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happygiraffe

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Blog Entries pubblicato da happygiraffe

  1. happygiraffe
    Beethoven, Trio per pianoforte Op.1 n.3 e Op.70 n.2
    Trio Sitkovetsky
    BIS, 2020.
    ***
    Comincia nel migliore dei modi il primo volume di questa nuova integrale  dei trii beethoveniani ad opera del giovane ensemble guidato dal violinista Alexander Sitkovetsky.
    Il numero d’opera non deve trarre in inganno: l’op.1 n.3 fu all’epoca una composizione molto innovativa nel portare questo genere dal repertorio salottiero di intrattenimento ad una dimensione più moderna. Talmente innovativa che l'insegnante del giovane Beethoven, Haydn, pur ammirandone le qualità, ne sconsigliò la pubblicazione, temendo che il pubblico non potesse capirlo. Si tratta in ogni caso del primissimo Beethoven, ancora lontano dall’eroico ardore del periodo centrale o dalle sperimentali astrazioni degli ultimi anni.
    Il Sitkovetsky ci stupisce subito per il suoi timbri pieni ed eleganti e lo slancio naturale e gioioso del fraseggio. I movimenti si susseguono con grande armonia e equilibrio, in un clima luminoso e gaio.
    Segue, a guisa di intermezzo, il graziosissimo Allegretto WoO 39, ultimo pezzo composto da Beethoven per trio, scritto per la giovane Maximiliane Brentano, “per incoraggiarla a suonare il pianoforte”.
    Non potrebbe essere più diversa l’atmosfera del ben più tormentato Trio Op.70 n.2.
    Privo di un movimento lento, questo trio si apre con un’introduzione sommessa in cui gli strumenti a canone introducono il primo tema, cui segue uno sviluppo decisamente più ombroso e passionale. Se l’Allegretto successivo sotto forma di variazioni, ha un carattere più ossessivo, L’Allegretto ma non troppo prende corpo da una splendida melodia nel più pure stile beethoveniano. Il Finale è un misto di esuberanza e virtuosismo, che ci porta a briglie sciolte verso la conclusione.
    Davvero irreprensibili i tre musicisti del Trio Sitkovetsky, sia nel equilibrio tra gli strumenti, con il pianoforte di Wu Qian che non domina mai e il violoncello di Isang Enders sempre perfettamente leggibile, sia nella giudiziosa scelta dei tempi. E’ nel complesso un interpretazione molto naturale e “classica”, ma per niente accademica e priva di qualsiasi affettazione. Aspettiamo il seguito!
    Ottimo anche la qualità della registrazione, che rende bene il suono caldo dell’ensemble con tutte le sue sfumature timbriche e ci restituisce un’immagine omogenea e realistica.
  2. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Yuja Wang, the Berlin recital.
    Musiche per pianoforte di Rachmaninov, Scriabin, Ligeti, Prokofiev.
    Deutsche Grammophon 2018
    ***
    Esce per DG la registrazione di un concerto della pianista Yuja Wang tenutosi alla Philarmonie di Berlino a giugno del 2018.
    Già da alcuni anni inserita nella centrifuga dello star system musicale, la trentaduenne pianista cinese riesce a mantenere un livello qualitativo sempre altissimo, migliorando anno dopo anno. Sarà merito anche della scelta di tenere pochissimi concerti da solista, nonostante il suo fittissimo calendario, privilegiando il repertorio con orchestra e la musica da camera, scelta che probabilmente la preserva da una logorante e per molti versi alienante routine, permettendole un proficuo e continuo scambio con altri musicisti.
    Tornando al concerto berlinese, Wang propone un bel programma tutto novecentesco e per tre quarti russo. Esegue brani di Rachmaninov, Scriabin, Ligeti e Prokofiev, tutti autori che ha in repertorio da diversi anni e per i quali, penso a Prokofiev e Rachmaninov, ha una spiccata familiarità. 
    Si comincia con alcuni pezzi di Rachmaninov: dal celebre preludio op.23 n.5, non proprio un pezzo semplice per iniziare un concerto, passando ai due études-tableaux op.39 n.1 e op.33 n.3 e chiudendo con il magnifico preludio op.32 n.10.
    Se il preludio op.23 n.5 è reso con straordinaria bellezza e passione, mi hanno convinto leggermente di meno gli étude-tableaux (si può fare il confronto con il magnifico disco di Stephen Osborne del 2018 per Hyperion) e il preludio op.32 n.10, a mio avviso reso con maggiore tensione emotiva da Nikolai Lugansky (Harmonia Mundi 2018).
    Si passa così alla Sonata n.10 Op.70 di Scriabin. Questa breve sonata in un solo movimento (12 minuti scarsi) rappresenta uno dei momenti più alti del pianismo di Scriabin, che la definì “sonata d’insetti” per il suo tentativo di cogliere il battito vitale e solare dell’elemento naturale che ci circonda. E’ un pezzo molto interessante (e incredibilmente impegnativo) anche per il suo ricorso al trillo come elemento non tanto ornamentale, bensì strutturale della composizione. L’interpretazione di Yuja Wang è bella e intensa, regalandoci qui il momento più alto di tutto il concerto. Siamo lontani dall’elettrizzante eccitazione della celebre interpretazione di Horowitz. Wang ci conduce con grande semplicità dai misteriosi sussurri delle battute iniziali al successivo svolgimento palpitante e frenetico, in  un climax reso con molta coerenza e incredibile limpidità.
    Seguono tre brevi études del compositore ungherese György Ligeti (n.3 “Touches bloquées), n.9 “Vertige”, n.12 “Désordre”). L’abilità tecnica di Wang non ha problemi a domare questi pezzi famosi per la difficoltà, ma qui non è solo questione di bravura: la pianista cinese ci mette molto altro e il confronto con l’edizione considerata di riferimento, quella del chirurgico Pierre Laurent Aimard, parla chiaro.
    Il programma si conclude con la Sonata per pianoforte n.8 op.84 di Sergej Prokofiev. Ultima delle tre sonate “di guerra” del compositore russo, quest’opera si differenzia dalle altre due per l’impronta decisamente meno drammatica. E’ una sonata lunga e complessa da rendere in modo coeso da un estremo all’altro. Qui alla Wang, che si distingue per brillantezza e effervescenza e per la delicatezza con cui affronta l’Andante sognando del secondo movimento, manca probabilmente la tensione e l’energia di un Gilels (che fu il primo a eseguire in pubblico questa sonata) o di un Richter (celebre la sua registrazione per DG). Ma i nostri sono altri tempi, Gilels e Richter avevano storie e culture molto lontane da quella della giovane pianista cinese.
    Il disco si conclude qui, ma DG ci concede la possibilità di acquistare separatamente un supplemento, che penso sia disponibile solo in formato “liquido”, con i sfavillanti bis che hanno chiuso il concerto e che immagino abbiano lasciato il pubblico in estasi:

    Tirando le somme, complessivamente un ottimo concerto, elettrizzante dalla prima all'ultima battuta, che a mio avviso ha raggiunto l'apice con la Sonata n.10 di Scriabin. 
    Molto buona la qualità dell'incisione, che ci fa dimenticare la presenza del pubblico (applausi solo alla fine e rumori del pubblico poco percepibili), con un pianoforte reso in modo convincente, con buona dinamica e immagine. Solo nei primi minuti si avverte un po' di saturazione nei fortissimo, problema poi risolto dagli ingegneri del suono nel resto del concerto.
  3. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Eugène Ysaÿe (1858-1931): Poème élégiaque Op 12
    César Franck (1822-1890): Sonata per violino in La maggiore
    Louis Vierne (1870-1937): Sonata per violino in Sol minore Op 23
    Lili Boulanger (1893-1918): Nocturne
    Alina Ibragimova, pianoforte, Cédric Tiberghien, pianoforte.
    Hyperion Records, 2019
    ***
    Ruota tutto intorno alla figura imponente del violinista belga Eugène Ysaÿe il programma di questo disco e se a prima vista il pezzo forte sembrerebbe la celebre sonata di Franck, in realtà già dal primo ascolto si capisce che i piatti di contorno sono più sostanziosi di quello che saremmo pronti a pensare.
    Il disco si apre proprio con una composizione dello stesso Ysaÿe, il Poème élégiaque Op.12 del 1893. E' un brano di atmosfera di quindici minuti scarsi, dal fascino misterioso e intimista, ispirato alla scena della tomba di Romeo e Giulietta. Il libretto ci informa che nella "scène funébre" centrale la corda di sol del violino viene accordata sul fa, ottenendo così un colore più cupo, simile alla viola.

    Eugène Ysaÿe
    Segue la famosa sonata di César Franck, forse una delle sonate per violino e pianoforte più eseguite e conosciute in assoluto. Composta nel 1886 fu il regalo di nozze di Franck a Ysaÿe e quest'ultimo ne fu il primo esecutore e la portò al successo in Francia e nel mondo. Si tratta di uno dei vertici della musica da camera francese, composta in forma ciclica, motivi uguali si ritrovano infatti in tutti i movimenti, e caratterizzata da uno straordinario equilibrio strutturale e da un'inventiva melodica trascinante, specialmente nell'ultimo famosissimo movimento, composto secondo un procedimento a canone, con la melodia che si intreccia e si insegue da uno strumento all'altro in modo irresistibile. 
    L'intesa e l'affiatamento tra i due interpreti sono assoluti, si sente eccome che Ibragimova e Tiberghien suonano insieme da anni. Il suono della russa è morbido e dolce, dal canto suo il pianista francese riesce a estrarre dei timbri incredibili dal suo Steinway. Nel complesso è un'interpretazione che mi ha colpito per la sua sensibilità e profondità, ma soprattutto per la naturalezza con cui il discorso musicale si dipana nel corso dei quattro movimenti, mantenendo al contempo delicatezza, grande chiarezza e trasporto.
    E arriviamo così alla sonata per violino Op.23 di Vierne e qui la domanda che mi sono posto immediatamente è stata:"ma chi diamine è Vierne?" 
    E' un nome che probabilmente è noto agli amanti della musica per organo: Vierne è stato dal 1900 al 1937 organista della cattedrale di Notre-Dame, il cui organo, che all'epoca versava in pessime condizioni, fu restaurato grazie ai fondi che lo stesso Vierne riuscì a raccogliere nel corso di una tournée in Europa e America. Vierne da giovane aveva vinto anche un premio di violino al Conservatorio di Parigi e nel corso della sua vita fu anche compositore, nonostante la sua quasi cecità gli imponeva di scrivere la musica in Braille, e un noto improvvisatore all'organo.
    Fu così che Ysaÿe commissionò a Vierne, allievo e ammiratore di Franck, una sonata per violino, che fu poi pubblicata nel 1908. Il violinista la eseguì per la prima volta con successo in quello stesso anno e continuò a portarla in concerto anche l'anno seguente.
    Se si può a tratti sentire l'influsso di César Franck, in realtà il linguaggio di Vierne appartiene al tempo in cui è stata composta: siamo ormai ai primi del '900 e Vierne è nato 48 anni dopo Franck. Basta l'attacco divertito e ironico del primo movimento per accorgersene.

    Louis Vierne
    Il disco si chiude con un breve Nocturne di Lili Boulanger (sorella della più celebre Nadia, morta a 24 anni nel 1918) del 1911, che chiude il disco con grande delicatezza, così come si era aperto.
    Tirando le somme, questo è un disco che mi è piaciuto molto: prima di tutto per la capacità di impostare un programma di grande fascino, in grado di affiancare a un brano arcinoto come la sonata di Franck, altri molto meno conosciuti, ma in grado di reggere il confronto; in secondo luogo per la straordinaria bravura e l'affiatamento dei due interpreti. Da ultimo va menzionata la qualità irreprensibile della registrazione, che rende giustizia alla bravura di Ibragimova e Tiberghien.
  4. happygiraffe
    Mieczysław Weinberg (1919-1996): Tre pezzi per violino e pianoforte, Trio per pianoforte Op. 24, Sonata per violino e pianoforte n.5 Op.136bis.
    Gidon Kremer (violino), Yulianna Avdeeva (pianoforte), Giedre Dirvanauskaite (violoncello).
    DG 2019
    ***
    Il violinista lettone Gidon Kremer sembra ormai completamente ossessionato dal compositore polacco Mieczysław Weinberg, tanto da poter essere ormai a buon diritto considerato un vero e proprio paladino della sua opera. 
    Il disco di cui parliamo segue infatti questo del 2019:

    e questo, sempre del 2019 e osannato dalla critica:

    e poi questo del 2017:

    e prima ancora questo disco del 2014:

    Una vera e propria ossessione, dicevamo, per un compositore che morì nel 1996 e che solo da pochi anni è uscito dall'oblio. Weinberg ebbe davvero una vita molto travagliata: nato in Polonia nel 1919, per sfuggire dai nazisti scappò prima a Minsk, poi in Uzbekistan e infine si rifugiò a Mosca, grazie all'aiuto dell'amico Shostakovich. Ma i suoi guai non erano finiti: nel 1949 le sue opere finirono nella lista nere dell'URSS delle creazioni artistiche tacciate di "formalismo" e nel 1953 venne addirittura arrestato. Fu solo con la morte di Stalin e l'intercessione di Shostakovich che Weinberg venne finalmente riabilitato, rimanendo tuttavia per il resto della sua vita (morì nel 1996) ai margini della vita culturale sovietica e componendo principalmente per il cinema, il teatro e la televisione.
    Fu un compositore molto prolifico, autore di ben 22 sinfonie, 17 quartetti, sinfonie da camera, 6 sonate per pianoforte, 8 per violino e 6 per violoncello.
    In questi ultimi anni stiamo assistendo a una vera e propria riscoperta di un compositore davvero meritevole di maggiore attenzione. Pur con alti e bassi il suo reperorio contiene vere e proprie gemme, come il quintetto per pianoforte o il trio Op.24 (1945) contenuto in questo disco. Si sente l'influsso di Shostakovich, ma il linguaggio di Weinberg è personale e sa catturare l'ascoltatore con la sua potenza espressiva. Molto bella e intensa anche la sesta sonata per violino e pianoforte, composta quasi quattro decadi più tardi, nel 1982. Più giovanili e acerbi i Tre pezzi per violino e pianoforte, composti a 15 anni, e che si ispirano chiaramente a Szymanowski.
    Straordinari i tre interpreti, Yulianna Avdeeva al pianoforte, Giedré Dirvanauskaité al violoncello (già collaboratrice di Kremer nella Kremerata Baltica), guidate dal veterano Gidon Kremer.
    Straordinaria anche il lavoro svolto dagli ingegneri della Deutsche Grammophon, che sono riusciti a metterci davanti i tre strumenti con un realismo impressionante. Dinamica ampia, gamma timbrica raffinata, ottima immagine e amalgama tra gli strumenti.
    Un disco che raccomando caldamente e che ripaga ampiamente gli sforzi dei tre interpreti di portare la nostra attenzione su un compositore del '900 che avrebbe meritato maggiore fortuna.

    Gidon Kremer e Giedré Dirvanauskaité 

    Yulianna Avdeeva
  5. happygiraffe
    Franz Schubert, sonate per pianoforte D959 e D960
    Krystian Zimerman
    Deutsche Grammophon 2017
    ***
    Ammetto che sono un po' in imbarazzo nel dover parlare di questo disco. Krystian Zimerman è considerato una leggenda vivente del pianoforte e in più i suoi dischi da solista sono molto rari: se si esclude la seconda sonata per pianoforte della Bacewicz del 2011, il disco precedente risale addirittura al 1993 (Préludes di Debussy).
    Nutrivo quindi grandi aspettative, anche se devo ammettere che ho sempre guardato con una certa diffidenza al pianista polacco: pur riconoscendogli una tecnica straordinaria e alcuni dischi leggendari, spesso mi lascia perplesso per una ricerca maniacale del suono e per una cura del microdettaglio che va a scapito della spontaneità.
    In questa incisione dedicata a Schubert leggiamo che ha addirittura modificato la meccanica del pianoforte con il duplice scopo di sostenere meglio il suono della linea melodica e non appesantire le note ripetute dell'accompagnamento.
    Il timbro che ne risulta è in effetti molto particolare e conferisce un carattere ben definito a questa registrazione.
    Zimerman ancora una volta colpisce per la raffinatezza del suo pianismo, per la tecnica sopraffina, per la cura del dettaglio. Le sue interpretazioni di queste due celebri sonate sono sicuramente di un livello altissimo, tuttavia...tuttavia dopo diversi ascolti ho l'impressione che manchi quella fluidità del discorso musicale, quella capacità di rendere il senso della struttura, vado oltre sperando di non essere accusato di blasfemia, quella capacità di andare coraggiosamente in profondità per cogliere il senso pieno del discorso musicale,  tutte cose che permettono di catturare l'attenzione dell'ascoltatore per quella quarantina di minuti che dura ciascuna di queste due sonate. 
    In conclusione, certamente un disco importante, con alcuni momenti memorabili, ma che aggiunge poco di nuovo all'ampia discografia già presente.
  6. happygiraffe

    Recensioni : Vocale
    Robert Schumann:
    - Sechs Gesänge, Op. 107
    - Romanzen und Balladen, Vol. II, Op. 49
    - Drei Gesänge, Op. 83
    - Zwölf Gedichte, Op. 35
    - Vier Gesänge, Op. 142
    Christian Gerhaher, baritono.
    Gerold Huber, pianoforte.
    Sony 2018
    ***
    Schumann fu senza dubbio il maggiore autore di Lieder dopo Schubert e fu con lui che il Romanticismo in letteratura e in musica trovarono il più alto punto di incontro. Non può che far piacere, quindi, apprendere che il bravissimo liederista tedesco Christian Gerhaher abbia intrapreso l'incisione dell'integrale del corpus dei lieder di Schumann, che dovrebbe arrivare a termine nel 2020.
    Intorno ai Kerner-Lieder Op.35, terzo ciclo per importanza dopo i Dichterliebe Op.48 e i Liederkreiss Op.39, che occupano la parte più cospicua del programma, Gerhaher ha posto delle raccolte decisamente meno note, ma non per questo meno interessanti: Op.107, Op.49, Op.83 e i Vier Gesänge Op.142 che contengono 2 brani che erano destinati ai Dichterliebe.
    Nel testo che accompagna il disco (e finalmente un libretto fatto come si deve!) lo stesso Gerhaher ci spiega che considera queste opere non come delle semplici raccolte di brani, ma come elementi di un più ampio disegno che va formare una vera e propria "drammaturgia lirica".
    La voce di Gerhaher è incredibilmente bella, calda, ricca di sfumature. Noto solo una lieve durezza nell'estremo del registro acuto, ma il baritono tedesco arrivato alla soglia dei 50 anni, ha classe, tecnica e mestiere da vendere. Gerold Huber, suo partner di lunga data, lo accompagna al pianoforte con grande sensibilità e attenzione, rivelando un'alchimia poco comune.

    Per il tipo di repertorio, che amo moltissimo, e per la naturalezza e la profondità dell'interpretazione, questo disco è uno dei miei preferiti tra quelli usciti nel 2018. Una vera e propria sorpresa, in un ambito, quello dei lieder, che ultimamente mi è parso un po' sterile. Da ascoltare e riascoltare!
    Per maggiori informazioni sulle opere contenute in questo disco, vi rimando all'ottimo testo di Gerhaher contenuto nel libretto (in tedesco o inglese).
  7. happygiraffe
    Pēteris Vasks: concerto per violino "Distant Light", "Summer Dances", Quartetto per pianoforte.
    Vadim Gluzman, violino, Orchestra sinfonica della radio finlandese, direttore Hannu Lintu.
    Nelle "Summer Dances":  Vadim Gluzman e Sandis Šteinbergs violini.
    Nel quartetto per pianoforte:  Vadim Gluzman,  Ilze Klava, Reinis Birznieks e Angela Yoffe.
    BIS 2020
    ***
    Onestamente non conoscevo affatto il compositore lituano Peteris Vasks e sono capitato per caso su questo disco, seguendo semplicemente il percorso del violinista israeliano Vadim Gluzman dopo la bella prova nel Trio di Tachikovsky.
    E onestamente sono rimasto molto sorpreso dalla bellezza, inattesa, del concerto per violino Tālā Gaisma ("Luce lontana"), piatto forte di questo disco.
    Vasks è un compositore lituano, nato nel 1946, che negli ultimi decenni ha avuto un discreto successo, inizialmente anche grazie all’attività del suo compatriota Gidon Kremer, che si è prodigato per diffonderne l’opera.

    Tornando al concerto per violino, si tratta di una composizione del 1997 di circa 33 minuti, in cui i 5 movimenti inframezzati dalle cadenze del solista si susseguono senza soluzione di continuità. Il linguaggio impiegato si basa fondamentalmente sull’armonia tradizionale, senza complicare troppo la vita dell’ascoltatore. Il tono è mesto e struggente, come fosse una lunga meditazione che apre le porte a numerose domande che però non trovano risposte. Gluzman, accompagnato con grande sensibilità dalla compagine dell’orchestra sinfonica della radio finlandese diretta da Hannu Lintu, è semplicemente perfetto nel restituirci le emozioni di queste pagine. E parlando di emozioni, era da tempo che non ne provavo di simili per una composizioni di musica contemporanea.

    Al concerto per violino segue una bella raccolta di brevi brani intitolata Vasaras dejas (“danze estive”) per due violini, di recentissima composizione (2017) .Sono poco più di 10 minuti di musica. Il tono è allegro e spensierato, estivo per l’appunto. Qui Gluzman è accompagnato dal bravo Sandis Šteinbergs, violinista lituano in passato leader della Kremerata Baltica.
    Chiude il disco il Quartetto per pianoforte del 2001. Si tratta di un lavoro piuttosto lungo (38 minuti in questa edizione), in sei movimenti. Qui Gluzman suona insieme a Ilze Klava, Reinis Birznieks e Angela Yoffe. Ho trovato questa composizione interessante, ma certamente meno coinvolgente delle prime due e soprattutto del concerto per violino.
    Il disco si conclude così dopo ben 84 minuti di musica. Vasks è stato una scoperta interessantissima, che mi ha spinto ad ascoltarne altri dischi sulla scia dell’entusiasmo. Difficilmente, però, si ritroverà altrove l’intensità di questa interpretazione del suo concerto per violino!
    Consigliato!
  8. happygiraffe
    Franz Liszt
    Années de Pèlerinage. Deuxième Année - Italie, S161/R10b
    Légende, S.175: No. 1, St François d'Assise (La prédication aux oiseaux)
    Francesco Piemontesi, pianoforte
    Orfeo 2019
    ***
    Esce per Orfeo anche il secondo volume delle Années de pèlerinage di Liszt, dopo il primo, pubblicato nel 2018.
    Composti durante un viaggio in Italia tra il 1838 e il 1839, questi sette brani traggono ispirazioni dalle arti figurative (come la tela di Raffaello "Lo sposalizio della Vergine" e la statua scolpita da Michelangelo per la tomba di Giuliano de' Medici), così come da opere letterarie (tre sonetti del Petrarca e la Divina Commedia di Dante). Rispetto al primo anno delle Années, l'elemento naturalistico qui è completamente scomparso. Il linguaggio musicale si fa più denso e articolato e richiede all'ascoltatore una maggiore partecipazione e predisposizione.
    Piemontesi dimostra anche in questa seconda raccolta un grande sintonia con queste pagine. Il pianista svizzero predilige sempre l'aspetto della narrazione, quieta e intimista, su quello virtuosistico, che pure è sempre presente in Liszt, ma che qui non è mai protagonista. Forse, se proprio vogliamo muovere un piccolo appunto, questo approccio interpretativo a volte può sembrare anche eccessivamente bilanciato e controllato, ma qui rientriamo nell'ambito delle preferenze personali. Quello che è certo è che Piemontesi rivela ancora una volta una maturità artistica e un dominio tecnico straordinari!
    Notevole anche la qualità della registrazione (che ho ascoltato in formato liquido 96/24), realizzata a Lugano nell'Auditorium Stelio Molo della RSI. Il pianoforte è reso in maniera assolutamente realistica in tutto lo spettro, con un'immagine ben centrata e coerente.
    A questo punto non ci resta che aspettare il terzo volume delle Années!
  9. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Robert Schumann
    Sonata per pianoforte No. 3 Op. 14 "Concerto senza orchestra" (Arr. V. Horowitz) 
    Faschingsschwank aus Wien, Op. 26 
    3 Fantasiestucke, Op. 111
    Gesänge der Frühe, op. 133
    Jean-Efflam Bavouzet, pianoforte.
    Chandos 2019
    ***
    Mi sono sorpreso nel vedere che il pianista francese Jean-Efflam Bavouzet ha dedicato il suo ultimo disco a Robert Schumann. Bavouzet si è reso celebre per le sue interpretazioni del repertorio francese: la sua integrale di Debussy è un riferimento assoluto, poi Ravel e Pierné. Ha completato in seguito dei cicli di registrazioni dedicati al repertorio pre-romantico, Haydn e Beethoven, e ha fatto qualche puntata nel repertorio novecentesco (Prokofiev, Bartok e Stravinsky), in ogni caso con interpretazioni sempre di grande rilievo. 
    Stupisce quindi vederlo tuffarsi nel repertorio romantico che più romantico non si può.
    Il programma è molto particolare e originale: si parte da due lavori del primo Schumann, la Sonata Op.14, chiamata "Concerto senza orchestra" e il Faschingsschwank aus Wien, Op. 26, e si prosegue con due opere più tardive, i 3 Fantasiestucke, Op. 111 per concludere con i Gesänge der Frühe, op. 133.
    La Sonata Op.14 era stata composta nel 1834 e contava di 5 movimenti. Fu l'editore a persuadere il compositore a eliminare due movimenti (due Scherzo) e a darle il nome di Concerto senza orchestra. Quasi 20 anni dopo nel 1853 Schumann rimise mano alla partitura e introdusse nuovamente uno dei due Scherzo. Fu solo dopo la morte del compositore che questa composizione fu eseguita per la prima volta in pubblico da Johannes Brahms, nel 1862.
    E' un lavoro molto ambizioso che rappresenta bene la lotta di Schumann nell'affrontare il modello beethoveniano e l'ideale della cosiddetta forma sonata.
    Bavouzet ci racconta di aver conosciuto questa sonata, ancora oggi poco eseguita, da una registrazione di Horowitz della fine degli anni '70. Ebbe poi la fortuna di eseguirla davanti allo stesso Horowitz nel 1985 e discutere con lui di alcune scelte di riprendere alcuni passaggi del primo movimento dalla prima versione del 1834. E' questa stessa versione che viene eseguita in questo disco, come omaggio al grande pianista russo.

    Naturalmente l'affinità con Horowitz finisce qui. Bavouzet non ha l'approccio istrionico e un po' folle di Horowitz, la sua è un'interpretazione decisamente più cartesiana, di una grande chiarezza  nel dipanare un linguaggio molto denso e nel rendere la struttura dell'opera. Grande precisione e un notevole senso ritmico, indispensabile in Schumann, ma anche poesia o forza quando occorrono.
    Segue il Faschingsschwank aus Wien che Bavouzet interpreta con uguale chiarezza, vivacità, energia e precisione. Qui non mancano i confronti, da Richter a Benedetti Michelangeli, da Perahia a Bunin, fino a Anderszewski in tempi più recenti. Qui se proprio dobbiamo muovere una critica al francese è quella di non osare un po' di più nel caratterizzare nei vari movimenti il mondo poetico di Schumann, fatto di slanci impetuosi e improvvise tenerezze.
    La seconda parte del programma vede due lavori dello Schumann più maturo.  Prima i tre Fantasiestücke Op 111 caratterizzati molto bene nell'altalena emotiva dei tre movimenti. Chiudono i Gesänge der Frühe ("Canti dell'alba") una delle ultime opere per pianoforte composte da Schumann prima del tentato suicidio nelle gelide acque del Reno e di essere internato in manicomio.  Si tratta di cinque brevi bravi, dal carattere intimo, a tratti solari, a tratti spettrali. Anche in questo caso è impeccabile l'interpretazione del francese, anche se tendo a preferire la lettura di Anderszewski (a mio avviso uno dei migliori interpreti di Schumann in circolazione) del 2010, molto più emozionante nel rendere il carattere visionario di questi pezzi.
    In conclusione, sicuramente un ottimo disco, che probabilmente vede il momento più alto nella terza sonata. Non che gli altri brani non siano all'altezza, anzi, e il pianista è abilissimo nel restituirci le particolarità del linguaggio pianistico di Schumann, ma la concorrenza è certamente molto forte. Bavouzet in ogni caso si conferma un bravissimo pianista, che vale sempre la pena ascoltare.
    Il libretto è ricco di informazioni sulle composizioni e include anche una nota molto interessante dello stesso Bavouzet.
    Molto buona la registrazione, con lo strumento, uno Yamaha CFX Concert Grand Piano, che appare ripreso a una certa distanza. Disponibile in 96/24.

  10. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Julia Fischer, Daniel Mueller-Schott: Duo Sessions
    Orfeo, 2016.
    ***
    Riprendo volentieri questo disco uscito qualche tempo fa. 
    Adoro la musica per violino e violoncello e ascoltando un disco come questo viene da chiedersi come mai il repertorio sia così limitato.
    Possiamo dire che questo programma, peraltro quasi identico a quello di un disco di Nigel Kennedy e Lynn Harrel del 2000, comprenda le migliori opere del repertorio per questi due strumenti.
    Composte nell'arco di un decennio le opere di Kodaly, Schulhoff e Ravel si sposano perfettamente tra loro.
    Il Duetto Op.7 di Kodaly, composto nel 1914, ma mai eseguito in pubblico fino al 1924, incorpora diversi temi di origini popolare in una struttura classica in tre movimenti. Questo Duetto è probabilmente secondo in popolarità solo alla Sonata di Ravel.
    Fischer e Mueller-Schott ne offrono una lettura appassionata e esuberante, mantenendo al tempo un equilibrio esemplare tra i due strumenti.
    Segue il Duetto di Schulhoff. Composto nel 1925 e dedicato al maestro Janacek, si articola in quattro movimenti traendo ispirazione dalla musica popolare ceca. Il linguaggio di Schulhoff è stilisticamente più complesso e impiega un ampio bagaglio di scelte tecniche che si traducono in un ricco ventaglio di timbri e dinamiche.
    L'interpretazione di Julia Fischer e Daniel Mueller-Schott è ancora una volta trascinante, rendendo magistralmente la ricchezza stilistica, timbrica e la frenesia dei ritmi di questo lavoro.
    Il pezzo forte del programma è naturalmente l'imprescindibile Sonata di Ravel. Pubblicata nel 1922, costò al compositore francese un anno e e mezzo di lavoro e fu dedicata alla memoria di Claude Debussy, morto nel 1918. Questa sonata rappresenta una delle opere più sperimentali di Ravel, che parlò di "scarnificazione spinta all'estremo" e di "rinuncia alla fascinazione armonica". L'accoglienza del pubblico fu a dir poco fredda ("un massacro"), sconcertato dal linguaggio scabro e il ripetersi ossessivo delle linee melodiche. Nonostante sia certamente uno dei lavori più arditi del compositore francese, oggi questo pezzo è considerato un classico del repertorio per violino e violoncello e ci affascina proprio per le stesse ragioni che all'epoca disorientarono i primi ascoltatori.
    Fischer e Mueller-Schott ne danno un'ottima lettura, molto intensa, anche se forse non all'altezza di altre interpretazioni. Si ascolti ad esempio la versione dei Capuçon (Erato, 2001), non meno intensa, ma più vibratile e viva.
    Si termina con la Passacaglia di  Johan Halvorsen, compositore, violinista e direttore d'orchestra norvegese. Composta nel 1894, la Passacaglia è la virtuosistica trascrizione per violino e violoncello (o viola) dell'ultimo movimento della Suite in Sol minore HWV 432 di Handel. E' un brillante e pirotecnico brano da concerto che chiude felicemente questo bel disco.
  11. happygiraffe
    György Kurtág: Complete Works For Ensemble And Choir
    Reinbert de Leeuw,  Asko/Schönberg, Netherlands Radio Choir
    2017 ECM
    ***
    Forse in pochi lo hanno mai sentito nominare e certamente sono ancora meno quelli che hanno mai ascoltato la sua musica, ma György Kurtág può essere considerato uno dei compositori più significativi degli ultimi 50 anni.
    Kurtág ha avuto un percorso biografico e artistico molto tortuoso. Nato in Romania nel 1926, si trasferì presto in Ungheria, a Budapest, dove frequentò l'Accademia di Musica Ferenc Liszt. Fu lì che conobbe il suo amico György Ligeti e la futura moglie Marta. Si diplomò in pianoforte e composizione nel 1955, senza avere la possibilità di studiare con Béla Bartók, che nel 1940, dopo lo scoppio della guerra, si era rifugiato negli USA, dove morì nel 1945. In seguito alla repressione sovietica della rivoluzione del 1956, fu uno dei tanti ungheresi che lasciò il proprio paese e si rifugiò in Francia.
    A Parigi ebbe la possibilità di studiare con Olivier Messiaen e Darius Milhaud e di conoscere la musica di Anton Webern, che lo influenzò profondamente. Intanto nel suo paese il regime aveva bandito molti lavori di Bartók, Schönberg e  Stravinskij. 
    Afflitto da una grave forma di depressione, si rivolse alle cure della psicologa ungherese Marianne Stein, che seppe dare nuovi stimoli al suo percorso artistico.
    Ritornato a Budapest nel 1959, insegnò pianoforte e musica da camera all'Accademia Ferenc Liszt fino ai primi anni '90. Tra i suoi allievi ci furono anche András Schiff and Zoltán Kocsis.
    I primi riconoscimenti internazionali come compositore arrivarono nei primi anni '80 con i Messages of the Late Miss R.V. Troussova per soprano e orchestra da camera; da quel momento la sua carriera di compositore ebbe uno straordinario impulso che lo portò a essere invitato come compositore "in residence" presso la filarmonica di Berlino, poi  conl'Orchestra Sinfonica di Vienna e l'Ensemble InterContemporain.
    Lo stile musicale di Kurtag chiaramente ha subito un'evoluzione nel corso degli anni ed è il frutto di questo intreccio di esperienze storiche e personali, di incontri con vari compositori e diversi linguaggi musicali. Pur essendo musica "colta" contemporanea, lo stile di Kurtág vuole essere il più inclusivo possibile, lontano dal linguaggio spesso ostico e autoreferenziale delle avanguardie.
    Kurtág riesce a dare il meglio nelle forme brevi. Maestro di uno stile conciso, essenziale, dove l'intensità dei suoni e del silenzio può coinvolgere profondamente l'ascoltatore.

    Il disco che vi proponiamo ricopre un'ampio arco temporale della carriera di Kurtág, dai Quattro Capricci Op.9, composti tra il 1959 e il 1970 ai Brefs Messages Op.47 del 2011.
    Il compositore, noto per essere particolarmente meticoloso, è intervenuto personalmente durante la registrazione del disco, dando indicazioni ai cantanti per telefono.
    Il titolo "opere complete per ensemble e coro" non è particolarmente corrispondente, in quanto alcune delle composizioni non prevedono l'impiego della voce umana.
    Trovo che alcune composizioni come i Messages of the Late Miss R.V. Troussova mostrano un po' i segni del tempo, mentre altre, quelle in cui il discorso musicale si fa più conciso, la trama più rarefatta, come Grabstein für Stephan Op.15c, ...quasi una fantasia... Op.27 n.1 e il Doppio Concerto Op.27 n.2 gli intensissimi Songs Of Despair And Sorrow, Op. 18 e i Brefs Messages Op.47 siano i più suggestivi e emotivamente incisivi.

    Reinbert de Leeuw è un interprete di grande esperienza del repertorio moderno e contemporaneo e si dimostra completamente a proprio agio e in particolare sintonia con la musica di Kurtág.
    E' in generale musica da affrontare poco per volta, con la giusta concentrazione e il giusto stato d'animo, ma che può regalare grandi emozioni. 

  12. happygiraffe
    Tchaikovsky, Trio per pianoforte Op.50 TH 117
    Babajanian, Trio in fa diesisi minore
    Schnitke, Tango (Arr.Sudbin)
    Vadim Gluzman, violino; Johannes Moser, violoncello; Yevgeny Sudbin, pianoforte.
    BIS, 2020
    ***
    Ammettiamolo, Il Trio per pianoforte di Tchaikovsky, piatto forte di questo disco, è un’opera che speso risulta di difficile esecuzione, e spesso anche di difficile ascolto, per la sua lunghezza (48 minuti in questa edizione), per la sua particolare struttura bipartita, per il bilanciamento tra i tre strumenti e per il rischio di scivolare in una lettura eccessivamente enfatica e retorica.
    I tre interpreti di questo disco, gli ottimi Vadim Gluzman al violino, Johannes Moser al violoncello e Yevgeny Sudbin al pianoforte, riescono nel miracolo di restituirci tutta la poesia e lo slancio di questo Trio, convincendo nella maniera in cui riescono a tenere insieme i due movimenti, senza operare tagli (come fecero altri illustri predecessori) e raggiungendo un perfetto amalgama delle voci dei tre strumenti.
    Sudbin con il suo tocco leggero e articolato e una gamma timbrica incredibile, in cui si fondono alla perfezione lo Stradivari di Gluzman e il Guarnieri di Moser, riesce a dare coesione alla struttura così variegata, senza soffocare gli altri due strumenti con una partitura in effetti eccessivamente sbilanciata verso il pianoforte.
    Interessante e personale il secondo pezzo del disco, il Trio del compositore armeno Arno Babajanian del 1952. Ci sono echi di Shostakovich e Kachaturian, ma onestamente dopo il romanticismo di Tchaikovsky ho fatto fatica a passare a questa opera composta 70 anni dopo in un contesto molto diverso. Probabilmente altri accoppiamenti sarebbero stati migliori.
    Chiude il disco come una sorta di bis la trascrizione dello stesso Sudbin di un Tango di Schnitke composto nel 1974 per due violini, orchestra d’archi e clavicembalo.
    In sintesi un disco da avere per la magnifica interpretazione del Trio di Tchaikovsky, che nelle ultime settimane ho ascoltato e riascoltato innumerevoli volte.
    Ottimo il lavoro degli ingegneri del suono della BIS, che ci rendono un’immagine equilibrata e omogenea, con i tre strumenti sempre in rilievo.
  13. happygiraffe
    Henri Dutilleux (1916-2013):
    - Sonate pour piano (1947–48)
    - 3 Préludes (1973-1988)
    - Mini prélude en éventail (1987)
    Pierre Boulez (1925-2016):
    - Notations (1945)
    - Une page d'éphéméride (2005)
    Olivier Messiaen (1908-1992): 
    - La Fauvette Passerinette (1953)
    - Prélude (1964)
    Alexander Soares, pianoforte.
    Rubicon 2019
    ***
    Che sorpresa questo disco di debutto del pianista inglese Alexander Soares! Anziché propinarci il solito repertorio da battaglia ottocentesco, Soares ha messo insieme un programma tutto novecentesco e tutto francese con lavori di Dutilleux, Boulez e Messiaen, tre autori molto distanti per quanto riguarda le scelte compositive, ma in qualche modo legati da un'origine, in senso ampio, comune.
    Il disco si apre con la straordinaria sonata per pianoforte di Dutilleux, probabilmente uno dei lavori più interessanti per pianoforte composti nel secondo dopoguerra (fu pubblicata nel 1948). Nonostante siano evidenti gli influssi di Debussy e Ravel, ma anche Bartòk e Prokofiev, questa sonata mantiene un linguaggio proprio e molto originale.
    Molto diverso da quello della sonata invece il linguaggio usato nei tre Préludes e nel Mini prélude en éventail, composti 3-4 decadi dopo, ma comunque molto interessanti.
    Si passa poi alle Notations di Pierre Boulez. Composte nel 1945, si tratta di 12 brevi brani di 12 battute su una serie di 12 note! Nonostante lo stile seriale e il compositore stesso possano mettere paura, si tratta di una composizione di grande fascino e probabilmente una delle più "ascoltabili" del compositore e direttore francese (i suoi fan mi perdoneranno!), diversamente dalla page d'éphémeride del 2005, che nel disco viene dopo le Notations, che mi lascia piuttosto freddo.
    Chiudono il disco la Fauvette Passerinette di Messiaen del 1953, opera riportata alla luce da Peter Hill nel 2012 (probabilmente pensata per il Catalogue d'oiseaux) e un breve Prélude del 1964.
    Alexander Soares dice di avere una grande affinità per questo tipo di repertorio, affinità che riesce a trasformare in un'interpretazione assolutamente convincente, resa con intensità, lucidità e coerenza.
    Guardando su internet ho trovato una video di qualche tempo fa in cui Soares promuoveva una raccolta fondi per permettergli di realizzare questo suo disco di debutto. Sono contento che i suoi sforzi abbiano avuto successo e che il disco abbia ricevuto un meritatissimo Editor's Choice della rivista Gramophone. Assolutamente meritato!
  14. happygiraffe
    Piotr Naskrecki è una figura particolare nel mondo della macrofotografia: scienziato e fotografo allo stesso tempo.  Usa la fotocamera per documentare le sue ricerche, ma anche per trasmettere al mondo la bellezza delle piccole creature che ci circondano, troppo spesso sconosciute o trascurate.
    Ebbi modo di intervistarlo "telematicamente" qualche tempo fa e questo mio contributo è in parte basato sul nostro scambio di email.
    Naskrecki ha lavorato al Museum of Comparative Zoology (Museo di Zoologia Comparata) all’Università di Harvard, a Cambridge, Massachussets (USA) e all'Università del Connecticut. La sua ricerca è incentrata soprattutto sull’evoluzione degli insetti ma  è anche coinvolto in numerosi progetti scientifici e di divulgazione correlati con la conservazione delle foreste pluviali tropicali.
    Il suo interesse per la macrofotografia è iniziato una ventina d'anni fa quando la moglie gli ha regalato per Natale una Nikon N 6006 (F601).  Dall'uso della fotocamera come mezzo per illustrare gli organismi su cui lavorava al fare della fotografia  una passione il passo è stato breve. Non è interessato fotografare uccelli o mammiferi, perché trova che il piccolo mondo che ci circonda sia molto più affascinante. Attualmente usa soprattutto  fotocamere ed obiettivi Canon.
     
    Come fotografo cerca sempre di portare alla luce la bellezza di quei soggetti che  sfugge ai nostri occhi per via delle dimensioni del mondo in cui noi siamo abituati a vivere. Rendendo i soggetti più grandi del reale, Naskrecki ci porta alla loro scala, permettendoci di vedere strutture, simmetrie e forme normalmente nascoste.

    Una splendida Mantide tropicale

    Nemia,  un Neurottero tropicale

    Typophyllum un ortottero mimetico
    Nello stesso tempo cerca di ricreare la prospettiva e la tridimensionalità di questo microscopico mondo. Per questo usa spesso i grandangoli (15-35mm) con un tubo di prolunga corto, in modo da focheggiare molto vicino pur mantenendo una prospettiva ampia e notevole profondità di campo in modo da cogliere l’ambiente in cui vive il soggetto.
     

    Un ortottero del Mozambico, ambientato.
     
     
     

    Un altro ortottero tropicale
    In altri contesti usa obiettivi macro e, per soggetti molto piccoli, come le formiche lavora a rapporti di riproduzione molto elevati sfruttando il Canon MPE 65mm, che arriva a 5:1.

     
    Se vuole includere qualcosa di più del solo soggetto centrale, usa grandangoli tradizionali
    Le sue gallerie sono diverse (ma ugualmente spettacolari), rivelando posture insolite, oppure interazioni fra (minuscoli) organismi, che per  venire ripresi, richiedono abilità ed esperienza. Per ottenere questi risulta occorre una grande conoscenza del soggetto. Ogni volta che inizia un nuovo progetto fotografico, comincia documentandosi approfonditamente in quanto una buona preparazione fondamentale se si è interessati al comportamento animale. Si può persino arrivare ad osservare e documentare comportamenti che nessun altro ha mai visto prima.
    Naskrecki rimane comunque  prima uno scienziato e poi un fotografo. Usa la fotografia principalmente per documentare il suo  lavoro e come strumento educativo alla comprensione del comportamento animale e alla
    conservazione della natura.

    Raganella tropicale, Papua Nuova Guinea

    Pronto al duello... Granchio del Costarica
     
    Ma a parte la documentazione scientifica,  quando fotografa,  il  messaggio principale che Naskrecki cerca di trasmettere con le sue foto è che esiste un mondo bellissimo e complesso costituito da organismi di cui  pochissima gente sa qualcosa. Si tratta invece di membri affascinanti, coloratissimi e di fondamentale importanza per la sopravvivenza delle comunità biologiche. Spesso sono minacciati quanto  i panda e le tigri, ma ricevono poca attenzione dal pubblico e dai conservazionisti, solo perché in pochi sanno della loro esistenza. Mostrarli da vicino è il primo passo per apprezzarli e proteggerli.

    Piotr Naskrecki, (dal sito Uconn Today)
    Non perdetevi il suo interessantissimo sito:
    http://www.insectphotography.com/
    E il suo fantastico Blog:
    https://thesmallermajority.com/
     
    NOTA: Tutte le foto sono (c) di Piotr Naskrecki, qui mostrate solo allo scopo di illustrare la sua opera ad esclusione del suo ritratto, preso dal sito Uconn Today.
    DISCLAIMER: All the photos shown here are (c) by Piotr Naskrecki, published here only to illustrate his  work, apart for his portrait, taken from the site Uconn Today.
     
  15. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Erik Satie, John Cage, pezzi vari per pianoforte.
    Bertrand Chamayou, pianoforte.
    Erato, 2023.
    ***
    L'accostamento tra Erik Satie e John Cage è molto insolito e prima vista potrebbe apparire privo di senso. Da un lato il compositore francese, ribelle, eccentrico, fuori dagli schemi, una figura chiave della scena musicale parigina dei primi 20 anni del '900. Dall'altro John Cage, compositore americano tra i più importanti delle avanguardie del secondo dopoguerra. Se tutti abbiamo ascoltato almeno una volta la prima delle 3 Gymnopédies di Satie, John Cage è solitamente ricordato per 4'33", opera che prevede che l'esecutore non suoni nulla per 4 minuti e 33 secondi. 
    Eppure Chamayou nelle belle note di copertina ci racconta di essere approdato a Satie proprio studiando Cage e scoprendo l'ammirazione del compositore americano per il francese. Del resto Satie fu il primo ad avere l'idea di mettere degli oggetti sulle corde del pianoforte, inventando di fatto il "pianoforte preparato", che fu poi largamente usato da Cage. 
    Chamayou ci presenta in questo disco una perfetta sequenza di brevi brani di entrambi i compositori, che chiarisono come sia stato profondo il segno lasciato da Satie su Cage. Il tono è spesso intimo e malinconico. 
    La mia perplessità iniziale è stata spazzata via al primo ascolto. Questo disco è un luminoso omaggio a due dei compositori più strambi e innovativi del loro periodo da parte di un pianista che si dimostra ancora una volta uno dei migliori talenti della sua generazione.


     
  16. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Claude Debussy, Études, Pour le piano, La plus que lente, Berceuse héroïque, Étude retrouvée.
    Steven Osborne, pianoforte.
    Hyperion, 2023.
    ***
    Che lo scozzese Steven Osborne sia uno straordinario interprete di Debussy non è certo una sorpresa, ma devo ammettere che ogni nuovo disco mi riempe di meraviglia.
    Il piatto forte di questa raccolta sono i formidabili études del 1915, ultima composizione pianistica di Debussy e per molti anni dimenticati nei repertori concertistici, a vantaggio di pagine più celebri. Nonostante la dedica dell'autore alla memoria di Chopin, questi brani non potrebbero essere più diversi dai celebri studi del compositore polacco. Le finalità didattiche sono completamente trascese, in uno scherzoso e raffinato gioco di richiami alla tradizione pianistica, siano essi nella musica stessa, così come nei titoli dei pezzi e nelle indicazioni sulla partitura. 
    La caratteristica del Debussy di Osborne è quella di non dimenticare mai proprio l'aspetto umoristico, a tratti sornione, a tratti ironico, a tratti giocoso, allontanandosi da una tradizione interpretativa volta più ad avvolgere questa musica in una seriosa bruma sonora tesa ad esaltarne il carattere più impressionistico. Il suono di Osborne è brillante, terso e cristallino, delicato, ma anche potente quando occore, perfettamente assecondato da una registrazione di straordinaria chiarezza. La musica scorre con naturalezza, dimostrando ancora una volta l'affinità di Osborne per questo compositore.
    L'approccio è coerente con quello delle altre sue raccolte dedicate a Debussy:

    Il precedente disco del 2022.

    Quello del 2017 con Images, Estampes e Childer's corner.

    I Préludes del 2006.
    E' un disco che raccomando senza la minima esitazione. Per chi amasse fare i confronti, suggerisco le registrazioni di Mitsuko Uchida e Maurizio Pollini.
  17. happygiraffe
    Riprendo in mano la macchina fotografica dopo un lungo periodo di inutilizzo. Monto in sella alla bici, dopo un altrettanto lungo periodo di inutilizzo, e mi dirigo verso il centro di Milano dove la lego e proseguo a piedi tra folle oceaniche di turisti.
    E quando scrivo oceaniche non sto esagerando:

    A naso in su in galleria:

    Una via del centro per un attimo più tranquilla:

    Manzoni assediato dalle insegne pubblicitarie:

    Nel via vai di gente una ragazza sembra aspettare qualcuno:

    Piazza San Babila finalmente pedonale e senza i lavori della metropolitana. Ovviamente architetti e urbanisti non hanno pensato a metterci due alberi:

    Turisti che sembrano arrivare dagli USA:

    e ancora:

    Un megaschermo trasmette in loop dei video pubblicitari:

     Mi riavvio verso casa. Dei lavoratori smontano un palco di un concerto. E' l'altro lato e forse l'altra faccia di Piazza Duomo:

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