Beethoven, Trii per pianoforte Vol.1: Op.1 n.3 e Op.70 n.2 - Trio Sitkovetsky
Beethoven, Trio per pianoforte Op.1 n.3 e Op.70 n.2
Trio Sitkovetsky
BIS, 2020.
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Comincia nel migliore dei modi il primo volume di questa nuova integrale dei trii beethoveniani ad opera del giovane ensemble guidato dal violinista Alexander Sitkovetsky.
Il numero d’opera non deve trarre in inganno: l’op.1 n.3 fu all’epoca una composizione molto innovativa nel portare questo genere dal repertorio salottiero di intrattenimento ad una dimensione più moderna. Talmente innovativa che l'insegnante del giovane Beethoven, Haydn, pur ammirandone le qualità, ne sconsigliò la pubblicazione, temendo che il pubblico non potesse capirlo. Si tratta in ogni caso del primissimo Beethoven, ancora lontano dall’eroico ardore del periodo centrale o dalle sperimentali astrazioni degli ultimi anni.
Il Sitkovetsky ci stupisce subito per il suoi timbri pieni ed eleganti e lo slancio naturale e gioioso del fraseggio. I movimenti si susseguono con grande armonia e equilibrio, in un clima luminoso e gaio.
Segue, a guisa di intermezzo, il graziosissimo Allegretto WoO 39, ultimo pezzo composto da Beethoven per trio, scritto per la giovane Maximiliane Brentano, “per incoraggiarla a suonare il pianoforte”.
Non potrebbe essere più diversa l’atmosfera del ben più tormentato Trio Op.70 n.2.
Privo di un movimento lento, questo trio si apre con un’introduzione sommessa in cui gli strumenti a canone introducono il primo tema, cui segue uno sviluppo decisamente più ombroso e passionale. Se l’Allegretto successivo sotto forma di variazioni, ha un carattere più ossessivo, L’Allegretto ma non troppo prende corpo da una splendida melodia nel più pure stile beethoveniano. Il Finale è un misto di esuberanza e virtuosismo, che ci porta a briglie sciolte verso la conclusione.
Davvero irreprensibili i tre musicisti del Trio Sitkovetsky, sia nel equilibrio tra gli strumenti, con il pianoforte di Wu Qian che non domina mai e il violoncello di Isang Enders sempre perfettamente leggibile, sia nella giudiziosa scelta dei tempi. E’ nel complesso un interpretazione molto naturale e “classica”, ma per niente accademica e priva di qualsiasi affettazione. Aspettiamo il seguito!
Ottimo anche la qualità della registrazione, che rende bene il suono caldo dell’ensemble con tutte le sue sfumature timbriche e ci restituisce un’immagine omogenea e realistica.
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