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  1. happygiraffe
    È un universo piuttosto animato e affollato quello che Robert Schumann ricreava con le sue composizioni per pianoforte! Personalità complessa e profondamente intrisa di cultura letteraria, Schumann amava affidare le varie sfaccettature del suo io a diversi personaggi che popolano i suoi lavori: a cominciare dal focoso e battagliero Florestano e il suo opposto, il sensibile e malinconico Eusebio, i due protagonisti della “lega dei compagni di Davide” che si battono contro il conservatorismo dei cosiddetti filistei; ma poi abbiamo anche i compositori suoi contemporanei Paganini e Chopin, le amiche Chiarina ed Estrella, le maschere della commedia dell’arte (tutti questi in Carnaval), un bambino e un poeta (in Kinderszenen), un cacciatore e addirittura un uccello profeta (in Waldszenen).
    Ma anche quando non compaiono esplicitamente nei titoli, sono i suoi due alter ego Florestano e Eusebio, con i quali Schumann firmava anche i suoi articoli sulla Neue Zeitschrift für Musik, la rivista musicale che aveva fondato insieme al suo insegnante e futuro suocero, che ricorrono più spesso in tutta la sua musica.
    Compositore e pianista al tempo stesso, almeno fino a quando non si infortunò gravemente alla mano e dovette cessare l'attività di concertista, Schumann compose moltissimo per il suo strumento. Ad eccezione delle tre sonate e della Fantasia, le opere pianistiche di Schumann sono prevalentemente raccolte di pezzi brevi, a volte brevissimi, incisivi, debordanti di folgoranti idee musicali, con uno stile compositivo immediatamente riconoscibile. 
    Qui di seguito abbiamo un elenco di ottimi dischi dedicati alla musica per pianoforte di Schumann. Nella selezione abbiamo spaziato nell'arco di diversi decenni, senza però andare fino alle incisioni storiche eccessivamente datate.
    Cominciamo dai russi e dal sommo Richter, che ci ha regalato incisioni meravigliose dedicate a Schumann.
    Qui le sue strepitose Waldszenen:

    La Fantasia:

    Memorabile anche questo disco della Regis (ma che ricompare periodicamente sotto altre etichette) con gli Etudes Symphoniques e i Bunte Blaetter:

    Un altro grandissimo interprete schumaniano è stato il mitico Horowitz, con un approccio totalmente agli antipodi da quello di Richter.
    Qui nelle Kinderszenen e nella Kreisleriana:

    Qui invece alle prese con Humoreske e terza sonata:

    Ci piace segnalare tra i russi anche il bravissimo Youri Egorov, purtroppo scomparso giovanissimo:

    Lasciando i pianisti russi, ma rimanendo ad Est, arriviamo a Geza Anda, purtroppo ultimamente un po' trascurato dalle etichette discografiche. Ricordo un doppio album della DG dedicato interamente a Schumann, ma ormai fuori catalogo da un pezzo. Vi propongo questo disco della Testament:

    Tra i tedeschi come non citare il grandisimo Wilhelm Kempff. Un economico cofanetto contenente cinque dischi incisi tra la fine degli anni '60 e gli inizi degli anni '70:

    C'è poi la generazione fortunata di Argerich, Pollini, Perahia, Ashkenazy e Lupu, ormai tutti oltre i 70 anni. Ecco alcuni dei loro migliori dischi dedicati a Schumann.
    Le Davidsbuendlertaenze di un giovane Perahia che rivelano la sua straordinaria affinità per il compositore tedesco:

    al quale fa idealmente seguito questo disco in cui un Perahia più maturo affronta la Kreisleriana e la prima sonata:
     
    E poi l'incantevole Schumann di Radu Lupu:

    agli antipodi dall'energico Pollini, sia in versione giovanile:

    che più matura:


    Non dimentichiamo l'integrale realizzata da Ashkenazy, già nell'era digitale, ora disponibile a un ottimo prezzo:

    Anche con Schumann la zampata felina di Martha Argerich ha lasciato il segno:

    In questi ultimi anni, invece, il polacco Piotr Anderszerwski si rivelato per uno dei migliori interpreti di Schumann. Bellissimo questo disco:

    Chiudiamo questa carrellata con le memorabili Waldszenen di Arcadi Volodos in questo bellissimo disco dal vivo:

    Chiudiamo qui la nostra personalissima selezione dedicata a chi voglia lanciarsi nel mondo di Schumann. Ovviamente se volete segnalarci altre incisioni, potete farlo qui di seguito!
  2. happygiraffe

    Recensioni : orchestrale
    Bottesini: Gran Duo concertante
    Piazzolla: Le Grand Tango
    Rota: Divertimento concertante Ödön Rácz, contrabbasso.
    Noah Bendix-Balgley, violino.
    Franz Liszt Chamber Orchestra
    Speranza Scapucci, direttore.   Deutsche Grammophon, 2019   *** Ammetiamolo, tra gli strumenti ad arco il contrabbasso è sicuramente quello più trascurato dai compositori, pur rivestendo un ruolo fondamentale all'interno dell'orchestra.  Stupisce quindi vedere che DG pubblichi un disco interamente dedicato a musiche per contrabbasso.
    Qui è il virtuoso ungherese Ödön Rácz che si cimenta con alcune delle pagine più note (agli esperti!) composte per questo strumento: il Gran Duo Concertante di Bottesini e il il Divertimento Concertante di Nino Rota.
    Giovanni Bottesini (1821-1889) fu un celebre contrabbassista, compositore e direttore d'orchestra ottocentesco, noto come il "Paganini del contrabbasso". Fu autore di diverse composizioni per questo strumento, tra cui questo Gran Duo concertante, qui nella trascrizione per contrabbasso e violino dall'originale (meno nota) per due contrabbassi. 
    Si tratta di un bel pezzo di bravura, assolutamente godibile. Ho trovato tuttavia più interessante la seconda parte del programma, con il Divertimento Concertante per contrabbasso e orchestra di Nino Rota (1911-1979). Notissimo e prolifico compositore di musica per film (realizzò 157 colonne sonore!), Rota ebbe anche una consistente produzione di musica classica tradizionale di stampo neoclassico.
    Questo Divertimento Concertante ha una storia particolare. Bisogna sapere che Rota insegnò a lungo al Conservatorio di Bari e ne fu direttore dal 1950 fino al 1977. Nella stanza sopra il suo ufficio dal 1967 si tenevano i corsi di contrabbasso tenuti dal grandissimo virtuoso Franco Petracchi, che gli commissionò un'opera per il suo strumento. Il Divertimento fu composto tra il 1967 e il 1969. Se il secondo movimento, " Marcia", riprende scherzosamente alcuni degli esercizi che Petracchi faceva fare ai suoi allievi e che il povero Rota era costretto a sentire tutti i giorni dal piano di sotto, il terzo movimento "Aria", fu in origine composto per la colonna sonora del film "Dottor Zivago", progetto che poi per varie ragioni fallì e fu affidato a Maurice Jarre, che ci vinse l'Oscar.
    Il Divertimento Concertante è un lavoro brillante, pieno di humour e di momenti vivaci, così come di momenti più riflessivi e malinconici, come nel terzo movimento. Ricorda spesso il Prokofiev più sereno e scherzoso.
    Ödön Rácz è un grande: suona il suo contrabbasso con una sensibilità difficilmente immaginabile e riesce a farlo cantare con la grazia e la dolcezza dei suoi fratelli più piccoli.
    In sintesi, un disco molto piacevole, che raccomando volentieri!
  3. happygiraffe
    Franz Schubert, Winterreise D.911.
    Ian Bostridge, tenore, Thomas Adés, pianoforte.
    Pentatone 2019
    ***
    Il tenore inglese Ian Bostridge è molto legato al Winterreise, il famoso e magnifico ciclo di lieder di Franz Schubert. E’ l’opera con la quale debuttò nel 1993, l’aveva incisa nel 1997 per un documentario e l’aveva già portata su disco nel 2004 con Leif Ove Andsnes, in un’ottima interpretazione.

    Bostridge con Andsnes.
     
    Bostridge è un cantante con un timbro e uno stile così particolari, che solitamente il pubblico si divide tra fervidi ammiratori e inaciditi detrattori.
    Non essendo né l’uno, né l’altro, mi sono approcciato a questo disco, senza particolari pregiudizi, con solo un lontano ricordo della sua precedente incisione con Andsnes e natualmente la conoscenza di tante altre versioni, comprese quelle relativamente recenti di Goerne (con un grande Eschenbach al pianoforte) e Kaufmann.
    Al pianoforte troviamo Thomas Adés, compositore inglese tra i più famosi e eseguiti in questi anni, che già aveva collaborato con Bostridge in lavori propri. Insieme hanno eseguito Winterreise durante una serie di concerti in Europa e negli Stati Uniti e questo disco è la registrazione dal vivo di una serata alla Wigmore Hall di Londra a Settembre del 2018.

    Bostridge con Adés in concerto.
    La voce di Bostridge è così peculiare che il primo ascolto può essere sorprendente o sconcertante. Non stupisce certo per il bel timbro e, come dicevo sopra, la reazione può essere di amore o odio. Quello che però rende questo disco a mio avviso straordinario è l’assoluta autenticità della sua interpretazione. Bostridge si è calato nel ruolo e lo abita “dal di dentro” con una naturalezza e una ricchezza di accenti che mette i brividi. Probabilmente, trattandosi di una registrazione dal vivo, anche questo ha contribuito al pathos della sua lettura, insieme a certe libertà espressive che in studio di registrazione difficilmente si prendono.
    Thomas Adés si rivela un partner di prim’ordine, non tecnicamente sopraffino come un Andsnes o un Eschebanch, ma assolutamente efficace nella resa musicale. Adés sceglie uno stile più equilibrato e rassicurante che mette in risalto proprio la tormentata espressività di Bostridge.
    Tante le differenze con la registrazione con Andses nel 2004, com’è normale che sia. Su tutte segnalo l’insolita lentezza di Die Krähe, probabilmente due volte più lento di qualsiasi altra edizione, che acquista così un carattere del tutto nuovo, tra il misterioso e lo spettrale.
    In conclusione, questo è un disco che per me è stata una vera e propria rivelazione e che, per la potenza della narrazione più che per la bellezza del canto, merita di stare al fianco delle migliori letture del Winterreise.
    Ottima la qualità della registrazione, con gli ingegneri della Pentatone che riescono a metterci di fronte agli interpreti, senza farci percepire la presenza del pubblico.
  4. happygiraffe

    Recensioni Cuffie
    Come promesso, dopo un abbondante rodaggio eccomi qui a parlarvi delle Focal Clear. In realtà queste cuffie suonano abbastanza bene fin da subito, ma il suono è andato comunque modificandosi e assestandosi anche dopo diverse decine di ore di ascolto.
    Uscite nel 2018 non sono il top di gamma del catalogo Clear, ma con i loro 1.499€ a listino possiamo collocarle a metà strada tra le mirabolanti Utopia da 3.999€ e le più accessibili, ma non economiche, Elear (999€).
    Si tratta di cuffie dinamiche aperte: ciò vuol dire che chi le indossa sentirà i rumori dell’ambiente che lo circonda, quasi come se non le avesse addosso, e chi ci sta intorno sentirà un po’ di suono provenire dalle cuffie. Inutile pensare di usarle, quindi, in ambienti rumorosi, per strada, eccetera.

    Il design è sobrio e curato, l’accostamento dei colori, con il grigio dell’alluminio e il grigio chiaro dei cuscinetti e delle rifiniture, lo trovo moderno ed elegante.
    Pur non essendo leggerissime (450g), nell’uso si sono rivelate molto comode, ben bilanciate e con la giusta pressione sulla testa. I due cuscinetti in schiuma a memoria di forma rivestiti in microfibra, così come l’imbottitura dell’archetto, sono molto morbidi e confortevoli. Ho qualche dubbio sul fatto che col tempo tenderanno a sporcarsi, ma per il momento non sono in grado di parlarne.
    Dal punto di vista degli accessori, Focal fa le cose davvero in grande: le Clear sono dotate di una bella custodia semirigida in cui riporle e di addirittura tre (!) cavi: un cavo da 1.2m con jack da 3.5mm, un cavo da 3m bilanciato con spina XLR a 4 poli, 1 cavo da 3m con jack grande da 6.35mm.

    Ho apprezzato la presenza di tutti questi cavi, che ho avuto modo di usare tutti, e penso che tutti i produttori dovrebbero allinearsi a questa scelta. Il cavo ha una sezione importante ed è contraddistinto da una certa rigidità. Per darvi meglio l’idea, assomiglia un po’ al cavo del ferro da stiro (perdonatemi il paragone!). Questo non mi ha dato particolare fastidio durante l'ascolto, ma quando arriva il momento di riporre le cuffie, i cavi vanno un po' dove vogliono loro.

    Le Clear montano dei driver a M di produzione Focal da 40mm in lega di alluminio-magnesio.

    I trasduttori sono posizionati nella parte anteriore e rivolti all’indietro, con l’obiettivo di creare un ampio soundstage.

    La bassa impedenza le rende facilmente pilotabili anche da dispositivi portatili, tipo DAP e smartphone, ma se vogliamo rendere giustizia a queste cuffie bisogna abbinarle a un amplificatore di qualità.
    Per questo test ho usato l’irreprensibile Audio-GD Master 11, impiegando l’uscita bilanciata, ma ho ascoltato le Clear anche attaccandole a un più modesto ampli cuffia Matrix M-Stage o addirittura all’iPad. Ma con il Master 11 è proprio tutta un’altra storia!
    Test di ascolto
    Ho ascoltato un po' di tutto per questa recensione e devo ammettere che mi sono divertito parecchio. Qui di seguito ci sono le mie impressioni relative ai singoli ascolti. Se non avete voglia di leggerle, potete passare direttamente alle conclusioni in fondo alla pagina.

    The Allman brothers band, The 1971 Fillmore East recordings. Island Def Jam, 2014.
    You don't love me (first show). 24/192kHz.
    Le storiche registrazioni dei concerti al Fillmore East del 1971 degli Allman brothers. Rimango sbalordito: sembra di essere catapultati di fronte al palco la sera del concerto! La voce di Gregg Allman è limpida al centro circondata dagli strumenti dei suoi compagni. Solo la batteria suona un filo indietro. Il ritmo è pulsante, l’impatto è assolutamente realistico e viscerale. Comincio a battere il piede a tempo e mi perdo nella musica. Non ricordavo che questo disco fosse così bello. Cosa si può volere di più?

    Nirvana, Nevermind. Geffen, 2014.
    Smells like teen spirit. 24/96.
    Un pezzo mitico di Cobain e compagnia. Dopo il primo riff di chitarra, entra la batteria di Dave Grohl come una raffica di mitragliatrice: i Nirvana ci danno dentro come se non ci fosse un domani (e per Kurt fu proprio così). Le Clear restituiscono tutta l’energia del brano. Le chitarre elettriche sono aggressive senza essere fastidiose, il basso è pieno e potente. La batteria è in assoluto primo piano e viene riprodotta ottimamente, tranne che per le frequenze più alte dei piatti che man mano che il brano prosegue sembrano perdere un po’ di sostanza. Nel complesso la resa è ottima, tanto che mi vien voglia di mettermi a saltare in mezzo alla sala come un ragazzino. Occhio al volume, perché qui si rischia di lasciarci i timpani. 

    Paul Simon, Still crazy after all these years. Legacy recordings, 1975.
    50 ways to leave  your lover. 24/96 kHz.
    Il groove delle percussioni di Steve Gadd in apertura ha impresso il proprio marchio a questa famosa canzone di Paul Simon. Si sente la pelle dei tamburi vibrare e ogni minimo dettaglio. Poi parte la voce soave di Simon. Ottima la produzione e la recente rimasterizzazione in 24/96. Registrazione molto pulita e ricca di dettagli.

    PJ Harvey, Stories from the City, stories from the sea. Universal-Island Records, 2000.
    You said something. 16/44.1.
    Un disco del 2000 della cantante inglese. La canzone suona decisa e potente, come decisa è la voce di PJ Harvey. Chitarre elettriche e basso sono presenti e pieni di energia. Bene la batteria, a volte un po' indietro i piatti, ma suonano indietro anche con i miei monitor.

    Radiohead, Kid A. XL Recordings, 2000.
    The National Anthem. 16/44.1.
    Un pezzo iconico della band di Oxford che sta a metà tra l’alternative rock e il free jazz. Il brano è un caotico mix di strumenti che vanno a sovrapporsi al riff di basso di Colin Greenwood: troviamo addirittura delle onde Martenot e un ensemble di ottoni. Succede veramente di tutto in questo pezzo, con effetti sonori che volteggiano davanti a noi. Le Clear non si scompongono mai, mettendo ogni strumento od effetto nella sua giusta posizione e trasmettendoci tutta l’energia di questo brano. The National Anthem viene spesso usata per testare gli impianti hifi. Per le Clear esame superato.

    Janis Joplin, Pearl. Columbia Legacy, 1971.
    Mercedes Benz. 24/96.
    in questo breve pezzo, che fu l’ultimo da lei inciso nella sua breve vita, la Joplin canta a cappella. Devo dire di non aver mai ascoltato la sua voce con questo grado di dettaglio: roca, nasale, urlata. Si percepisce con chiarezza riverbero della sala d’incisione. Un’esperienza da pelle d’oca. 

    Keith Jarrett, Jan Garbarek, Palle Danielsson, Jon Christenses, My Song. ECM, 1978. 
    Country, 24/96 kHz.
    Un bellissimo album di Keith Jarrett con il suo quartetto norvegese. Era il 1977, ma suona fresco come mai in questa rimasterizzazione in HD. I quattro musicisti sono perfettamente rappresentati nello spazio. Il piano di Jarrett suona limpido e duetta con il sax di Garbareck, incisivo, ma mai fastidioso. Il contrabbasso è ben presente e nell’assolo suona pieno e ricco di dettagli. La batteria rimane un pelo indietro, a mio avviso.

    Fred Hersch Trio, Live in Europe. Newklypso (for Sonny Rollins). 24/44.1 kHz.
    Un disco straordinario, sia musicalmente che per la qualità dell’incisione. I tre strumenti sono perfettamente definiti davanti a noi e la resa timbrica è eccellente. Difficile sentire un pianoforte così in un disco di Jazz. La batteria, in questo brano in evidenza con un bell’assolo, ci convince pienamente, a differenza del disco precedente di Jarrett.

    Bill Frisell, Epistrophy. ECM, 2019. You only live twice. 24/96 kHz.
    I morbidi virtuosismi della chitarra elettrica di Frisell, qui alla prova con un celebre brano di un film di James Bond, ci deliziano. Frisell è davanti a noi. il contrabbasso di Thomas Morgan, pieno e caldo, è stato volutamente lasciato un pelo indietro. 

    Pharoah Sanders, Africa. Timeless Records, 1987.
    You've got to have freedom. 24/44.1kHz.
    L’incipit di questo pezzo è incredibile. Il coltraniano Sanders fa urlare il suo sax tenore nel suo registro più acuto producendo un effetto che potrebbe ricordare un’oca alla quale si stia tirando il collo (almeno a me dà questa idea!). Le Clear lo seguono senza difficoltà. Il timbro del sax è reso molto bene. Nonostante si spinga molto sugli alti, l’ascolto non è fastidioso e, anzi, quando entra il resto della band è una vera e propria festa.

    Muddy Waters, Folk singer. Geffen Records, 1964.
    Good morning little schoolgirl. 24/192.
    Un disco unplugged registrato incredibilmente bene e riproposto in 24/192. Waters pizzica inizialmente le corde più sottili della sua chitarra, poi comincia a cantare e la sua voce incredibile ci ammaglia. I musicisti sono davanti a noi. La resa timbrica è impeccabile. Siamo nel 1964, ma sembra registrato ieri.

    Smaro Gregoriadou, A healing fire (Bach, Britten, Gubaidulina, Hétu). Delos, 2020.
    Benjamin Britten, Nocturnal after John Dowland. Op.70. 24/48.
    Le Clear rendono bene ogni sfumatura di timbro della chitarra della virtuosa greca Smaro Gregoriadou in questo capolavoro di Benjamin Britten. Il suono è dettagliato e presente, ma anche asciutto e con poco riverbero dell’ambiente di registrazione.

    Gyorgy Ligeti, Works for piano: études, Musica ricercata. Pierre-Laurent Aimard, pianoforte. Sony Classical, 1996.
    L'escalier du diable. 24/44.1.
    Un pezzo massacrante per chi lo suona, per chi lo registra e per l’hifi che lo riproduce. Pianoforte usato in modo percussivo in tutta la sua gamma, dinamiche elevate, grande varietà timbrica. L’incisione di Sony la trovo ottima, così come l’interpretazione di Aimard. Le Clear restituiscono un pianoforte perfettamente centrato, facendoci percepire molto bene i riverberi dell’ambiente circostante. Il suono dello strumento viene riprodotto in tutta la sua varietà di timbri e di dinamiche.

    Beethoven, Trii per pianoforte Op.1 n.3 & Op.70 n.2. BIS, 2020.
    24/96.
    Un disco recente e ottimamente registrato (come di routine con BIS). L'immagine è precisa e ben equilibrata. La scena corretta, anche se non eccessivamente ampia. Il timbro dei tre strumenti tendente al caldo. 

    Monteverdi, il terzo libro dei madrigali. Concerto italiano, Rinaldo Alessandrini. Naïve, 2019.
    Vattene pure, crudel. 24/88.2
    Dio mio, che incisione pazzesca! Difficile fare di meglio. Mi sento Alessandrini in mezzo ai musicisti del Concerto Italiano. Il palcoscenico è incredibilmente tridimensionale. La resa delle voci delle Clear è sublime. Una volta superato lo choc, mi perdo nella musica. E' questo madrigale ("Vattene pure, crudel") su versi del Tasso è così bello che mi commuovo.

    Prokofiev, concerti per violino e orchestra. Lisa Batiashvili, Chamber Orchestra of Europe, Yannick Nézet-Séguin. DG, 2018. 
    Secondo concerto, terzo movimento Allegro, ben marcato. 24/96.
    Un disco registrato divinamente. Il violino si amalgama perfettamente con l’orchestra, né troppo in primo piano, né troppo indietro. Le diverse sezioni dell’orchestra sono chiaramente distinguibili, le percussioni (piatti, triangolo, castagnette, grancassa, rullante) suonano piene e ben presenti. Il palcoscenico è ampio e profondo. 

    Mahler, das Lied von der Erde. Budapest Festival Orchestra, Direttore Ivan Fischer. Robert Dean Smith, tenore, Gerhild Romberger, contralto.
    Channel Classics Records, 2020. 24/192.
    Le incisioni della channel classics sono sempre di grandissima qualità. La scena è ampia, sembra di essere seduti in platea di un grande auditorium, con l’orchestra davanti a noi. Si percepiscono con chiarezza i vari settori dell’orchestra e gli strumenti nel dettaglio. L’organico è ampio e arriva a comprendere addirittura un mandolino che si sente nel finale di Abschied. Le voci dei cantanti sono chiare e in equilibrio con l’orchestra. Robert Dean Smith ha il suo bel da fare per non farsi sommergere dai volumi orchestrali nel primo movimento: ci riesce dal vivo con Jurowski (in un altro disco, però), figuriamoci in questa versione in studio. La voce della Romberger suona pulita e limpida. Nonostante la sua interpretazione possa risultare un po’ distaccata, riesce a commuoverci nell’ultimo, sublime movimento. Nonostante il grado di dettaglio, il suono complessivo è ben amalgamato e realistico. Complimenti agli ingegneri del suono!
    Conclusioni
    Avrete capito che le Clear mi sono piaciute molto. Sono delle straordinarie cuffie aperte, ben bilanciate in quasi tutta la gamma, con un’ottima resa timbrica, dettagliate, ma anche molto coinvolgenti.  Come per tutte le cuffie, però, c’è qualche zona d’ombra. Vediamo i vari elementi nel dettaglio.
    Bassi
    I bassi sono pieni, dettagliati, molto veloci e di grande impatto. Soprattutto sono equilibrati rispetto alle altre frequenze, né troppo enfatizzati, né poco presenti: una giusta e bilanciata via di mezzo. Si estendono piuttosto in basso, ma nella regione dei bassi profondi c’è una certa attenuazione, ma neanche eccessiva.
    Lo dico chiaramente: chi sia alla ricerca di una cuffia con una marcata enfasi nei bassi, non troverà nelle Clear il prodotto giusto.
    Medi
    La gamma media è lineare, limpida e ben dettagliata. Le voci, sia maschili che femminili, suonano in modo totalmente realistico, con una resa timbrica molto convincente e senza particolari problemi di sibilanti. La presentazione del suono è tendenzialmente molto neutrale.
    Alti 
    Gli alti suonano dettagliati e trasparenti, ma anche leggermente indietro e questo rende l’ascolto delle Clear non fastidioso sulle alte frequenze, alle quali io sono piuttosto sensibile. Nella parte più alta dello spettro ci sono però delle zone di comportamento non lineare, per cui, a seconda delle registrazioni, a volte i piatti possono perdere un po’ di sostanza e suonare un po' vuoti. Ripeto, dipende molto dalla registrazione e dal genere musicale che stiamo ascoltando. Nella musica classica, ad esempio, non ho minimamente percepito il problema. 
    Soundstage
    Il palcoscenico varia chiaramente in funzione di quello che stiamo ascoltando. Possiamo dire che per complessi strumentali ridotti, a prescindere dal genere musicale, rock, jazz, classica, il soundstage è piuttosto “intimo”, ponendo l’ascoltatore molto vicino ai musicisti. Per la musica orchestrale, quando è ben registrata, l’impressione è diversa: la scena è assolutamente realistica, come fossimo a un concerto. Il palcoscenico risulta ampio e profondo, anche se in modo non esagerato o artificioso.
    Immagine
    Ho trovato ottima la capacità delle Clear di isolare i vari strumenti e collocarli nello spazio.
    Risoluzione
    In termini di risoluzione, le Clear hanno un grado di dettaglio elevato e possono essere spietate con registrazioni che non siano di buona qualità, tuttavia probabilmente non allo stesso livello di cuffie planari o elettrostatiche in questa fascia di prezzo. Personalmente, trovo che Focal abbia trovato un giusto compromesso, offrendoci un ottimo grado di dettaglio, senza risultare eccessivo o radiografico. Poi, come sempre, tutto dipende da quello che uno si aspetta da un cuffia: se ascoltate musica in cuffia per sentire il ticchettio dell’orologio del direttore d’orchestra e in generale tutto quello che con i diffusori si perde, allora probabilmente ci sono modelli che offrono qualcosa in più.
    Dinamica
    La dinamica è assolutamente stellare. Sono cuffie che danno il meglio in quei tutti quei dischi con grande contenuto energetico: dal rock, alla musica orchestrale, a certa musica jazz. Sanno far pulsare la musica come poche! Mi raccomando, prestate attenzione ai volume d’ascolto: i nostri timpani sono preziosi!
    Equalizzazione
    A mio avviso suonano praticamente perfette così come sono, specialmente per la musica classica. Se volete dare un po’ più di corpo alle altissime frequenze o ai bassi profondi, si possono equalizzare con ottimi risultati. In rete si possono reperire facilmente le impostazioni necessarie.
     
    Conclusioni delle conclusioni
    Per me le cuffie sono un ripiego, perché preferisco nettamente ascoltare la musica dai diffusori. Devo ammettere, però, che con le Clear ho ritrovato molte delle emozioni che provo nell’ascolto in cassa e in alcuni casi anche di più. Sono cuffie molto lineari e omogenee, veloci e in grado di trasmettere tutta l’energia della musica. L’accuratezza dei timbri delle voci e degli strumenti è notevole.
    Le Clear al momento del lancio venivano a listino 1.499€, oggi si trovano anche a 1.275€. Nel valutare il prezzo, bisogna anche tener conto che Focal ci offre tre cavi di diverse tipologie e lunghezze e una bella custodia.
    Certo, sono sempre tanti soldi per un paio di cuffie, per cui bisogna considerare bene quali siano le nostre aspettative e se questo modello sia in grado di soddisfarle. Io nelle Clear ho trovato un grado di coinvolgimento che sinceramente non mi sarei aspettato!
     
    Pro
    gli accessori: custodia e cavi bilanciati e non. buona linearità della risposta in frequenza resa timbrica dinamica, trasparenza, risoluzione capacità di essere pilotate da qualsiasi dispositivo comfort Contro
    qualche irregolarità nella risposta delle frequenze più alte soundstage buono, ma non enorme qualcuno potrebbe desiderare un filo di risoluzione in più i cuscinetti e l’imbottitura dell’archetto sono soggetti a sporcarsi con l’uso. I ricambi dei cuscinetti originali sono piuttosto costosi (200€) I cavi sono un po’ rigidi e non molto comodi da ripiegare  
    P.S.
    Questo test non è stato eseguito utilizzando materiale fornito in prestito dal produttore.
     
  5. happygiraffe
    Robert Schumann, Myrthen Op.25.
    Christian Gerhaher, baritono, Camilla Tilling, soprano, Gerold Huber, pianoforte.
    Sony Classical, 2019
    ***
    Christin Gerhaher e Gerold Huber riprendono l'integrale dei lieder di Robert Schumann cominciata un anno fa. Se il primo disco della raccolta affiancava ai relativamente noti Kerner Lieder Op.35 dei brani decisamente meno conosciuti, questo secondo disco è interamente dedicato a uno dei cicli più popolari di Schumann, Mythen Op.25, composto nel 1840 quando, dopo anni di composizioni per pianoforte, il compositore tedesco si gettò improvvisamente nella scrittura di questi lieder, poi raccolti in quattro quaderni e offerti in dono a Clara alla vigilia del loro matrimonio.
    Il tono è di vibrante ardore giovanile, siamo ancora ben lontani dai tormenti delle raccolte successive, con qualche sorprendente eccezione, quale ad esempio l'incredibile e misterioso Aus den hebräischen Gesängen, che potrebbe essere stato composto diversi decenni dopo.
    I testi attingono da brani di 9 poeti diversi, che spaziano da Rückert a Goethe, da Byron a Heine, e non sembrano seguire un filo logico, come ad esempio in Dichterliebe, tuttavia Gerhaher nelle belle note che accompagnano il disco ci descrive come in realtà i quattro quaderni seguano una certa struttura formale.
    A Gerhaher si affianca in questo disco il soprano svedese Camilla Tilling. I due cantanti si dividono equamente i diversi lieder, con la voce chiara e brillante della Tilling che ben si accoppia al timbro caldo e ambrato di Gerhaher. Huber conferma di essere molto di più di un semplice accompagnatore attento e sensibile.
    Se il primo capitolo di questa integrale era, nella mia personalissima classifica, ai primi posti tra i dischi del 2018, questo secondo capitolo balza subito in vetta tra i migliori dischi del 2019. La musica è splendida, gli interpreti sono straordinari e perfettamente affiatati e la qualità della registrazione rende loro giustizia.
    Segnalo il breve saggio di Gerhaher nelle note di copertina, ahimè solo in inglese e tedesco.

  6. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Alina Ibragimova (violino), Cédric Tiberghien (piano)
    Mozart Violin Sonatas
    Hyperion 2017
    ***
     
    Manca ancora il quinto volume per completare questa bella integrale delle sonate per violino e pianoforte di Mozart, ma già è un fioccare di premi e menzioni per Alina Ibragimova e Cédric Tiberghien.
    A dire il vero sorprende la scelta dei due artisti di dedicarsi alla registrazione di tutte le sonate per violino e pianoforte, che sono trentasei, non tanto per il numero, quanto per il livello compositivo molto poco omogeneo.
    Le prime 16 sonate furono composte da Mozart a un'età compresa tra i sette anni e i 10 anni, mentre le successive furono composte dopo una pausa di dodici anni tra il 1778 e il 1788. Nelle sonate di gioventù è il pianoforte che ricopre il ruolo principale, mentre il violino svolge un ruolo di accompagnamento, secondo una tendenza allora in voga. Erano pensate per essere eseguite in casa e molto probabilmente per mettere in risalto le capacità del giovane pianista.
    Il livello delle sonate successive varia molto a seconda delle circostanze in cui ciascuna sonata fu composta, principalmente dal committente e dalla bravura del violinista destinato a suonarla. Per fare un esempio la bellissima K454 fu eseguita davanti all'Imperatore Giuseppe II e suonata dalla violinista italiana Regina Strinasacchi, celebre a quei tempi, mentre la successiva e deludente K547, ultima delle sonate, fu probabilmente pensata, sebbene mai pubblicata in vita, per essere venduta come sonata facile a musicisti principianti.
    Tuttavia, anche le partiture più semplici possono portare a risultati sorprendenti quando affidate a musicisti di questo calibro.
    Alina Ibragimova è una violinista russa, cresciuta a Londra, Cédric Tiberghien è un pianista francese. Suonano insieme ormai da più di dieci anni e si sente!  
    E' notevole la fluidità che riescono a imprimere al discorso musicale. Anche nelle sonate più semplici, la raffinatezza, la vitalità, la sensualità delle loro interpretazioni sono totali. Cédric Tiberghien ha un ruolo di primissimo piano e non delude: con un suono molto articolato e limpido, e un uso molto parsimonioso del pedale, rende perfettamente lo stile mozartiano. Ibragimova è sublime nell'intrecciarsi con le linee del pianoforte, in modo spontaneo e naturale, sempre originale, anche nelle numerosi parti ripetute.
    Anche se, in tutta onestà, ad un ascolto prolungato le sonate giovanili possono diventare rapidamente stucchevoli e forse avrebbe potuto avere un senso non inciderle proprio, questa integrale rappresenta un punto di riferimento certo per chi fosse interessato a questo repertorio.

  7. happygiraffe
    Prokofiev, sonate per pianoforte n.4, 7, 9.
    Alexander Melnikov, pianoforte.
    Hamonia Mundi 2019
    ***
    Ritorna a Prokofiev l'imprevedibile ed eclettico pianista russo Alexander Melnikov. Dopo il primo disco, che comprendeva le sonate 2, 6, 8, questa seconda registrazione contiene tre sonate, le n. 4, 7, 9, molto diverse tra loro per stile e periodo di composizione. Se la settima sonata è probabilmente una delle pagine più note per pianoforte di Prokofiev, le altre due sono decisamente meno conosciute.
    Nella quarta sonata (1917), piuttosto cupa e introspettiva, così come nella più serena e comunicativa nona sonata (1947), Melnikov è davvero superlativo nel restituirci emozioni, contrasti improvvisi, cambi di colori e ritmi, con una sensibilità e una poesia poco comuni. Questa sua magistrale interpretazione della nona sonata è probabilmente una delle migliori in discografia.
    Mi ha lasciato invece piuttosto perplesso nella settima sonata (una delle tre sonate "di guerra"), affrontata da un lato con grande intensità, dall'altro con un'insolita e sorprendente prudenza. Se nella versione di Richter (che ne fu il primo esecutore, dopo averla imparata in soli quattro giorni) ci sembra di sentire i colpi dei cannoni e le bombe che esplodono, se nell'altra famosa interpretazione, quella di Pollini, siamo pervasi da una furiosa disperazione, sembra che qui Melnikov abbia meno successo nel trovare una propria visione interpretativa di questo lavoro, sicuramente più appariscente e virtuosistico rispetto alle altre due sonate del disco, più posate e reticenti. Il diabolico e difficilissimo ultimo movimento in 7/8 viene affrontato con insolita e disarmante lentezza, che rende priva di senso l'indicazione di "Precipitato" del compositore.
    Peccato, ma anche poco male, perché il disco è comunque da ricordare per le altre due sonate.
    Un altro passo falso di questo disco, purtroppo, è la qualità della registrazione, realizzata nei celebri Teldex Studio di Berlino: nonostante la dinamica e i timbri del pianoforte siano ottimamente restituiti, l'immagine del pianoforte sembra quasi quella di un'orchestra, con gli alti tutti a sinistra, i medi in mezzo e i bassi tutti a destra. Una scelta davvero incomprensibile da parte di un etichetta di livello come Harmonia Mundi.

  8. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Lang Lang: Piano Book
    Deutsche Grammophon 2019
    ***
    Lang Lang Piano Book, che sarà mai? Un ispirato Lang Lang troneggia in copertina, in cappottino bianco e scarpe da tennis, mentre il suo Steinway a coda si apre come le pagine di un libro.
    Il programma non è quello di un classico recital di pianoforte, ma ricorda più una playlist, come va sempre più di moda oggi. 
    Lang Lang ci dice di aver raccolto in questo disco una collezione di brani che lo hanno inspirato quando ha cominciato a suonare il pianoforte. C’è un po’ di tutto: da “Per Elisa” a “Clair de lune”, dal primo preludio del Clavicembalo ben temperato alle 12 variazioni di Mozart "Ah, vous dirai-je Maman”, ma anche musiche di film (“La valse d’Amélie”, “Merry Christmas, Mr Lawrence” di Sakamoto) e molto altro.
    All’ascolto, la musica scorre via senza troppi pensieri, l’istrionico Lang Lang abbonda in sentimento, suono vellutato e saccarosio. Il protagonista è lui: è la sua playlist e ogni brano viene affrontato con il medesimo approccio.
    Ma se non ci fermiamo qui e ci chiediamo a chi è destinato un prodotto editoriale (mi viene un po’ difficile chiamarlo diversamente) come questo, è evidente che l’ascoltatore difficilmente sarà l’accanito musicofilo alla ricerca dell’ennesima interpretazione dell’Hammerklavier di Beethoven o dell’Op.118 di Brahms.  
    Questo disco è pensato per un mercato più ampio, di chi magari si avvicina alla musica classica per la prima volta e non ne deve essere respinto con musica troppo complessa, quanto piuttosto attratto con brani brevi, celebri e orecchiabili.
    Non bisogna dimenticare che Lang Lang è una stella planetaria, che ha suonato alla cerimonia di apertura ai giochi olimpici di Pechino nel 2008, così come alla finale dei mondiali di calcio di Rio nel 2014, ha suonato per Papa Francesco e per la regina Elisabetta II ed è stato nominato Messaggero di pace dall’ONU e ambasciatore UNICEF.
    Il suo personaggio, così conosciuto e che, se vogliamo, sprigiona un entusiasmo infantile, si dice che abbia inspirato 40 milioni di bambini cinesi a iniziare a studiare il pianoforte. La sua fondazione da 10 anni aiuta i bambini ad avvicinarsi al mondo della musica classica.
    E se un personaggio come Lang Lang, per quanto discutibile e criticabile dagli addetti ai lavori,  aiuta a far sembrare il mondo della musica classica meno polveroso e austero e con un disco come questo contribuisce ad incuriosire e ad avvicinare nuovi appassionati alla musica classica, beh, che c’è di male in fondo?
     
  9. happygiraffe
    Beethoven, concerti per pianoforte n.2 e n.5 "Imperatore".
    Kristian Bezuidenhout, fortepiano; Freiburger Barockorchester, direttore Pablo Heras-Casado.
    Harmonia Mundi 2020
    ***
    Devo ammettere che, al primo ascolto di questo disco, non ho seguito l’ordine delle tracce che prevederebbe prima il quinto e poi il secondo, ma sono passato direttamente al secondo concerto, uno dei miei preferiti. Non avevo particolari aspettative: stimo Bezuidenhout come un ottimo fortepianista, ma le sue incisioni dei concerti di Mozart sempre con Heras-Casado non mi avevano entusiasmato. E invece…BANG!!…sono stato letteralmente cappottato sul divano! 

    La sensazione che ho provato è stata quella di ascoltare quel concerto per la prima volta, ma anche di essere trasportato nello spazio e nel tempo al momento della sua prima esecuzione.
    Non è solo l’effetto degli strumenti d’epoca (Bezuidenhout suona una replica del 1989 di un Graf del 1824), dei tempi vivaci, del piglio energico del solista e del direttore e dell’affiatamento che c’è tra i due, ma c’è dell’altro e precisamente una freschezza di approccio e una certa libertà che ricorda l’improvvisazione, come se questi pezzi fossero eseguiti per la prima volta. E’ come se Bezuidenhout e Heras-Casado si fossero dimenticati di due secoli di tradizione interpretativa, tale è la spontaneità con cui rivisitano queste pagine.

    E del resto lo stesso Beethoven, ci ricorda Bezuidenhout nelle note di copertina, alle prime esecuzioni dei suoi concerti lasciava molto spazio all’improvvisazione, non avendone ancora ultimato la partitura in ogni dettaglio, al punto da presentarsi con i fogli della parte per pianoforte appena abbozzati o spesso completamente bianchi!
    Sempre Bezuidenhout conferma le nostre sensazioni, dichiarando che l’approccio seguito nelle sedute di registrazione è stato proprio quello di combinare lo studio approfondito delle edizioni critiche moderne con una maniera di suonare rispettosa di quelle che erano le abitudini ai tempi di Beethoven, vale a dire di “usare il testo come una sorta di canovaccio o, se vogliamo, di trampolino”.
    Nel complesso ho trovato assolutamente entusiasmante il secondo concerto, mentre un po’ più tradizionale il quinto, ma non per questo meno interessante. In entrambi si percepisce in ogni momento una totale immedesimazione nello spirito di questa musica.
    Per le cadenze, nel secondo concerto Bezuidenhout ha rielaborato dei materiali scritti da Beethoven per la cadenza del primo concerto, mentre per il quinto concerto ha utilizzato una trascrizione della cadenza improvvisata da Robert Levin per la registrazione del 1999 con John Eliot Gardiner (Archiv).
    Praticamente irreprensibile la qualità della registrazione, come da standard Harmonia Mundi.
    Consigliatissimo!
     
  10. happygiraffe

    Recensioni : clavicembalo
    J.S.Bach: Suites francesi BWV 812-817, 818a, 819.
    Pierre Gallon, clavicembalo.
    Encelade, 2022.
    ***
    Le Suite francesi sono delle composizioni per clavicembalo di J.S.Bach derivate dalle forme di danza che ne compongono i diversi movimenti. Furono chiamate francesi solo successivamente, perché idealmente si rifanno allo stile francese, anche se in realtà ritroviamo anche elementi dello stile italiano.
    Nelle belle note del libretto è lo stesso Gallon che ci dice che “testimoniano della volontà di Bach di inculcare ai suoi allievi una certa idea dello stile francese: finezza del discorso, elegante semplicità della linea melodica, nobiltà e varietà portate dai diversi caratteri delle danze”.
    Per chi studia il pianoforte e il clavicembalo, le Suite francesi sono state spesso considerate un facile punto di ingresso nel complesso universo musicale bachiano. Già dai tempi di Bach i suoi allievi le consideravano tali, come testimoniano le diverse copie manoscritte che ne fecero, complicando così la vita agli interpreti e studiosi moderni che si devono districare tra le diverse varianti stratificate.

    Il clavicembalista francese Pierre Gallon, collaboratore stabile dell’Ensemble Pygmalion e del suo direttore Raphael Pichon, in questo disco affianca alle sei suite francesi della raccolta canonica anche le due suite BWV 818a e 819 (completandola con una Giga di W.F.Bach), che compaiono nel primo manoscritto, ma che spariscono dalle copie successive. Inoltre, fa precedere ogni Suite da un preludio, preso in prestito dallo stesso JS Bach, ma anche da Couperin e Dieupart, come era solito avvenire nella prassi esecutiva del tempo. E' lo stesso Gallon che ci spiega che in alcune fonti si trovano in effetti dei preludi prima delle Suite di danze. Il risultato è indubbiamente molto convincente.
    L’interpretazione di Gallon è molto fluida e “danzante”, con tempi piuttosto comodi, ma che trovo corretti, e soprattutto una grande attenzione alla relazione tra i vari movimenti.
    Lo strumento che suona è una riproduzione moderna di un magnifico clavicembalo fiammingo del 1679,  opera dell’Atelier Ducornet.
    La registrazione è sublime e ci restituisce tutta la varietà timbrica di questo strumento in un’acustica sontuosa.
    Gran bel disco, molto curato in ogni suo aspetto.
     
  11. happygiraffe
    Articolo scritto e pubblicato da Silvio Renesto nel suo blog.
     
    Ho scoperto Beth Moon per caso, le sue foto mi hanno subito  affascinato. Una visione intensa della natura, a volte drammatica, a volte cupa o sognante, mai leziosa o banale. Ne ho scritto già su Nikonland, ma ne scrivo qui in modo un po' più esteso e aggiungendo delle  foto.
    Forse le sue immagini più famose sono  i  ritratti ad alberi giganteschi o secolari. 
    Un patrimonio di meravigliosa antica bellezza, spesso  minacciato, che Beth Moon ci fa conoscere attraverso la sua   sensibilità, creando immagini di forte impatto emotivo.
     

     

     

     
     
    Lei stessa nel suo sito http://www.bethmoon....ouchWood00.html scrive:
     
    "Molti degli alberi che ho fotografato sono sopravvissuti perchè fuori dal raggio della civiltà...certi esistono solo in angoli remoti del mondo...
    i criteri che uso per sceglier eun particolare albero sono principalmente tre : l'età, le dimensioni immense o la storia importante... essendo i più grandi e più vecchi monumenti viventi della Terra, credo che questi alberi simbolici  abbiano un significato più vasto in un tempo in cui la nostra attenzione è concentrata nel trovare un modo migliore di convivere con l'ambiente".

    Majesty back. Le grandi querce.
    Sempre nel suo sito Beth Moon riporta quanto sul suo lavoro scrisse Jane Goodall :
     
    "Queste anziane sentinelle delle  foreste sono tra i più antichi esseri viventi del pianeta ed è disperatamente importante fare tutto quello che è in nostro potere per farle sopravvivere...voglio che i mie nipoti ... conoscano la meraviglia di questi alberi vivi e non solo tramite fotografia... I ritratti di Beth sicuramente ispireranno molti ... ad aiutare chi lavora per salvare questi magnifici alberi".



     
    Ma Beth Moon non si limita agli alberi.  

    Odin's Cove  (la Baia di Odino) è un portfolio fortemente gotico/romantico ispirato ai corvi di Odino. 

     
    Nella mitologia norrena, Huginn e Muninn sono due corvi che volano per il mondo cercando informazioni e  portando notizie al loro padrone, il dio nordico Odino.  Escono all'alba  e ritornano la sera, si posano sulle spalle del dio e gli sussurrano le notizie nelle orecchie. I loro nomi hanno un significato: nella lingua norrena  Huginn vuol dire pensiero e Muninn memoria.
     


    I Corvi Imperiali sono grandi e stupendi uccelli;  nelle immagini di Beth Moon sono al tempo stesso malinconici e potenti, sembrano davvero  venire  dalle brume di un altro mondo. 

     
     
    Beth Moon per la stampa utilizza anche quello che lei, citando John Stevenson, chiama "Nobile processo nell'era digitale": ossia una stampa al platino, che dice di essere nota per la luminosità e ampia scala tonale, in cui l'assenza di uno strato legante (binder layer)  permette ai cristalli di platino di venire incorporati nella carta dando una tridimensionalità unica.
    Oltre non mi addentro... perchè non so di cosa sto parlando     se Michele, bontà sua, vorrà spiegarci meglio di cosa si tratta gliene sarò grato. 

     Insomma,  non perdetevi il sito di Beth Moon e godetevi le sue immagini. 
     
    http://www.bethmoon.com
     
     
    DISCLAIMER: Va da sè che tutte le foto di questo reportage sono opera e proprietà esclusiva di Beth Moon,  qui riportate solo a scopo di illustrare la sua arte.
    All the photos here shown are  by Beth Moon and she has the exclusive copyright, and are  published here only to spread knowledge about her great art.
     
  12. happygiraffe
    Riporto qui questo articolo scritto e pubblicato da Silvio Renesto sul suo blog su Nikonland.
    Da oltre  cinquant'anni Clyde Butcher ha creato emozionanti immagini in bianco e nero dei paesaggi naturali del Nord America. Le sue fotografie trasportano chi guarda nella bellezza primordiale dei vasti orizzonti, dei panorami infiniti e nello splendore,raramente visibile, della wilderness. Le sue immagini sono coinvolgenti e ci rammentano il legame che abbiamo con il mondo della natura.

    Clyde Butcher nacque in Kansas nel 1942. Da bambino disegnava navi o ne costruiva dei modelli con scarti di ferro nell'officina di suo padre lattoniere. Prese una Laurea in Architettura alla California Polytechnic State University. Fu allora che scoprì di non essere bravo a  disegnare e così decise di imparare da solo a fotografare per poter riprodurre i progetti di architettura senza disegnarli. Non avendo i soldi per acquistare una fotocamenra se ne costruì una a foro stenopeico. 
    Negli anni sessanta vide una mostra fotografica di Ansel Adams allo Yosemite National Park, ne rimase così impressionato che cominciò a fotografare in bianco e nero. Nel 1970 lasciò l'architettura e si iniziò a far vedere le sue fotografie in mostre locali. Nel 1971 iniziò una nuova attività "Eye encounter Inc." che consisteva nello stampare e vendere le sue fotografie di panorami selvaggi degli Sati Uniticome decorazioni murali per grandi magazzini. Per aumentare le vendite iniziò ad usare pellicole a colori e fotocamere a formato 13x18cm . Il giro d' affari crebbe vertiginosamente e Eye Encounter divenne una ditta con moltissimi dipendenti. Clyde vendette l'attività nel 1977 a causa dello stress eccessivo e si mise a girare la Florida in barca a vela. Si stabilì con la famiglia a Ft. Myers nel 1980, iniziando a  vendere i suoi paesaggi western a colori e fotografie di  temi diversi.
    Nel 1984 fu portato a visitare una palude di cipressi dentro al Big Cypress National Preserve. Questo, disse, gli rivelò un nuovo mondo. L'immersione nella bellezza della palude lo convinse a ritornare al bianco e nero. 

     


    Dopo la tragica morte del figlio diciassettenne nel  1986, Clyde trovò conforto solo nella vicinanza della natura selvaggia. Decise di tagliare ogni legame con la fotografia a colori e dedicarsi unicamente al bianco e nero. Acquistò una fotocamera formato 20x25 ed un ingranditore ed ebbe inizio la sua nuova vita di fotografo.

    Oltre alle Everglades per le quali è maggirmente famoso, Butcher si è impegnato a immortalare paesaggi naturali di tutto il  mondo. 
    La qualità ed importanza del suo lavoro gli hanno guadagnato ammirazione internazionale.  Butcher ha inoltre realizzato documentari sull'ambiente della Florida e ha pubblicato numerosi libri. 


    Al di là della bellezza intrinseca delle sue immagini, ciò che distingue le opere di Clyde Butcher sono le dimensioni gigantesche delle sue stampe, unite ad una nitidezza che ha dell'incredibile. Scegliendo accuratamente il formato del negativo a seconda dellel dimensionid el soggetto, Butcher riesce a produrre stampe nitidissime di dimensioni oltre i 160x300 cm,  che permettono all'osservatore di immergersi nei suoi panorami .

     

     

     

     

     
    “Cerco di usare la pellicola più grande possibile epr il soggetto che voglio fotografare. Se ho un ampio panorama uso un formato 30x65 (circa). se devo fotografare cose come l'Orchidea Fantasma lavoro con una 20x25" racconta Butcher.

    “Voglio che la gente guardi i miei lavori da vicino” dice Butcher a proposito del suo stampare in grandi dimensioni. “Molti non conoscono quello come si vede:si vede chiaramente solo una piccola parte del tutto e in natura l'occhio scorre continuamente da un particolare all'altro e questo ci da' la percezione dell'insieme. La chiave per riprodurre questa sensazione è la nitidezza. Una stampa  di tre metri e mezzo da un negativo 35mm sembrerà nitida se si rimane a distanza 10 metri, ma se ci si avvicina ad un metro sembrerà molto scarsa. Quindi per calarsi in  un' immagine grande e vederla bene occorre che abbia un dettaglio molto elevato.
    Stampa con una Epson Stylus 4800 or una stampante 11880 con inchiostri  Ultra-chrome K3  e carta Harman Hahnemuhle.
     
     
    Nota:  Qualche mese fa  Clyde Butcher è stato colpito da ictus che gli ha paralizzato il lato destro del corpo, ma ha già ripreso a muoversi con deambulatore ed è confidente che tornerà a fotografare  quanto prima. Glielo auguro di cuore
    Tutto questo e molto altro nel sito di Clyde Butcher
    https://clydebutcher.com
    Le foto sono (C) di Clyde Butcher mostrate qui al solo scopo di  illustrare la sua opera. Photos are (C) by Clyde Butcher shown here only to illustrate his art.
  13. happygiraffe
    Variations on folk songs, musiche di Beethoven, Kuhlau, Doppler, Walckiers.
    Anna Besson, flauto; Olga Pashchenko, pianoforte.
    Alpha, 2020.
    ***
    Lo sapevate che le due opere che precedono e seguono nel catalogo beethoveniano la monumentale e metafisica sonata per pianoforte op.106 sono due ben più leggere raccolte di arie e variazioni su temi popolari per flauto e pianoforte?
    La flautista Anna Besson, accompagnata al pianoforte da Olga Pashchenko, ci accompagna in un giro per l’Europa della prima metà dell’ottocento, con un programma di musiche che prendono origine da canti popolari.
    Si comincia con la bellissima Fantasia pastorale ungherese di Franz Doppler, virtuoso del flauto oltre che compositore, per poi proseguire con una selezione delle due raccolte di “temi variati per flauto e pianoforte” Op 105 e op.107 di Beethoven, opere facili e orecchiabili, ma non prive di fascino. Tra le due raccolte ascoltiamo il movimento lento della Grande Sonata Op.83 n.1 di Frederich Kuhlau, “Variazioni su un’aria antica svedese”. Il programma si conclude con il rondò “auvergnat” di Eugène Walckiers e le splendide Arie Valacche Op.10 ancora di Doppler.
    Le due artiste suonano su magnifici strumenti d’epoca dai quali sfoderano una gamma di timbri di grande fascino, riuscendo a restituire splendidamente il carattere di ogni brano. 
    Con questo disco Anna Besson e Olga Pashenko ci fanno conoscere un repertorio poco conosciuto e se vogliamo leggero, ma non per questo poco godibile.
    Un piccolo gioiello!
  14. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Ivan Moravec: Portrait.
    Supraphon, 2020.
    ***
    Supraphon rende omaggio allo straordinario pianista ceco Ivan Moravec (1930-2015) nel novantesimo anniversario della sua nascita. Lo fa nel migliore dei mondi, ovvero con un bel cofanetto di 11 cd e 1 DVD che raccolgono alcune delle sue migliori registrazioni, talune inedite, prendendole dal proprio catalogo, ma attingendo anche da materiale di altre etichette, come Vox, Nonesuch, e Connoisseur Society.
    Conosciuto più dagli intenditori che dal grande pubblico, Moravec fu un pianista incredibile, dotato di una tecnica del suono molto raffinata e di capacità interpretative che hanno dato il meglio nel repertorio di Chopin e Debussy.
    La raccolta si apre con tre concerti di Mozart (14, 23, 25), non quelli con Neville Marriner, ma quelli precedenti (1973-74) con la Czech Chamber Orchestra e la Czech Philarmonic Orchestra. 
    Seguono due dischi dedicati a Beethoven, con un paio di concerti e diverse sonate. Svetta un quarto concerto da antologia con l’orchestra del Musikverein diretta da Turnovsky. Bellissime l’Op.90 e Les Adieux, ma il livello è sempre molto alto.
    Si apre poi una sezione dedicata a Chopin: 3 dischi con le ballate, gli scherzi, i 24 preludi, la seconda sonata, la barcarole e un buon numero di mazurche. Moravec riesce a far cantare Chopin come pochi altri, con una sottilissima varietà di timbri e un uso del rubato tanto raffinati quanto assolutamente naturali all’orecchio di chi ascolta. Seppure Moravec pare che fosse un perfezionista maniacale nella messa a punto dello strumento, nell’ascolto non si percepisce nessuna volontà di controllo assoluta, come purtroppo spesso succede, ma si assiste semplicemente a un poeta del pianoforte, che fa uso della tastiera e della propria tecnica come di un mezzo per parlarci con la voce del compositore. In questo senso i Préludes sono emblematici e valgono da soli l’acquisto di questo cofanetto. 
    Dopo un paio di dischi dedicati a Schumann e Brahms (ahimè non tutti i brani sono disponibili nella versione online disponibile su Qobuz), si giunge a un paio di dischi dedicati a Debussy, Ravel e Franck. Viene dato molto spazio a Debussy (i due libri di Images, poi Estampes, Pour le Piano, Childern’s Corner e una selezioni di Preludi di entrambi i libri) e si capisce il perché: è una gioia da ascoltare! Moravec riesce a far parlare questa musica come pochi altri, una vera delizia. Anche il Prélude, Choral et Fugue di César Franck, pezzo stupendo, è da antologia.
    L’ultimo disco della raccolta è dedicato a musiche di Janacek, Martinu e Smetana, ma anche qui, probabilmente per un problema di accordi con gli editori, non tutto il materiale è disponibile nella versione online che ho ascoltato su Qobuz.
    Un DVD, che non ho visto, raccoglie un documentario su Moravec e ancora tanta musica (Beethoven, Prokofiev, Mozart e Ravel).
    Fa da complemento a questa bella raccolta un libretto esemplare, contenente tutte le informazioni sulle diverse registrazioni, un breve saggio dell’amico Murray Perahia e una lunga intervista a Moravec.
    Complimenti a Supraphon che ha realizzato questo “portrait” in modo davvero ineccepibile, un vero e proprio gesto d’amore che va oltre il semplice progetto editoriale e che ci fa trasparire l’ammirazione e il rispetto che ancora devono portare per questo pianista. 
    Chiaramente qui non c’è tutto il lascito discografico di Moravec: Supraphon ha lasciato fuori qualche pezzo forte come i Notturni di Chopin e gran parte del materiale che qui non è presente è stato pubblicato da etichette diverse. Speriamo in un futuro secondo volume, ma intanto ci godiamo questo con gratitudine!
  15. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Erik Satie, John Cage, pezzi vari per pianoforte.
    Bertrand Chamayou, pianoforte.
    Erato, 2023.
    ***
    L'accostamento tra Erik Satie e John Cage è molto insolito e prima vista potrebbe apparire privo di senso. Da un lato il compositore francese, ribelle, eccentrico, fuori dagli schemi, una figura chiave della scena musicale parigina dei primi 20 anni del '900. Dall'altro John Cage, compositore americano tra i più importanti delle avanguardie del secondo dopoguerra. Se tutti abbiamo ascoltato almeno una volta la prima delle 3 Gymnopédies di Satie, John Cage è solitamente ricordato per 4'33", opera che prevede che l'esecutore non suoni nulla per 4 minuti e 33 secondi. 
    Eppure Chamayou nelle belle note di copertina ci racconta di essere approdato a Satie proprio studiando Cage e scoprendo l'ammirazione del compositore americano per il francese. Del resto Satie fu il primo ad avere l'idea di mettere degli oggetti sulle corde del pianoforte, inventando di fatto il "pianoforte preparato", che fu poi largamente usato da Cage. 
    Chamayou ci presenta in questo disco una perfetta sequenza di brevi brani di entrambi i compositori, che chiarisono come sia stato profondo il segno lasciato da Satie su Cage. Il tono è spesso intimo e malinconico. 
    La mia perplessità iniziale è stata spazzata via al primo ascolto. Questo disco è un luminoso omaggio a due dei compositori più strambi e innovativi del loro periodo da parte di un pianista che si dimostra ancora una volta uno dei migliori talenti della sua generazione.


     
  16. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    César Franck (1822-1890)
    - Prélude, Choral et Fugue, M.21
    - Prélude, Aria et Final, M. 23
    - Quintetto per pianoforte, M. 7
    - Prélude da Prélude, Fugue et Variation, M. 30
    Michel Dalberto, pianoforte, Novus Quartet.
    Aparté 2019.
    ***
    Il pianista francese Michel Dalberto raccoglie in questo disco alcune tra le pagine più belle di musica da camera scritte dal compositore belga César Franck: il famoso Prélude, Choral et Fugue del 1884, il Prélude, Aria et Final, composto due anni più tardi e il Quintetto per pianoforte del 1879, eseguito qui insieme al Novus Quartet.
    Sono brani che Dalberto ha nel proprio DNA: è proprio lui a dirci nelle belle note di copertina di aver studiato il Prélude, Aria et Final al Conservatorio di Parigi con il grande Vlado Perlemuter, a sua volta allievo del grandissimo Alfred Cortot.

    Sia il Prélude, Choral et Fugue che il Prélude, Choral et Fugue sono opere caratterizzate da una complessa struttura architettonica, caratterizzata dalla forma tripartita e da quella ciclica, così ricorrente in Franck, così come da una scrittura che trae molto dall'organo.
    Se è evidente l'ispirazione bachiana e religiosa del primo dei due pezzi, dal tono mistico e solenne, il secondo invece è di carattere sicuramente più profano e più visibilmente virtuosistico.
    L'esecuzione di Dalberto è semplicemente magistrale, per la chiarezza della polifonia, la lucidità interpretativa, il senso della struttura e per la palette di colori che riesce a estrarre dallo strumento, un meraviglioso Boesendorfer Vienna Concert 280.
    Mi lascia più perplesso la seconda parte del programma dedicata al quintetto per pianoforte e archi in fa minore, considerato insieme alla famosa sonata per violino e pianoforte in la maggiore e al quartetto in re maggiore una delle composizioni cameristiche più significative di Franck. Dalberto è accompagnato dal Novus Quartet, una giovane compagine coreana, giù piuttosto nota. Ho trovato la loro interpretazione piuttosto cerebrale, a tratti anche aspra, complessivamente non particolarmente emozionante. Se si prende come paragone l'esecuzione del quartetto Amadeus con Clifford Curzon (Ed.BBC Legends), così vivace, trascinante e ricca di pathos, si capisce di essere ad una distanza siderale rispetto al Novus con Dalberto.

    Il disco si chiude con il Prélude dal Prélude, Fugue et Variation, trascrizione della versione originale per organo: semplicemente meraviglioso! Tre minuti di musica celestiale. 
    Così si chiude il disco e subito viene il desiderio di rimetterlo dall'inizio!
     
    Notevole la qualità della registrazione, realizzata alla Salle Philarmonie di Liegi, che restituisce molto bene la gamma timbrica e dinamica del pianoforte.
    Disponibile in 96/24.
  17. happygiraffe
    Mi è capitato di ascoltare negli stessi giorni due dischi dedicati a Schubert di due artisti molto diversi tra loro e così ho deciso di farli salire sul ring per una sfida all'ultima nota.
    Signore e signori, preparatevi a un incontro senza pari. Da un lato l'esuberante georgiana Khatia Buniatishvili, classe 1987, dall'altro lo schivo pianista tedesco Alexander Lonquich, classe 1960.
    Partiamo dalla veste grafica.
    Khatia si presenta come una novella Ophelia, vestita di bianco e semi-annegata in acque torbide:

    Se da un lato vien da pensare al celebre Lied "La morte e la fanciulla", visivamente questa immagine richiama la celebre Ophelia del pittore preraffaellita John Everett Millais:

    Passiamo alla copertina del disco di Lonquich, dove ci appare un primo piano del pianista con gli occhi chiusi, di tre quarti, in penombra, con uno sfondo nero:

    Per una strana associazione della mia mente stramba, a me questa immagine ha fatto venire in mente il Kurtz di Marlon Brando in Apocalypse Now di Coppola:

    Per fortuna, appena aperto il libretto Lonquich ci appare in un ritratto vagamente più rassicurante con gli occhi aperti:

    Dovendo scegliere tra le due, la mia preferenza va a Khatia, per aver avuto il coraggio di posare nell'acqua gelida pur di realizzare questa copertina 
    Copertina: Khatia Vs Alexander 1-0.
    Passiamo ora ai programmi dei due dischi:
    Khatia Buniatishvili esegue di Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 4 Improvvisi Op.90, D.899
    - Ständchen, trascrizione di Franz Liszt S. 560/7 dal Lied D.957/4
    Alexander Lonquich invece esegue di Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.19 D.958
    - Sonata per pianoforte N.20 D.959
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 3 Klavierstucke D.946
    Il disco si intitola 1828, anno in cui furono composte queste opere e anno in cui morì il giovane Franz.
    Decisamente più denso e impegnativo il programma presentato da Lonquich.
    Voto sul programma: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Proseguiamo e andiamo a leggerci i libretti che accompagnano i due dischi.
    Cominciamo da quello della Buniatishvili.
    Al di là di altri due ritratti della giovane georgiana sempre immersa nelle stesse acque fredde e torbide della copertina, il libretto ci stupisce per un breve saggio della stessa pianista intitolato "Note di una femminista", dove ci parla del lato femminile, della vulnerabilità e della grande sensibilità di Schubert. Rimango un po' perplesso e rimango in ogni caso convinto che il femminismo sia una cosa ben diversa da quanto ci dice Khatia.
    Passo al libretto del disco di Lonquich, dove trovo un saggio anche in questo caso scritto dall'interprete stesso. Lonquich analizza le quattro opere in programma, fornendo spunti e rimandi molto interessanti. Davvero un'ottima lettura, che ci serve anche per capire le scelte interpretative.
    Anche per il libretto non c'è storia...
    Voto sul libretto: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Passiamo ora alla parte più gustosa: il confronto tra le due interpretazioni.
    Le scelte dei due pianisti non potrebbero essere più diverse. In verità, ho trovato entrambi i dischi spiazzanti, ma per motivi opposti. 
    La lettura della Buniatishvili, che come sappiamo mira a esaltare l'aspetto femminile di Schubert, tende a restituirci un'atmosfera ovattata di calma assoluta, in cui ogni asperità appare smussata, ogni contrasto appiattito. Il rischio che corre è che le "celestiali lunghezze" di Schubert (come le aveva definite Schumann), diventino dei languidi momenti di torpore. La sonata D.960 scivola via con dolcezza, senza troppi sussulti, se non fosse per alcune repentine accelerazioni e decelerazioni, che spesso non sembrano giustificate. Anche i quattro improvvisi op.90 non lasciano il segno e confermano l'impressione di un'interpretazione che, nonostante le intenzioni, non vada mai in profondità.
    Ho trovato anche la lettura di Lonquich piuttosto spiazzante e ammetto di aver ascoltato il disco più volte prima di ritrovarmici. Il suo è uno Schubert molto diverso da quello al quale siamo abituati. Diciamo innanzitutto che Lonquich sembra non voler fare molto per compiacere l'ascoltatore: Il timbro è spesso spigoloso e duro, dimentichiamoci il suono morbido e raffinato di un Brendel o addirittura di Zimerman e lo Schubert intimo e consolatorio che ci ha tramandato la tradizione. Al contrario di Khatia, i contrasti vengono portati all'estremo e ogni piccola asperità della partitura viene enfatizzata, restituendoci uno Schubert tormentato, in cui la tensione drammatica viene amplificata nota per nota, creando un collegamento evidente con l'ultimo Beethoven. Si percepisce che quella di Lonquich è una visione maturata a lungo nel corso degli e che questa interpretazione è il frutto di un'analisi e di uno studio che hanno scavato a fondo la partitura. Il risultato può essere più o meno persuasivo (personalmente ho apprezzato di più la 958 e la 960 del resto del programma) e soprattutto può convincere o meno l'ascoltatore, abituato ad ascoltare uno Schubert generalmente molto diverso da questo, ma comunque penso che meriti un grande rispetto. 
    Dovendo scegliere tra le interpretazioni di Khatia e Alexander, anche qui non ho dubbi. La lettura di Lonquich, per quanto spiazzante e molto personale, lascia il segno e rimane impressa nella memoria. Quella di Khatia, non me ne voglia!, l'ho trovata acerba e superficiale.
    Voto sull'interpretazione: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Un'ultima nota sulla qualità della registrazione dei due dischi. 
    Il pianoforte della Buniatishvili mostra un'enfasi eccessiva sul registro medio-basso, che appare gonfio  e riverberante, pur mantenendo una mano destra leggibile e chiara. Molto più omogeneo e limpido il suono del pianoforte di Lonquich, anche se un po' "asciutto", reso in ogni caso in maniera più realistica e convincente dagli ingegneri del suono dell'Alpha, che battono a sorpresa quelli di Sony.
    Voto sulla qualità della registrazione: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Siamo arrivati alla fine della nostra sfida: Alexander Lonquich sconfigge senza troppa fatica Khatia Buniatishvili, con il punteggio finale di 4 a 1.

    Ci farebbe piacere vedere un pianista del calibro di Lonquich più presente sul mercato discografico e sicuramente ci fa piacere vedere che l'etichetta Alpha gli abbia permesso di realizzare questo disco.
     
    ***
     
    I due contendenti di questa sfida:
    Khatia Buniatishvili, Schubert.
    - Franz Schubert, Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - Franz Schubert, 4 Improvvisi Op.90, D.899
    - Franz Schubert, Ständchen, trascrizione di Franz Liszt S. 560/7 dal Lied D.957/4
    Sony Classical, 2019.
    _____
    Alexander Lonquich, 1828.
    Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.19 D.958
    - Sonata per pianoforte N.20 D.959
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 3 Klavierstucke D.946
    Alpha, 2018.
  18. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Chopin, Ballate e Notturni Op.15 N.1, Op.48 N.1, Op.62 N.1
    Leif Ove Andsnes, pianoforte.
    Sony Classical 2018
    ***
    A 48 anni il pianista norvegese Leif Ove Andsnes è all'apice di un percorso musicale costruito con serietà e senza il divismo di tanti suoi colleghi più giovani.

    Ritorna a Chopin dopo più di 25 anni dall'ultimo disco dedicato al compositore polacco con un programma dedicato alle magnifiche Ballades.
    Ho molto apprezzato la scelta di inframezzare le Ballate con tre Notturni: la Ballate infatti furono composte nell'arco di diversi anni e comunque non per essere suonate come un ciclo completo. I tre Notturni spezzano un'intensità emotiva che in un ascolto continuo potrebbe essere eccessiva.
    Andsnes affronta le Ballate con decisione ed è in grado di rendere l'architettura dei brani con straordinaria chiarezza. Il confronto con la recente incisione delle Ballate dell'ultimo vincitore del concorso Chopin Seong-Jin Cho mette bene in risalto quest'ultimo aspetto.
    Il suono che produce Andsnes è meravigliosamente terso e cristallino, passando dalle più delicate sfumature ai fortissimo pieni e corposi.
    Ma se vogliamo trovare un difetto al pianismo per molti versi magistrale del norvegese è quello di essere eccessivamente controllato: da questa musica e da un interprete di questo calibro mi aspetto un ardore e un trasporto che sappiano contagiare chi ascolta. Qui spesso i finali delle Ballate, dove Chopin porta il discorso musicale a un climax irresistibile per poi concludere con delle code assolutamente fiammeggianti, li ho trovati un po' sgonfi.
    E' possibile, anzi è probabile, che Andsnes dal vivo sappia regalare emozioni che finora in alcuni suoi dischi non ho trovato, ma purtroppo non ho mai avuto modo di ascoltarlo in concerto.

    Rimane comunque un disco di assoluto rilievo, meravigliosamente registrato, ma a mio avviso un pelo sotto altre incisioni come, solo per fare un paio di esempi, quelle di Perahia o di Pollini.
     

  19. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Claude Debussy, Études, Pour le piano, La plus que lente, Berceuse héroïque, Étude retrouvée.
    Steven Osborne, pianoforte.
    Hyperion, 2023.
    ***
    Che lo scozzese Steven Osborne sia uno straordinario interprete di Debussy non è certo una sorpresa, ma devo ammettere che ogni nuovo disco mi riempe di meraviglia.
    Il piatto forte di questa raccolta sono i formidabili études del 1915, ultima composizione pianistica di Debussy e per molti anni dimenticati nei repertori concertistici, a vantaggio di pagine più celebri. Nonostante la dedica dell'autore alla memoria di Chopin, questi brani non potrebbero essere più diversi dai celebri studi del compositore polacco. Le finalità didattiche sono completamente trascese, in uno scherzoso e raffinato gioco di richiami alla tradizione pianistica, siano essi nella musica stessa, così come nei titoli dei pezzi e nelle indicazioni sulla partitura. 
    La caratteristica del Debussy di Osborne è quella di non dimenticare mai proprio l'aspetto umoristico, a tratti sornione, a tratti ironico, a tratti giocoso, allontanandosi da una tradizione interpretativa volta più ad avvolgere questa musica in una seriosa bruma sonora tesa ad esaltarne il carattere più impressionistico. Il suono di Osborne è brillante, terso e cristallino, delicato, ma anche potente quando occore, perfettamente assecondato da una registrazione di straordinaria chiarezza. La musica scorre con naturalezza, dimostrando ancora una volta l'affinità di Osborne per questo compositore.
    L'approccio è coerente con quello delle altre sue raccolte dedicate a Debussy:

    Il precedente disco del 2022.

    Quello del 2017 con Images, Estampes e Childer's corner.

    I Préludes del 2006.
    E' un disco che raccomando senza la minima esitazione. Per chi amasse fare i confronti, suggerisco le registrazioni di Mitsuko Uchida e Maurizio Pollini.
  20. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Chopin, Sonate per pianoforte n.2 Op.35 e n.3 Op.58, Notturno Op.48 n.2, Barcarolle Op.60.
    Rafał Blechacz, pianoforte.
    DG 2023.
    ***
    Rafał Blechacz, ritorna all’amato Chopin con questo disco che contiene la seconda e la terza sonata.
    Da quando ha vinto nel 2005 il concorso Chopin, che ha lanciato la sua carriera e gli ha fatto ottenere un contratto con la prestigiosa etichetta DG, Blechacz sembra essersi mosso sempre con una certa cautela in un mondo musicale che fagocita i giovani talenti in una specie di tritacarne di dischi e concerti.
    Pochi dischi e di qualità, con Chopin a farla da padrone, ma con graditi fuori programma (Bach e Debussy).
    Questo ritorno a Chopin ci chiarisce, se ce ne fosse bisogno, il motivo del primo premio al concorso Chopin del 2005. Senza mezzi termini, Blechacz è probabilmente il migliore interprete del compositore polacco in circolazione!
    Interpretazioni energiche e vibranti, prive di sentimentalismi, con una straordinaria limpidezza del suono, ma soprattutto una grande fluidità nel dipanare il discorso musicale senza indugiare in manierismi, con un rubato molto naturale. Insuperabile e commovente nei movimenti lenti in pianissimo (il secondo tema della celeberrima marcia funebre della seconda sonata e il Largo della terza sonata). A fare da contorno alle sonate il Notturno op.48 n.2 e la Barcarolle.
    Sono pagine molto note del repertorio pianistico (al punto che personalmente mi erano venuto un po’ a noia) e sono numerosissime le incisioni di riferimento, ma è bello riascoltarle in questa lettura di Blechacz, in cui tutto scorre alla perfezione.
    Buona anche la qualità della registrazione, effettuata agli studi Teldex di Berlino.
    Un disco che non esito a raccomandare.
  21. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Tchaikovsky: Nocturne Op. 10 No. 1; Le stagioni Op. 37a: X. Ottobre, XI. Novembre; Diciotto pezzi Op. 72: X. Scherzo-fantaisia, V. Meditazione.
    Prokofiev: quattro Etudes Op.2.
    Rachmaninov: Variazioni su un tema di Chopin Op.22
    Tianxu An, pianoforte.
    Alpha Classics, 2022.
    ***
    Del pianista cinese Tianxu An si era parlato nel 2019 per una brutta avventura che gli capitò durante le finali del celebre premio Tchaikovsky. Salito sul palco per suonare il primo concerto di Tchaikovsky, dopo un breve momento di confusione, il presentatore parlando in russo annunciò qualcosa al pubblico, che lui evidentemente non colse. Fu così che l’orchestra diretta da Vassily Petrenko prese a suonare un altro brano, la Rapsodia su un Tema di Paganini, che era il secondo pezzo in programma. Il pianista mostrò un grande sangue freddo e dopo aver perso il primo attacco e qualche momento di smarrimento, portò a casa in qualche modo il pezzo. Si classificò quarto e questo scherzetto gli costò una posizione migliore, ma la giuria, che gli aveva in ogni caso proposto di eseguire di nuovo il brano, cosa che lui rifiutò di fare, gli concesse un riconoscimento speciale per il coraggio e la concentrazione dimostrati!

    Nella foto, un più che perplesso Tianxu An osserva il direttore Petrenko al concorso Tchaikovsky del 2019.
    A distanza di tre anni e superato il trauma di aver vissuto il peggior incubo di ogni concorrente, il nostro Tianxu An si ripresenta al pubblico con il suo disco di debutto dedicato a tre grandi compositori russi: Tchaikovsky, Prokofiev e Rachmaninov.
    Già dalle prime note si dimenticano tutte le disavventure passate di Tianxu An.
    La selezione di 5 brani di Tchaikovsky (notturno Op.10n.1, Ottobre e Novembre dalle Stagioni, Scherzo-Fantasia e Meditazione dall’Op.72) mostra un’ottima affinità per questo compositore, con interpretazioni caratterizzate da sensibilità e immaginazione, suono pulito e articolato e un’impressionante palette timbrica.
    Con i 4 studi Op.2 del giovane Prokofiev si cambia ritmo. Tianxu An li suona con grande slancio, suono potente quando serve e tutta la verve che occorre. Un’ottima prova per questi pezzi che per la loro rarità in discografia valgono da soli il prezzo del disco.
    Si passa poi al pezzo forte, vale a dire le variazioni su un tema di Chopin di Rachmaninov. Tianxu An è assolutamente a suo agio sia nei momenti più lirici che in quelli più virtuosistici. E’ una composizione che personalmente trovo assai stucchevole, ma An sa il fatto suo e il pezzo tiene bene dalla prima all’ultima variazione.
    Nel complesso un ottimo recital di un brillante giovane artista di 22 anni, che speriamo di non veder passare come una meteora.
    Registrazione esemplare: suono realistico, vivido, croccante!
  22. happygiraffe
    Franz Schubert, sonate per pianoforte D959 e D960
    Krystian Zimerman
    Deutsche Grammophon 2017
    ***
    Ammetto che sono un po' in imbarazzo nel dover parlare di questo disco. Krystian Zimerman è considerato una leggenda vivente del pianoforte e in più i suoi dischi da solista sono molto rari: se si esclude la seconda sonata per pianoforte della Bacewicz del 2011, il disco precedente risale addirittura al 1993 (Préludes di Debussy).
    Nutrivo quindi grandi aspettative, anche se devo ammettere che ho sempre guardato con una certa diffidenza al pianista polacco: pur riconoscendogli una tecnica straordinaria e alcuni dischi leggendari, spesso mi lascia perplesso per una ricerca maniacale del suono e per una cura del microdettaglio che va a scapito della spontaneità.
    In questa incisione dedicata a Schubert leggiamo che ha addirittura modificato la meccanica del pianoforte con il duplice scopo di sostenere meglio il suono della linea melodica e non appesantire le note ripetute dell'accompagnamento.
    Il timbro che ne risulta è in effetti molto particolare e conferisce un carattere ben definito a questa registrazione.
    Zimerman ancora una volta colpisce per la raffinatezza del suo pianismo, per la tecnica sopraffina, per la cura del dettaglio. Le sue interpretazioni di queste due celebri sonate sono sicuramente di un livello altissimo, tuttavia...tuttavia dopo diversi ascolti ho l'impressione che manchi quella fluidità del discorso musicale, quella capacità di rendere il senso della struttura, vado oltre sperando di non essere accusato di blasfemia, quella capacità di andare coraggiosamente in profondità per cogliere il senso pieno del discorso musicale,  tutte cose che permettono di catturare l'attenzione dell'ascoltatore per quella quarantina di minuti che dura ciascuna di queste due sonate. 
    In conclusione, certamente un disco importante, con alcuni momenti memorabili, ma che aggiunge poco di nuovo all'ampia discografia già presente.
  23. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Franz Schubert, quartetti per archi n.14 "La morte e la fanciulla" e n.9
    Chiaroscuro quartet
    BIS 2018
    ***
    Il quartetto n.14 di Franz Schubert, composto nel 1824,  rappresenta probabilmente uno dei vertici più alti del repertorio romantico per quartetto d'archi. Viene chiamato "La morte e la fanciulla" perché il tema del secondo movimento venne ripreso dal lied omonimo composto dallo stesso Schubert nel 1817 su testo di Matthias Claudius.
    Il quartetto Chiaroscuro, guidato dalla brava violinista russa Alina Ibragimova, ha la particolarità di suonare su strumenti d'epoca (con corde di budello e archetti classici), ma questo elemento mi è parso secondario rispetto alle emozioni che mi ha regalato questo disco.
    Quello che più di tutto mi più mi ha colpito di questa registrazione e che mi ha fatto letteralmente riscoprire e apprezzare nuovamente questo lavoro è l'esattezza della scelta dei tempi. Prendiamo ad esempio il celebre secondo movimento, eseguito in 11'48'', quasi due minuti in meno di quella che è la prassi (penso all'Italiano o più recentemente al Pavel Haas). Questo riporta il movimento all'indicazione dell'autore di "Andante con moto", togliendo un eccesso di dolente pesantezza al brano, ma senza perdere in drammaticità, anzi.
    Per il resto una lettura tesa, che non manca di pathos, energia, contrasti, raffinatezza timbrica. 
    Dopo tante emozioni, passa onestamente in secondo piano il quartetto giovanile n.9, che preso singolarmente rimane tuttavia un piccolo gioiello.
    La qualità della registrazione, infine, rende giustizia alla bravura degli artisti. Palcoscenico sonoro piuttosto ampio. Disponibile in 96/24.
  24. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Eugène Ysaÿe (1858-1931): Poème élégiaque Op 12
    César Franck (1822-1890): Sonata per violino in La maggiore
    Louis Vierne (1870-1937): Sonata per violino in Sol minore Op 23
    Lili Boulanger (1893-1918): Nocturne
    Alina Ibragimova, pianoforte, Cédric Tiberghien, pianoforte.
    Hyperion Records, 2019
    ***
    Ruota tutto intorno alla figura imponente del violinista belga Eugène Ysaÿe il programma di questo disco e se a prima vista il pezzo forte sembrerebbe la celebre sonata di Franck, in realtà già dal primo ascolto si capisce che i piatti di contorno sono più sostanziosi di quello che saremmo pronti a pensare.
    Il disco si apre proprio con una composizione dello stesso Ysaÿe, il Poème élégiaque Op.12 del 1893. E' un brano di atmosfera di quindici minuti scarsi, dal fascino misterioso e intimista, ispirato alla scena della tomba di Romeo e Giulietta. Il libretto ci informa che nella "scène funébre" centrale la corda di sol del violino viene accordata sul fa, ottenendo così un colore più cupo, simile alla viola.

    Eugène Ysaÿe
    Segue la famosa sonata di César Franck, forse una delle sonate per violino e pianoforte più eseguite e conosciute in assoluto. Composta nel 1886 fu il regalo di nozze di Franck a Ysaÿe e quest'ultimo ne fu il primo esecutore e la portò al successo in Francia e nel mondo. Si tratta di uno dei vertici della musica da camera francese, composta in forma ciclica, motivi uguali si ritrovano infatti in tutti i movimenti, e caratterizzata da uno straordinario equilibrio strutturale e da un'inventiva melodica trascinante, specialmente nell'ultimo famosissimo movimento, composto secondo un procedimento a canone, con la melodia che si intreccia e si insegue da uno strumento all'altro in modo irresistibile. 
    L'intesa e l'affiatamento tra i due interpreti sono assoluti, si sente eccome che Ibragimova e Tiberghien suonano insieme da anni. Il suono della russa è morbido e dolce, dal canto suo il pianista francese riesce a estrarre dei timbri incredibili dal suo Steinway. Nel complesso è un'interpretazione che mi ha colpito per la sua sensibilità e profondità, ma soprattutto per la naturalezza con cui il discorso musicale si dipana nel corso dei quattro movimenti, mantenendo al contempo delicatezza, grande chiarezza e trasporto.
    E arriviamo così alla sonata per violino Op.23 di Vierne e qui la domanda che mi sono posto immediatamente è stata:"ma chi diamine è Vierne?" 
    E' un nome che probabilmente è noto agli amanti della musica per organo: Vierne è stato dal 1900 al 1937 organista della cattedrale di Notre-Dame, il cui organo, che all'epoca versava in pessime condizioni, fu restaurato grazie ai fondi che lo stesso Vierne riuscì a raccogliere nel corso di una tournée in Europa e America. Vierne da giovane aveva vinto anche un premio di violino al Conservatorio di Parigi e nel corso della sua vita fu anche compositore, nonostante la sua quasi cecità gli imponeva di scrivere la musica in Braille, e un noto improvvisatore all'organo.
    Fu così che Ysaÿe commissionò a Vierne, allievo e ammiratore di Franck, una sonata per violino, che fu poi pubblicata nel 1908. Il violinista la eseguì per la prima volta con successo in quello stesso anno e continuò a portarla in concerto anche l'anno seguente.
    Se si può a tratti sentire l'influsso di César Franck, in realtà il linguaggio di Vierne appartiene al tempo in cui è stata composta: siamo ormai ai primi del '900 e Vierne è nato 48 anni dopo Franck. Basta l'attacco divertito e ironico del primo movimento per accorgersene.

    Louis Vierne
    Il disco si chiude con un breve Nocturne di Lili Boulanger (sorella della più celebre Nadia, morta a 24 anni nel 1918) del 1911, che chiude il disco con grande delicatezza, così come si era aperto.
    Tirando le somme, questo è un disco che mi è piaciuto molto: prima di tutto per la capacità di impostare un programma di grande fascino, in grado di affiancare a un brano arcinoto come la sonata di Franck, altri molto meno conosciuti, ma in grado di reggere il confronto; in secondo luogo per la straordinaria bravura e l'affiatamento dei due interpreti. Da ultimo va menzionata la qualità irreprensibile della registrazione, che rende giustizia alla bravura di Ibragimova e Tiberghien.
  25. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Julia Fischer, Daniel Mueller-Schott: Duo Sessions
    Orfeo, 2016.
    ***
    Riprendo volentieri questo disco uscito qualche tempo fa. 
    Adoro la musica per violino e violoncello e ascoltando un disco come questo viene da chiedersi come mai il repertorio sia così limitato.
    Possiamo dire che questo programma, peraltro quasi identico a quello di un disco di Nigel Kennedy e Lynn Harrel del 2000, comprenda le migliori opere del repertorio per questi due strumenti.
    Composte nell'arco di un decennio le opere di Kodaly, Schulhoff e Ravel si sposano perfettamente tra loro.
    Il Duetto Op.7 di Kodaly, composto nel 1914, ma mai eseguito in pubblico fino al 1924, incorpora diversi temi di origini popolare in una struttura classica in tre movimenti. Questo Duetto è probabilmente secondo in popolarità solo alla Sonata di Ravel.
    Fischer e Mueller-Schott ne offrono una lettura appassionata e esuberante, mantenendo al tempo un equilibrio esemplare tra i due strumenti.
    Segue il Duetto di Schulhoff. Composto nel 1925 e dedicato al maestro Janacek, si articola in quattro movimenti traendo ispirazione dalla musica popolare ceca. Il linguaggio di Schulhoff è stilisticamente più complesso e impiega un ampio bagaglio di scelte tecniche che si traducono in un ricco ventaglio di timbri e dinamiche.
    L'interpretazione di Julia Fischer e Daniel Mueller-Schott è ancora una volta trascinante, rendendo magistralmente la ricchezza stilistica, timbrica e la frenesia dei ritmi di questo lavoro.
    Il pezzo forte del programma è naturalmente l'imprescindibile Sonata di Ravel. Pubblicata nel 1922, costò al compositore francese un anno e e mezzo di lavoro e fu dedicata alla memoria di Claude Debussy, morto nel 1918. Questa sonata rappresenta una delle opere più sperimentali di Ravel, che parlò di "scarnificazione spinta all'estremo" e di "rinuncia alla fascinazione armonica". L'accoglienza del pubblico fu a dir poco fredda ("un massacro"), sconcertato dal linguaggio scabro e il ripetersi ossessivo delle linee melodiche. Nonostante sia certamente uno dei lavori più arditi del compositore francese, oggi questo pezzo è considerato un classico del repertorio per violino e violoncello e ci affascina proprio per le stesse ragioni che all'epoca disorientarono i primi ascoltatori.
    Fischer e Mueller-Schott ne danno un'ottima lettura, molto intensa, anche se forse non all'altezza di altre interpretazioni. Si ascolti ad esempio la versione dei Capuçon (Erato, 2001), non meno intensa, ma più vibratile e viva.
    Si termina con la Passacaglia di  Johan Halvorsen, compositore, violinista e direttore d'orchestra norvegese. Composta nel 1894, la Passacaglia è la virtuosistica trascrizione per violino e violoncello (o viola) dell'ultimo movimento della Suite in Sol minore HWV 432 di Handel. E' un brillante e pirotecnico brano da concerto che chiude felicemente questo bel disco.
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