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Blog Entries pubblicato da M&M

  1. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Beethoven : Concerti per pianoforte e orchestra n.1 e n. 4
    Martin Helmchen, pianoforte
    Deutches Symphonie-Orchester Berlin diretta da Andrew Manze
    Alpha 2020, formato 96/24
    ***

    ci sono occasioni in cui la visione comune di due artisti che vedono allo stesso modo quello che stanno suonando fa la differenza.
    Come il caso di Backhaus con Hans Schmidt-Isserstedt, di Pollini con Addado, di Horowitz con Toscanini, di Van Cliburn con Fritz Reiner.
    Conta poco se ci sono altre edizioni, altri momenti più alti, altri dettagli. Il risultato si sente, si vede, si tocca.
    La foto qui sopra lo dimostra. E le seguenti di più

     

    Questo secondo disco - già mi era molto piaciuto quello con il 2° e il 5° che però non sono i concerti di Beethoven che mi piacciono di più - aggiunge una dimensione superiore. Perchè è passato più tempo. Perchè i concerti sono più belli o forse più adatti all'indole introversa dei due interpreti.
    Il primo è rotondo come deve essere. Il secondo intimo, come deve essere.
     I silenzi, i neri tra le note, eloquenti.
    L'atmosfera tesa ma rilassata allo stesso tempo.
    Il piano ha un suono e una calma olimpica che ricordano il miglior Curzon.
    Ogni nota è quella giusta.
    Ogni sottolineatura dell'orchestra è quella giusta. E il pianoforte risponde perfettamente a modo.
    Helmchen non è un pianista che ha bisogno di dimostrare di essere meglio di quello che sembra.
    E'.
    Complimenti ad Alpha che ha messo insieme questa coppia.
    Grande suono, degno di questa eccellente prova.
  2. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Brahms : concerto per pianoforte e orchestra n.1 /Pezzi per pianoforte op. 118
    Sunwook Kim, pianoforte
    Staatskapelle Dresden diretta da Myung-Whun Chung
    Accentus Music, giugno 2020, formato 96/24
    ***

    The South-Korean Brahms Connection
    Non solo i due eminenti interpreti ma il disco è stato anche sponsorizzato da Hyundai e l'occasione è nata durante un tour in Korea del Maestro Chung con Kim, dove hanno suonato per la prima volta questo concesto.
    Nel libretto c'è una intervista a Sunwook Kim che dichiara il suo amore sconfinato per Brahms e in particolare per questo concerto, appassionato e appassionante. Dolore, nostalgia, solitudine.
    Giustapposto ai sei pezzi per pianoforte dell'Op. 118. Il giovane Brahms e il vecchio Brahms.
    Devo ammettere che l'approccio iniziale, sia sinfonico che solistico è ... all'opposto del mio.
    Lento, compassato, probabilmente anche troppo rispettoso.
    Fino al minuto 11:16 quando Kim si lascia andare e comincia a trillare con forza.
    L'orchestra resta mite e poco aggressiva.
    E, maledizione, riesce a rallentare di nuovo il solista che invece dovrebbe sentirsi libero di sparare.
    Come fa qualche battuta dopo.

    E finalmente le cose cominciano a raddrizzarsi come in certi concerti iniziati male per la freddezza del pubblico.
    Ecco comparire finalmente Brahms.
    Il finale del primo movimento si riscatta quindi con fraseggi ampi, più dinamica ma un tono di dolcezza di fondo che resta sconfinato.
    Del resto la registrazione è avvenuta dal vivo nella Mendelssohn Saal di Lipsia, dove fu eseguito per la prima volta il concerto di Schumann. Ci sta.
    Il lirismo dell'adagio centrale introduce il piano che resta di incedere leggero e tutto il lungo intermezzo è improntato di una dolcezza infinita. A tratti ricorda Chopin ma senza quella brillantezza.
    Non nascondo che l'ho trovato piuttosto pesante.
    Per fortuna il Rondò finale risveglia il pubblico e questo risulta in definitiva il movimento che preferisco di questa proposta.
    Sempre non eccessivo e senza esagerazioni ma ci siamo.
    Il pianismo di Kim è tutto sussurrato e in ogni momento si possono sentire le singole dita in azione.

    Nonostante tutto il suo amore per il concerto, credo che Sunwook Kim si trovi decisamente più a suo agio con il feeling dei sei pezzi op. 118.
    Dolcezza e tocco leggero ben si addicono a queste atmosfere.
     
    Nel complesso, non è il mio Brahms, io lo preferisco più virile, anche quello della maturità.
    Ma è una proposta comunque interessante.
    Buona registrazione senza un rumore di fondo nonostante la ripresa dal vivo

  3. M&M
    Johannes Brahms : Sinfonia n. 1, Ouverture Tragica
    Orchestra del Gewandhaus di Lipsia diretta da Herbert Blomstedt
    Pentatone 2020, formato SACD/HD
    ***

     
    le parole del 93enne Blomstedt sono scritte nel giugno scorso e si augurano che questa musica luce nell'anima umana (citando Schumann, mentore di Brahms), in questo momento difficile per l'umanità.
    Ed è molto umana, dolce e "alleggerita" delle complessità della mente e dell'animo brahmsiano questa lettura di Blomstedt che si avvale di una compagine con cui si è trovato centinaia di volte e che conosce questa musica da generazioni.
    Passo lento ma alle volte più spedito, fraseggio ampio, equilibrio assoluto tra le parti. Oserei dire antiretorico. Nient'affatto quella sciocca 10a sinfonia di Beethoven con cui questa sinfonia è stata bollata per oltre un secolo.
    Si, certo, l'atmosfera resta quella di una tempesta che ha uno sviluppo tormentato. Ma tra suoni umani, non lo stridio dei flutti.
    Lo si vede perfettamente nell'andante ma soprattutto nell'allegretto che sottolinea la parola "grazioso" del titolo.
    E anche il finale, grandioso ma non sopra le righe, ci fa vedere la tempesta già ben scemata già alle prime note.
    L'orchestra si conferma straordinaria - resta tra le compagini migliori al mondo, ben più di altre meglio celebrate - 
    Ci spiegherà il Maestro la scelta dell'Ouverture Tragica nel finale e non all'inizio di questo programma Live registrato circa un anno fa - e quindi ben prima dei drammi del Covid - ma è più ouverture che tragedia.
    In fondo ci sta. Ma forse il Coriolano di Beethoven a questo punto sarebbe servito meglio a rendere un messaggio diretto. Non sarebbe stato nello stile del mite Blomstedt. Quindi va bene così.
    Registrazione eccezionale, come da routine per chi ha inventato il SACD.
    ***
    Nota a margine. C'era bisogno dell'ennesima 1a di Brahms diretta da Blomstedt nel 2020 ? Ce ne sono così e secondo me, oramai si dovrebbe andare per valore aggiunto, quando c'è molta musica semisconosciuta che andrebbe meglio valorizzata.
    Ma chi sono io per dirlo ?
    In fondo bastano gli ottoni e le percussioni della Gewandhaus che aprono la strada agli accordi dei bassi nel più straordinario tema (il finale) mai scritto in una sinfonia romantica.
    Quando persino il compassato direttore si lascia andare al ritmo coinvolgente della musica di Brahms.
  4. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Beethoven : sinfonie n. 1,2, 3
    Barry : Beethoven, Piano Concerto
    Britten Sinfonia diretta da Thomas Adés
    Signum Classics 2020, formato 192/24
    ***


    Credo che per quanto mi sia detestabile come compositore, Thomas Adés sia un eccellente direttore d'orchestra
    Non condivido per nulla la scelta di mettere le prime tre sinfonie di Beethoven insieme a spazzatura del calibro di quella scelta in questo disco ma la direzione di Adés è di primordine. Restando in casa inglese, bisogna tornare al giovane (perchè quello vecchio ... te lo raccomando !) Simon Rattle per ascoltare qualche cosa di così gajardo, frizzante, originale, personale.
    Non a caso Sir Simon l'ha tenuto a battesimo in tempi non sospetti

    e se il Thomas Adés compositore a me da fastidio, il direttore d'orchestra invece sa il fatto suo.

    La mia cartina di tornasole è sempre la terza sinfonia.
    La sinfonia delle sinfonia. Il punto di svolta, the turning point per restare in casa d'Albion.
    Qui cè vita, per fortuna.
    E con una formazione così vivace come la Britten Sinfonia, perbacco, non ci vuole una pinta di birra rossa, si fa musica per davvero.
    Il primo tempo scorre come un direttissimo che non fa fermate.
    La Marcia Funebre è tutt'altro che soporifera come quella di certi tedeschi che vanno per la maggiore.
    Lo scherzo è inarrestabile.
    E le variazioni del finale, sono fuochi d'artificio per il compleanno del re !
    Sullo stesso piano le altre due sinfonie, certo più facili.
    L'orchestra è eccellente, il direttore il meglio che England offre.
    Forse il mio riferimento al momento, per le tre sinfonie prese nel mazzo.
    Che vogliamo di più ? Niente, va bene così.
    Registrazione piena di dinamica con bassi fragorosi e archi chiarissimi.
    Disco del mese di aprile, per quanto mi riguarda.
  5. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Beethoven : Concerti per pianoforte e orchestra n.1 e n. 2 - Rondò in SIb WoO 6
    Boris Giltburg, pianoforte
    Royal Liverpool Orchestra
    Vasily Petrenko
    Pianoforte Fazioli # 2782273
    Registrazione del maggio 2019
    Naxos, formato 96/24
    ***

     

    E' un fiorire di edizioni dei concerti per pianoforte di Beethoven.
    Non che ce ne sia bisogno, abbiamo decine di edizioni di riferimento dei più grandi pianisti della storia.
    Ma è giusto che ogni interprete si cimenti con questi capisaldi della letteratura tastieristica.
    Qui abbiamo due musicisti di primordine, Boris Giltburg e Vasily Petrenko che mostrano una buona intesa e propongono un risultato di buon livello.
    Boris suona uno dei possenti Fazioli presenti in Inghilterra. L'orchestra di Liverpool ha una articolazione perfetta per Beethoven sotto il bastone di Petrenko.
    Ci sono tutti gli ingredienti giusti per una ricetta perfetta. E le aspettative suggerite dal duo sono tante.
    Il risultato ?
    E' effettivamente perfetto. Forse un pelo troppo perfettino, insomma.
    Un confronto rapido con la mai perfetta Martha Argerich del 2017 con il compassato Ozawa alla guida della Mito Chamber Orchestra ci mostra che, ad esempio, si possono pareggiare i tempi del rondò del primo concerto ma proponendo musica di tutt'altra verve.
    Cosa manca insomma perchè una performance diventi un disco perfetto ?
    Un filo meno di autoindulgenza, forse, meno attenzione al suono prodotto e un pò più alla musica.
    Brendel diceva che Mozart è facile da suonare ma è ben difficile da suonare veramente bene.
    Questi due concerti (e il rondò senza numero d'opera selezionato da GIltburg per cui usa anche una sua cadenza) sono i cavalli da battaglia del Beethoven che si fa strada attraverso la Germania verso Vienna, per conquistarsi la fama di solista prima che di compositore.
    Sono brillanti. Sono personali. Richiedono ardore e anche la necessità di prendersi dei rischi.
    Che qui in tanti passaggi mancano.
    Beninteso, il livello è altissimo.
    Ma il Giltburg del 2019 ci ha viziati con un Rachmaninov sensazionale. E le nostre pretese sono cresciute.
    Ci risentiamo al prossimo disco con il pianismo più eroico del Beethoven Napoleonico ?
    Delizioso il Rondò, con quel misto tra lezioso e spavaldo che ci vuole. Vale tutto il disco (ma ripeto, nei due concerti la performance è tutt'altro che insufficiente .. é che vorremmo ... di più !). Ma anche qui con tempi più lenti di quanto avremmo desiderato (confronto con Brautigan, Kodama ma anche con il Richter maturo).
    Più coraggio Boris. Più ardore. Con Beethoven bisogna correre sulla fune.
    Alla prossima 
  6. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Robert Schumann : Sinfonia n.2, Sinfonia n.4, Ouverture Genoveva
    London Symphony Orchestra
    Sir John Eliot Gardiner
    LSO 2019, 96/24
    ***

    Lo scorso aprile Sir John ha compiuto 76 anni.
    Per la prima volta nella sua storia il Monteverdi Choir e la English Baroque Soloists hanno assunto un direttore vicario stabile.
    Forse (anche) per liberarlo dalle sue incursioni alla guida della LSO, come decano dei direttori inglesi ancora in attività.
    Ma la freschezza della sua "riscoperta" del repertorio romantico che sta ripercorrendo per intero per almeno la seconda volta a distanza di un ventennio dalle registrazioni con la DG/Archiv sembra quella del ventenne.
    Dopo Brahms e Mendelssohn, è la volta di Schumann.
    Questo é il primo disco, il secondo comparirà ad inizio 2020.

    La sua lettura è quella integralmente fedele al testo originale, specie nella Quarta Sinfonia che è la stesura del 1841, quella preferita da Schumann e da Brahms che ne curò la stampa nel 1891.

    E senza le incrostazioni novecentesche, le riorchestrazioni mahleriane, la liturgia della seconda metà del novecento, la musica e le idee di Schumann appaiono per quello che erano a Robert e a Clara alla prima rappresentazione. E che a Clara e a Robert ... non erano piaciuti.

    L'aneddotica di questa edizione parla di un Gardiner che ha convinto i musicisti a suonare stando in piedi per sentirsi più uniti tra loro.
    Come sia, conta il risultato.
    La tessitura delle parti si sente chiaramente. Hanno senso anche i movimenti denominati in italiano (nella seconda stesura Schumann userà per la prima volta le dizioni in tedesco).
    Ritmo, velocità, leggerezza sono quelli tipici di Gardiner e non necessariamente quelli di una grande orchestra tradizionale come la London Symphony.
    Servono un paio di ascolti per capirlo. Ma poi diventa immediata l'immagine che viene resa.
    Ricordiamoci che all'epoca della prima al Gewandhaus (non so se in presenza di Mendelssohn) Brahms aveva solo 8 anni, mentre si tende un pò comunemente a "brahmsizzare" queste pagine nelle esecuzioni correnti.
    E' musica che vive di situazioni, di immagini, non del tutto legate tra loro. Frasi e frammenti. Esplosioni.
    Come nel finale della Quarta, epico, con gli echi dei corni inglesi e poi degli ottoni tutti, ben più che segnali per Sigfrido.
    Al limite del commovente l'inizio della Seconda. Arrembante il seguente scherzo, reso con grandissima dinamica.
    E l'adagio non è più mahleriano ma il lamento liederistico di Schumann. Bellissimi i legni e sempre sostenuta la forza dei bassi.
    Esplosione di felicità nel finale dove gli archi si inseguono tra loro tra il fraseggio di legni ed ottoni e timpani.

    Due parole per l'Ouverture Genoveva eseguita abbastanza raramente che inizia questo disco, anzichè chiuderlo per riempirne il programma.
    Struttura, brillantezza della composizione, tessitura, gioco tra archi e ottoni, è perfettamente coerente con le due sinfonie.
    L'opera completa è degli anni successivi. Ed è tanto lontana dal Wagner coevo (Rienzi, Olandese, Tannhauser : Richard si trovava a Dresda in quegli stessi anni, tra Lipsia e Dresda ci sono solo 121 km).
    Insomma, veramente un bel disco che sono certo verrà completato allo stesso livello con la prossima registrazione.
    Come già fatto con Schumann.
    Bella registrazione di sala, suono terso, con dinamiche corrette, senza eccessi

  7. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Mozart : Concerti per pianoforte e orchestra (d'archi) K413 n.11, K414 n. 12, K415 n. 13 (cadenze di Alexander Schimpf ispirate a Mozart)
    Alexander Schimpf, pianoforte
    Bayerische Kammerphilarmonie diretta da Gabriel Adorjan
    GEMA 2020, via Qobuz streaming unlimited
    ***

    Concerti celeberrimi, qui ripresi nella stesura "autorizzata" dallo stesso Mozart per pianoforte e soli archi.
    E quindi senza fiati, protagonisti nelle altre edizioni che conosciamo di coloriture e abbellimenti.
    Il risultato è naturale e se vogliamo ancora più equilibrato.
    Questi sono i concerti di transizione prima di quelli finali cui si deve la fama del Mozart pianista e direttore.

    la scelta del pianoforte con un suono se vogliamo un pò "leggero" rispetto ai soliti grancoda Steinwey ha stemperato ancora di più il dualismo tra le parti.

    La compagine al completo (in questi concerti però mancano del tutto i fiati). Con il leader, primo violino in mezzo.
    Schimpf è un mozartiano nato e qui si è divertito anche a comporsi le cadenze.
    In questi anni stiamo assistendo ad ogni sorta di esperimento su questi ed altri concerti che io conosco fin nelle più minute pieghe del fraseggio.
    E' difficile trovare qualche cosa di nuovo e quando mi capita, mi sembra di vedere un panorama noto da un'altro punto di vista, un'altra finestra.
    Per fortuna c'è ancora chi vuole mostrarsi vivo e vivace, senza clichet ma senza nemmeno voler stravolgere inutilmente e in modo autoreferenziale e autoindulgente là dove ha già detto tutto l'autore.
    L'esperimento a me sembra perfettamente riuscito e la musica che ne viene fuori vi invita ad alzare la manopola del volume.
    Viva Mozart.
  8. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Shschedrin : Carmen-Suite
    Respighi : Pini di Roma
    Symphonieorchester des Bayerischen Rundfunks diretta da Mariss Jansons
    BR Klassik 2020, formato HD
    ***
    E' vero che la Carme è tra le poche opere in francese che io riesca a tollerare (o l'unica ?) e che già la Suite originale di Bizet sia una composizione che apprezzo moltissimo.
    Ma la Carmen-Suite di Rodiòn Shschedrin aggiunge spirito e forza ad un amalgama già convincente. Grazie alle percussioni e alla volontà di farne una composizione da balletto.
    Insomma l'ho sempre adorata ed è forse l'unica composizione che digerisco di questo autore.
    Non la ascoltavo da decenni e questa bella registrazione - probabilmente tra le ultime fatte - di Mariss Jansons con la sua orchestra di Monaco è stata una grande sorpresa.
    Come molte delle ultime uscite del Maestro il ritmo è un pò più compassato di quanto ci piacerebbe ma la coerenza complessiva esemplare. E alla fine il risultato è molto convincente anche se non così effervescente come potrebbe.
    Anche nei Pini di Roma di Respighi, altra composizione dove la tavolozza sonora di una grande orchestra come questa non può che distinguersi, il gioco è tra piani sonori anzichè per effetti speciali.
    Ci piace così. E il giudizio finale non può che essere positivo.
    Grazie ancora Mariss.
    Bel suono, terso, potente, chiaro.

  9. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Beethoven : Concerti per pianoforte e orchestra 0-5
    Mari Kodama, pianoforte
    Deutsches Symphonie-Orchester Berlin
    Berlin Classics 2019
    ***
    Chiariamo due punti subito.
    Kodama e Nagano sono moglie e marito nella vita.
    E questa non è la prima volta che registrano insieme.
    Come possa essere costruire insieme un repertorio così importante quando si è così legati non so immaginarlo.
    Ma credo sinceramente che questo elemento abbia profondamente influenzato (in positivo) il risultato finale.

    Kent Nagano e Mari Kodama durante le prove di una di queste registrazioni.
    Il titolo sottintende che si tratta di una integrale allargata.
    Ovvero si parte dal "concerto n. 0", cioè il giovanile WoO 4 del 1784 (Ludwig quattordicenne) e si arriva all'Imperatore, passando per il triplo concerto e il rondò WoO 6.
    Riempitivo molto gradito le variazioni Op. 35 sull'Eroica.
    Ma mancherebbe se vogliamo la trascrizione del concerto per violino e orchestra, voluto fortemente da Clementi e tutt'altro che disprezzabile, sebbene raramente eseguito.

    Nagano sul podio durante una performance

    una foto di repertorio di Mari Kodama
     
    Conosco benissimo il Nagano accompagnatore di solisti eccezionali (mi vengono in mente Lugansky, Tetzlaff e Repin, ad esempio) e la solidità della sua interpretazione. Attenzione al senso generale pur nel rispetto della posizione del solista.
    Della moglie ho ascoltato alcune delle 32 sonate di Beethoven per la Pentatone e ricordo un disco dedicato a Martinu con la sorella Momo.
    Tocco concreto, tempi generalmente veloci, visione brillante anche se non necessariamente approfondita. Tono "chiaro", veemente, chiaroscuro appena accennato.
    Che ben si "sposa" con quello del marito tanto che la fusione delle due visioni in questo cofanetto di 4:30 ore non si presta a nessuna critica particolare.
    Non cercheremo la delicatezza di Pollini nel 4°, la forza titanica della Argerich o di Gilels nel 3°, l'umanità di Backhaus nell'insieme.
    Ma l'ascolto è piacevole ed a tratti avvincente. Di un Beethoven possente e virile, se mi è concesso. Sempre lucidamente contrappuntistico, pienamente nel suo tempo, sebbene non ci sia alcuna concessione "filologica" per un prodotto che è sinceramente del 21° secolo.
    Bella l'interpretazione anche del concerto giovanile del 1784, un bell'esercizio di stile dove, senza forzare oltre modo, gli interpreti ci fanno intravvedere chiaramente il Ludwig che verrà di li a poco.
    Nella registrazione, l'orchestra, ha un bel suono, pieno ed ampio, specie sul basso.
    Il pianoforte è spesso un pò troppo ravvicinato ed asciutto, forse per una questione di bilanciamento ed a tratti un pò forzato.
    Ma va bene anche così. Nella realtà sono registrazioni riprese in periodi differenti, il bel triplo concerto, ad esempio, ha un suono molto caldo con il pianoforte più in ritirata, il rondò WoO è dolce come sua la musica prevede.
    In sintesi una bella sorpresa questa visione nipponica di Beethoven (nella realtà Nagano è americano di terza generazione mentre Kodama è praticamente cresciuta ed ha studiato in Europa), tanto che l'ho ascoltato di getto ed ho scritto a caldo queste mie considerazioni.
  10. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Mozart :
    - trio in sol maggiore K 496
    - tre movimenti per trio, K 442, completati da Robert Levin
    Robert Levin, pianoforte
    Hilary Hahn, violino
    Alain Meunier, violoncello
     Le Palais des Dégustateurs 2019, disponibile in formato 96/24
    ***
     
    Tra le tante partiture lasciate incomplete a vario titolo da Mozart, ci sono tre movimenti sciolti per trio composto da pianoforte, violino e violoncello, pubblicati nel catalogo Köchel al n. K 442.
    Sono esattamente :
    - un allegro in Re maggiore, composto da 169 battute, completo dall'inizio alla ripresa finale, composto non prima del 1787, pubblicato col numero 442/2
    - un altro allegro, questo in Re minore, di sole 50 battute, probabilmente composto nel 1785, che ha la evidente forma sonata tipica dei primi movimenti, pubblicato col numero 442/1
    - un minuetto in Sol maggiore, di 150 battute, del 1787, pensato in origine come movimento finale del Trio in Sol maggiore K 496, poi scartato e lasciato incompleto, K 442/3
    Ciò ha dato origine all'equivoco che esistesse un Trio K. 442 ... un trio inesistente, proprio perchè composto da tre brani in chiavi differenti, equivoco convalidato dal completamento ad opera dell'allievo di Mozart, Stadler, su richiesta della vedova Constanze.
    Stadler era un musicista e un compositore molto quotato alla sua epoca, per noi è passato alla storia come estremamente capace di comporre alla maniera di Mozart.
    Tutto sommato il completamento di Stadler non è male, anche nelle parti aggiunte, probabilmente un lavoro migliore di quello di Sussmayer per il celeberrimo Requiem.
    E così per un certo periodo circolò un Trio K 442 che in parte è di Mozart, in parte no ma che certamente Mozart non pensò mai in questa forma e con questo scopo. Venne pure stampato ufficialmente con il numero di catalogo, come appartenente a Mozart.
    E' stata fatta ammenda solo di recente, ripubblicando l'originale di Mozart, pur incompleto, e ... l'originale di Stadler, a sua firma e con un intero movimento in Re maggiore completamente di Stadler.
    Robert Levin, oltre che ottimo pianista è anche un raffinato musicologo che conosce ogni pagina nota di Mozart, ha completato di recente i tre movimenti originali che vengono proposti come piatto principale di questo nuovo disco.
    Giusto insieme al trio K 496 la cui origine è vicina al minuetto K 442/3.
    Le parti aggiunte da Levin sono ben evidenziate e l'autore stesso ne parla come di un lavoro rispettoso ma naturalmente assemblato.
    Il risultato devo dire che è splendido, la musica di gran livello ma soprattutto l'esecuzione lo porta al pari dell'altro trio originale di Mozart, in una sorta di "equalizzazione" del tutto convincente.
    Levin suona con piglio, la Hahn lo asseconda con malizia, un pò in secondo piano - come all'origine in queste composizioni - il violoncello.
    I tre comunque pongono queste due composizioni tra quelle più serie di Mozart e non nel repertorio cameristico da passatempo casalingo.
    Una prova interessante ed originale che ci permette di ascoltare queste pagine di Mozart, altrimenti raramente eseguite se non a scopi accademici.
    Bella registrazione da parte di una etichetta che propone materiale molto originale e che adesso, grazie alla musica "liquida" viene portata anche alla nostra attenzione di ascoltatori generalisti.
    Ripeto, è un bell'ascolto, non una curiosità per specialisti o fanatici dell'integrale di Mozart.

  11. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Madame Schumann
    Musiche di Clara e Robert Schumann, Scarlatti, Handel, Schubert, Mendelssohn, Chopin, Gluck
    Ragna Schirmer, pianoforte
    Berlin Classics 2019, formato CD
    ***
     
    Il 13 settembre 2019 saranno duecento anni tondi dalla nascita di Clara Schumann, nata Wieck.
    Figlia, moglie, madre, musa ispiratrice per l'immaginario collettivo degli appassionati di musica romantica ma soprattutto il prototipo della donna concertista che si permette di mettere in programma le sue composizioni in un mondo per soli uomini che prevedeva per la donna il solo ruolo di cercare di fare il miglior matrimonio possibile o, in caso contrario, di fare l'istitutrice per i figli degli altri.

    Clara Wieck nel 1839
    Questo disco è un omaggio alla concertista e alla compositrice e idealmente replica un recital tenuto proprio dalla stessa Clara durante un tour in Inghilterra nel 1872.
    In questo recital la pianista viene presentata come Madame Schumann nel programma stampato in oltre mille copie, a testimonianza della grande celebrità riconosciuta per tutta Europa.

    Clara Schumann in un ritratto degli anni '50 del XIX secolo
    Nel recital, il Quartetto per Pianoforte ed Archi Op. 47 di Robert, il Trio Op. 17 di Clara, le Kinderzsenen di Robert (dedicate alla moglie), un lieder di Schubert, uno di Schumann, due brani di Chopin, uno di Mendelssohn, una sonata di Domenico Scarlatti.
    Nulla di Johannes Brahms, ma la sua mano si legge nell'arrangiamento della gavotta di Gluck e nella scelta di tre pezzi da una suite per cembalo di Handel, compositore che Brahms conosceva a memoria e il cui amore condivideva certamente con Clara.
    Due parole in più sulla scelta dei brani che rappresentano il mondo di Clara Schumann. Un recital molto simile era stato presentato dagli Schumann nella casa berlinese di Fanny Hensel-Mendelssohn nel 1847 e questo programma "inglese" ne rappresenta la replica, nella memoria del marito.
    Clara cominciò lo studio del pianoforte con il padre all'età di quattro anni. Il padre era un famoso didatta e tra i suoi studenti aveva Robert Schumann.
    Aveva certamente il temperamento e le doti della grande solista ma era piccola e gracile. Per tutta la vita ebbe problemi fisici dovuti allo sforzo impresso nel suonare. Problemi che si acuirono dopo la morte del marito quando per sostenere i suoi sette figli riprese a pieno l'attività concertistica con impegno sovrumano (si parla di un momento nella stagione del 1854 con 22 concerti in due mesi). Sopportò il dolore con disciplina fino al culmine nel 1875 quando il solo pensiero di sedersi al pianoforte le provocava rifiuto e dovette smettere di suonare.
    Per superare in parte il problema accettò cure alternative basate su un approccio psicologico e su fisioterapia sperimentale che le permisero di proseguire l'attività concertistica quasi fino agli ultimi.
    Ma dovette anche limitare il proprio repertorio a ciò che non l'affaticava eccessivamente, escludendo, per esempio, tutta la musica di Brahms con cui suonava solamente in occasioni private, in casa, a quattro mani o a due pianoforti, perchè richiedeva troppo sforzo
    Anche questo spiega in parte la scelta dei brani scelti per questo lungo recital (due ore di musica).
    Il mio pensiero va a quella che doveva essere la vita di un concertista dell'epoca, che suonava in tour in Europa con questi ritmi. Oltre alle case malsane, i trasporti in carrozza, in nave o con i treni a carbone, lenti e scomodi. Le luci ad olio e solo più avanti i lumi a gas (ragione per cui molti concerti erano dati in matineè). Le frontiere, le guerre, i moti rivoluzionari. Le malattie tipiche del periodo, acuite dall'assenza dei medicinali che oggi sono di base.
    Insomma, ci voleva una volontà d'acciaio quando il fisico non reggeva e suonare doveva essere veramente una prova di stoicismo.

    Ragna Schirmer che presta la sua arte (e il suo volto nella copertina) in questo omaggio discografico è una appassionata studiosa dell'opera e della vita di Clara Schumann (sempre per la stessa etichetta ha pubblicato un disco che si intitola più semplicemente "Clara" in cui interpreta il Concerto per Pianoforte  Op. 7 di Clara Schumann insieme al 4° concerto di Beethoven con le cadenze della stessa Clara ).

    Devo dire che questa passione si sente in ogni nota del disco.
    E se i punti più elevati sono raggiunti - a mio pensare - piuttosto nella parte cameristica del disco - nel Quartetto iniziale di Robert Schumann e poi nel Trio di Clara Schumann - che in quella solistica, la suggestione creata è tale che ad un certo punto dell'ascolto io ho cominciato ad essere convinto di ascoltare Clara Schumann e non Ragna Schirmer.
    Tanto che il disco scorre veloce, sebbene non si tratti di interpretazioni del tutto memorabili e il pianoforte non sia intonato con l'epoca.
    Ma c'è una grandissima sensibilità e un garbo ammirevoli. Probabilmente anche la volontà di offrire uno stile non del nostro tempo ma di quello di Clara, anche in quello che un pubblico comune poteva accettare in una donna al pianoforte.
    Insomma, un disco non fondamentale sul piano puramente interpretativo (anche se, ribadisco, la parte cameristica è di ottimo profilo) ma molto interessante su quello artistico.
    Confidiamo anche in altri tributi a questa grande dama della musica nell'anno del suo bicentenario.
  12. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Bach : Goldberg Variationen BWV 988
    trascrizione per trio d'archi del
    Trio Zimmermann
    Bis 2019, formato originale in 96/24
    ***
    Frank Peter Zimmermann suona il violino Stradivari Lady Inchiquin del 1711
    Antoine Tamestit suona la viola Stradivari "Mahler" del 1672
    Christian Poltéra suona il violoncello Stradivari "Mara" del 1711
     

    il Trio Zimmermann durante la ripresa alla Tonhalle di Dusseldorf nel 2017

    i tre protagonisti del disco, Zimmermann, Poltéra e Tamestit
     
    Dopo aver approfondito la trascrizione disponibile da tempo di Dmitry Sitkovetsky per trio d'archi delle Variazioni Golberg di Bach, il Trio Zimmermann ha trovato una ricchezza così articolata di dettagli e splendori musicali che ha voluto attingere direttamente alla partitura originale per farsene la propria trascrizione.
    Sappiamo che l'originale è stato scritto per un cembalo a due manuali che trae la sua ragion d'essere proprio per quello strumento e con quella articolazione, tanto che nella versione per pianoforte - oramai più eseguita in assoluto - diventa "piatta" e richiede al pianista di compensare con l'espressività del piano e del forte, quello che perde in termini di ricchezza armonica.
    Il trio d'archi idealmente permette di recuperare l'idea originale e di renderla al meglio, anche se non sappiamo certamente come e con quali accorgimenti l'avrebbe trascritta lo stesso Bach che, come sappiamo, considerava di routine questa prassi, avendo adattato il proprio e l'altrui materiale musicale innumerevoli volte per le sue proprie necessità di esecuzione in funzione di chi e cosa avrebbero suonato i musicisti a disposizione.
    I tre - eccezionali - e perfettamente amalgamati strumentisti di questo trio che prende il nome dal celebre Frank Peter Zimmermann (non che gli altri due siano degli sconosciuti "carneadi" ...) si avvale di una terna di spettacolari Stradivari dal suono inconfondibilmente ricco e rugoso.
    Lo spirito è quello di Bach, non c'è l'idea di trasmutarlo anche temporalmente.
    Le dinamiche sono brillanti, molto più coinvolgenti della medie delle edizioni "Sitkovetsky", fanno pensare quasi a Vivaldi o comunque al barocco italiano nello sviluppo.
    La musica sensazionalmente bella (del resto, non a caso, ci siamo ispirati a questo caposaldo della letteratura musicale europea per intitolare questo sito).
    L'armonizzazione delle parti rende giustizia ai tre strumenti e alla polifonia della composizione. Nessuna voce è in evidenza o sovrasta le altre.
    Il violoncello sussurra la sua parte, senza violentare gli altri. Lo stesso fa il violino che non copre la viola.
    Le tre parti contrappuntistiche si integrano perfettamente. Ma comunque le tre voci sono perfettamente chiare e limpide, distinte, cantabili. Un vero trio d'archi.
    Metti una grande partitura, tre grandi solisti, tre grandi strumenti, una registrazione a regola d'arte (come di ... regola per Bis) ed avrai un disco di grande interesse.
    Ci sono altre edizioni delle Goldberg per trio d'archi ma in questo momento non me ne viene in mente una migliore di questa.
    BRAVI !
  13. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Johannes Brahms : Sonate per violino e pianoforte, Clara Schumann, romanza (versione per violino e pianoforte)
    Alina Ibragimova, violino, Cédric Tiberghien, pianoforte
    Hyperion 2019
    ***
    Registrate lo scorso anno a Londra, escono adesso in un unico disco le tre sonate di Brahms, per la premiata coppia Ibragimova/Tiberghien.
    L'affiatamento dei sue - che suonano insieme dal 2005 - è ben testimoniato da una discografia che si fa anno dopo anno più imponente, spaziando per tutta la letteratura per violino e pianoforte.
    Purtuttavia, nonostante il tempo passi, resta in un certo qual modo un approccio molto accademico, strettamente aderente al testo, come peraltro confermato dal vivo in interviste recenti.
    Approccio rispettoso, certo, ma non propriamente adatto al Brahms che conosciamo noi e che ci è stato tramandato da una scuola che parte da Joachim e da Brahms stesso.
    Queste sonate sono composizioni dell'età matura di Brahms e sono assimilabili a dei lieder per soprano, confezionati in forma sonata.
    Però a differenza di quelle per viola/clarinetto, non c'è la tipica atmosfera autunnale dell'ultimo periodo creativo, il clima è piuttosto primaverile.
    Le tonalità sono tenui ma comunque con prevalenza di colori chiari.
    Ma soprattutto è un canto continuo, dove le espressioni, tenero, dolcemente, un pco presto e con sentimento, permangono anche nei momenti in cui la musica è più brunita perchè non diventa mai del tutto crepuscolare.
    E il vivace, ma non troppo va inteso come liberamente.
    La Ibragimova è sempre fredda e se non eccede - giustamente ! - con forti e fortissimi (assenti nel tratto di queste sonate) dove il violino NON DEVE mai diventare esageratamente protagonista, non riesce ad essere realmente presa abbastanza dalla musica da ... far cantare il suo strumento.
     
     

    E' probabilmente ancora più distaccato il suo collega Cédric che resta sempre asciutto e per nulla vivace.
    Nella concezione di Brahms queste sonate impiegano i due strumenti in un piano di piena parità (nel manoscritto della seconda sonata Johannes ha riportato di suo pugno "sonata per pianoforte e violino" e non per violino o violino accompagnato) ma Tiberghien si fa fatica a rintracciarlo in questa registrazione.
    Naturalmente i due musicisti hanno mezzi tecnici in abbondanza e la parte virtuosistica è pienamente ben esposta.
    Ma resta l'impressione di una performance di routine. Quella che si vede nella fotografia qui sopra, con loro impegnati a ... leggere la partitura più che interpretarla.
    Le tazze a tarre dicono più delle espressioni.
    Certo si tratta di musica straordinariamente bella che si ascolterà sempre volentieri. Ma a tratti in questo disco ho faticato a riconoscere Brahms con passaggi che - per composizioni che conosco a memoria - mi sono sembrati inediti.
    Siamo comunque fortunati abbastanza da poter scegliere tra una discografia sterminata (la mia preferita interpretazione va al Perlman accompagnato da un brillantissimo Baremboim per Sony, piuttosto che il precedente Emi con Ashkenazy. E scusate se è poco.
    Ma anche di recente abbiamo avuto buone prove, ad esempio Faust/Melnikov e Tetzlaff/Vogt).
     
    Un plauso incondizionato invece alla ripresa, con un equilibrio appena a favore del violino la cui leggera rugosità viene impreziosita dalla registrazione, con lo strumento perfettamente definito li a sinistra, davanti al pianoforte.

  14. M&M
    Mozart : Concerti per pianoforte n. 12 e n. 13
    Karin Kei Nagano, pianoforte
    Cecilia String Quartet
    Analekta 2014
    ***
    Karin Kei Nagano è la figlia di Mari Kodama e di Kent Nagano.
    Nata in California si è formata qui in Europa dove ha vinto svariate competizioni.


    al debutto con il padre nel 2007 (a 9 anni)

    Il quartetto Cecilia è un gruppo canadese completamente al femminile

    In questo disco vengono affrontate due pagine tra le più brillanti del Mozart più in voga a Vienna.
    Il concerto n. 12 ha un struttura molto cameristica nel suo sviluppo e sostanzialmente lascia tutto al pianoforte lo svolgimento della parte principale.
    Che è brillante ma non esageratamente virtuosistico.
    Anche il n. 13 ben si presta a questo tipo di trasposizione perchè fa parte dello stesso trittico di concerti.
    All'ascolto il Quartetto sviluppa purtroppo una quantità di suono un pò flebile se rapportato al possente volume sonoro dello Steinway della Nagano.
    Probabilmente uno strumento di inizio '800 sarebbe stato meglio (cfr. ed. Northstar con le sorelle Kujiken e la Petite Band)
    Ma questo c'è nel disco e di questo dobbiamo parlare.
    Alla fine, apprezziamo la brillante interpretazione della pianista, che certo ha preso dalla madre il tocco ma ha di suo tanta dolcezza in più e che ci piacerebbe ascoltare con un'orchestra di dimensioni almeno mozartiane ( come nel caso dell'eccezionale edizione Brendel/Marriner/ASMF).
    Mentre il quartetto - che pure è ineccepibile - sembra suonare in fondo alla stanza, per conto suo.
    Il risultato forse sarebbe interessante dal vivo ma non in questa registrazione.
    Ed è un peccato.
    Però la ... parte di Mozart è talmente bella che si lascia ascoltare lo stesso questo ... strano quintetto.
  15. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Histoires d'un Ange, musiche per viola da gamba sola ed acocmpagnata di Marin Marais, Robert de Vissé, Francois Couperin e JEan-Philippe Rameau
    Johanna Rose, viola da gamba, Josep Maria Martì Duran, tiorba, Javier Nunez, clavicembalo
    Rubicon 2019, 96/24
    ***
     

    i tre musicisti di questo disco

    un'ltra rappresentazione artistica dell'angelo.
    Non è un'algida bionda "l'angelo" di questo disco ma Marin Marais, di cui si diceva che suonasse come un angelo.
    La scelta dei brani è abbastanza varia ed inframmezzata da parentesi di suoi contemporanei.
    Nel resto d'Europa la viola da gamba stava lasciando rapidamente il passo al più "facile" violoncello. Ma mentre in Italia e, di riflesso in Germania che leggeva ed assorbiva rapidamente le invenzioni italiane (sono tante e tante le radici italiane del Bach violista e violoncellista), si sperimentavano nuove soluzioni e si aprivano nuove strade, in Francia si tramandavano gli insegnamenti degli antichi per tradizione diretta.
    Sono celebri le lezioni di Marain Marais dal suo Maestro Sainte-Colombe e benchè non manchi di originalità, l'opera di Marin Marais non se ne discosta moltissimo.
    L'impostazione meditativa e seriosa, di questa musica - bellissima se presa a dosi non troppo massive - ne dà la misura ad ogni battuta.
    Marais però ha aggiunto, prendendolo dai contemporanei quel tanto di gusto ad imitazione, da rendere la sua musica ben riconoscibile.
    E' il caso del "Cloches ou Carillon" del II Libro dei Pièces de Viole che con l'aiuto del cembalo va a ricordare un carillon meccanico.
    Meno brillante ma melodico il Rondea "Le Bijou", molto elegante e con un fraseggio a volte interminabile.
    Brillanti e leggere le Chaconne e le Passacaille (nulla di bachiano, qui siamo nella semplice danza), anche quelle dei compositori "ospiti".
    Ma questa è la musica per la corte del Re Sole, immutabile, solenne ed a volte un pò immota.
    I tre bravi musicisti danno una buona prova e rendono scorrevoli i 60 minuti dell'intero programma, registrato in modo molto vivo con presa diretta degli strumenti che sono come davanti a noi, sebbene un pò a scapito dell'ambienza. Ma ci sta, era ed è musica da camera da ascoltare da molto vicino.
    Come dite, probabilmente senza quella copertina questo disco venderebbe meno ?
    Forse però è un pò creare false aspettative, la musica barocca francese comunque è questa, prendere o lasciare e non sarà una bionda con le ali d'angelo a renderla diversa.
    Ma ascoltate la BRAVA! Johanna Rose per confermare come in fondo non le manchi nessuna dote tanto da non meritarsi una copertina come questa ...
  16. M&M

    Recensioni : orchestrale
    John Rutter : Suite Antique
    Philip Glass : Concerto per Clavicembalo e orchestra da camera
    Jean Francaix : Concerto per calvicembalo e ensemble strumentale
    Christopher D. Lewis : clavicembalo, Jack McMurtery, flauto traverso
    West Side Chamber Orchestra diretta da Kevin Mallon
    Naxos 2013, formato CD
    registrato a New York nel settembre del 2012
    ***
    Disco molto particolare che ho ascoltato un innumerevole quantità di volte perchè unisce tre composizioni di autori molto diversi tra loro, attratti dalla possibilità di "ricreare" con sonorità contemporanee l'eredità del concerto per clavicembalo in stile barocco (o bachiano se vogliamo), mantenendone il gusto leggero e godibile.
    La "Suite Antique" di John Rutter apre il disco. Si tratta di una composizione in sei movimenti. John Rutter è uno specialista di musica sacra.
    Britannico, nato nel 1945, ha ricevuto la commissione per questa suite nel 1979 e l'ha risolta come omaggio al Bach dei concerti brandeburghesi.
    Nella realtà il clavicembalo è un comprimario del flauto che porta le melodie principali e la composizione stessa è un sorta di pastiche che richiama tanti stili differenti, alcuni da colonna sonora o jazz.
    La chiusura ricorda un rondeau ma i ritmi sono certamente moderni.
    Segue il concerto in tre movimenti di Philip Glass che è del 2002. Qui il clavicembalo è protagonista incontrastato, sia sul piano sonoro che su quello tematico e con accenni di vero virtuosismo.
    Le sonorità sono morbide ed intonate con il timbro del cembalo usato in questa registrazione.
    Glass si sforza di creare il classico confronto tra soli e tutti, comprendendo in questo gioco (non propriamente contrappuntistico) anche i fiati nel loro insieme.
    Nel complesso si sente lo stile di Glass ma non ossessivamente ... ossessivo come in composizioni più tipiche.
    L'ultimo concerto è del più anziano dei tre compositori rappresentati e la sua carriera internazionale gli ha dato una certa notorietà già negli anni '30 del secolo scorso.
    Due toccate in stile francese, o addirittura nello stile francese di un Bach del 20° secolo. Un minuetto, molto melodico e un finale molto veloce e contrappuntistico.
    Nel complesso la suite di Rutter è un brano un pò "nazional-popolare" (come altra sua musica), molto melodico, il concerto di Glass è di un Glass che gioca a non fare il Glass. E in parte ci riesce.
    Il Concerto di Francaix è certamente la composizione più interessante sul piano compositivo e stilistico che non manca dello spirito francese dei suoi contemporanei come ad esempio Poulenc (che non a caso ha scritto musica per clavicembalo), con momenti di vero umorismo.
    Il clavicembalista Christopher Lequis è un gallese che vive negli USA e che ben si disimpegna in questo repertorio un pò borderline, ben coadiuvato dall'irlandese Kevin Mallon e dalla vivace orchestra di New York.
    Una compagine molto eterogenea ma affiatata alle prese con un repertorio di facile accesso che dovrebbe destare una sana curiosità.
    Registrazione pulita, in stile Naxos, famosa per i suoi prodotti di qualità, molto coraggiosi nelle scelte anche di repertorio generalmente trascurato dalle major e proposto sempre a prezzo accessibilissimo.
  17. M&M
    Bach, Concerti per Violino e orchestra BWV 1041, 1042, 1052R, 1053
    Kati Debretzeni, violino
    English Baroque Soloists diretti da John Eliot Gardiner
    SDG 2019, formato 96/24
    ***
    Disco in uscita a metà novembre 2019, offerto agli "amici" in anteprima, con uno sconto friends.
    Per sole £6,40 ci si porta a casa il Bach umano degli amici inglesi del complesso English Baroque Soloists, di cui John Eliot Gardiner è solo il socio fondatore ma di cui ogni componente ha ruolo paritario.
    Lo mostrano le foto



    lo mostrano i sorrisi durante le prove.
    Lo prova la loro musica.
    Se facciamo un confronto con l'edizione di inizio anno, degli "specialisti" tedeschi della Akademie fur Alte Musik Berlin guidati da Isabelle Faust che certo Bach lo masticano a colazione fin da bambini, lo stacco è netto sin dalla prima nota del celeberrimo 1052 finale.
    Ma ancora di più nel 1042, dove il tono soave e schietto, genuino di Kati Debretzeni si limita a portare la melodia sopra gli altri archi.
    I tempi sono tranquilli, senza forzare. Non è una maratona. Del resto la solista è il primo violino del complesso dal 2000.
    Tanti anni di frequentazione con tutte le Cantate di Bach e i Concerti Brandeburghesi (altra grande registrazione SDG) che non le hanno impedito di crearsi anche una solida fama di solista con altre compagini.
    Lo spirito è quello solito di Gardiner, il gusto di fare musica insieme. L'amore per Bach, non per l'apparire.
    Suono un pò secco, immagine costretta al centro (ma guardando il video si capisce il perchè). Il violino solista si perde un pò nel suono complessivo del tutti ma anche questo ci sta.
    Ultima nota, il concerto BWV 1053 qui viene eseguito nell'arrangiamento della stessa Kati Debretzeni, dall'originale per clavicembalo.
    Aggiungo le note scritte di pugno dalla solista e da Gardiner per ora non disponibili nel CD :
    A personal letter from Kati Debretzeni
    soloist and leader

    Recording this album of Bach violin concertos with John Eliot Gardiner and my colleagues and friends from the English Baroque Soloists was a special experience. I have spent the last 22 years playing Bach with John Eliot. On the one hand I ‘grew up’ (musically speaking) with the strong dance element in this music, and on the other, the Monteverdi Choir’s singing just behind me or around me. Alongside the two mainstream violin concertos (A Minor and E Major) I chose to record two ‘borrowed’ ones. The first is a reconstruction based on the popular D minor harpsichord concerto which might (or might not, depending on which eminent musicologist you believe) have started life as a violin concerto. The second one is my own arrangement of another harpsichord concerto, that in E major, in keeping with Bach’s own custom of arranging and re-arranging his own works. Both these concertos have counterparts in Bach’s cantatas, where he uses the very same musical material (with the organ instead of harpsichord shining through), but superimposes the most glorious choral textures above the concerto material, with poignant texts sung - a ready-made source of inspiration for playing them in their concerto form, and one I was intimately familiar with from my time in that unforgettable, unique experience, the Bach Cantata Pilgrimage. 

     John Eliot was not willing to conduct the recording sessions at first - historically, the violinist (or harpsichordist) would have directed a Baroque orchestra in this repertoire. I ended up asking him to do so during the sessions, as I felt his presence and his fine-tuned ‘Bachian’ instincts gave a huge amount of extra energy for the orchestra to tap into, leaving me free to engage with them all with the greatest freedom. The many years of leading and playing Bach with him at the helm paid dividends galore - this meant speeds and characters were readily agreed upon, and I felt supported by him (both musically and personally) every inch of the way. Doing all this with the dedication, skill and support of all my long-time friends and colleagues within the EBS was an extra bonus - and a huge one at that. We danced and sang our way through 5 wonderful days last December, engaging close-up with this throughly life-enhancing music.

    I hope you enjoy the fruits of this labour of love.

    Kati Debretzeni

    ---

    Bach’s violin concertos reveal an ebullient sense of invention and rhythmic exuberance in their dance-based outer movements and a hushed intimacy in the sublime slow movements. It is rather as if one is overhearing a passionate conversation between friends. Yet to maintain the conversation’s flow the soloist needs not just to master the different technical demands of each concerto and to capture moods that range from the playful to the profound, but also to locate the spirit of each individual movement and, as a result, to touch your soul. To me that is exactly how it felt when we recorded these four miraculous concertos with Kati Debretzeni and members of the EBS last December - with everyone sharing a palpable delight in the music-making.

    John Eliot Gardiner
  18. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Gustav Mahler, Sinfonia n. 6
    MusicAeterna
    Teodor Currentzis
    Sony Classical 2018, formato 96/24
    ***
    Si pone nel mezzo della tradizione per durata, questa interpretazione di Currentzis della 6a di Mahler.
    E se vogliamo molto meno provocatoria o affatto, rispetto ad altre scelte della stessa formazione nel recente passato (ho sempre in mente "l'assurdo" concerto per violino di Chaikovsky con l'istrionica Kopatchinskaja).
    Questa edizione è viva, palpitante, viscerale fin dalla prima nota. I bassi giungono cavernosi con un senso di urgenza, più che di immanenza.
    Ma senza che questo influenzi sui tempi di esecuzioni che restano "normali".
    In fondo però non c'è sensazionalismo, solo musica nel senso pieno del termine.
    Forse - ma questo sarà un male - Currentzis screma questa finestra sulla musica di Mahler da buona parte di quella sovrastruttura decadente da finis-Germaniae che spesso nel passato ha condito più del necessario un sinfonismo troppo biografico.
    Vista sul piano del segno e senza troppo indugiare sugli aneddoti personali di Gustav (e famiglia) o sulle vicende degli imperi centrali a cavallo della Grande Guerra - che Mahler non vedrà e che forse nemmeno immaginava - la 6a è un affresco formale, pieno di dinamiche interne, a volte difficili da seguire e discernere per l'ascoltatore se il direttore indugia sulla spettacolarità delle pagine più che sul filo del discorso.
    Currentzis ne fa più una questione di nitore, affidandosi per il ritmo e il suono alla sua compagine, perfettamente affiatata ed allineata con le sue visioni, e ai tecnici del suono per la ripresa del fragore della matassa sonora.
    Non sarebbe piaciuta anche a Brahms questo modo di porgere questa musica che solo ai giorni nostri è diventata così ... nazional-popolare ?
    Forse no ma è piaciuta a me che pure non vivo di Mahler e metto questo disco tra le migliori proposte del 2018, per spessore musicale e per qualità del suono.
    Insomma, non è Bernstein, non è Kondrashin, non è nemmeno Scherchen, (e chi potrebbe esserlo ?), forse è un pò Boulez ma non troppo : è Currentzis ! E ci va bene così.
  19. M&M

    Recensioni : orchestrale
    "American Rapture"
    Jennifer Higdon : concerto per arpa e orchestra (prima assoluta, dedicato a Yolanda Kondossis)
    Samuel Barber : Sinfonia n. 1 Op. 9 in un movimento
    Patrick Harlin : Rapture (versione per orchestra)
    Yolanda Kondonassis - Arpa 
    The Rochester Philharmonic Orchestra 
    Ward Stare - Direttore 
    Azica Records 2019, 96/24
    ***
     

    L'arpista Yolanda Kondossis, interprete del concerto per arpa e orchestra di Jennifer Hogdon
     
    La musica contemporanea oggi si divide in diversi filoni. C'è quella celebrale - tipo le composizioni di Esa-Pekka Salonen - che io non riesco a capire e sinceramente nemmeno ad ascoltare. C'è quella in stile cross-over che cerca di legare uno spirito classico con uno un pò più pop, per così dire.
    E c'è quella che cerca di esprime lo spirito del nostro tempo mantenendo la musica vicina - per quanto possibile - agli ascoltatori.
    E' certamente di questo filone la musica americana e in particolar modo quella di questo disco molto interessante, che contiene peraltro due prime assolute.
    Veniamo innanzitutto al titolo. Rapture sarebbe la sensazione che provano gli speleologi quando trascorrono periodi molto lunghi sotto terra nelle grotte o nelle caverne. Io naturalmente non ho mai provato queste situazione ed essendo piuttosto claustrofobo mi auguro sinceramente di non provarla mai.
    Il brano - qui eseguito per orchestra per la prima volta - va in crescendo fino ad un finale veramente impegnativo, che vede praticamente la disgregazione del linguaggio sonoro.
    Non sono convinto di averlo ben compreso, probabilmente bisognerebbe avere una buona introduzione dall'autore (qui il suo sito). Stiamo comunque parlando di avanguardia (Harlin ha conseguito il dottorato nel 2016 e la sua musica tratta sostanzialmente di soundscape, se intendiamo quello che lui intende). Un brano recentissimo, non mi cattura particolarmente ma certamente c'è sia originalità che innovazione.
    Il pezzo forte del disco probabilmente doveva essere la prima sinfonia di Samuel Barber inserita tra le due composizioni in prima assoluta probabilmente per rassicurare l'ascoltatore e l'acquirente, essendo del 1936.
    E' una composizione pienamente sinfonica in un solo movimento che dura circa 22 minuti.
    Si ispira nella struttura alla settima di Sibelius e certamente ne ha la modulazione (di fatto ci sono i tradizionali 4 tempi, condensati in un unico movimento). ma senza la ricchezza inventiva e la passionalità tipica del finlandese.
    Appare di tutta evidenza che dal punto formale ed intellettuale sia qualcosa che sta certamente su un piano ben differente rispetto al resto del disco.
    Non ci sono dubbi che la compagine di Rochester (siamo nella Kodak Hall, nata sotto il patrocinio della fu la fondazione Kodak) dia il meglio di se in questa sinfonia.
    Ma è comunque una composizione ostica, decisamente meno immediata di quanto pensiamo usualmente di Barber (che è un compositore, lo confesso, che non frequento quotidianamente).
    Invece mi ha attratto di questo disco il concerto per arpa e orchestra di Jennifer Higdon (classe 1962) che secondo me fa il paio col suo bel concerto per violino. Quello dedicato a Hillary Hanh nel 2009 e pluripremiato e celebrato, questo dedicato all'arpista Kondossis, solista in questa prima assoluta.
    E' una composizione in quattro movimenti estremamente frizzanti già a partire dai titoli (First Light, Joy Ride, Lullaby, Rap Knock).
    La stesura della trama orchestrale è abbastanza tradizionale per il 2018 e l'ingresso dell'arpa perfettamente strutturato, così come il fraseggio con gli archi e i legni, il tutto sottolineato dalle ricchissime percussioni.
    La cavalcata del secondo movimento ha un chè di bartokiano ma senza alcuna asperità meccanica, diciamo che ci sono gli echi del compositore ungherese ma nel mood complessivo del concerto in cui si legge la firma della Higdon, oramai abbastanza riconoscibile.
    La parte dell'arpa è tutt'altro che semplice e non deve essere stato nemmeno uno schermo durante le prove mettere a punto quei ritmi e quegli interventi a tempo.
    Lullaby è l'adagio seguente che inizia con l'arpa sola. Più che una ninnananna diciamo che è un momento di intimità. L'intervento del violoncello e del flauto si intrecciano con l'arpa che mantiene però il dominio della melodia.
    Probabilmente è il più tradizionale dei concerti della Higdon ma non vi immaginate di essere all'interno della strutturazione sonatistica di Haydn.
    Ci sono intuizioni sonore che si susseguono e questa lullaby è piuttosto una danza di esserini fatati più piccoli di un ditale che lasciano una scia di stelline per una stanza assolata.
    Il Rap percussivo finale stravolge completamente tutta la composizione e la porta ad un livello di originalità abbastanza inaspettato. Ci sono accenni di temi di danze latine insieme a passaggi jazzistici, l'orchestra e le sue parti tendono all'anarchia con l'arpa che cerca di ricucire la struttura.
    Le percussioni sono aumentate di numero e di importanza e l'arpista qualche volta deve alzare la voce anche bussando sulla tavola in legno.
    Sul finale, quando la coesione sembra venire meno e l'arpa non ce la fa più a tenere a freno il resto della compagnia, si sente qualche cosa che ricorda un pò il Barber che segue. E probabilmente da qui è venuta la scelta del programma di questo disco.
    Tenendo a mente che stiamo parlando di un concerto in prima assoluta, composto nel 2018 (e che comunque non parliamo di capolavori assoluti) credo che Jennifer Higdon sia un compositore estremamente interessante nel panorama odierno, capace di produrre musica vivace, originale, che riesce a raggiungere l'ascoltatore.
    In America le sue rappresentazioni hanno successo e non stento ad immaginare che anche questa sua nuova prova ne avrà.
    La registrazione è di buon livello, forse un filino secca ma nel complesso l'orchestra ne viene fuori bene.
    Arpa e solisti in buona evidenza senza apparire 10 metri davanti agli altri.
    Un disco che vi suggerisco, anche per cambiare musica, al posto dell'ennesimo quartetto di ultime sinfonie di Mozart o di concerti a programma di Vivaldi 


  20. M&M

    Recensioni : orchestrale
    Bach Concerti per Violino e Orchestra BWV 1041, 1042, 1043, 1056R e 1052R
    Giuliano Carmignola (Mayuki Hirasaki primo violino nel concerto doppio 1043)
    Concerto Koln
    Archiv 2014, registrazione fatta a Colonia nel 2013
    Disponibile in formato CD
    ***
    Una scelta classica di concerti per violino e orchestra di Bach, incluso il celeberrimo in Re minore per due violini BVW 1043, con il più italiano dei violinisti barocchi contemporanei che guida anche l'ottimo Concerto Koln, specialista del repertorio bachiano.
    Non è una scelta insolita in quanto è notorio quanto Bach si sia rifatto al modello italiano nella gran parte dei suoi concerti.
    E' rimarcato anche nel libretto della Archiv che riporta il titolo "Bach all'italiana" (in italiano nel testo originale) ed è normale, dato il background di Carmignola, cresciuto in terra veneta con Corelli, Vivaldi e i fratelli Marcello come base culturale.
    Se ne giova l'interpretazione e anche l'ascolto. Carmignola ammette che i suoi riferimenti per questi concerti sono stati fin dalla gioventù Stern e Oistrakh.
    Ma non c'è traccia della solennità e della drammaturgia del suono di Oistrakh (famosa l'edizione con il figlio del concerto doppio) né del pieno rispetto del segno di Stern.
    Se ne giova anche l'ascoltatore che vede tolte molte delle stratificazioni storiche di queste pagine che, proprio per rifarsi al concerto italiano che imperava in tutte le corti d'Europa nel primo settecento,  hanno tutti allegri assai e adagi sì lirici ma non "troppo" bachiani.
    Il tocco leggero, veloce, estroso di Carmignola aggiunge spezie e vivacità al ritmo, riuscendo a farsi seguire anche dal complesso di Koln, spesso un pò ingessato e teutonicamente compassato.
    Vedi ad esempio i raddoppi del terzo movimento del BWV 1042 che sembrano veramente crescendo vivaldiani.
    Ha un suono "veneziano" anche il BWV 1043, nonostante la prima voce sia giapponese, segno di quanto sia contagioso il nostro spirito.
    E appunto, il secondo movimento, privo dei toni enfatici di russi e in generale dei musicisti di chiave romantica.
    Il terzo movimento è addirittura "troppo" liberatorio con tempi veramente svelti, quasi come a scusarsi di quel momento di autocompiacimento del largo (ma non tanto) del concerto.
    Questo bel disco finisce con due concerti "ricostruiti" da Marco Serino, dai due concerti per cembalo di pari numero di catalogo, che Carmignola interpreta se vogliamo ancora più all'italiana, visto che qui la tessitura è ancora più leggera e il suono del suo Guarnieri si ritrova più libero dai bassi.
    Non c'è eccesso di fioriture, giusto il necessario.
    Anche l'ultimo, il 1052 che è il mo concerto per cembalo preferito del genio bachiano, è alleggerito dalla monodia del violino che chiaramente suona più in alto del resto del complesso (vedere per confronto la recente interpretazione molto brunita di Bonizzoni dell'originale per cembalo).
    Se non capite cosa sto scrivendo provate ad ascoltare per confronto l'ultimo movimento della Ibragimova (Hyperion 2014) alla ripresa del solo, verso il minuto 2:13) lei non fraseggia, suona, Carmignola da respiro alla musica, sussurrando la seconda frase su un volume più basso e leggermente rallentando. Il risultato è di tutta ovvietà per chi conosce il nostro repertorio, molto meno per chi pensa al Bach luterano officiato da musicisti romantici.
    Non che la Ibragimova  abbia una visione incoerente ma è tanto diversa da rendere i due dischi, peraltro coevi, del tutto giustificati per quanto diversi.
    Insomma, se Bach fosse venuto nel trevigiano per una settimana di vacanza, oltre ad ascoltare la nostra musica in originale e non ripresa da complessi tedeschi ossequiosi del loro principe, avrebbe potuto ascoltare la sua musica così come ce la porge oggi Carmignola.
    Ovviamente di dischi come questo ne abbiamo già a decine, ognuno di noi ne avrà più scelte a seconda dei momenti ma questo si aggiunge volentieri per un tocco molto personale e più disteso sel solito.
    Registrazione con un buon registro complessivo, senza quelle secchezze tipiche di certe prove Archiv, basso non troppo lungo e violino (il Guarneri di Carmignola) non esageratamente in evidenza come è giusto che sia in generale ma specialmente in questo repertorio dove il solista è semplicemente un primo violino più esperto degli altri.
  21. M&M
    Johannes Brahms : le cinque sonate per violino e pianoforte
    Vol. 1 e Vol. 2
    Ulf Wallin, violino
    Roland Pontinen, pianoforte
    Bis 2019, formato HD
    ***
    Quante sono le sonate per violino e pianoforte di Brahms ?
    Il quesito viene posto in questi due dischi.
    Di getto io risponderei chiaramente che sono 3. Più un movimento della sonata FAE. Quindi al massimo 3 e 1/4.
    No, invece anche le due sonata Op. 120, pensate per clarinetto, proposte per viola, sono anche esse sonate per violino e pianoforte (o in qualche caso, per pianoforte e violino).
    Quindi siamo a 4 sonate. E un quarto per il movimento della sonata FAE.
    Ma c'è chi pensa che le sonate in totale siano cinque, di cui una persa, forse costruita attorno a quel movimento.
    Come sia l'arcano mistero, qui abbiamo due volumi con l'integrale di queste sonate (Op. 78, Op. 100 e Op. 108,  le due Op. 120, il movimento senza numero d'opera) e per sovrammercato abbiamo anche due trascrizioni di lieder del periodo 1868-1877.
    Bene fin qui. Una aggiunta singolare ad uno sterminato catalogo di edizioni di queste gemme musicali.
    Ma come sono ?

    Sono rese alla maniera scandinava. I due musicisti - lo svedese Ulf Wallin che suona un violino italiano del 1746, lo svedese ma di origini finlandesi Roland Pöntinen, che suona uno Steinway D - non indugiano né sulla chiave crepuscolare dell'ultimo Brahms (Op. 120) né su quello virile eroico della FAE o dell'Op.78.
    La "Regen" appare qui chiara e limpida, senza ombre. Umana ma apparentemente priva di difetti.
    La "Thun" di una calma più che Olimpica.
    E la terza abbastanza priva di quella irrequietezza che invece viene facile leggere.
    Le due sonate Op. 120 continuano con questa chiave di lettura di tranquillità interiore, non rassegnata ma di accettazione.
    Un modo di vedere Brahms che è molto lontano dal mio (non che io ne possa sapere di più di loro. Ma Brahms ebbe un travaso di bile per non essere arrivato in tempo al funerale di Clara. Non che il fatto potesse essere importante ma quanto può essere rassegnato o tranquillo un uomo simile ? Permettetemi di dubitare).
    I due comunque mostrano un affiatamento totale e se non ci sono i guizzi di coppie come Perlman/Barenboim o Perlman/Ashkenazy è perchè probabilmente non è più quella l'epoca.
    Il Brahms svedese è questo. Anche quello sinfonico. Ma Brahms amava il calore del sud. Della Baviera, dell'Austria e dell'Italia 
    Registrazione limpida come da standard Bis.
  22. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Felix e Fanny Mendelssohn : musica da camera per violoncello e pianoforte
    Johannes Moser e Alasdair Beatson
    Pentatone 2019, formato 96/24
    ***
    I fratelli Mendelssohn avevano la stessa inclinazione musicale. Le consuetudini del tempo però sfavorivano la composizione per le giovani.
    Fu il caso, oltre che di Fanny, anche di Clara Wieck e di altre giovani donne in età Vittoriana.
    E' un peccato perchè Fanny aveva gusto e un equilibro musicale che apriva più a Brahms di quanto il fratello abbia mai potuto fare nella sua breve vita.
    Uniti a stretto filo, anche dopo il matrimonio di entrambi, dal primo all'ultimo giorno di vita (spirati, entrambi, per lo stesso male, a pochi mesi di distanza l'una dall'altro), lo erano anche nella scelte musicali.
    Questo bel disco intriso di puro primo romanticismo ne è la prova.
    E sebbene sia in larghissima parte fatto di musica di Felix (le due sonate, le variazioni concertanti, uno dei tanti lied senza parole), ci regala una meravigliosa interpretazione della Sonata-Fantasia in Sol Minore di Fanny che veramente sono sicuro sarà tanto piaciuta a Johannes Brahms se avrà avuto modo di ascoltarla, cosa di cui dubito.
    Di grandissimo respiro anche il Capriccio in La bemolle, più brillante ma sempre intensissimo.
    Condivido la scelta di chiusura del disco, l'Assai Tranquillo in Si minore di Felix, quasi un commiato dei due, nel loro stile pacato e sinceramente tenero che si chiude quasi in un respiro, un sussurro.
    Grande affiatamento dei due interpreti, cosa necessaria in questa musica, con pari peso dei due strumenti che rappresentano idealmente le due voci del cuore del musicista.
    Il violoncello, caldissimo è un Guarneri del 1694 mentre il pianoforte è un Erard 1839, scelta assolutamente felice, per il suono caldo e mai invadente che riesce esprimere, perfettamente immerso nell'epoca in cui sono state scritte queste pagine.
    La registrazione è altrettanto calda ed asseconda perfettamente lo stile della musica e il tono dei due strumenti.
    Grandissimo disco, nonostante il repertorio possa apparentemente sembrare poco attraente.
     

  23. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    VIOLA 1919
    Yizhak Schotten, viola
    Katherine Collier, piano
    Sonate per viola e pianoforte del 1919 di Rebecca Clarke, Enest Bloch e Paul Hindemith
    Crystal Records 1993, formato CD
    ***
     

    i due protagonisti del disco all'epoca della registrazione
     

    e oggi, in concerto.
     
    Disco particolare, a tema, che racchiude tre composizioni per viola e pianoforte del 1919.
    Registrato nel 1993 ma che io ho scoperto solo oggi, nel 2019, quando è uscito un secondo disco, identico, per il centenario, con lo stesso repertorio ma con altri interpreti.
    Le tre composizioni sono la splendida sonata per viola e pianoforte di Rebecca Clarke, la Sonata n.4 Op. 11 di Paul Hindemith, la Suite per viola e pianoforte di Ernest Bloch.
    Il violista è Yizhak Schotten, allievo selezionato del grande William Primrose, che ricorda molto nella dolcezza del timbro.
    Lo accompagna al pianoforte Katherine Collier, sua consorte, con la quale si esibisce anche oggi a quasi trent'anni di distanza.
    Son tre composizioni in cui la viola è la grande protagonista ma il pianoforte ha comunque grande importanza, come ad esempio nell'inizio della suite di Bloch.
    Yizhak Schotten mostra un timbro dolce, non eccede nei tratti iper-romantici della sonata della Clarke e sembra forse più a suo agio in Bloch che nel primissimo Hindemith dell'Op. 11
    L'atmosfera nebbiosa e misteriosa della suite di Bloch si stempera mano a mano fino al rapsodico secondo movimento allegro per concludersi con il brillantissimo finale che richiama melodie orientali.
    Morbidissimo l'inizio della sonata di Hindemith, lenta e sognante.
    Finale possente ma anche qui senza eccessi.
    Nel complesso i due sono protagonisti di una prova decisa ma che non va oltre il segno nonostante queste pagine offrano ogni opportunità di mettersi in mostra. Probabilmente però il loro scopo, nel 1993, era più al servizio della musica, per lo più sconosciuta al tempo.
    Oggi le sonate di Clarke e di Hindemith sono in repertorio di quasi tutti i violisti e sono anche materia di esame (vedere su Youtube il fiorire di video di giovani violiste cinesi).
    Il suono è un pò ovattato, sembra indulgere sulla tonalità brunita della viola e il piano è ben ripreso senza enfasi.
    Un disco garbato, raro, io credo, che dovrebbe essere più conosciuto.

  24. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    Britten : Quartetti per archi n. 1, 2 e 3, 3 divertimenti
    Purcell : 5 fantasie a quattro voci
    Doric String Quartet
    Chandos 2019, formato 96/24
    ***
    Bastano poche note e non c'è molto da aggiungere.
    Il Doric Quartet si è formato nel Suffolk a pochi passi dal mondo interiore di Benjamin Britten.
    L'ultimo grande compositore inglese con un amore particolare per la musica del suo illustre predecessorie, Mr. Henry Purcell.
    Ed Helene Clement, la violista della formazione, suona la viola che Frank Bridge regalò al suo allievo Benjamin quando questi partì per il suo soggiorno negli USA nel 1939.
    E' uno strumento milanese del 1843 di Francesco Giussani.
    Britten compositore molto raffinato e con un stile estremamente personale fatto da ritmi vivaci e con una polifonia complessa, ha scritto tanta musica da camera. Il programma di questo disco, insieme alla Simple Symphony e le suite per violoncello lo rappresentano perfettamente per tutto l'arco della sua vita matura. Sebbene in gioventù abbia scritto tanta altra musica preparatoria oggi non in repertorio.
    Fa contrasto ma non troppo perchè i toni non sono esageratamente distanti, il barocco italo-francese di Purcell, altro musicista molto raffinato e peculiarmente inglese.
    Le cinque fantasie - sostanzialmente composizioni libere e sciolte - qui selezionate sono tutte in tono minore.
    Presentano nella loro armonica polifonia a volte leggere dissonanze e idealmente guidano al quartetto n. 2 di Britten che chiude questo doppio disco (dura quasi due ore) che inizia con un "allegro calmo senza rigore" molto elegiaco e si chiude con una chaconne che, pur alla maniera di Britten, vuole rappresentare la tradizione seicentesca musicale inglese.

    la formazione che ha registrato questo disco (il gruppo ha avuto diverse composizioni prima)
     
    Il Doric String Quartet non ha una vera e propria specializzazione ma la sua intonazione è perfetta per questo repertorio e per quello moderno in generale.
    Il loro suono è chiaro, terso, le sovrapposizioni precise.
    Il disco per quanto riguarda Britten, a mio modesto avviso si pone vicino e sullo stesso piano della esemplare interpretazione del Belcea.
    Registrazione secondo la tradizione Chandos, che è come dire eccezionale, priva di qualsiasi difetto o rumore.

  25. M&M
    The 1690 'Tuscan' Stradivari
    Sonate per violino del 18° secolo italiano
    Musiche di Veracini, Geminiani, Corelli, Tartini, Locatelli, Vivaldi
    Fabio Biondi, violino
    Antonio Fantinuoli, Giangiacomo Pinardi, Paola Poncet, accompagnamento
    Glossa 2019
    ***
    Questo è un disco celebrativo di uno dei più straordinari strumenti musicali che ci siano, quello Stradivari detto "Toscano" perchè appartenuto (in un quintetto di archi completo, composto da due violini, due viole e un violoncello) alla famiglia De Medici che lo commissionò alla bottega Stradivari nel 1690 per l'intrattenimento del Principe Ferdinando De Medici e della sua famiglia.
    E' attualmente di proprietà dell'Accademia di Santa Cecilia e più che altro fa mostra di se in bacheca e in mostre in giro per il mondo.
    Il che è un vero peccato perchè ha un suono meraviglioso che induce dipendenza, come si vede dallo stesso sguardo estasiato di Fabio Biondi nelle foto diffuse con questo bel disco tutto italiano
     


    Lo Stradivari Toscano in una recente mostra a Tokyo è esposto nella bacheca centrale, in prima vista, insieme ad altri 21 confratelli

    un dettaglio dello strumento



    una riproduzione pittorica del violino. William Hill fu l'esperto londinese che lo recuperò dall'oblio (era finito in Irlanda e dimenticato) nel 1889 e lo classificò come uno dei migliori e meglio conservati Stradivari esistenti.
    Accompagnano Fabio Biondi in questo suo cimento strumentisti di grande levatura come Antonio Fantinuoli al violonvello


    Paola Poncet (qui al cembalo, insieme a Fabio Biondi)
    e Giangiacomo Pinardi alla tiorba

     
    Il disco è stato - ovviamente - registrato a Roma, nel gennaio di quest'anno, all'Auditorium Parco della Musica, ripreso e prodotto da Fabio Framba.
    Ed è tutto italiano, tranne nelle note del libretto (scritte peraltro da un italiano), secondo me una svista imperdonabile che sarebbe costata pochissimo.
    Come se si potesse prendere quello che si vuole dal nostro patrimonio ma non ci si volesse rivolgere agli italiani nel proporlo ... diciamo che magari a me è capitato un disco non destinato anche al nostro mercato, giusto per quieto vivere ...
    A parte questo, ed assolto l'obbrligo verso lo straordinario violino, qui c'è la musica per cui questi strumenti fantastici sono stati concepiti.
    Il disco si apre con la Ciaccona della 12a sonata Op. 2 di Francesco Maria Veracini che a mio avviso è la più bella interpretazione di Fabio Biondi di tutta la sua carriera (c'è l'intera sonata già disponibile da decenni in disco) il che mi fa pensare che sarebbe stato forse meglio includere l'intera sonata che è originale e bellissima (inizia con una Passacaglia e finisce con una Ciaccona : e scusate se è poco).
    L'Op. 2 di Veracini è del 1744 e sembra concludere idealmente il periodo d'oro del violino italiano nella massima forma possibile.
    Ovviamente Veracini è il nome meno noto del repertorio proposto che prosegue altre proposte, alternate in tono minore e maggiore fino alla conclusiva sonata RV 34 di Vivaldi, la composizione meno originale del disco.
    Il virtuosismo necessario é qui sempre al servizio della musica, secondo me siamo ai massimi livelli esprimibili per la musica barocca italiana per una formazione che non teme rivali (ho ascoltato, purtroppo, dei Veracini e dei Locatelli alla tedesca o alla inglese, che non possono che conciliare il sonno).
    Quel violino incanta. Gli altri strumenti non sono da meno.
    Secondo me, il Museo di Santa Cecilia dovrebbe seriamente pensare di prestare permanentemente questo strumento - che merita di essere mantenuto vivo ogni giorno dell'anno per sempre - a Fabio Biondi.
    Se lo merita. E disco candidato a disco dell'anno, secondo me.
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