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happygiraffe

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Blog Entries pubblicato da happygiraffe

  1. happygiraffe

    Recensioni Cuffie
    Hifiman è un produttore cinese di cuffie di cui abbiamo parlato spesso qui su VG. Le HE1000SE sono uno dei modelli di punta del marchio, con un prezzo che si aggira intorno ai 3500€, superate solo dalle mitiche Susvara. 3500€ sono una cifra decisamente impegnativa per un paio di cuffie, per molti oltre i limiti della follia, per cui vediamo di capire cosa hanno di speciale queste HE1000SE.
    Si tratta della terza generazione delle originali HE1000, ma si distinguono dai due modelli precedenti per una facilità di pilotaggio che gli altri non avevano.
    A un primo sguardo l’aspetto è molto elegante, con i due padiglioni ovali molto ampi, contornati da inserti di legno scuro. I padiglioni possono ruotare di 360° e la striscia centrale di pelle può essere regolata in altezza. Le orecchie alloggiano molto comodamente all’interno degli ampi cuscinetti, che si presentano rivestiti in pelle esternamente e di tessuto all’interno. Pur pesando 440g, sono molto comode e apparentemente leggere da indossare, anche per sessioni di ascolto molto prolungate.

    Le cuffie arrivano in una bella scatola di legno con una placca di alluminio. Hifiman questa volta è prodiga di cavi: uno da 1,5m con jack piccolo da 4,4mm, uno sempre da 1,5m con jack grande da 6,3mm e uno lungo 3m bilanciato con XLR a 4 pin. I cavi hanno una sezione piuttosto sottile e una consistenza invero bizzarra, per non dire inquietante, però, al di là dell’aspetto, sono dei buoni cavi.

    Le HE1000SE impiegano un diaframma molto ampio, siamo nell’ordine di 60mmm x 100mm, molto più grande rispetto a delle cuffie dinamiche e molto più sottile. Stiamo parlando di una pellicola con uno spessore dell’ordine dei nanometri! Un trasduttore sottile, comporta una massa più ridotta e di conseguenza una risposta più veloce e minori distorsioni. Inolte HifiMan ha lavorato sulla forma e la posizione dei magneti in neodimio, nonché sul design della griglia, per ridurre interferenze e diffrazioni.

    La sensibilità è stata portata a 96dB dai 91dB dei modelli precedenti, rendendo questa cuffia semplice da pilotare per qualsiasi amplificatore, compresi i DAP portatili. Il mio consiglio, però, è quello di abbinare queste cuffie con un amplificatore di qualità per poterne estrarre tutto il meglio di quello che possono dare.
    Passiamo ora alla parte più divertente, ovvero ai test, perché, al di là degli aspetti costruttivi e della tecnologia che c’è dietro, quello che veramente importa è come suonano.
    Test di ascolto
    Per questo test ho usato sia l’irreprensibile DAC con ampli cuffia Audio-GD Master 11 che il più economico Audio-GD R2R-11 mk2.
    Ho ascoltato un po' di tutto per questa recensione, spaziando tra diversi generi musicali, e devo ammettere che mi sono divertito parecchio. Qui di seguito ci sono le mie impressioni relative ai singoli ascolti. Se non avete voglia di leggerle, potete passare direttamente alle conclusioni in fondo alla pagina.

    The Allman brothers band, The 1971 Fillmore East recordings. Island Def Jam, 2014.
    You don't love me (first show). 24/192kHz.
    Questo disco raccoglie le storiche registrazioni dei concerti al Fillmore East del 1971 degli Allman brothers. Quello che stupisce è l’ampiezza del palcoscenico, la localizzazione precisa di tutti gli strumenti e una sensazione di musica dal vivo molto realistica. Tutto bellissimo, manca tuttavia quell’impatto viscerale che provo con le mie cuffie dinamiche, le Focal Clear.

    Nirvana, Nevermind. Geffen, 2014.
    Smells like teen spirit. 24/96.
    Album mitico del 1991 del gruppo grunge di Seattle. Incredibile come le HE1000SE siano veloci e dinamiche. Il basso è corposo, la batteria suona piena fino alle frequenze più elevate, solo la chitarra elettrica risulta un pelo fastidiosa alle mie orecchie. Nel complesso l’energia del brano viene trasmessa senza compromessi,

    Paul Simon, Still crazy after all these years. Legacy recordings, 1975.
    50 ways to leave your lover. 24/96 kHz.
    L’inconfondibile introduzione delle percussioni di Steve Gadd suona incredibilmente ricca di dettagli. La raffinatezza con la quale vengono riprodotti gli strumenti acustici e la voce di Paul Simon è semplicemente pazzesca. Meraviglioso.

    Beck, Sea Change. Interscope, 2002.
    Paper Tiger. 24/88.2.
    La linea del basso di Justin Meldal-Johnsen, articolata e inizialmente sottile, poi via via più presente, rimane spesso nascosta sotto gli altri strumenti. Qui invece viene messa nella giusta luce e valorizza l’intero brano.

    Bob Dylan, Rough and rowdy ways. Columbia, 2020.
    I contain multitudes. 24/96.
    L’ultimo disco di Bob Dylan, con in copertina un'iconica foto di Ian Berry, è l’ennesimo gioiello della sua lunghissima carriera. La sua voce consumata dagli anni non è mai suonata così vera. Fa da sfondo un articolato tappeto sonoro di chitarre armoniche, una pedal steel guitar e un contrabbasso suonato con l’archetto.

    Radiohead, Kid A. XL Recordings, 2000.
    The National Anthem. 16/44.1.
    Brano mitico dei Radiohead, molto difficile da riprodurre per la sovrapposizione di svariati strumenti (addirittura delle onde Martenot) e di efffetti sonori. Rimango stupito dall’ottima resa spaziale degli effetti che volteggiano intorno a me. Stupefacente la voce distorta di Tom Yorke quando finalmente comincia a cantare.

    Keith Jarrett, Jan Garbarek, Palle Danielsson, Jon Christensen, My Song. ECM, 1978. 
    Country, 24/96 kHz.
    Era il 1977 quando Keith Jarrett e il suo quartetto norvegese incidevano questo bellissimo disco. I timbri del piano e del sax vengono riprodotti con grandissima raffinatezza. Da commuoversi per come suonano i piatti, così ricchi di dettagli. Bello pieno il contrabbasso nel duetto con il piano. Sembra di esserci.

    Fred Hersch Trio, Live in Europe.
    Newklypso (for Sonny Rollins). 24/44.1 kHz.
    Disco straordinario, inciso benissimo in uno studio radiofonico in Belgio. Pieno e robusto il basso in apertura, ma è impressionante la vividezza di tutti gli strumenti. Chiudendo gli occhi si può vedere la scena davanti a noi.

    Bill Frisell, Epistrophy. ECM, 2019.
    You only live twice. 24/96 kHz.
    Un disco live con la chitarra elettrica di Bill Frisell che duetta con il contrabbasso di Thomas Morgan. La resa timbrica è pazzesca, come pazzesca è la qualità dei bassi, che scendono molto, molto giù. La scena è praticamente in 3D. Emozionante.

    Muddy Waters, Folk singer. Geffen Records, 1964.
    Good morning little schoolgirl. 24/192.
    Disco unplugged inciso divinamente nel 1964 e ora riproposto in 24/192. Tutto magnifico, ma forse più di tutto quello che mi colpisce è la ricchezza del timbro della voce di Muddy Water. Al di là dei dettagli, è veramente’ difficile resistere alla tentazione di batter il piede e ondeggiare col corpo.

    Gyorgy Ligeti, Works for piano: études, Musica ricercata. Pierre-Laurent Aimard, pianoforte. Sony Classical, 1996.
    L'escalier du diable. 24/44.1.
    Un pezzo per pianoforte di Ligeti molto difficile da suonare e da riprodurre. Il pianoforte viene usato in maniera percussiva e le dinamiche sono molto elevate. Lo strumento appare perfettamente centrato all’interno del palcoscenico, l’acustica è molto spaziosa e si possono indovinare le dimensioni della sala. Le HE1000SE sono ancora una volta molto veloci e perfettamente a loro agio nel riprodurre l’ampia gamma di timbri del pianoforte.

    Prokofiev, concerti per violino e orchestra. Lisa Batiashvili, Chamber Orchestra of Europe, Yannick Nézet-Séguin. DG, 2018. 
    Secondo concerto, terzo movimento Allegro, ben marcato. 24/96.
    E’ un disco ottimamente registrato che con le HE1000SE suona divinamente. Il violino della Batiashvili è riprodotto in ogni sua sfumatura e bel si amalgama con il resto dell’orchestra. Il vasto uso delle percussioni (piatti, triangolo, castagnette, grancassa, rullante) in questo terzo movimento del secondo concerto di Prokofiev è perfettamente documentato, con un’evidenza tale che, ancora una volta, sembra di essere seduti in mezzo alla platea.

    Telemann : concerti per viola, ouvertures, fantasie, sonate. Antoine Tamestit, viola, Akademie fur Alte Musik Berlin. Harmonia Mundi, 2022.
    Fantasia per viola sola, TWV 40:14. 24/96.
    Qui siamo proprio all’estasi pura. Ho scelto questo brano per viola sola, perché le HE1000SE sono realmente magiche. La viola Stradivari di Antoine Tamestit, uno dei migliori violisti al mondo, suona divinamente. Lo strumento è di fronte a noi, l’acustica è ampia e riverberante. Si riesce a percepire ogni più piccolo dettaglio e sfumatura di questo meraviglioso strumento.

    Bartók: Orchestral Works. Helsinki Philharmonic Orchestra, Susanna Mälkki. BIS, 2021.
    Musica per archi, percussioni e celesta; Concerto per Orchestra. 24/96.
    Un disco ideale per questo genere di test. Il livello tecnico della registrazione e dell'interpretazione qui sono al top. Inoltre, la Musica per per archi, percussioni e celesta prevede una disposizione particolare dei musicisti, con la sezione degli archi divisa in due e disposta in maniera simmetrica a destra e a sinistra del direttore, e l'impiego di strumenti particolari. La riproduzione con le HE1000SE risulta assolutamente tridimensionale, con ogni strumento che suona come suonerebbe dal vivo. Nel Concerto per Orchestra, dove ogni strumento ha dignita di solista, la compagine orchestrale risulta più amalgamata, ma ogni sezione risulta chiaramente distinguibile. L'esperienza di ascolto è memorabile.
    Conclusioni
    Bassi
    Con riferimento alla gamma bassa, sono due i fattori che mi hanno molto colpito: la linearità fino a frequenze bassissime e la qualità timbrica. In questo senso l’ascolto di Bill Frisell e Beck possono dire molto su queste cuffie. Le HE1000SE sono in grado di scendere davvero molto in basso, mantenendo un elevatissimo grado di dettaglio e di pulizia. Nel complesso la gamma bassa è molto uniforme e equilibrata rispetto alle altre frequenze.
    Medi
    La gamma media è assolutamente meravigliosa, pulita, aperta, neutrale. E’ difficile descrivere il grado di accuratezza con la quale vengono riprodotti i timbri dei diversi strumenti e della voce umana, ma qui siamo a livelli superlativi.
    Alti
    Queste cuffie sono capaci di andare al tempo stesso molto in basso e molto in alto. La quantità di informazioni che riescono a restituire nelle alte frequenze è inaudita. L’accuratezza della resa timbrica è pure impressionante. Per quanto riguarda gli alti, l’unico limite è rappresentato dai nostri timpani. Con alcune dischi, specialmente di musica rock, dove le chitarre elettriche sono spesso distorte, avrei voluto abbassare un po’ le alte frequenze. Qui sta a ciascuno decidere se equalizzarle un po’ o meno.
    Soudstage
    La scena sonora riprodotta è molto ampia e profonda, in maniera assolutamente realistica. Nelle buone registrazioni sembra davvero di aver davanti i musicisti. Giusto a livello di aneddoto, mi è capitato diverse volte di indossare le cuffie, premere play e avere l’impressione che la musica venisse da fuori, al punto di credere di non aver fatto lo switch dai miei diffusori alle cuffie.
    Immagine
    I diversi musicisti sono perfettamente isolati e collocati nello spazio
    Risoluzione
    La risoluzione è impressionante. Queste cuffie sono assolutamente radiografiche, nel senso che sono in grado di isolare e riprodurre qualsiasi infinitesimo dettaglio presente nel segnale sonoro. Di contro, le registrazioni di scarsa qualità mostrano tutti i loro limiti.
    Dinamica
    Per essere delle cuffie planari, le HE1000SE hanno una dinamica eccellente e sono molto veloci. Con registrazioni dall’alto contenuto energetico (rock, metal, etc) a mio avviso perdono leggermente, rendendo a volte preferibile una cuffia dinamica.
    Equalizzazione
    Ha senso equalizzare delle cuffie di questo livello?? A mio avviso per la musica classica, jazz, acustica in generale non è necessario. Nel caso uno fosse sensibile alle frequenze più alte (è una cosa molto soggettiva, io lo sono, ad esempio) si può prendere in considerazione un leggera equalizzazione quando si ascoltano musica rock e affine.
    Conclusioni finali
    Le HE1000SE sono indubbiamente delle cuffie di qualità superlativa. Non manca niente: accuratezza e raffinatezza nella riproduzione dei timbri strumentali, risposta in frequenza esemplare, dinamica notevole, soundstage molto ampio, risoluzione pazzesca.
    In rete c'è chi dice che queste cuffie sono talmente analitiche che si presta più attenzione alla registrazione che non alla musica. Onestamente non mi trovo d'accordo: è vero che sono cuffie che rivelano molto della qulità delle registrazioni che stiamo ascoltando, ma quando si ascoltano buone incisioni, sono in grado di regalare momenti di pura magia, facendoci perdere nella pura dimensione musicale.
    Mi sento di fare ancora una considerazione: per quanto uno strumento come questo possa essere molto costoso, non esistono cuffie che vadano ugualmente bene per tutti i generi musicali. Le HE1000SE, che sicuramente  suonano in maniera spettacolare con qualsiasi musica, danno però il meglio con gli strumenti acustici, rivelandocene ogni più intimo segreto.
     
    Pro
    -          Semplici da pilotare
    -          Comodità e design
    -          Soundstage e separazione degli strumenti
    -          Dettaglio
    -          Realismo e raffinatezza dei timbri strumentali
    -          Linearità e estensione della risposta in frequenza
    -          Probabilmente rappresentano il top per la musica classica e acustica in generale
    Contro
    -          Qualche scricchiolio quando si indossano
    -          Cavi buoni, ma esteticamente non sono un granché
    -          Prezzo molto elevato
     
  2. happygiraffe

    Recensioni : Novità dell'anno
    Impressioni, brevi recensioni e suggerimenti sulle uscite discografiche del 2023.
    Si comincia con i botti con questo sfavillante disco di Patrizia Kopatchinskaja e Fazil Say, che interpretano pagine di Janáček, Brahms e Bartók. Qui la recensione completa:
     
  3. happygiraffe
    Sono poco più di 3 settimane che mi diverto con la Z8 e mi sembra di averla da sempre. Dopo un po' di studio iniziale e una volta settata per quello che voglio fare, il resto è uro divertimento. Devo solo preoccuparmi di inquadrare il soggetto, al resto ci pensa lei con il suo autofocus "telepatico" (come mi diceva oggi Silvio). 
    Il passaggio dalla D810 è stato rapido e felice. Quello che apprezzo di questa fotocamera più di ogni altra cosa è l'autofocus: affidabile e reattivo, sbaglia davvero pochissimo, e con copertura di tutto il fotogramma. A seguire la stabilizzazione che permette di scendere molto con i tempi e per finire il display orientabile, per me una novità. che permette molta versatilità nelle riprese.
    Questo capolavoro di tecnologia ha tutto quello che da tempo sognavo in una fotocamera. E magicamente mi ha fatto tornare la voglia di fotografare!
    Qui di seguito qualche foto fatta per le strade di Milano. Tutte con il 24-120 f/4.

    Milano, CityLife.

    Milano, CityLife.

    Milano, Porta Volta.

    Milano, Passeggiata Boris Pasternak.

    Milano, Porta Volta. Un gruppo di ragazzi mi ha chiesto di fotografarli e io li ho accontentati!

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi. Altissime modelle asiatiche.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi. Un bravo musicista di strada. L'accoppiata con la foto precedente dei due ciclisti mi fa venire in mente un verso di una canzone di Paolo Conte:"i sax spingevano a fondo, come ciclisti gregari in fuga" 

    Milano, Via Paolo Sarpi. Un spettacolo di strada.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Piazza dei Mercanti di domenica mattina.

    Milano, Galleria Vittorio Emanuele. Due poliziotti a cavallo (e che cavalli! erano delle bestie bellissime!) posano per un fotografo (immagino per qualche calendario). Di lì a poco uno dei cavalli avrebbe sbavato copiosamente sul fotografo.

    La Z8 ha messo a fuoco sull'occhio del cavallo.

    Milano, Via Palazzo Reale.

    Milano, CityLife.

    Milano, CityLife.

    Milano, CityLife.

    Milano, Galleria Vittorio Emanuele.

    Milano, Via Santa Radegonda.

    Milano, Via Santa Radegonda.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Via Torino.

    Milano, Via Torino.
    C'è anche qualche foto a colori:

    Milano, Porta Nuova.

    Milano, Galleria Vittorio Emanuele.

    Milano, Galleria Vittorio Emanuele. La variopinta signora che si fa in selfie in bicicletta mi ha fatto molto ridere!

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo. La vie en rose!
     
    Spero di non avervi ammorbato con tutte queste foto. Avevo un po' di ritardo da recuperare!
     
  4. happygiraffe

    Beginners Guide
    Con ogni probabilità il compositore di musica per pianoforte più popolare e più eseguito, Chopin fu come un breve e luminoso lampo nel panorama musicale romantico. Il suo linguaggio musicale così originale sembra provenire dal nulla, così lontano dagli archetipi classici di Haydn e Beethoven, per poi svanire nel nulla, pur lasciando un impronta netta su molti compositori venuti dopo di lui.
    Nato in Polonia nel 1810, si trasferì nel 1830 a Parigi dopo la repressione russa della rivolta di novembre. Lì visse fino al 1849, anno della sua morte prematura, campando di lezioni di pianoforte e della vendita delle sue composizioni, tra continui problemi di salute e economici. Non fu il tipico pianista virtuoso dell’era romantica: in tutta la sua vita eseguì solo una trentina di concerti, preferendo esibirsi nei salotti della buona società parigina.
    A differenza di tanti altri compositori dello stesso periodo, Chopin fu totalmente incurante del modello classico e beethoveniano in particolare. Il suo stile sembra invece pescare nel repertorio della musica popolare da salotto, riadattandola a un linguaggio assolutamente originale e personale, in grado di restituire con straordinaria immediatezza e precisione i moti del suo animo, dalla malinconia allo slancio nazionalista, dalla passione più ardente ai fantasmi più cupi e febbrili.  
    Si dedicò quasi esclusivamente alla musica per pianoforte (con poche eccezioni, come i due concerti per pianoforte e la sonata per violoncello e pianoforte) e predilesse le forme brevi. Il suo catalogo si può riassumere piuttosto velocemente: da un lato musiche per così dire da salotto, Valzer, Polacche e Mazurche, ispirate alla danza, Preludi e Notturni, altre composizioni pensate per l’insegnamento, i suoi straordinari Etudes, altre ancora di stampo puramente virtuosistico, come i concerti. Ci sono poi altre pagine assolutamente uniche, innovative e originali, come le Ballate, gli Scherzi, la Berceuse e la Barcarolle. Ci sono infine le sonate per pianoforte.

    La partitura autografa della Polacca Op.53.
     
    Di dischi straordinari dedicati a Chopin ce ne sono molti. Quella che segue non ha la pretesa di essere la discografia definitiva, quanto piuttosto una serie di suggerimenti per chi si vuole avvicinare a questo compositore. Nella scelta abbiamo considerato alcune interpretazioni classiche  e giustamente note, così come alcune molto più recenti, lasciando da parte le incisioni storiche.
    Sonate
    Delle tre sonate per pianoforte, si ricordano solo la seconda, quella della famosissima "marcia funebre", e la terza, mentre la prima, scritta a 18 anni quando era ancora studente, non viene quasi mai eseguita.Tra le tantissime interpretazioni, segnaliamo quella dell'argentina Martha Argherich, vincitrice del Concorso Chopin nel 1965. Ardore, passione, tocco felino, tecnica straordinaria.


    Notturni
    I 21 Notturni sono il trionfo della melodia. Il polacco Arthur Rubinstein, che di Chopin fu un grande interprete, incise nel 1967 questa edizione che è passata alla storia. Lirismo e grande naturalezza senza scadere mai nel sentimentalismo.

    Per chi preferisse un'edizione più recente, segnalo questa del 2010 del brasiliano Nelson Freire:

    Mazurche
    Chopin scrisse ben 59 Mazurche nel corso della sua vita. Sono pagine brevi che traggono spunto dalla danza tradizionale polacca, ma che poi si sviluppano in modo assolutamente originale e molto vario. Questa è una selezione, suonata con grande immaginazione e straordinaria ricerca timbrica dal russo Pavel Kolesnikov (2016):

    Studi
    Nelle due raccolte di Studi, l'aspetto didattico e di esercizio su specifici problemi di tecnica diventa lo spunto per queste pagine di grande poesia. Maurizio Pollini, vincitore del Concorso Chopin nel 1960, nel 1972 ci regala un'interpretazione degli Etudes Op.10 e Op.25 caratterizzata da un grande vigore e da una dominio tecnico assoluto.

    Ballate
    Le Ballate sono una forma musicale nuova, inventata da Chopin che prese in prestito il loro nome dalla letteratura. Tecnicamente molto impegnative, sono tra le composizioni più felici e straordinarie del compositore polacco.
    Per le Ballades raccomandiamo questo disco del 1994 dell'americano Murray Perahia, per tecnica, inventiva e calore dell'interpretazione:

    Polacche
    Anche le Polacche prendono spunto dalla danza per esprimere i più incandescenti sentimenti nazionalistici dell'esule Chopin.
    Ancora Pollini in questa storica interpretazione del 1976. Uno Chopin epico, virile e appassionato:

    Preludi Op.28
    24 brevi e folgoranti composizioni scritte a Palma di Maiorca tra il 1835 e il 1839. Il polacco Rafal Blechacz, vincitore del Concorso Chopin nel 2005, incide per DG i Préludes Op.28 nel 2007. Una lettura di grande sensibilità e poesia.

    Scherzi
    Chopin compose quattro Scherzi tra iI 1831 e il 1842. Sono composizioni in cui prevale l'elemento rapsodico, accompagnato da drammatici contrasti.
    In questo straordinario disco del 2012 dell'inglese Benjamin Grosvenor, ne ascoltiamo una lettura vivace e elettrizzante.

    Concerti
    Sono pezzi di bravura di stampo chiaramente virtuosistico. L'accompagnamento orchestrale è poca roba, tutto ruota intorno al pianoforte (e come potrebbe essere diversamente?).
    Qui un'interpretazione classica, quella del 1999 di Martha Argerich e Charles Dutoit.

    E una recentissima edizione del 2019 in cui i concerti vengono eseguiti nella loro versione da camera per pianoforte (un bellissimo Erard del 1836) e quintetto d'archi:

    Recital
    Infine qualche recital che ha fatto storia.
    Un disco del 1972 interamente dedicato a Chopin da Arturo Benedetti Michelangeli. L'interpretazione delle 10 Mazurche è leggendaria. Quello che fa qui Benedetti Michelangeli con il suo pianoforte è realmente magico:

    Un altro disco storico, quello di Martha Argerich del 1965, freschissima vincitrice del concorso Chopin. Un uragano di energia e di passione: 

    Infine, le 4 Ballate con la Fantasia e la Barcarolle, nell'impeccabile lettura di Krystian Zimerman, vincitore del Concorso Chopin nel 1975. Su Zimerman i pareri si dividono, ma qui, al di là della consueta cura maniacale di ogni dettaglio, pare veramente ispirato.

     
    Buoni ascolti chopiniani!
  5. happygiraffe
    Oggi per lavoro mi è capitato di essere a Genova non molto lontano dal ponte Morandi. Già dall'autostrada la visione del cavalcavia spaccato a metà mi aveva riempito il cuore di angoscia e di rabbia. Poi casualmente ho intravisto questi bambini che giocavano a pallone con lo sfondo del ponte spezzato e mi sono fermato per fare uno scatto. 

    "La vita continua?" mi ha chiesto Mauro. Sì, la vita continua come sempre, ma la rabbia e l'angoscia rimangono, così come il senso di precarietà.
    Il contrasto in questa immagine è molto forte, spero di non urtare la sensibilità di nessuno. In caso contrario non avrò problemi a rimuoverla.
  6. happygiraffe
    Scrivo questo pezzo per condividere con voi la bellezza di alcuni luoghi in cui da anni ho la fortuna di passare qualche giorno di ferie.
    Faccio qualche premessa.
    Molti fotografi più seri di me vengono in questi posti solo per fotografare queste montagne straordinariamente belle. Youtube è piena di video di gente che condivide i propri viaggi fotografici nelle Dolomiti, riprendendo sempre le stesse cime, dagli stessi luoghi. Si alzano all'alba per cogliere i primi raggi di sole indorare le cime, dormono in camper sui passi di montagna.
    Ecco, io non sono tra questi. Io il mio è il punto di vista dell'escursionista.

    Non voglio portarmi sulle spalle troppa attrezzatura pesante. Non posso portarmi dietro la macchina quando arrampico o faccio ferrate impegnative. Voglio godermi la camminata, la giornata all'aperto, i colori, gli odori dei prati e dei boschi. Se poi capita l'occasione giusta e ho dietro la macchina fotografica, beh, ne approfitto! Tante volte ho rimpianto di non averla avuta con me e di essermi dovuto accontentare di qualche scatto con lo smartphone.
    Molte altre volte mi sono trovato nel posto giusto, ma con la luce sbagliata, come qui:

    In fondo non importa, sono contento così.
    Altre volte il cielo minaccioso, che preoccupa l'escursionista che non vuole prendersi tanta acqua, regala al fotografo una luce e dei contrasti incredibili, come nelle foto che seguono, dove ho messo insieme due diverse gite negli stessi posti, ma con condizioni meteorologiche molto simili.
    Siamo dalle parti del Passo Giau, luogo mitico per ciclisti, motociclisti e fotografi!




    Motociclisti e fotografi dal fiato corto spesso si fermano al rifugio al passo, ignorando che dopo una camminata non eccessivamente lunga, ma assai ripida nell'ultimo tratto, si arriva in uno dei posti più fiabeschi che abbia mai visto:


    Qui un'altra vista della Re Gusela (la montagna che sovrasta passo Giau):

    E qui i Lastoi de Formin e la Croda da Lago visti proprio dalla Ra Gusela in un contesto un po' lunare:

    Quest'estate ho avuto modo di passare più volte nella zona Lagazuoi, Fanis, Tofane, attraversando la magnifica Val Travenanzes.
    Quando si è "in alto" i panorami sono letterlamente vertiginosi:





     

    Man mano che si scende gli scenari si fanno più rassicuranti 




    Così come sono rassicuranti e piene di magia le cime dei monti quando il sole al tramonto le accende di arancione:

    L'imponente parete della Tofana di Rozes e qui sotto le Cinque Torri in compagnia di Nuvolau e Averau:

    Molto amate da noi fotografi sono le cime riflesse negli specchi d'acqua, come qui il Becco di Mezzodì che si riflette nel lago Federa (purtroppo non nelle condizioni migliori):

    O qui il Lagazuoi che si specchia nel microscopico lago Limedes:

    Altre volte le mie gite mi portano in luoghi meno spettacolari e fotogenici, ma altrettanto piacevoli:




    Un'emozione particolare mi prende quando riesco a vedere qualche animale, che sia una comunissima marmotta (marmottina in questo caso):

    o uno dei tanti caprioli:

    O i più schivi camosci (quelli bisogna proprio andarseli a cercare, avere fortuna e occhi buoni, possibilmente anche un buon binoccolo Nikon):


    Siamo arrivati alla fine di questa lunga carrellata di immagini. Spero di avervi messo un po' di voglia di visitare questi luoghi nell'unico modo in cui si può conoscerli veramente, ossia camminando . 
     
  7. happygiraffe

    Recensioni Audio
    Breve preambolo per chi non fosse un impallinato di hifi e musica liquida.
    Ci sono principalmente due modi di ascoltare la musica liquida, che provenga da una delle diverse piattaforme (tidal, qobuz, apple, amazon, etc) o dal nostro archivio di musica digitale. Il primo è quello di usare uno streamer, ovvero un apparecchio dedicato che si collega tramite internet alle varie piattaforme di musica liquida e tramite un dac interno converte il segnale digitale in un formato analogico che viene poi inviato ad un amplificatore e da qui alle casse. In pratica lo streamer è il corrispettivo "liquido" di quello che una volta era il lettore cd.
    Il secondo modo è quello di usare un pc come player. La musica in formato digitale esce tramite la porta usb e viene inviata a un convertitore digitale-analogico (DAC) e da qui a un amplificatore. 
    Ogni sistema ha i suoi pro e contro. Li ho usati entrambi, ma alla fine ho preferito servirmi del pc per modularità, versatilità e minore obsolescenza rispetto a uno streamer.
    Il pc, nel mio caso un portatile, ha però un grosso problema. A meno che non parliamo di computer particolari progettati per la riproduzione audio, solitamente i pc dei comuni mortali usano l'uscita usb per mandare i file musicali all'esterno. L'uscita usb non nasce per la riproduzione audio ed ha due grossi problemi: il primo è che il segnale audio è "sporcato" dal rumore digitale, il secondo è che il segnale è affetto da "jitter": in pratica il metronomo che batte il tempo della musica che stiamo ascoltando non è preciso, a volte accellera, a volte rallenta.
    Per risolvere il problema, già da anni esistono sul mercato quelle che si chiamano interfacce digitali, ovvero degli apparecchi che prendono il segnale audio dall'uscita USB del computer, lo ripuliscono dal rumore e lo rimettono al tempo corretto, grazie a un clock interno sensibilmente migliore di quelli normalmente usati nei pc, e infine lo inviano al DAC.

    Dopo aver ignorato le interfacce digitali per anni e sottovalutato i problemi di jitter e rumore digitale, qualche settimana fa ho deciso di provarne una: il Singxer SU-6.
    Singxer è un'azienda cinese, presente da una decina d'anni sul mercato. L'SU-6 si presenta come una scatoletta poco pretenziosa, larga circa 24cm:

    Sul retro troviamo l'ingresso USB e le diverse uscite:

    - due uscite S/PDIF, una con connettore RCA e una BNC
    - AES/EBU
    - ottica
    - i2s tramite RJ45
    - i2s tramite HDMI (doppia)
    - un'uscita per il clock con interfaccia BNC
    L'SU-6 impiega due oscillatori Crystek CCHD-957 e accetta file PCM fino a 384kHz/32bit e DSD512 (tramite I2S). Sul mercato ci sono apparecchi che arrivano a risoluzioni maggiori, ma a me queste bastano e avanzano.

    Una particolarità riguarda l'alimentazione: un banale trasformatore esterno carica un supercondensatore, che viene quindi usato per alimentare L'SU-6 e che virtualmente annulla l'impatto dell'alimentatore esterno sulla performance. Non c'è un interruttore, si collega il trasformatore alla presa, il condensatore ci mette circa un minuto per caricarsi abbastanza da far funzionare l'SU-6 e a quel punto si accende la spia sul display frontale. Il sistema è fatto per rimanere sempre acceso. In realtà occorrono 20 minuti perché il condensatore sia completamente carico.


    Altra particolarità è che sulla parte inferiore dell'apparecchio ci sono degli switch per configurare l'uscita i2s HDMI. Il manuale fornisce i dettagli per configuare i vari switch per alcuni marchi di DAC:


    E' una soluzione che va bene se non si prevede di passare spesso da un modello di DAC a un altro.
    L'impiego è banale: si collega l'ingresso usb al pc e una delle uscite al DAC. Fine. Il display frontale non fornisce indicazioni particolari: ci informa se stiamo riproducendo musica e file DSD.
    Ci vuole qualche giorno di rodaggio perché suoni al meglio. 
    All'ascolto il risultato è semplicemente eclatante! In realtà un'interfaccia digitale ha il solo il compito trasferire al DAC il segnale digitale così come dovrebbe essere, vale a dire ripulito dal rumore e dal jitter, e quanto pare il mio DAC è stato felice di cibarsi finalmente di un segnale di qualità! Quello che mi ha sorpreso è la naturalezza del suono e del posizionamento degli strumenti nella scena, nonché la sensazione che diffusori e cuffie scompaiano letteralmente (con buone registrazioni ovviamente).
    Già con l'uscita coassiale il risultato è notevole, passando all'uscita i2s c'è ancora un po' di miglioramento.
    Non nascondo di aver avuto qualche problema con l'uscita i2s su hdmi. Saltuariamente riscontravo un'attenuazione e delle distorsioni delle alte frequenze. Il problema sembra essere rientrato pulendo i contatti della presa sul DAC con del DeoxIT. 
    Il costo ad oggi si aggira tra i 600 e i 700€, non pochissimo, ma se penso a quanto è migliorato il suono del mio impianto, il rapporto qualità/prezzo è molto elevato. In conclusione arrivo a dire che non si tratta di una semplice ottimizzazione, ma di un upgrade sostanziale.
     

     
  8. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Franz Schubert:
    - 4 Impromptus, op. 90, D. 899 
    - Piano Sonata No. 19 in C minor, D. 958
    - 3 Klavierstucke, D. 946
    - Piano Sonata No. 20 in A major, D. 959
    ECM 2019
    ***
    Questo disco, da poco uscito per ECM, ma in realtà inciso nel 2016, segue quest'altro disco del 2015, in cui András Schiff riprendeva un repertorio che aveva già registrato nella prima metà degli anni '90 fa per Decca, utilizzando questa volta uno strumento d'epoca:

    Franz Schubert:
    - Sonata Op.78, D. 894 
    - Moments musicaux, Op.94, D. 780
    - 4 Impromptus, Op.142, D. 935
    - Sonata No.21, D. 960
    ECM 2015
    I due album si completano perfettamente, per repertorio e scelte interpretative: le ultime tre sonate per pianoforte e la D.894, i Moments musicaux, i due cicli degli improvvisi e i 3 pezzi D.946, tutti eseguiti al fortepiano.
    Interessante la storia dello strumento che sentiamo in questi dischi. Bisogna sapere che negli anni in cui visse Schubert, c'erano circa un centinaio di fabbricanti di fortepiano a Vienna. Questo strumento fu realizzato nel 1820 da Franz Brodmann, fratello del più noto Joseph, che un giorno dovette vendere la sua attività a un suo allievo, che di nome faceva Ignaz Bösendorfer! 
    Il fortepiano entrò in possesso della famiglia imperiale e ne seguì il destino fino all'esilio di Carlo I in Svizzera nel 1919. Fu restaurato nel 1965 e acquistato nel 2010 da Schiff, che lo ha lasciato in prestito presso la casa di Beethoven a Bonn.
    Nelle note di copertina del disco del 2015 era lo stesso Schiff che ci raccontava di quanto il suo approccio alla musica eseguita con strumenti d'epoca fosse cambiato nel corso del tempo a partire dai primi anni '80. Era agli inizi affascinato dagli aspetti legati alla filologia e dalla fedeltà al testo scritto, ma ostile ai dogmatismi dei puristi, anche perché spesso le incisioni di quei tempi erano di qualità discutibile per via sia degli strumenti impiegati che degli interpreti.
    La rivelazione per Schiff fu l'aver suonato il fortepiano di Mozart nella sua casa di Salisburgo: la definisce un'esperienza che gli ha cambiato la vita! 
    I pianoforti moderni da concerto sono infatti strumenti pensati per "proiettare" il suono in sale da concerto da migliaia di posti, con una dinamica e una brillantezza di suono impensabili all'epoca di Schubert. La musica di Schubert era suonata nei salotti borghesi, agli amici, in ambienti relativamente piccoli e così un fortepiano dell'epoca ha una gamma dinamica ridotta, diciamo dal pianissimo al forte. Per questo motivo le composizioni per pianoforte di Schubert, pensate per quegli strumenti, sono tanto difficili da rendere con gli strumenti moderni, che rischiano di soffocarne la dolcezza.
    Il Brodmann di Schiff, nelle sue mani, invece, si muove a meraviglia tra queste pagine, regalandoci una gamma di timbri, di effetti e di sfumature tra il ppp e il forte che hanno qualcosa di magico. E' uno strumento particolare con quattro pedali, cosa non inusuale a quei tempi, uno dei quali, detto "moderatore", che frappone un panno tra martelletti e corde (un po' come la sordina dei pianoforti verticali) e permette di ottenere un suono molto tenue e dolce. Ma ci sono altre cose che stupiscono, come la cantabilità della mano destra o come i diversi timbri dei tre registri (alti, medi e gravi hanno caratteri diversi) si fondano insieme. E attenzione, perché quando serve il Brodmann è capace di tirar fuori gli artigli anche nei passaggi più forti e energici.
    Il confronto con le interpretazioni degli anni '90 lasciano un po' interdetti: se quelle erano certamente molto belle, ma anche per certi versi anche un po' accademiche, qui invece quello che ci regala Schiff è un universo sonoro più vivo, palpitante e anche più vivace, pur nel consueto understatement del pianista ungherese.
    Non basta uno strumento d'epoca, per quanto magnifico come quello utilizzato qui, per far una bella interpretazione, occorre anche un pianista all'altezza e qui Schiff ci mette tanto del suo. Sicuramente è vero che conosce perfettamente il suo strumento e sa come domarlo e trarne il massimo, ma, al di là dell'aspetto tecnico, qui il pianista ci mette tantissima passione e la facilità con cui ci conduce tra le pieghe più intime dei pensieri del compositore è sicuramente il frutto di una lunga maturazione e di un profondo amore per queste pagine. 
    Schiff ci dice che non smetterà di suonare Schubert su strumenti moderni, cosa in fondo necessaria dovendo per mestiere suonare in grandi auditorium, ma la dolcezza del suono di un fortepiano viennese  sarà sempre ben presente nella sua mente, per provare a suggerire l'illusione dell'intimità anche in una  sala da concerto.
    Noi continueremo a seguire András Schiff nelle sue esplorazioni con strumenti nuovi e d'epoca, così come ci piace seguire un altro pianista con la stessa grande passione per pianoforti antichi e moderni, Alexander Melnikov, di cui abbiamo già parlato diverse volte su queste pagine.
    Per il momento vi invitiamo senza esitazione ad abbandonarvi al fascino di questo disco, senza lasciarvi intimorire dal suono particolare del fortepiano.
     
  9. happygiraffe
    Fotografo controverso, osannato da alcuni, disprezzato da altri, Martin Parr ha certamente lasciato il segno nel linguaggio fotografico degli ultimi 30 anni.
    Parr è noto per aver documentato la società inglese nei suoi aspetti più bizzarri e apparentemente banali, così come alcuni aspetti della società contemporanea come consumismo, turismo e cibo, con un'umorismo e uno stile facilmente riconoscibili.
    La prima raccolta di immagini a colori fu esposta a Londra nel 1986 con il titolo di "The Last Resort". Era stata realizzata a New Brighton e scatenò interminabili dibattiti e polemiche.

     

     

     

     

     

    Le immagini di Parr hanno il potere di far sorridere, ma anche di infastidire, di far riflettere e di far riflettere su noi stessi e sui nostri comportamenti.
    La prima volta che vidi questo foto rimasi molto turbato.
    Successivamente Parr si è occupato del turismo di massa e dei suoi riti tribali e nel 1995 pubblica Small World.

     

     

     

     

     

     

     

    Dice Parr della sua fotografia:"La cosa fondamentale che esploro costantemente è la differenza tra la mitologia di un posta e la sua realtà. ...Ricorda che io faccio fotografie serie mascherate da divertimento. Fa parte del mio mantra. Rendo le immagini accettabili in modo da trovare un pubblico, ma in profondità succedono molte cose che non sono immediatamente visibili in superficie. Se vuoi vederle allora puoi vederle".
    Parr fotografa a distanza ravvicinata, usa colori molto saturi e impiega spesso un flash ad anello.
    Fotografo bulimico, le sue immagini sono innumerevoli, ma sempre intorno ad alcuni temi per lui fondamentali.

     



     

     

     

     

     
    Le sue immagini sono inconfondibili: il suo spiccato sense of humour, a volte diventa sarcasmo e ad alcuni può apparire perfino snob, ma Parr ne ha per tutti a prescindere dagli strati sociali di appartenenza.
     

     

     

     

     

     
    L'inclusione come membro permanente della prestigiosa agenzia fotografica Magnum Photos nel 1994 avvenne a seguito di un accesso dibattito tra gli altri membri. 
    Parr dichiarò che "i fotografi Magnum si sentono come in dovere di partire per una crociata...in posti con carestia o guerre...mentre io esco e giro l'angolo dove c'è il supermercato, perché questa per me è la prima linea".
    Sorprendentemente nel 2014 fu eletto presidente di Magnum Photos.
     
    In un recente lavoro del 2016 documenta una zona dl West Yorkshire conosciuta come il triangolo del rabarbaro:



     
    Per chi fosse interessato ad approfondire:
    Martin Parr - Sito Web
    Martin Parr - Blog
     
    Nota: tutte le foto qui mostrate sono opera di Martin Parr e hanno l'unico scopo di illustrare la sua opera.
     

     
     
     

     
  10. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Brahms, sestetti per archi.
    Belcea Quartet, Tabea Zimmermann (viola), Jean-Guihen Queyras (violoncello).
    Alpha Classics, 2022.
    ***
    Ricordo un programma del V canale della filodiffusione (oggi Radio3 Classica) che si intitolava “i capolavori della cameristica brahmsiana”. In effetti il termine capolavoro non è usato a sproposito per un compositore che ha saputo arricchire il repertorio cameristico, creando dei nuovi riferimenti assoluti per ogni genere affrontato, che siano quartetti, quintetti, sestetti per archi, sonate per violino e pianoforte, per violoncello e pianoforte, quintetto per pianoforte o per clarinetto, etc.
    I due sestetti per archi, pur essendo opere di un Brahms non ancora trentenne, sono tra le sue prime gemme nell’ambito della musica da camera. Probabilmente in soggezione davanti al modello dei quartetti di Beethoven, Brahms decise di cimentarsi con un organico decisamente insolito e poco esplorato fino a quel momento, quello del sestetto, ossia due violini, due viole e due violoncelli e questo gli diede modo di sperimentare diverse combinazioni dei vari strumenti, trasformando di fatto il sestetto in qualcosa che va ben oltre il concetto di un quartetto vitaminizzato.
    Il quartetto Belcea aveva già fatto meraviglie con questo disco di qualche anno fa contenente i tre quartetti e il quintetto con pianoforte di Brahms:

    In questa nuova incisione sono accompagnati dalla viola di Tabea Zimmermann e dal violoncello di Jean-Guihen Queyras. L’intesa è semplicemente perfetta, dovuta con buona probabilità alla tournée di concerti che hanno preceduto la registrazione e che ha creato un ottimo affiatamento tra i musicisti.
    Fin dalle prime battute del primo sestetto si rimane colpiti dalla trasparenza della trama, con un uso molto discreto del vibrato, dalla raffinatezza timbrica che non sconfina nell’autocompiacimento, dall’infallibile senso del ritmo. Emblematico è il secondo movimento, Andante ma moderato, con il tema stupendamente enunciato dal timbro caldo e vellutato della viola e le variazioni che seguono via via più intricate e ritmicamente complesse. Si ascolti l’incredibile effetto coloristico che ottengono a circa 6’16’’ con le voci degli strumenti ridotte a un sussurro.  L’interpretazione nel suo complesso restituisce un carattere serenamente affettuoso che ben si confà a questo primo sestetto Op.18.
    Più severa e malinconica la lettura del secondo sestetto Op.36, opera più complessa e raffinata da un punto di vista compositivo e figlia di un periodo buio per il compositore, con la scomparsa improvvisa della madre e il fallimento della relazione con il soprano Agathe von Siebold (il cui nome appare traslitterato in note musicali in un tema della viola nel primo movimento). Nelle variazioni del meraviglioso terzo movimento, Poco adagio, il Belcea mette in risalto un sentimento di fragilità e inquietudine, fino ad arrivare ai fremiti e agli slanci, mai troppo consolatori, dell’ultimo movimento. Anche in questo secondo sestetto il suono è terso, preciso, con poco vibrato, la lettura intima e ricca di pathos, ma mai pesante.
    Nel complesso è un disco che mi è piaciuto molto e che sono tornato a riascoltare diverse volte nelle ultime settimane, apprezzandolo ogni volta di più. Non mancano le versioni alternative, da quelle storiche (Stern e amici, Amadeus, Alban Berg) a quelle più recenti (Isabelle Faust e amici, Renaud Capuçon e compagni, gli strumentisti della WDR), ma questa per il momento è diventata il mio personalissimo riferimento.
    Semplicemente magnifica la qualità della registrazione. Sembra realmente di avere i sei musicisti disposti davanti noi.
    Molto consigliato!

  11. happygiraffe
    G.F.Handel: Suites per clavicembalo 1-8, Ouvertures (trascr.).
    Francesco Corti, clavicembalo.
    Arcana, 2022.
    ***
    Il clavicembalo è uno strumento che mi ha sempre causato qualche problema. Di sonnolenza, principalmente. E’ solo negli ultimi anni che ho cominciato ad apprezzarlo (senza cadere in letargo). Poi finalmente mi sono imbattuto in questo del clavicembalista aretino Francesco Corti ed è scoppiato l’amore!
    Di lui avevo ben presente gli ultimi dischi dedicati ai concerti per clavicembalo di J.S.Bach:


     
    Così come questo del 2020:

    In realtà, Corti collabora da diversi anni con i principali ensemble di musica barocca: lo Zefiro diretto da Bernardini (suo il clavicembalo nel magnifico disco dei Brandeburghesi per Arcana), Les Musiciens du Louvre (Minkowski), il Bach Collegium Japan (Suzuki), Les Talens Lyriques (Rousset), Harmonie Universelle (Deuter) e Le Concert des Nations (Savall).
    Quest’ultimo disco è dedicato al primo volume delle Suites per clavicembalo di Handel, pubblicato a Londra nel 1720.
    Tra le diverse Suites Corti inserisce alcune trascrizioni dello stesso Handel delle Ouvertures di alcune opere (Rodenlinda, il Pastor fido, Radamisto, Teseo) e l’arrangiamento per clavicembalo di William Babell di alcune pagine del Rinaldo (Lascia ch’io pianga, tra tutte).
    Ho sempre avuto un parere combattuto su queste pagine di Handel, che fossero eseguite al clavicembalo o al pianoforte, anche da mani illustri, ma qui Corti riesce a riportarle letteralmente in vita, spazzando via qualsiasi perplessità su opere che ormai hanno più di 300 anni di vita alle spalle.
    Quello che Corti riesce a estrarre dal suo strumento (una ricostruzione del 1998 di Andrea Restelli di un esemplare di Christian Vater del 1738) ha del miracoloso: riesce certamente a farlo cantare in modo sublime, ma quello che più stupisce è il volume e l’energia che riesce a produrre, ricordando più il suono potente di un moderno pianoforte o se vogliamo di un organo, che quello minuto e monocorde che normalmente associamo a un clavicembalo.
    Il programma è lungo (quadi 2 ore e mezza di musica) e denso, ma le trascrizioni d’opera sapientemente inserite tra le suites e la maestria di un interprete così brillante e ricco di personalità fanno trascorre il tempo dell’ascolto molto velocemente e con molto piacere.
    Interessante il confronto con la bellissima e recente interpretazione delle prime quattro Suites di Pierre Hantaï. Questione di gusti, ma personalmente mi ritrovo di più nella lettura dell’italiano, più energica e meno leziosa (non me ne voglia Hantaï), e anzi possiamo spingerci ad affermare che anche in Italia ci sono artisti in grado di competere con l’eccellente scuola clavicembalistica francese.
    Ottima la registrazione di Ken Yoshida, che ci rivela ogni minimo dettaglio sonoro dello strumento, un po’ a discapito dell’acustica dell’ambiente.
    Consigliatissimo!
  12. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Schubert: Trii per pianoforte n.1 e 2, Trio per pianoforte op.148 D.897 "Notturno", Rondò op.70 D.895 "Rondeau brillant", Sonata D.821 "Arpeggione".
    Christian Tetzlaff, violino, Tanja Tetzlaff, violoncello, Lars Vogt, pianoforte.
    Ondine, 2023.
    ***
    Questo è un disco molto particolare e con una storia molto toccante.
    E’ l’ultima registrazione di Lars Vogt insieme agli amici di una vita, Christian e Tanja Tetzlaff, prima della sua scomparsa prematura nel 2022 a soli 51 anni.
    All’epoca dell’incisione Vogt era già sofferente e fu proprio in quel periodo che gli fu diagnostica la malattia.
    Con Christian e Tanja Tetzlaff li lega un percorso artistico comune di 25 anni, costellato da tanti dischi di musica da camera, e una lunga amicizia.
    Questo penso sia il loro primo o uno dei primi dischi insieme, del 2003:

    Ma ce ne sono tanti altri che immancabilmente li ritraggono insieme in copertina:



    E questi che ritraggono Lars e Christian decisamente più giovani:



    Ma veniamo a quest’ultimo disco, che contiene alcune delle più belle pagine di musica da camera di Franz Schubert: i due trii op.99 e 100 e la sonata “arpeggione” per violoncello e pianoforte.
    Quello dei Trii è un Schubert maturo, ormai lontano dall’intrattenimento mondano e salottiero, prossimo alla morte nonostante la giovanissima età (il povero Schubert morì a soli 31 anni).
    In questo senso il secondo Trio in mi bemolle maggiore, sicuramente il piatto forte del disco e uno dei massimi capolavori della musica da camera tout court, ha un carattere tragico e carico di angoscia, nonostante la consueta bellezza schubertiana delle linee melodiche.
    E il terzetto Vogt-Tetzlaff riesce a esprimerci tutta l’angoscia e il dramma dell’animo di Schubert, nascosti sotto l’apparente bellezza e perfezione di queste pagine immortali. Spesso queste opere (e Schubert in generale) vengono interpretate prestando più attenzione al fascino della melodia e alla perfezione del suono e dei timbri, in qualche modo compiacendo l’ascoltatore, che non a far emergere le angosce sotterranee del compositore.
    Qui invece a chi ascolta si propone un messaggio più impegnativo, più difficile, lontano da qualsiasi sentimentalismo, ma infinitamente più emozionante. I suoni sono a volte aspri, la dinamica molto ampia, dai pianissimo quasi impercettibili ai fortissimo molto…forti, com’è giusto che sia!
    Si sente che i tre interpreti, ormai all’apice delle loro capacità tecniche, hanno investito tutto loro stessi in queste pagine, per farci arrivare qualcosa di più del semplice bel suono.
    Il libretto del disco contiene una lunga e toccante intervista a Christian e Tanja Tetzlaff, nella quale parlano dell’amico Lars, delle sessioni di registrazione e di Schubert.
    Ci riportano queste parole di Vogt:
    "Mi sembra che tutto, almeno nella mia vita, si sia sviluppato verso questo Trio in mi bemolle maggiore", ha scritto in un messaggio dopo aver ascoltato la registrazione. "Se non rimane molto tempo, allora è un degno addio".
    Il disco contiene anche per altri brani del tardo Schubert, tra cui il Notturno per trio, D897, di struggente semplicità, il Rondò per violino e piano, D895, e la famosa Sonata per arpeggione, che Tanja Tetzlaff e Vogt rappresentano con grande naturalezza e intesa. Sono però le esecuzioni dei due trii che definiscono questo disco. Sono però le esecuzioni dei due trii a definire questo set. Naturalmente esistono già molte belle esecuzioni di queste opere, a partire da quella Eugene Istomin, Isaac Stern e Leonard Rose degli anni ‘60, ma questa sicuramente si pone come un nuovo riferimento tra quelle recenti.
    Caldamente raccomandato.

  13. happygiraffe
    Mendelssohn: Vatiations sérieuses Op.54, Romanze senza parole, Phantasie Op.15.
    Rachmaninov: Scherzo da "Sogno da una notte di mezza estate" Op.61.
    Peter Donohoe, pianoforte.
    Chandos, 2023.

    ***
    Con questo secondo volume delle Romanze senza parole di Mendelssohn Peter Donohoe conclude il percorso iniziato a gennaio del 2022 con la prima raccolta:
     

    Le Romanze senza parole furono composte in un arco di tempo piuttosto lungo, tra il 1829 e il 1945. e pubblicate in otto raccolte di sei brani ciascuna. Si tratta di brevi brani di due, tre minuti al massimo, caratterizzati da uno stile intimo e cordiale e da una tecnica non virtuosistica. Donohoe non li esegue in ordine cronologico, ma li mischia in modo da offrire un'esperienza di ascolto più varia e interessante. Donohoe affronta questi brani con un tocco leggero e brillante e con consumato mestiere. Detto questo, per quanto graziose possano essere le Romanze senza parole e per quanto queste miniature possano essere giustamente ricordate come dei piccoli capolavori, alla lunga possano stancare (mia personalissima opinione e ricorrente esperienza con questi brani  ), non avendo il Mendelssohn quelle caratteristiche che rendono alle mie orecchie più interessanti i suoi compositori coevi: la visionaria e appassionata follia di Schumann, la febbrile disperazione di Chopin, la tragica malinconia di Schubert, il diabolico e irrequieto virtuosismo di Liszt.
    E così il nostro Donohoe, come aveva già fatto nel primo volume di questa raccolta, ben fa ad accostare altri brani alle Romanze. Il disco si apre infatti con le frizzanti Variations sérieuses e si chiude con la meno nota Phantasie Op.15 sulla canone irlandese "The last rose of summer" e infine il diabolico arrangiamento di Rachmaninov dello Scherzo dal Sogno di una notte di mezza estate, che ci risveglia dopo un'ora e venti di intime e morigerate confessioni romantiche.
    Nel complesso un ottimo disco, suonato in maniera ideale dall'irreprensibile Peter Donohoe.
     
  14. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Dmitri Shostakovich, 24 Preludi e Fughe Op.87.
    Ronald Stevenson, Passacaglia on DSCH.
    Igor Levit, pianoforte.
    Sony Classical, 2021.
    ***
    Igor Levit negli ultimi anni si è imposto come uno dei migliori pianisti della sua generazione, distinguendosi da un lato per le scelte di repertorio che danno ampio spazio a compositori e composizioni meno noti, dall’altro come l’uomo delle incredibili maratone pianistiche (l’ultima sua follia che mi viene in mente è la diretta su YouTube di Vexations di Érik Satie, 18 ore di musica!). Levit è un pianista colto e intelligente che affronta la sala d’incisione con grandissima serietà e preparazione. Quest’ultimo disco ci offre un’altra prova ciclopica: i 24 preludi e fighe Op.87 di Shostakovich e la meno nota Passacaglia su D.S.C.H. di Ronald Stevenson, per un totale di 3 ore e 50 minuti di musica.
    Era il 1950 quando Dmitri Shostakovich (1906-1975), che aveva allora 44 anni, fu chiamato a Lipsia come giurato di una rassegna che celebrava il secondo centenario della morte di Bach. In quello stesso contesto conobbe la giovane pianista russa Tatjana Nikolaeva, vincitrice del concorso pianistico. Fu in quell’occasione che decise di rendere un omaggio a Bach, componendo una serie di 24 preludi e fughe per pianoforte, che percorrevano tutte le tonalità maggiori e minori, così come aveva fatto Bach nel Clavicembalo ben temperato, ma questa volta non in ordine cromatico, bensì secondo il circolo delle quinte (Do-Sol-Re-La-Mi ecc. dove al maggiore segue il relativo minore). Era la sequenza già adottata da Chopin nei suoi 24 Preludi, op.28.

    Una prima parziale esecuzione avvenne per mano dello stesso compositore nel 1951, ma l’opera fu bollata di “formalismo” dal regime sovietico (in pratica non era conforme al realismo social-popolare al quale gli artisti dovevano piegarsi in quegli anni). Fu la stessa Tatjana Nikolaeva ad eseguire integralmente i Preludi e Fughe in pubblico nel 1952 e ad assicurarne la pubblicazione.
    Pur nell’evidente omaggio a Bach, il linguaggio di quest’opera è lontano da ogni manierismo e anzi si apre a un ampio ventaglio di stili e caratterizzazioni diversi: da lirico a marziale, da epico a introspettivo, da sfrenato a dolente, da serio a sarcastico.
    Ed è nella precisa e raffinata restituzione di tutti questi diversi caratteri che si rivela la maestra di Igor Levit. Ascoltiamo la soave evocazione delle primo preludio in do maggiore, o l’andamento misterioso del quarto preludio e fuga in re maggiore. E poi l’iridescente e gioiosa settima fuga in la maggiore, resa con una delicatezza commovente, seguita dall’ironica marcetta dell’ottavo preludio, che porta a quello che forse è il capitolo più introspettivo e doloroso di tutta l’opera, la lunga fuga in Fa diesis minore. La vivace immediatezza della successiva fuga in Mi maggiore ci riporta gioia e speranza. Si arriva così alla conclusione della prima metà, con Levit che ci porta dagli abissi del dodicesimo preludio alla sfrenata cavalcata della fuga in 5/4!
    Il provocativo sarcasmo del quindicesimo preludio è restituito in maniera implacabile e la successiva fuga in re bemolle maggiore, velocissima, ci trascina in un feroce vortice in cui si arriva a sfiorare l’atonalità. Il preludio e fuga che seguono, arrivano alle nostre orecchie come una soave e lunga consolazione. Il suono delicato e morbido di Levit è di commovente bellezza.
    Si arriva così all'ultimo grandioso preludio e fuga al quale il pianista riesce a conferire un senso di tragica inesorabilità, pur mancando nel finale di imprimere quel furioso cambio di tempo, indicato nella partitura e eseguito da molti altri pianisti.
    Tatjana Nokolaeva registrò tre volte i Preludi e Fughe Op.87, nel 1962, 1987e 1990 e per molti anni queste incisioni sono state considerate un riferimento assoluto nella discografia.

    Grandi pianisti russi come Richter e Gilels ne incisero purtroppo solo una manciata. C’è una testimonianza discografica dello stesso Shostakovich che ne esegue un discreto numero in questo disco molto interessante:

    In tempi più recenti si ritrovano diverse incisioni (addirittura ce n’è una di Keith Jarrett), delle quali ricordo quella notevole di Alexander Melnikov per Harmonia Mundi, purtroppo non disponibile su Qobuz, ma reperibile comunque su altri siti.

    Quest’ultima di Igor Levit si pone a mio avviso come il nuovo riferimento assoluto per chi si voglia avvicinare a quest’opera. 
    Veniamo ora alla seconda parte di questo disco, la Passacaglia su DSCH di Ronald Stevenson (1928-2015), compositore scozzese conosciuto solo agli addetti ai lavori e decisamente meno noto di Shostakovich. Socialista, pacifista, obiettore di coscienza, Stevenson fu un compositore, ma anche un grande virtuoso del pianoforte, ponendosi sulla scia di Busoni. E’ ricordato principalmente proprio per questa Passacaglia, famosa per essere un’opera in un unico movimento (in realtà contiene delle suddivisioni) della durata di circa 85 minuti.

    Composta nel 1963, la Passacaglia è un omaggio dichiarato allo stesso Shostakovich. DSCH è il monogramma musicale ideato dallo stesso Shostakovich: D.Sch., D–Es–C–H, che nella notazione tedesca equivalgono infatti ai nostri Re, Mi bemolle, Do, Si. Il compositore russo usò queste 4 note in molte sue composizioni, come una vera e propria firma.
    Lo stesso motivo è alla base della lunga serie di variazioni di Stevenson che compongono la Passacaglia.
    Stevenson la suddivide in tre grandi parti: la prima che riunisce l’iniziale Sonata, una suite di danze e altri pezzi brevi, il secondo che ricorda più una fantasia composta da variazioni di carattere molto diverso e études, il terzo contenente una poderosa tripla fuga.
    Quest’opera monumentale contiene diversi riferimenti e influenze musicali (oltre a Shostakovich, scorgiamo Liszt, Busoni, Messiaen, fino alle manifeste citazioni finali del Dies Irae e del monogramma di Bach, B.A.C.H.), così come storici (da uno slogan di Lenin, alle vittime dell’Olocausto, passando per l’Africa emergente). 
    Si tratta di un lungo viaggio, che richiede tempo e concentrazione all’ascoltatore, ma che può regalare molte soddisfazioni.
    Pochissime le incisioni alternative, tra le quali quella di John Ogdon, che però non è più reperibile.
    Questa versione di Levit sicuramente si pone come un riferimento, non solo per le capacità tecniche con le quali supera le difficoltà della partitura, ma per la capacità di tenere insieme una struttura così lunga, articolata e complessa.
    Tirando le conclusioni, questo è un disco monumentale che impegna l’ascoltatore in un lungo tour de force, ma che da un punto di vista artistico e intellettuale è probabilmente una delle migliori produzioni discografiche degli ultimi anni.

     
  15. happygiraffe

    Recensioni : orchestrale
    Weinberg: sinfonie 3 e 7; concerto per flauto n. 1.
    City of Birmingham Symphony Orchestra, Deutsche Kammerphilarmonie Bremen, Dir.Mirga Gražinytė-Tyla.
    Kirill Gerstein, clavicembalo; Marie-Christine Zupancic, flauto.
    DG 2022.
    ***
     
    Da qualche anno è in corso una vera e propria riscoperta dello sfortunato compositore polacco Mieczysław Weinberg (1919-1996). Due artisti si sono fatti paladini di questa riscoperta: il violinista Gidon Kremer, di cui avevamo parlato QUI, e la direttrice lituana Mirga Gražinytė-Tyla, qui al suo secondo disco per DG dedicato interamente a Weinberg.

    Weinberg ebbe una vita sfortunata, fuggì dai nazisti dalla Polonia all’URSS dove venne accolto a braccia aperte dai sovietici che lo accusarono di formalismo (peccato mortale per i compositori dell’epoca) e lo arrestarono pure. Solo alla morte di Stalin poté riprendersi, ma componendo più che altro per cinema, teatro, tv e addirittura spettacoli circensi.
    Nonostante questo, compose tantissimo, addirittura 22 sinfonie e 17 quartetti. Tutta musica che si sta riscoprendo di recente. Non tutta meritevole di attenzione, ma ci sono in ogni caso opere davvero interessanti, caratterizzate da un linguaggio sempre personale.
    Il disco si apre con la sinfonia n.7 per orchestra d’archi e clavicembalo del 1964, cupa, ma non tragica, caratterizzata da interventi del clavicembalo, qui affidato addirittura a Kirill Gerstein, piuttosto stranianti, che alla fine lasciano all’ascoltare più dubbi che risposte.
    Decisamente più brillante, ironico e godibile il concerto per flauto Op.75 del 1961. Bravissima la flautista Marie-Christine Zupancic, ben sostenuta dalla City of Birmingham Symphony Orchestra.
    Chiude il disco l’ambiziosa terza sinfonia, frutto di una genesi molto complicata. Iniziata nel 1949, composta cercando di reinterpretare e in qualche modo aggirare i dettami delle autorità, criticata dall’”Unione dei Compositori Sovietici”, rimaneggiata e tenuta in un cassetto in attesa di tempi migliori, vale a dire la dipartita di Stalin e l’arrivo di Krusciov, è un’opera densa e molto intensa, ma al tempo stesso caratterizzata da una ricca inventiva melodica. Certamente riflette il clima del momento, ma personalmente la trovo di grande fascino.
    Nel complesso un ottimo disco, ben registrato, con un’ampia gamma dinamica, che aggiunge dei nuovi tasselli alla riscoperta di un compositore rimasto molto a lungo nell’ombra.
     
  16. happygiraffe
    Premessa
    Faccio una breve premessa prima di iniziare la recensione delle Adam Audio S3V.
    Sono passati ormai parecchi mesi da quando ho stravolto il setup del mio impianto hifi e penso che ormai sia arrivato il momento di condividere con voi le mie impressioni.
    Diversi mesi ci aveva impiegato anche l’amico Florestan a convincermi ad abbandonare la tradizionale configurazione con sorgente + pre + finale (integrato nel mio caso) + diffusori passivi a 2 vie e passare a qualcosa di molto diverso, ovvero usare un pc come sorgente + dac con pre integrato + diffusori attivi a 3 vie.
    Abbiamo già parlato su queste pagine di questo tipo di catena audio e in effetti, avendo ormai una collezione di dischi completamente digitalizzata che risiede su un NAS, aveva perfettamente senso liberarmi del lettore CD che ormai prendeva polvere da anni e del lettore di rete Naim e impiegare come sorgente un semplice laptop collegato al NAS. Come player uso con soddisfazione JRiver, che permette ogni tipo di personalizzazione, e da qualche tempo anche Audirvana. che è perfettamente integrato con Qobuz.
    Il segnale digitale in uscita dal PC viene poi mandato al DAC, nel mio caso il meraviglio DAC con Pre e Ampli cuffia bilanciato Master 11 Singularity di Audio-GD, marchio che negli ultimi anni ha sfornato ottimi convertitori DA e ampli cuffia con un rapporto qualità prezzo incredibile.

    Nel mio caso il Master 11 è diventato il cuore della mia catena audio, avendo il compito di convertire il segnale digitale in arrivo dal pc, di amplificarlo e di inviarlo o alle cuffie o ai diffusori attivi.
    Veniamo ora all’ultimo componente, ossia i diffusori attivi.
    Cosa sono innanzi tutto? Si tratta di speakers che contengono al loro interno una sezione di amplificazione ottimizzata per ogni driver. In pratica con questo tipo di setup si dice addio agli amplificatori finali perché i diffusori già li contengono al loro interno. Il vantaggio evidente di questa scelta è che il prodotto che esce dalla fabbrica è concepito e ingegnerizzato in modo che tutte le componenti si integrino alla perfezione tra di loro.  Ogni driver ha il suo amplificatore,  pensato, realizzato, ottimizzato per farlo suonare al meglio. Non abbiamo più un unico ampli che deve cercare di gestire più canali contemporaneamente, ma un singolo ampli calibrato per gestire un solo driver e che in soldoni deve fare solo una cosa e la fa bene. Questo si traduce in una maggiore riserva di potenza a disposizione di ogni singola via e quindi in una maggiore capacità di risolvere le necessità di ogni driver senza influenzare gli altri.
    Un altro vantaggio è che si eliminano un po’ di cavi, spesso costosi e fonti di interferenze, mentre quelli che rimangono sono bilanciati, quindi non costosi e pensati appositamente per ridurre le interferenze.
    In termini di spesa, se è vero che i diffusori attivi non sono in assoluto economici, lo diventano però quando consideriamo che l'esborso per un paio di diffuri passivi , ampli e cavi sarebbe sicuramente di gran lunga superiore a parità di qualità.
    Lo svantaggio di un diffusore attivo chiaramente è quello di essere un sistema completamente blindato, per cui non è possibile sostituirne delle parti in caso volessimo fare degli upgrade.
    Fatta questa premessa, arriviamo a parlare degli altoparlanti che ho scelto e che sono poi l’oggetto di questa recensione.
    Caratteristiche principali
    Si tratta degli Adam Audio S3V, diffusori attivi professionali a 3 vie, in pratica quelli che vengono definiti dei monitor. Sono strumenti pensati per chi lavora in studio e deve masterizzare, mixare o comporre, per cui devono avere una risposta in frequenza più lineare possibile, una spiccata capacità di rivelare i dettagli delle incisioni e quella di ricreare un palcoscenico virtuale. Ascolto prevalentemente musica classica, per cui linearità, dettaglio e soundstage sono elementi per me molto importanti. Il vantaggio poi di lavorare con questo tipo di setup è che, se desideriamo evidenziare qualche range di frequenze, ad esempio i bassi, le voci, etc, possiamo sempre equalizzare il suono a nostro piacimento, sia in JRiver che tramite i diffusori.
    La famiglia S di Adam Audio prevede anche un modello più piccolo a 2 vie (S2V) e un modello più grande e più potente a 3 vie con un woofer da 12" (S5V). Esite anche una versione orizzontale delle S2V che si chiama S2H. 
    Gli S3V sono diffusori midfield, pensati quindi per essere usati a una certa distanza dall’ascoltatore, a differenza dei nearfield che solitamente sono sparati in faccia a chi ascolta.

    Sono piuttosto voluminosi: 53cm di altezza senza stand, 29 di larghezza, ma soprattutto sono molto profondi, 38cm, perché devono contenere tutta l’elettronica. Il peso è di 25kg. Solidi e massicci, ricordano più un carro armato che un sofisticato diffusore hifi!

    Sul davanti si notano i tre driver e l’uscita bass-reflex, mentre sul pannello posteriore troviamo la presa XLR per l’ingresso bilanciato, due prese XLR per audio digitale AES3 e collegare più diffusori in serie, alimentazione e interruttore, presa USB per collegare un pc per le regolazioni del DSP, un piccolo display OLED e una rotellina per regolare varie impostazioni (crossover, ottimizzazione dei driver, possibilità di scegliere tra 5 diverse equalizzazioni, di cui due già pre-impostate).

    Ogni driver ha una sezione di amplificazione dedicata: 500W in classe D per il woofer, 300W in classe D per i medi, 50W in classe A/B per il tweeter. Le frequenze di crossover sono a 250Hz e a 3kHz. Da specifiche Adam Audio la risposta in frequenza va da 32Hz a 50kHz, la distorsione armonica totale del 0.4% (sopra i 100Hz) e una SPL a 1m superiore a 124dB.
    Il fatto che siano diffusori a 3 vie permette, rispetto ai 2 vie, di avere un altoparlante  ottimizzato per le medie frequenze, che sono quelle dove passa la maggior parte del segnale audio, uno dedicato agli alti e uno ai bassi. Ogni altoparlante gestisce quindi un range di frequenze più piccolo, permettendo quindi una migliore linearità, a patto che gli ingegneri facciano bene il loro lavoro e gestiscano bene le frequenze di crossover, ovvero quei punti in cui il suono passa da un altoparlante all'altro.
    Le basse frequenze (32-250Hz) sono gestite da un nuovo driver di casa Adam Audio da 9” realizzato espressamente per la serie S..
    Per i medi c’è un interessante driver da 4” ibrido cupola/cono in composito di carbonio. Il driver è collocato in una guida d’onda concepita per favorire la dispersione del suono in senso orizzontale e limitarla invece verticalmente, questo per creare un’immagine larga con uno “sweet spot” ampio e ridurre le riflessioni del suono su superfici orizzontali poste di fronte al punto di ascolto (parlando di monitor si intende una console di mixaggio).

    Per gli altri (sopra i 3kHz) c’è il nuovo tweeter a nastro S-ART con la sua guida d’onda HPS (“high propagation system”), che come per i medi è progettata per offrire uno sweet spot molto ampio orizzontalmente.

    DSP
    Come si diceva prima, c’è la possibilità di accedere dal retro dei diffusori a un menù impostazioni che permettere di accedere alla regolazioni DSP e a 5 preset di equalizzazione.

    Se non fosse agevole accedere al retro dei diffusori, c’è la possibilità di fare queste regolazioni da pc, tramite una presa USB, utilizzando il software di controllo.
    Le due equalizzazioni preimpostate sono “Pure” (curva piatta) e UNR (Uniform Natural Response), una curva creata da Adam con una moderata accentuazione di basse e alte frequenze.

    Si può intervenire su 8 bande di equalizzazione: high shelf, low shelf e 6 filtri parametrici che permettono fino a +/-12dB di regolazione da 20 a 20kHz.
    Segnalo solo che le modifiche impostate via software hanno bisogno di qualche decina di secondi per essere memorizzate nei diffusori.
    Posizionamento
    Nel mio caso il posizionamento non ha richiesto molto tempo. Ho lasciato i richiesti 40cm di spazio dalla parete posteriore. Ho messo i due diffusori a circa 180cm l’uno dall’altro con un punto di ascolto a circa 3m. Gli S3V hanno suonato subito bene, con un’immagine ampia e coerente.
    Risposta in frequenza

    La risposta in frequenza è quella tipica di un monitor professionale: perfettamente lineare su tutta la gamma. Le basse frequenze cominciano a decadere poco dopo i 36kHz.
    Non ascoltando musica dal mio impianto in uno studio professionale o in un ambiente d’ascolto ottimizzato, ho equalizzato il segnale che va ai diffusori usando un software di correzione ambientale (Dirac).
    Qui vi riporto la risposta in frequenza reale misurata con Dirac e una possibile curva target (tipo Harman😞

    E questa come dovrebbe apparire la risposta in frequenza in seguito alla correzione del software:

     
    La correzione apportata da Dirac è assolutamente efficace. Posso dirlo con certezza, perché in questi giorni sto avendo qualche problema con l'ultima release di Dirac, per cui non posso usarlo. La differenza è come tra il giorno e la notte!
    L’ascolto
    Ok, veniamo alla parte più interessante: come suonano queste S3V?
    La prima cosa che mi ha colpito è l’ampiezza e l’accuratezza dell’immagine che restituiscono, così come il fatto di avere uno sweet spot di ascolto effettivamente piuttosto esteso.
    C’è poi una sensazione di linearità e chiarezza lungo tutto lo spettro che colpisce molto.
    Bassi e medio bassi ci sono tutti, chiari, precisi, controllati, senza una sbavatura e con tutta la potenza che serve quando serve. Nella regione dei bassi profondi (sotto i 40Hz) si comincia a perdere sotto i 36Hz. Chi avesse la necessità di arrivare così in basso (non è che sia tanta la musica registrata che ci arriva), un subwoofer permetterebbe di arrivare ai 20Hz o poco più (Adam Audio realizza anche degli ottimi subwoofer), sempre che le nostre orecchie ci arrivino e che non ci si complichi troppo la vita con il setup del sub.
    La riproduzione della gamma media è semplicemente eccellente, per chiarezza, precisione, dettaglio e dinamica. E’ realmente difficile mettere in difficoltà questi diffusori, anche con le partiture più complesse. La voce umana suona naturale e reale.
    Negli alti, i tweeter a nastro S-ART fanno un gran lavoro, raffinati e dettagliati nel rendere gli strumenti che arrivano fin qui, tipicamente gli strumenti a percussioni.
    Vediamo ora qualche prova “sul campo”.
    Disco 1
    Ligeti, L’escalier du diable, Pierre Laurent Aimard, pianoforte.
    Sony Classical, 1996. FLAC 44,1kHz/16bit.

    Un brano questo che sembra composto per mettere alla frusta il pianista, ma anche gli impianti hifi. Grandi dinamiche, cambi di registri improvvisi, la tastiera usata in tutta la sua estensione, suono percussivo, ma anche brevi tratti di sonorità ovattate. Pierre Laurent Aimard lo suona con passione e una buona dose di furore. La registrazione è ottima. Il pianoforte è ben centrato davanti a noi, nonostante i continui cambi di registro (quante volte capita di sentire dei pianoforti con i bassi da un lato e gli alti dall’altro?). Si sentono bene le risonanze della sala in cui è stato registrato, soprattutto quando Aimard pesta sulle note più acute. I transienti sono perfettamente gestiti. Le S3V non si scompongono mai durante tutto il brano. Il finale, con il pianoforte che viene lasciato risuonare dopo gli ultimi accordi per diversi secondi, è da brivido!
    Disco 2
    King Crimson, "Starless" da "Radical action to unseat the hold of monkey mind".
    DGM 2016. FLAC 44,1kHz/24bit.

    Questo disco del 2016 riprende alcuni pezzi storici dei King Crimson. Parlando di Starless questa nuova registrazione è decisamente migliore di quella  del 1976 presente nell'album Red.
    La formazione non è più la stessa, basti pensare che il mitico batterista Bill Bruford è sostituito da addirittura tre batteristi.
    Il riff di basso in apertura di Tony Levin è pieno, caldo e accattivamente. L'ingresso della chitarra Robert Fripp, acida al punto giusto e finalmente in primo piano rispetto alla vecchia incisione, regala un brivido di soddisfazione a tutti i fan, così come la voce calda e possente di Jakko Jakszyk. Ma la vera sfida di questa registrazione è la ripresa dei 3 diversi drumset:

    OK, è difficile rendere un palcoscenico così ampio, ma il risultato è comunque realistico e il contributo di ogni singolo batterista/percussionista si distingue in modo chiaro dagli altri.
    Disco 3
    Beethoven, sinfonia n.5, Musicaeterna, dir.Teodor Currentzis, Sony Classical, 2020. FLAC 96kHz/24bit.

    Teodor Currentzis con la sua compagine Musicaeterna si esibisce in una (a tratti) feroce interpretazione della quinta sinfonia di Beethoven. Il disco ci offre un sofisticato esempio di ingegneria sonora. Ogni gruppo di strumenti è chiaramente distinguibile all'interno della trama sonora e nello spazio. Dal contrabbasso al flauto piccolo si sentono tutti ed ognuno ha una precisa collocazione nello spazio, con un'effetto di tridimensionalità sorprendente, anche se un po' artificioso. 
    Disco 4
    Fiona Apple, Fetch the bolt cutters.
    Epic, 2020. FLAC 48kHz/24bit.
     

    L'ultimo formidabile lavoro di Fiona Apple è stato registrato in casa, con una produzione ridotta all'osso. Pochi strumenti, molte percussioni e di ogni genere (Fiona usa anche una scatola contenente le ossa del suo compianto cane) e su di tutto la voce della Apple, che mai come in questo disco appare messa a dura prova.  Tutto converge nel trasmetterci un messaggio di rabbia e viscerale insoddisfazione. Un inaspettato e violento pugno nello stomaco. E le nostre S3V che ci restituiscono la voce di Fiona Apple senza filtri di qualsiasi tipo, in tutta la sua ruvida  e sconcertante bellezza.
    Disco 5
    Avishai Cohen Trio, "Beyond" da "From the darkness".
    Razdaz, 2015. FLAC 96kHz/24bit.

    Il grandissimo contrabbassista israeliano Avishai Cohen qui in trio con il pianista Nitai Hershkovits e il batterista Daniel Dor in un bellissimo disco Jazz del 2015. Beyond è la prima traccia del disco e si apre con una travolgente e dinamica progressione. Con le S3V mi sento letteralmente scaraventato sul divano. Il contrabbaso di Cohen è potente è sempre in evidenza, il piano di Hershkovits limpido e con una notevole gamma dinamica, la batteria di Dor straordinariamente spumeggiante. Una gioia da ascoltare!
    Disco 6
    Schumann, Myrthen. Christian Gerhaher, baritone, Camilla Tilling, soprano, Gerold Huber, pianoforte.
    Sony Classical, 2019. FLAC 96kHz/24bit.

    Lo Schumann giovanile dei Myrthen affidato alle voci di Gerhaher e Tilling e al pianoforte di Huber. Una bellissima interpretazione valorizzata da un'ottima qualità della registrazione.
    Il pianoforte di Huber è ben presente, il suono è pieno e caldo, leggermente in secondo piano, com'è giusto che sia. La voce della Telling chiara, brillante, a volte volutamente fragile. Quella di Gerhaher più matura, calda ed ambrata. Possiamo tranquillamente chiudere gli occhi e immaginare gli interpreti sul palco davanti a noi.
    Disco 7
    Gustav Mahler, sinfonia n.2 "Resurrezione". Budapest Festival Orchestra, coro della radio ungherese, Lisa Milne soprano, Birgit Remmert contralto, Ivàn Fischer direttore.
    Channel Classics, 2006. FLAC 192kHz/24bit.

    La seconda sinfonia di Mahler è un'opera mastodontica che prevede un'orchestra decisamente rinforzata (10 corni, 8 trombe, 2 arpe, organo, 5 percussionisti), un soprano, un contralto e un coro.
    Probabilmente uno dei peggiori incubi per gli ingegneri del suono, che in questo caso fanno un lavoro davvero impressionante. A differenza della quinta di beethoven con Currentzis, in cui il punto di vista sembra essere quello del direttore d'orchesta che ha tutti gli strumenti intorno a sé, qui sembra di essere seduti in mezzo alla platea con l'orchestra ad una certa distanza e il suono dei vari strumenti dell'orchestra che si amalgamano perfettamente insieme.  Preferisco questa impostazione, meno radiografica e più  vicina al vero.  Voci, coro e tutti i gli elementi dell'orchestra sono ben identificabili, ma alla stesso tempo parti di un tutto più ampio, con una dinamica che sembra non aver mai fine. Complimenti agli ingegneri di Channel Classics!
    Conclusioni
    Spesso le recensioni che si trovano online di materiale di questo tipo sono fatte da professionisti che li usano quotidianamente per lavoro. Non è questo il caso mio, che invece ne faccio un uso assolutamente ludico, per cui invito i professionisti capitati su questa pagina a prendere tutto quello che ho scritto fin qui e le mie conclusioni "cum grano salis". 
    Personalmente, il passaggio da un paio di diffusori passivi agli S3V per me ha rappresentato un miglioramento notevole della mia esperienza di ascolto. Linearità e estensione della risposta in frequenza, dettaglio, dinamica, immagine, non c’è un parametro che non sia migliorato in modo significativo. Penso che per fare di meglio in ambito hifi (intendo non nel contesto dell’attrezzatura professionale) bisognerebbe spendere molto, molto di più. In fondo stiamo parlando di un diffusore a 3 vie con un sistema di amplificazione che arriva a 850W  di potenza complessiva. Roba che nelle boutique hifi vengono vendute a costi esorbitanti.
    Chiaramente questi sono diffusori che non perdonano: se da un lato sono in grado di valorizzare tutte le incisioni di buona qualità,  facendocene apprezzare tutte le sfumature, dall’altro sono spietati con quelle mediocri e non potrebbe essere diversamente. Sono pensati per chi predilige una riproduzione audio analitica e più neutra possibile, ma, come avete visto, oggi c'è la possibilità di lavorare sull'equalizzazione in maniera semplice e efficace per ottenere un suono complessivo più adatto ai nostri gusti o al genere musicale che stiamo ascoltando.
    Pro
    Prestazione audio complessivamente eccellente Immagine stereo ampia, stabile e coerente Ampiezza dello sweet spot di ascolto C'è una riserva di potenza a disposizione impressionante Rapporto qualità/prezzo molto elevato se paragonato al mondo hifi non professionale, non saprei dire invece per l'ambito professionale dove in questa fascia di prezzo ci sono altri concorrenti (Neumann, Genelec, etc), che non ho avuto la fortuna di ascoltare. Contro
    Aspetto: sono strumenti professionali, non di arredamento. L’estetica non fa parte dei loro punti di forza Software di controllo migliorabile Manca una griglia frontale per ripararli dalla polvere, cosa frequente in tutti i monitor professionali.  Mancano una manciata di Hz nei bassi profondi per avere una risposta in frequenza perfetta
  17. happygiraffe
    Michael Tilson Thomas:"You come here often?"; Teddy Abrams, Concerto per pianoforte.
    Yuja Wang, pianoforte; Louisville Orchestra, dir.Teddy Abrams.
    DG 2023
    ***
    Yuja Wang, oltre essere una pianista fenomenale, è anche una ragazza estroversa e esuberante. Basta ascoltare qualche intervista o guardare il suo abbigliamento ai concerti o anche solo la copertina di questo disco per capirlo.
    E si deve essere divertita molto a suonare i pezzi di questo disco, composti per lei dagli amici Teddy Abrams e Michael Tilson Thomas.

    Il concerto per pianoforte di Abrams doveva essere un pezzo da affiancare in concerto alla Rhapsody in Blue di Gershwin, che ha il difetto di durare solo 16 minuti, ma poi il nostro compositore si è fatto un po' prendere la mano e ne è uscito un pezzo di circa 40 minuti. E' una sorta di pastiche che contiene un po' di tutto, da Gershwin appunto, ai musicals, alla musica da film (e forse pure da telefilm) e molto altro, pensato per mettere in risalto le mirabolanti qualità tecniche della Wang. E' musica leggera, frizzante, spensierata e divertente. Fa battere il ritmo con il piede e mette di buon umore. Si ascolta volentieri, insomma, ma 40 minuti sono tanti e può diventare un po' stucchevole.
    Apre il disco un breve pezzo del direttore d'orchestra e compositore Michael Tilson Thomas "You come here often", lo stile è sempre molto brillante, ma più riflessivo. Perfetto per i bis pirotecnici dei concerti di Yuja!
    In sinstesi un programma molto brillante, suonato divinamente dalla Wang (e come poteva essere diversamente?), di facile ascolto, ma non so di quanto facile riascolto (forse quando abbiamo bisogno di tirarci su il morale?). 
     
     
     
  18. happygiraffe
    Robert Schumann, integrale dei lieder.
    Christian Gerhaher (baritono), Anett Fritsch, Julia Kleiter, Christina Landshammer, Sybilla Rubens, Camilla Tilling (soprani), Stefanie Iranyi, Wiebke Lehmkuhl (mezzosoprani), Martin Mitterrutzner (tenore), Gerold Huber, James Cheung (pianoforte).
    Sony Classical, 2021.
    Cofanetto da 11 CD oppure disponibile in streaming su Qobuz in 96-724.
    ***
    Arriva finalmente a compimento l'integrale dei Lieder di Schumann da parte del baritono tedesco Christian Gerhaher, affiancato dal pianista Gerold Huber e da una compagine di altri 8 cantanti. Dello Schumann di Gerhaher avevamo gia parlato su queste pagine (Qui e ancora qui) e questo bel cofanetto di ben 11 CD arriva a suggello di un percorso iniziato nel 2004.
    Se da un lato vengono ripresi alcuni dischi recenti, Frage e Myrthen del 2018 e 2019, e meno recenti, come Melancholie del 2007 e alcune registrazioni del 2004, dall'altro questa raccolta è ricca di novità e di qualche significativa rilettura, come ad esampio di Dichterliebe e dell'Op.90.
    Gerhaher è uno specialista di Schumann e la sua voce ambrata e così ricca di sfumature fa meraviglie. Le sue interpretazioni si adeguano alle diverse opere e al periodo in cui furono composte: dai toni vibranti e ardenti delle opere giovanili a quelli più riflessivi e tormentati dei lavori della maturità. Prevale comunque spesso la sensazione di uno Schumann intimo e perso in un suo mondo interiore. Qui siamo nel cuore del Romanticismo, dove musica e letteratura vanno a braccetto, producendo risultati artistici di sublime bellezza. 
    Incantevoli anche le composizioni nelle quali Gerhaher, che nel complesso fa la parte del leone, si alterna o si unisce agli altri cantanti, che certamente non sfigurano (quasi) mai. Si distinguono le bravissime Julia Kleiter e Camilla Tilling.
    Accompagna i dischi un sostanzioso libretto di più di 200 pagine, che purtroppo non riporta la traduzione dei testi tedeschi.
    Sembre molto buona la qualità della registrazione, che riesce a mantenere una certa coerenza, nonostante l'arco temporale ampio delle diverse incisioni.
     
  19. happygiraffe
    E’ uscita da poco un sontuoso cofanetto di 48 cd dedicato al pianista tedesco Walter Gieseking (1895-1956). Non è disponibile digitalmente, ma Warner ha comunque pubblicato diversi album in formato liquido rimasterizzati in alta risoluzione.
    Gieseking fu un pianista straordinario e un personaggio curioso e geniale. Nacque in Francia, a Lione, dove il padre entomologo soggiornò diversi anni alla ricerca di nuovi lepidotteri da catalogare, e fino a 16 anni studiò il pianoforte praticamente da autodidatta. Fu solo al rientro in Germania che si iscrisse al conservatorio di Hanover, ma nel frattempo aveva studiato un repertorio già sorprendentemente ampio. Si dice che Gieseking passasse molto più tempo a studiare le partiture lontano dal pianoforte, che non a esercitarsi sul suo strumento. Dotato di una memoria formidabile, memorizzava i pezzi semplicemente leggendoli e analizzandoli. 
    La sua carriera di pianista prese il volo nel periodo tra le due guerre, quando si esibì in tutta Europa e spesso anche negli USA.
    Più difficile fu invece la ripresa dell’attività concertistica nel secondo dopoguerra, specialmente negli USA, dove veniva accusato di collaborazione culturale con il regime nazista. Nel 1947 venne prosciolto da queste accuse, ma è solo del 1953 il suo ritorno trionfale alla Carnegie Hall di New York.
    Gieseking ebbe un’importanza notevole nella storia del disco: fu il primo a incidere le opere integrali di Claude Debussy e Maurice Ravel, incisioni per le quali viene ricordato ancora oggi. Sorprendono ancora oggi la raffinatezza timbrica del suo modo di suonare, così come la sensibilità e la fantasia con cui era in grado di dar vita alle pagine di quei compositori. Fu probabilmente il primo a creare un mondo sonoro, che ancora oggi associamo a quella musica.


    Riascoltare oggi il suo Debussy e il suo Ravel, così come Mozart, le cui sonate incise integralmente, ci permette di (ri-)scoprire un pianista di una finezza straordinaria.
    Sono davvero incredibili le sonorità che riesce a creare in alcune pagine di Ravel e Debussy. Mi vengono in mente, ad esempio, Ondine da Gaspard de la nuit di Ravel e Des pas sur la neige dai Préludes di Debussy.

    Una curiosità finale sul personaggio: come suo padre, anche Gieseking coltivava la passione delle farfalle, al punto che due sottospecie di farfalla hanno preso il suo nome: Giesekingiana e Walteri
     
  20. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Beethoven: Variazioni e fuga "Eroica" Op.35; 6 variazioni WoO  77; 32 variazioni in do minore WoO 80.
    Bruno Leonardo Gelber, pianoforte.
    Orfeo, 2016.
     
    ***
    Mi chiedevo perché la rivista francese Diapason abbia recentemente deciso di premiare con il suo "diapason d'oro" questo disco del 2016 di una registrazione del 1983 del pianista Bruno Leonardo Gelber.
    La risposta è venuta naturale con l'ascolto: dovevano riparare all'onta di non averlo fatto prima!
    Bruno Leonardo Gelber è un pianista argentino nato nel 1941 a Buenos Aires e allievo dello stesso Vincenzo Scaramuzza che fu maestro di Martha Argerich. Ha avuto una lunga carriera internazionale e ha inciso per lo più per Denon e Emi, ma per qualche  motivo è stato un po' trascurato dai media, specialmente negli ultimi anni.

    In questo disco suona le variazioni Eroica, le variazioni facili WoO 77 e le 32 variazioni in do minore WoO 80. Le interpreta con una naturalezza, una limpidezza che non rinunciano, al contrario, al brio e alla fantasia. Troviamo uno slancio e allo stesso tempo una sapienza interpretativa che tolgono letteralmente il fiato.
    E' molto buona anche la qualità della registrazione, che restituisce un'immagine dello strumento molto omogenea e coerente.
    Un disco che non posso che raccomandare molto caldamente.
  21. happygiraffe

    Recensioni : orchestrale
    Bottesini: Gran Duo concertante
    Piazzolla: Le Grand Tango
    Rota: Divertimento concertante Ödön Rácz, contrabbasso.
    Noah Bendix-Balgley, violino.
    Franz Liszt Chamber Orchestra
    Speranza Scapucci, direttore.   Deutsche Grammophon, 2019   *** Ammetiamolo, tra gli strumenti ad arco il contrabbasso è sicuramente quello più trascurato dai compositori, pur rivestendo un ruolo fondamentale all'interno dell'orchestra.  Stupisce quindi vedere che DG pubblichi un disco interamente dedicato a musiche per contrabbasso.
    Qui è il virtuoso ungherese Ödön Rácz che si cimenta con alcune delle pagine più note (agli esperti!) composte per questo strumento: il Gran Duo Concertante di Bottesini e il il Divertimento Concertante di Nino Rota.
    Giovanni Bottesini (1821-1889) fu un celebre contrabbassista, compositore e direttore d'orchestra ottocentesco, noto come il "Paganini del contrabbasso". Fu autore di diverse composizioni per questo strumento, tra cui questo Gran Duo concertante, qui nella trascrizione per contrabbasso e violino dall'originale (meno nota) per due contrabbassi. 
    Si tratta di un bel pezzo di bravura, assolutamente godibile. Ho trovato tuttavia più interessante la seconda parte del programma, con il Divertimento Concertante per contrabbasso e orchestra di Nino Rota (1911-1979). Notissimo e prolifico compositore di musica per film (realizzò 157 colonne sonore!), Rota ebbe anche una consistente produzione di musica classica tradizionale di stampo neoclassico.
    Questo Divertimento Concertante ha una storia particolare. Bisogna sapere che Rota insegnò a lungo al Conservatorio di Bari e ne fu direttore dal 1950 fino al 1977. Nella stanza sopra il suo ufficio dal 1967 si tenevano i corsi di contrabbasso tenuti dal grandissimo virtuoso Franco Petracchi, che gli commissionò un'opera per il suo strumento. Il Divertimento fu composto tra il 1967 e il 1969. Se il secondo movimento, " Marcia", riprende scherzosamente alcuni degli esercizi che Petracchi faceva fare ai suoi allievi e che il povero Rota era costretto a sentire tutti i giorni dal piano di sotto, il terzo movimento "Aria", fu in origine composto per la colonna sonora del film "Dottor Zivago", progetto che poi per varie ragioni fallì e fu affidato a Maurice Jarre, che ci vinse l'Oscar.
    Il Divertimento Concertante è un lavoro brillante, pieno di humour e di momenti vivaci, così come di momenti più riflessivi e malinconici, come nel terzo movimento. Ricorda spesso il Prokofiev più sereno e scherzoso.
    Ödön Rácz è un grande: suona il suo contrabbasso con una sensibilità difficilmente immaginabile e riesce a farlo cantare con la grazia e la dolcezza dei suoi fratelli più piccoli.
    In sintesi, un disco molto piacevole, che raccomando volentieri!
  22. happygiraffe
    Igor Stravinsky: Concerto per violino e orchestra in re maggiore e composizioni da camera.
    Isabelle Faust, violino; Les Siècles, dir.François-Xavier Roth.
    Harmonia Mundi, 2023.
    ***
    Ho sempre trovato Stravinsky un compositore piuttosto controverso. Geniale nel rompere con la tradizione con l’innovativa e scandalosa (per il pubblico parigino del 1913) Sagra della Primavera, eclettico nel passare successivamente a un linguaggio volto alla reinterpretazione dei modelli classici, per poi clamorosamente approdare alla musica dodecafonica e seriale, ma a modo suo, ovvero con un occhio rivolto al tempo stesso alla musica polifonica rinascimentale. 
    Prolifico ogni oltre misura, difficile da etichettare, a volte mi chiedo cosa rimanga di Stravinsky a 110 anni da quella serata di maggio al Théatre des Champs-Elisées in cui sconvolse il pubblico parigino e mi accorgo che mi trovo ad apprezzare più il suo periodo neoclassico di quelli precedenti, per non parlare di quello successivo dodecafonico.
    In quest’ottica, del tutto personale, mi è piaciuto moltissimo questo disco della violinista tedesca Isabelle Faust con l’orchestra Les Siècles, nota per il fatto che suona strumenti dei primi del ‘900, e del suo direttore François-Xavier Roth.
    Questo disco idealmente segue questi due dischi, entrambi del 2021:


    Qui il concerto per violino occupa gran parte del programma, per la restante parte parte composto da musica da camera.
    Composto nel 1931, il concerto per violino si discosta completamente dai modelli del concerto romantico e tardoromantico, puntando invece a un’oggettività neoclassica, priva di sentimentalismi e virtuosismi. In quello che la Faust chiama un concerto brandeburghese del XX secolo, il violino dialoga principalmente con gli strumenti a fiato in una partitura quasi cameristica, orchestrata magistralmente in un gioco di colori e richiami timbrici, in cui l’orchestra Les Siècles, dal suono così diverso da quello lussureggiante e setoso delle moderne orchestre, fa meraviglie.
    Questa lettura del concerto mi ha stupito per il grande equilibrio, la chiarezza della trama e la raffinatezza timbrica, con la Faust che dialoga con gli altri strumenti senza mai volerli sovrastare.
    Seguono il concerto alcune brevi composizioni da camera: i tre pezzi per quartetto d’archi del 1914 (sensazionale il terzo!), il Concertino per quartetto d’archi (1920) in un unico movimento, l’incantevole e elegante Pastorale nella trascrizione del 1933 per violino (al posto della voce), oboe, corno inglese, clarinetto e fagotto e per finire il brevissimo doppio canone per quartetto d’archi.
    Tirando le somme, un disco eccellente e ottimamente registrato, con una versione finalmente convincente del concerto per violino e una serie di composizioni di camera che è stato un piacere scoprire.

     
     
     
  23. happygiraffe
    Stravinsky: Serenata in La.
    Prokofiev: Sarcasms, Op. 17.
    Prokofiev: Sonata No. 8, Op. 84.
    Prokofiev: Cenerentola - Tre pezzi per pianoforte, Op. 95, Gavotta.
    Stravinsky: L'Uccello di Fuoco (Trascrizione di Guido Agosti).
    Prokofiev: Concerto per pianoforte No. 2, Op. 16.
    Stravinsky: Tre movimenti da Petrouchka.
    Scriabin: Concerto per pianoforte Op. 20.
    Daniil Trifonov, pianoforte, Mariinsky (Kirov) Orchestra, Valéry Gergiev.
    DG 2020
    ***
    E’ curioso seguire le carriere parallele di quelli che probabilmente sono le due superstar maschili del pianismo odierno e che casualmente provengono dalla stessa città. Parlo di Igor Levit e Daniil Trifonov, entrambi nati a Nizhny Novgorod (Gorky) a pochi anni di distanza. In realtà, al di la della città natale in comune, le similitudini tra i due si fermano qui. Tanto Levit, che poi ha studiato in Germania, è ancorato al repertorio classico tedesco (Bach, Beethoven, Schumann, Brahms) con puntate nella musica moderna e contemporanea, quanto Trifonov predilige il repertorio pianistico più virtuosistico, da Chopin a Liszt, fino a Rachmaninov. Tanto Levit sembra seguire un approccio più intellettualistico (l’ultimo disco, Encounter, sembra portarci in un viaggio tanto introspettivo e riflessivo da risultare alla fine piuttosto difficile da digerire), quanto Trifonov in quest’ultimo disco sembra divertirsi con gli aspetti più scintillanti e esteriori del modernismo russo dei primi del ‘900.
    “The Silver Age”, così hanno voluto intitolare questo disco, ha un programma molto eterogeneo di musiche per piano solo e per piano e orchestra di Stravinsky, Prokofiev e Scriabin. 
    In realtà forse è proprio il programma il punto debole di questo disco: troppo vasto, poco coeso, con una scaletta poco intuitiva. E cosa c’entra poi il giovanile e chopiniano concerto di Scriabin? Come se si fosse voluto trovare qualcosa per riempire il secondo disco…
    Al di là di queste mie perplessità, ho trovato le interpretazioni di Trifonov in questo disco sempre di ottimo livello quando non straordinarie. A partire dalla Serenata in La di Stravinsky e dai Sarcasmes di Prokofiev, pezzi se vogliamo minori, ma comunque interessanti e piacevoli, resi con grande energia e brillantezza. 
    Segue la misteriosa e sempre difficile da interpretare sonata n.8 di Prokofiev, certamente la meno drammatica del trio delle sonate “di guerra”. I tempi sono misurati, non eccessivamente rapidi nel  primo movimento come spesso si sente da altri pianisti. Pur non mancando momenti di grande poesia, non ho trovato questa interpretazione migliore di altre recenti (Osborne, Melnikov), per non parlare della distanza che la separa dalla potenza evocativa del grande Gilels, ma quelli erano altri tempi e sensibilità diverse.
    Passiamo quindi a quelli che mi sono parsi i momenti migliori di questo doppio album, ovvero le trascrizioni dell’Uccello di Fuoco di Stravinsky di Guido Agosti e quella celebre di Petroucka dello stesso Stravinsky. E’ interessante confrontare entrambi i pezzi con le interpretazioni contenute nell’ultimo bellissimo disco di Beatrice Rana. Se Rana era straordinaria nel ricreare i colori e l’energia dell’orchestra,  Trifonov predilige una lettura di stampo puramente neoclassico: il suono è limpido e cristallino, non sembra di ascoltare alcune delle pagine più difficili del repertorio pianistico del ‘900 (Weissenberg confessava che la prima che ha guardato la partitura di Petrouchka aveva pensato che gli servisse una terza mano!) tanto tutto sembra uscire facilmente dalle mani prodigiose del russo. L’interpretazione di Petrouchka è meno istrionica rispetto ad alcune esibizioni dal vivo che si trovano in rete e anzi ricorda quella che doveva essere la grazia dei balletti russi dei primi del ‘900. 
    Nella seconda parte di questo doppio album, Trifonov è accompagnato dall’orchestra Mariinsky diretta da Gergiev nel secondo concerto di Prokofiev e in quello di Scriabin. 
    Il concerto di Prokofiev suona energico e scintillante, con l’orchestra che ben supporta il suono preciso e ricco di sfumature del suo solista. L’interpretazione è nel complesso di ottimo livello, anche se rispetto ad altre può apparire meno coinvolgente.
    Il concerto di Scriabin, eseguito davvero di rado, è quello che è: un lavoro giovanile, se pur molto brillante, e poco rappresentativo del genio del compositore che ancora doveva rivelarsi. 
    In conclusione, un album che contiene momenti di grande bellezza (la Serenata, i Sarcasmes, l’Uccello di fuco e Petrouchka), ma che soffre di un programma davvero ipertrofico e non sempre allo stesso livello. Trifonov ha comunque due mani straordinarie, per cui, al di là delle nostre preferenze, ne raccomando in ogni caso l’ascolto.
  24. happygiraffe
    È un universo piuttosto animato e affollato quello che Robert Schumann ricreava con le sue composizioni per pianoforte! Personalità complessa e profondamente intrisa di cultura letteraria, Schumann amava affidare le varie sfaccettature del suo io a diversi personaggi che popolano i suoi lavori: a cominciare dal focoso e battagliero Florestano e il suo opposto, il sensibile e malinconico Eusebio, i due protagonisti della “lega dei compagni di Davide” che si battono contro il conservatorismo dei cosiddetti filistei; ma poi abbiamo anche i compositori suoi contemporanei Paganini e Chopin, le amiche Chiarina ed Estrella, le maschere della commedia dell’arte (tutti questi in Carnaval), un bambino e un poeta (in Kinderszenen), un cacciatore e addirittura un uccello profeta (in Waldszenen).
    Ma anche quando non compaiono esplicitamente nei titoli, sono i suoi due alter ego Florestano e Eusebio, con i quali Schumann firmava anche i suoi articoli sulla Neue Zeitschrift für Musik, la rivista musicale che aveva fondato insieme al suo insegnante e futuro suocero, che ricorrono più spesso in tutta la sua musica.
    Compositore e pianista al tempo stesso, almeno fino a quando non si infortunò gravemente alla mano e dovette cessare l'attività di concertista, Schumann compose moltissimo per il suo strumento. Ad eccezione delle tre sonate e della Fantasia, le opere pianistiche di Schumann sono prevalentemente raccolte di pezzi brevi, a volte brevissimi, incisivi, debordanti di folgoranti idee musicali, con uno stile compositivo immediatamente riconoscibile. 
    Qui di seguito abbiamo un elenco di ottimi dischi dedicati alla musica per pianoforte di Schumann. Nella selezione abbiamo spaziato nell'arco di diversi decenni, senza però andare fino alle incisioni storiche eccessivamente datate.
    Cominciamo dai russi e dal sommo Richter, che ci ha regalato incisioni meravigliose dedicate a Schumann.
    Qui le sue strepitose Waldszenen:

    La Fantasia:

    Memorabile anche questo disco della Regis (ma che ricompare periodicamente sotto altre etichette) con gli Etudes Symphoniques e i Bunte Blaetter:

    Un altro grandissimo interprete schumaniano è stato il mitico Horowitz, con un approccio totalmente agli antipodi da quello di Richter.
    Qui nelle Kinderszenen e nella Kreisleriana:

    Qui invece alle prese con Humoreske e terza sonata:

    Ci piace segnalare tra i russi anche il bravissimo Youri Egorov, purtroppo scomparso giovanissimo:

    Lasciando i pianisti russi, ma rimanendo ad Est, arriviamo a Geza Anda, purtroppo ultimamente un po' trascurato dalle etichette discografiche. Ricordo un doppio album della DG dedicato interamente a Schumann, ma ormai fuori catalogo da un pezzo. Vi propongo questo disco della Testament:

    Tra i tedeschi come non citare il grandisimo Wilhelm Kempff. Un economico cofanetto contenente cinque dischi incisi tra la fine degli anni '60 e gli inizi degli anni '70:

    C'è poi la generazione fortunata di Argerich, Pollini, Perahia, Ashkenazy e Lupu, ormai tutti oltre i 70 anni. Ecco alcuni dei loro migliori dischi dedicati a Schumann.
    Le Davidsbuendlertaenze di un giovane Perahia che rivelano la sua straordinaria affinità per il compositore tedesco:

    al quale fa idealmente seguito questo disco in cui un Perahia più maturo affronta la Kreisleriana e la prima sonata:
     
    E poi l'incantevole Schumann di Radu Lupu:

    agli antipodi dall'energico Pollini, sia in versione giovanile:

    che più matura:


    Non dimentichiamo l'integrale realizzata da Ashkenazy, già nell'era digitale, ora disponibile a un ottimo prezzo:

    Anche con Schumann la zampata felina di Martha Argerich ha lasciato il segno:

    In questi ultimi anni, invece, il polacco Piotr Anderszerwski si rivelato per uno dei migliori interpreti di Schumann. Bellissimo questo disco:

    Chiudiamo questa carrellata con le memorabili Waldszenen di Arcadi Volodos in questo bellissimo disco dal vivo:

    Chiudiamo qui la nostra personalissima selezione dedicata a chi voglia lanciarsi nel mondo di Schumann. Ovviamente se volete segnalarci altre incisioni, potete farlo qui di seguito!
  25. happygiraffe
    Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Silvio Renesto il 15 agosto 2016 su nikonland.eu.
     
    La fotografia di Nick Brandt è unica, fortemente coinvolgente ed ha un solo scopo:  celebrare, non documentare, la bellezza, di più, la  grandezza della natura africana minacciata di distruzione. Nick Brandt fotografa per  consegnare questa natura  alla memoria, prima che scompaia, ma  lo fa nella speranza che qualcuno si muova in tempo per preservare quel che ne rimane.
    Nick Brandt nasce nel 1964 in Inghilterra, studia pittura e cinematografia alla Saint Martin's School of Art. All'inizio degli anni 90 si trasferisce negli USA dove dirige alcuni video musicali di successo tra cui uno con Michael Jackson.
     
     
     
    Nel 1995, durante le riprese di uno di questi video (Earth Song) ambientato in Tanzania, si innamora della natura e degli animali d'Africa. Per alcuni anni cerca di trasmettere senza successo le sue sensazioni nei confronti di questa terra.
    Poi ha un'intuizione, esprimerà questo sentimento tramite la fotografia, ma una fotografia diversa.
     
    Brandt infatti sceglie di fotografare in un modo completamente diverso da quasi tutti gli altri fotografi naturalisti. Le sue immagini sono molto lontane dalla vivacità di colori e dal dinamismo che si incontra nella quasi totalità della fotografia naturalistica di oggi. 
     

     
    Nick Brandt fotografa in bianco e  nero su pellicola medio formato e non usa teleobiettivi potenti perchè, secondo lui, sono di ostacolo nel catturare l'essenza degli animali, secondo Brandt, con gli animali è come con le persone, non puoi rivelarne la personalità con un ritratto  ripreso da lontano a loro insaputa.
    Devi essere vicino, presente (viene da chiedersi cosa faccia o cosa abbia per non venire mangiato dai leoni o calpestato da un elefante, come è successo ad altro fotografo famoso, Peter Beard, che se l'è cavata per un soffio).
    Afferma di amare le "sorprese" e le "imperfezioni"  della pellicola, come la luce interagisce in modo inaspettato con il negativo.
    Secondo lui le foto troppo perfette tecnicamente non necessariamente sono migliori o più interessanti.
     

     
     
    Dal 2000 inizia il suo progetto fotografico: non documentare, ma celebrare, la bellezza, direi la grandezza, della natura africana minacciata di distruzione, per consegnarla alla memoria, prima che scompaia, nella speranza che qualcuno si muova per preservare almeno quel che ne rimane.
     
    Il suo lavoro si concretizza in una trilogia di libri i cui titoli formano in sequenza un'unica frase: "On This Earth", "A Shadow Falls", "Across The Ravaged Land" (ossia "Su questa Terra" "Si proietta un'Ombra", "Su di una terra devastata"), oltre a numerosissime mostre.
     
     

     
     

     
     

     
     
     
    Nel 2010 esasperato dal contrabbando di avorio, causa della strage degli elefanti, diviene co-fondatore della Fondazione Big Life, per la conservazione della fauna (e della natura) dell'Africa Orientale, a questo proposito scrive:"There’s little use being angry and passive. Much better to be angry and active." Ossia "serve a poco essere arrabbiati e passivi,. Molto meglio essere arrabbiati e fare qualcosa".
    Come non essere d'accordo.
     
     

     
    La "cosa"  bianca è un cranio di elefante.
     
     

     
     

     
    Nel 2016 pubblica una mostra/installazione ed un  libro intitolati "Inherit the dust" (eredita la polvere) nella quale tramite una serie di imponenti foto panoramiche documenta l'impatto umano nell'Africa Orientale luoghi dove un tempo gli animali vagavano liberi, ora non più. In ogni location, pannelli a  grandezza naturale degli animali sono sovrapposti ad un ambiente di affollamento urbanistico, fabbriche, discariche e cave. 
     
     
     

     

    Non entro nel merito dell'aspetto conservazionistico, perchè lo ritengo un argomento lungo e complesso. Mi limito alla fotografia. 
    E' mia opinione che le sue foto siano il contrario (o comunque molto differenti come approccio) di quello che normalmente si intende come fotografia naturalistica, dove l'animale in genere viene rappresentato in modo da minimizzare o se possibile annullare (o almeno si finge di annullare) la presenza del fotografo.
    Inoltre le sue foto, a mio parere, hanno un certo/elevato grado di elaborazione, non so se digitale o "tradizionale", visto che parte da una pellicola.
     

     
     

     
    Ma questo non è  un giudizio negativo, al contrario.
    Le fotografie di Brandt non vogliono essere neutre oppure accattivanti rappresentazioni della vita animale, vogliono invece essere personali, appassionate testimonianze di un patrimonio di bellezza senza eguali, che  è già in gran parte perduto e presto scomparirà se nessuno farà nulla (come ahimé ritengo probabile). Le foto di Nick Brandt non sono descrizioni, sono... grida. 
     

     
     
    I suoi animali sono fieri, maestosi  o teneri, spesso tragici in un senso shakesperiano, una grandezza sconfitta dalla avidità e dalla meschinità (o forse dalla cinica, puramente darwiniana competizione di una specie molto, molto più aggressiva di quanto farebbero pensare i sui denti poco aguzzi).
     
     
     
     

     
     
     
     

     
     
    Le foto sono per me bellissime  e se non sono "spontanee" nel senso del purismo naturalistico poco importa. Toccano il cuore (a chi ne ha uno). E questo è quel che conta.
    Sono immagini forti, mi ricordano un po' alcune della "Genesi" di Salgado però, pur condividendo a volte  la possanza, quelle di Brandt sono intrise, di tristezza. Avete mai visto l'espressione di un gorilla allo zoo? Fiera e triste, così.
     
    Silvio Renesto per Nikonland
     
     
     
     
     
     
    PS, Tutte le foto sono prese da Internet e © Nick Brandt
     
    PPS Non guardate negli occhi uno scimpanzè invece, avendo il 96% del nostro DNA, un po' della "cattiveria" umana traspare...
     
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