani)
    Alexander Melnikov, Olga Pashchenko
    Harmonia Mundi 2018
    ***
     
    Sono passati pochi mesi da un disco di Alexander Melnikov che ci era piaciuto particolarmente e che avevamo recensito su queste pagine ed ecco, a sorpresa, un’altra incisione del pianista russo.
    Esce nella serie che Harmonia Mundi sta pubblicando in occasione del centenario della morte del compositore francese.
    Bisogna dire che non sono mancati quest’anno i pianisti che hanno omaggiato Debussy sfruttando questa ricorrenza: dagli anziani Daniel Barenboim, Maurizio Pollini, Menahem Pressler al giovane Seong-Jin Cho (che avevamo segnalato qui), fino agli inglesi Steven Osborne e Stephen Hough, con risultati più o meno buoni.
    Melnikov come di consueto utilizza uno strumento d’epoca, in questo caso un magnifico Erard del 1885 restaurato di recente. E lo utilizza straordinariamente bene nel rendere tutta una serie di sfumature e timbri ai quali non siamo abituati con gli strumenti moderni.
    Il programma è dedicato al secondo libro dei Préludes e si chiude con la trascrizione per pianoforte a quattro mani dello stesso Debussy de La Mer, per la quale Melnikov è affiancato da Olga Pashchenko.
    E’ chiaro che sono i Préludes il piatto forte di questo disco. Melnikov ancora una volta dimostra una sorprendente capacità nello sfruttare tutte le sonorità messe a disposizione dello strumento a beneficio della composizione e delle sue scelte di interprete. La partitura viene rispettata con grande fedeltà e resa con sensibilità e maestria nei minimi dettagli. E poi c’è questo strumento incredibile, che ha carattere e permette soluzioni timbriche difficilmente ottenibili su uno strumento moderno.
    L’arrangiamento a quattro mani de La Mer è sicuramente un “riempitivo” interessante, poco eseguito e in questo caso ben eseguito. Durante l’ascolto ci si accorge di dettagli che nella partitura per orchestra si avvertono di meno. Rimane comunque una trascrizione per pianoforte di una lussureggiante partitura orchestrale, con tutti i limiti imposti dallo strumento.
    In conclusione, nell’anno del centenario della morte di Debussy questo è uno dei dischi che ho apprezzato di più e che mi sento di consigliare senza esitazione.
  19. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Alexander Melnikov: Four Pianos, Four Pieces.
    Franz Schubert, Fantasia in Do Maggiore D760 " Wanderer". Pianoforte Alois Graff, Vienna 1828-1835 circa. Fryderyc Chopin, 12 Etudes Op.10. Pianoforte Erard, Parigi 1837. Franz Liszt, Réminiscences de "Don Juan". Pianoforte Bösendorfer, Vienna 1875 circa. Igor Stravinsky, Tre movimenti da Petrushka. Pianoforte Steinway & Sons, Model D-274 Concert Grand. 2014. Harmonia Mundi 2018.
    ***
    In tutta onestà, quando ho letto di questo album in cui quattro diverse composizioni vengono suonate su altrettanti pianoforti, ho pensato all'ennesima trovata di marketing, pur conoscendo la serietà di Melnikov.
    E così, una volta comprato il disco in formato 96/24, mi sono messo all'ascolto, con quell'ombra di pregiudizio di chi guarda ancora con sospetto alle esecuzioni con strumenti d'epoca. 
    E invece...bum!...una rivelazione: Melnikov spazza via tutti i miei pregiudizi e il suo disco si rivela essere uno splendido omaggio al popolare strumento a tastiera.
    Ma partiamo dall'inizio.
    Lo sviluppo del pianoforte in senso moderno avviene in epoca romantica con il francese Sébastien Erard, innovatore della meccanica dello strumento con accorgimenti tecnici impiegati ancora oggi (ad esempio il cosiddetto "doppio scappamento"). Successivamente l'introduzione dei telai in metallo e di casse armoniche più ampie, intorno al 1840, e quindi la possibilità di aumentare la tensione delle corde e di conseguenza la potenza del suono, mantenendo più a lungo l'accordatura, ha portato il pianoforte a essere utilizzabile anche in sale da concerto più ampie.
    Ma il percorso dai primi pianoforti dei vari Erard, Pleyel, Graff agli attuali pianoforti da concerto fu piuttosto lungo e l'evoluzione della meccanica procedette parallelamente all'evoluzione del suono prodotto. Ascoltare l'Alois Graff del 1835 usato qui da Melnikov per la fantasia Wanderer di Schubert ci riporta in una dimensione timbrica molto, molto diversa da quella alla quale siamo abituati con i moderni strumenti.
    E' uno strumento particolare, con un'ottava in meno rispetto agli attuali pianoforti, con i martelletti rivestiti di pelle (quello moderni sono di feltro) e ben cinque pedali a disposizione del pianista per produrre diversi effetti, da quello per suonare a "una corda" a quello che il libretto chiama "drum/bells" (tamburo e campane!). E' un pianoforte che appartiene allo stesso Melnikov e si sente, perché la facilità con la quale tira fuori tutto il meglio da questo strumento così particolare deve avergli richiesto una lunga pratica. E ricordiamoci che qui Melnikov non sta suonando  una sonata di Mozart, ma la diabolica Fantasia Wanderer. Se la prima impressione è quella di un suono sferragliante, basta ascoltare l'inizio del secondo movimento per capire che nessun pianoforte moderno possa restituire l'atmosfera creata da questo Alois Graff.

    Negli Etudes Op.10 Melnikov usa un Erard del 1837 con martelletti in feltro. Chopin prediligeva per i suoi concerti i Pleyel e gli Erard e sono proprio alcune innovazioni meccaniche di questi ultimi, come il "doppio scappamento", che favorisce il legato e la rapida ripetizione della stessa nota, così come "la sordina", che facilitano quello che la scuola francese chiama il "jeu perlé". 
    Anche il Boesendorfer, utilizzato qui nelle Rémoniscences de "Don Juan" di Franz Liszt, appartiene alla collezione personale di Melnikov. E' uno strumento viennese del 1875 con i martelletti in feltro rivestiti di pelle. A detta dello stesso Melnikov è un animale difficile da domare, con una meccanica primitiva rispetto agli Erard di quarant'anni prima, che rende particolarmente difficile il legato e le note ripetute, ma con un suono molto caratteristico e ricco. Melnikov lo suona ormai da vent'anni e lo ha già impiegato in tre incisioni dedicate a Brahms. Le Réminiscences sono un altro pezzo di bravura e qui l'accoppiata pianista-strumento, nonostante questo particolare brano non sia tra i miei prediletti, mi ha convinto ancor più che nelle due composizioni precedenti. 
    Questo Boesendorfer è già uno strumento più maturo rispetto ai due precedenti, così il salto allo Steinway, sebbene lontano anni luce, non è poi così fuori misura. 
    Lo Steinway Modello D è un bestione lungo 274 centimetri e pensato per le moderne sale da concerto:

    E' uno strumento da circa 100.000€, diffusissimo nelle sale da concerto di tutto il mondo, caratterizzato da una dinamica straordinaria e dal suono omogeneo e brillante.
    Qui Melnikov usa un bello Steinway nei difficilissimi tre movimenti da Petruschka di Stravinsky, composizione del 1921 ispirata al celebre balletto e pensata per Arthur Rubinstein. Anche qui, come nei pezzi precedenti, la tecnica pianistica e lo strumento sono solo dei mezzi attraverso i quali passa la ri-creazione del brano musicale.
    Mi rendo conto di aver parlato fin qui più che altro di pianoforti, com'è normale, ma vi assicuro che, in tutte le composizioni di questo disco, appena superati i primi momenti di ascolto in cui l'orecchio si adatta al suono dello strumento utilizzato, ci si abbandona con piacere al fascino dell'universo musicale e sonoro creato da Melnikov.

    E' un pianista che seguo con molto interesse da qualche anno, sia come solista, sia insieme alla violinista Isabelle Faust. Sapevo della sua passione per gli strumenti del passato e infatti lo avevo già acoltato alle prese con pianoforti d'epoca, come nell'ultimo disco insieme alla Faust con musiche di Fauré e Chausson, dove suona un Erard.

    Questo disco va molto oltre e, come dicevo all'inizio, per me rappresenta uno splendido omaggio al pianoforte attraverso due secoli di storia.
    Può essere interessante sapere che Melnikov ha proposto un esperimento simile anche dal vivo, portando tre diversi strumenti in scena.
    Un ultima nota riguarda alla qualità della registrazione. Restituire le diverse sonorità e le diverse dinamiche di quattro strumenti così diversi tra loro deve aver rappresentato una bella sfida per gli ingegneri del suono. La sfida è nel complesso riuscita, il livello complessivo della registrazione è ottimo, con l'eccezione di Stravinsky, in cui, se da un lato vengono comunque preservati la dinamiche e i timbri meravigliosi di questo strumento, dall'altro un posizionamento dei microfoni troppo vicino alle corde produce un suono che fatico a riconoscere come naturale.
    In conclusione, se non l'aveste ancora capito, per me questo è un bellissimo disco, candidato a essere uno dei migliori del 2018. Lo è per l'idea che ne sta alla base, ma soprattutto per come è stata realizzata. Bravo Melnikov!
     
  20. happygiraffe
    Franz Liszt, Années de pèlerinage première année, Suisse; Légende N.2, Saint François de Paule marchant sur les flots.
    Francesco Piemontesi, pianoforte.
    Orfeo 2018
    ***
    E’ uscito per Orfeo il primo volume delle Années de pèlerinage di Liszt ad opera del trentacinquenne pianista svizzero Francesco Piemontesi, già recensito su queste pagine in alcuni concerti di Mozart.
    Il CD è accompagnato da un DVD contenente un film di Bruno Monsaingeon, celebre regista canadese autore di molti ritratti dei maggiori musicisti del nostro tempo.
    E’ questo il primo capitolo di un progetto più ampio che comprenderà nei prossimi anni anche il secondo e terzo volume delle Années.

    Pubblicato nel 1855, il primo volume degli Anni di pellegrinaggio, dedicato alla Svizzera, raccoglie  materiale composto e rielaborato nell’arco di un ventennio e in parte già pubblicato dall’autore nell’Album d’un voyageur del 1842. Si tratta di una Suite di nove pezzi caratterizzata da evidenti riferimenti sia naturalistici che letterari. I brani sono infatti preceduti da citazioni di Schiller, Byron e Sénancour. 
    In questa raccolta ci sono alcune tra le pagine più belle e celebri che Liszt abbia composto, autentico banco di prova per i più grandi pianisti. Su alcune di esse si sono cimentati i più grandi specialisti lisztiani, dal grande Lazar Berman a Arrau, Kempff, Bolet e Brendel. 
    E proprio il grande pianista austriaco Alfred Brendel è stato uno dei maestri di Francesco Piemontesi, ma il pianista svizzero ha sviluppato un linguaggio proprio, piuttosto diverso da quello del suo maestro.
    Sebbene siano pezzi tecnicamente molto impegnativi, anche se non al livello degli Studi Trascendentali, l’aspetto virtuosistico passa decisamente in secondo piano, dominato in modo magistrale da Piemontesi. che appare sempre tranquillamente a proprio agio con queste pagine, affrontate con una sensibilità e una profondità di lettura poco comuni. Molto diverse le sue interpretazioni ad esempio da quelle di Bertrand Chamayou (Naive, 2011), più rapide, effervescenti e, sì, più virtuosistiche.
    Siamo certamente di fronte a un disco importante di un artista maturo, in grado di competere con i mie riferimenti, anche se forse a Piemontesi manca ancora la sacralità di un Berman o il guizzo di un Brendel.
    Aspettiamo con curiosità i prossimi dischi. Il secondo volume è già stato inciso e dovrebbe essere in uscita nei prossimi mesi.

  21. happygiraffe
    Franz Schubert, Winterreise D.911.
    Ian Bostridge, tenore, Thomas Adés, pianoforte.
    Pentatone 2019
    ***
    Il tenore inglese Ian Bostridge è molto legato al Winterreise, il famoso e magnifico ciclo di lieder di Franz Schubert. E’ l’opera con la quale debuttò nel 1993, l’aveva incisa nel 1997 per un documentario e l’aveva già portata su disco nel 2004 con Leif Ove Andsnes, in un’ottima interpretazione.

    Bostridge con Andsnes.
     
    Bostridge è un cantante con un timbro e uno stile così particolari, che solitamente il pubblico si divide tra fervidi ammiratori e inaciditi detrattori.
    Non essendo né l’uno, né l’altro, mi sono approcciato a questo disco, senza particolari pregiudizi, con solo un lontano ricordo della sua precedente incisione con Andsnes e natualmente la conoscenza di tante altre versioni, comprese quelle relativamente recenti di Goerne (con un grande Eschenbach al pianoforte) e Kaufmann.
    Al pianoforte troviamo Thomas Adés, compositore inglese tra i più famosi e eseguiti in questi anni, che già aveva collaborato con Bostridge in lavori propri. Insieme hanno eseguito Winterreise durante una serie di concerti in Europa e negli Stati Uniti e questo disco è la registrazione dal vivo di una serata alla Wigmore Hall di Londra a Settembre del 2018.

    Bostridge con Adés in concerto.
    La voce di Bostridge è così peculiare che il primo ascolto può essere sorprendente o sconcertante. Non stupisce certo per il bel timbro e, come dicevo sopra, la reazione può essere di amore o odio. Quello che però rende questo disco a mio avviso straordinario è l’assoluta autenticità della sua interpretazione. Bostridge si è calato nel ruolo e lo abita “dal di dentro” con una naturalezza e una ricchezza di accenti che mette i brividi. Probabilmente, trattandosi di una registrazione dal vivo, anche questo ha contribuito al pathos della sua lettura, insieme a certe libertà espressive che in studio di registrazione difficilmente si prendono.
    Thomas Adés si rivela un partner di prim’ordine, non tecnicamente sopraffino come un Andsnes o un Eschebanch, ma assolutamente efficace nella resa musicale. Adés sceglie uno stile più equilibrato e rassicurante che mette in risalto proprio la tormentata espressività di Bostridge.
    Tante le differenze con la registrazione con Andses nel 2004, com’è normale che sia. Su tutte segnalo l’insolita lentezza di Die Krähe, probabilmente due volte più lento di qualsiasi altra edizione, che acquista così un carattere del tutto nuovo, tra il misterioso e lo spettrale.
    In conclusione, questo è un disco che per me è stata una vera e propria rivelazione e che, per la potenza della narrazione più che per la bellezza del canto, merita di stare al fianco delle migliori letture del Winterreise.
    Ottima la qualità della registrazione, con gli ingegneri della Pentatone che riescono a metterci di fronte agli interpreti, senza farci percepire la presenza del pubblico.
  22. happygiraffe
    Robert Schumann, Myrthen Op.25.
    Christian Gerhaher, baritono, Camilla Tilling, soprano, Gerold Huber, pianoforte.
    Sony Classical, 2019
    ***
    Christin Gerhaher e Gerold Huber riprendono l'integrale dei lieder di Robert Schumann cominciata un anno fa. Se il primo disco della raccolta affiancava ai relativamente noti Kerner Lieder Op.35 dei brani decisamente meno conosciuti, questo secondo disco è interamente dedicato a uno dei cicli più popolari di Schumann, Mythen Op.25, composto nel 1840 quando, dopo anni di composizioni per pianoforte, il compositore tedesco si gettò improvvisamente nella scrittura di questi lieder, poi raccolti in quattro quaderni e offerti in dono a Clara alla vigilia del loro matrimonio.
    Il tono è di vibrante ardore giovanile, siamo ancora ben lontani dai tormenti delle raccolte successive, con qualche sorprendente eccezione, quale ad esempio l'incredibile e misterioso Aus den hebräischen Gesängen, che potrebbe essere stato composto diversi decenni dopo.
    I testi attingono da brani di 9 poeti diversi, che spaziano da Rückert a Goethe, da Byron a Heine, e non sembrano seguire un filo logico, come ad esempio in Dichterliebe, tuttavia Gerhaher nelle belle note che accompagnano il disco ci descrive come in realtà i quattro quaderni seguano una certa struttura formale.
    A Gerhaher si affianca in questo disco il soprano svedese Camilla Tilling. I due cantanti si dividono equamente i diversi lieder, con la voce chiara e brillante della Tilling che ben si accoppia al timbro caldo e ambrato di Gerhaher. Huber conferma di essere molto di più di un semplice accompagnatore attento e sensibile.
    Se il primo capitolo di questa integrale era, nella mia personalissima classifica, ai primi posti tra i dischi del 2018, questo secondo capitolo balza subito in vetta tra i migliori dischi del 2019. La musica è splendida, gli interpreti sono straordinari e perfettamente affiatati e la qualità della registrazione rende loro giustizia.
    Segnalo il breve saggio di Gerhaher nelle note di copertina, ahimè solo in inglese e tedesco.

  23. happygiraffe

    Recensioni : Vocale
    Robert Schumann:
    - Sechs Gesänge, Op. 107
    - Romanzen und Balladen, Vol. II, Op. 49
    - Drei Gesänge, Op. 83
    - Zwölf Gedichte, Op. 35
    - Vier Gesänge, Op. 142
    Christian Gerhaher, baritono.
    Gerold Huber, pianoforte.
    Sony 2018
    ***
    Schumann fu senza dubbio il maggiore autore di Lieder dopo Schubert e fu con lui che il Romanticismo in letteratura e in musica trovarono il più alto punto di incontro. Non può che far piacere, quindi, apprendere che il bravissimo liederista tedesco Christian Gerhaher abbia intrapreso l'incisione dell'integrale del corpus dei lieder di Schumann, che dovrebbe arrivare a termine nel 2020.
    Intorno ai Kerner-Lieder Op.35, terzo ciclo per importanza dopo i Dichterliebe Op.48 e i Liederkreiss Op.39, che occupano la parte più cospicua del programma, Gerhaher ha posto delle raccolte decisamente meno note, ma non per questo meno interessanti: Op.107, Op.49, Op.83 e i Vier Gesänge Op.142 che contengono 2 brani che erano destinati ai Dichterliebe.
    Nel testo che accompagna il disco (e finalmente un libretto fatto come si deve!) lo stesso Gerhaher ci spiega che considera queste opere non come delle semplici raccolte di brani, ma come elementi di un più ampio disegno che va formare una vera e propria "drammaturgia lirica".
    La voce di Gerhaher è incredibilmente bella, calda, ricca di sfumature. Noto solo una lieve durezza nell'estremo del registro acuto, ma il baritono tedesco arrivato alla soglia dei 50 anni, ha classe, tecnica e mestiere da vendere. Gerold Huber, suo partner di lunga data, lo accompagna al pianoforte con grande sensibilità e attenzione, rivelando un'alchimia poco comune.

    Per il tipo di repertorio, che amo moltissimo, e per la naturalezza e la profondità dell'interpretazione, questo disco è uno dei miei preferiti tra quelli usciti nel 2018. Una vera e propria sorpresa, in un ambito, quello dei lieder, che ultimamente mi è parso un po' sterile. Da ascoltare e riascoltare!
    Per maggiori informazioni sulle opere contenute in questo disco, vi rimando all'ottimo testo di Gerhaher contenuto nel libretto (in tedesco o inglese).
  24. happygiraffe
    György Kurtág: Complete Works For Ensemble And Choir
    Reinbert de Leeuw,  Asko/Schönberg, Netherlands Radio Choir
    2017 ECM
    ***
    Forse in pochi lo hanno mai sentito nominare e certamente sono ancora meno quelli che hanno mai ascoltato la sua musica, ma György Kurtág può essere considerato uno dei compositori più significativi degli ultimi 50 anni.
    Kurtág ha avuto un percorso biografico e artistico molto tortuoso. Nato in Romania nel 1926, si trasferì presto in Ungheria, a Budapest, dove frequentò l'Accademia di Musica Ferenc Liszt. Fu lì che conobbe il suo amico György Ligeti e la futura moglie Marta. Si diplomò in pianoforte e composizione nel 1955, senza avere la possibilità di studiare con Béla Bartók, che nel 1940, dopo lo scoppio della guerra, si era rifugiato negli USA, dove morì nel 1945. In seguito alla repressione sovietica della rivoluzione del 1956, fu uno dei tanti ungheresi che lasciò il proprio paese e si rifugiò in Francia.
    A Parigi ebbe la possibilità di studiare con Olivier Messiaen e Darius Milhaud e di conoscere la musica di Anton Webern, che lo influenzò profondamente. Intanto nel suo paese il regime aveva bandito molti lavori di Bartók, Schönberg e  Stravinskij. 
    Afflitto da una grave forma di depressione, si rivolse alle cure della psicologa ungherese Marianne Stein, che seppe dare nuovi stimoli al suo percorso artistico.
    Ritornato a Budapest nel 1959, insegnò pianoforte e musica da camera all'Accademia Ferenc Liszt fino ai primi anni '90. Tra i suoi allievi ci furono anche András Schiff and Zoltán Kocsis.
    I primi riconoscimenti internazionali come compositore arrivarono nei primi anni '80 con i Messages of the Late Miss R.V. Troussova per soprano e orchestra da camera; da quel momento la sua carriera di compositore ebbe uno straordinario impulso che lo portò a essere invitato come compositore "in residence" presso la filarmonica di Berlino, poi  conl'Orchestra Sinfonica di Vienna e l'Ensemble InterContemporain.
    Lo stile musicale di Kurtag chiaramente ha subito un'evoluzione nel corso degli anni ed è il frutto di questo intreccio di esperienze storiche e personali, di incontri con vari compositori e diversi linguaggi musicali. Pur essendo musica "colta" contemporanea, lo stile di Kurtág vuole essere il più inclusivo possibile, lontano dal linguaggio spesso ostico e autoreferenziale delle avanguardie.
    Kurtág riesce a dare il meglio nelle forme brevi. Maestro di uno stile conciso, essenziale, dove l'intensità dei suoni e del silenzio può coinvolgere profondamente l'ascoltatore.

    Il disco che vi proponiamo ricopre un'ampio arco temporale della carriera di Kurtág, dai Quattro Capricci Op.9, composti tra il 1959 e il 1970 ai Brefs Messages Op.47 del 2011.
    Il compositore, noto per essere particolarmente meticoloso, è intervenuto personalmente durante la registrazione del disco, dando indicazioni ai cantanti per telefono.
    Il titolo "opere complete per ensemble e coro" non è particolarmente corrispondente, in quanto alcune delle composizioni non prevedono l'impiego della voce umana.
    Trovo che alcune composizioni come i Messages of the Late Miss R.V. Troussova mostrano un po' i segni del tempo, mentre altre, quelle in cui il discorso musicale si fa più conciso, la trama più rarefatta, come Grabstein für Stephan Op.15c, ...quasi una fantasia... Op.27 n.1 e il Doppio Concerto Op.27 n.2 gli intensissimi Songs Of Despair And Sorrow, Op. 18 e i Brefs Messages Op.47 siano i più suggestivi e emotivamente incisivi.

    Reinbert de Leeuw è un interprete di grande esperienza del repertorio moderno e contemporaneo e si dimostra completamente a proprio agio e in particolare sintonia con la musica di Kurtág.
    E' in generale musica da affrontare poco per volta, con la giusta concentrazione e il giusto stato d'animo, ma che può regalare grandi emozioni. 

  25. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Lang Lang: Piano Book
    Deutsche Grammophon 2019
    ***
    Lang Lang Piano Book, che sarà mai? Un ispirato Lang Lang troneggia in copertina, in cappottino bianco e scarpe da tennis, mentre il suo Steinway a coda si apre come le pagine di un libro.
    Il programma non è quello di un classico recital di pianoforte, ma ricorda più una playlist, come va sempre più di moda oggi. 
    Lang Lang ci dice di aver raccolto in questo disco una collezione di brani che lo hanno inspirato quando ha cominciato a suonare il pianoforte. C’è un po’ di tutto: da “Per Elisa” a “Clair de lune”, dal primo preludio del Clavicembalo ben temperato alle 12 variazioni di Mozart "Ah, vous dirai-je Maman”, ma anche musiche di film (“La valse d’Amélie”, “Merry Christmas, Mr Lawrence” di Sakamoto) e molto altro.
    All’ascolto, la musica scorre via senza troppi pensieri, l’istrionico Lang Lang abbonda in sentimento, suono vellutato e saccarosio. Il protagonista è lui: è la sua playlist e ogni brano viene affrontato con il medesimo approccio.
    Ma se non ci fermiamo qui e ci chiediamo a chi è destinato un prodotto editoriale (mi viene un po’ difficile chiamarlo diversamente) come questo, è evidente che l’ascoltatore difficilmente sarà l’accanito musicofilo alla ricerca dell’ennesima interpretazione dell’Hammerklavier di Beethoven o dell’Op.118 di Brahms.  
    Questo disco è pensato per un mercato più ampio, di chi magari si avvicina alla musica classica per la prima volta e non ne deve essere respinto con musica troppo complessa, quanto piuttosto attratto con brani brevi, celebri e orecchiabili.
    Non bisogna dimenticare che Lang Lang è una stella planetaria, che ha suonato alla cerimonia di apertura ai giochi olimpici di Pechino nel 2008, così come alla finale dei mondiali di calcio di Rio nel 2014, ha suonato per Papa Francesco e per la regina Elisabetta II ed è stato nominato Messaggero di pace dall’ONU e ambasciatore UNICEF.
    Il suo personaggio, così conosciuto e che, se vogliamo, sprigiona un entusiasmo infantile, si dice che abbia inspirato 40 milioni di bambini cinesi a iniziare a studiare il pianoforte. La sua fondazione da 10 anni aiuta i bambini ad avvicinarsi al mondo della musica classica.
    E se un personaggio come Lang Lang, per quanto discutibile e criticabile dagli addetti ai lavori,  aiuta a far sembrare il mondo della musica classica meno polveroso e austero e con un disco come questo contribuisce ad incuriosire e ad avvicinare nuovi appassionati alla musica classica, beh, che c’è di male in fondo?
     
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