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happygiraffe

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Blog Entries pubblicato da happygiraffe

  1. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Tchaikovsky: Nocturne Op. 10 No. 1; Le stagioni Op. 37a: X. Ottobre, XI. Novembre; Diciotto pezzi Op. 72: X. Scherzo-fantaisia, V. Meditazione.
    Prokofiev: quattro Etudes Op.2.
    Rachmaninov: Variazioni su un tema di Chopin Op.22
    Tianxu An, pianoforte.
    Alpha Classics, 2022.
    ***
    Del pianista cinese Tianxu An si era parlato nel 2019 per una brutta avventura che gli capitò durante le finali del celebre premio Tchaikovsky. Salito sul palco per suonare il primo concerto di Tchaikovsky, dopo un breve momento di confusione, il presentatore parlando in russo annunciò qualcosa al pubblico, che lui evidentemente non colse. Fu così che l’orchestra diretta da Vassily Petrenko prese a suonare un altro brano, la Rapsodia su un Tema di Paganini, che era il secondo pezzo in programma. Il pianista mostrò un grande sangue freddo e dopo aver perso il primo attacco e qualche momento di smarrimento, portò a casa in qualche modo il pezzo. Si classificò quarto e questo scherzetto gli costò una posizione migliore, ma la giuria, che gli aveva in ogni caso proposto di eseguire di nuovo il brano, cosa che lui rifiutò di fare, gli concesse un riconoscimento speciale per il coraggio e la concentrazione dimostrati!

    Nella foto, un più che perplesso Tianxu An osserva il direttore Petrenko al concorso Tchaikovsky del 2019.
    A distanza di tre anni e superato il trauma di aver vissuto il peggior incubo di ogni concorrente, il nostro Tianxu An si ripresenta al pubblico con il suo disco di debutto dedicato a tre grandi compositori russi: Tchaikovsky, Prokofiev e Rachmaninov.
    Già dalle prime note si dimenticano tutte le disavventure passate di Tianxu An.
    La selezione di 5 brani di Tchaikovsky (notturno Op.10n.1, Ottobre e Novembre dalle Stagioni, Scherzo-Fantasia e Meditazione dall’Op.72) mostra un’ottima affinità per questo compositore, con interpretazioni caratterizzate da sensibilità e immaginazione, suono pulito e articolato e un’impressionante palette timbrica.
    Con i 4 studi Op.2 del giovane Prokofiev si cambia ritmo. Tianxu An li suona con grande slancio, suono potente quando serve e tutta la verve che occorre. Un’ottima prova per questi pezzi che per la loro rarità in discografia valgono da soli il prezzo del disco.
    Si passa poi al pezzo forte, vale a dire le variazioni su un tema di Chopin di Rachmaninov. Tianxu An è assolutamente a suo agio sia nei momenti più lirici che in quelli più virtuosistici. E’ una composizione che personalmente trovo assai stucchevole, ma An sa il fatto suo e il pezzo tiene bene dalla prima all’ultima variazione.
    Nel complesso un ottimo recital di un brillante giovane artista di 22 anni, che speriamo di non veder passare come una meteora.
    Registrazione esemplare: suono realistico, vivido, croccante!
  2. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Beethoven: Variazioni e fuga "Eroica" Op.35; 6 variazioni WoO  77; 32 variazioni in do minore WoO 80.
    Bruno Leonardo Gelber, pianoforte.
    Orfeo, 2016.
     
    ***
    Mi chiedevo perché la rivista francese Diapason abbia recentemente deciso di premiare con il suo "diapason d'oro" questo disco del 2016 di una registrazione del 1983 del pianista Bruno Leonardo Gelber.
    La risposta è venuta naturale con l'ascolto: dovevano riparare all'onta di non averlo fatto prima!
    Bruno Leonardo Gelber è un pianista argentino nato nel 1941 a Buenos Aires e allievo dello stesso Vincenzo Scaramuzza che fu maestro di Martha Argerich. Ha avuto una lunga carriera internazionale e ha inciso per lo più per Denon e Emi, ma per qualche  motivo è stato un po' trascurato dai media, specialmente negli ultimi anni.

    In questo disco suona le variazioni Eroica, le variazioni facili WoO 77 e le 32 variazioni in do minore WoO 80. Le interpreta con una naturalezza, una limpidezza che non rinunciano, al contrario, al brio e alla fantasia. Troviamo uno slancio e allo stesso tempo una sapienza interpretativa che tolgono letteralmente il fiato.
    E' molto buona anche la qualità della registrazione, che restituisce un'immagine dello strumento molto omogenea e coerente.
    Un disco che non posso che raccomandare molto caldamente.
  3. happygiraffe

    Recensioni : clavicembalo
    J.S.Bach: Suites francesi BWV 812-817, 818a, 819.
    Pierre Gallon, clavicembalo.
    Encelade, 2022.
    ***
    Le Suite francesi sono delle composizioni per clavicembalo di J.S.Bach derivate dalle forme di danza che ne compongono i diversi movimenti. Furono chiamate francesi solo successivamente, perché idealmente si rifanno allo stile francese, anche se in realtà ritroviamo anche elementi dello stile italiano.
    Nelle belle note del libretto è lo stesso Gallon che ci dice che “testimoniano della volontà di Bach di inculcare ai suoi allievi una certa idea dello stile francese: finezza del discorso, elegante semplicità della linea melodica, nobiltà e varietà portate dai diversi caratteri delle danze”.
    Per chi studia il pianoforte e il clavicembalo, le Suite francesi sono state spesso considerate un facile punto di ingresso nel complesso universo musicale bachiano. Già dai tempi di Bach i suoi allievi le consideravano tali, come testimoniano le diverse copie manoscritte che ne fecero, complicando così la vita agli interpreti e studiosi moderni che si devono districare tra le diverse varianti stratificate.

    Il clavicembalista francese Pierre Gallon, collaboratore stabile dell’Ensemble Pygmalion e del suo direttore Raphael Pichon, in questo disco affianca alle sei suite francesi della raccolta canonica anche le due suite BWV 818a e 819 (completandola con una Giga di W.F.Bach), che compaiono nel primo manoscritto, ma che spariscono dalle copie successive. Inoltre, fa precedere ogni Suite da un preludio, preso in prestito dallo stesso JS Bach, ma anche da Couperin e Dieupart, come era solito avvenire nella prassi esecutiva del tempo. E' lo stesso Gallon che ci spiega che in alcune fonti si trovano in effetti dei preludi prima delle Suite di danze. Il risultato è indubbiamente molto convincente.
    L’interpretazione di Gallon è molto fluida e “danzante”, con tempi piuttosto comodi, ma che trovo corretti, e soprattutto una grande attenzione alla relazione tra i vari movimenti.
    Lo strumento che suona è una riproduzione moderna di un magnifico clavicembalo fiammingo del 1679,  opera dell’Atelier Ducornet.
    La registrazione è sublime e ci restituisce tutta la varietà timbrica di questo strumento in un’acustica sontuosa.
    Gran bel disco, molto curato in ogni suo aspetto.
     
  4. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Ivan Moravec: Portrait.
    Supraphon, 2020.
    ***
    Supraphon rende omaggio allo straordinario pianista ceco Ivan Moravec (1930-2015) nel novantesimo anniversario della sua nascita. Lo fa nel migliore dei mondi, ovvero con un bel cofanetto di 11 cd e 1 DVD che raccolgono alcune delle sue migliori registrazioni, talune inedite, prendendole dal proprio catalogo, ma attingendo anche da materiale di altre etichette, come Vox, Nonesuch, e Connoisseur Society.
    Conosciuto più dagli intenditori che dal grande pubblico, Moravec fu un pianista incredibile, dotato di una tecnica del suono molto raffinata e di capacità interpretative che hanno dato il meglio nel repertorio di Chopin e Debussy.
    La raccolta si apre con tre concerti di Mozart (14, 23, 25), non quelli con Neville Marriner, ma quelli precedenti (1973-74) con la Czech Chamber Orchestra e la Czech Philarmonic Orchestra. 
    Seguono due dischi dedicati a Beethoven, con un paio di concerti e diverse sonate. Svetta un quarto concerto da antologia con l’orchestra del Musikverein diretta da Turnovsky. Bellissime l’Op.90 e Les Adieux, ma il livello è sempre molto alto.
    Si apre poi una sezione dedicata a Chopin: 3 dischi con le ballate, gli scherzi, i 24 preludi, la seconda sonata, la barcarole e un buon numero di mazurche. Moravec riesce a far cantare Chopin come pochi altri, con una sottilissima varietà di timbri e un uso del rubato tanto raffinati quanto assolutamente naturali all’orecchio di chi ascolta. Seppure Moravec pare che fosse un perfezionista maniacale nella messa a punto dello strumento, nell’ascolto non si percepisce nessuna volontà di controllo assoluta, come purtroppo spesso succede, ma si assiste semplicemente a un poeta del pianoforte, che fa uso della tastiera e della propria tecnica come di un mezzo per parlarci con la voce del compositore. In questo senso i Préludes sono emblematici e valgono da soli l’acquisto di questo cofanetto. 
    Dopo un paio di dischi dedicati a Schumann e Brahms (ahimè non tutti i brani sono disponibili nella versione online disponibile su Qobuz), si giunge a un paio di dischi dedicati a Debussy, Ravel e Franck. Viene dato molto spazio a Debussy (i due libri di Images, poi Estampes, Pour le Piano, Childern’s Corner e una selezioni di Preludi di entrambi i libri) e si capisce il perché: è una gioia da ascoltare! Moravec riesce a far parlare questa musica come pochi altri, una vera delizia. Anche il Prélude, Choral et Fugue di César Franck, pezzo stupendo, è da antologia.
    L’ultimo disco della raccolta è dedicato a musiche di Janacek, Martinu e Smetana, ma anche qui, probabilmente per un problema di accordi con gli editori, non tutto il materiale è disponibile nella versione online che ho ascoltato su Qobuz.
    Un DVD, che non ho visto, raccoglie un documentario su Moravec e ancora tanta musica (Beethoven, Prokofiev, Mozart e Ravel).
    Fa da complemento a questa bella raccolta un libretto esemplare, contenente tutte le informazioni sulle diverse registrazioni, un breve saggio dell’amico Murray Perahia e una lunga intervista a Moravec.
    Complimenti a Supraphon che ha realizzato questo “portrait” in modo davvero ineccepibile, un vero e proprio gesto d’amore che va oltre il semplice progetto editoriale e che ci fa trasparire l’ammirazione e il rispetto che ancora devono portare per questo pianista. 
    Chiaramente qui non c’è tutto il lascito discografico di Moravec: Supraphon ha lasciato fuori qualche pezzo forte come i Notturni di Chopin e gran parte del materiale che qui non è presente è stato pubblicato da etichette diverse. Speriamo in un futuro secondo volume, ma intanto ci godiamo questo con gratitudine!
  5. happygiraffe

    Recensioni : orchestrale
    Weinberg: sinfonie 3 e 7; concerto per flauto n. 1.
    City of Birmingham Symphony Orchestra, Deutsche Kammerphilarmonie Bremen, Dir.Mirga Gražinytė-Tyla.
    Kirill Gerstein, clavicembalo; Marie-Christine Zupancic, flauto.
    DG 2022.
    ***
     
    Da qualche anno è in corso una vera e propria riscoperta dello sfortunato compositore polacco Mieczysław Weinberg (1919-1996). Due artisti si sono fatti paladini di questa riscoperta: il violinista Gidon Kremer, di cui avevamo parlato QUI, e la direttrice lituana Mirga Gražinytė-Tyla, qui al suo secondo disco per DG dedicato interamente a Weinberg.

    Weinberg ebbe una vita sfortunata, fuggì dai nazisti dalla Polonia all’URSS dove venne accolto a braccia aperte dai sovietici che lo accusarono di formalismo (peccato mortale per i compositori dell’epoca) e lo arrestarono pure. Solo alla morte di Stalin poté riprendersi, ma componendo più che altro per cinema, teatro, tv e addirittura spettacoli circensi.
    Nonostante questo, compose tantissimo, addirittura 22 sinfonie e 17 quartetti. Tutta musica che si sta riscoprendo di recente. Non tutta meritevole di attenzione, ma ci sono in ogni caso opere davvero interessanti, caratterizzate da un linguaggio sempre personale.
    Il disco si apre con la sinfonia n.7 per orchestra d’archi e clavicembalo del 1964, cupa, ma non tragica, caratterizzata da interventi del clavicembalo, qui affidato addirittura a Kirill Gerstein, piuttosto stranianti, che alla fine lasciano all’ascoltare più dubbi che risposte.
    Decisamente più brillante, ironico e godibile il concerto per flauto Op.75 del 1961. Bravissima la flautista Marie-Christine Zupancic, ben sostenuta dalla City of Birmingham Symphony Orchestra.
    Chiude il disco l’ambiziosa terza sinfonia, frutto di una genesi molto complicata. Iniziata nel 1949, composta cercando di reinterpretare e in qualche modo aggirare i dettami delle autorità, criticata dall’”Unione dei Compositori Sovietici”, rimaneggiata e tenuta in un cassetto in attesa di tempi migliori, vale a dire la dipartita di Stalin e l’arrivo di Krusciov, è un’opera densa e molto intensa, ma al tempo stesso caratterizzata da una ricca inventiva melodica. Certamente riflette il clima del momento, ma personalmente la trovo di grande fascino.
    Nel complesso un ottimo disco, ben registrato, con un’ampia gamma dinamica, che aggiunge dei nuovi tasselli alla riscoperta di un compositore rimasto molto a lungo nell’ombra.
     
  6. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Franz Schubert:
    - 4 Impromptus, op. 90, D. 899 
    - Piano Sonata No. 19 in C minor, D. 958
    - 3 Klavierstucke, D. 946
    - Piano Sonata No. 20 in A major, D. 959
    ECM 2019
    ***
    Questo disco, da poco uscito per ECM, ma in realtà inciso nel 2016, segue quest'altro disco del 2015, in cui András Schiff riprendeva un repertorio che aveva già registrato nella prima metà degli anni '90 fa per Decca, utilizzando questa volta uno strumento d'epoca:

    Franz Schubert:
    - Sonata Op.78, D. 894 
    - Moments musicaux, Op.94, D. 780
    - 4 Impromptus, Op.142, D. 935
    - Sonata No.21, D. 960
    ECM 2015
    I due album si completano perfettamente, per repertorio e scelte interpretative: le ultime tre sonate per pianoforte e la D.894, i Moments musicaux, i due cicli degli improvvisi e i 3 pezzi D.946, tutti eseguiti al fortepiano.
    Interessante la storia dello strumento che sentiamo in questi dischi. Bisogna sapere che negli anni in cui visse Schubert, c'erano circa un centinaio di fabbricanti di fortepiano a Vienna. Questo strumento fu realizzato nel 1820 da Franz Brodmann, fratello del più noto Joseph, che un giorno dovette vendere la sua attività a un suo allievo, che di nome faceva Ignaz Bösendorfer! 
    Il fortepiano entrò in possesso della famiglia imperiale e ne seguì il destino fino all'esilio di Carlo I in Svizzera nel 1919. Fu restaurato nel 1965 e acquistato nel 2010 da Schiff, che lo ha lasciato in prestito presso la casa di Beethoven a Bonn.
    Nelle note di copertina del disco del 2015 era lo stesso Schiff che ci raccontava di quanto il suo approccio alla musica eseguita con strumenti d'epoca fosse cambiato nel corso del tempo a partire dai primi anni '80. Era agli inizi affascinato dagli aspetti legati alla filologia e dalla fedeltà al testo scritto, ma ostile ai dogmatismi dei puristi, anche perché spesso le incisioni di quei tempi erano di qualità discutibile per via sia degli strumenti impiegati che degli interpreti.
    La rivelazione per Schiff fu l'aver suonato il fortepiano di Mozart nella sua casa di Salisburgo: la definisce un'esperienza che gli ha cambiato la vita! 
    I pianoforti moderni da concerto sono infatti strumenti pensati per "proiettare" il suono in sale da concerto da migliaia di posti, con una dinamica e una brillantezza di suono impensabili all'epoca di Schubert. La musica di Schubert era suonata nei salotti borghesi, agli amici, in ambienti relativamente piccoli e così un fortepiano dell'epoca ha una gamma dinamica ridotta, diciamo dal pianissimo al forte. Per questo motivo le composizioni per pianoforte di Schubert, pensate per quegli strumenti, sono tanto difficili da rendere con gli strumenti moderni, che rischiano di soffocarne la dolcezza.
    Il Brodmann di Schiff, nelle sue mani, invece, si muove a meraviglia tra queste pagine, regalandoci una gamma di timbri, di effetti e di sfumature tra il ppp e il forte che hanno qualcosa di magico. E' uno strumento particolare con quattro pedali, cosa non inusuale a quei tempi, uno dei quali, detto "moderatore", che frappone un panno tra martelletti e corde (un po' come la sordina dei pianoforti verticali) e permette di ottenere un suono molto tenue e dolce. Ma ci sono altre cose che stupiscono, come la cantabilità della mano destra o come i diversi timbri dei tre registri (alti, medi e gravi hanno caratteri diversi) si fondano insieme. E attenzione, perché quando serve il Brodmann è capace di tirar fuori gli artigli anche nei passaggi più forti e energici.
    Il confronto con le interpretazioni degli anni '90 lasciano un po' interdetti: se quelle erano certamente molto belle, ma anche per certi versi anche un po' accademiche, qui invece quello che ci regala Schiff è un universo sonoro più vivo, palpitante e anche più vivace, pur nel consueto understatement del pianista ungherese.
    Non basta uno strumento d'epoca, per quanto magnifico come quello utilizzato qui, per far una bella interpretazione, occorre anche un pianista all'altezza e qui Schiff ci mette tanto del suo. Sicuramente è vero che conosce perfettamente il suo strumento e sa come domarlo e trarne il massimo, ma, al di là dell'aspetto tecnico, qui il pianista ci mette tantissima passione e la facilità con cui ci conduce tra le pieghe più intime dei pensieri del compositore è sicuramente il frutto di una lunga maturazione e di un profondo amore per queste pagine. 
    Schiff ci dice che non smetterà di suonare Schubert su strumenti moderni, cosa in fondo necessaria dovendo per mestiere suonare in grandi auditorium, ma la dolcezza del suono di un fortepiano viennese  sarà sempre ben presente nella sua mente, per provare a suggerire l'illusione dell'intimità anche in una  sala da concerto.
    Noi continueremo a seguire András Schiff nelle sue esplorazioni con strumenti nuovi e d'epoca, così come ci piace seguire un altro pianista con la stessa grande passione per pianoforti antichi e moderni, Alexander Melnikov, di cui abbiamo già parlato diverse volte su queste pagine.
    Per il momento vi invitiamo senza esitazione ad abbandonarvi al fascino di questo disco, senza lasciarvi intimorire dal suono particolare del fortepiano.
     
  7. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Lang Lang: Piano Book
    Deutsche Grammophon 2019
    ***
    Lang Lang Piano Book, che sarà mai? Un ispirato Lang Lang troneggia in copertina, in cappottino bianco e scarpe da tennis, mentre il suo Steinway a coda si apre come le pagine di un libro.
    Il programma non è quello di un classico recital di pianoforte, ma ricorda più una playlist, come va sempre più di moda oggi. 
    Lang Lang ci dice di aver raccolto in questo disco una collezione di brani che lo hanno inspirato quando ha cominciato a suonare il pianoforte. C’è un po’ di tutto: da “Per Elisa” a “Clair de lune”, dal primo preludio del Clavicembalo ben temperato alle 12 variazioni di Mozart "Ah, vous dirai-je Maman”, ma anche musiche di film (“La valse d’Amélie”, “Merry Christmas, Mr Lawrence” di Sakamoto) e molto altro.
    All’ascolto, la musica scorre via senza troppi pensieri, l’istrionico Lang Lang abbonda in sentimento, suono vellutato e saccarosio. Il protagonista è lui: è la sua playlist e ogni brano viene affrontato con il medesimo approccio.
    Ma se non ci fermiamo qui e ci chiediamo a chi è destinato un prodotto editoriale (mi viene un po’ difficile chiamarlo diversamente) come questo, è evidente che l’ascoltatore difficilmente sarà l’accanito musicofilo alla ricerca dell’ennesima interpretazione dell’Hammerklavier di Beethoven o dell’Op.118 di Brahms.  
    Questo disco è pensato per un mercato più ampio, di chi magari si avvicina alla musica classica per la prima volta e non ne deve essere respinto con musica troppo complessa, quanto piuttosto attratto con brani brevi, celebri e orecchiabili.
    Non bisogna dimenticare che Lang Lang è una stella planetaria, che ha suonato alla cerimonia di apertura ai giochi olimpici di Pechino nel 2008, così come alla finale dei mondiali di calcio di Rio nel 2014, ha suonato per Papa Francesco e per la regina Elisabetta II ed è stato nominato Messaggero di pace dall’ONU e ambasciatore UNICEF.
    Il suo personaggio, così conosciuto e che, se vogliamo, sprigiona un entusiasmo infantile, si dice che abbia inspirato 40 milioni di bambini cinesi a iniziare a studiare il pianoforte. La sua fondazione da 10 anni aiuta i bambini ad avvicinarsi al mondo della musica classica.
    E se un personaggio come Lang Lang, per quanto discutibile e criticabile dagli addetti ai lavori,  aiuta a far sembrare il mondo della musica classica meno polveroso e austero e con un disco come questo contribuisce ad incuriosire e ad avvicinare nuovi appassionati alla musica classica, beh, che c’è di male in fondo?
     
  8. happygiraffe
    E’ uscita da poco un sontuoso cofanetto di 48 cd dedicato al pianista tedesco Walter Gieseking (1895-1956). Non è disponibile digitalmente, ma Warner ha comunque pubblicato diversi album in formato liquido rimasterizzati in alta risoluzione.
    Gieseking fu un pianista straordinario e un personaggio curioso e geniale. Nacque in Francia, a Lione, dove il padre entomologo soggiornò diversi anni alla ricerca di nuovi lepidotteri da catalogare, e fino a 16 anni studiò il pianoforte praticamente da autodidatta. Fu solo al rientro in Germania che si iscrisse al conservatorio di Hanover, ma nel frattempo aveva studiato un repertorio già sorprendentemente ampio. Si dice che Gieseking passasse molto più tempo a studiare le partiture lontano dal pianoforte, che non a esercitarsi sul suo strumento. Dotato di una memoria formidabile, memorizzava i pezzi semplicemente leggendoli e analizzandoli. 
    La sua carriera di pianista prese il volo nel periodo tra le due guerre, quando si esibì in tutta Europa e spesso anche negli USA.
    Più difficile fu invece la ripresa dell’attività concertistica nel secondo dopoguerra, specialmente negli USA, dove veniva accusato di collaborazione culturale con il regime nazista. Nel 1947 venne prosciolto da queste accuse, ma è solo del 1953 il suo ritorno trionfale alla Carnegie Hall di New York.
    Gieseking ebbe un’importanza notevole nella storia del disco: fu il primo a incidere le opere integrali di Claude Debussy e Maurice Ravel, incisioni per le quali viene ricordato ancora oggi. Sorprendono ancora oggi la raffinatezza timbrica del suo modo di suonare, così come la sensibilità e la fantasia con cui era in grado di dar vita alle pagine di quei compositori. Fu probabilmente il primo a creare un mondo sonoro, che ancora oggi associamo a quella musica.


    Riascoltare oggi il suo Debussy e il suo Ravel, così come Mozart, le cui sonate incise integralmente, ci permette di (ri-)scoprire un pianista di una finezza straordinaria.
    Sono davvero incredibili le sonorità che riesce a creare in alcune pagine di Ravel e Debussy. Mi vengono in mente, ad esempio, Ondine da Gaspard de la nuit di Ravel e Des pas sur la neige dai Préludes di Debussy.

    Una curiosità finale sul personaggio: come suo padre, anche Gieseking coltivava la passione delle farfalle, al punto che due sottospecie di farfalla hanno preso il suo nome: Giesekingiana e Walteri
     
  9. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Schubert: Trii per pianoforte n.1 e 2, Trio per pianoforte op.148 D.897 "Notturno", Rondò op.70 D.895 "Rondeau brillant", Sonata D.821 "Arpeggione".
    Christian Tetzlaff, violino, Tanja Tetzlaff, violoncello, Lars Vogt, pianoforte.
    Ondine, 2023.
    ***
    Questo è un disco molto particolare e con una storia molto toccante.
    E’ l’ultima registrazione di Lars Vogt insieme agli amici di una vita, Christian e Tanja Tetzlaff, prima della sua scomparsa prematura nel 2022 a soli 51 anni.
    All’epoca dell’incisione Vogt era già sofferente e fu proprio in quel periodo che gli fu diagnostica la malattia.
    Con Christian e Tanja Tetzlaff li lega un percorso artistico comune di 25 anni, costellato da tanti dischi di musica da camera, e una lunga amicizia.
    Questo penso sia il loro primo o uno dei primi dischi insieme, del 2003:

    Ma ce ne sono tanti altri che immancabilmente li ritraggono insieme in copertina:



    E questi che ritraggono Lars e Christian decisamente più giovani:



    Ma veniamo a quest’ultimo disco, che contiene alcune delle più belle pagine di musica da camera di Franz Schubert: i due trii op.99 e 100 e la sonata “arpeggione” per violoncello e pianoforte.
    Quello dei Trii è un Schubert maturo, ormai lontano dall’intrattenimento mondano e salottiero, prossimo alla morte nonostante la giovanissima età (il povero Schubert morì a soli 31 anni).
    In questo senso il secondo Trio in mi bemolle maggiore, sicuramente il piatto forte del disco e uno dei massimi capolavori della musica da camera tout court, ha un carattere tragico e carico di angoscia, nonostante la consueta bellezza schubertiana delle linee melodiche.
    E il terzetto Vogt-Tetzlaff riesce a esprimerci tutta l’angoscia e il dramma dell’animo di Schubert, nascosti sotto l’apparente bellezza e perfezione di queste pagine immortali. Spesso queste opere (e Schubert in generale) vengono interpretate prestando più attenzione al fascino della melodia e alla perfezione del suono e dei timbri, in qualche modo compiacendo l’ascoltatore, che non a far emergere le angosce sotterranee del compositore.
    Qui invece a chi ascolta si propone un messaggio più impegnativo, più difficile, lontano da qualsiasi sentimentalismo, ma infinitamente più emozionante. I suoni sono a volte aspri, la dinamica molto ampia, dai pianissimo quasi impercettibili ai fortissimo molto…forti, com’è giusto che sia!
    Si sente che i tre interpreti, ormai all’apice delle loro capacità tecniche, hanno investito tutto loro stessi in queste pagine, per farci arrivare qualcosa di più del semplice bel suono.
    Il libretto del disco contiene una lunga e toccante intervista a Christian e Tanja Tetzlaff, nella quale parlano dell’amico Lars, delle sessioni di registrazione e di Schubert.
    Ci riportano queste parole di Vogt:
    "Mi sembra che tutto, almeno nella mia vita, si sia sviluppato verso questo Trio in mi bemolle maggiore", ha scritto in un messaggio dopo aver ascoltato la registrazione. "Se non rimane molto tempo, allora è un degno addio".
    Il disco contiene anche per altri brani del tardo Schubert, tra cui il Notturno per trio, D897, di struggente semplicità, il Rondò per violino e piano, D895, e la famosa Sonata per arpeggione, che Tanja Tetzlaff e Vogt rappresentano con grande naturalezza e intesa. Sono però le esecuzioni dei due trii che definiscono questo disco. Sono però le esecuzioni dei due trii a definire questo set. Naturalmente esistono già molte belle esecuzioni di queste opere, a partire da quella Eugene Istomin, Isaac Stern e Leonard Rose degli anni ‘60, ma questa sicuramente si pone come un nuovo riferimento tra quelle recenti.
    Caldamente raccomandato.

  10. happygiraffe
    Franz Schubert, Winterreise D.911.
    Ian Bostridge, tenore, Thomas Adés, pianoforte.
    Pentatone 2019
    ***
    Il tenore inglese Ian Bostridge è molto legato al Winterreise, il famoso e magnifico ciclo di lieder di Franz Schubert. E’ l’opera con la quale debuttò nel 1993, l’aveva incisa nel 1997 per un documentario e l’aveva già portata su disco nel 2004 con Leif Ove Andsnes, in un’ottima interpretazione.

    Bostridge con Andsnes.
     
    Bostridge è un cantante con un timbro e uno stile così particolari, che solitamente il pubblico si divide tra fervidi ammiratori e inaciditi detrattori.
    Non essendo né l’uno, né l’altro, mi sono approcciato a questo disco, senza particolari pregiudizi, con solo un lontano ricordo della sua precedente incisione con Andsnes e natualmente la conoscenza di tante altre versioni, comprese quelle relativamente recenti di Goerne (con un grande Eschenbach al pianoforte) e Kaufmann.
    Al pianoforte troviamo Thomas Adés, compositore inglese tra i più famosi e eseguiti in questi anni, che già aveva collaborato con Bostridge in lavori propri. Insieme hanno eseguito Winterreise durante una serie di concerti in Europa e negli Stati Uniti e questo disco è la registrazione dal vivo di una serata alla Wigmore Hall di Londra a Settembre del 2018.

    Bostridge con Adés in concerto.
    La voce di Bostridge è così peculiare che il primo ascolto può essere sorprendente o sconcertante. Non stupisce certo per il bel timbro e, come dicevo sopra, la reazione può essere di amore o odio. Quello che però rende questo disco a mio avviso straordinario è l’assoluta autenticità della sua interpretazione. Bostridge si è calato nel ruolo e lo abita “dal di dentro” con una naturalezza e una ricchezza di accenti che mette i brividi. Probabilmente, trattandosi di una registrazione dal vivo, anche questo ha contribuito al pathos della sua lettura, insieme a certe libertà espressive che in studio di registrazione difficilmente si prendono.
    Thomas Adés si rivela un partner di prim’ordine, non tecnicamente sopraffino come un Andsnes o un Eschebanch, ma assolutamente efficace nella resa musicale. Adés sceglie uno stile più equilibrato e rassicurante che mette in risalto proprio la tormentata espressività di Bostridge.
    Tante le differenze con la registrazione con Andses nel 2004, com’è normale che sia. Su tutte segnalo l’insolita lentezza di Die Krähe, probabilmente due volte più lento di qualsiasi altra edizione, che acquista così un carattere del tutto nuovo, tra il misterioso e lo spettrale.
    In conclusione, questo è un disco che per me è stata una vera e propria rivelazione e che, per la potenza della narrazione più che per la bellezza del canto, merita di stare al fianco delle migliori letture del Winterreise.
    Ottima la qualità della registrazione, con gli ingegneri della Pentatone che riescono a metterci di fronte agli interpreti, senza farci percepire la presenza del pubblico.
  11. happygiraffe
    Tchaikovsky: Gran Sonata Op.37, Le Stagioni.
    Nikolai Lugansky
    Naïve Classique 2017
    ***
    Quando parliamo di Tchaikovsky è difficile che il pensiero vada subito alle sue composizioni per pianoforte, eppure la sua produzione pianistica fu piuttosto intensa. Si tratta per lo più di brani "leggeri" destinati a un'esecuzione da salotto.
    Fa eccezione la sua seconda sonata per pianoforte in sol maggiore, Op.37a, composta nel 1878. E' una composizione decisamente ambiziosa che gli costò diversi mesi di lavoro. Tchaikovsky rese omaggio al genere della sonata per pianoforte, ormai passato di moda da qualche decennio, (ma destinato a rifiorire proprio in Russia nei decenni a seguire), con lo sguardo rivolto al modello di Schumann.
    E' un'opera caratterizzata dal contrasto tra il tono eroico e monumentale del primo movimento e il carattere più intimo e lirico del secondo movimento. Lo scherzo e il finale riportano un clima più gioioso, se vogliamo tradizionale, a una composizione che al primo ascolto può lasciare un po' spiazzati per una certa sua disomogeneità. 
    Dimenticata poi per diverso tempo fu il grande pianista sovietico Sviatoslav Richter a riscoprirla e a riproporla al pubblico. Per chi fosse interessato, ricordo un bel disco dell'etichetta Melodiya con la sonata di Tchaikovsky e i Quadri di Mussorgsky.
    Tutt'altra musica i 12 pezzi "caratteristici" delle Stagioni. Composti su commissione di Nikolay Matveyevich Bernard, editore della rivista "Il Novellista", si tratta di 12 brevi pezzi che furono pubblicati mensilmente nel 1876. Bernard propose un sottotitolo per ogni mese dell'anno e Tchaikovsky ne ricavò 12 gradevolissime piccole composizioni. Alcune sono delle vere e proprie gemme e anche piuttosto note, come la Barcarolle (Giugno) e la Troika (Novembre),  suonato spesso da Rachmaninov come bis nei suoi concerti.
    Veniamo ora all'interpretazione di NIkola Lugansky.

    Per chi non lo conoscesse Lugansky è un pianista russo e uno dei migliori della sua (e non solo della sua) generazione. Allievo della grande Nikolaeva, si è affermato già negli anni '90 come interprete straordinario di Rachmaninov, Chopin e Prokofiev. Ha una tecnica straordinaria, un suono cristallino e uno stile interpretativo molto elegante, sobrio e poco incline al sentimentalismo.

    E così sono anche queste sue letture di Tchaikovsky, sobrie, eleganti e pulite. Lugansky è perfettamente a suo agio e convincente sia nei passaggi più drammatici e tempestosi (primo movimento della sonata) , sia in quelli più intimi e lirici (secondo movimento della sonata). Alcuni potrebbero sentire la mancanza di un po' di trasporto nella sua interpretazione, specialmente perché stiamo parlando di un autore come Tchaikovsky. E allora possiamo sempre fare riferimento all'incisione della Sonata del grande Richter (Melodiya), mentre per per Le Stagioni mi sentirei di raccomandare il disco di Pletnev (Erato 2005), che ha un approccio decisamente più fantasioso.
    In conclusione un ottimo disco che copre un repertorio poco frequentato. Mi sento di dire, però, che probabilmente non è uno dei dischi migliori del pur sempre bravissimo Lugansky.
  12. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Beethoven, le sonate per pianoforte.
    Igor Levit, pianoforte.
    Sony Classical 2013/2019
    ***
    Ormai è chiaro che Igor Levit è un pianista a cui piace darsi degli obiettivi ambiziosi: esordio impressionante con le ultime sonate di Beethoven, poi tutte le partite di Bach, poi un triplo album con Goldberg, Diabelli e le bizzarre variazioni di Rzewski, nel 2018 un personalissimo e densissimo concept album, Life. Ora arriva addirittura l’integrale delle 32 sonate di Beethoven! Incisa tra la fine del 2017 e i primi mesi del 2019, recupera le sonate 28-32 dal suo disco di esordio del 2013.
    Ma al di là della sua passione per le sfide, quello che impressiona sempre di Levit è la solidità delle sue scelte interpretative.  Questa integrale colpisce per la coerenza e per la linearità dello stile attraverso tutto il ciclo di sonate. Analizzando i tempi utilizzati (questione perennemente dibattuta), Levit segue chiaramente la tradizione di Schnabel, che privilegia tempi veloci e accentua i contrasti tra movimenti veloci e movimenti lenti. E’ un Beethoven vigoroso, energico e scattante. E’ una scelta netta, da tenere in considerazione sulla base delle proprie preferenze.
    C’è continuità anche nel modo in cui è stato “ripreso” il pianoforte dagli ingegneri del suono, nonostante le registrazioni si siano svolte in tre luoghi diversi in periodi diversi. Non è un pianoforte come solitamente siamo abituati ad ascoltare, con microfoni molto vicini e un suono pulito e analitico con separazione tra i vari registri e se vogliamo poco realistico, ma è un pianoforte come potremmo sentirlo in una sala da concerti, ampio, con i registri ben amalgamati tra loro, ma meno “radiografico”. E’ un fatto questo che condiziona di molto tutta l’esperienza di ascolto. Si può perdere qua e là qualche sfumatura o qualche dettaglio, ma probabilmente si guadagna in impatto emotivo. Personalmente ho sempre trovato che questo tipo di registrazioni mi facciano rivivere molto di più l’esperienza del concerto.

    Prime sonate (1795-1800)
    Già dalle prime sonate, spesso punto di debole di altre integrali, così rivolte alla tradizione classica di Haydn e Mozart, ma già cariche di idee nuove, si capisce che il Beethoven di Levit è già tutto proiettato verso il futuro. I tempi sono piuttosto rapidi, le dinamiche accese. Pur mantenendo uno sguardo riconoscente verso il passato, lo Sturm und Drang è già arrivato. Questo è messo sempre più in evidenza man mano che si passa dalle prime sonate Op.2 via via verso letture sempre più energiche delle 3 sonate Op.10, dell'Op 13 "Patetica", fino all'Op.22 che chiude il periodo delle prime sonate, ma che già precorre il gruppo delle sonate di mezzo.
    Sonate Centrali (1801-1814)
    Con il gruppo delle sonate cosiddette centrali si va nel cuore della produzione beethoveniana ed è qui che emergono le capacità introspettive di Levit, che riesce con facilità ad andare sotto la superficie a cogliere l'essenza di ogni sonata. E’ un Beethoven energico e grintoso che vola sui tasti, ma con profondi momenti di riflessione nei movimenti lenti.
    Sono tanti i momenti degni di nota: una “Marcia funebre” cupa e intensa, una “Pastorale” di rara sensibilità, una "Appassionata" da ricordare, assolutamente viscerale e spericolata; la "Waldstein" ha un avvio sprintosissimo e un finale pirotecnico. Se devo proprio trovare qualche punto negativo, sorprende qua e là (e anche nelle sonate del primo gruppo) una certa fretta nei movimenti finali e nelle battute conclusive, quasi che il pianista avesse fretta di chiudere lo strumento e andarsene.
    Ma se guardiamo a questo gruppo di sonate nel loro insieme, sono evidenti da un lato la sicurezza, davvero senza esitazioni, del pianista nelle proprie scelte interpretative, dall'altra anche la volontà di mettersi in gioco e di prendersi dei rischi, anche a scapito di quella perfezione tanto ricercata in studio di registrazione. In questo senso questa integrale, anche per come è stata registrata, riporta all'ascoltatore le emozioni che di solito si possono provare in un’esecuzione dal vivo. Pur essendo un musicista di grande personalità, non ho trovato in queste esecuzioni quel desiderio di stupire a tutti i costi che spesso caratterizza le interpretazioni di un repertorio così frequentato. C’è anzi un rispetto per la lettera, ma soprattutto per lo spirito di questa musica, che vorremmo vedere più spesso (Vedi ultimo disco di Pogorelich).
    Sebbene Levit non abbia adottato scelte eccessive o estreme (Pollini in alcune sonate è stato ben più radicale), certamente alcuni potranno desiderare un po' più di respiro o un approccio più misurato o più contemplativo. 
    Ultime sonate (1816-1822)
    Le ultime 5 sonate di questa integrale sono riprese dallo splendido disco di esordio del 2013. L'approccio si fa più riflessivo, specie nei movimenti lenti eseguiti con grandissima intensità (Op.101, Op.106) ad evidenziare il contrasto coni movimenti veloci eseguiti con il consueto vigore (si ascolti il primo movimento della "Hammerklavier", così febbrile e concitato).
    La capacità di rendere con lucidità l'architettura dell'opera nella sua interezza, dote davvero rara, qui è assoluta, così come l'abilità nell'accompagnare chi ascolta in un viaggio nella musica.
    Riascoltando oggi l'Op.111, a distanza di qualche anno dalla sua uscita e con l'ascolto freschissimo di questa integrale, mi rendo maggiormente conto di qualche passaggio leggermente troppo lento per i miei gusti, ma stiamo davvero parlando di dettagli. 

    Ormai non ci devono più stupire le capacità e la maturità interpretativa e intellettuale di questo pianista. Quest'ultima fatica di Levit ne è un'altra riprova.
    Pur non mancando le integrali di peso (da quelle storiche di Schnabel, Backhaus, Kempff, Gilels, purtroppo non completa, Arrau, poi quelle di Brendel, Pollini, Barenboim, Kovacevich, fino ai giorni d'oggi con quella di Biss, ormai quasi completata), questa nuova integrale, costruita con una visione sicura, lucida e coerente, è destinata a essere ricordata. 
    E ora che ha archiviato in una manciata di anni le 32 sonate e le variazioni Diabelli, forse Levit si dedicherà ai 5 concerti?

  13. happygiraffe

    Recensioni Audio
    Breve preambolo per chi non fosse un impallinato di hifi e musica liquida.
    Ci sono principalmente due modi di ascoltare la musica liquida, che provenga da una delle diverse piattaforme (tidal, qobuz, apple, amazon, etc) o dal nostro archivio di musica digitale. Il primo è quello di usare uno streamer, ovvero un apparecchio dedicato che si collega tramite internet alle varie piattaforme di musica liquida e tramite un dac interno converte il segnale digitale in un formato analogico che viene poi inviato ad un amplificatore e da qui alle casse. In pratica lo streamer è il corrispettivo "liquido" di quello che una volta era il lettore cd.
    Il secondo modo è quello di usare un pc come player. La musica in formato digitale esce tramite la porta usb e viene inviata a un convertitore digitale-analogico (DAC) e da qui a un amplificatore. 
    Ogni sistema ha i suoi pro e contro. Li ho usati entrambi, ma alla fine ho preferito servirmi del pc per modularità, versatilità e minore obsolescenza rispetto a uno streamer.
    Il pc, nel mio caso un portatile, ha però un grosso problema. A meno che non parliamo di computer particolari progettati per la riproduzione audio, solitamente i pc dei comuni mortali usano l'uscita usb per mandare i file musicali all'esterno. L'uscita usb non nasce per la riproduzione audio ed ha due grossi problemi: il primo è che il segnale audio è "sporcato" dal rumore digitale, il secondo è che il segnale è affetto da "jitter": in pratica il metronomo che batte il tempo della musica che stiamo ascoltando non è preciso, a volte accellera, a volte rallenta.
    Per risolvere il problema, già da anni esistono sul mercato quelle che si chiamano interfacce digitali, ovvero degli apparecchi che prendono il segnale audio dall'uscita USB del computer, lo ripuliscono dal rumore e lo rimettono al tempo corretto, grazie a un clock interno sensibilmente migliore di quelli normalmente usati nei pc, e infine lo inviano al DAC.

    Dopo aver ignorato le interfacce digitali per anni e sottovalutato i problemi di jitter e rumore digitale, qualche settimana fa ho deciso di provarne una: il Singxer SU-6.
    Singxer è un'azienda cinese, presente da una decina d'anni sul mercato. L'SU-6 si presenta come una scatoletta poco pretenziosa, larga circa 24cm:

    Sul retro troviamo l'ingresso USB e le diverse uscite:

    - due uscite S/PDIF, una con connettore RCA e una BNC
    - AES/EBU
    - ottica
    - i2s tramite RJ45
    - i2s tramite HDMI (doppia)
    - un'uscita per il clock con interfaccia BNC
    L'SU-6 impiega due oscillatori Crystek CCHD-957 e accetta file PCM fino a 384kHz/32bit e DSD512 (tramite I2S). Sul mercato ci sono apparecchi che arrivano a risoluzioni maggiori, ma a me queste bastano e avanzano.

    Una particolarità riguarda l'alimentazione: un banale trasformatore esterno carica un supercondensatore, che viene quindi usato per alimentare L'SU-6 e che virtualmente annulla l'impatto dell'alimentatore esterno sulla performance. Non c'è un interruttore, si collega il trasformatore alla presa, il condensatore ci mette circa un minuto per caricarsi abbastanza da far funzionare l'SU-6 e a quel punto si accende la spia sul display frontale. Il sistema è fatto per rimanere sempre acceso. In realtà occorrono 20 minuti perché il condensatore sia completamente carico.


    Altra particolarità è che sulla parte inferiore dell'apparecchio ci sono degli switch per configurare l'uscita i2s HDMI. Il manuale fornisce i dettagli per configuare i vari switch per alcuni marchi di DAC:


    E' una soluzione che va bene se non si prevede di passare spesso da un modello di DAC a un altro.
    L'impiego è banale: si collega l'ingresso usb al pc e una delle uscite al DAC. Fine. Il display frontale non fornisce indicazioni particolari: ci informa se stiamo riproducendo musica e file DSD.
    Ci vuole qualche giorno di rodaggio perché suoni al meglio. 
    All'ascolto il risultato è semplicemente eclatante! In realtà un'interfaccia digitale ha il solo il compito trasferire al DAC il segnale digitale così come dovrebbe essere, vale a dire ripulito dal rumore e dal jitter, e quanto pare il mio DAC è stato felice di cibarsi finalmente di un segnale di qualità! Quello che mi ha sorpreso è la naturalezza del suono e del posizionamento degli strumenti nella scena, nonché la sensazione che diffusori e cuffie scompaiano letteralmente (con buone registrazioni ovviamente).
    Già con l'uscita coassiale il risultato è notevole, passando all'uscita i2s c'è ancora un po' di miglioramento.
    Non nascondo di aver avuto qualche problema con l'uscita i2s su hdmi. Saltuariamente riscontravo un'attenuazione e delle distorsioni delle alte frequenze. Il problema sembra essere rientrato pulendo i contatti della presa sul DAC con del DeoxIT. 
    Il costo ad oggi si aggira tra i 600 e i 700€, non pochissimo, ma se penso a quanto è migliorato il suono del mio impianto, il rapporto qualità/prezzo è molto elevato. In conclusione arrivo a dire che non si tratta di una semplice ottimizzazione, ma di un upgrade sostanziale.
     

     
  14. happygiraffe
    Prokofiev, sonate per pianoforte n.4, 7, 9.
    Alexander Melnikov, pianoforte.
    Hamonia Mundi 2019
    ***
    Ritorna a Prokofiev l'imprevedibile ed eclettico pianista russo Alexander Melnikov. Dopo il primo disco, che comprendeva le sonate 2, 6, 8, questa seconda registrazione contiene tre sonate, le n. 4, 7, 9, molto diverse tra loro per stile e periodo di composizione. Se la settima sonata è probabilmente una delle pagine più note per pianoforte di Prokofiev, le altre due sono decisamente meno conosciute.
    Nella quarta sonata (1917), piuttosto cupa e introspettiva, così come nella più serena e comunicativa nona sonata (1947), Melnikov è davvero superlativo nel restituirci emozioni, contrasti improvvisi, cambi di colori e ritmi, con una sensibilità e una poesia poco comuni. Questa sua magistrale interpretazione della nona sonata è probabilmente una delle migliori in discografia.
    Mi ha lasciato invece piuttosto perplesso nella settima sonata (una delle tre sonate "di guerra"), affrontata da un lato con grande intensità, dall'altro con un'insolita e sorprendente prudenza. Se nella versione di Richter (che ne fu il primo esecutore, dopo averla imparata in soli quattro giorni) ci sembra di sentire i colpi dei cannoni e le bombe che esplodono, se nell'altra famosa interpretazione, quella di Pollini, siamo pervasi da una furiosa disperazione, sembra che qui Melnikov abbia meno successo nel trovare una propria visione interpretativa di questo lavoro, sicuramente più appariscente e virtuosistico rispetto alle altre due sonate del disco, più posate e reticenti. Il diabolico e difficilissimo ultimo movimento in 7/8 viene affrontato con insolita e disarmante lentezza, che rende priva di senso l'indicazione di "Precipitato" del compositore.
    Peccato, ma anche poco male, perché il disco è comunque da ricordare per le altre due sonate.
    Un altro passo falso di questo disco, purtroppo, è la qualità della registrazione, realizzata nei celebri Teldex Studio di Berlino: nonostante la dinamica e i timbri del pianoforte siano ottimamente restituiti, l'immagine del pianoforte sembra quasi quella di un'orchestra, con gli alti tutti a sinistra, i medi in mezzo e i bassi tutti a destra. Una scelta davvero incomprensibile da parte di un etichetta di livello come Harmonia Mundi.

  15. happygiraffe
    Chanson d’amour, melodie di Debussy, Ravel, Fauré, Poulenc per soprano e pianoforte.
    Sabina Devieilhe, soprano, Alexandre Tharaud, pianoforte.
    Erato 2020
    ***
    Avevamo lasciato Sabina Devieilhe alle prese con le cantate italiane di Handel in uno dei dischi più belli del 2018 e ora la ritroviamo in un bellissimo recital di melodie francesi di Debussy, Ravel. Fauré e Poulenc, accompagnata da un pianista d’eccezione, Alexandre Tharaud. 
    Intendiamoci, di dischi così (melodie francesi a cavallo tra ‘800 e ‘900, titolo e copertina ammiccanti) se ne vedono tanti e non c’è cantante francese che si rispetti che non ne abbia uno a catalogo (vedasi Natalie Dessay, Sandrine Piau, Véronique Gens, Patricia Petibon) ed è giusto che sia così perché il repertorio di quel periodo è talmente bello, ricco, vario che sarebbe un delitto non approfittarne.
    La Devieilhe ce ne aveva già dato un assaggio gustoso in Mirages del 2017.
    Qui Devieilhe e Tharaud costruiscono il loro recital intorno alle 5 Mélodies populaires grecques di Ravel e alle 6 Ariettes oubliées di Debussy, contornandole di tanti altri brani degli stessi Debussy e Ravel, così come di Fauré e Poulenc. 
    Sono arie spesso brevi, sintetiche, folgoranti, ricche di pathos come di umorismo, commoventi o divertenti, dove l’inventiva e la sensibilità dei due danno il meglio nel rendere la raffinatezza, la grazia e la varietà di emozioni di questa raccolta.
    Ma su tutto troneggia la voce incredibile di Sabine Devieilhe, ormai da tempo considerata l’erede della Dessay. Una voce limpida e pura, delicata come un flauto dolce, dove la leggerezza è compensata una freschezza e una naturalezza da togliere il fiato (a chi ascolta!). Devo ammettere che l’ascolterei volentieri anche se cantasse l’elenco del telefono!
    Tharaud è un accompagnatore attento e raffinato e l’affiatamento tra i due è evidente e non risale a questo disco.
    Se volete regalarvi un’ora di felicità, non posso che consigliarvelo.
     
  16. happygiraffe
    Robert Schumann, Myrthen Op.25.
    Christian Gerhaher, baritono, Camilla Tilling, soprano, Gerold Huber, pianoforte.
    Sony Classical, 2019
    ***
    Christin Gerhaher e Gerold Huber riprendono l'integrale dei lieder di Robert Schumann cominciata un anno fa. Se il primo disco della raccolta affiancava ai relativamente noti Kerner Lieder Op.35 dei brani decisamente meno conosciuti, questo secondo disco è interamente dedicato a uno dei cicli più popolari di Schumann, Mythen Op.25, composto nel 1840 quando, dopo anni di composizioni per pianoforte, il compositore tedesco si gettò improvvisamente nella scrittura di questi lieder, poi raccolti in quattro quaderni e offerti in dono a Clara alla vigilia del loro matrimonio.
    Il tono è di vibrante ardore giovanile, siamo ancora ben lontani dai tormenti delle raccolte successive, con qualche sorprendente eccezione, quale ad esempio l'incredibile e misterioso Aus den hebräischen Gesängen, che potrebbe essere stato composto diversi decenni dopo.
    I testi attingono da brani di 9 poeti diversi, che spaziano da Rückert a Goethe, da Byron a Heine, e non sembrano seguire un filo logico, come ad esempio in Dichterliebe, tuttavia Gerhaher nelle belle note che accompagnano il disco ci descrive come in realtà i quattro quaderni seguano una certa struttura formale.
    A Gerhaher si affianca in questo disco il soprano svedese Camilla Tilling. I due cantanti si dividono equamente i diversi lieder, con la voce chiara e brillante della Tilling che ben si accoppia al timbro caldo e ambrato di Gerhaher. Huber conferma di essere molto di più di un semplice accompagnatore attento e sensibile.
    Se il primo capitolo di questa integrale era, nella mia personalissima classifica, ai primi posti tra i dischi del 2018, questo secondo capitolo balza subito in vetta tra i migliori dischi del 2019. La musica è splendida, gli interpreti sono straordinari e perfettamente affiatati e la qualità della registrazione rende loro giustizia.
    Segnalo il breve saggio di Gerhaher nelle note di copertina, ahimè solo in inglese e tedesco.

  17. happygiraffe
    Igor Stravinsky: Concerto per violino e orchestra in re maggiore e composizioni da camera.
    Isabelle Faust, violino; Les Siècles, dir.François-Xavier Roth.
    Harmonia Mundi, 2023.
    ***
    Ho sempre trovato Stravinsky un compositore piuttosto controverso. Geniale nel rompere con la tradizione con l’innovativa e scandalosa (per il pubblico parigino del 1913) Sagra della Primavera, eclettico nel passare successivamente a un linguaggio volto alla reinterpretazione dei modelli classici, per poi clamorosamente approdare alla musica dodecafonica e seriale, ma a modo suo, ovvero con un occhio rivolto al tempo stesso alla musica polifonica rinascimentale. 
    Prolifico ogni oltre misura, difficile da etichettare, a volte mi chiedo cosa rimanga di Stravinsky a 110 anni da quella serata di maggio al Théatre des Champs-Elisées in cui sconvolse il pubblico parigino e mi accorgo che mi trovo ad apprezzare più il suo periodo neoclassico di quelli precedenti, per non parlare di quello successivo dodecafonico.
    In quest’ottica, del tutto personale, mi è piaciuto moltissimo questo disco della violinista tedesca Isabelle Faust con l’orchestra Les Siècles, nota per il fatto che suona strumenti dei primi del ‘900, e del suo direttore François-Xavier Roth.
    Questo disco idealmente segue questi due dischi, entrambi del 2021:


    Qui il concerto per violino occupa gran parte del programma, per la restante parte parte composto da musica da camera.
    Composto nel 1931, il concerto per violino si discosta completamente dai modelli del concerto romantico e tardoromantico, puntando invece a un’oggettività neoclassica, priva di sentimentalismi e virtuosismi. In quello che la Faust chiama un concerto brandeburghese del XX secolo, il violino dialoga principalmente con gli strumenti a fiato in una partitura quasi cameristica, orchestrata magistralmente in un gioco di colori e richiami timbrici, in cui l’orchestra Les Siècles, dal suono così diverso da quello lussureggiante e setoso delle moderne orchestre, fa meraviglie.
    Questa lettura del concerto mi ha stupito per il grande equilibrio, la chiarezza della trama e la raffinatezza timbrica, con la Faust che dialoga con gli altri strumenti senza mai volerli sovrastare.
    Seguono il concerto alcune brevi composizioni da camera: i tre pezzi per quartetto d’archi del 1914 (sensazionale il terzo!), il Concertino per quartetto d’archi (1920) in un unico movimento, l’incantevole e elegante Pastorale nella trascrizione del 1933 per violino (al posto della voce), oboe, corno inglese, clarinetto e fagotto e per finire il brevissimo doppio canone per quartetto d’archi.
    Tirando le somme, un disco eccellente e ottimamente registrato, con una versione finalmente convincente del concerto per violino e una serie di composizioni di camera che è stato un piacere scoprire.

     
     
     
  18. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Gabriel Fauré, Nocturnes.
    Eric Le Sage, pianoforte.
    Alpha, 2019.
    ***
    Gabriel Fauré (1845-1924) fu un compositore particolare: pur rimanendo ancorato a certi modelli compositivi del passato e impermeabile rispetto all'evoluzione del linguaggio musicale suo contemporaneo, e in questo senso fu sempre indietro rispetto ai suoi tempi, sviluppò uno stile originale, raffinato e di grande fascino. 
    I tredici Nocturnes di questa raccolta furono composti nell'arco di mezzo secolo, dal 1875 al 1921, e testimoniano l'evoluzione dello stile del compositore francese. Se i primi si rifanno dichiaratamente al modello di Chopin, con il tempo Fauré sviluppa un linguaggio originale, lirico, meditavo, equilibrato, molto affascinante dal punto di visto armonico. Per carità, non tutti sono ugualmente belli o interessanti, ma ci sono dei pezzi di assoluta bellezza, come il sesto Nocturne, ma non solo quello, dopo il quale lo stile di Fauré si fa via via sempre più spoglio e concentrato.
    E' un peccato che questi brani e questo tipo di repertorio non sia più diffuso e sia praticamente appannaggio dei soli pianisti francesi. 
    Eric La Sage è certamente uno specialista di questo genere di repertorio: ha inciso tutta la musica da camera con pianoforte di Fauré e tutta la musica per pianoforte di Poulenc (oltre all'integrale della musica per pianoforte e da camera di Schumann, ma questa è un'altra storia).
    La Sage sfodera qui una grande sensibilità interpretativa e svolge la matassa del discorso musicale, a tratti anche denso e complesso, con grande chiarezza e naturalezza, e con un'ampia tavolozza di timbri a disposizione.
    Buona la qualità della registrazione, disponibile in formato liquido a 24 bits/88.20 kHz, con il pianoforte reso in modo limpido, omogeneo e coerente.
    In conclusione un disco che consiglio, sia per la scelta del repertorio, molto bello e ingiustamente trascurato, che per la qualità dell'interpretazione.
  19. happygiraffe
    Michael Tilson Thomas:"You come here often?"; Teddy Abrams, Concerto per pianoforte.
    Yuja Wang, pianoforte; Louisville Orchestra, dir.Teddy Abrams.
    DG 2023
    ***
    Yuja Wang, oltre essere una pianista fenomenale, è anche una ragazza estroversa e esuberante. Basta ascoltare qualche intervista o guardare il suo abbigliamento ai concerti o anche solo la copertina di questo disco per capirlo.
    E si deve essere divertita molto a suonare i pezzi di questo disco, composti per lei dagli amici Teddy Abrams e Michael Tilson Thomas.

    Il concerto per pianoforte di Abrams doveva essere un pezzo da affiancare in concerto alla Rhapsody in Blue di Gershwin, che ha il difetto di durare solo 16 minuti, ma poi il nostro compositore si è fatto un po' prendere la mano e ne è uscito un pezzo di circa 40 minuti. E' una sorta di pastiche che contiene un po' di tutto, da Gershwin appunto, ai musicals, alla musica da film (e forse pure da telefilm) e molto altro, pensato per mettere in risalto le mirabolanti qualità tecniche della Wang. E' musica leggera, frizzante, spensierata e divertente. Fa battere il ritmo con il piede e mette di buon umore. Si ascolta volentieri, insomma, ma 40 minuti sono tanti e può diventare un po' stucchevole.
    Apre il disco un breve pezzo del direttore d'orchestra e compositore Michael Tilson Thomas "You come here often", lo stile è sempre molto brillante, ma più riflessivo. Perfetto per i bis pirotecnici dei concerti di Yuja!
    In sinstesi un programma molto brillante, suonato divinamente dalla Wang (e come poteva essere diversamente?), di facile ascolto, ma non so di quanto facile riascolto (forse quando abbiamo bisogno di tirarci su il morale?). 
     
     
     
  20. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    César Franck (1822-1890)
    - Prélude, Choral et Fugue, M.21
    - Prélude, Aria et Final, M. 23
    - Quintetto per pianoforte, M. 7
    - Prélude da Prélude, Fugue et Variation, M. 30
    Michel Dalberto, pianoforte, Novus Quartet.
    Aparté 2019.
    ***
    Il pianista francese Michel Dalberto raccoglie in questo disco alcune tra le pagine più belle di musica da camera scritte dal compositore belga César Franck: il famoso Prélude, Choral et Fugue del 1884, il Prélude, Aria et Final, composto due anni più tardi e il Quintetto per pianoforte del 1879, eseguito qui insieme al Novus Quartet.
    Sono brani che Dalberto ha nel proprio DNA: è proprio lui a dirci nelle belle note di copertina di aver studiato il Prélude, Aria et Final al Conservatorio di Parigi con il grande Vlado Perlemuter, a sua volta allievo del grandissimo Alfred Cortot.

    Sia il Prélude, Choral et Fugue che il Prélude, Choral et Fugue sono opere caratterizzate da una complessa struttura architettonica, caratterizzata dalla forma tripartita e da quella ciclica, così ricorrente in Franck, così come da una scrittura che trae molto dall'organo.
    Se è evidente l'ispirazione bachiana e religiosa del primo dei due pezzi, dal tono mistico e solenne, il secondo invece è di carattere sicuramente più profano e più visibilmente virtuosistico.
    L'esecuzione di Dalberto è semplicemente magistrale, per la chiarezza della polifonia, la lucidità interpretativa, il senso della struttura e per la palette di colori che riesce a estrarre dallo strumento, un meraviglioso Boesendorfer Vienna Concert 280.
    Mi lascia più perplesso la seconda parte del programma dedicata al quintetto per pianoforte e archi in fa minore, considerato insieme alla famosa sonata per violino e pianoforte in la maggiore e al quartetto in re maggiore una delle composizioni cameristiche più significative di Franck. Dalberto è accompagnato dal Novus Quartet, una giovane compagine coreana, giù piuttosto nota. Ho trovato la loro interpretazione piuttosto cerebrale, a tratti anche aspra, complessivamente non particolarmente emozionante. Se si prende come paragone l'esecuzione del quartetto Amadeus con Clifford Curzon (Ed.BBC Legends), così vivace, trascinante e ricca di pathos, si capisce di essere ad una distanza siderale rispetto al Novus con Dalberto.

    Il disco si chiude con il Prélude dal Prélude, Fugue et Variation, trascrizione della versione originale per organo: semplicemente meraviglioso! Tre minuti di musica celestiale. 
    Così si chiude il disco e subito viene il desiderio di rimetterlo dall'inizio!
     
    Notevole la qualità della registrazione, realizzata alla Salle Philarmonie di Liegi, che restituisce molto bene la gamma timbrica e dinamica del pianoforte.
    Disponibile in 96/24.
  21. happygiraffe
    Mendelssohn: Vatiations sérieuses Op.54, Romanze senza parole, Phantasie Op.15.
    Rachmaninov: Scherzo da "Sogno da una notte di mezza estate" Op.61.
    Peter Donohoe, pianoforte.
    Chandos, 2023.

    ***
    Con questo secondo volume delle Romanze senza parole di Mendelssohn Peter Donohoe conclude il percorso iniziato a gennaio del 2022 con la prima raccolta:
     

    Le Romanze senza parole furono composte in un arco di tempo piuttosto lungo, tra il 1829 e il 1945. e pubblicate in otto raccolte di sei brani ciascuna. Si tratta di brevi brani di due, tre minuti al massimo, caratterizzati da uno stile intimo e cordiale e da una tecnica non virtuosistica. Donohoe non li esegue in ordine cronologico, ma li mischia in modo da offrire un'esperienza di ascolto più varia e interessante. Donohoe affronta questi brani con un tocco leggero e brillante e con consumato mestiere. Detto questo, per quanto graziose possano essere le Romanze senza parole e per quanto queste miniature possano essere giustamente ricordate come dei piccoli capolavori, alla lunga possano stancare (mia personalissima opinione e ricorrente esperienza con questi brani  ), non avendo il Mendelssohn quelle caratteristiche che rendono alle mie orecchie più interessanti i suoi compositori coevi: la visionaria e appassionata follia di Schumann, la febbrile disperazione di Chopin, la tragica malinconia di Schubert, il diabolico e irrequieto virtuosismo di Liszt.
    E così il nostro Donohoe, come aveva già fatto nel primo volume di questa raccolta, ben fa ad accostare altri brani alle Romanze. Il disco si apre infatti con le frizzanti Variations sérieuses e si chiude con la meno nota Phantasie Op.15 sulla canone irlandese "The last rose of summer" e infine il diabolico arrangiamento di Rachmaninov dello Scherzo dal Sogno di una notte di mezza estate, che ci risveglia dopo un'ora e venti di intime e morigerate confessioni romantiche.
    Nel complesso un ottimo disco, suonato in maniera ideale dall'irreprensibile Peter Donohoe.
     
  22. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Leoš Janáček: quartetto per archi No. 1 "Kreutzer Sonata", quartetto per archi No. 2 "Intimate letters"
    György Ligeti: quartetto per archi No. 1 "Métamorphoses Nocturnes"
    Quartetto Belcea
    Alpha Classics 2019
    ***
    Per una volta anticipo le conclusioni e vi dico subito che questo è un gran bel disco, sia per il programma tutto novecentesco, che mette insieme i meravigliosi quartetti di Janáček e il primo quartetto di Ligeti, che naturalmente per come è suonato dal Belcea Quartet.
    Curiosa la parabola artistica di Leoš Janáček, compositore moravo nato nel 1854 e morto nel 1928. Considerato uno dei massimi compositori dei primi decenni del ‘900, specialmente nel repertorio operistico, scrisse la gran parte dei lavori per cui è ricordato oggi solo negli ultimi 10-15 anni della sua vita e raggiunse un certo successo solo in tarda età.
    Sarebbe curioso anche accostare il percorso del moravo Janáček a quello del suo coevo Gustav Mahler, nato solo a un paio di centinaia di chilometri di distanza: mentre il primo rinnovò il linguaggio tardo-romantico di Smetana e Dvorak tramite una concezione molto libera dell’armonia e con un interesse da un lato per le avanguardie europee e l’espressionismo e dall’altro per il folklore moravo, il secondo fu forse l’ultimo straordinario erede del sinfonismo tedesco e non riuscì mai a rompere con le convenzioni del linguaggio tonale. Ma questo va ben oltre la recensione di questo disco, per cui se ne parlerà un’altra volta.
    Curioso invece che il Belcea quartet abbia deciso di ritornare in studio per registrare i due quartetti di Janáček dopo il successo che aveva riscosso proprio con il loro disco del 2003, ma questi due quartetti di Janáček sono talmente belli, che ogni nuova registrazione è benvenuta!

    Il disco del 2003.
    Il primo quartetto del 1923 trae spunto dal famoso racconto di Tolstoj “La sonata a Kreutzer”, in cui il protagonista arriva a uccidere la moglie per il sospetto che questa l’abbia tradito con un violinista, che lui stesso aveva presentato alla consorte, violinista che si faceva accompagnare dalla donna nella celebre sonata di Beethoven. La musica di Janáček si rifà all’atmosfera drammatica del racconto, che viene descritta con uno stile originale, procedendo tramite la contrapposizione di blocchi tematici diversi, con frequenti e bruschi cambiamenti di tempo, di tonalità, di espressione. Un tema ricorrente in tutti i movimenti, una sorta di leitmotiv, crea l’effetto di coesione di quest’opera.
    Il secondo quartetto del 1928, intitolato “Lettere intime” nasce invece dalla passione che infiammò il sessantenne Janáček per la giovane Kamila Stõsslovà. Leoš scrisse a Kamila più di 600 lettere in un periodo di 10 anni, fino a quando la moglie Zdenka non scoprì questa corrispondenza e lo convinse a bruciare tutte le lettere. Janáček le bruciò, ma decise comunque di raggiungere la sua amata e di mettere in musica la sua corrispondenza amorosa e i sentimenti e le emozioni di questa storia d’amore. Janáček morì sei mesi dopo aver terminato di comporre questo quartetto, a 74 anni.

    Janáček riprese in questo secondo quartetto alcuni elementi compositivi del primo, come le forti contrapposizioni ritrmiche e dinamici e il succedersi di episodi brevi e diversi, ma in un contesto più vario e comunicativo e decisamente meno drammatico.
    Nonostante il linguaggio originale e innovativo, sono entrambi lavori molto ascoltabili anche per chi frequenta poco la musica del ‘900 e che riescono a trasmettere grandi passioni e emozioni.
    Certamente il merito qui va allo straordinario quartetto Belcea, che affronta queste opere facendo rivivere tutte le emozioni che percorrevano l’anziano Janáček. Rispetto all’incisione del 2013 i tempi sono lievemente più lenti e l’impressione è che il Belcea controlli di più l’energia che scorre abbondante tra queste pagine, a vantaggio della trasparenza e dell’equilibrio tra le varie voci, senza perdere però in immediatezza e dinamismo. Gli ingegneri del suono di Alpha ci restituiscono un’immagine sonora del quartetto con i quattro strumenti molto vicini a noi e ben definiti nello spazio, cosa che va a vantaggio della chiarezza e della percezione dei dettagli. Il rovescio della medaglia è che si perde a mio avviso in coesione e naturalezza, che invece non mancavano nella registrazione del 2013.
    Ma il disco non finisce qui, perché l’ascolto prosegue con il primo quartetto del compositore ungherese György Ligeti (1923-2006), intitolato “Metamorfosi notturne”, che fu terminato nel 1954, due anni prima che il compositore lasciasse la patria per fuggire a Vienna, in seguito alla repressione sovietica della rivolta.

    Questo primo quartetto risente molto dell’influenza inevitabile di Béla Bartók ed è molto diversa dallo stile di Ligeti che conosciamo di più, che è quello degli anni ’60 e ’70. Non mancano però gli elementi di originalità. Definito da Ligeti come una “serie di variazioni senza un vero e proprio tema”, esplora in vario modo le possibilità degli strumenti, creando un universo sonoro che riesce a spiazzare continuamente l’ascoltatore, ma anche a rassicurarlo e a catturarlo, con un certo malizioso umorismo, nel suo percorso.
    Il Belcea dimostra una straordinaria affinità con questa musica, che richiede grandi capacità tecniche: l’esecuzione è assolutamente impeccabile e emozionante al tempo stesso. A mio avviso qui siamo ai livelli, se non meglio, del mio personale riferimento che è il quartetto Arditti.
    In conclusione, un gran bel disco di musica da camera del ‘900, ben pensato, ottimamente eseguito e assolutamente godibilissimo!  
  23. happygiraffe
    Beethoven, concerti per pianoforte n.2 e n.5 "Imperatore".
    Kristian Bezuidenhout, fortepiano; Freiburger Barockorchester, direttore Pablo Heras-Casado.
    Harmonia Mundi 2020
    ***
    Devo ammettere che, al primo ascolto di questo disco, non ho seguito l’ordine delle tracce che prevederebbe prima il quinto e poi il secondo, ma sono passato direttamente al secondo concerto, uno dei miei preferiti. Non avevo particolari aspettative: stimo Bezuidenhout come un ottimo fortepianista, ma le sue incisioni dei concerti di Mozart sempre con Heras-Casado non mi avevano entusiasmato. E invece…BANG!!…sono stato letteralmente cappottato sul divano! 

    La sensazione che ho provato è stata quella di ascoltare quel concerto per la prima volta, ma anche di essere trasportato nello spazio e nel tempo al momento della sua prima esecuzione.
    Non è solo l’effetto degli strumenti d’epoca (Bezuidenhout suona una replica del 1989 di un Graf del 1824), dei tempi vivaci, del piglio energico del solista e del direttore e dell’affiatamento che c’è tra i due, ma c’è dell’altro e precisamente una freschezza di approccio e una certa libertà che ricorda l’improvvisazione, come se questi pezzi fossero eseguiti per la prima volta. E’ come se Bezuidenhout e Heras-Casado si fossero dimenticati di due secoli di tradizione interpretativa, tale è la spontaneità con cui rivisitano queste pagine.

    E del resto lo stesso Beethoven, ci ricorda Bezuidenhout nelle note di copertina, alle prime esecuzioni dei suoi concerti lasciava molto spazio all’improvvisazione, non avendone ancora ultimato la partitura in ogni dettaglio, al punto da presentarsi con i fogli della parte per pianoforte appena abbozzati o spesso completamente bianchi!
    Sempre Bezuidenhout conferma le nostre sensazioni, dichiarando che l’approccio seguito nelle sedute di registrazione è stato proprio quello di combinare lo studio approfondito delle edizioni critiche moderne con una maniera di suonare rispettosa di quelle che erano le abitudini ai tempi di Beethoven, vale a dire di “usare il testo come una sorta di canovaccio o, se vogliamo, di trampolino”.
    Nel complesso ho trovato assolutamente entusiasmante il secondo concerto, mentre un po’ più tradizionale il quinto, ma non per questo meno interessante. In entrambi si percepisce in ogni momento una totale immedesimazione nello spirito di questa musica.
    Per le cadenze, nel secondo concerto Bezuidenhout ha rielaborato dei materiali scritti da Beethoven per la cadenza del primo concerto, mentre per il quinto concerto ha utilizzato una trascrizione della cadenza improvvisata da Robert Levin per la registrazione del 1999 con John Eliot Gardiner (Archiv).
    Praticamente irreprensibile la qualità della registrazione, come da standard Harmonia Mundi.
    Consigliatissimo!
     
  24. happygiraffe
    Mi è capitato di ascoltare negli stessi giorni due dischi dedicati a Schubert di due artisti molto diversi tra loro e così ho deciso di farli salire sul ring per una sfida all'ultima nota.
    Signore e signori, preparatevi a un incontro senza pari. Da un lato l'esuberante georgiana Khatia Buniatishvili, classe 1987, dall'altro lo schivo pianista tedesco Alexander Lonquich, classe 1960.
    Partiamo dalla veste grafica.
    Khatia si presenta come una novella Ophelia, vestita di bianco e semi-annegata in acque torbide:

    Se da un lato vien da pensare al celebre Lied "La morte e la fanciulla", visivamente questa immagine richiama la celebre Ophelia del pittore preraffaellita John Everett Millais:

    Passiamo alla copertina del disco di Lonquich, dove ci appare un primo piano del pianista con gli occhi chiusi, di tre quarti, in penombra, con uno sfondo nero:

    Per una strana associazione della mia mente stramba, a me questa immagine ha fatto venire in mente il Kurtz di Marlon Brando in Apocalypse Now di Coppola:

    Per fortuna, appena aperto il libretto Lonquich ci appare in un ritratto vagamente più rassicurante con gli occhi aperti:

    Dovendo scegliere tra le due, la mia preferenza va a Khatia, per aver avuto il coraggio di posare nell'acqua gelida pur di realizzare questa copertina 
    Copertina: Khatia Vs Alexander 1-0.
    Passiamo ora ai programmi dei due dischi:
    Khatia Buniatishvili esegue di Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 4 Improvvisi Op.90, D.899
    - Ständchen, trascrizione di Franz Liszt S. 560/7 dal Lied D.957/4
    Alexander Lonquich invece esegue di Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.19 D.958
    - Sonata per pianoforte N.20 D.959
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 3 Klavierstucke D.946
    Il disco si intitola 1828, anno in cui furono composte queste opere e anno in cui morì il giovane Franz.
    Decisamente più denso e impegnativo il programma presentato da Lonquich.
    Voto sul programma: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Proseguiamo e andiamo a leggerci i libretti che accompagnano i due dischi.
    Cominciamo da quello della Buniatishvili.
    Al di là di altri due ritratti della giovane georgiana sempre immersa nelle stesse acque fredde e torbide della copertina, il libretto ci stupisce per un breve saggio della stessa pianista intitolato "Note di una femminista", dove ci parla del lato femminile, della vulnerabilità e della grande sensibilità di Schubert. Rimango un po' perplesso e rimango in ogni caso convinto che il femminismo sia una cosa ben diversa da quanto ci dice Khatia.
    Passo al libretto del disco di Lonquich, dove trovo un saggio anche in questo caso scritto dall'interprete stesso. Lonquich analizza le quattro opere in programma, fornendo spunti e rimandi molto interessanti. Davvero un'ottima lettura, che ci serve anche per capire le scelte interpretative.
    Anche per il libretto non c'è storia...
    Voto sul libretto: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Passiamo ora alla parte più gustosa: il confronto tra le due interpretazioni.
    Le scelte dei due pianisti non potrebbero essere più diverse. In verità, ho trovato entrambi i dischi spiazzanti, ma per motivi opposti. 
    La lettura della Buniatishvili, che come sappiamo mira a esaltare l'aspetto femminile di Schubert, tende a restituirci un'atmosfera ovattata di calma assoluta, in cui ogni asperità appare smussata, ogni contrasto appiattito. Il rischio che corre è che le "celestiali lunghezze" di Schubert (come le aveva definite Schumann), diventino dei languidi momenti di torpore. La sonata D.960 scivola via con dolcezza, senza troppi sussulti, se non fosse per alcune repentine accelerazioni e decelerazioni, che spesso non sembrano giustificate. Anche i quattro improvvisi op.90 non lasciano il segno e confermano l'impressione di un'interpretazione che, nonostante le intenzioni, non vada mai in profondità.
    Ho trovato anche la lettura di Lonquich piuttosto spiazzante e ammetto di aver ascoltato il disco più volte prima di ritrovarmici. Il suo è uno Schubert molto diverso da quello al quale siamo abituati. Diciamo innanzitutto che Lonquich sembra non voler fare molto per compiacere l'ascoltatore: Il timbro è spesso spigoloso e duro, dimentichiamoci il suono morbido e raffinato di un Brendel o addirittura di Zimerman e lo Schubert intimo e consolatorio che ci ha tramandato la tradizione. Al contrario di Khatia, i contrasti vengono portati all'estremo e ogni piccola asperità della partitura viene enfatizzata, restituendoci uno Schubert tormentato, in cui la tensione drammatica viene amplificata nota per nota, creando un collegamento evidente con l'ultimo Beethoven. Si percepisce che quella di Lonquich è una visione maturata a lungo nel corso degli e che questa interpretazione è il frutto di un'analisi e di uno studio che hanno scavato a fondo la partitura. Il risultato può essere più o meno persuasivo (personalmente ho apprezzato di più la 958 e la 960 del resto del programma) e soprattutto può convincere o meno l'ascoltatore, abituato ad ascoltare uno Schubert generalmente molto diverso da questo, ma comunque penso che meriti un grande rispetto. 
    Dovendo scegliere tra le interpretazioni di Khatia e Alexander, anche qui non ho dubbi. La lettura di Lonquich, per quanto spiazzante e molto personale, lascia il segno e rimane impressa nella memoria. Quella di Khatia, non me ne voglia!, l'ho trovata acerba e superficiale.
    Voto sull'interpretazione: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Un'ultima nota sulla qualità della registrazione dei due dischi. 
    Il pianoforte della Buniatishvili mostra un'enfasi eccessiva sul registro medio-basso, che appare gonfio  e riverberante, pur mantenendo una mano destra leggibile e chiara. Molto più omogeneo e limpido il suono del pianoforte di Lonquich, anche se un po' "asciutto", reso in ogni caso in maniera più realistica e convincente dagli ingegneri del suono dell'Alpha, che battono a sorpresa quelli di Sony.
    Voto sulla qualità della registrazione: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Siamo arrivati alla fine della nostra sfida: Alexander Lonquich sconfigge senza troppa fatica Khatia Buniatishvili, con il punteggio finale di 4 a 1.

    Ci farebbe piacere vedere un pianista del calibro di Lonquich più presente sul mercato discografico e sicuramente ci fa piacere vedere che l'etichetta Alpha gli abbia permesso di realizzare questo disco.
     
    ***
     
    I due contendenti di questa sfida:
    Khatia Buniatishvili, Schubert.
    - Franz Schubert, Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - Franz Schubert, 4 Improvvisi Op.90, D.899
    - Franz Schubert, Ständchen, trascrizione di Franz Liszt S. 560/7 dal Lied D.957/4
    Sony Classical, 2019.
    _____
    Alexander Lonquich, 1828.
    Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.19 D.958
    - Sonata per pianoforte N.20 D.959
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 3 Klavierstucke D.946
    Alpha, 2018.
  25. happygiraffe
    Franz Liszt, Années de pèlerinage première année, Suisse; Légende N.2, Saint François de Paule marchant sur les flots.
    Francesco Piemontesi, pianoforte.
    Orfeo 2018
    ***
    E’ uscito per Orfeo il primo volume delle Années de pèlerinage di Liszt ad opera del trentacinquenne pianista svizzero Francesco Piemontesi, già recensito su queste pagine in alcuni concerti di Mozart.
    Il CD è accompagnato da un DVD contenente un film di Bruno Monsaingeon, celebre regista canadese autore di molti ritratti dei maggiori musicisti del nostro tempo.
    E’ questo il primo capitolo di un progetto più ampio che comprenderà nei prossimi anni anche il secondo e terzo volume delle Années.

    Pubblicato nel 1855, il primo volume degli Anni di pellegrinaggio, dedicato alla Svizzera, raccoglie  materiale composto e rielaborato nell’arco di un ventennio e in parte già pubblicato dall’autore nell’Album d’un voyageur del 1842. Si tratta di una Suite di nove pezzi caratterizzata da evidenti riferimenti sia naturalistici che letterari. I brani sono infatti preceduti da citazioni di Schiller, Byron e Sénancour. 
    In questa raccolta ci sono alcune tra le pagine più belle e celebri che Liszt abbia composto, autentico banco di prova per i più grandi pianisti. Su alcune di esse si sono cimentati i più grandi specialisti lisztiani, dal grande Lazar Berman a Arrau, Kempff, Bolet e Brendel. 
    E proprio il grande pianista austriaco Alfred Brendel è stato uno dei maestri di Francesco Piemontesi, ma il pianista svizzero ha sviluppato un linguaggio proprio, piuttosto diverso da quello del suo maestro.
    Sebbene siano pezzi tecnicamente molto impegnativi, anche se non al livello degli Studi Trascendentali, l’aspetto virtuosistico passa decisamente in secondo piano, dominato in modo magistrale da Piemontesi. che appare sempre tranquillamente a proprio agio con queste pagine, affrontate con una sensibilità e una profondità di lettura poco comuni. Molto diverse le sue interpretazioni ad esempio da quelle di Bertrand Chamayou (Naive, 2011), più rapide, effervescenti e, sì, più virtuosistiche.
    Siamo certamente di fronte a un disco importante di un artista maturo, in grado di competere con i mie riferimenti, anche se forse a Piemontesi manca ancora la sacralità di un Berman o il guizzo di un Brendel.
    Aspettiamo con curiosità i prossimi dischi. Il secondo volume è già stato inciso e dovrebbe essere in uscita nei prossimi mesi.

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