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Alexander Melnikov: Four Pianos, Four Pieces


happygiraffe

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Alexander Melnikov: Four Pianos, Four Pieces.

  • Franz Schubert, Fantasia in Do Maggiore D760 " Wanderer". Pianoforte Alois Graff, Vienna 1828-1835 circa.
  • Fryderyc Chopin, 12 Etudes Op.10. Pianoforte Erard, Parigi 1837.
  • Franz Liszt, Réminiscences de "Don Juan". Pianoforte Bösendorfer, Vienna 1875 circa.
  • Igor Stravinsky, Tre movimenti da Petrushka. Pianoforte Steinway & Sons, Model D-274 Concert Grand. 2014.

Harmonia Mundi 2018.

***

In tutta onestà, quando ho letto di questo album in cui quattro diverse composizioni vengono suonate su altrettanti pianoforti, ho pensato all'ennesima trovata di marketing, pur conoscendo la serietà di Melnikov.

E così, una volta comprato il disco in formato 96/24, mi sono messo all'ascolto, con quell'ombra di pregiudizio di chi guarda ancora con sospetto alle esecuzioni con strumenti d'epoca. 

E invece...bum!...una rivelazione: Melnikov spazza via tutti i miei pregiudizi e il suo disco si rivela essere uno splendido omaggio al popolare strumento a tastiera.

Ma partiamo dall'inizio.

Lo sviluppo del pianoforte in senso moderno avviene in epoca romantica con il francese Sébastien Erard, innovatore della meccanica dello strumento con accorgimenti tecnici impiegati ancora oggi (ad esempio il cosiddetto "doppio scappamento"). Successivamente l'introduzione dei telai in metallo e di casse armoniche più ampie, intorno al 1840, e quindi la possibilità di aumentare la tensione delle corde e di conseguenza la potenza del suono, mantenendo più a lungo l'accordatura, ha portato il pianoforte a essere utilizzabile anche in sale da concerto più ampie.

Ma il percorso dai primi pianoforti dei vari Erard, Pleyel, Graff agli attuali pianoforti da concerto fu piuttosto lungo e l'evoluzione della meccanica procedette parallelamente all'evoluzione del suono prodotto. Ascoltare l'Alois Graff del 1835 usato qui da Melnikov per la fantasia Wanderer di Schubert ci riporta in una dimensione timbrica molto, molto diversa da quella alla quale siamo abituati con i moderni strumenti.

E' uno strumento particolare, con un'ottava in meno rispetto agli attuali pianoforti, con i martelletti rivestiti di pelle (quello moderni sono di feltro) e ben cinque pedali a disposizione del pianista per produrre diversi effetti, da quello per suonare a "una corda" a quello che il libretto chiama "drum/bells" (tamburo e campane!). E' un pianoforte che appartiene allo stesso Melnikov e si sente, perché la facilità con la quale tira fuori tutto il meglio da questo strumento così particolare deve avergli richiesto una lunga pratica. E ricordiamoci che qui Melnikov non sta suonando  una sonata di Mozart, ma la diabolica Fantasia Wanderer. Se la prima impressione è quella di un suono sferragliante, basta ascoltare l'inizio del secondo movimento per capire che nessun pianoforte moderno possa restituire l'atmosfera creata da questo Alois Graff.

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Negli Etudes Op.10 Melnikov usa un Erard del 1837 con martelletti in feltro. Chopin prediligeva per i suoi concerti i Pleyel e gli Erard e sono proprio alcune innovazioni meccaniche di questi ultimi, come il "doppio scappamento", che favorisce il legato e la rapida ripetizione della stessa nota, così come "la sordina", che facilitano quello che la scuola francese chiama il "jeu perlé". 

Anche il Boesendorfer, utilizzato qui nelle Rémoniscences de "Don Juan" di Franz Liszt, appartiene alla collezione personale di Melnikov. E' uno strumento viennese del 1875 con i martelletti in feltro rivestiti di pelle. A detta dello stesso Melnikov è un animale difficile da domare, con una meccanica primitiva rispetto agli Erard di quarant'anni prima, che rende particolarmente difficile il legato e le note ripetute, ma con un suono molto caratteristico e ricco. Melnikov lo suona ormai da vent'anni e lo ha già impiegato in tre incisioni dedicate a Brahms. Le Réminiscences sono un altro pezzo di bravura e qui l'accoppiata pianista-strumento, nonostante questo particolare brano non sia tra i miei prediletti, mi ha convinto ancor più che nelle due composizioni precedenti. 

Questo Boesendorfer è già uno strumento più maturo rispetto ai due precedenti, così il salto allo Steinway, sebbene lontano anni luce, non è poi così fuori misura. 

Lo Steinway Modello D è un bestione lungo 274 centimetri e pensato per le moderne sale da concerto:

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E' uno strumento da circa 100.000€, diffusissimo nelle sale da concerto di tutto il mondo, caratterizzato da una dinamica straordinaria e dal suono omogeneo e brillante.

Qui Melnikov usa un bello Steinway nei difficilissimi tre movimenti da Petruschka di Stravinsky, composizione del 1921 ispirata al celebre balletto e pensata per Arthur Rubinstein. Anche qui, come nei pezzi precedenti, la tecnica pianistica e lo strumento sono solo dei mezzi attraverso i quali passa la ri-creazione del brano musicale.

Mi rendo conto di aver parlato fin qui più che altro di pianoforti, com'è normale, ma vi assicuro che, in tutte le composizioni di questo disco, appena superati i primi momenti di ascolto in cui l'orecchio si adatta al suono dello strumento utilizzato, ci si abbandona con piacere al fascino dell'universo musicale e sonoro creato da Melnikov.

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E' un pianista che seguo con molto interesse da qualche anno, sia come solista, sia insieme alla violinista Isabelle Faust. Sapevo della sua passione per gli strumenti del passato e infatti lo avevo già acoltato alle prese con pianoforti d'epoca, come nell'ultimo disco insieme alla Faust con musiche di Fauré e Chausson, dove suona un Erard.

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Questo disco va molto oltre e, come dicevo all'inizio, per me rappresenta uno splendido omaggio al pianoforte attraverso due secoli di storia.

Può essere interessante sapere che Melnikov ha proposto un esperimento simile anche dal vivo, portando tre diversi strumenti in scena.

Un ultima nota riguarda alla qualità della registrazione. Restituire le diverse sonorità e le diverse dinamiche di quattro strumenti così diversi tra loro deve aver rappresentato una bella sfida per gli ingegneri del suono. La sfida è nel complesso riuscita, il livello complessivo della registrazione è ottimo, con l'eccezione di Stravinsky, in cui, se da un lato vengono comunque preservati la dinamiche e i timbri meravigliosi di questo strumento, dall'altro un posizionamento dei microfoni troppo vicino alle corde produce un suono che fatico a riconoscere come naturale.

In conclusione, se non l'aveste ancora capito, per me questo è un bellissimo disco, candidato a essere uno dei migliori del 2018. Lo è per l'idea che ne sta alla base, ma soprattutto per come è stata realizzata. Bravo Melnikov!

 

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