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happygiraffe

Nikonlander Veterano
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Blog Entries pubblicato da happygiraffe

  1. happygiraffe
    Scrivo questo pezzo per condividere con voi la bellezza di alcuni luoghi in cui da anni ho la fortuna di passare qualche giorno di ferie.
    Faccio qualche premessa.
    Molti fotografi più seri di me vengono in questi posti solo per fotografare queste montagne straordinariamente belle. Youtube è piena di video di gente che condivide i propri viaggi fotografici nelle Dolomiti, riprendendo sempre le stesse cime, dagli stessi luoghi. Si alzano all'alba per cogliere i primi raggi di sole indorare le cime, dormono in camper sui passi di montagna.
    Ecco, io non sono tra questi. Io il mio è il punto di vista dell'escursionista.

    Non voglio portarmi sulle spalle troppa attrezzatura pesante. Non posso portarmi dietro la macchina quando arrampico o faccio ferrate impegnative. Voglio godermi la camminata, la giornata all'aperto, i colori, gli odori dei prati e dei boschi. Se poi capita l'occasione giusta e ho dietro la macchina fotografica, beh, ne approfitto! Tante volte ho rimpianto di non averla avuta con me e di essermi dovuto accontentare di qualche scatto con lo smartphone.
    Molte altre volte mi sono trovato nel posto giusto, ma con la luce sbagliata, come qui:

    In fondo non importa, sono contento così.
    Altre volte il cielo minaccioso, che preoccupa l'escursionista che non vuole prendersi tanta acqua, regala al fotografo una luce e dei contrasti incredibili, come nelle foto che seguono, dove ho messo insieme due diverse gite negli stessi posti, ma con condizioni meteorologiche molto simili.
    Siamo dalle parti del Passo Giau, luogo mitico per ciclisti, motociclisti e fotografi!




    Motociclisti e fotografi dal fiato corto spesso si fermano al rifugio al passo, ignorando che dopo una camminata non eccessivamente lunga, ma assai ripida nell'ultimo tratto, si arriva in uno dei posti più fiabeschi che abbia mai visto:


    Qui un'altra vista della Re Gusela (la montagna che sovrasta passo Giau):

    E qui i Lastoi de Formin e la Croda da Lago visti proprio dalla Ra Gusela in un contesto un po' lunare:

    Quest'estate ho avuto modo di passare più volte nella zona Lagazuoi, Fanis, Tofane, attraversando la magnifica Val Travenanzes.
    Quando si è "in alto" i panorami sono letterlamente vertiginosi:





     

    Man mano che si scende gli scenari si fanno più rassicuranti 




    Così come sono rassicuranti e piene di magia le cime dei monti quando il sole al tramonto le accende di arancione:

    L'imponente parete della Tofana di Rozes e qui sotto le Cinque Torri in compagnia di Nuvolau e Averau:

    Molto amate da noi fotografi sono le cime riflesse negli specchi d'acqua, come qui il Becco di Mezzodì che si riflette nel lago Federa (purtroppo non nelle condizioni migliori):

    O qui il Lagazuoi che si specchia nel microscopico lago Limedes:

    Altre volte le mie gite mi portano in luoghi meno spettacolari e fotogenici, ma altrettanto piacevoli:




    Un'emozione particolare mi prende quando riesco a vedere qualche animale, che sia una comunissima marmotta (marmottina in questo caso):

    o uno dei tanti caprioli:

    O i più schivi camosci (quelli bisogna proprio andarseli a cercare, avere fortuna e occhi buoni, possibilmente anche un buon binoccolo Nikon):


    Siamo arrivati alla fine di questa lunga carrellata di immagini. Spero di avervi messo un po' di voglia di visitare questi luoghi nell'unico modo in cui si può conoscerli veramente, ossia camminando . 
     
  2. happygiraffe
    Premessa
    Faccio una breve premessa prima di iniziare la recensione delle Adam Audio S3V.
    Sono passati ormai parecchi mesi da quando ho stravolto il setup del mio impianto hifi e penso che ormai sia arrivato il momento di condividere con voi le mie impressioni.
    Diversi mesi ci aveva impiegato anche l’amico Florestan a convincermi ad abbandonare la tradizionale configurazione con sorgente + pre + finale (integrato nel mio caso) + diffusori passivi a 2 vie e passare a qualcosa di molto diverso, ovvero usare un pc come sorgente + dac con pre integrato + diffusori attivi a 3 vie.
    Abbiamo già parlato su queste pagine di questo tipo di catena audio e in effetti, avendo ormai una collezione di dischi completamente digitalizzata che risiede su un NAS, aveva perfettamente senso liberarmi del lettore CD che ormai prendeva polvere da anni e del lettore di rete Naim e impiegare come sorgente un semplice laptop collegato al NAS. Come player uso con soddisfazione JRiver, che permette ogni tipo di personalizzazione, e da qualche tempo anche Audirvana. che è perfettamente integrato con Qobuz.
    Il segnale digitale in uscita dal PC viene poi mandato al DAC, nel mio caso il meraviglio DAC con Pre e Ampli cuffia bilanciato Master 11 Singularity di Audio-GD, marchio che negli ultimi anni ha sfornato ottimi convertitori DA e ampli cuffia con un rapporto qualità prezzo incredibile.

    Nel mio caso il Master 11 è diventato il cuore della mia catena audio, avendo il compito di convertire il segnale digitale in arrivo dal pc, di amplificarlo e di inviarlo o alle cuffie o ai diffusori attivi.
    Veniamo ora all’ultimo componente, ossia i diffusori attivi.
    Cosa sono innanzi tutto? Si tratta di speakers che contengono al loro interno una sezione di amplificazione ottimizzata per ogni driver. In pratica con questo tipo di setup si dice addio agli amplificatori finali perché i diffusori già li contengono al loro interno. Il vantaggio evidente di questa scelta è che il prodotto che esce dalla fabbrica è concepito e ingegnerizzato in modo che tutte le componenti si integrino alla perfezione tra di loro.  Ogni driver ha il suo amplificatore,  pensato, realizzato, ottimizzato per farlo suonare al meglio. Non abbiamo più un unico ampli che deve cercare di gestire più canali contemporaneamente, ma un singolo ampli calibrato per gestire un solo driver e che in soldoni deve fare solo una cosa e la fa bene. Questo si traduce in una maggiore riserva di potenza a disposizione di ogni singola via e quindi in una maggiore capacità di risolvere le necessità di ogni driver senza influenzare gli altri.
    Un altro vantaggio è che si eliminano un po’ di cavi, spesso costosi e fonti di interferenze, mentre quelli che rimangono sono bilanciati, quindi non costosi e pensati appositamente per ridurre le interferenze.
    In termini di spesa, se è vero che i diffusori attivi non sono in assoluto economici, lo diventano però quando consideriamo che l'esborso per un paio di diffuri passivi , ampli e cavi sarebbe sicuramente di gran lunga superiore a parità di qualità.
    Lo svantaggio di un diffusore attivo chiaramente è quello di essere un sistema completamente blindato, per cui non è possibile sostituirne delle parti in caso volessimo fare degli upgrade.
    Fatta questa premessa, arriviamo a parlare degli altoparlanti che ho scelto e che sono poi l’oggetto di questa recensione.
    Caratteristiche principali
    Si tratta degli Adam Audio S3V, diffusori attivi professionali a 3 vie, in pratica quelli che vengono definiti dei monitor. Sono strumenti pensati per chi lavora in studio e deve masterizzare, mixare o comporre, per cui devono avere una risposta in frequenza più lineare possibile, una spiccata capacità di rivelare i dettagli delle incisioni e quella di ricreare un palcoscenico virtuale. Ascolto prevalentemente musica classica, per cui linearità, dettaglio e soundstage sono elementi per me molto importanti. Il vantaggio poi di lavorare con questo tipo di setup è che, se desideriamo evidenziare qualche range di frequenze, ad esempio i bassi, le voci, etc, possiamo sempre equalizzare il suono a nostro piacimento, sia in JRiver che tramite i diffusori.
    La famiglia S di Adam Audio prevede anche un modello più piccolo a 2 vie (S2V) e un modello più grande e più potente a 3 vie con un woofer da 12" (S5V). Esite anche una versione orizzontale delle S2V che si chiama S2H. 
    Gli S3V sono diffusori midfield, pensati quindi per essere usati a una certa distanza dall’ascoltatore, a differenza dei nearfield che solitamente sono sparati in faccia a chi ascolta.

    Sono piuttosto voluminosi: 53cm di altezza senza stand, 29 di larghezza, ma soprattutto sono molto profondi, 38cm, perché devono contenere tutta l’elettronica. Il peso è di 25kg. Solidi e massicci, ricordano più un carro armato che un sofisticato diffusore hifi!

    Sul davanti si notano i tre driver e l’uscita bass-reflex, mentre sul pannello posteriore troviamo la presa XLR per l’ingresso bilanciato, due prese XLR per audio digitale AES3 e collegare più diffusori in serie, alimentazione e interruttore, presa USB per collegare un pc per le regolazioni del DSP, un piccolo display OLED e una rotellina per regolare varie impostazioni (crossover, ottimizzazione dei driver, possibilità di scegliere tra 5 diverse equalizzazioni, di cui due già pre-impostate).

    Ogni driver ha una sezione di amplificazione dedicata: 500W in classe D per il woofer, 300W in classe D per i medi, 50W in classe A/B per il tweeter. Le frequenze di crossover sono a 250Hz e a 3kHz. Da specifiche Adam Audio la risposta in frequenza va da 32Hz a 50kHz, la distorsione armonica totale del 0.4% (sopra i 100Hz) e una SPL a 1m superiore a 124dB.
    Il fatto che siano diffusori a 3 vie permette, rispetto ai 2 vie, di avere un altoparlante  ottimizzato per le medie frequenze, che sono quelle dove passa la maggior parte del segnale audio, uno dedicato agli alti e uno ai bassi. Ogni altoparlante gestisce quindi un range di frequenze più piccolo, permettendo quindi una migliore linearità, a patto che gli ingegneri facciano bene il loro lavoro e gestiscano bene le frequenze di crossover, ovvero quei punti in cui il suono passa da un altoparlante all'altro.
    Le basse frequenze (32-250Hz) sono gestite da un nuovo driver di casa Adam Audio da 9” realizzato espressamente per la serie S..
    Per i medi c’è un interessante driver da 4” ibrido cupola/cono in composito di carbonio. Il driver è collocato in una guida d’onda concepita per favorire la dispersione del suono in senso orizzontale e limitarla invece verticalmente, questo per creare un’immagine larga con uno “sweet spot” ampio e ridurre le riflessioni del suono su superfici orizzontali poste di fronte al punto di ascolto (parlando di monitor si intende una console di mixaggio).

    Per gli altri (sopra i 3kHz) c’è il nuovo tweeter a nastro S-ART con la sua guida d’onda HPS (“high propagation system”), che come per i medi è progettata per offrire uno sweet spot molto ampio orizzontalmente.

    DSP
    Come si diceva prima, c’è la possibilità di accedere dal retro dei diffusori a un menù impostazioni che permettere di accedere alla regolazioni DSP e a 5 preset di equalizzazione.

    Se non fosse agevole accedere al retro dei diffusori, c’è la possibilità di fare queste regolazioni da pc, tramite una presa USB, utilizzando il software di controllo.
    Le due equalizzazioni preimpostate sono “Pure” (curva piatta) e UNR (Uniform Natural Response), una curva creata da Adam con una moderata accentuazione di basse e alte frequenze.

    Si può intervenire su 8 bande di equalizzazione: high shelf, low shelf e 6 filtri parametrici che permettono fino a +/-12dB di regolazione da 20 a 20kHz.
    Segnalo solo che le modifiche impostate via software hanno bisogno di qualche decina di secondi per essere memorizzate nei diffusori.
    Posizionamento
    Nel mio caso il posizionamento non ha richiesto molto tempo. Ho lasciato i richiesti 40cm di spazio dalla parete posteriore. Ho messo i due diffusori a circa 180cm l’uno dall’altro con un punto di ascolto a circa 3m. Gli S3V hanno suonato subito bene, con un’immagine ampia e coerente.
    Risposta in frequenza

    La risposta in frequenza è quella tipica di un monitor professionale: perfettamente lineare su tutta la gamma. Le basse frequenze cominciano a decadere poco dopo i 36kHz.
    Non ascoltando musica dal mio impianto in uno studio professionale o in un ambiente d’ascolto ottimizzato, ho equalizzato il segnale che va ai diffusori usando un software di correzione ambientale (Dirac).
    Qui vi riporto la risposta in frequenza reale misurata con Dirac e una possibile curva target (tipo Harman😞

    E questa come dovrebbe apparire la risposta in frequenza in seguito alla correzione del software:

     
    La correzione apportata da Dirac è assolutamente efficace. Posso dirlo con certezza, perché in questi giorni sto avendo qualche problema con l'ultima release di Dirac, per cui non posso usarlo. La differenza è come tra il giorno e la notte!
    L’ascolto
    Ok, veniamo alla parte più interessante: come suonano queste S3V?
    La prima cosa che mi ha colpito è l’ampiezza e l’accuratezza dell’immagine che restituiscono, così come il fatto di avere uno sweet spot di ascolto effettivamente piuttosto esteso.
    C’è poi una sensazione di linearità e chiarezza lungo tutto lo spettro che colpisce molto.
    Bassi e medio bassi ci sono tutti, chiari, precisi, controllati, senza una sbavatura e con tutta la potenza che serve quando serve. Nella regione dei bassi profondi (sotto i 40Hz) si comincia a perdere sotto i 36Hz. Chi avesse la necessità di arrivare così in basso (non è che sia tanta la musica registrata che ci arriva), un subwoofer permetterebbe di arrivare ai 20Hz o poco più (Adam Audio realizza anche degli ottimi subwoofer), sempre che le nostre orecchie ci arrivino e che non ci si complichi troppo la vita con il setup del sub.
    La riproduzione della gamma media è semplicemente eccellente, per chiarezza, precisione, dettaglio e dinamica. E’ realmente difficile mettere in difficoltà questi diffusori, anche con le partiture più complesse. La voce umana suona naturale e reale.
    Negli alti, i tweeter a nastro S-ART fanno un gran lavoro, raffinati e dettagliati nel rendere gli strumenti che arrivano fin qui, tipicamente gli strumenti a percussioni.
    Vediamo ora qualche prova “sul campo”.
    Disco 1
    Ligeti, L’escalier du diable, Pierre Laurent Aimard, pianoforte.
    Sony Classical, 1996. FLAC 44,1kHz/16bit.

    Un brano questo che sembra composto per mettere alla frusta il pianista, ma anche gli impianti hifi. Grandi dinamiche, cambi di registri improvvisi, la tastiera usata in tutta la sua estensione, suono percussivo, ma anche brevi tratti di sonorità ovattate. Pierre Laurent Aimard lo suona con passione e una buona dose di furore. La registrazione è ottima. Il pianoforte è ben centrato davanti a noi, nonostante i continui cambi di registro (quante volte capita di sentire dei pianoforti con i bassi da un lato e gli alti dall’altro?). Si sentono bene le risonanze della sala in cui è stato registrato, soprattutto quando Aimard pesta sulle note più acute. I transienti sono perfettamente gestiti. Le S3V non si scompongono mai durante tutto il brano. Il finale, con il pianoforte che viene lasciato risuonare dopo gli ultimi accordi per diversi secondi, è da brivido!
    Disco 2
    King Crimson, "Starless" da "Radical action to unseat the hold of monkey mind".
    DGM 2016. FLAC 44,1kHz/24bit.

    Questo disco del 2016 riprende alcuni pezzi storici dei King Crimson. Parlando di Starless questa nuova registrazione è decisamente migliore di quella  del 1976 presente nell'album Red.
    La formazione non è più la stessa, basti pensare che il mitico batterista Bill Bruford è sostituito da addirittura tre batteristi.
    Il riff di basso in apertura di Tony Levin è pieno, caldo e accattivamente. L'ingresso della chitarra Robert Fripp, acida al punto giusto e finalmente in primo piano rispetto alla vecchia incisione, regala un brivido di soddisfazione a tutti i fan, così come la voce calda e possente di Jakko Jakszyk. Ma la vera sfida di questa registrazione è la ripresa dei 3 diversi drumset:

    OK, è difficile rendere un palcoscenico così ampio, ma il risultato è comunque realistico e il contributo di ogni singolo batterista/percussionista si distingue in modo chiaro dagli altri.
    Disco 3
    Beethoven, sinfonia n.5, Musicaeterna, dir.Teodor Currentzis, Sony Classical, 2020. FLAC 96kHz/24bit.

    Teodor Currentzis con la sua compagine Musicaeterna si esibisce in una (a tratti) feroce interpretazione della quinta sinfonia di Beethoven. Il disco ci offre un sofisticato esempio di ingegneria sonora. Ogni gruppo di strumenti è chiaramente distinguibile all'interno della trama sonora e nello spazio. Dal contrabbasso al flauto piccolo si sentono tutti ed ognuno ha una precisa collocazione nello spazio, con un'effetto di tridimensionalità sorprendente, anche se un po' artificioso. 
    Disco 4
    Fiona Apple, Fetch the bolt cutters.
    Epic, 2020. FLAC 48kHz/24bit.
     

    L'ultimo formidabile lavoro di Fiona Apple è stato registrato in casa, con una produzione ridotta all'osso. Pochi strumenti, molte percussioni e di ogni genere (Fiona usa anche una scatola contenente le ossa del suo compianto cane) e su di tutto la voce della Apple, che mai come in questo disco appare messa a dura prova.  Tutto converge nel trasmetterci un messaggio di rabbia e viscerale insoddisfazione. Un inaspettato e violento pugno nello stomaco. E le nostre S3V che ci restituiscono la voce di Fiona Apple senza filtri di qualsiasi tipo, in tutta la sua ruvida  e sconcertante bellezza.
    Disco 5
    Avishai Cohen Trio, "Beyond" da "From the darkness".
    Razdaz, 2015. FLAC 96kHz/24bit.

    Il grandissimo contrabbassista israeliano Avishai Cohen qui in trio con il pianista Nitai Hershkovits e il batterista Daniel Dor in un bellissimo disco Jazz del 2015. Beyond è la prima traccia del disco e si apre con una travolgente e dinamica progressione. Con le S3V mi sento letteralmente scaraventato sul divano. Il contrabbaso di Cohen è potente è sempre in evidenza, il piano di Hershkovits limpido e con una notevole gamma dinamica, la batteria di Dor straordinariamente spumeggiante. Una gioia da ascoltare!
    Disco 6
    Schumann, Myrthen. Christian Gerhaher, baritone, Camilla Tilling, soprano, Gerold Huber, pianoforte.
    Sony Classical, 2019. FLAC 96kHz/24bit.

    Lo Schumann giovanile dei Myrthen affidato alle voci di Gerhaher e Tilling e al pianoforte di Huber. Una bellissima interpretazione valorizzata da un'ottima qualità della registrazione.
    Il pianoforte di Huber è ben presente, il suono è pieno e caldo, leggermente in secondo piano, com'è giusto che sia. La voce della Telling chiara, brillante, a volte volutamente fragile. Quella di Gerhaher più matura, calda ed ambrata. Possiamo tranquillamente chiudere gli occhi e immaginare gli interpreti sul palco davanti a noi.
    Disco 7
    Gustav Mahler, sinfonia n.2 "Resurrezione". Budapest Festival Orchestra, coro della radio ungherese, Lisa Milne soprano, Birgit Remmert contralto, Ivàn Fischer direttore.
    Channel Classics, 2006. FLAC 192kHz/24bit.

    La seconda sinfonia di Mahler è un'opera mastodontica che prevede un'orchestra decisamente rinforzata (10 corni, 8 trombe, 2 arpe, organo, 5 percussionisti), un soprano, un contralto e un coro.
    Probabilmente uno dei peggiori incubi per gli ingegneri del suono, che in questo caso fanno un lavoro davvero impressionante. A differenza della quinta di beethoven con Currentzis, in cui il punto di vista sembra essere quello del direttore d'orchesta che ha tutti gli strumenti intorno a sé, qui sembra di essere seduti in mezzo alla platea con l'orchestra ad una certa distanza e il suono dei vari strumenti dell'orchestra che si amalgamano perfettamente insieme.  Preferisco questa impostazione, meno radiografica e più  vicina al vero.  Voci, coro e tutti i gli elementi dell'orchestra sono ben identificabili, ma alla stesso tempo parti di un tutto più ampio, con una dinamica che sembra non aver mai fine. Complimenti agli ingegneri di Channel Classics!
    Conclusioni
    Spesso le recensioni che si trovano online di materiale di questo tipo sono fatte da professionisti che li usano quotidianamente per lavoro. Non è questo il caso mio, che invece ne faccio un uso assolutamente ludico, per cui invito i professionisti capitati su questa pagina a prendere tutto quello che ho scritto fin qui e le mie conclusioni "cum grano salis". 
    Personalmente, il passaggio da un paio di diffusori passivi agli S3V per me ha rappresentato un miglioramento notevole della mia esperienza di ascolto. Linearità e estensione della risposta in frequenza, dettaglio, dinamica, immagine, non c’è un parametro che non sia migliorato in modo significativo. Penso che per fare di meglio in ambito hifi (intendo non nel contesto dell’attrezzatura professionale) bisognerebbe spendere molto, molto di più. In fondo stiamo parlando di un diffusore a 3 vie con un sistema di amplificazione che arriva a 850W  di potenza complessiva. Roba che nelle boutique hifi vengono vendute a costi esorbitanti.
    Chiaramente questi sono diffusori che non perdonano: se da un lato sono in grado di valorizzare tutte le incisioni di buona qualità,  facendocene apprezzare tutte le sfumature, dall’altro sono spietati con quelle mediocri e non potrebbe essere diversamente. Sono pensati per chi predilige una riproduzione audio analitica e più neutra possibile, ma, come avete visto, oggi c'è la possibilità di lavorare sull'equalizzazione in maniera semplice e efficace per ottenere un suono complessivo più adatto ai nostri gusti o al genere musicale che stiamo ascoltando.
    Pro
    Prestazione audio complessivamente eccellente Immagine stereo ampia, stabile e coerente Ampiezza dello sweet spot di ascolto C'è una riserva di potenza a disposizione impressionante Rapporto qualità/prezzo molto elevato se paragonato al mondo hifi non professionale, non saprei dire invece per l'ambito professionale dove in questa fascia di prezzo ci sono altri concorrenti (Neumann, Genelec, etc), che non ho avuto la fortuna di ascoltare. Contro
    Aspetto: sono strumenti professionali, non di arredamento. L’estetica non fa parte dei loro punti di forza Software di controllo migliorabile Manca una griglia frontale per ripararli dalla polvere, cosa frequente in tutti i monitor professionali.  Mancano una manciata di Hz nei bassi profondi per avere una risposta in frequenza perfetta
  3. happygiraffe

    Recensioni : orchestrale
    Thomas Adès, concerto per pianoforte e orchestra, Totentanz.
    Kirill Gerstein, pianoforte, Mark Stone, baritono, Christianne Stotij, mezzo-soprano.
    Boston Symphony Orchestra, direttore Thomas Adès.
    DG 2020
    ***
    Thomas Adès è un artista poliedrico che ama esibirsi sia in veste di pianista, che di direttore d’orchestra, che di compositore.
    Lo avevamo ascoltato  tempo fafa accompagnare al piano Ian Bostridge in un’intensa lettura del Winterreise di Schubert, mentre più di recente lo avevamo ritrovato come direttore delle sinfonie sinfonie di Beethoven. In questo disco dell’etichetta DG compare invece nella duplice veste di compositore e direttore d’orchestra. Si tratta di registrazioni dal vivo che risalgono al 2019, il concerto per pianoforte con Kirill Gerstein, e al 2016, la Totentanz con Christianne Stotijn e Mark Stone.
    Adès è con ogni probabilità uno dei compositori contemporanei più eseguiti e più acclamati, certamente nei paesi anglosassoni, ma non solo.
    Il disco si apre con il concerto per pianoforte del 2018. Sin dalle prime battute appare chiaro che lo sguardo di Adès è rivolto ai modelli del passato: si possono sentire echi di Rachmaninov o di Tchaikovsky, di Bartòk nel secondo movimento, senza dimenticare lo swing frizzante di Gershwin. La scrittura è raffinata, ben assecondata da un Gerstein in forma smagliante, ed il risultato è assolutamente effervescente e spettacolare: possiamo immaginare l’entusiasmo del pubblico che ha assistito a questa esibizione. Se devo però dirvela tutta, al di là del piacere effimero dell’ascolto mi è rimasto poco: il continuo pastiche musicale, per quanto ottimamente organizzato, alla fine sa di maniera e ci dice poco di nuovo. Fosse stato scritto ottanta anni fa, il discorso sarebbe stato probabilmente diverso.
    Più interessante e più personale la seconda parte del programma con la Totentanz del 2013. Si tratta di una composizione per baritono, mezzo-soprano e orchestra. I testi sono tratti da un affresco del XV secolo ritrovato in una chiesa di Lubecca, poi distrutta durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, che rappresentava diverse categorie sociali in ordine gerarchico discendente, cominciando dal Papa e terminando con un neonato. Tra un personaggio e l’altro c’era una rappresentazione della Morte danzante. Nell’opera di Adès la Morte è rappresentata dal baritono, mentre le figure umane dal mezzo-soprano.
    La partitura è densa e questa volta viene da fare un paragone con i lead orchestrali di Mahler. Ma sono pagine intense e emozionanti e non c’è nulla di manieristico a disturbarci. Christianne Stotijn riesce a caratterizzare i sedici personaggi umani con grande varietà e espressività, Mark Stone è perfetto nel suo ruolo lugubre e diabolico. Accompagnati da una Boston Symphony Orchestra assolutamente concentrata, ci guidano fino ad un finale che toglie il fiato.
    Arrivato alla soglia dei 50 anni Adès è nel pieno della sua maturità creativa e interpretativa. Ultimamente ce lo ha dimostrato in diverse registrazioni. Come compositore in diverse occasioni non ha catturato il mio gusto, ma questa Totentanz, in questa esecuzione, merita un ascolto attento.

    Thomas Adès, alla guida della Boston Symphony Orchestra con Christianne Stotijn e Mark Stone.
  4. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Claude Debussy, Préludes II livre, La Mer (trascrizione a 4 mani)
    Alexander Melnikov, Olga Pashchenko
    Harmonia Mundi 2018
    ***
     
    Sono passati pochi mesi da un disco di Alexander Melnikov che ci era piaciuto particolarmente e che avevamo recensito su queste pagine ed ecco, a sorpresa, un’altra incisione del pianista russo.
    Esce nella serie che Harmonia Mundi sta pubblicando in occasione del centenario della morte del compositore francese.
    Bisogna dire che non sono mancati quest’anno i pianisti che hanno omaggiato Debussy sfruttando questa ricorrenza: dagli anziani Daniel Barenboim, Maurizio Pollini, Menahem Pressler al giovane Seong-Jin Cho (che avevamo segnalato qui), fino agli inglesi Steven Osborne e Stephen Hough, con risultati più o meno buoni.
    Melnikov come di consueto utilizza uno strumento d’epoca, in questo caso un magnifico Erard del 1885 restaurato di recente. E lo utilizza straordinariamente bene nel rendere tutta una serie di sfumature e timbri ai quali non siamo abituati con gli strumenti moderni.
    Il programma è dedicato al secondo libro dei Préludes e si chiude con la trascrizione per pianoforte a quattro mani dello stesso Debussy de La Mer, per la quale Melnikov è affiancato da Olga Pashchenko.
    E’ chiaro che sono i Préludes il piatto forte di questo disco. Melnikov ancora una volta dimostra una sorprendente capacità nello sfruttare tutte le sonorità messe a disposizione dello strumento a beneficio della composizione e delle sue scelte di interprete. La partitura viene rispettata con grande fedeltà e resa con sensibilità e maestria nei minimi dettagli. E poi c’è questo strumento incredibile, che ha carattere e permette soluzioni timbriche difficilmente ottenibili su uno strumento moderno.
    L’arrangiamento a quattro mani de La Mer è sicuramente un “riempitivo” interessante, poco eseguito e in questo caso ben eseguito. Durante l’ascolto ci si accorge di dettagli che nella partitura per orchestra si avvertono di meno. Rimane comunque una trascrizione per pianoforte di una lussureggiante partitura orchestrale, con tutti i limiti imposti dallo strumento.
    In conclusione, nell’anno del centenario della morte di Debussy questo è uno dei dischi che ho apprezzato di più e che mi sento di consigliare senza esitazione.
  5. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Alexander Melnikov: Four Pianos, Four Pieces.
    Franz Schubert, Fantasia in Do Maggiore D760 " Wanderer". Pianoforte Alois Graff, Vienna 1828-1835 circa. Fryderyc Chopin, 12 Etudes Op.10. Pianoforte Erard, Parigi 1837. Franz Liszt, Réminiscences de "Don Juan". Pianoforte Bösendorfer, Vienna 1875 circa. Igor Stravinsky, Tre movimenti da Petrushka. Pianoforte Steinway & Sons, Model D-274 Concert Grand. 2014. Harmonia Mundi 2018.
    ***
    In tutta onestà, quando ho letto di questo album in cui quattro diverse composizioni vengono suonate su altrettanti pianoforti, ho pensato all'ennesima trovata di marketing, pur conoscendo la serietà di Melnikov.
    E così, una volta comprato il disco in formato 96/24, mi sono messo all'ascolto, con quell'ombra di pregiudizio di chi guarda ancora con sospetto alle esecuzioni con strumenti d'epoca. 
    E invece...bum!...una rivelazione: Melnikov spazza via tutti i miei pregiudizi e il suo disco si rivela essere uno splendido omaggio al popolare strumento a tastiera.
    Ma partiamo dall'inizio.
    Lo sviluppo del pianoforte in senso moderno avviene in epoca romantica con il francese Sébastien Erard, innovatore della meccanica dello strumento con accorgimenti tecnici impiegati ancora oggi (ad esempio il cosiddetto "doppio scappamento"). Successivamente l'introduzione dei telai in metallo e di casse armoniche più ampie, intorno al 1840, e quindi la possibilità di aumentare la tensione delle corde e di conseguenza la potenza del suono, mantenendo più a lungo l'accordatura, ha portato il pianoforte a essere utilizzabile anche in sale da concerto più ampie.
    Ma il percorso dai primi pianoforti dei vari Erard, Pleyel, Graff agli attuali pianoforti da concerto fu piuttosto lungo e l'evoluzione della meccanica procedette parallelamente all'evoluzione del suono prodotto. Ascoltare l'Alois Graff del 1835 usato qui da Melnikov per la fantasia Wanderer di Schubert ci riporta in una dimensione timbrica molto, molto diversa da quella alla quale siamo abituati con i moderni strumenti.
    E' uno strumento particolare, con un'ottava in meno rispetto agli attuali pianoforti, con i martelletti rivestiti di pelle (quello moderni sono di feltro) e ben cinque pedali a disposizione del pianista per produrre diversi effetti, da quello per suonare a "una corda" a quello che il libretto chiama "drum/bells" (tamburo e campane!). E' un pianoforte che appartiene allo stesso Melnikov e si sente, perché la facilità con la quale tira fuori tutto il meglio da questo strumento così particolare deve avergli richiesto una lunga pratica. E ricordiamoci che qui Melnikov non sta suonando  una sonata di Mozart, ma la diabolica Fantasia Wanderer. Se la prima impressione è quella di un suono sferragliante, basta ascoltare l'inizio del secondo movimento per capire che nessun pianoforte moderno possa restituire l'atmosfera creata da questo Alois Graff.

    Negli Etudes Op.10 Melnikov usa un Erard del 1837 con martelletti in feltro. Chopin prediligeva per i suoi concerti i Pleyel e gli Erard e sono proprio alcune innovazioni meccaniche di questi ultimi, come il "doppio scappamento", che favorisce il legato e la rapida ripetizione della stessa nota, così come "la sordina", che facilitano quello che la scuola francese chiama il "jeu perlé". 
    Anche il Boesendorfer, utilizzato qui nelle Rémoniscences de "Don Juan" di Franz Liszt, appartiene alla collezione personale di Melnikov. E' uno strumento viennese del 1875 con i martelletti in feltro rivestiti di pelle. A detta dello stesso Melnikov è un animale difficile da domare, con una meccanica primitiva rispetto agli Erard di quarant'anni prima, che rende particolarmente difficile il legato e le note ripetute, ma con un suono molto caratteristico e ricco. Melnikov lo suona ormai da vent'anni e lo ha già impiegato in tre incisioni dedicate a Brahms. Le Réminiscences sono un altro pezzo di bravura e qui l'accoppiata pianista-strumento, nonostante questo particolare brano non sia tra i miei prediletti, mi ha convinto ancor più che nelle due composizioni precedenti. 
    Questo Boesendorfer è già uno strumento più maturo rispetto ai due precedenti, così il salto allo Steinway, sebbene lontano anni luce, non è poi così fuori misura. 
    Lo Steinway Modello D è un bestione lungo 274 centimetri e pensato per le moderne sale da concerto:

    E' uno strumento da circa 100.000€, diffusissimo nelle sale da concerto di tutto il mondo, caratterizzato da una dinamica straordinaria e dal suono omogeneo e brillante.
    Qui Melnikov usa un bello Steinway nei difficilissimi tre movimenti da Petruschka di Stravinsky, composizione del 1921 ispirata al celebre balletto e pensata per Arthur Rubinstein. Anche qui, come nei pezzi precedenti, la tecnica pianistica e lo strumento sono solo dei mezzi attraverso i quali passa la ri-creazione del brano musicale.
    Mi rendo conto di aver parlato fin qui più che altro di pianoforti, com'è normale, ma vi assicuro che, in tutte le composizioni di questo disco, appena superati i primi momenti di ascolto in cui l'orecchio si adatta al suono dello strumento utilizzato, ci si abbandona con piacere al fascino dell'universo musicale e sonoro creato da Melnikov.

    E' un pianista che seguo con molto interesse da qualche anno, sia come solista, sia insieme alla violinista Isabelle Faust. Sapevo della sua passione per gli strumenti del passato e infatti lo avevo già acoltato alle prese con pianoforti d'epoca, come nell'ultimo disco insieme alla Faust con musiche di Fauré e Chausson, dove suona un Erard.

    Questo disco va molto oltre e, come dicevo all'inizio, per me rappresenta uno splendido omaggio al pianoforte attraverso due secoli di storia.
    Può essere interessante sapere che Melnikov ha proposto un esperimento simile anche dal vivo, portando tre diversi strumenti in scena.
    Un ultima nota riguarda alla qualità della registrazione. Restituire le diverse sonorità e le diverse dinamiche di quattro strumenti così diversi tra loro deve aver rappresentato una bella sfida per gli ingegneri del suono. La sfida è nel complesso riuscita, il livello complessivo della registrazione è ottimo, con l'eccezione di Stravinsky, in cui, se da un lato vengono comunque preservati la dinamiche e i timbri meravigliosi di questo strumento, dall'altro un posizionamento dei microfoni troppo vicino alle corde produce un suono che fatico a riconoscere come naturale.
    In conclusione, se non l'aveste ancora capito, per me questo è un bellissimo disco, candidato a essere uno dei migliori del 2018. Lo è per l'idea che ne sta alla base, ma soprattutto per come è stata realizzata. Bravo Melnikov!
     
  6. happygiraffe
    Henri Dutilleux (1916-2013):
    - Sonate pour piano (1947–48)
    - 3 Préludes (1973-1988)
    - Mini prélude en éventail (1987)
    Pierre Boulez (1925-2016):
    - Notations (1945)
    - Une page d'éphéméride (2005)
    Olivier Messiaen (1908-1992): 
    - La Fauvette Passerinette (1953)
    - Prélude (1964)
    Alexander Soares, pianoforte.
    Rubicon 2019
    ***
    Che sorpresa questo disco di debutto del pianista inglese Alexander Soares! Anziché propinarci il solito repertorio da battaglia ottocentesco, Soares ha messo insieme un programma tutto novecentesco e tutto francese con lavori di Dutilleux, Boulez e Messiaen, tre autori molto distanti per quanto riguarda le scelte compositive, ma in qualche modo legati da un'origine, in senso ampio, comune.
    Il disco si apre con la straordinaria sonata per pianoforte di Dutilleux, probabilmente uno dei lavori più interessanti per pianoforte composti nel secondo dopoguerra (fu pubblicata nel 1948). Nonostante siano evidenti gli influssi di Debussy e Ravel, ma anche Bartòk e Prokofiev, questa sonata mantiene un linguaggio proprio e molto originale.
    Molto diverso da quello della sonata invece il linguaggio usato nei tre Préludes e nel Mini prélude en éventail, composti 3-4 decadi dopo, ma comunque molto interessanti.
    Si passa poi alle Notations di Pierre Boulez. Composte nel 1945, si tratta di 12 brevi brani di 12 battute su una serie di 12 note! Nonostante lo stile seriale e il compositore stesso possano mettere paura, si tratta di una composizione di grande fascino e probabilmente una delle più "ascoltabili" del compositore e direttore francese (i suoi fan mi perdoneranno!), diversamente dalla page d'éphémeride del 2005, che nel disco viene dopo le Notations, che mi lascia piuttosto freddo.
    Chiudono il disco la Fauvette Passerinette di Messiaen del 1953, opera riportata alla luce da Peter Hill nel 2012 (probabilmente pensata per il Catalogue d'oiseaux) e un breve Prélude del 1964.
    Alexander Soares dice di avere una grande affinità per questo tipo di repertorio, affinità che riesce a trasformare in un'interpretazione assolutamente convincente, resa con intensità, lucidità e coerenza.
    Guardando su internet ho trovato una video di qualche tempo fa in cui Soares promuoveva una raccolta fondi per permettergli di realizzare questo suo disco di debutto. Sono contento che i suoi sforzi abbiano avuto successo e che il disco abbia ricevuto un meritatissimo Editor's Choice della rivista Gramophone. Assolutamente meritato!
  7. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Franz Schubert:
    - 4 Impromptus, op. 90, D. 899 
    - Piano Sonata No. 19 in C minor, D. 958
    - 3 Klavierstucke, D. 946
    - Piano Sonata No. 20 in A major, D. 959
    ECM 2019
    ***
    Questo disco, da poco uscito per ECM, ma in realtà inciso nel 2016, segue quest'altro disco del 2015, in cui András Schiff riprendeva un repertorio che aveva già registrato nella prima metà degli anni '90 fa per Decca, utilizzando questa volta uno strumento d'epoca:

    Franz Schubert:
    - Sonata Op.78, D. 894 
    - Moments musicaux, Op.94, D. 780
    - 4 Impromptus, Op.142, D. 935
    - Sonata No.21, D. 960
    ECM 2015
    I due album si completano perfettamente, per repertorio e scelte interpretative: le ultime tre sonate per pianoforte e la D.894, i Moments musicaux, i due cicli degli improvvisi e i 3 pezzi D.946, tutti eseguiti al fortepiano.
    Interessante la storia dello strumento che sentiamo in questi dischi. Bisogna sapere che negli anni in cui visse Schubert, c'erano circa un centinaio di fabbricanti di fortepiano a Vienna. Questo strumento fu realizzato nel 1820 da Franz Brodmann, fratello del più noto Joseph, che un giorno dovette vendere la sua attività a un suo allievo, che di nome faceva Ignaz Bösendorfer! 
    Il fortepiano entrò in possesso della famiglia imperiale e ne seguì il destino fino all'esilio di Carlo I in Svizzera nel 1919. Fu restaurato nel 1965 e acquistato nel 2010 da Schiff, che lo ha lasciato in prestito presso la casa di Beethoven a Bonn.
    Nelle note di copertina del disco del 2015 era lo stesso Schiff che ci raccontava di quanto il suo approccio alla musica eseguita con strumenti d'epoca fosse cambiato nel corso del tempo a partire dai primi anni '80. Era agli inizi affascinato dagli aspetti legati alla filologia e dalla fedeltà al testo scritto, ma ostile ai dogmatismi dei puristi, anche perché spesso le incisioni di quei tempi erano di qualità discutibile per via sia degli strumenti impiegati che degli interpreti.
    La rivelazione per Schiff fu l'aver suonato il fortepiano di Mozart nella sua casa di Salisburgo: la definisce un'esperienza che gli ha cambiato la vita! 
    I pianoforti moderni da concerto sono infatti strumenti pensati per "proiettare" il suono in sale da concerto da migliaia di posti, con una dinamica e una brillantezza di suono impensabili all'epoca di Schubert. La musica di Schubert era suonata nei salotti borghesi, agli amici, in ambienti relativamente piccoli e così un fortepiano dell'epoca ha una gamma dinamica ridotta, diciamo dal pianissimo al forte. Per questo motivo le composizioni per pianoforte di Schubert, pensate per quegli strumenti, sono tanto difficili da rendere con gli strumenti moderni, che rischiano di soffocarne la dolcezza.
    Il Brodmann di Schiff, nelle sue mani, invece, si muove a meraviglia tra queste pagine, regalandoci una gamma di timbri, di effetti e di sfumature tra il ppp e il forte che hanno qualcosa di magico. E' uno strumento particolare con quattro pedali, cosa non inusuale a quei tempi, uno dei quali, detto "moderatore", che frappone un panno tra martelletti e corde (un po' come la sordina dei pianoforti verticali) e permette di ottenere un suono molto tenue e dolce. Ma ci sono altre cose che stupiscono, come la cantabilità della mano destra o come i diversi timbri dei tre registri (alti, medi e gravi hanno caratteri diversi) si fondano insieme. E attenzione, perché quando serve il Brodmann è capace di tirar fuori gli artigli anche nei passaggi più forti e energici.
    Il confronto con le interpretazioni degli anni '90 lasciano un po' interdetti: se quelle erano certamente molto belle, ma anche per certi versi anche un po' accademiche, qui invece quello che ci regala Schiff è un universo sonoro più vivo, palpitante e anche più vivace, pur nel consueto understatement del pianista ungherese.
    Non basta uno strumento d'epoca, per quanto magnifico come quello utilizzato qui, per far una bella interpretazione, occorre anche un pianista all'altezza e qui Schiff ci mette tanto del suo. Sicuramente è vero che conosce perfettamente il suo strumento e sa come domarlo e trarne il massimo, ma, al di là dell'aspetto tecnico, qui il pianista ci mette tantissima passione e la facilità con cui ci conduce tra le pieghe più intime dei pensieri del compositore è sicuramente il frutto di una lunga maturazione e di un profondo amore per queste pagine. 
    Schiff ci dice che non smetterà di suonare Schubert su strumenti moderni, cosa in fondo necessaria dovendo per mestiere suonare in grandi auditorium, ma la dolcezza del suono di un fortepiano viennese  sarà sempre ben presente nella sua mente, per provare a suggerire l'illusione dell'intimità anche in una  sala da concerto.
    Noi continueremo a seguire András Schiff nelle sue esplorazioni con strumenti nuovi e d'epoca, così come ci piace seguire un altro pianista con la stessa grande passione per pianoforti antichi e moderni, Alexander Melnikov, di cui abbiamo già parlato diverse volte su queste pagine.
    Per il momento vi invitiamo senza esitazione ad abbandonarvi al fascino di questo disco, senza lasciarvi intimorire dal suono particolare del fortepiano.
     
  8. happygiraffe
    Noi di VariazioniGoldberg siamo da diverso tempo estimatori dei prodotti Audio-GD. Questo piccolo apparecchio di cui parliamo oggi non ha tradito le nostre aspettative.
    L’R2R11 Mk2 è un all-in-one che comprende un DAC, un ampli cuffie e un preamplificatore sbilanciato. Si tratta di un apparecchio molto versatile, che può essere usato in varie configurazioni:
    come DAC puro e semplice, senza controllo di volume come DAC e preamplificatore con uscite sbilanciate come DAC e amplificatore per cuffie Prima di descriverne le altre caratteristiche, soffermiamoci un momento sul produttore. Audio-GD è un marchio cinese fondato da un progettista, il mitico Kingwa, che ha fatto esperienza negli USA prima di creare la propria azienda. Audio-GD è specializzato nella produzione di DAC, ma oggi il catalogo è piuttosto ampio e propone offerte di vario tipo, tutte caratterizzate da un rapporto qualità prezzo decisamente ottimo. Sono macchine dall’aspetto essenziale, ma che nascondono al loro interno componentistica di qualità. La resa sonora è sempre assolutamente lineare, da strumenti professionali, senza equalizzazioni che colorano il suono. Insomma tanta sostanza e pochi fronzoli. 
    Torniamo al nostro R2R11 mk2. Rispetto alla versione precedente, è stato completamente ripensato, al punto che avrebbe forse meritato un nome diverso.

    Il modulo di conversione D/A impiega 4 convertitori R-2R a 24 bit integrati e 2 decodificatori DSD nativi. I moduli R-2R e gli stadi di uscita analogici sono alimentati dai 3 gruppi di alimentatori puri di classe A. Per ragioni di economia e per mantenere l’architettura più semplice possibile è stata scelta una tecnologia NOS, ovvero senza sovracampionamento. Questo comporta a un peggioramento del rapporto S/N e della distorsione, cosa che porta, secondo lo stesso Kingwa, ad un suono che può ricordare quello di un valvolare o del vinile.
    Come ingressi digitali sono presenti USB, coassiale e ottico.

    Le uscite sono due RCA sul retro da collegare a un eventuale finale di potenza e un’uscita jack Neutrik con sicura sulla parte frontale.

    L’R2R11 ha sufficiente potenza per pilotare la maggior parte delle cuffie sul mercato. L’ampli per cuffie ha due livelli di guadagno: 12DB a basso guadagno per pilotare cuffie con sensibilità superiore a 95DB e 22DB ad alto guadagno. Volendo si possono aggiungere altri 6dB, inserendo due ponticelli.
    Sul pannello frontale sono presenti un display con caratteri azzurri ben visibili a distanza, la manopola del volume e tre pulsanti. I tre pulsanti permettono di selezionare l’ingresso digitale, di regolare il guadagno e di scegliere tra pre e ampli cuffia. Il display può essere anche oscurato quando non in uso
    Come suona?
    Come avete visto questo apparecchio può essere usato in diverse configurazioni. Premetto che io lo uso solo come DAC+ampli cuffia collegato a un PC. Viste le dimensioni piuttosto contenute (larghezza 240mm, profondità 280mm, altezza 85mm per 3,5Kg di peso), lo utilizzo per gli ascolti in cuffia mentre lavoro al computer. Potrebbe essere in alternativa collegato a un piccolo finale di potenza e a dei diffusori passivi. E’ dotato di un piccolo telecomando, che in quest’ultima configurazione sarebbe sicuramente molto utile.
    Tornando alla domanda di prima: come suona? Suona decisamente bene! Questo R2R11 mk2 ha un suono molto naturale e morbido, timbricamente corretto, con una ricostruzione del palcoscenico sonoro straordinaria.
    Potrei confrontarlo al suo fratellone maggiore, l’Audio-GD Master 11 Singularity che impiego nel mio impianto principale, ma sarebbe un confronto impari, perché il Master 11 è un sistema bilanciato che impiega soluzioni diverse e che si colloca in un’altra fascia di prezzo. A livello di suono, però, posso dire che hanno in comune la ricostruzione della scena sonora e l’impostazione molto neutrale.
    In conclusione, l’R2R Mk2 è una sistema molto versatile e assolutamente ben suonante. Pur collocandosi nella fascia medio-bassa del catalogo Audio-GD, non sfigura nella maniera più assoluta, anzi. 
    Oggi lo trova sul mercato ad un prezzo che oscilla tra i 680€ e i 750€. Considerandone le caratteristiche, si può affermare senza timore di essere smentiti che il rapporto qualità prezzo è assolutamente incredibile.
    Non esiterei a consigliarlo a chi lo voglia impiegare abbinato a cuffie di qualità, pur mancando di un’uscita bilanciata per le cuffie.
     
    Pro
    sistema versatile resa sonora molto musicale palcoscenico  rapporto qualità prezzo Contro
    non è compatto come altri sistemi DAC-Ampli cuffia non ha uscite bilanciate, ma questo lo sapevamo dall'inizio tecnologia senza sovracampionamento con i relativi pro e contro (distorsione elevata)  
    Per le caratteristiche tecniche dettagliate, rimando al sito di Audio-GD: http://www.audio-gd.com/R2R/R11MK2/R11mk2EN.htm
    Per chi fosse interessato, Audio-GD è distribuita in Italia da Spirit Sound: http://www.spiritsoundstore.com
  9. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Béla Bartók, integrale dei quartetti per archi.
    Quatuor Diotima
    naïve 2019
    ***
    La realizzazione dell'integrale dei sei quartetti del compositore ungherese Béla Bartók (1881-1945) è un'impresa artistica che merita sempre rispetto. In questo caso è il turno del quartetto Diotima, formazione francese molto nota soprattutto nell'interpretazione della musica moderna e contemporanea: il Diotima ha collaborato in passato con Boulez e con Lachenmann ed è dedicatario di diversi lavori per quartetto.
    Di certo non sono i primi a cimentarsi con i quartetti di Bartók. Mi vengono in mente diverse versioni di riferimento o importanti, come quelle del quartetto Vegh (1954 e 1972), del Julliard (1950 e 1963) e del Tokyio (1977), Emerson (1988), Takács (1998) e in tempi più recenti del Belcea (2008).
    Composti nell'arco di 30 anni, tra il 1909 e il 1939, questi quartetti sono testimoni dell'evoluzione dello stile compositivo di Bartók nel corso degli anni e sono indispensabili per comprendere a pieno la sua arte.
    Se il primo quartetto (1908-1909) si trova all'incrocio tra post-romanticismo tedesco e la scoperta di Debussy, il secondo (1916-1917) si avvicina all'espressionismo e evidenzia i prim risultati degli studi di Bartók sul canto popolare ungherese; Il terzo quartetto (1927) trae in qualche modo ispirazione dalla Suite Lirica di Alban Berg e rappresenta un passo avanti in termini compositivi, come delle tecniche e degli effetti impiegati: i cosiddetti col legno, sulla tastiera, glissando, pizzicato, martellato. Il quarto quartetto del 1928 spinge più avanti alcuni elementi già presenti nel precedente e trova una struttura particolare con cinque movimenti disposti in modo simmetrico e concentrico. Il quinto quartetto del 1934, che vede un riavvicinamento alla tonalità ed è strutturato ancora in forma concentrica, raggiunge vette di straordinaria perfezione artistica. L'ultimo quartetto del 1939, fu una delle ultime opere composte da Bartók prima di lasciare l'Europa per gli Stati Uniti e riflette il dramma personale del compositore, costretto a lasciare la sua terra in quegli anni bui. Anche qui la struttura è innovativa, con i quattro movimenti introdotti sempre da un Mesto.

    Inutile dire che il quartetto Diotima dimostra un magistrale dominio della partitura così ricca di difficoltà tecniche e interpretative. I quattro musicisti si dimostrano pienamente a proprio agio in questo percorso in cui si incrociano linguaggi, influenze e momenti storici diversissimi. Ho trovato la lettura del Diotima da un lato analitica e in grado di dipanare un linguaggio così denso e a tratti aspro in modo estremamente nitido, dall'altro incredibilmente intensa e avvincente. Non è scontato rendere accessibile una materia sonora così complessa e densa, a tratti cerebrale, sicuramente lontana anni luce dai modelli romantici e preromantici, ma anche, mi viene da pensare, dai quartetti praticamente coevi di Prokofiev.
    Va notato che la qualità della registrazione è impeccabile e rende giustizia alla bravura dei Diotima. Il suono è straordinariamente presente, arioso e terso, permettendo di sentire con grande chiarezza tutti gli effetti tecnici impiegati dai quattro musicisti.

  10. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Robert Schumann
    Sonata per pianoforte No. 3 Op. 14 "Concerto senza orchestra" (Arr. V. Horowitz) 
    Faschingsschwank aus Wien, Op. 26 
    3 Fantasiestucke, Op. 111
    Gesänge der Frühe, op. 133
    Jean-Efflam Bavouzet, pianoforte.
    Chandos 2019
    ***
    Mi sono sorpreso nel vedere che il pianista francese Jean-Efflam Bavouzet ha dedicato il suo ultimo disco a Robert Schumann. Bavouzet si è reso celebre per le sue interpretazioni del repertorio francese: la sua integrale di Debussy è un riferimento assoluto, poi Ravel e Pierné. Ha completato in seguito dei cicli di registrazioni dedicati al repertorio pre-romantico, Haydn e Beethoven, e ha fatto qualche puntata nel repertorio novecentesco (Prokofiev, Bartok e Stravinsky), in ogni caso con interpretazioni sempre di grande rilievo. 
    Stupisce quindi vederlo tuffarsi nel repertorio romantico che più romantico non si può.
    Il programma è molto particolare e originale: si parte da due lavori del primo Schumann, la Sonata Op.14, chiamata "Concerto senza orchestra" e il Faschingsschwank aus Wien, Op. 26, e si prosegue con due opere più tardive, i 3 Fantasiestucke, Op. 111 per concludere con i Gesänge der Frühe, op. 133.
    La Sonata Op.14 era stata composta nel 1834 e contava di 5 movimenti. Fu l'editore a persuadere il compositore a eliminare due movimenti (due Scherzo) e a darle il nome di Concerto senza orchestra. Quasi 20 anni dopo nel 1853 Schumann rimise mano alla partitura e introdusse nuovamente uno dei due Scherzo. Fu solo dopo la morte del compositore che questa composizione fu eseguita per la prima volta in pubblico da Johannes Brahms, nel 1862.
    E' un lavoro molto ambizioso che rappresenta bene la lotta di Schumann nell'affrontare il modello beethoveniano e l'ideale della cosiddetta forma sonata.
    Bavouzet ci racconta di aver conosciuto questa sonata, ancora oggi poco eseguita, da una registrazione di Horowitz della fine degli anni '70. Ebbe poi la fortuna di eseguirla davanti allo stesso Horowitz nel 1985 e discutere con lui di alcune scelte di riprendere alcuni passaggi del primo movimento dalla prima versione del 1834. E' questa stessa versione che viene eseguita in questo disco, come omaggio al grande pianista russo.

    Naturalmente l'affinità con Horowitz finisce qui. Bavouzet non ha l'approccio istrionico e un po' folle di Horowitz, la sua è un'interpretazione decisamente più cartesiana, di una grande chiarezza  nel dipanare un linguaggio molto denso e nel rendere la struttura dell'opera. Grande precisione e un notevole senso ritmico, indispensabile in Schumann, ma anche poesia o forza quando occorrono.
    Segue il Faschingsschwank aus Wien che Bavouzet interpreta con uguale chiarezza, vivacità, energia e precisione. Qui non mancano i confronti, da Richter a Benedetti Michelangeli, da Perahia a Bunin, fino a Anderszewski in tempi più recenti. Qui se proprio dobbiamo muovere una critica al francese è quella di non osare un po' di più nel caratterizzare nei vari movimenti il mondo poetico di Schumann, fatto di slanci impetuosi e improvvise tenerezze.
    La seconda parte del programma vede due lavori dello Schumann più maturo.  Prima i tre Fantasiestücke Op 111 caratterizzati molto bene nell'altalena emotiva dei tre movimenti. Chiudono i Gesänge der Frühe ("Canti dell'alba") una delle ultime opere per pianoforte composte da Schumann prima del tentato suicidio nelle gelide acque del Reno e di essere internato in manicomio.  Si tratta di cinque brevi bravi, dal carattere intimo, a tratti solari, a tratti spettrali. Anche in questo caso è impeccabile l'interpretazione del francese, anche se tendo a preferire la lettura di Anderszewski (a mio avviso uno dei migliori interpreti di Schumann in circolazione) del 2010, molto più emozionante nel rendere il carattere visionario di questi pezzi.
    In conclusione, sicuramente un ottimo disco, che probabilmente vede il momento più alto nella terza sonata. Non che gli altri brani non siano all'altezza, anzi, e il pianista è abilissimo nel restituirci le particolarità del linguaggio pianistico di Schumann, ma la concorrenza è certamente molto forte. Bavouzet in ogni caso si conferma un bravissimo pianista, che vale sempre la pena ascoltare.
    Il libretto è ricco di informazioni sulle composizioni e include anche una nota molto interessante dello stesso Bavouzet.
    Molto buona la registrazione, con lo strumento, uno Yamaha CFX Concert Grand Piano, che appare ripreso a una certa distanza. Disponibile in 96/24.

  11. happygiraffe
    Beethoven, Trio per pianoforte Op.1 n.3 e Op.70 n.2
    Trio Sitkovetsky
    BIS, 2020.
    ***
    Comincia nel migliore dei modi il primo volume di questa nuova integrale  dei trii beethoveniani ad opera del giovane ensemble guidato dal violinista Alexander Sitkovetsky.
    Il numero d’opera non deve trarre in inganno: l’op.1 n.3 fu all’epoca una composizione molto innovativa nel portare questo genere dal repertorio salottiero di intrattenimento ad una dimensione più moderna. Talmente innovativa che l'insegnante del giovane Beethoven, Haydn, pur ammirandone le qualità, ne sconsigliò la pubblicazione, temendo che il pubblico non potesse capirlo. Si tratta in ogni caso del primissimo Beethoven, ancora lontano dall’eroico ardore del periodo centrale o dalle sperimentali astrazioni degli ultimi anni.
    Il Sitkovetsky ci stupisce subito per il suoi timbri pieni ed eleganti e lo slancio naturale e gioioso del fraseggio. I movimenti si susseguono con grande armonia e equilibrio, in un clima luminoso e gaio.
    Segue, a guisa di intermezzo, il graziosissimo Allegretto WoO 39, ultimo pezzo composto da Beethoven per trio, scritto per la giovane Maximiliane Brentano, “per incoraggiarla a suonare il pianoforte”.
    Non potrebbe essere più diversa l’atmosfera del ben più tormentato Trio Op.70 n.2.
    Privo di un movimento lento, questo trio si apre con un’introduzione sommessa in cui gli strumenti a canone introducono il primo tema, cui segue uno sviluppo decisamente più ombroso e passionale. Se l’Allegretto successivo sotto forma di variazioni, ha un carattere più ossessivo, L’Allegretto ma non troppo prende corpo da una splendida melodia nel più pure stile beethoveniano. Il Finale è un misto di esuberanza e virtuosismo, che ci porta a briglie sciolte verso la conclusione.
    Davvero irreprensibili i tre musicisti del Trio Sitkovetsky, sia nel equilibrio tra gli strumenti, con il pianoforte di Wu Qian che non domina mai e il violoncello di Isang Enders sempre perfettamente leggibile, sia nella giudiziosa scelta dei tempi. E’ nel complesso un interpretazione molto naturale e “classica”, ma per niente accademica e priva di qualsiasi affettazione. Aspettiamo il seguito!
    Ottimo anche la qualità della registrazione, che rende bene il suono caldo dell’ensemble con tutte le sue sfumature timbriche e ci restituisce un’immagine omogenea e realistica.
  12. happygiraffe
    Beethoven, concerti per pianoforte n.2 e n.5 "Imperatore".
    Kristian Bezuidenhout, fortepiano; Freiburger Barockorchester, direttore Pablo Heras-Casado.
    Harmonia Mundi 2020
    ***
    Devo ammettere che, al primo ascolto di questo disco, non ho seguito l’ordine delle tracce che prevederebbe prima il quinto e poi il secondo, ma sono passato direttamente al secondo concerto, uno dei miei preferiti. Non avevo particolari aspettative: stimo Bezuidenhout come un ottimo fortepianista, ma le sue incisioni dei concerti di Mozart sempre con Heras-Casado non mi avevano entusiasmato. E invece…BANG!!…sono stato letteralmente cappottato sul divano! 

    La sensazione che ho provato è stata quella di ascoltare quel concerto per la prima volta, ma anche di essere trasportato nello spazio e nel tempo al momento della sua prima esecuzione.
    Non è solo l’effetto degli strumenti d’epoca (Bezuidenhout suona una replica del 1989 di un Graf del 1824), dei tempi vivaci, del piglio energico del solista e del direttore e dell’affiatamento che c’è tra i due, ma c’è dell’altro e precisamente una freschezza di approccio e una certa libertà che ricorda l’improvvisazione, come se questi pezzi fossero eseguiti per la prima volta. E’ come se Bezuidenhout e Heras-Casado si fossero dimenticati di due secoli di tradizione interpretativa, tale è la spontaneità con cui rivisitano queste pagine.

    E del resto lo stesso Beethoven, ci ricorda Bezuidenhout nelle note di copertina, alle prime esecuzioni dei suoi concerti lasciava molto spazio all’improvvisazione, non avendone ancora ultimato la partitura in ogni dettaglio, al punto da presentarsi con i fogli della parte per pianoforte appena abbozzati o spesso completamente bianchi!
    Sempre Bezuidenhout conferma le nostre sensazioni, dichiarando che l’approccio seguito nelle sedute di registrazione è stato proprio quello di combinare lo studio approfondito delle edizioni critiche moderne con una maniera di suonare rispettosa di quelle che erano le abitudini ai tempi di Beethoven, vale a dire di “usare il testo come una sorta di canovaccio o, se vogliamo, di trampolino”.
    Nel complesso ho trovato assolutamente entusiasmante il secondo concerto, mentre un po’ più tradizionale il quinto, ma non per questo meno interessante. In entrambi si percepisce in ogni momento una totale immedesimazione nello spirito di questa musica.
    Per le cadenze, nel secondo concerto Bezuidenhout ha rielaborato dei materiali scritti da Beethoven per la cadenza del primo concerto, mentre per il quinto concerto ha utilizzato una trascrizione della cadenza improvvisata da Robert Levin per la registrazione del 1999 con John Eliot Gardiner (Archiv).
    Praticamente irreprensibile la qualità della registrazione, come da standard Harmonia Mundi.
    Consigliatissimo!
     
  13. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Beethoven, le sonate per pianoforte.
    Igor Levit, pianoforte.
    Sony Classical 2013/2019
    ***
    Ormai è chiaro che Igor Levit è un pianista a cui piace darsi degli obiettivi ambiziosi: esordio impressionante con le ultime sonate di Beethoven, poi tutte le partite di Bach, poi un triplo album con Goldberg, Diabelli e le bizzarre variazioni di Rzewski, nel 2018 un personalissimo e densissimo concept album, Life. Ora arriva addirittura l’integrale delle 32 sonate di Beethoven! Incisa tra la fine del 2017 e i primi mesi del 2019, recupera le sonate 28-32 dal suo disco di esordio del 2013.
    Ma al di là della sua passione per le sfide, quello che impressiona sempre di Levit è la solidità delle sue scelte interpretative.  Questa integrale colpisce per la coerenza e per la linearità dello stile attraverso tutto il ciclo di sonate. Analizzando i tempi utilizzati (questione perennemente dibattuta), Levit segue chiaramente la tradizione di Schnabel, che privilegia tempi veloci e accentua i contrasti tra movimenti veloci e movimenti lenti. E’ un Beethoven vigoroso, energico e scattante. E’ una scelta netta, da tenere in considerazione sulla base delle proprie preferenze.
    C’è continuità anche nel modo in cui è stato “ripreso” il pianoforte dagli ingegneri del suono, nonostante le registrazioni si siano svolte in tre luoghi diversi in periodi diversi. Non è un pianoforte come solitamente siamo abituati ad ascoltare, con microfoni molto vicini e un suono pulito e analitico con separazione tra i vari registri e se vogliamo poco realistico, ma è un pianoforte come potremmo sentirlo in una sala da concerti, ampio, con i registri ben amalgamati tra loro, ma meno “radiografico”. E’ un fatto questo che condiziona di molto tutta l’esperienza di ascolto. Si può perdere qua e là qualche sfumatura o qualche dettaglio, ma probabilmente si guadagna in impatto emotivo. Personalmente ho sempre trovato che questo tipo di registrazioni mi facciano rivivere molto di più l’esperienza del concerto.

    Prime sonate (1795-1800)
    Già dalle prime sonate, spesso punto di debole di altre integrali, così rivolte alla tradizione classica di Haydn e Mozart, ma già cariche di idee nuove, si capisce che il Beethoven di Levit è già tutto proiettato verso il futuro. I tempi sono piuttosto rapidi, le dinamiche accese. Pur mantenendo uno sguardo riconoscente verso il passato, lo Sturm und Drang è già arrivato. Questo è messo sempre più in evidenza man mano che si passa dalle prime sonate Op.2 via via verso letture sempre più energiche delle 3 sonate Op.10, dell'Op 13 "Patetica", fino all'Op.22 che chiude il periodo delle prime sonate, ma che già precorre il gruppo delle sonate di mezzo.
    Sonate Centrali (1801-1814)
    Con il gruppo delle sonate cosiddette centrali si va nel cuore della produzione beethoveniana ed è qui che emergono le capacità introspettive di Levit, che riesce con facilità ad andare sotto la superficie a cogliere l'essenza di ogni sonata. E’ un Beethoven energico e grintoso che vola sui tasti, ma con profondi momenti di riflessione nei movimenti lenti.
    Sono tanti i momenti degni di nota: una “Marcia funebre” cupa e intensa, una “Pastorale” di rara sensibilità, una "Appassionata" da ricordare, assolutamente viscerale e spericolata; la "Waldstein" ha un avvio sprintosissimo e un finale pirotecnico. Se devo proprio trovare qualche punto negativo, sorprende qua e là (e anche nelle sonate del primo gruppo) una certa fretta nei movimenti finali e nelle battute conclusive, quasi che il pianista avesse fretta di chiudere lo strumento e andarsene.
    Ma se guardiamo a questo gruppo di sonate nel loro insieme, sono evidenti da un lato la sicurezza, davvero senza esitazioni, del pianista nelle proprie scelte interpretative, dall'altra anche la volontà di mettersi in gioco e di prendersi dei rischi, anche a scapito di quella perfezione tanto ricercata in studio di registrazione. In questo senso questa integrale, anche per come è stata registrata, riporta all'ascoltatore le emozioni che di solito si possono provare in un’esecuzione dal vivo. Pur essendo un musicista di grande personalità, non ho trovato in queste esecuzioni quel desiderio di stupire a tutti i costi che spesso caratterizza le interpretazioni di un repertorio così frequentato. C’è anzi un rispetto per la lettera, ma soprattutto per lo spirito di questa musica, che vorremmo vedere più spesso (Vedi ultimo disco di Pogorelich).
    Sebbene Levit non abbia adottato scelte eccessive o estreme (Pollini in alcune sonate è stato ben più radicale), certamente alcuni potranno desiderare un po' più di respiro o un approccio più misurato o più contemplativo. 
    Ultime sonate (1816-1822)
    Le ultime 5 sonate di questa integrale sono riprese dallo splendido disco di esordio del 2013. L'approccio si fa più riflessivo, specie nei movimenti lenti eseguiti con grandissima intensità (Op.101, Op.106) ad evidenziare il contrasto coni movimenti veloci eseguiti con il consueto vigore (si ascolti il primo movimento della "Hammerklavier", così febbrile e concitato).
    La capacità di rendere con lucidità l'architettura dell'opera nella sua interezza, dote davvero rara, qui è assoluta, così come l'abilità nell'accompagnare chi ascolta in un viaggio nella musica.
    Riascoltando oggi l'Op.111, a distanza di qualche anno dalla sua uscita e con l'ascolto freschissimo di questa integrale, mi rendo maggiormente conto di qualche passaggio leggermente troppo lento per i miei gusti, ma stiamo davvero parlando di dettagli. 

    Ormai non ci devono più stupire le capacità e la maturità interpretativa e intellettuale di questo pianista. Quest'ultima fatica di Levit ne è un'altra riprova.
    Pur non mancando le integrali di peso (da quelle storiche di Schnabel, Backhaus, Kempff, Gilels, purtroppo non completa, Arrau, poi quelle di Brendel, Pollini, Barenboim, Kovacevich, fino ai giorni d'oggi con quella di Biss, ormai quasi completata), questa nuova integrale, costruita con una visione sicura, lucida e coerente, è destinata a essere ricordata. 
    E ora che ha archiviato in una manciata di anni le 32 sonate e le variazioni Diabelli, forse Levit si dedicherà ai 5 concerti?

  14. happygiraffe
    Beethoven, sonate per pianoforte Opp.109, 110 e 111.
    Steven Osborne, pianoforte.
    Hyperion, 2019.
    ***
    Steven Osborne ritorna alle ultime sonate di Beethoven, dopo il bel disco del 2016 in cui ci regalava una viscerale interpretazione dell’Hammerklavier. Qui troviamo le celeberrime ultime tre sonate (Opp.109, 110 e 111), cavallo di battaglia di tanti grandissimi pianisti.

    Lo scozzese è un ottimo musicista, con alle spalle una solida e invidiabile discografia, ma in questo disco penso che raggiunga uno dei punti più alti della sua carriera.
    E’ sorprendente la sua capacità di ridare vita alla partitura. Lo fa con naturalezza, energia, freschezza, intensità, attenzione al dettaglio e visione d’insieme allo stesso tempo.
    Si potrebbero fare mille confronti con i grandi del passato, così come con le interpretazioni più recenti. Mi vengono in mente tra queste ultime quelle di Igor Levit, Jean-Efflam Bavouzet e Jonathan Bliss, non mancano certo le versioni di riferimento e tante registrazioni memorabili, ma questo disco ha davvero quel qualcosa di magico che caratterizza il raggiungimento di una maturità artistica e di uno stato di grazia, che per nostra fortuna è stato impresso su disco.
    Forse è l'Op.110 il momento più alto di questo disco, senza nulla togliere alla 109 e alla 111. Ogni sonata è in ogni caso perfettamente caratterizzata e distinta dalle altre. Sono letture che amano esaltare i contrasti tra i momenti di grande delicatezza e profondità e quelli invece più violenti e esplosivi, riuscendo comunque a mantenere l'equilibrio tra gli estremi.
    Gli ingegneri del suono di Hyperion rendono fortunatamente onore alle qualità del pianista e dello strumento.
    E' un disco che ho ascoltato e riascoltato più volte negli ultimi mesi e mi sono ormai convinto che Steven Osborne ci abbia offerto una registrazione straordinaria, probabilmente una delle sue più riuscite, che si va ad aggiungere alle migliori dell'imponente catalogo delle ultime sonate del genio di Bonn.
    Consigliatissimo.
     
  15. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Beethoven: Variazioni e fuga "Eroica" Op.35; 6 variazioni WoO  77; 32 variazioni in do minore WoO 80.
    Bruno Leonardo Gelber, pianoforte.
    Orfeo, 2016.
     
    ***
    Mi chiedevo perché la rivista francese Diapason abbia recentemente deciso di premiare con il suo "diapason d'oro" questo disco del 2016 di una registrazione del 1983 del pianista Bruno Leonardo Gelber.
    La risposta è venuta naturale con l'ascolto: dovevano riparare all'onta di non averlo fatto prima!
    Bruno Leonardo Gelber è un pianista argentino nato nel 1941 a Buenos Aires e allievo dello stesso Vincenzo Scaramuzza che fu maestro di Martha Argerich. Ha avuto una lunga carriera internazionale e ha inciso per lo più per Denon e Emi, ma per qualche  motivo è stato un po' trascurato dai media, specialmente negli ultimi anni.

    In questo disco suona le variazioni Eroica, le variazioni facili WoO 77 e le 32 variazioni in do minore WoO 80. Le interpreta con una naturalezza, una limpidezza che non rinunciano, al contrario, al brio e alla fantasia. Troviamo uno slancio e allo stesso tempo una sapienza interpretativa che tolgono letteralmente il fiato.
    E' molto buona anche la qualità della registrazione, che restituisce un'immagine dello strumento molto omogenea e coerente.
    Un disco che non posso che raccomandare molto caldamente.
  16. happygiraffe
    Articolo scritto e pubblicato da Silvio Renesto nel suo blog.
     
    Ho scoperto Beth Moon per caso, le sue foto mi hanno subito  affascinato. Una visione intensa della natura, a volte drammatica, a volte cupa o sognante, mai leziosa o banale. Ne ho scritto già su Nikonland, ma ne scrivo qui in modo un po' più esteso e aggiungendo delle  foto.
    Forse le sue immagini più famose sono  i  ritratti ad alberi giganteschi o secolari. 
    Un patrimonio di meravigliosa antica bellezza, spesso  minacciato, che Beth Moon ci fa conoscere attraverso la sua   sensibilità, creando immagini di forte impatto emotivo.
     

     

     

     
     
    Lei stessa nel suo sito http://www.bethmoon....ouchWood00.html scrive:
     
    "Molti degli alberi che ho fotografato sono sopravvissuti perchè fuori dal raggio della civiltà...certi esistono solo in angoli remoti del mondo...
    i criteri che uso per sceglier eun particolare albero sono principalmente tre : l'età, le dimensioni immense o la storia importante... essendo i più grandi e più vecchi monumenti viventi della Terra, credo che questi alberi simbolici  abbiano un significato più vasto in un tempo in cui la nostra attenzione è concentrata nel trovare un modo migliore di convivere con l'ambiente".

    Majesty back. Le grandi querce.
    Sempre nel suo sito Beth Moon riporta quanto sul suo lavoro scrisse Jane Goodall :
     
    "Queste anziane sentinelle delle  foreste sono tra i più antichi esseri viventi del pianeta ed è disperatamente importante fare tutto quello che è in nostro potere per farle sopravvivere...voglio che i mie nipoti ... conoscano la meraviglia di questi alberi vivi e non solo tramite fotografia... I ritratti di Beth sicuramente ispireranno molti ... ad aiutare chi lavora per salvare questi magnifici alberi".



     
    Ma Beth Moon non si limita agli alberi.  

    Odin's Cove  (la Baia di Odino) è un portfolio fortemente gotico/romantico ispirato ai corvi di Odino. 

     
    Nella mitologia norrena, Huginn e Muninn sono due corvi che volano per il mondo cercando informazioni e  portando notizie al loro padrone, il dio nordico Odino.  Escono all'alba  e ritornano la sera, si posano sulle spalle del dio e gli sussurrano le notizie nelle orecchie. I loro nomi hanno un significato: nella lingua norrena  Huginn vuol dire pensiero e Muninn memoria.
     


    I Corvi Imperiali sono grandi e stupendi uccelli;  nelle immagini di Beth Moon sono al tempo stesso malinconici e potenti, sembrano davvero  venire  dalle brume di un altro mondo. 

     
     
    Beth Moon per la stampa utilizza anche quello che lei, citando John Stevenson, chiama "Nobile processo nell'era digitale": ossia una stampa al platino, che dice di essere nota per la luminosità e ampia scala tonale, in cui l'assenza di uno strato legante (binder layer)  permette ai cristalli di platino di venire incorporati nella carta dando una tridimensionalità unica.
    Oltre non mi addentro... perchè non so di cosa sto parlando     se Michele, bontà sua, vorrà spiegarci meglio di cosa si tratta gliene sarò grato. 

     Insomma,  non perdetevi il sito di Beth Moon e godetevi le sue immagini. 
     
    http://www.bethmoon.com
     
     
    DISCLAIMER: Va da sè che tutte le foto di questo reportage sono opera e proprietà esclusiva di Beth Moon,  qui riportate solo a scopo di illustrare la sua arte.
    All the photos here shown are  by Beth Moon and she has the exclusive copyright, and are  published here only to spread knowledge about her great art.
     
  17. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    After Bach
    Brad Mehldau, pianoforte
    Nonesuch 2018
    Tracklist:
    1. Before Bach: Benediction
    2. Prelude No. 3 in C# Major from The Well-Tempered Clavier Book I, BWV 848
    3. After Bach: Rondo
    4. Prelude No. 1 in C Major from The Well-Tempered Clavier Book II, BWV 870
    5. After Bach: Pastorale
    6. Prelude No. 10 in E Minor from The Well-Tempered Clavier Book I, BWV 855
    7. After Bach: Flux
    8. Prelude and Fugue No. 12 in F Minor from The Well-Tempered Clavier Book I, BWV 857
    9. After Bach: Dream
    10. Fugue No. 16 in G Minor from The Well-Tempered ClavierBook II, BWV 885
    11. After Bach: Ostinato
    12. Prayer for Healing
    ***
    Lo dichiaro subito: parlare su queste pagine di un disco di Brad Mehldau potrebbe apparire un po' strano o fuori contesto, ma a me, che non ascolto solamente musica classica, Mehldau è sempre piaciuto, per cui ammetto candidamente che ho colto il pretesto di questo suo disco di ispirazione Bachiana per parlarne qui su variazionigoldberg.

    Semplificando le cose si può dire che Brad Mehldau sia un pianista jazz tra i migliori della sua generazione. Andando anche un po' oltre si più anche affermare che sia un musicista molto versatile, cogliendo in pieno quella caratteristica del jazz che è quella di prendere costantemente spunto dai temi musicali più disparati. Ma Brad non si è fossilizzato sui soliti standard del Jazz: ascoltando i suoi dischi si trovano interpretazioni di brani che vanno dai Beatles ai Radiohead, da Paul Simon a Nick Drake, da Dylan a Fiona Apple, da Brian Wilson a Kurt Cobain.

    Quello che mi ha sempre affascinato del suo stile, già dal primo ascolto venti anni fa, è la forte presenza di solide radici classiche: pur se il linguaggio musicale è proprio del Jazz, non è difficile ritrovare echi che vanno da Bach a Brahms. E proprio qualche Intermezzo di Brahms è comparso in alcune sue incisioni live, come testimonia il disco "10 Years Solo Live" del 2015.
    Quest'ultimo disco, "After Bach", si spinge oltre. Alcuni preludi e fughe del Clavicembalo ben temperato sono suonati da Mehldau e diventano il punto di partenza per le sue composizioni.
    Un'operazione che potrebbe irritare gli integralisti della musica classica, così come spiazzare i jazzofili più incalliti. 
    Volendo invece accogliere la proposta del versatile pianista americano senza pregiudizi, si può rimanere sorpresi. Le divagazioni di Mehldau sui pezzi del Clavicembalo ben temperato vanno ben oltre un approccio "jazzy". Il suo linguaggio musicale supera i confini del jazz e quella che ne risulta è una scaletta molto omogenea con un affascinante gioco di rimandi tra i brani di Bach e quelli originali.
    L'ho trovato nel complesso un disco molto godibile e sicuramente una delle proposte più interessanti uscite in questo periodo. Lo consiglio a chi non si lasci stranire da questa commistione di generi e lo ascolti con mente e cuore aperti prima di giudicarlo.

  18. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Brahms, sestetti per archi.
    Belcea Quartet, Tabea Zimmermann (viola), Jean-Guihen Queyras (violoncello).
    Alpha Classics, 2022.
    ***
    Ricordo un programma del V canale della filodiffusione (oggi Radio3 Classica) che si intitolava “i capolavori della cameristica brahmsiana”. In effetti il termine capolavoro non è usato a sproposito per un compositore che ha saputo arricchire il repertorio cameristico, creando dei nuovi riferimenti assoluti per ogni genere affrontato, che siano quartetti, quintetti, sestetti per archi, sonate per violino e pianoforte, per violoncello e pianoforte, quintetto per pianoforte o per clarinetto, etc.
    I due sestetti per archi, pur essendo opere di un Brahms non ancora trentenne, sono tra le sue prime gemme nell’ambito della musica da camera. Probabilmente in soggezione davanti al modello dei quartetti di Beethoven, Brahms decise di cimentarsi con un organico decisamente insolito e poco esplorato fino a quel momento, quello del sestetto, ossia due violini, due viole e due violoncelli e questo gli diede modo di sperimentare diverse combinazioni dei vari strumenti, trasformando di fatto il sestetto in qualcosa che va ben oltre il concetto di un quartetto vitaminizzato.
    Il quartetto Belcea aveva già fatto meraviglie con questo disco di qualche anno fa contenente i tre quartetti e il quintetto con pianoforte di Brahms:

    In questa nuova incisione sono accompagnati dalla viola di Tabea Zimmermann e dal violoncello di Jean-Guihen Queyras. L’intesa è semplicemente perfetta, dovuta con buona probabilità alla tournée di concerti che hanno preceduto la registrazione e che ha creato un ottimo affiatamento tra i musicisti.
    Fin dalle prime battute del primo sestetto si rimane colpiti dalla trasparenza della trama, con un uso molto discreto del vibrato, dalla raffinatezza timbrica che non sconfina nell’autocompiacimento, dall’infallibile senso del ritmo. Emblematico è il secondo movimento, Andante ma moderato, con il tema stupendamente enunciato dal timbro caldo e vellutato della viola e le variazioni che seguono via via più intricate e ritmicamente complesse. Si ascolti l’incredibile effetto coloristico che ottengono a circa 6’16’’ con le voci degli strumenti ridotte a un sussurro.  L’interpretazione nel suo complesso restituisce un carattere serenamente affettuoso che ben si confà a questo primo sestetto Op.18.
    Più severa e malinconica la lettura del secondo sestetto Op.36, opera più complessa e raffinata da un punto di vista compositivo e figlia di un periodo buio per il compositore, con la scomparsa improvvisa della madre e il fallimento della relazione con il soprano Agathe von Siebold (il cui nome appare traslitterato in note musicali in un tema della viola nel primo movimento). Nelle variazioni del meraviglioso terzo movimento, Poco adagio, il Belcea mette in risalto un sentimento di fragilità e inquietudine, fino ad arrivare ai fremiti e agli slanci, mai troppo consolatori, dell’ultimo movimento. Anche in questo secondo sestetto il suono è terso, preciso, con poco vibrato, la lettura intima e ricca di pathos, ma mai pesante.
    Nel complesso è un disco che mi è piaciuto molto e che sono tornato a riascoltare diverse volte nelle ultime settimane, apprezzandolo ogni volta di più. Non mancano le versioni alternative, da quelle storiche (Stern e amici, Amadeus, Alban Berg) a quelle più recenti (Isabelle Faust e amici, Renaud Capuçon e compagni, gli strumentisti della WDR), ma questa per il momento è diventata il mio personalissimo riferimento.
    Semplicemente magnifica la qualità della registrazione. Sembra realmente di avere i sei musicisti disposti davanti noi.
    Molto consigliato!

  19. happygiraffe
    Chanson d’amour, melodie di Debussy, Ravel, Fauré, Poulenc per soprano e pianoforte.
    Sabina Devieilhe, soprano, Alexandre Tharaud, pianoforte.
    Erato 2020
    ***
    Avevamo lasciato Sabina Devieilhe alle prese con le cantate italiane di Handel in uno dei dischi più belli del 2018 e ora la ritroviamo in un bellissimo recital di melodie francesi di Debussy, Ravel. Fauré e Poulenc, accompagnata da un pianista d’eccezione, Alexandre Tharaud. 
    Intendiamoci, di dischi così (melodie francesi a cavallo tra ‘800 e ‘900, titolo e copertina ammiccanti) se ne vedono tanti e non c’è cantante francese che si rispetti che non ne abbia uno a catalogo (vedasi Natalie Dessay, Sandrine Piau, Véronique Gens, Patricia Petibon) ed è giusto che sia così perché il repertorio di quel periodo è talmente bello, ricco, vario che sarebbe un delitto non approfittarne.
    La Devieilhe ce ne aveva già dato un assaggio gustoso in Mirages del 2017.
    Qui Devieilhe e Tharaud costruiscono il loro recital intorno alle 5 Mélodies populaires grecques di Ravel e alle 6 Ariettes oubliées di Debussy, contornandole di tanti altri brani degli stessi Debussy e Ravel, così come di Fauré e Poulenc. 
    Sono arie spesso brevi, sintetiche, folgoranti, ricche di pathos come di umorismo, commoventi o divertenti, dove l’inventiva e la sensibilità dei due danno il meglio nel rendere la raffinatezza, la grazia e la varietà di emozioni di questa raccolta.
    Ma su tutto troneggia la voce incredibile di Sabine Devieilhe, ormai da tempo considerata l’erede della Dessay. Una voce limpida e pura, delicata come un flauto dolce, dove la leggerezza è compensata una freschezza e una naturalezza da togliere il fiato (a chi ascolta!). Devo ammettere che l’ascolterei volentieri anche se cantasse l’elenco del telefono!
    Tharaud è un accompagnatore attento e raffinato e l’affiatamento tra i due è evidente e non risale a questo disco.
    Se volete regalarvi un’ora di felicità, non posso che consigliarvelo.
     
  20. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Chopin: 2 Notturni Op.55, 3 Mazurche Op.56, Berceuse Op.57, terza Sonata per pianoforte Op.58
    Maurizio Pollini, pianoforte.
    Deutsche Grammophon 2019
    ***
    Con una straordinaria carriera pianistica alle spalle, migliaia di concerti e decine di dischi che hanno fatto storia, mi sono chiesto che cosa abbia spinto Pollini, alla veneranda età di 77 anni, a ritornare in studio per registrare ancora una volta Chopin. Molti dei pezzi, poi, come la terza sonata o la Berceuse, li aveva incisi quando era all'apice del suo percorso artistico. E poi l'ultimo suo disco dedicato a Chopin del 2017 mi aveva lasciato l'impressione di un artista ormai alla fine (per poi in parte ricredermi lo scorso anno con la sua lucida e moderna lettura del secondo libro dei Préludes di Debussy). Così, con la consapevolezza di chi sta andando incontro a una delusione, mi sono avviato ad ascoltare questo disco, con ben poche aspettative.
    Invece, è stata una sorpresa trovare un Pollini diverso dal solito. Decisamente più lirico e espressivo, con un'inconsueta flessibilità ritmica, è un Pollini che ha perso un certo suo tratto di nervoso e aggressivo, che emerge a tratti in alcuni dischi e dal vivo, per trovare una nobile serenità. Un artista finalmente in pace con se stesso.
    D'altra parte Pollini è un consumato interprete di Chopin, basti sentire l'eleganza belcantistica con cui conduce la melodia del Notturno Op.55 n.1 o della Berceuse. E anche se nei passaggi più impegnativi non troviamo più la tecnica infallibile di un tempo, le mani filano ugualmente veloci e senza troppe preoccupazioni. 
    In conclusione un buon disco, che probabilmente non aggiunge molto al glorioso lascito discografico di Pollini, ma che ci mostra un'artista che, arrivato in tarda età, ha ancora il coraggio, la voglia e la passione per sperimentare percorsi diversi.
     
  21. happygiraffe

    Beginners Guide
    Con ogni probabilità il compositore di musica per pianoforte più popolare e più eseguito, Chopin fu come un breve e luminoso lampo nel panorama musicale romantico. Il suo linguaggio musicale così originale sembra provenire dal nulla, così lontano dagli archetipi classici di Haydn e Beethoven, per poi svanire nel nulla, pur lasciando un impronta netta su molti compositori venuti dopo di lui.
    Nato in Polonia nel 1810, si trasferì nel 1830 a Parigi dopo la repressione russa della rivolta di novembre. Lì visse fino al 1849, anno della sua morte prematura, campando di lezioni di pianoforte e della vendita delle sue composizioni, tra continui problemi di salute e economici. Non fu il tipico pianista virtuoso dell’era romantica: in tutta la sua vita eseguì solo una trentina di concerti, preferendo esibirsi nei salotti della buona società parigina.
    A differenza di tanti altri compositori dello stesso periodo, Chopin fu totalmente incurante del modello classico e beethoveniano in particolare. Il suo stile sembra invece pescare nel repertorio della musica popolare da salotto, riadattandola a un linguaggio assolutamente originale e personale, in grado di restituire con straordinaria immediatezza e precisione i moti del suo animo, dalla malinconia allo slancio nazionalista, dalla passione più ardente ai fantasmi più cupi e febbrili.  
    Si dedicò quasi esclusivamente alla musica per pianoforte (con poche eccezioni, come i due concerti per pianoforte e la sonata per violoncello e pianoforte) e predilesse le forme brevi. Il suo catalogo si può riassumere piuttosto velocemente: da un lato musiche per così dire da salotto, Valzer, Polacche e Mazurche, ispirate alla danza, Preludi e Notturni, altre composizioni pensate per l’insegnamento, i suoi straordinari Etudes, altre ancora di stampo puramente virtuosistico, come i concerti. Ci sono poi altre pagine assolutamente uniche, innovative e originali, come le Ballate, gli Scherzi, la Berceuse e la Barcarolle. Ci sono infine le sonate per pianoforte.

    La partitura autografa della Polacca Op.53.
     
    Di dischi straordinari dedicati a Chopin ce ne sono molti. Quella che segue non ha la pretesa di essere la discografia definitiva, quanto piuttosto una serie di suggerimenti per chi si vuole avvicinare a questo compositore. Nella scelta abbiamo considerato alcune interpretazioni classiche  e giustamente note, così come alcune molto più recenti, lasciando da parte le incisioni storiche.
    Sonate
    Delle tre sonate per pianoforte, si ricordano solo la seconda, quella della famosissima "marcia funebre", e la terza, mentre la prima, scritta a 18 anni quando era ancora studente, non viene quasi mai eseguita.Tra le tantissime interpretazioni, segnaliamo quella dell'argentina Martha Argherich, vincitrice del Concorso Chopin nel 1965. Ardore, passione, tocco felino, tecnica straordinaria.


    Notturni
    I 21 Notturni sono il trionfo della melodia. Il polacco Arthur Rubinstein, che di Chopin fu un grande interprete, incise nel 1967 questa edizione che è passata alla storia. Lirismo e grande naturalezza senza scadere mai nel sentimentalismo.

    Per chi preferisse un'edizione più recente, segnalo questa del 2010 del brasiliano Nelson Freire:

    Mazurche
    Chopin scrisse ben 59 Mazurche nel corso della sua vita. Sono pagine brevi che traggono spunto dalla danza tradizionale polacca, ma che poi si sviluppano in modo assolutamente originale e molto vario. Questa è una selezione, suonata con grande immaginazione e straordinaria ricerca timbrica dal russo Pavel Kolesnikov (2016):

    Studi
    Nelle due raccolte di Studi, l'aspetto didattico e di esercizio su specifici problemi di tecnica diventa lo spunto per queste pagine di grande poesia. Maurizio Pollini, vincitore del Concorso Chopin nel 1960, nel 1972 ci regala un'interpretazione degli Etudes Op.10 e Op.25 caratterizzata da un grande vigore e da una dominio tecnico assoluto.

    Ballate
    Le Ballate sono una forma musicale nuova, inventata da Chopin che prese in prestito il loro nome dalla letteratura. Tecnicamente molto impegnative, sono tra le composizioni più felici e straordinarie del compositore polacco.
    Per le Ballades raccomandiamo questo disco del 1994 dell'americano Murray Perahia, per tecnica, inventiva e calore dell'interpretazione:

    Polacche
    Anche le Polacche prendono spunto dalla danza per esprimere i più incandescenti sentimenti nazionalistici dell'esule Chopin.
    Ancora Pollini in questa storica interpretazione del 1976. Uno Chopin epico, virile e appassionato:

    Preludi Op.28
    24 brevi e folgoranti composizioni scritte a Palma di Maiorca tra il 1835 e il 1839. Il polacco Rafal Blechacz, vincitore del Concorso Chopin nel 2005, incide per DG i Préludes Op.28 nel 2007. Una lettura di grande sensibilità e poesia.

    Scherzi
    Chopin compose quattro Scherzi tra iI 1831 e il 1842. Sono composizioni in cui prevale l'elemento rapsodico, accompagnato da drammatici contrasti.
    In questo straordinario disco del 2012 dell'inglese Benjamin Grosvenor, ne ascoltiamo una lettura vivace e elettrizzante.

    Concerti
    Sono pezzi di bravura di stampo chiaramente virtuosistico. L'accompagnamento orchestrale è poca roba, tutto ruota intorno al pianoforte (e come potrebbe essere diversamente?).
    Qui un'interpretazione classica, quella del 1999 di Martha Argerich e Charles Dutoit.

    E una recentissima edizione del 2019 in cui i concerti vengono eseguiti nella loro versione da camera per pianoforte (un bellissimo Erard del 1836) e quintetto d'archi:

    Recital
    Infine qualche recital che ha fatto storia.
    Un disco del 1972 interamente dedicato a Chopin da Arturo Benedetti Michelangeli. L'interpretazione delle 10 Mazurche è leggendaria. Quello che fa qui Benedetti Michelangeli con il suo pianoforte è realmente magico:

    Un altro disco storico, quello di Martha Argerich del 1965, freschissima vincitrice del concorso Chopin. Un uragano di energia e di passione: 

    Infine, le 4 Ballate con la Fantasia e la Barcarolle, nell'impeccabile lettura di Krystian Zimerman, vincitore del Concorso Chopin nel 1975. Su Zimerman i pareri si dividono, ma qui, al di là della consueta cura maniacale di ogni dettaglio, pare veramente ispirato.

     
    Buoni ascolti chopiniani!
  22. happygiraffe
    Riporto qui questo articolo scritto e pubblicato da Silvio Renesto sul suo blog su Nikonland.
    Da oltre  cinquant'anni Clyde Butcher ha creato emozionanti immagini in bianco e nero dei paesaggi naturali del Nord America. Le sue fotografie trasportano chi guarda nella bellezza primordiale dei vasti orizzonti, dei panorami infiniti e nello splendore,raramente visibile, della wilderness. Le sue immagini sono coinvolgenti e ci rammentano il legame che abbiamo con il mondo della natura.

    Clyde Butcher nacque in Kansas nel 1942. Da bambino disegnava navi o ne costruiva dei modelli con scarti di ferro nell'officina di suo padre lattoniere. Prese una Laurea in Architettura alla California Polytechnic State University. Fu allora che scoprì di non essere bravo a  disegnare e così decise di imparare da solo a fotografare per poter riprodurre i progetti di architettura senza disegnarli. Non avendo i soldi per acquistare una fotocamenra se ne costruì una a foro stenopeico. 
    Negli anni sessanta vide una mostra fotografica di Ansel Adams allo Yosemite National Park, ne rimase così impressionato che cominciò a fotografare in bianco e nero. Nel 1970 lasciò l'architettura e si iniziò a far vedere le sue fotografie in mostre locali. Nel 1971 iniziò una nuova attività "Eye encounter Inc." che consisteva nello stampare e vendere le sue fotografie di panorami selvaggi degli Sati Uniticome decorazioni murali per grandi magazzini. Per aumentare le vendite iniziò ad usare pellicole a colori e fotocamere a formato 13x18cm . Il giro d' affari crebbe vertiginosamente e Eye Encounter divenne una ditta con moltissimi dipendenti. Clyde vendette l'attività nel 1977 a causa dello stress eccessivo e si mise a girare la Florida in barca a vela. Si stabilì con la famiglia a Ft. Myers nel 1980, iniziando a  vendere i suoi paesaggi western a colori e fotografie di  temi diversi.
    Nel 1984 fu portato a visitare una palude di cipressi dentro al Big Cypress National Preserve. Questo, disse, gli rivelò un nuovo mondo. L'immersione nella bellezza della palude lo convinse a ritornare al bianco e nero. 

     


    Dopo la tragica morte del figlio diciassettenne nel  1986, Clyde trovò conforto solo nella vicinanza della natura selvaggia. Decise di tagliare ogni legame con la fotografia a colori e dedicarsi unicamente al bianco e nero. Acquistò una fotocamera formato 20x25 ed un ingranditore ed ebbe inizio la sua nuova vita di fotografo.

    Oltre alle Everglades per le quali è maggirmente famoso, Butcher si è impegnato a immortalare paesaggi naturali di tutto il  mondo. 
    La qualità ed importanza del suo lavoro gli hanno guadagnato ammirazione internazionale.  Butcher ha inoltre realizzato documentari sull'ambiente della Florida e ha pubblicato numerosi libri. 


    Al di là della bellezza intrinseca delle sue immagini, ciò che distingue le opere di Clyde Butcher sono le dimensioni gigantesche delle sue stampe, unite ad una nitidezza che ha dell'incredibile. Scegliendo accuratamente il formato del negativo a seconda dellel dimensionid el soggetto, Butcher riesce a produrre stampe nitidissime di dimensioni oltre i 160x300 cm,  che permettono all'osservatore di immergersi nei suoi panorami .

     

     

     

     

     
    “Cerco di usare la pellicola più grande possibile epr il soggetto che voglio fotografare. Se ho un ampio panorama uso un formato 30x65 (circa). se devo fotografare cose come l'Orchidea Fantasma lavoro con una 20x25" racconta Butcher.

    “Voglio che la gente guardi i miei lavori da vicino” dice Butcher a proposito del suo stampare in grandi dimensioni. “Molti non conoscono quello come si vede:si vede chiaramente solo una piccola parte del tutto e in natura l'occhio scorre continuamente da un particolare all'altro e questo ci da' la percezione dell'insieme. La chiave per riprodurre questa sensazione è la nitidezza. Una stampa  di tre metri e mezzo da un negativo 35mm sembrerà nitida se si rimane a distanza 10 metri, ma se ci si avvicina ad un metro sembrerà molto scarsa. Quindi per calarsi in  un' immagine grande e vederla bene occorre che abbia un dettaglio molto elevato.
    Stampa con una Epson Stylus 4800 or una stampante 11880 con inchiostri  Ultra-chrome K3  e carta Harman Hahnemuhle.
     
     
    Nota:  Qualche mese fa  Clyde Butcher è stato colpito da ictus che gli ha paralizzato il lato destro del corpo, ma ha già ripreso a muoversi con deambulatore ed è confidente che tornerà a fotografare  quanto prima. Glielo auguro di cuore
    Tutto questo e molto altro nel sito di Clyde Butcher
    https://clydebutcher.com
    Le foto sono (C) di Clyde Butcher mostrate qui al solo scopo di  illustrare la sua opera. Photos are (C) by Clyde Butcher shown here only to illustrate his art.
  23. happygiraffe
    Stravinsky: Serenata in La.
    Prokofiev: Sarcasms, Op. 17.
    Prokofiev: Sonata No. 8, Op. 84.
    Prokofiev: Cenerentola - Tre pezzi per pianoforte, Op. 95, Gavotta.
    Stravinsky: L'Uccello di Fuoco (Trascrizione di Guido Agosti).
    Prokofiev: Concerto per pianoforte No. 2, Op. 16.
    Stravinsky: Tre movimenti da Petrouchka.
    Scriabin: Concerto per pianoforte Op. 20.
    Daniil Trifonov, pianoforte, Mariinsky (Kirov) Orchestra, Valéry Gergiev.
    DG 2020
    ***
    E’ curioso seguire le carriere parallele di quelli che probabilmente sono le due superstar maschili del pianismo odierno e che casualmente provengono dalla stessa città. Parlo di Igor Levit e Daniil Trifonov, entrambi nati a Nizhny Novgorod (Gorky) a pochi anni di distanza. In realtà, al di la della città natale in comune, le similitudini tra i due si fermano qui. Tanto Levit, che poi ha studiato in Germania, è ancorato al repertorio classico tedesco (Bach, Beethoven, Schumann, Brahms) con puntate nella musica moderna e contemporanea, quanto Trifonov predilige il repertorio pianistico più virtuosistico, da Chopin a Liszt, fino a Rachmaninov. Tanto Levit sembra seguire un approccio più intellettualistico (l’ultimo disco, Encounter, sembra portarci in un viaggio tanto introspettivo e riflessivo da risultare alla fine piuttosto difficile da digerire), quanto Trifonov in quest’ultimo disco sembra divertirsi con gli aspetti più scintillanti e esteriori del modernismo russo dei primi del ‘900.
    “The Silver Age”, così hanno voluto intitolare questo disco, ha un programma molto eterogeneo di musiche per piano solo e per piano e orchestra di Stravinsky, Prokofiev e Scriabin. 
    In realtà forse è proprio il programma il punto debole di questo disco: troppo vasto, poco coeso, con una scaletta poco intuitiva. E cosa c’entra poi il giovanile e chopiniano concerto di Scriabin? Come se si fosse voluto trovare qualcosa per riempire il secondo disco…
    Al di là di queste mie perplessità, ho trovato le interpretazioni di Trifonov in questo disco sempre di ottimo livello quando non straordinarie. A partire dalla Serenata in La di Stravinsky e dai Sarcasmes di Prokofiev, pezzi se vogliamo minori, ma comunque interessanti e piacevoli, resi con grande energia e brillantezza. 
    Segue la misteriosa e sempre difficile da interpretare sonata n.8 di Prokofiev, certamente la meno drammatica del trio delle sonate “di guerra”. I tempi sono misurati, non eccessivamente rapidi nel  primo movimento come spesso si sente da altri pianisti. Pur non mancando momenti di grande poesia, non ho trovato questa interpretazione migliore di altre recenti (Osborne, Melnikov), per non parlare della distanza che la separa dalla potenza evocativa del grande Gilels, ma quelli erano altri tempi e sensibilità diverse.
    Passiamo quindi a quelli che mi sono parsi i momenti migliori di questo doppio album, ovvero le trascrizioni dell’Uccello di Fuoco di Stravinsky di Guido Agosti e quella celebre di Petroucka dello stesso Stravinsky. E’ interessante confrontare entrambi i pezzi con le interpretazioni contenute nell’ultimo bellissimo disco di Beatrice Rana. Se Rana era straordinaria nel ricreare i colori e l’energia dell’orchestra,  Trifonov predilige una lettura di stampo puramente neoclassico: il suono è limpido e cristallino, non sembra di ascoltare alcune delle pagine più difficili del repertorio pianistico del ‘900 (Weissenberg confessava che la prima che ha guardato la partitura di Petrouchka aveva pensato che gli servisse una terza mano!) tanto tutto sembra uscire facilmente dalle mani prodigiose del russo. L’interpretazione di Petrouchka è meno istrionica rispetto ad alcune esibizioni dal vivo che si trovano in rete e anzi ricorda quella che doveva essere la grazia dei balletti russi dei primi del ‘900. 
    Nella seconda parte di questo doppio album, Trifonov è accompagnato dall’orchestra Mariinsky diretta da Gergiev nel secondo concerto di Prokofiev e in quello di Scriabin. 
    Il concerto di Prokofiev suona energico e scintillante, con l’orchestra che ben supporta il suono preciso e ricco di sfumature del suo solista. L’interpretazione è nel complesso di ottimo livello, anche se rispetto ad altre può apparire meno coinvolgente.
    Il concerto di Scriabin, eseguito davvero di rado, è quello che è: un lavoro giovanile, se pur molto brillante, e poco rappresentativo del genio del compositore che ancora doveva rivelarsi. 
    In conclusione, un album che contiene momenti di grande bellezza (la Serenata, i Sarcasmes, l’Uccello di fuco e Petrouchka), ma che soffre di un programma davvero ipertrofico e non sempre allo stesso livello. Trifonov ha comunque due mani straordinarie, per cui, al di là delle nostre preferenze, ne raccomando in ogni caso l’ascolto.
  24. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Claude Debussy, Études, Pour le piano, La plus que lente, Berceuse héroïque, Étude retrouvée.
    Steven Osborne, pianoforte.
    Hyperion, 2023.
    ***
    Che lo scozzese Steven Osborne sia uno straordinario interprete di Debussy non è certo una sorpresa, ma devo ammettere che ogni nuovo disco mi riempe di meraviglia.
    Il piatto forte di questa raccolta sono i formidabili études del 1915, ultima composizione pianistica di Debussy e per molti anni dimenticati nei repertori concertistici, a vantaggio di pagine più celebri. Nonostante la dedica dell'autore alla memoria di Chopin, questi brani non potrebbero essere più diversi dai celebri studi del compositore polacco. Le finalità didattiche sono completamente trascese, in uno scherzoso e raffinato gioco di richiami alla tradizione pianistica, siano essi nella musica stessa, così come nei titoli dei pezzi e nelle indicazioni sulla partitura. 
    La caratteristica del Debussy di Osborne è quella di non dimenticare mai proprio l'aspetto umoristico, a tratti sornione, a tratti ironico, a tratti giocoso, allontanandosi da una tradizione interpretativa volta più ad avvolgere questa musica in una seriosa bruma sonora tesa ad esaltarne il carattere più impressionistico. Il suono di Osborne è brillante, terso e cristallino, delicato, ma anche potente quando occore, perfettamente assecondato da una registrazione di straordinaria chiarezza. La musica scorre con naturalezza, dimostrando ancora una volta l'affinità di Osborne per questo compositore.
    L'approccio è coerente con quello delle altre sue raccolte dedicate a Debussy:

    Il precedente disco del 2022.

    Quello del 2017 con Images, Estampes e Childer's corner.

    I Préludes del 2006.
    E' un disco che raccomando senza la minima esitazione. Per chi amasse fare i confronti, suggerisco le registrazioni di Mitsuko Uchida e Maurizio Pollini.
  25. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Gabriel Fauré, Nocturnes.
    Eric Le Sage, pianoforte.
    Alpha, 2019.
    ***
    Gabriel Fauré (1845-1924) fu un compositore particolare: pur rimanendo ancorato a certi modelli compositivi del passato e impermeabile rispetto all'evoluzione del linguaggio musicale suo contemporaneo, e in questo senso fu sempre indietro rispetto ai suoi tempi, sviluppò uno stile originale, raffinato e di grande fascino. 
    I tredici Nocturnes di questa raccolta furono composti nell'arco di mezzo secolo, dal 1875 al 1921, e testimoniano l'evoluzione dello stile del compositore francese. Se i primi si rifanno dichiaratamente al modello di Chopin, con il tempo Fauré sviluppa un linguaggio originale, lirico, meditavo, equilibrato, molto affascinante dal punto di visto armonico. Per carità, non tutti sono ugualmente belli o interessanti, ma ci sono dei pezzi di assoluta bellezza, come il sesto Nocturne, ma non solo quello, dopo il quale lo stile di Fauré si fa via via sempre più spoglio e concentrato.
    E' un peccato che questi brani e questo tipo di repertorio non sia più diffuso e sia praticamente appannaggio dei soli pianisti francesi. 
    Eric La Sage è certamente uno specialista di questo genere di repertorio: ha inciso tutta la musica da camera con pianoforte di Fauré e tutta la musica per pianoforte di Poulenc (oltre all'integrale della musica per pianoforte e da camera di Schumann, ma questa è un'altra storia).
    La Sage sfodera qui una grande sensibilità interpretativa e svolge la matassa del discorso musicale, a tratti anche denso e complesso, con grande chiarezza e naturalezza, e con un'ampia tavolozza di timbri a disposizione.
    Buona la qualità della registrazione, disponibile in formato liquido a 24 bits/88.20 kHz, con il pianoforte reso in modo limpido, omogeneo e coerente.
    In conclusione un disco che consiglio, sia per la scelta del repertorio, molto bello e ingiustamente trascurato, che per la qualità dell'interpretazione.
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