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happygiraffe

Nikonlander Veterano
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Tutti i contenuti di happygiraffe

  1. Disco stranissimo, abituati come siamo alle Goldberg originali, ma comunque bellissimo. Il povero Busoni non poteva certo immaginare che un giorno sarebbe arrivato Glenn Gould a trasformarle in uno dei pezzi più noti del catalogo bachiano. Spettacolare Chiyan Wong in tutto il disco e bravissimi i tecnici della Linn.
  2. Stamattina me ne è arrivato uno. Confermo tutto quello che ha scritto sopra Mauro. Configurazione veloce, suono sorprendentemente buono e potente a dispetto del piccolo ingombro. In pochi minuti da quando l'ho tolto dalla confezione sono riuscito ad ascoltare musica da Qobuz e da Apple Music tramite la app Sonos.
  3. Grazie, Massimo. Mi consiglieresti una delle FX già in commercio o di aspettare la prossima generazione?
  4. Robert Schumann: Arabeske Op.18, Kreisleriana Op.16, Fantasie Op.17. Stephen Hough, pianoforte. Hyperion Records 2021. *** Un gran bel disco! Stephen Hough, raffinato pianista, compositore e divulgatore inglese, affronta in questo disco due opere maggiori di Schumann: i Kreisleriana Op.16 e la Fantasia Op.17 (preceduti dal famoso Arabeske Op.18), che facilmente possiamo includere tra le composizioni pianistiche migliori della prima metà dell'800. E' uno Schumann vigoroso e energico, ma anche lirico e seducente quando occorre. Hough suona un bellissimo pianoforte Bechstein, dal suono tanto diverso da quello degli onnipresenti Steinway. Notevole anche la qualità della registrazione. Consigliatissimo!
  5. Grazie, Mauro! In effetti la Zfc potrebbe essere la fotocamera dalla quale ripartire e alla quale eventualmente affiancare un corpo Fx più avanti. Intanto mi sto leggendo gli articoli di NL su Zfc, 28 f/2.8 e 40 f/2
  6. Cari amici di Nikonland, ho bisogno di qualche consiglio sul mondo Z. Da qualche anno ormai sto fotografando molto, molto meno, limitandomi sostanzialmente alla foto di famiglia in vacanza e poco di più. Il poco tempo libero che mi rimane preferisco dedicarlo a riposarmi, alla famiglia, allo sport (ormai valvola di sfogo imprescindibile, che mi ha evitato di diventare un serial killer ). Ma la passione arde ancora sotto la cenere, altrimenti non sarei qui a scrivervi. Se devo fare foto, però è difficile che mi venga voglia di prendere la D810 e le sue lenti (tutto ormai troppo ingombrante e pesante), preferisco piuttosto la fedele Fuji X100qualcosa. Senza contare che ormai la D810 è tecnologicamente superata, pur essendo ancora un'ottima macchina. Veniamo quindi al quesito. Non riuscendo a star dietro a tutte le novità del mondo Z, chiedo a voi: se foste nei miei panni, cosa prendereste? Tenete conto di questi fattori: - sono abituato bene: la qualità delle immagini della D810 mi ha viziato e ho sempre avuto ottime lenti. - budget: è un problema che arriva in un secondo momento. Facciamo come se fossi Paperon de' Paperoni. Eventualmente sono aperto anche ad avere 2 corpi macchina. - a cosa mi servirebbe: per lo più ritratti (in famiglia), street, viaggio e qualche gita in montagna. - ingombri: come vi scrivevo sopra, ormai gli ingombri delle reflex con i loro obiettivi sono un freno. Per la street mi sono trovato a meraviglia con sistemi compatti e leggeri come quelli Fuji. - fattore scimmia: non c'è! non ho fretta, posso anche aspettare la prossima generazione di fotocamere e campare felice. Grazie in anticipo dei vostri consigli! Happygiraffe
  7. Eh, il trio di Tchaikovsky è un'opera bizzara, difficile da interpretare e piuttosto lunga (su per giù 45 minuti)! Ci vuole slancio, bravura e equilibrio tra gli strumenti, altrimenti facilmente diventa un mattonazzo difficile da digerire. In buone mani, però, è meraviglioso!
  8. Sergei Lyapunov, 12 Studi d'esecuzione trascendentale, op.11. Florian Noack, pianoforte. La Dolce Volta 2021 *** Alzi la mano chi ha mai sentito parlare di Sergei Lyapunov! Compositore e pianista russo vissuto a cavallo tra '800 e '900, fu allievo di Balakirev, ma molto legato ai modelli di Chopin, Schumann e Liszt. Questi studi, chiaramente ispirati a quelli di Liszt, rimangono tuttavia ancorati anche alla tradizione russa. Sono semplicemente bellissimi e magnificamente interpretati da Florian Noack, qui al suo terzo disco dedicato a Lyapunov. Un disco che consiglio senza esitazione!
  9. Béla Bartók: Musica per archi, percussioni e celesta; Concerto per orchestra. Orchestra filarmonica di Helsinki, Dir. Susanna Mälkki BIS 2021 *** Al loro terzo disco dedicato al compositore ungherese Béla Bartók, la filarmonica di Helsinki e Susanna Mälkki ci consegnano un disco spettacolare. Qui ci sono due opere maggiori del Bartók maturo: la misteriosa Musica per archi, percussioni e celesta e il virtuosistico Concerto per orchestra. Mälkki dirige con mano sicura la compagine finlandese, assolutamente all'altezza rispetto alle difficoltà della partitura. La musica scorre in modo straordinariamente fluido e cattura come di rado avviene per queste pagine. Elevatissima anche la qualità della registrazione, come da prassi con questa etichetta. Consigliatissimo!
  10. Mi è capitato di ascoltare negli stessi giorni due dischi dedicati a Schubert di due artisti molto diversi tra loro e così ho deciso di farli salire sul ring per una sfida all'ultima nota. Signore e signori, preparatevi a un incontro senza pari. Da un lato l'esuberante georgiana Khatia Buniatishvili, classe 1987, dall'altro lo schivo pianista tedesco Alexander Lonquich, classe 1960. Partiamo dalla veste grafica. Khatia si presenta come una novella Ophelia, vestita di bianco e semi-annegata in acque torbide: Se da un lato vien da pensare al celebre Lied "La morte e la fanciulla", visivamente questa immagine richiama la celebre Ophelia del pittore preraffaellita John Everett Millais: Passiamo alla copertina del disco di Lonquich, dove ci appare un primo piano del pianista con gli occhi chiusi, di tre quarti, in penombra, con uno sfondo nero: Per una strana associazione della mia mente stramba, a me questa immagine ha fatto venire in mente il Kurtz di Marlon Brando in Apocalypse Now di Coppola: Per fortuna, appena aperto il libretto Lonquich ci appare in un ritratto vagamente più rassicurante con gli occhi aperti: Dovendo scegliere tra le due, la mia preferenza va a Khatia, per aver avuto il coraggio di posare nell'acqua gelida pur di realizzare questa copertina Copertina: Khatia Vs Alexander 1-0. Passiamo ora ai programmi dei due dischi: Khatia Buniatishvili esegue di Franz Schubert: - Sonata per pianoforte N.21 D.960 - 4 Improvvisi Op.90, D.899 - Ständchen, trascrizione di Franz Liszt S. 560/7 dal Lied D.957/4 Alexander Lonquich invece esegue di Franz Schubert: - Sonata per pianoforte N.19 D.958 - Sonata per pianoforte N.20 D.959 - Sonata per pianoforte N.21 D.960 - 3 Klavierstucke D.946 Il disco si intitola 1828, anno in cui furono composte queste opere e anno in cui morì il giovane Franz. Decisamente più denso e impegnativo il programma presentato da Lonquich. Voto sul programma: Khatia Vs Alexander 0-1. Proseguiamo e andiamo a leggerci i libretti che accompagnano i due dischi. Cominciamo da quello della Buniatishvili. Al di là di altri due ritratti della giovane georgiana sempre immersa nelle stesse acque fredde e torbide della copertina, il libretto ci stupisce per un breve saggio della stessa pianista intitolato "Note di una femminista", dove ci parla del lato femminile, della vulnerabilità e della grande sensibilità di Schubert. Rimango un po' perplesso e rimango in ogni caso convinto che il femminismo sia una cosa ben diversa da quanto ci dice Khatia. Passo al libretto del disco di Lonquich, dove trovo un saggio anche in questo caso scritto dall'interprete stesso. Lonquich analizza le quattro opere in programma, fornendo spunti e rimandi molto interessanti. Davvero un'ottima lettura, che ci serve anche per capire le scelte interpretative. Anche per il libretto non c'è storia... Voto sul libretto: Khatia Vs Alexander 0-1. Passiamo ora alla parte più gustosa: il confronto tra le due interpretazioni. Le scelte dei due pianisti non potrebbero essere più diverse. In verità, ho trovato entrambi i dischi spiazzanti, ma per motivi opposti. La lettura della Buniatishvili, che come sappiamo mira a esaltare l'aspetto femminile di Schubert, tende a restituirci un'atmosfera ovattata di calma assoluta, in cui ogni asperità appare smussata, ogni contrasto appiattito. Il rischio che corre è che le "celestiali lunghezze" di Schubert (come le aveva definite Schumann), diventino dei languidi momenti di torpore. La sonata D.960 scivola via con dolcezza, senza troppi sussulti, se non fosse per alcune repentine accelerazioni e decelerazioni, che spesso non sembrano giustificate. Anche i quattro improvvisi op.90 non lasciano il segno e confermano l'impressione di un'interpretazione che, nonostante le intenzioni, non vada mai in profondità. Ho trovato anche la lettura di Lonquich piuttosto spiazzante e ammetto di aver ascoltato il disco più volte prima di ritrovarmici. Il suo è uno Schubert molto diverso da quello al quale siamo abituati. Diciamo innanzitutto che Lonquich sembra non voler fare molto per compiacere l'ascoltatore: Il timbro è spesso spigoloso e duro, dimentichiamoci il suono morbido e raffinato di un Brendel o addirittura di Zimerman e lo Schubert intimo e consolatorio che ci ha tramandato la tradizione. Al contrario di Khatia, i contrasti vengono portati all'estremo e ogni piccola asperità della partitura viene enfatizzata, restituendoci uno Schubert tormentato, in cui la tensione drammatica viene amplificata nota per nota, creando un collegamento evidente con l'ultimo Beethoven. Si percepisce che quella di Lonquich è una visione maturata a lungo nel corso degli e che questa interpretazione è il frutto di un'analisi e di uno studio che hanno scavato a fondo la partitura. Il risultato può essere più o meno persuasivo (personalmente ho apprezzato di più la 958 e la 960 del resto del programma) e soprattutto può convincere o meno l'ascoltatore, abituato ad ascoltare uno Schubert generalmente molto diverso da questo, ma comunque penso che meriti un grande rispetto. Dovendo scegliere tra le interpretazioni di Khatia e Alexander, anche qui non ho dubbi. La lettura di Lonquich, per quanto spiazzante e molto personale, lascia il segno e rimane impressa nella memoria. Quella di Khatia, non me ne voglia!, l'ho trovata acerba e superficiale. Voto sull'interpretazione: Khatia Vs Alexander 0-1. Un'ultima nota sulla qualità della registrazione dei due dischi. Il pianoforte della Buniatishvili mostra un'enfasi eccessiva sul registro medio-basso, che appare gonfio e riverberante, pur mantenendo una mano destra leggibile e chiara. Molto più omogeneo e limpido il suono del pianoforte di Lonquich, anche se un po' "asciutto", reso in ogni caso in maniera più realistica e convincente dagli ingegneri del suono dell'Alpha, che battono a sorpresa quelli di Sony. Voto sulla qualità della registrazione: Khatia Vs Alexander 0-1. Siamo arrivati alla fine della nostra sfida: Alexander Lonquich sconfigge senza troppa fatica Khatia Buniatishvili, con il punteggio finale di 4 a 1. Ci farebbe piacere vedere un pianista del calibro di Lonquich più presente sul mercato discografico e sicuramente ci fa piacere vedere che l'etichetta Alpha gli abbia permesso di realizzare questo disco. *** I due contendenti di questa sfida: Khatia Buniatishvili, Schubert. - Franz Schubert, Sonata per pianoforte N.21 D.960 - Franz Schubert, 4 Improvvisi Op.90, D.899 - Franz Schubert, Ständchen, trascrizione di Franz Liszt S. 560/7 dal Lied D.957/4 Sony Classical, 2019. _____ Alexander Lonquich, 1828. Franz Schubert: - Sonata per pianoforte N.19 D.958 - Sonata per pianoforte N.20 D.959 - Sonata per pianoforte N.21 D.960 - 3 Klavierstucke D.946 Alpha, 2018.
  11. César Franck (1822-1890) - Prélude, Choral et Fugue, M.21 - Prélude, Aria et Final, M. 23 - Quintetto per pianoforte, M. 7 - Prélude da Prélude, Fugue et Variation, M. 30 Michel Dalberto, pianoforte, Novus Quartet. Aparté 2019. *** Il pianista francese Michel Dalberto raccoglie in questo disco alcune tra le pagine più belle di musica da camera scritte dal compositore belga César Franck: il famoso Prélude, Choral et Fugue del 1884, il Prélude, Aria et Final, composto due anni più tardi e il Quintetto per pianoforte del 1879, eseguito qui insieme al Novus Quartet. Sono brani che Dalberto ha nel proprio DNA: è proprio lui a dirci nelle belle note di copertina di aver studiato il Prélude, Aria et Final al Conservatorio di Parigi con il grande Vlado Perlemuter, a sua volta allievo del grandissimo Alfred Cortot. Sia il Prélude, Choral et Fugue che il Prélude, Choral et Fugue sono opere caratterizzate da una complessa struttura architettonica, caratterizzata dalla forma tripartita e da quella ciclica, così ricorrente in Franck, così come da una scrittura che trae molto dall'organo. Se è evidente l'ispirazione bachiana e religiosa del primo dei due pezzi, dal tono mistico e solenne, il secondo invece è di carattere sicuramente più profano e più visibilmente virtuosistico. L'esecuzione di Dalberto è semplicemente magistrale, per la chiarezza della polifonia, la lucidità interpretativa, il senso della struttura e per la palette di colori che riesce a estrarre dallo strumento, un meraviglioso Boesendorfer Vienna Concert 280. Mi lascia più perplesso la seconda parte del programma dedicata al quintetto per pianoforte e archi in fa minore, considerato insieme alla famosa sonata per violino e pianoforte in la maggiore e al quartetto in re maggiore una delle composizioni cameristiche più significative di Franck. Dalberto è accompagnato dal Novus Quartet, una giovane compagine coreana, giù piuttosto nota. Ho trovato la loro interpretazione piuttosto cerebrale, a tratti anche aspra, complessivamente non particolarmente emozionante. Se si prende come paragone l'esecuzione del quartetto Amadeus con Clifford Curzon (Ed.BBC Legends), così vivace, trascinante e ricca di pathos, si capisce di essere ad una distanza siderale rispetto al Novus con Dalberto. Il disco si chiude con il Prélude dal Prélude, Fugue et Variation, trascrizione della versione originale per organo: semplicemente meraviglioso! Tre minuti di musica celestiale. Così si chiude il disco e subito viene il desiderio di rimetterlo dall'inizio! Notevole la qualità della registrazione, realizzata alla Salle Philarmonie di Liegi, che restituisce molto bene la gamma timbrica e dinamica del pianoforte. Disponibile in 96/24.
  12. Chopin, Ballate e Notturni Op.15 N.1, Op.48 N.1, Op.62 N.1 Leif Ove Andsnes, pianoforte. Sony Classical 2018 *** A 48 anni il pianista norvegese Leif Ove Andsnes è all'apice di un percorso musicale costruito con serietà e senza il divismo di tanti suoi colleghi più giovani. Ritorna a Chopin dopo più di 25 anni dall'ultimo disco dedicato al compositore polacco con un programma dedicato alle magnifiche Ballades. Ho molto apprezzato la scelta di inframezzare le Ballate con tre Notturni: la Ballate infatti furono composte nell'arco di diversi anni e comunque non per essere suonate come un ciclo completo. I tre Notturni spezzano un'intensità emotiva che in un ascolto continuo potrebbe essere eccessiva. Andsnes affronta le Ballate con decisione ed è in grado di rendere l'architettura dei brani con straordinaria chiarezza. Il confronto con la recente incisione delle Ballate dell'ultimo vincitore del concorso Chopin Seong-Jin Cho mette bene in risalto quest'ultimo aspetto. Il suono che produce Andsnes è meravigliosamente terso e cristallino, passando dalle più delicate sfumature ai fortissimo pieni e corposi. Ma se vogliamo trovare un difetto al pianismo per molti versi magistrale del norvegese è quello di essere eccessivamente controllato: da questa musica e da un interprete di questo calibro mi aspetto un ardore e un trasporto che sappiano contagiare chi ascolta. Qui spesso i finali delle Ballate, dove Chopin porta il discorso musicale a un climax irresistibile per poi concludere con delle code assolutamente fiammeggianti, li ho trovati un po' sgonfi. E' possibile, anzi è probabile, che Andsnes dal vivo sappia regalare emozioni che finora in alcuni suoi dischi non ho trovato, ma purtroppo non ho mai avuto modo di ascoltarlo in concerto. Rimane comunque un disco di assoluto rilievo, meravigliosamente registrato, ma a mio avviso un pelo sotto altre incisioni come, solo per fare un paio di esempi, quelle di Perahia o di Pollini.
  13. Freire è stato un grandissimo pianista! Purtroppo, per ragioni che ignoro, è stato per diversi anni trascurato dall'industria discografica, per poi ritornare in auge negli ultimi 20 anni. Io imparai ad apprezzarlo ascoltando una folgorante interpretazione della terza sonata di Chopin, ora contenuta in questa raccolta:
  14. Haitink era uno degli ultimi grandi direttori del '900. Il suo lascito discografico è davvero immenso: Mozart, Beethoven, Brahms, Wagner, Mahler, Strauss, Bruckner, Shostakovich, ha inciso veramente di tutto. Qui una raccolta di 20 dischi con gli anni d'oro di Philips e l'orchestra del Concertgebouw:
  15. "Vous avex dit Brunettes?" Les Kapsber'girls Alpha 2021 *** Les Kapsber'girls (un quartetto femminile formato da soprano, mezzo, viola da gamba e liuto) ci aveva già sorpreso con il loro disco d'esordio del 2020. Qui continuano a stupirci con una bellissima raccolta di Brunettes, canzonette con temi bucolici in voga a corte e negli ambienti aristocratici nella Francia dei primi anni del 1700. Le Kapsber'girls sono formidabili nel restituirci con grande vivacità e umorismo queste pagine di tre secoli fa. Il disco si apre con i versi dei simpatici animali che vedete rappresentati in copertina! Consigliatissimo.
  16. Purtroppo l'effervescente spontaneità di queste interpretazioni non si è ripetuta nei volumi successivi di questa integrale.
  17. Condivido la tua analisi. Disco straordinario a metà, con gli studi Op.25 che si pongono come un nuovo riferimento e nei quali la pianista salentina mostra una grande personalità (forse eccedendo qua e là, ma le si perdona tutto), mentre degli Scherzi ci offre un'ottima lettura, solida, ma meno interessante.
  18. Franz Schubert, sonate per pianoforte D959 e D960 Krystian Zimerman Deutsche Grammophon 2017 *** Ammetto che sono un po' in imbarazzo nel dover parlare di questo disco. Krystian Zimerman è considerato una leggenda vivente del pianoforte e in più i suoi dischi da solista sono molto rari: se si esclude la seconda sonata per pianoforte della Bacewicz del 2011, il disco precedente risale addirittura al 1993 (Préludes di Debussy). Nutrivo quindi grandi aspettative, anche se devo ammettere che ho sempre guardato con una certa diffidenza al pianista polacco: pur riconoscendogli una tecnica straordinaria e alcuni dischi leggendari, spesso mi lascia perplesso per una ricerca maniacale del suono e per una cura del microdettaglio che va a scapito della spontaneità. In questa incisione dedicata a Schubert leggiamo che ha addirittura modificato la meccanica del pianoforte con il duplice scopo di sostenere meglio il suono della linea melodica e non appesantire le note ripetute dell'accompagnamento. Il timbro che ne risulta è in effetti molto particolare e conferisce un carattere ben definito a questa registrazione. Zimerman ancora una volta colpisce per la raffinatezza del suo pianismo, per la tecnica sopraffina, per la cura del dettaglio. Le sue interpretazioni di queste due celebri sonate sono sicuramente di un livello altissimo, tuttavia...tuttavia dopo diversi ascolti ho l'impressione che manchi quella fluidità del discorso musicale, quella capacità di rendere il senso della struttura, vado oltre sperando di non essere accusato di blasfemia, quella capacità di andare coraggiosamente in profondità per cogliere il senso pieno del discorso musicale, tutte cose che permettono di catturare l'attenzione dell'ascoltatore per quella quarantina di minuti che dura ciascuna di queste due sonate. In conclusione, certamente un disco importante, con alcuni momenti memorabili, ma che aggiunge poco di nuovo all'ampia discografia già presente.
  19. Franz Schubert, quartetti per archi n.14 "La morte e la fanciulla" e n.9 Chiaroscuro quartet BIS 2018 *** Il quartetto n.14 di Franz Schubert, composto nel 1824, rappresenta probabilmente uno dei vertici più alti del repertorio romantico per quartetto d'archi. Viene chiamato "La morte e la fanciulla" perché il tema del secondo movimento venne ripreso dal lied omonimo composto dallo stesso Schubert nel 1817 su testo di Matthias Claudius. Il quartetto Chiaroscuro, guidato dalla brava violinista russa Alina Ibragimova, ha la particolarità di suonare su strumenti d'epoca (con corde di budello e archetti classici), ma questo elemento mi è parso secondario rispetto alle emozioni che mi ha regalato questo disco. Quello che più di tutto mi più mi ha colpito di questa registrazione e che mi ha fatto letteralmente riscoprire e apprezzare nuovamente questo lavoro è l'esattezza della scelta dei tempi. Prendiamo ad esempio il celebre secondo movimento, eseguito in 11'48'', quasi due minuti in meno di quella che è la prassi (penso all'Italiano o più recentemente al Pavel Haas). Questo riporta il movimento all'indicazione dell'autore di "Andante con moto", togliendo un eccesso di dolente pesantezza al brano, ma senza perdere in drammaticità, anzi. Per il resto una lettura tesa, che non manca di pathos, energia, contrasti, raffinatezza timbrica. Dopo tante emozioni, passa onestamente in secondo piano il quartetto giovanile n.9, che preso singolarmente rimane tuttavia un piccolo gioiello. La qualità della registrazione, infine, rende giustizia alla bravura degli artisti. Palcoscenico sonoro piuttosto ampio. Disponibile in 96/24.
  20. Eugène Ysaÿe (1858-1931): Poème élégiaque Op 12 César Franck (1822-1890): Sonata per violino in La maggiore Louis Vierne (1870-1937): Sonata per violino in Sol minore Op 23 Lili Boulanger (1893-1918): Nocturne Alina Ibragimova, pianoforte, Cédric Tiberghien, pianoforte. Hyperion Records, 2019 *** Ruota tutto intorno alla figura imponente del violinista belga Eugène Ysaÿe il programma di questo disco e se a prima vista il pezzo forte sembrerebbe la celebre sonata di Franck, in realtà già dal primo ascolto si capisce che i piatti di contorno sono più sostanziosi di quello che saremmo pronti a pensare. Il disco si apre proprio con una composizione dello stesso Ysaÿe, il Poème élégiaque Op.12 del 1893. E' un brano di atmosfera di quindici minuti scarsi, dal fascino misterioso e intimista, ispirato alla scena della tomba di Romeo e Giulietta. Il libretto ci informa che nella "scène funébre" centrale la corda di sol del violino viene accordata sul fa, ottenendo così un colore più cupo, simile alla viola. Eugène Ysaÿe Segue la famosa sonata di César Franck, forse una delle sonate per violino e pianoforte più eseguite e conosciute in assoluto. Composta nel 1886 fu il regalo di nozze di Franck a Ysaÿe e quest'ultimo ne fu il primo esecutore e la portò al successo in Francia e nel mondo. Si tratta di uno dei vertici della musica da camera francese, composta in forma ciclica, motivi uguali si ritrovano infatti in tutti i movimenti, e caratterizzata da uno straordinario equilibrio strutturale e da un'inventiva melodica trascinante, specialmente nell'ultimo famosissimo movimento, composto secondo un procedimento a canone, con la melodia che si intreccia e si insegue da uno strumento all'altro in modo irresistibile. L'intesa e l'affiatamento tra i due interpreti sono assoluti, si sente eccome che Ibragimova e Tiberghien suonano insieme da anni. Il suono della russa è morbido e dolce, dal canto suo il pianista francese riesce a estrarre dei timbri incredibili dal suo Steinway. Nel complesso è un'interpretazione che mi ha colpito per la sua sensibilità e profondità, ma soprattutto per la naturalezza con cui il discorso musicale si dipana nel corso dei quattro movimenti, mantenendo al contempo delicatezza, grande chiarezza e trasporto. E arriviamo così alla sonata per violino Op.23 di Vierne e qui la domanda che mi sono posto immediatamente è stata:"ma chi diamine è Vierne?" E' un nome che probabilmente è noto agli amanti della musica per organo: Vierne è stato dal 1900 al 1937 organista della cattedrale di Notre-Dame, il cui organo, che all'epoca versava in pessime condizioni, fu restaurato grazie ai fondi che lo stesso Vierne riuscì a raccogliere nel corso di una tournée in Europa e America. Vierne da giovane aveva vinto anche un premio di violino al Conservatorio di Parigi e nel corso della sua vita fu anche compositore, nonostante la sua quasi cecità gli imponeva di scrivere la musica in Braille, e un noto improvvisatore all'organo. Fu così che Ysaÿe commissionò a Vierne, allievo e ammiratore di Franck, una sonata per violino, che fu poi pubblicata nel 1908. Il violinista la eseguì per la prima volta con successo in quello stesso anno e continuò a portarla in concerto anche l'anno seguente. Se si può a tratti sentire l'influsso di César Franck, in realtà il linguaggio di Vierne appartiene al tempo in cui è stata composta: siamo ormai ai primi del '900 e Vierne è nato 48 anni dopo Franck. Basta l'attacco divertito e ironico del primo movimento per accorgersene. Louis Vierne Il disco si chiude con un breve Nocturne di Lili Boulanger (sorella della più celebre Nadia, morta a 24 anni nel 1918) del 1911, che chiude il disco con grande delicatezza, così come si era aperto. Tirando le somme, questo è un disco che mi è piaciuto molto: prima di tutto per la capacità di impostare un programma di grande fascino, in grado di affiancare a un brano arcinoto come la sonata di Franck, altri molto meno conosciuti, ma in grado di reggere il confronto; in secondo luogo per la straordinaria bravura e l'affiatamento dei due interpreti. Da ultimo va menzionata la qualità irreprensibile della registrazione, che rende giustizia alla bravura di Ibragimova e Tiberghien.
  21. Beethoven, concerti per pianoforte n.2 e n.5 "Imperatore". Kristian Bezuidenhout, fortepiano; Freiburger Barockorchester, direttore Pablo Heras-Casado. Harmonia Mundi 2020 *** Devo ammettere che, al primo ascolto di questo disco, non ho seguito l’ordine delle tracce che prevederebbe prima il quinto e poi il secondo, ma sono passato direttamente al secondo concerto, uno dei miei preferiti. Non avevo particolari aspettative: stimo Bezuidenhout come un ottimo fortepianista, ma le sue incisioni dei concerti di Mozart sempre con Heras-Casado non mi avevano entusiasmato. E invece…BANG!!…sono stato letteralmente cappottato sul divano! La sensazione che ho provato è stata quella di ascoltare quel concerto per la prima volta, ma anche di essere trasportato nello spazio e nel tempo al momento della sua prima esecuzione. Non è solo l’effetto degli strumenti d’epoca (Bezuidenhout suona una replica del 1989 di un Graf del 1824), dei tempi vivaci, del piglio energico del solista e del direttore e dell’affiatamento che c’è tra i due, ma c’è dell’altro e precisamente una freschezza di approccio e una certa libertà che ricorda l’improvvisazione, come se questi pezzi fossero eseguiti per la prima volta. E’ come se Bezuidenhout e Heras-Casado si fossero dimenticati di due secoli di tradizione interpretativa, tale è la spontaneità con cui rivisitano queste pagine. E del resto lo stesso Beethoven, ci ricorda Bezuidenhout nelle note di copertina, alle prime esecuzioni dei suoi concerti lasciava molto spazio all’improvvisazione, non avendone ancora ultimato la partitura in ogni dettaglio, al punto da presentarsi con i fogli della parte per pianoforte appena abbozzati o spesso completamente bianchi! Sempre Bezuidenhout conferma le nostre sensazioni, dichiarando che l’approccio seguito nelle sedute di registrazione è stato proprio quello di combinare lo studio approfondito delle edizioni critiche moderne con una maniera di suonare rispettosa di quelle che erano le abitudini ai tempi di Beethoven, vale a dire di “usare il testo come una sorta di canovaccio o, se vogliamo, di trampolino”. Nel complesso ho trovato assolutamente entusiasmante il secondo concerto, mentre un po’ più tradizionale il quinto, ma non per questo meno interessante. In entrambi si percepisce in ogni momento una totale immedesimazione nello spirito di questa musica. Per le cadenze, nel secondo concerto Bezuidenhout ha rielaborato dei materiali scritti da Beethoven per la cadenza del primo concerto, mentre per il quinto concerto ha utilizzato una trascrizione della cadenza improvvisata da Robert Levin per la registrazione del 1999 con John Eliot Gardiner (Archiv). Praticamente irreprensibile la qualità della registrazione, come da standard Harmonia Mundi. Consigliatissimo!
  22. Julia Fischer, Daniel Mueller-Schott: Duo Sessions Orfeo, 2016. *** Riprendo volentieri questo disco uscito qualche tempo fa. Adoro la musica per violino e violoncello e ascoltando un disco come questo viene da chiedersi come mai il repertorio sia così limitato. Possiamo dire che questo programma, peraltro quasi identico a quello di un disco di Nigel Kennedy e Lynn Harrel del 2000, comprenda le migliori opere del repertorio per questi due strumenti. Composte nell'arco di un decennio le opere di Kodaly, Schulhoff e Ravel si sposano perfettamente tra loro. Il Duetto Op.7 di Kodaly, composto nel 1914, ma mai eseguito in pubblico fino al 1924, incorpora diversi temi di origini popolare in una struttura classica in tre movimenti. Questo Duetto è probabilmente secondo in popolarità solo alla Sonata di Ravel. Fischer e Mueller-Schott ne offrono una lettura appassionata e esuberante, mantenendo al tempo un equilibrio esemplare tra i due strumenti. Segue il Duetto di Schulhoff. Composto nel 1925 e dedicato al maestro Janacek, si articola in quattro movimenti traendo ispirazione dalla musica popolare ceca. Il linguaggio di Schulhoff è stilisticamente più complesso e impiega un ampio bagaglio di scelte tecniche che si traducono in un ricco ventaglio di timbri e dinamiche. L'interpretazione di Julia Fischer e Daniel Mueller-Schott è ancora una volta trascinante, rendendo magistralmente la ricchezza stilistica, timbrica e la frenesia dei ritmi di questo lavoro. Il pezzo forte del programma è naturalmente l'imprescindibile Sonata di Ravel. Pubblicata nel 1922, costò al compositore francese un anno e e mezzo di lavoro e fu dedicata alla memoria di Claude Debussy, morto nel 1918. Questa sonata rappresenta una delle opere più sperimentali di Ravel, che parlò di "scarnificazione spinta all'estremo" e di "rinuncia alla fascinazione armonica". L'accoglienza del pubblico fu a dir poco fredda ("un massacro"), sconcertato dal linguaggio scabro e il ripetersi ossessivo delle linee melodiche. Nonostante sia certamente uno dei lavori più arditi del compositore francese, oggi questo pezzo è considerato un classico del repertorio per violino e violoncello e ci affascina proprio per le stesse ragioni che all'epoca disorientarono i primi ascoltatori. Fischer e Mueller-Schott ne danno un'ottima lettura, molto intensa, anche se forse non all'altezza di altre interpretazioni. Si ascolti ad esempio la versione dei Capuçon (Erato, 2001), non meno intensa, ma più vibratile e viva. Si termina con la Passacaglia di Johan Halvorsen, compositore, violinista e direttore d'orchestra norvegese. Composta nel 1894, la Passacaglia è la virtuosistica trascrizione per violino e violoncello (o viola) dell'ultimo movimento della Suite in Sol minore HWV 432 di Handel. E' un brillante e pirotecnico brano da concerto che chiude felicemente questo bel disco.
  23. After Bach Brad Mehldau, pianoforte Nonesuch 2018 Tracklist: 1. Before Bach: Benediction 2. Prelude No. 3 in C# Major from The Well-Tempered Clavier Book I, BWV 848 3. After Bach: Rondo 4. Prelude No. 1 in C Major from The Well-Tempered Clavier Book II, BWV 870 5. After Bach: Pastorale 6. Prelude No. 10 in E Minor from The Well-Tempered Clavier Book I, BWV 855 7. After Bach: Flux 8. Prelude and Fugue No. 12 in F Minor from The Well-Tempered Clavier Book I, BWV 857 9. After Bach: Dream 10. Fugue No. 16 in G Minor from The Well-Tempered ClavierBook II, BWV 885 11. After Bach: Ostinato 12. Prayer for Healing *** Lo dichiaro subito: parlare su queste pagine di un disco di Brad Mehldau potrebbe apparire un po' strano o fuori contesto, ma a me, che non ascolto solamente musica classica, Mehldau è sempre piaciuto, per cui ammetto candidamente che ho colto il pretesto di questo suo disco di ispirazione Bachiana per parlarne qui su variazionigoldberg. Semplificando le cose si può dire che Brad Mehldau sia un pianista jazz tra i migliori della sua generazione. Andando anche un po' oltre si più anche affermare che sia un musicista molto versatile, cogliendo in pieno quella caratteristica del jazz che è quella di prendere costantemente spunto dai temi musicali più disparati. Ma Brad non si è fossilizzato sui soliti standard del Jazz: ascoltando i suoi dischi si trovano interpretazioni di brani che vanno dai Beatles ai Radiohead, da Paul Simon a Nick Drake, da Dylan a Fiona Apple, da Brian Wilson a Kurt Cobain. Quello che mi ha sempre affascinato del suo stile, già dal primo ascolto venti anni fa, è la forte presenza di solide radici classiche: pur se il linguaggio musicale è proprio del Jazz, non è difficile ritrovare echi che vanno da Bach a Brahms. E proprio qualche Intermezzo di Brahms è comparso in alcune sue incisioni live, come testimonia il disco "10 Years Solo Live" del 2015. Quest'ultimo disco, "After Bach", si spinge oltre. Alcuni preludi e fughe del Clavicembalo ben temperato sono suonati da Mehldau e diventano il punto di partenza per le sue composizioni. Un'operazione che potrebbe irritare gli integralisti della musica classica, così come spiazzare i jazzofili più incalliti. Volendo invece accogliere la proposta del versatile pianista americano senza pregiudizi, si può rimanere sorpresi. Le divagazioni di Mehldau sui pezzi del Clavicembalo ben temperato vanno ben oltre un approccio "jazzy". Il suo linguaggio musicale supera i confini del jazz e quella che ne risulta è una scaletta molto omogenea con un affascinante gioco di rimandi tra i brani di Bach e quelli originali. L'ho trovato nel complesso un disco molto godibile e sicuramente una delle proposte più interessanti uscite in questo periodo. Lo consiglio a chi non si lasci stranire da questa commistione di generi e lo ascolti con mente e cuore aperti prima di giudicarlo.
  24. A distanza di un anno dal momento in cui scrissi queste note a avendo ascoltato altri modelli anche superiori alle Clear, mi sento di confermare queste prime impressioni. Le Clear sono delle eccellenti cuffie dinamiche, che colpiscono, oltre che per la linearità della risposta in frequenza e per la trasparenza del suono, anche per il grado di coinvolgemento che offrono all'ascoltatore, che definirei "viscerale". L'unica pecca rimane quella di una leggera attenuazione alle altissime frequenze, che in realtà in alcuni generi musicali manco si nota, mentre in altri potrebbe essere addirittura benefico.
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