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happygiraffe

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  1. happygiraffe

    Recensioni Cuffie
    Hifiman è un produttore cinese di cuffie di cui abbiamo parlato spesso qui su VG. Le HE1000SE sono uno dei modelli di punta del marchio, con un prezzo che si aggira intorno ai 3500€, superate solo dalle mitiche Susvara. 3500€ sono una cifra decisamente impegnativa per un paio di cuffie, per molti oltre i limiti della follia, per cui vediamo di capire cosa hanno di speciale queste HE1000SE.
    Si tratta della terza generazione delle originali HE1000, ma si distinguono dai due modelli precedenti per una facilità di pilotaggio che gli altri non avevano.
    A un primo sguardo l’aspetto è molto elegante, con i due padiglioni ovali molto ampi, contornati da inserti di legno scuro. I padiglioni possono ruotare di 360° e la striscia centrale di pelle può essere regolata in altezza. Le orecchie alloggiano molto comodamente all’interno degli ampi cuscinetti, che si presentano rivestiti in pelle esternamente e di tessuto all’interno. Pur pesando 440g, sono molto comode e apparentemente leggere da indossare, anche per sessioni di ascolto molto prolungate.

    Le cuffie arrivano in una bella scatola di legno con una placca di alluminio. Hifiman questa volta è prodiga di cavi: uno da 1,5m con jack piccolo da 4,4mm, uno sempre da 1,5m con jack grande da 6,3mm e uno lungo 3m bilanciato con XLR a 4 pin. I cavi hanno una sezione piuttosto sottile e una consistenza invero bizzarra, per non dire inquietante, però, al di là dell’aspetto, sono dei buoni cavi.

    Le HE1000SE impiegano un diaframma molto ampio, siamo nell’ordine di 60mmm x 100mm, molto più grande rispetto a delle cuffie dinamiche e molto più sottile. Stiamo parlando di una pellicola con uno spessore dell’ordine dei nanometri! Un trasduttore sottile, comporta una massa più ridotta e di conseguenza una risposta più veloce e minori distorsioni. Inolte HifiMan ha lavorato sulla forma e la posizione dei magneti in neodimio, nonché sul design della griglia, per ridurre interferenze e diffrazioni.

    La sensibilità è stata portata a 96dB dai 91dB dei modelli precedenti, rendendo questa cuffia semplice da pilotare per qualsiasi amplificatore, compresi i DAP portatili. Il mio consiglio, però, è quello di abbinare queste cuffie con un amplificatore di qualità per poterne estrarre tutto il meglio di quello che possono dare.
    Passiamo ora alla parte più divertente, ovvero ai test, perché, al di là degli aspetti costruttivi e della tecnologia che c’è dietro, quello che veramente importa è come suonano.
    Test di ascolto
    Per questo test ho usato sia l’irreprensibile DAC con ampli cuffia Audio-GD Master 11 che il più economico Audio-GD R2R-11 mk2.
    Ho ascoltato un po' di tutto per questa recensione, spaziando tra diversi generi musicali, e devo ammettere che mi sono divertito parecchio. Qui di seguito ci sono le mie impressioni relative ai singoli ascolti. Se non avete voglia di leggerle, potete passare direttamente alle conclusioni in fondo alla pagina.

    The Allman brothers band, The 1971 Fillmore East recordings. Island Def Jam, 2014.
    You don't love me (first show). 24/192kHz.
    Questo disco raccoglie le storiche registrazioni dei concerti al Fillmore East del 1971 degli Allman brothers. Quello che stupisce è l’ampiezza del palcoscenico, la localizzazione precisa di tutti gli strumenti e una sensazione di musica dal vivo molto realistica. Tutto bellissimo, manca tuttavia quell’impatto viscerale che provo con le mie cuffie dinamiche, le Focal Clear.

    Nirvana, Nevermind. Geffen, 2014.
    Smells like teen spirit. 24/96.
    Album mitico del 1991 del gruppo grunge di Seattle. Incredibile come le HE1000SE siano veloci e dinamiche. Il basso è corposo, la batteria suona piena fino alle frequenze più elevate, solo la chitarra elettrica risulta un pelo fastidiosa alle mie orecchie. Nel complesso l’energia del brano viene trasmessa senza compromessi,

    Paul Simon, Still crazy after all these years. Legacy recordings, 1975.
    50 ways to leave your lover. 24/96 kHz.
    L’inconfondibile introduzione delle percussioni di Steve Gadd suona incredibilmente ricca di dettagli. La raffinatezza con la quale vengono riprodotti gli strumenti acustici e la voce di Paul Simon è semplicemente pazzesca. Meraviglioso.

    Beck, Sea Change. Interscope, 2002.
    Paper Tiger. 24/88.2.
    La linea del basso di Justin Meldal-Johnsen, articolata e inizialmente sottile, poi via via più presente, rimane spesso nascosta sotto gli altri strumenti. Qui invece viene messa nella giusta luce e valorizza l’intero brano.

    Bob Dylan, Rough and rowdy ways. Columbia, 2020.
    I contain multitudes. 24/96.
    L’ultimo disco di Bob Dylan, con in copertina un'iconica foto di Ian Berry, è l’ennesimo gioiello della sua lunghissima carriera. La sua voce consumata dagli anni non è mai suonata così vera. Fa da sfondo un articolato tappeto sonoro di chitarre armoniche, una pedal steel guitar e un contrabbasso suonato con l’archetto.

    Radiohead, Kid A. XL Recordings, 2000.
    The National Anthem. 16/44.1.
    Brano mitico dei Radiohead, molto difficile da riprodurre per la sovrapposizione di svariati strumenti (addirittura delle onde Martenot) e di efffetti sonori. Rimango stupito dall’ottima resa spaziale degli effetti che volteggiano intorno a me. Stupefacente la voce distorta di Tom Yorke quando finalmente comincia a cantare.

    Keith Jarrett, Jan Garbarek, Palle Danielsson, Jon Christensen, My Song. ECM, 1978. 
    Country, 24/96 kHz.
    Era il 1977 quando Keith Jarrett e il suo quartetto norvegese incidevano questo bellissimo disco. I timbri del piano e del sax vengono riprodotti con grandissima raffinatezza. Da commuoversi per come suonano i piatti, così ricchi di dettagli. Bello pieno il contrabbasso nel duetto con il piano. Sembra di esserci.

    Fred Hersch Trio, Live in Europe.
    Newklypso (for Sonny Rollins). 24/44.1 kHz.
    Disco straordinario, inciso benissimo in uno studio radiofonico in Belgio. Pieno e robusto il basso in apertura, ma è impressionante la vividezza di tutti gli strumenti. Chiudendo gli occhi si può vedere la scena davanti a noi.

    Bill Frisell, Epistrophy. ECM, 2019.
    You only live twice. 24/96 kHz.
    Un disco live con la chitarra elettrica di Bill Frisell che duetta con il contrabbasso di Thomas Morgan. La resa timbrica è pazzesca, come pazzesca è la qualità dei bassi, che scendono molto, molto giù. La scena è praticamente in 3D. Emozionante.

    Muddy Waters, Folk singer. Geffen Records, 1964.
    Good morning little schoolgirl. 24/192.
    Disco unplugged inciso divinamente nel 1964 e ora riproposto in 24/192. Tutto magnifico, ma forse più di tutto quello che mi colpisce è la ricchezza del timbro della voce di Muddy Water. Al di là dei dettagli, è veramente’ difficile resistere alla tentazione di batter il piede e ondeggiare col corpo.

    Gyorgy Ligeti, Works for piano: études, Musica ricercata. Pierre-Laurent Aimard, pianoforte. Sony Classical, 1996.
    L'escalier du diable. 24/44.1.
    Un pezzo per pianoforte di Ligeti molto difficile da suonare e da riprodurre. Il pianoforte viene usato in maniera percussiva e le dinamiche sono molto elevate. Lo strumento appare perfettamente centrato all’interno del palcoscenico, l’acustica è molto spaziosa e si possono indovinare le dimensioni della sala. Le HE1000SE sono ancora una volta molto veloci e perfettamente a loro agio nel riprodurre l’ampia gamma di timbri del pianoforte.

    Prokofiev, concerti per violino e orchestra. Lisa Batiashvili, Chamber Orchestra of Europe, Yannick Nézet-Séguin. DG, 2018. 
    Secondo concerto, terzo movimento Allegro, ben marcato. 24/96.
    E’ un disco ottimamente registrato che con le HE1000SE suona divinamente. Il violino della Batiashvili è riprodotto in ogni sua sfumatura e bel si amalgama con il resto dell’orchestra. Il vasto uso delle percussioni (piatti, triangolo, castagnette, grancassa, rullante) in questo terzo movimento del secondo concerto di Prokofiev è perfettamente documentato, con un’evidenza tale che, ancora una volta, sembra di essere seduti in mezzo alla platea.

    Telemann : concerti per viola, ouvertures, fantasie, sonate. Antoine Tamestit, viola, Akademie fur Alte Musik Berlin. Harmonia Mundi, 2022.
    Fantasia per viola sola, TWV 40:14. 24/96.
    Qui siamo proprio all’estasi pura. Ho scelto questo brano per viola sola, perché le HE1000SE sono realmente magiche. La viola Stradivari di Antoine Tamestit, uno dei migliori violisti al mondo, suona divinamente. Lo strumento è di fronte a noi, l’acustica è ampia e riverberante. Si riesce a percepire ogni più piccolo dettaglio e sfumatura di questo meraviglioso strumento.

    Bartók: Orchestral Works. Helsinki Philharmonic Orchestra, Susanna Mälkki. BIS, 2021.
    Musica per archi, percussioni e celesta; Concerto per Orchestra. 24/96.
    Un disco ideale per questo genere di test. Il livello tecnico della registrazione e dell'interpretazione qui sono al top. Inoltre, la Musica per per archi, percussioni e celesta prevede una disposizione particolare dei musicisti, con la sezione degli archi divisa in due e disposta in maniera simmetrica a destra e a sinistra del direttore, e l'impiego di strumenti particolari. La riproduzione con le HE1000SE risulta assolutamente tridimensionale, con ogni strumento che suona come suonerebbe dal vivo. Nel Concerto per Orchestra, dove ogni strumento ha dignita di solista, la compagine orchestrale risulta più amalgamata, ma ogni sezione risulta chiaramente distinguibile. L'esperienza di ascolto è memorabile.
    Conclusioni
    Bassi
    Con riferimento alla gamma bassa, sono due i fattori che mi hanno molto colpito: la linearità fino a frequenze bassissime e la qualità timbrica. In questo senso l’ascolto di Bill Frisell e Beck possono dire molto su queste cuffie. Le HE1000SE sono in grado di scendere davvero molto in basso, mantenendo un elevatissimo grado di dettaglio e di pulizia. Nel complesso la gamma bassa è molto uniforme e equilibrata rispetto alle altre frequenze.
    Medi
    La gamma media è assolutamente meravigliosa, pulita, aperta, neutrale. E’ difficile descrivere il grado di accuratezza con la quale vengono riprodotti i timbri dei diversi strumenti e della voce umana, ma qui siamo a livelli superlativi.
    Alti
    Queste cuffie sono capaci di andare al tempo stesso molto in basso e molto in alto. La quantità di informazioni che riescono a restituire nelle alte frequenze è inaudita. L’accuratezza della resa timbrica è pure impressionante. Per quanto riguarda gli alti, l’unico limite è rappresentato dai nostri timpani. Con alcune dischi, specialmente di musica rock, dove le chitarre elettriche sono spesso distorte, avrei voluto abbassare un po’ le alte frequenze. Qui sta a ciascuno decidere se equalizzarle un po’ o meno.
    Soudstage
    La scena sonora riprodotta è molto ampia e profonda, in maniera assolutamente realistica. Nelle buone registrazioni sembra davvero di aver davanti i musicisti. Giusto a livello di aneddoto, mi è capitato diverse volte di indossare le cuffie, premere play e avere l’impressione che la musica venisse da fuori, al punto di credere di non aver fatto lo switch dai miei diffusori alle cuffie.
    Immagine
    I diversi musicisti sono perfettamente isolati e collocati nello spazio
    Risoluzione
    La risoluzione è impressionante. Queste cuffie sono assolutamente radiografiche, nel senso che sono in grado di isolare e riprodurre qualsiasi infinitesimo dettaglio presente nel segnale sonoro. Di contro, le registrazioni di scarsa qualità mostrano tutti i loro limiti.
    Dinamica
    Per essere delle cuffie planari, le HE1000SE hanno una dinamica eccellente e sono molto veloci. Con registrazioni dall’alto contenuto energetico (rock, metal, etc) a mio avviso perdono leggermente, rendendo a volte preferibile una cuffia dinamica.
    Equalizzazione
    Ha senso equalizzare delle cuffie di questo livello?? A mio avviso per la musica classica, jazz, acustica in generale non è necessario. Nel caso uno fosse sensibile alle frequenze più alte (è una cosa molto soggettiva, io lo sono, ad esempio) si può prendere in considerazione un leggera equalizzazione quando si ascoltano musica rock e affine.
    Conclusioni finali
    Le HE1000SE sono indubbiamente delle cuffie di qualità superlativa. Non manca niente: accuratezza e raffinatezza nella riproduzione dei timbri strumentali, risposta in frequenza esemplare, dinamica notevole, soundstage molto ampio, risoluzione pazzesca.
    In rete c'è chi dice che queste cuffie sono talmente analitiche che si presta più attenzione alla registrazione che non alla musica. Onestamente non mi trovo d'accordo: è vero che sono cuffie che rivelano molto della qulità delle registrazioni che stiamo ascoltando, ma quando si ascoltano buone incisioni, sono in grado di regalare momenti di pura magia, facendoci perdere nella pura dimensione musicale.
    Mi sento di fare ancora una considerazione: per quanto uno strumento come questo possa essere molto costoso, non esistono cuffie che vadano ugualmente bene per tutti i generi musicali. Le HE1000SE, che sicuramente  suonano in maniera spettacolare con qualsiasi musica, danno però il meglio con gli strumenti acustici, rivelandocene ogni più intimo segreto.
     
    Pro
    -          Semplici da pilotare
    -          Comodità e design
    -          Soundstage e separazione degli strumenti
    -          Dettaglio
    -          Realismo e raffinatezza dei timbri strumentali
    -          Linearità e estensione della risposta in frequenza
    -          Probabilmente rappresentano il top per la musica classica e acustica in generale
    Contro
    -          Qualche scricchiolio quando si indossano
    -          Cavi buoni, ma esteticamente non sono un granché
    -          Prezzo molto elevato
     
  2. happygiraffe
    Noi di VariazioniGoldberg siamo da diverso tempo estimatori dei prodotti Audio-GD. Questo piccolo apparecchio di cui parliamo oggi non ha tradito le nostre aspettative.
    L’R2R11 Mk2 è un all-in-one che comprende un DAC, un ampli cuffie e un preamplificatore sbilanciato. Si tratta di un apparecchio molto versatile, che può essere usato in varie configurazioni:
    come DAC puro e semplice, senza controllo di volume come DAC e preamplificatore con uscite sbilanciate come DAC e amplificatore per cuffie Prima di descriverne le altre caratteristiche, soffermiamoci un momento sul produttore. Audio-GD è un marchio cinese fondato da un progettista, il mitico Kingwa, che ha fatto esperienza negli USA prima di creare la propria azienda. Audio-GD è specializzato nella produzione di DAC, ma oggi il catalogo è piuttosto ampio e propone offerte di vario tipo, tutte caratterizzate da un rapporto qualità prezzo decisamente ottimo. Sono macchine dall’aspetto essenziale, ma che nascondono al loro interno componentistica di qualità. La resa sonora è sempre assolutamente lineare, da strumenti professionali, senza equalizzazioni che colorano il suono. Insomma tanta sostanza e pochi fronzoli. 
    Torniamo al nostro R2R11 mk2. Rispetto alla versione precedente, è stato completamente ripensato, al punto che avrebbe forse meritato un nome diverso.

    Il modulo di conversione D/A impiega 4 convertitori R-2R a 24 bit integrati e 2 decodificatori DSD nativi. I moduli R-2R e gli stadi di uscita analogici sono alimentati dai 3 gruppi di alimentatori puri di classe A. Per ragioni di economia e per mantenere l’architettura più semplice possibile è stata scelta una tecnologia NOS, ovvero senza sovracampionamento. Questo comporta a un peggioramento del rapporto S/N e della distorsione, cosa che porta, secondo lo stesso Kingwa, ad un suono che può ricordare quello di un valvolare o del vinile.
    Come ingressi digitali sono presenti USB, coassiale e ottico.

    Le uscite sono due RCA sul retro da collegare a un eventuale finale di potenza e un’uscita jack Neutrik con sicura sulla parte frontale.

    L’R2R11 ha sufficiente potenza per pilotare la maggior parte delle cuffie sul mercato. L’ampli per cuffie ha due livelli di guadagno: 12DB a basso guadagno per pilotare cuffie con sensibilità superiore a 95DB e 22DB ad alto guadagno. Volendo si possono aggiungere altri 6dB, inserendo due ponticelli.
    Sul pannello frontale sono presenti un display con caratteri azzurri ben visibili a distanza, la manopola del volume e tre pulsanti. I tre pulsanti permettono di selezionare l’ingresso digitale, di regolare il guadagno e di scegliere tra pre e ampli cuffia. Il display può essere anche oscurato quando non in uso
    Come suona?
    Come avete visto questo apparecchio può essere usato in diverse configurazioni. Premetto che io lo uso solo come DAC+ampli cuffia collegato a un PC. Viste le dimensioni piuttosto contenute (larghezza 240mm, profondità 280mm, altezza 85mm per 3,5Kg di peso), lo utilizzo per gli ascolti in cuffia mentre lavoro al computer. Potrebbe essere in alternativa collegato a un piccolo finale di potenza e a dei diffusori passivi. E’ dotato di un piccolo telecomando, che in quest’ultima configurazione sarebbe sicuramente molto utile.
    Tornando alla domanda di prima: come suona? Suona decisamente bene! Questo R2R11 mk2 ha un suono molto naturale e morbido, timbricamente corretto, con una ricostruzione del palcoscenico sonoro straordinaria.
    Potrei confrontarlo al suo fratellone maggiore, l’Audio-GD Master 11 Singularity che impiego nel mio impianto principale, ma sarebbe un confronto impari, perché il Master 11 è un sistema bilanciato che impiega soluzioni diverse e che si colloca in un’altra fascia di prezzo. A livello di suono, però, posso dire che hanno in comune la ricostruzione della scena sonora e l’impostazione molto neutrale.
    In conclusione, l’R2R Mk2 è una sistema molto versatile e assolutamente ben suonante. Pur collocandosi nella fascia medio-bassa del catalogo Audio-GD, non sfigura nella maniera più assoluta, anzi. 
    Oggi lo trova sul mercato ad un prezzo che oscilla tra i 680€ e i 750€. Considerandone le caratteristiche, si può affermare senza timore di essere smentiti che il rapporto qualità prezzo è assolutamente incredibile.
    Non esiterei a consigliarlo a chi lo voglia impiegare abbinato a cuffie di qualità, pur mancando di un’uscita bilanciata per le cuffie.
     
    Pro
    sistema versatile resa sonora molto musicale palcoscenico  rapporto qualità prezzo Contro
    non è compatto come altri sistemi DAC-Ampli cuffia non ha uscite bilanciate, ma questo lo sapevamo dall'inizio tecnologia senza sovracampionamento con i relativi pro e contro (distorsione elevata)  
    Per le caratteristiche tecniche dettagliate, rimando al sito di Audio-GD: http://www.audio-gd.com/R2R/R11MK2/R11mk2EN.htm
    Per chi fosse interessato, Audio-GD è distribuita in Italia da Spirit Sound: http://www.spiritsoundstore.com
  3. happygiraffe
    Fotografo controverso, osannato da alcuni, disprezzato da altri, Martin Parr ha certamente lasciato il segno nel linguaggio fotografico degli ultimi 30 anni.
    Parr è noto per aver documentato la società inglese nei suoi aspetti più bizzarri e apparentemente banali, così come alcuni aspetti della società contemporanea come consumismo, turismo e cibo, con un'umorismo e uno stile facilmente riconoscibili.
    La prima raccolta di immagini a colori fu esposta a Londra nel 1986 con il titolo di "The Last Resort". Era stata realizzata a New Brighton e scatenò interminabili dibattiti e polemiche.

     

     

     

     

     

    Le immagini di Parr hanno il potere di far sorridere, ma anche di infastidire, di far riflettere e di far riflettere su noi stessi e sui nostri comportamenti.
    La prima volta che vidi questo foto rimasi molto turbato.
    Successivamente Parr si è occupato del turismo di massa e dei suoi riti tribali e nel 1995 pubblica Small World.

     

     

     

     

     

     

     

    Dice Parr della sua fotografia:"La cosa fondamentale che esploro costantemente è la differenza tra la mitologia di un posta e la sua realtà. ...Ricorda che io faccio fotografie serie mascherate da divertimento. Fa parte del mio mantra. Rendo le immagini accettabili in modo da trovare un pubblico, ma in profondità succedono molte cose che non sono immediatamente visibili in superficie. Se vuoi vederle allora puoi vederle".
    Parr fotografa a distanza ravvicinata, usa colori molto saturi e impiega spesso un flash ad anello.
    Fotografo bulimico, le sue immagini sono innumerevoli, ma sempre intorno ad alcuni temi per lui fondamentali.

     



     

     

     

     

     
    Le sue immagini sono inconfondibili: il suo spiccato sense of humour, a volte diventa sarcasmo e ad alcuni può apparire perfino snob, ma Parr ne ha per tutti a prescindere dagli strati sociali di appartenenza.
     

     

     

     

     

     
    L'inclusione come membro permanente della prestigiosa agenzia fotografica Magnum Photos nel 1994 avvenne a seguito di un accesso dibattito tra gli altri membri. 
    Parr dichiarò che "i fotografi Magnum si sentono come in dovere di partire per una crociata...in posti con carestia o guerre...mentre io esco e giro l'angolo dove c'è il supermercato, perché questa per me è la prima linea".
    Sorprendentemente nel 2014 fu eletto presidente di Magnum Photos.
     
    In un recente lavoro del 2016 documenta una zona dl West Yorkshire conosciuta come il triangolo del rabarbaro:



     
    Per chi fosse interessato ad approfondire:
    Martin Parr - Sito Web
    Martin Parr - Blog
     
    Nota: tutte le foto qui mostrate sono opera di Martin Parr e hanno l'unico scopo di illustrare la sua opera.
     

     
     
     

     
  4. happygiraffe
    Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Silvio Renesto il 15 agosto 2016 su nikonland.eu.
     
    La fotografia di Nick Brandt è unica, fortemente coinvolgente ed ha un solo scopo:  celebrare, non documentare, la bellezza, di più, la  grandezza della natura africana minacciata di distruzione. Nick Brandt fotografa per  consegnare questa natura  alla memoria, prima che scompaia, ma  lo fa nella speranza che qualcuno si muova in tempo per preservare quel che ne rimane.
    Nick Brandt nasce nel 1964 in Inghilterra, studia pittura e cinematografia alla Saint Martin's School of Art. All'inizio degli anni 90 si trasferisce negli USA dove dirige alcuni video musicali di successo tra cui uno con Michael Jackson.
     
     
     
    Nel 1995, durante le riprese di uno di questi video (Earth Song) ambientato in Tanzania, si innamora della natura e degli animali d'Africa. Per alcuni anni cerca di trasmettere senza successo le sue sensazioni nei confronti di questa terra.
    Poi ha un'intuizione, esprimerà questo sentimento tramite la fotografia, ma una fotografia diversa.
     
    Brandt infatti sceglie di fotografare in un modo completamente diverso da quasi tutti gli altri fotografi naturalisti. Le sue immagini sono molto lontane dalla vivacità di colori e dal dinamismo che si incontra nella quasi totalità della fotografia naturalistica di oggi. 
     

     
    Nick Brandt fotografa in bianco e  nero su pellicola medio formato e non usa teleobiettivi potenti perchè, secondo lui, sono di ostacolo nel catturare l'essenza degli animali, secondo Brandt, con gli animali è come con le persone, non puoi rivelarne la personalità con un ritratto  ripreso da lontano a loro insaputa.
    Devi essere vicino, presente (viene da chiedersi cosa faccia o cosa abbia per non venire mangiato dai leoni o calpestato da un elefante, come è successo ad altro fotografo famoso, Peter Beard, che se l'è cavata per un soffio).
    Afferma di amare le "sorprese" e le "imperfezioni"  della pellicola, come la luce interagisce in modo inaspettato con il negativo.
    Secondo lui le foto troppo perfette tecnicamente non necessariamente sono migliori o più interessanti.
     

     
     
    Dal 2000 inizia il suo progetto fotografico: non documentare, ma celebrare, la bellezza, direi la grandezza, della natura africana minacciata di distruzione, per consegnarla alla memoria, prima che scompaia, nella speranza che qualcuno si muova per preservare almeno quel che ne rimane.
     
    Il suo lavoro si concretizza in una trilogia di libri i cui titoli formano in sequenza un'unica frase: "On This Earth", "A Shadow Falls", "Across The Ravaged Land" (ossia "Su questa Terra" "Si proietta un'Ombra", "Su di una terra devastata"), oltre a numerosissime mostre.
     
     

     
     

     
     

     
     
     
    Nel 2010 esasperato dal contrabbando di avorio, causa della strage degli elefanti, diviene co-fondatore della Fondazione Big Life, per la conservazione della fauna (e della natura) dell'Africa Orientale, a questo proposito scrive:"There’s little use being angry and passive. Much better to be angry and active." Ossia "serve a poco essere arrabbiati e passivi,. Molto meglio essere arrabbiati e fare qualcosa".
    Come non essere d'accordo.
     
     

     
    La "cosa"  bianca è un cranio di elefante.
     
     

     
     

     
    Nel 2016 pubblica una mostra/installazione ed un  libro intitolati "Inherit the dust" (eredita la polvere) nella quale tramite una serie di imponenti foto panoramiche documenta l'impatto umano nell'Africa Orientale luoghi dove un tempo gli animali vagavano liberi, ora non più. In ogni location, pannelli a  grandezza naturale degli animali sono sovrapposti ad un ambiente di affollamento urbanistico, fabbriche, discariche e cave. 
     
     
     

     

    Non entro nel merito dell'aspetto conservazionistico, perchè lo ritengo un argomento lungo e complesso. Mi limito alla fotografia. 
    E' mia opinione che le sue foto siano il contrario (o comunque molto differenti come approccio) di quello che normalmente si intende come fotografia naturalistica, dove l'animale in genere viene rappresentato in modo da minimizzare o se possibile annullare (o almeno si finge di annullare) la presenza del fotografo.
    Inoltre le sue foto, a mio parere, hanno un certo/elevato grado di elaborazione, non so se digitale o "tradizionale", visto che parte da una pellicola.
     

     
     

     
    Ma questo non è  un giudizio negativo, al contrario.
    Le fotografie di Brandt non vogliono essere neutre oppure accattivanti rappresentazioni della vita animale, vogliono invece essere personali, appassionate testimonianze di un patrimonio di bellezza senza eguali, che  è già in gran parte perduto e presto scomparirà se nessuno farà nulla (come ahimé ritengo probabile). Le foto di Nick Brandt non sono descrizioni, sono... grida. 
     

     
     
    I suoi animali sono fieri, maestosi  o teneri, spesso tragici in un senso shakesperiano, una grandezza sconfitta dalla avidità e dalla meschinità (o forse dalla cinica, puramente darwiniana competizione di una specie molto, molto più aggressiva di quanto farebbero pensare i sui denti poco aguzzi).
     
     
     
     

     
     
     
     

     
     
    Le foto sono per me bellissime  e se non sono "spontanee" nel senso del purismo naturalistico poco importa. Toccano il cuore (a chi ne ha uno). E questo è quel che conta.
    Sono immagini forti, mi ricordano un po' alcune della "Genesi" di Salgado però, pur condividendo a volte  la possanza, quelle di Brandt sono intrise, di tristezza. Avete mai visto l'espressione di un gorilla allo zoo? Fiera e triste, così.
     
    Silvio Renesto per Nikonland
     
     
     
     
     
     
    PS, Tutte le foto sono prese da Internet e © Nick Brandt
     
    PPS Non guardate negli occhi uno scimpanzè invece, avendo il 96% del nostro DNA, un po' della "cattiveria" umana traspare...
     
  5. happygiraffe
    Premessa
    Faccio una breve premessa prima di iniziare la recensione delle Adam Audio S3V.
    Sono passati ormai parecchi mesi da quando ho stravolto il setup del mio impianto hifi e penso che ormai sia arrivato il momento di condividere con voi le mie impressioni.
    Diversi mesi ci aveva impiegato anche l’amico Florestan a convincermi ad abbandonare la tradizionale configurazione con sorgente + pre + finale (integrato nel mio caso) + diffusori passivi a 2 vie e passare a qualcosa di molto diverso, ovvero usare un pc come sorgente + dac con pre integrato + diffusori attivi a 3 vie.
    Abbiamo già parlato su queste pagine di questo tipo di catena audio e in effetti, avendo ormai una collezione di dischi completamente digitalizzata che risiede su un NAS, aveva perfettamente senso liberarmi del lettore CD che ormai prendeva polvere da anni e del lettore di rete Naim e impiegare come sorgente un semplice laptop collegato al NAS. Come player uso con soddisfazione JRiver, che permette ogni tipo di personalizzazione, e da qualche tempo anche Audirvana. che è perfettamente integrato con Qobuz.
    Il segnale digitale in uscita dal PC viene poi mandato al DAC, nel mio caso il meraviglio DAC con Pre e Ampli cuffia bilanciato Master 11 Singularity di Audio-GD, marchio che negli ultimi anni ha sfornato ottimi convertitori DA e ampli cuffia con un rapporto qualità prezzo incredibile.

    Nel mio caso il Master 11 è diventato il cuore della mia catena audio, avendo il compito di convertire il segnale digitale in arrivo dal pc, di amplificarlo e di inviarlo o alle cuffie o ai diffusori attivi.
    Veniamo ora all’ultimo componente, ossia i diffusori attivi.
    Cosa sono innanzi tutto? Si tratta di speakers che contengono al loro interno una sezione di amplificazione ottimizzata per ogni driver. In pratica con questo tipo di setup si dice addio agli amplificatori finali perché i diffusori già li contengono al loro interno. Il vantaggio evidente di questa scelta è che il prodotto che esce dalla fabbrica è concepito e ingegnerizzato in modo che tutte le componenti si integrino alla perfezione tra di loro.  Ogni driver ha il suo amplificatore,  pensato, realizzato, ottimizzato per farlo suonare al meglio. Non abbiamo più un unico ampli che deve cercare di gestire più canali contemporaneamente, ma un singolo ampli calibrato per gestire un solo driver e che in soldoni deve fare solo una cosa e la fa bene. Questo si traduce in una maggiore riserva di potenza a disposizione di ogni singola via e quindi in una maggiore capacità di risolvere le necessità di ogni driver senza influenzare gli altri.
    Un altro vantaggio è che si eliminano un po’ di cavi, spesso costosi e fonti di interferenze, mentre quelli che rimangono sono bilanciati, quindi non costosi e pensati appositamente per ridurre le interferenze.
    In termini di spesa, se è vero che i diffusori attivi non sono in assoluto economici, lo diventano però quando consideriamo che l'esborso per un paio di diffuri passivi , ampli e cavi sarebbe sicuramente di gran lunga superiore a parità di qualità.
    Lo svantaggio di un diffusore attivo chiaramente è quello di essere un sistema completamente blindato, per cui non è possibile sostituirne delle parti in caso volessimo fare degli upgrade.
    Fatta questa premessa, arriviamo a parlare degli altoparlanti che ho scelto e che sono poi l’oggetto di questa recensione.
    Caratteristiche principali
    Si tratta degli Adam Audio S3V, diffusori attivi professionali a 3 vie, in pratica quelli che vengono definiti dei monitor. Sono strumenti pensati per chi lavora in studio e deve masterizzare, mixare o comporre, per cui devono avere una risposta in frequenza più lineare possibile, una spiccata capacità di rivelare i dettagli delle incisioni e quella di ricreare un palcoscenico virtuale. Ascolto prevalentemente musica classica, per cui linearità, dettaglio e soundstage sono elementi per me molto importanti. Il vantaggio poi di lavorare con questo tipo di setup è che, se desideriamo evidenziare qualche range di frequenze, ad esempio i bassi, le voci, etc, possiamo sempre equalizzare il suono a nostro piacimento, sia in JRiver che tramite i diffusori.
    La famiglia S di Adam Audio prevede anche un modello più piccolo a 2 vie (S2V) e un modello più grande e più potente a 3 vie con un woofer da 12" (S5V). Esite anche una versione orizzontale delle S2V che si chiama S2H. 
    Gli S3V sono diffusori midfield, pensati quindi per essere usati a una certa distanza dall’ascoltatore, a differenza dei nearfield che solitamente sono sparati in faccia a chi ascolta.

    Sono piuttosto voluminosi: 53cm di altezza senza stand, 29 di larghezza, ma soprattutto sono molto profondi, 38cm, perché devono contenere tutta l’elettronica. Il peso è di 25kg. Solidi e massicci, ricordano più un carro armato che un sofisticato diffusore hifi!

    Sul davanti si notano i tre driver e l’uscita bass-reflex, mentre sul pannello posteriore troviamo la presa XLR per l’ingresso bilanciato, due prese XLR per audio digitale AES3 e collegare più diffusori in serie, alimentazione e interruttore, presa USB per collegare un pc per le regolazioni del DSP, un piccolo display OLED e una rotellina per regolare varie impostazioni (crossover, ottimizzazione dei driver, possibilità di scegliere tra 5 diverse equalizzazioni, di cui due già pre-impostate).

    Ogni driver ha una sezione di amplificazione dedicata: 500W in classe D per il woofer, 300W in classe D per i medi, 50W in classe A/B per il tweeter. Le frequenze di crossover sono a 250Hz e a 3kHz. Da specifiche Adam Audio la risposta in frequenza va da 32Hz a 50kHz, la distorsione armonica totale del 0.4% (sopra i 100Hz) e una SPL a 1m superiore a 124dB.
    Il fatto che siano diffusori a 3 vie permette, rispetto ai 2 vie, di avere un altoparlante  ottimizzato per le medie frequenze, che sono quelle dove passa la maggior parte del segnale audio, uno dedicato agli alti e uno ai bassi. Ogni altoparlante gestisce quindi un range di frequenze più piccolo, permettendo quindi una migliore linearità, a patto che gli ingegneri facciano bene il loro lavoro e gestiscano bene le frequenze di crossover, ovvero quei punti in cui il suono passa da un altoparlante all'altro.
    Le basse frequenze (32-250Hz) sono gestite da un nuovo driver di casa Adam Audio da 9” realizzato espressamente per la serie S..
    Per i medi c’è un interessante driver da 4” ibrido cupola/cono in composito di carbonio. Il driver è collocato in una guida d’onda concepita per favorire la dispersione del suono in senso orizzontale e limitarla invece verticalmente, questo per creare un’immagine larga con uno “sweet spot” ampio e ridurre le riflessioni del suono su superfici orizzontali poste di fronte al punto di ascolto (parlando di monitor si intende una console di mixaggio).

    Per gli altri (sopra i 3kHz) c’è il nuovo tweeter a nastro S-ART con la sua guida d’onda HPS (“high propagation system”), che come per i medi è progettata per offrire uno sweet spot molto ampio orizzontalmente.

    DSP
    Come si diceva prima, c’è la possibilità di accedere dal retro dei diffusori a un menù impostazioni che permettere di accedere alla regolazioni DSP e a 5 preset di equalizzazione.

    Se non fosse agevole accedere al retro dei diffusori, c’è la possibilità di fare queste regolazioni da pc, tramite una presa USB, utilizzando il software di controllo.
    Le due equalizzazioni preimpostate sono “Pure” (curva piatta) e UNR (Uniform Natural Response), una curva creata da Adam con una moderata accentuazione di basse e alte frequenze.

    Si può intervenire su 8 bande di equalizzazione: high shelf, low shelf e 6 filtri parametrici che permettono fino a +/-12dB di regolazione da 20 a 20kHz.
    Segnalo solo che le modifiche impostate via software hanno bisogno di qualche decina di secondi per essere memorizzate nei diffusori.
    Posizionamento
    Nel mio caso il posizionamento non ha richiesto molto tempo. Ho lasciato i richiesti 40cm di spazio dalla parete posteriore. Ho messo i due diffusori a circa 180cm l’uno dall’altro con un punto di ascolto a circa 3m. Gli S3V hanno suonato subito bene, con un’immagine ampia e coerente.
    Risposta in frequenza

    La risposta in frequenza è quella tipica di un monitor professionale: perfettamente lineare su tutta la gamma. Le basse frequenze cominciano a decadere poco dopo i 36kHz.
    Non ascoltando musica dal mio impianto in uno studio professionale o in un ambiente d’ascolto ottimizzato, ho equalizzato il segnale che va ai diffusori usando un software di correzione ambientale (Dirac).
    Qui vi riporto la risposta in frequenza reale misurata con Dirac e una possibile curva target (tipo Harman😞

    E questa come dovrebbe apparire la risposta in frequenza in seguito alla correzione del software:

     
    La correzione apportata da Dirac è assolutamente efficace. Posso dirlo con certezza, perché in questi giorni sto avendo qualche problema con l'ultima release di Dirac, per cui non posso usarlo. La differenza è come tra il giorno e la notte!
    L’ascolto
    Ok, veniamo alla parte più interessante: come suonano queste S3V?
    La prima cosa che mi ha colpito è l’ampiezza e l’accuratezza dell’immagine che restituiscono, così come il fatto di avere uno sweet spot di ascolto effettivamente piuttosto esteso.
    C’è poi una sensazione di linearità e chiarezza lungo tutto lo spettro che colpisce molto.
    Bassi e medio bassi ci sono tutti, chiari, precisi, controllati, senza una sbavatura e con tutta la potenza che serve quando serve. Nella regione dei bassi profondi (sotto i 40Hz) si comincia a perdere sotto i 36Hz. Chi avesse la necessità di arrivare così in basso (non è che sia tanta la musica registrata che ci arriva), un subwoofer permetterebbe di arrivare ai 20Hz o poco più (Adam Audio realizza anche degli ottimi subwoofer), sempre che le nostre orecchie ci arrivino e che non ci si complichi troppo la vita con il setup del sub.
    La riproduzione della gamma media è semplicemente eccellente, per chiarezza, precisione, dettaglio e dinamica. E’ realmente difficile mettere in difficoltà questi diffusori, anche con le partiture più complesse. La voce umana suona naturale e reale.
    Negli alti, i tweeter a nastro S-ART fanno un gran lavoro, raffinati e dettagliati nel rendere gli strumenti che arrivano fin qui, tipicamente gli strumenti a percussioni.
    Vediamo ora qualche prova “sul campo”.
    Disco 1
    Ligeti, L’escalier du diable, Pierre Laurent Aimard, pianoforte.
    Sony Classical, 1996. FLAC 44,1kHz/16bit.

    Un brano questo che sembra composto per mettere alla frusta il pianista, ma anche gli impianti hifi. Grandi dinamiche, cambi di registri improvvisi, la tastiera usata in tutta la sua estensione, suono percussivo, ma anche brevi tratti di sonorità ovattate. Pierre Laurent Aimard lo suona con passione e una buona dose di furore. La registrazione è ottima. Il pianoforte è ben centrato davanti a noi, nonostante i continui cambi di registro (quante volte capita di sentire dei pianoforti con i bassi da un lato e gli alti dall’altro?). Si sentono bene le risonanze della sala in cui è stato registrato, soprattutto quando Aimard pesta sulle note più acute. I transienti sono perfettamente gestiti. Le S3V non si scompongono mai durante tutto il brano. Il finale, con il pianoforte che viene lasciato risuonare dopo gli ultimi accordi per diversi secondi, è da brivido!
    Disco 2
    King Crimson, "Starless" da "Radical action to unseat the hold of monkey mind".
    DGM 2016. FLAC 44,1kHz/24bit.

    Questo disco del 2016 riprende alcuni pezzi storici dei King Crimson. Parlando di Starless questa nuova registrazione è decisamente migliore di quella  del 1976 presente nell'album Red.
    La formazione non è più la stessa, basti pensare che il mitico batterista Bill Bruford è sostituito da addirittura tre batteristi.
    Il riff di basso in apertura di Tony Levin è pieno, caldo e accattivamente. L'ingresso della chitarra Robert Fripp, acida al punto giusto e finalmente in primo piano rispetto alla vecchia incisione, regala un brivido di soddisfazione a tutti i fan, così come la voce calda e possente di Jakko Jakszyk. Ma la vera sfida di questa registrazione è la ripresa dei 3 diversi drumset:

    OK, è difficile rendere un palcoscenico così ampio, ma il risultato è comunque realistico e il contributo di ogni singolo batterista/percussionista si distingue in modo chiaro dagli altri.
    Disco 3
    Beethoven, sinfonia n.5, Musicaeterna, dir.Teodor Currentzis, Sony Classical, 2020. FLAC 96kHz/24bit.

    Teodor Currentzis con la sua compagine Musicaeterna si esibisce in una (a tratti) feroce interpretazione della quinta sinfonia di Beethoven. Il disco ci offre un sofisticato esempio di ingegneria sonora. Ogni gruppo di strumenti è chiaramente distinguibile all'interno della trama sonora e nello spazio. Dal contrabbasso al flauto piccolo si sentono tutti ed ognuno ha una precisa collocazione nello spazio, con un'effetto di tridimensionalità sorprendente, anche se un po' artificioso. 
    Disco 4
    Fiona Apple, Fetch the bolt cutters.
    Epic, 2020. FLAC 48kHz/24bit.
     

    L'ultimo formidabile lavoro di Fiona Apple è stato registrato in casa, con una produzione ridotta all'osso. Pochi strumenti, molte percussioni e di ogni genere (Fiona usa anche una scatola contenente le ossa del suo compianto cane) e su di tutto la voce della Apple, che mai come in questo disco appare messa a dura prova.  Tutto converge nel trasmetterci un messaggio di rabbia e viscerale insoddisfazione. Un inaspettato e violento pugno nello stomaco. E le nostre S3V che ci restituiscono la voce di Fiona Apple senza filtri di qualsiasi tipo, in tutta la sua ruvida  e sconcertante bellezza.
    Disco 5
    Avishai Cohen Trio, "Beyond" da "From the darkness".
    Razdaz, 2015. FLAC 96kHz/24bit.

    Il grandissimo contrabbassista israeliano Avishai Cohen qui in trio con il pianista Nitai Hershkovits e il batterista Daniel Dor in un bellissimo disco Jazz del 2015. Beyond è la prima traccia del disco e si apre con una travolgente e dinamica progressione. Con le S3V mi sento letteralmente scaraventato sul divano. Il contrabbaso di Cohen è potente è sempre in evidenza, il piano di Hershkovits limpido e con una notevole gamma dinamica, la batteria di Dor straordinariamente spumeggiante. Una gioia da ascoltare!
    Disco 6
    Schumann, Myrthen. Christian Gerhaher, baritone, Camilla Tilling, soprano, Gerold Huber, pianoforte.
    Sony Classical, 2019. FLAC 96kHz/24bit.

    Lo Schumann giovanile dei Myrthen affidato alle voci di Gerhaher e Tilling e al pianoforte di Huber. Una bellissima interpretazione valorizzata da un'ottima qualità della registrazione.
    Il pianoforte di Huber è ben presente, il suono è pieno e caldo, leggermente in secondo piano, com'è giusto che sia. La voce della Telling chiara, brillante, a volte volutamente fragile. Quella di Gerhaher più matura, calda ed ambrata. Possiamo tranquillamente chiudere gli occhi e immaginare gli interpreti sul palco davanti a noi.
    Disco 7
    Gustav Mahler, sinfonia n.2 "Resurrezione". Budapest Festival Orchestra, coro della radio ungherese, Lisa Milne soprano, Birgit Remmert contralto, Ivàn Fischer direttore.
    Channel Classics, 2006. FLAC 192kHz/24bit.

    La seconda sinfonia di Mahler è un'opera mastodontica che prevede un'orchestra decisamente rinforzata (10 corni, 8 trombe, 2 arpe, organo, 5 percussionisti), un soprano, un contralto e un coro.
    Probabilmente uno dei peggiori incubi per gli ingegneri del suono, che in questo caso fanno un lavoro davvero impressionante. A differenza della quinta di beethoven con Currentzis, in cui il punto di vista sembra essere quello del direttore d'orchesta che ha tutti gli strumenti intorno a sé, qui sembra di essere seduti in mezzo alla platea con l'orchestra ad una certa distanza e il suono dei vari strumenti dell'orchestra che si amalgamano perfettamente insieme.  Preferisco questa impostazione, meno radiografica e più  vicina al vero.  Voci, coro e tutti i gli elementi dell'orchestra sono ben identificabili, ma alla stesso tempo parti di un tutto più ampio, con una dinamica che sembra non aver mai fine. Complimenti agli ingegneri di Channel Classics!
    Conclusioni
    Spesso le recensioni che si trovano online di materiale di questo tipo sono fatte da professionisti che li usano quotidianamente per lavoro. Non è questo il caso mio, che invece ne faccio un uso assolutamente ludico, per cui invito i professionisti capitati su questa pagina a prendere tutto quello che ho scritto fin qui e le mie conclusioni "cum grano salis". 
    Personalmente, il passaggio da un paio di diffusori passivi agli S3V per me ha rappresentato un miglioramento notevole della mia esperienza di ascolto. Linearità e estensione della risposta in frequenza, dettaglio, dinamica, immagine, non c’è un parametro che non sia migliorato in modo significativo. Penso che per fare di meglio in ambito hifi (intendo non nel contesto dell’attrezzatura professionale) bisognerebbe spendere molto, molto di più. In fondo stiamo parlando di un diffusore a 3 vie con un sistema di amplificazione che arriva a 850W  di potenza complessiva. Roba che nelle boutique hifi vengono vendute a costi esorbitanti.
    Chiaramente questi sono diffusori che non perdonano: se da un lato sono in grado di valorizzare tutte le incisioni di buona qualità,  facendocene apprezzare tutte le sfumature, dall’altro sono spietati con quelle mediocri e non potrebbe essere diversamente. Sono pensati per chi predilige una riproduzione audio analitica e più neutra possibile, ma, come avete visto, oggi c'è la possibilità di lavorare sull'equalizzazione in maniera semplice e efficace per ottenere un suono complessivo più adatto ai nostri gusti o al genere musicale che stiamo ascoltando.
    Pro
    Prestazione audio complessivamente eccellente Immagine stereo ampia, stabile e coerente Ampiezza dello sweet spot di ascolto C'è una riserva di potenza a disposizione impressionante Rapporto qualità/prezzo molto elevato se paragonato al mondo hifi non professionale, non saprei dire invece per l'ambito professionale dove in questa fascia di prezzo ci sono altri concorrenti (Neumann, Genelec, etc), che non ho avuto la fortuna di ascoltare. Contro
    Aspetto: sono strumenti professionali, non di arredamento. L’estetica non fa parte dei loro punti di forza Software di controllo migliorabile Manca una griglia frontale per ripararli dalla polvere, cosa frequente in tutti i monitor professionali.  Mancano una manciata di Hz nei bassi profondi per avere una risposta in frequenza perfetta
  6. happygiraffe
    Oggi per lavoro mi è capitato di essere a Genova non molto lontano dal ponte Morandi. Già dall'autostrada la visione del cavalcavia spaccato a metà mi aveva riempito il cuore di angoscia e di rabbia. Poi casualmente ho intravisto questi bambini che giocavano a pallone con lo sfondo del ponte spezzato e mi sono fermato per fare uno scatto. 

    "La vita continua?" mi ha chiesto Mauro. Sì, la vita continua come sempre, ma la rabbia e l'angoscia rimangono, così come il senso di precarietà.
    Il contrasto in questa immagine è molto forte, spero di non urtare la sensibilità di nessuno. In caso contrario non avrò problemi a rimuoverla.
  7. happygiraffe

    Recensioni : Novità dell'anno
    Impressioni, brevi recensioni e suggerimenti sulle uscite discografiche del 2023.
    Si comincia con i botti con questo sfavillante disco di Patrizia Kopatchinskaja e Fazil Say, che interpretano pagine di Janáček, Brahms e Bartók. Qui la recensione completa:
     
  8. happygiraffe

     
     
    Pur essendo una figura centrale nella storia della fotografia e specialmente nella fotografia di strada, è ancora poco conosciuto dal grande pubblico.
    Garry Winogrand rifiutava la definizione di fotografo di strada, preferiva definirsi uno studioso dell’America. E infatti si ispirò alla fotografia sociale di Walker Evans e Robert Frank, con uno sguardo però più vitale e gioioso.
    Nel corso della sua vita realizzò una cronaca quotidiana della vita metropolitana americana, specialmente a New York, città in cui è nato e vissuto a lungo (nacque nel Bronx), ma anche sulla West Coast.
     
     
    Richard Nixon Campaign Rally. New York, 1960.
     
     
    New York, 1962.
     
    Garry Winogrand fotografava “per vedere a cosa somigliavano le cose una volta fotografate”.
     
    Non fotografa a progetto, rifiutava l’intellettualizzazione del proprio lavoro. Fotografa la vita davanti a se con il suo stile unico, di cui bisogna prendere tutto: l’eleganza, la vitalità, l’assenza di volgarità, l’umorismo, così come le inquadrature sbilenche, parti di immagini sovraesposte o messe a fuoco imprecise.
     
     
    Park Avenue. New york, 1959.
     
     
    Los Angeles, 1980-1983.
     
     
    Houston, 1964.
     
     
    New York, 1962.
     
    “Quando fotografo vedo la vita. E’ questo quello con cui ho a che fare”. Il suo sguardo curioso sul mondo che lo circonda è sempre molto democratico, ironico a volte, ma mai cinico.
     
     
    New York, 1968.
     
     
    El Morocco. New York, 1955.
     
     
     
     
    Usava una Leica M3-M4, focali corte, tipicamente 28 e 35mm. Questo significa che si avvicinava molto ai suoi soggetti. Dei filmati lo ritraggono mentre passeggia frenetico per la strada, si ferma, si gira, si guarda intorno inquieto con una mimica buffissima, poi scatta a dei passanti a pochi cm da loro, sfoderando il suo disarmante sorriso.
     
    Non faceva proprio niente per nascondersi, anzi, senza che le persone fotografate si risentissero o protestassero.
     
     

     

     
     
    Qui una sua celebre foto:
     
     Central Park Zoo. New York, 1967.
     
    E il "backstage":
     
    «A volte mi sembra che il mondo intero sia un teatro per cui ho comprato il biglietto. Un grande spettacolo a me destinato»:
     
     
    New York's World Fair, 1964.
     
    E la sensazione nella foto qui sopra è che si godesse proprio lo spettacolo! Un'immagine così apparentemente banale e intrigante al tempo stesso.
    Per non parlare di questa, assolutamente cinematografica:
     
     
    Los Angeles, 1964.
     
    Stroncato nel 1984 di un tumore fulminante, lascia un archivio sterminato che continuerà a sfornare capolavori inediti ancora per molti anni.
     
     
    Democratic National Convention. Los Angeles, 1960.
     
    Winogrand scrisse a margine del suo libro del 1960 "Women are beautiful"  :
    "Io non so se tutte le donne in queste fotografie sono belle, ma so che tutte le donne sono belle in fotografia"
     
     
     

     

     

     

     

     

     

     

     

     

     
     
    “I think that those kind of distinctions and lists of titles like “street photographer” are so stupid.”
     
     

     

     

     

     
     
    animali e umani senza distinzione, pari dignità
     
     

     

     

     

     
     
     
    sostanzialmente ingiusto classificarlo dentro la gabbia del "fotografo di street", una definizione che va decisamente stretta ad un curioso che voleva  vedere a cosa somigliavano le cose una volta fotografate  rifiutando progetti, concettualizzazioni e intellettualità.
     

  9. happygiraffe

    Beginners Guide
    Con ogni probabilità il compositore di musica per pianoforte più popolare e più eseguito, Chopin fu come un breve e luminoso lampo nel panorama musicale romantico. Il suo linguaggio musicale così originale sembra provenire dal nulla, così lontano dagli archetipi classici di Haydn e Beethoven, per poi svanire nel nulla, pur lasciando un impronta netta su molti compositori venuti dopo di lui.
    Nato in Polonia nel 1810, si trasferì nel 1830 a Parigi dopo la repressione russa della rivolta di novembre. Lì visse fino al 1849, anno della sua morte prematura, campando di lezioni di pianoforte e della vendita delle sue composizioni, tra continui problemi di salute e economici. Non fu il tipico pianista virtuoso dell’era romantica: in tutta la sua vita eseguì solo una trentina di concerti, preferendo esibirsi nei salotti della buona società parigina.
    A differenza di tanti altri compositori dello stesso periodo, Chopin fu totalmente incurante del modello classico e beethoveniano in particolare. Il suo stile sembra invece pescare nel repertorio della musica popolare da salotto, riadattandola a un linguaggio assolutamente originale e personale, in grado di restituire con straordinaria immediatezza e precisione i moti del suo animo, dalla malinconia allo slancio nazionalista, dalla passione più ardente ai fantasmi più cupi e febbrili.  
    Si dedicò quasi esclusivamente alla musica per pianoforte (con poche eccezioni, come i due concerti per pianoforte e la sonata per violoncello e pianoforte) e predilesse le forme brevi. Il suo catalogo si può riassumere piuttosto velocemente: da un lato musiche per così dire da salotto, Valzer, Polacche e Mazurche, ispirate alla danza, Preludi e Notturni, altre composizioni pensate per l’insegnamento, i suoi straordinari Etudes, altre ancora di stampo puramente virtuosistico, come i concerti. Ci sono poi altre pagine assolutamente uniche, innovative e originali, come le Ballate, gli Scherzi, la Berceuse e la Barcarolle. Ci sono infine le sonate per pianoforte.

    La partitura autografa della Polacca Op.53.
     
    Di dischi straordinari dedicati a Chopin ce ne sono molti. Quella che segue non ha la pretesa di essere la discografia definitiva, quanto piuttosto una serie di suggerimenti per chi si vuole avvicinare a questo compositore. Nella scelta abbiamo considerato alcune interpretazioni classiche  e giustamente note, così come alcune molto più recenti, lasciando da parte le incisioni storiche.
    Sonate
    Delle tre sonate per pianoforte, si ricordano solo la seconda, quella della famosissima "marcia funebre", e la terza, mentre la prima, scritta a 18 anni quando era ancora studente, non viene quasi mai eseguita.Tra le tantissime interpretazioni, segnaliamo quella dell'argentina Martha Argherich, vincitrice del Concorso Chopin nel 1965. Ardore, passione, tocco felino, tecnica straordinaria.


    Notturni
    I 21 Notturni sono il trionfo della melodia. Il polacco Arthur Rubinstein, che di Chopin fu un grande interprete, incise nel 1967 questa edizione che è passata alla storia. Lirismo e grande naturalezza senza scadere mai nel sentimentalismo.

    Per chi preferisse un'edizione più recente, segnalo questa del 2010 del brasiliano Nelson Freire:

    Mazurche
    Chopin scrisse ben 59 Mazurche nel corso della sua vita. Sono pagine brevi che traggono spunto dalla danza tradizionale polacca, ma che poi si sviluppano in modo assolutamente originale e molto vario. Questa è una selezione, suonata con grande immaginazione e straordinaria ricerca timbrica dal russo Pavel Kolesnikov (2016):

    Studi
    Nelle due raccolte di Studi, l'aspetto didattico e di esercizio su specifici problemi di tecnica diventa lo spunto per queste pagine di grande poesia. Maurizio Pollini, vincitore del Concorso Chopin nel 1960, nel 1972 ci regala un'interpretazione degli Etudes Op.10 e Op.25 caratterizzata da un grande vigore e da una dominio tecnico assoluto.

    Ballate
    Le Ballate sono una forma musicale nuova, inventata da Chopin che prese in prestito il loro nome dalla letteratura. Tecnicamente molto impegnative, sono tra le composizioni più felici e straordinarie del compositore polacco.
    Per le Ballades raccomandiamo questo disco del 1994 dell'americano Murray Perahia, per tecnica, inventiva e calore dell'interpretazione:

    Polacche
    Anche le Polacche prendono spunto dalla danza per esprimere i più incandescenti sentimenti nazionalistici dell'esule Chopin.
    Ancora Pollini in questa storica interpretazione del 1976. Uno Chopin epico, virile e appassionato:

    Preludi Op.28
    24 brevi e folgoranti composizioni scritte a Palma di Maiorca tra il 1835 e il 1839. Il polacco Rafal Blechacz, vincitore del Concorso Chopin nel 2005, incide per DG i Préludes Op.28 nel 2007. Una lettura di grande sensibilità e poesia.

    Scherzi
    Chopin compose quattro Scherzi tra iI 1831 e il 1842. Sono composizioni in cui prevale l'elemento rapsodico, accompagnato da drammatici contrasti.
    In questo straordinario disco del 2012 dell'inglese Benjamin Grosvenor, ne ascoltiamo una lettura vivace e elettrizzante.

    Concerti
    Sono pezzi di bravura di stampo chiaramente virtuosistico. L'accompagnamento orchestrale è poca roba, tutto ruota intorno al pianoforte (e come potrebbe essere diversamente?).
    Qui un'interpretazione classica, quella del 1999 di Martha Argerich e Charles Dutoit.

    E una recentissima edizione del 2019 in cui i concerti vengono eseguiti nella loro versione da camera per pianoforte (un bellissimo Erard del 1836) e quintetto d'archi:

    Recital
    Infine qualche recital che ha fatto storia.
    Un disco del 1972 interamente dedicato a Chopin da Arturo Benedetti Michelangeli. L'interpretazione delle 10 Mazurche è leggendaria. Quello che fa qui Benedetti Michelangeli con il suo pianoforte è realmente magico:

    Un altro disco storico, quello di Martha Argerich del 1965, freschissima vincitrice del concorso Chopin. Un uragano di energia e di passione: 

    Infine, le 4 Ballate con la Fantasia e la Barcarolle, nell'impeccabile lettura di Krystian Zimerman, vincitore del Concorso Chopin nel 1975. Su Zimerman i pareri si dividono, ma qui, al di là della consueta cura maniacale di ogni dettaglio, pare veramente ispirato.

     
    Buoni ascolti chopiniani!
  10. happygiraffe

    Recensioni Cuffie
    Come promesso, dopo un abbondante rodaggio eccomi qui a parlarvi delle Focal Clear. In realtà queste cuffie suonano abbastanza bene fin da subito, ma il suono è andato comunque modificandosi e assestandosi anche dopo diverse decine di ore di ascolto.
    Uscite nel 2018 non sono il top di gamma del catalogo Clear, ma con i loro 1.499€ a listino possiamo collocarle a metà strada tra le mirabolanti Utopia da 3.999€ e le più accessibili, ma non economiche, Elear (999€).
    Si tratta di cuffie dinamiche aperte: ciò vuol dire che chi le indossa sentirà i rumori dell’ambiente che lo circonda, quasi come se non le avesse addosso, e chi ci sta intorno sentirà un po’ di suono provenire dalle cuffie. Inutile pensare di usarle, quindi, in ambienti rumorosi, per strada, eccetera.

    Il design è sobrio e curato, l’accostamento dei colori, con il grigio dell’alluminio e il grigio chiaro dei cuscinetti e delle rifiniture, lo trovo moderno ed elegante.
    Pur non essendo leggerissime (450g), nell’uso si sono rivelate molto comode, ben bilanciate e con la giusta pressione sulla testa. I due cuscinetti in schiuma a memoria di forma rivestiti in microfibra, così come l’imbottitura dell’archetto, sono molto morbidi e confortevoli. Ho qualche dubbio sul fatto che col tempo tenderanno a sporcarsi, ma per il momento non sono in grado di parlarne.
    Dal punto di vista degli accessori, Focal fa le cose davvero in grande: le Clear sono dotate di una bella custodia semirigida in cui riporle e di addirittura tre (!) cavi: un cavo da 1.2m con jack da 3.5mm, un cavo da 3m bilanciato con spina XLR a 4 poli, 1 cavo da 3m con jack grande da 6.35mm.

    Ho apprezzato la presenza di tutti questi cavi, che ho avuto modo di usare tutti, e penso che tutti i produttori dovrebbero allinearsi a questa scelta. Il cavo ha una sezione importante ed è contraddistinto da una certa rigidità. Per darvi meglio l’idea, assomiglia un po’ al cavo del ferro da stiro (perdonatemi il paragone!). Questo non mi ha dato particolare fastidio durante l'ascolto, ma quando arriva il momento di riporre le cuffie, i cavi vanno un po' dove vogliono loro.

    Le Clear montano dei driver a M di produzione Focal da 40mm in lega di alluminio-magnesio.

    I trasduttori sono posizionati nella parte anteriore e rivolti all’indietro, con l’obiettivo di creare un ampio soundstage.

    La bassa impedenza le rende facilmente pilotabili anche da dispositivi portatili, tipo DAP e smartphone, ma se vogliamo rendere giustizia a queste cuffie bisogna abbinarle a un amplificatore di qualità.
    Per questo test ho usato l’irreprensibile Audio-GD Master 11, impiegando l’uscita bilanciata, ma ho ascoltato le Clear anche attaccandole a un più modesto ampli cuffia Matrix M-Stage o addirittura all’iPad. Ma con il Master 11 è proprio tutta un’altra storia!
    Test di ascolto
    Ho ascoltato un po' di tutto per questa recensione e devo ammettere che mi sono divertito parecchio. Qui di seguito ci sono le mie impressioni relative ai singoli ascolti. Se non avete voglia di leggerle, potete passare direttamente alle conclusioni in fondo alla pagina.

    The Allman brothers band, The 1971 Fillmore East recordings. Island Def Jam, 2014.
    You don't love me (first show). 24/192kHz.
    Le storiche registrazioni dei concerti al Fillmore East del 1971 degli Allman brothers. Rimango sbalordito: sembra di essere catapultati di fronte al palco la sera del concerto! La voce di Gregg Allman è limpida al centro circondata dagli strumenti dei suoi compagni. Solo la batteria suona un filo indietro. Il ritmo è pulsante, l’impatto è assolutamente realistico e viscerale. Comincio a battere il piede a tempo e mi perdo nella musica. Non ricordavo che questo disco fosse così bello. Cosa si può volere di più?

    Nirvana, Nevermind. Geffen, 2014.
    Smells like teen spirit. 24/96.
    Un pezzo mitico di Cobain e compagnia. Dopo il primo riff di chitarra, entra la batteria di Dave Grohl come una raffica di mitragliatrice: i Nirvana ci danno dentro come se non ci fosse un domani (e per Kurt fu proprio così). Le Clear restituiscono tutta l’energia del brano. Le chitarre elettriche sono aggressive senza essere fastidiose, il basso è pieno e potente. La batteria è in assoluto primo piano e viene riprodotta ottimamente, tranne che per le frequenze più alte dei piatti che man mano che il brano prosegue sembrano perdere un po’ di sostanza. Nel complesso la resa è ottima, tanto che mi vien voglia di mettermi a saltare in mezzo alla sala come un ragazzino. Occhio al volume, perché qui si rischia di lasciarci i timpani. 

    Paul Simon, Still crazy after all these years. Legacy recordings, 1975.
    50 ways to leave  your lover. 24/96 kHz.
    Il groove delle percussioni di Steve Gadd in apertura ha impresso il proprio marchio a questa famosa canzone di Paul Simon. Si sente la pelle dei tamburi vibrare e ogni minimo dettaglio. Poi parte la voce soave di Simon. Ottima la produzione e la recente rimasterizzazione in 24/96. Registrazione molto pulita e ricca di dettagli.

    PJ Harvey, Stories from the City, stories from the sea. Universal-Island Records, 2000.
    You said something. 16/44.1.
    Un disco del 2000 della cantante inglese. La canzone suona decisa e potente, come decisa è la voce di PJ Harvey. Chitarre elettriche e basso sono presenti e pieni di energia. Bene la batteria, a volte un po' indietro i piatti, ma suonano indietro anche con i miei monitor.

    Radiohead, Kid A. XL Recordings, 2000.
    The National Anthem. 16/44.1.
    Un pezzo iconico della band di Oxford che sta a metà tra l’alternative rock e il free jazz. Il brano è un caotico mix di strumenti che vanno a sovrapporsi al riff di basso di Colin Greenwood: troviamo addirittura delle onde Martenot e un ensemble di ottoni. Succede veramente di tutto in questo pezzo, con effetti sonori che volteggiano davanti a noi. Le Clear non si scompongono mai, mettendo ogni strumento od effetto nella sua giusta posizione e trasmettendoci tutta l’energia di questo brano. The National Anthem viene spesso usata per testare gli impianti hifi. Per le Clear esame superato.

    Janis Joplin, Pearl. Columbia Legacy, 1971.
    Mercedes Benz. 24/96.
    in questo breve pezzo, che fu l’ultimo da lei inciso nella sua breve vita, la Joplin canta a cappella. Devo dire di non aver mai ascoltato la sua voce con questo grado di dettaglio: roca, nasale, urlata. Si percepisce con chiarezza riverbero della sala d’incisione. Un’esperienza da pelle d’oca. 

    Keith Jarrett, Jan Garbarek, Palle Danielsson, Jon Christenses, My Song. ECM, 1978. 
    Country, 24/96 kHz.
    Un bellissimo album di Keith Jarrett con il suo quartetto norvegese. Era il 1977, ma suona fresco come mai in questa rimasterizzazione in HD. I quattro musicisti sono perfettamente rappresentati nello spazio. Il piano di Jarrett suona limpido e duetta con il sax di Garbareck, incisivo, ma mai fastidioso. Il contrabbasso è ben presente e nell’assolo suona pieno e ricco di dettagli. La batteria rimane un pelo indietro, a mio avviso.

    Fred Hersch Trio, Live in Europe. Newklypso (for Sonny Rollins). 24/44.1 kHz.
    Un disco straordinario, sia musicalmente che per la qualità dell’incisione. I tre strumenti sono perfettamente definiti davanti a noi e la resa timbrica è eccellente. Difficile sentire un pianoforte così in un disco di Jazz. La batteria, in questo brano in evidenza con un bell’assolo, ci convince pienamente, a differenza del disco precedente di Jarrett.

    Bill Frisell, Epistrophy. ECM, 2019. You only live twice. 24/96 kHz.
    I morbidi virtuosismi della chitarra elettrica di Frisell, qui alla prova con un celebre brano di un film di James Bond, ci deliziano. Frisell è davanti a noi. il contrabbasso di Thomas Morgan, pieno e caldo, è stato volutamente lasciato un pelo indietro. 

    Pharoah Sanders, Africa. Timeless Records, 1987.
    You've got to have freedom. 24/44.1kHz.
    L’incipit di questo pezzo è incredibile. Il coltraniano Sanders fa urlare il suo sax tenore nel suo registro più acuto producendo un effetto che potrebbe ricordare un’oca alla quale si stia tirando il collo (almeno a me dà questa idea!). Le Clear lo seguono senza difficoltà. Il timbro del sax è reso molto bene. Nonostante si spinga molto sugli alti, l’ascolto non è fastidioso e, anzi, quando entra il resto della band è una vera e propria festa.

    Muddy Waters, Folk singer. Geffen Records, 1964.
    Good morning little schoolgirl. 24/192.
    Un disco unplugged registrato incredibilmente bene e riproposto in 24/192. Waters pizzica inizialmente le corde più sottili della sua chitarra, poi comincia a cantare e la sua voce incredibile ci ammaglia. I musicisti sono davanti a noi. La resa timbrica è impeccabile. Siamo nel 1964, ma sembra registrato ieri.

    Smaro Gregoriadou, A healing fire (Bach, Britten, Gubaidulina, Hétu). Delos, 2020.
    Benjamin Britten, Nocturnal after John Dowland. Op.70. 24/48.
    Le Clear rendono bene ogni sfumatura di timbro della chitarra della virtuosa greca Smaro Gregoriadou in questo capolavoro di Benjamin Britten. Il suono è dettagliato e presente, ma anche asciutto e con poco riverbero dell’ambiente di registrazione.

    Gyorgy Ligeti, Works for piano: études, Musica ricercata. Pierre-Laurent Aimard, pianoforte. Sony Classical, 1996.
    L'escalier du diable. 24/44.1.
    Un pezzo massacrante per chi lo suona, per chi lo registra e per l’hifi che lo riproduce. Pianoforte usato in modo percussivo in tutta la sua gamma, dinamiche elevate, grande varietà timbrica. L’incisione di Sony la trovo ottima, così come l’interpretazione di Aimard. Le Clear restituiscono un pianoforte perfettamente centrato, facendoci percepire molto bene i riverberi dell’ambiente circostante. Il suono dello strumento viene riprodotto in tutta la sua varietà di timbri e di dinamiche.

    Beethoven, Trii per pianoforte Op.1 n.3 & Op.70 n.2. BIS, 2020.
    24/96.
    Un disco recente e ottimamente registrato (come di routine con BIS). L'immagine è precisa e ben equilibrata. La scena corretta, anche se non eccessivamente ampia. Il timbro dei tre strumenti tendente al caldo. 

    Monteverdi, il terzo libro dei madrigali. Concerto italiano, Rinaldo Alessandrini. Naïve, 2019.
    Vattene pure, crudel. 24/88.2
    Dio mio, che incisione pazzesca! Difficile fare di meglio. Mi sento Alessandrini in mezzo ai musicisti del Concerto Italiano. Il palcoscenico è incredibilmente tridimensionale. La resa delle voci delle Clear è sublime. Una volta superato lo choc, mi perdo nella musica. E' questo madrigale ("Vattene pure, crudel") su versi del Tasso è così bello che mi commuovo.

    Prokofiev, concerti per violino e orchestra. Lisa Batiashvili, Chamber Orchestra of Europe, Yannick Nézet-Séguin. DG, 2018. 
    Secondo concerto, terzo movimento Allegro, ben marcato. 24/96.
    Un disco registrato divinamente. Il violino si amalgama perfettamente con l’orchestra, né troppo in primo piano, né troppo indietro. Le diverse sezioni dell’orchestra sono chiaramente distinguibili, le percussioni (piatti, triangolo, castagnette, grancassa, rullante) suonano piene e ben presenti. Il palcoscenico è ampio e profondo. 

    Mahler, das Lied von der Erde. Budapest Festival Orchestra, Direttore Ivan Fischer. Robert Dean Smith, tenore, Gerhild Romberger, contralto.
    Channel Classics Records, 2020. 24/192.
    Le incisioni della channel classics sono sempre di grandissima qualità. La scena è ampia, sembra di essere seduti in platea di un grande auditorium, con l’orchestra davanti a noi. Si percepiscono con chiarezza i vari settori dell’orchestra e gli strumenti nel dettaglio. L’organico è ampio e arriva a comprendere addirittura un mandolino che si sente nel finale di Abschied. Le voci dei cantanti sono chiare e in equilibrio con l’orchestra. Robert Dean Smith ha il suo bel da fare per non farsi sommergere dai volumi orchestrali nel primo movimento: ci riesce dal vivo con Jurowski (in un altro disco, però), figuriamoci in questa versione in studio. La voce della Romberger suona pulita e limpida. Nonostante la sua interpretazione possa risultare un po’ distaccata, riesce a commuoverci nell’ultimo, sublime movimento. Nonostante il grado di dettaglio, il suono complessivo è ben amalgamato e realistico. Complimenti agli ingegneri del suono!
    Conclusioni
    Avrete capito che le Clear mi sono piaciute molto. Sono delle straordinarie cuffie aperte, ben bilanciate in quasi tutta la gamma, con un’ottima resa timbrica, dettagliate, ma anche molto coinvolgenti.  Come per tutte le cuffie, però, c’è qualche zona d’ombra. Vediamo i vari elementi nel dettaglio.
    Bassi
    I bassi sono pieni, dettagliati, molto veloci e di grande impatto. Soprattutto sono equilibrati rispetto alle altre frequenze, né troppo enfatizzati, né poco presenti: una giusta e bilanciata via di mezzo. Si estendono piuttosto in basso, ma nella regione dei bassi profondi c’è una certa attenuazione, ma neanche eccessiva.
    Lo dico chiaramente: chi sia alla ricerca di una cuffia con una marcata enfasi nei bassi, non troverà nelle Clear il prodotto giusto.
    Medi
    La gamma media è lineare, limpida e ben dettagliata. Le voci, sia maschili che femminili, suonano in modo totalmente realistico, con una resa timbrica molto convincente e senza particolari problemi di sibilanti. La presentazione del suono è tendenzialmente molto neutrale.
    Alti 
    Gli alti suonano dettagliati e trasparenti, ma anche leggermente indietro e questo rende l’ascolto delle Clear non fastidioso sulle alte frequenze, alle quali io sono piuttosto sensibile. Nella parte più alta dello spettro ci sono però delle zone di comportamento non lineare, per cui, a seconda delle registrazioni, a volte i piatti possono perdere un po’ di sostanza e suonare un po' vuoti. Ripeto, dipende molto dalla registrazione e dal genere musicale che stiamo ascoltando. Nella musica classica, ad esempio, non ho minimamente percepito il problema. 
    Soundstage
    Il palcoscenico varia chiaramente in funzione di quello che stiamo ascoltando. Possiamo dire che per complessi strumentali ridotti, a prescindere dal genere musicale, rock, jazz, classica, il soundstage è piuttosto “intimo”, ponendo l’ascoltatore molto vicino ai musicisti. Per la musica orchestrale, quando è ben registrata, l’impressione è diversa: la scena è assolutamente realistica, come fossimo a un concerto. Il palcoscenico risulta ampio e profondo, anche se in modo non esagerato o artificioso.
    Immagine
    Ho trovato ottima la capacità delle Clear di isolare i vari strumenti e collocarli nello spazio.
    Risoluzione
    In termini di risoluzione, le Clear hanno un grado di dettaglio elevato e possono essere spietate con registrazioni che non siano di buona qualità, tuttavia probabilmente non allo stesso livello di cuffie planari o elettrostatiche in questa fascia di prezzo. Personalmente, trovo che Focal abbia trovato un giusto compromesso, offrendoci un ottimo grado di dettaglio, senza risultare eccessivo o radiografico. Poi, come sempre, tutto dipende da quello che uno si aspetta da un cuffia: se ascoltate musica in cuffia per sentire il ticchettio dell’orologio del direttore d’orchestra e in generale tutto quello che con i diffusori si perde, allora probabilmente ci sono modelli che offrono qualcosa in più.
    Dinamica
    La dinamica è assolutamente stellare. Sono cuffie che danno il meglio in quei tutti quei dischi con grande contenuto energetico: dal rock, alla musica orchestrale, a certa musica jazz. Sanno far pulsare la musica come poche! Mi raccomando, prestate attenzione ai volume d’ascolto: i nostri timpani sono preziosi!
    Equalizzazione
    A mio avviso suonano praticamente perfette così come sono, specialmente per la musica classica. Se volete dare un po’ più di corpo alle altissime frequenze o ai bassi profondi, si possono equalizzare con ottimi risultati. In rete si possono reperire facilmente le impostazioni necessarie.
     
    Conclusioni delle conclusioni
    Per me le cuffie sono un ripiego, perché preferisco nettamente ascoltare la musica dai diffusori. Devo ammettere, però, che con le Clear ho ritrovato molte delle emozioni che provo nell’ascolto in cassa e in alcuni casi anche di più. Sono cuffie molto lineari e omogenee, veloci e in grado di trasmettere tutta l’energia della musica. L’accuratezza dei timbri delle voci e degli strumenti è notevole.
    Le Clear al momento del lancio venivano a listino 1.499€, oggi si trovano anche a 1.275€. Nel valutare il prezzo, bisogna anche tener conto che Focal ci offre tre cavi di diverse tipologie e lunghezze e una bella custodia.
    Certo, sono sempre tanti soldi per un paio di cuffie, per cui bisogna considerare bene quali siano le nostre aspettative e se questo modello sia in grado di soddisfarle. Io nelle Clear ho trovato un grado di coinvolgimento che sinceramente non mi sarei aspettato!
     
    Pro
    gli accessori: custodia e cavi bilanciati e non. buona linearità della risposta in frequenza resa timbrica dinamica, trasparenza, risoluzione capacità di essere pilotate da qualsiasi dispositivo comfort Contro
    qualche irregolarità nella risposta delle frequenze più alte soundstage buono, ma non enorme qualcuno potrebbe desiderare un filo di risoluzione in più i cuscinetti e l’imbottitura dell’archetto sono soggetti a sporcarsi con l’uso. I ricambi dei cuscinetti originali sono piuttosto costosi (200€) I cavi sono un po’ rigidi e non molto comodi da ripiegare  
    P.S.
    Questo test non è stato eseguito utilizzando materiale fornito in prestito dal produttore.
     
  11. happygiraffe
    Articolo scritto e pubblicato da Silvio Renesto nel suo blog.
     
    Ho scoperto Beth Moon per caso, le sue foto mi hanno subito  affascinato. Una visione intensa della natura, a volte drammatica, a volte cupa o sognante, mai leziosa o banale. Ne ho scritto già su Nikonland, ma ne scrivo qui in modo un po' più esteso e aggiungendo delle  foto.
    Forse le sue immagini più famose sono  i  ritratti ad alberi giganteschi o secolari. 
    Un patrimonio di meravigliosa antica bellezza, spesso  minacciato, che Beth Moon ci fa conoscere attraverso la sua   sensibilità, creando immagini di forte impatto emotivo.
     

     

     

     
     
    Lei stessa nel suo sito http://www.bethmoon....ouchWood00.html scrive:
     
    "Molti degli alberi che ho fotografato sono sopravvissuti perchè fuori dal raggio della civiltà...certi esistono solo in angoli remoti del mondo...
    i criteri che uso per sceglier eun particolare albero sono principalmente tre : l'età, le dimensioni immense o la storia importante... essendo i più grandi e più vecchi monumenti viventi della Terra, credo che questi alberi simbolici  abbiano un significato più vasto in un tempo in cui la nostra attenzione è concentrata nel trovare un modo migliore di convivere con l'ambiente".

    Majesty back. Le grandi querce.
    Sempre nel suo sito Beth Moon riporta quanto sul suo lavoro scrisse Jane Goodall :
     
    "Queste anziane sentinelle delle  foreste sono tra i più antichi esseri viventi del pianeta ed è disperatamente importante fare tutto quello che è in nostro potere per farle sopravvivere...voglio che i mie nipoti ... conoscano la meraviglia di questi alberi vivi e non solo tramite fotografia... I ritratti di Beth sicuramente ispireranno molti ... ad aiutare chi lavora per salvare questi magnifici alberi".



     
    Ma Beth Moon non si limita agli alberi.  

    Odin's Cove  (la Baia di Odino) è un portfolio fortemente gotico/romantico ispirato ai corvi di Odino. 

     
    Nella mitologia norrena, Huginn e Muninn sono due corvi che volano per il mondo cercando informazioni e  portando notizie al loro padrone, il dio nordico Odino.  Escono all'alba  e ritornano la sera, si posano sulle spalle del dio e gli sussurrano le notizie nelle orecchie. I loro nomi hanno un significato: nella lingua norrena  Huginn vuol dire pensiero e Muninn memoria.
     


    I Corvi Imperiali sono grandi e stupendi uccelli;  nelle immagini di Beth Moon sono al tempo stesso malinconici e potenti, sembrano davvero  venire  dalle brume di un altro mondo. 

     
     
    Beth Moon per la stampa utilizza anche quello che lei, citando John Stevenson, chiama "Nobile processo nell'era digitale": ossia una stampa al platino, che dice di essere nota per la luminosità e ampia scala tonale, in cui l'assenza di uno strato legante (binder layer)  permette ai cristalli di platino di venire incorporati nella carta dando una tridimensionalità unica.
    Oltre non mi addentro... perchè non so di cosa sto parlando     se Michele, bontà sua, vorrà spiegarci meglio di cosa si tratta gliene sarò grato. 

     Insomma,  non perdetevi il sito di Beth Moon e godetevi le sue immagini. 
     
    http://www.bethmoon.com
     
     
    DISCLAIMER: Va da sè che tutte le foto di questo reportage sono opera e proprietà esclusiva di Beth Moon,  qui riportate solo a scopo di illustrare la sua arte.
    All the photos here shown are  by Beth Moon and she has the exclusive copyright, and are  published here only to spread knowledge about her great art.
     
  12. happygiraffe
    G.F.Handel: Suites per clavicembalo 1-8, Ouvertures (trascr.).
    Francesco Corti, clavicembalo.
    Arcana, 2022.
    ***
    Il clavicembalo è uno strumento che mi ha sempre causato qualche problema. Di sonnolenza, principalmente. E’ solo negli ultimi anni che ho cominciato ad apprezzarlo (senza cadere in letargo). Poi finalmente mi sono imbattuto in questo del clavicembalista aretino Francesco Corti ed è scoppiato l’amore!
    Di lui avevo ben presente gli ultimi dischi dedicati ai concerti per clavicembalo di J.S.Bach:


     
    Così come questo del 2020:

    In realtà, Corti collabora da diversi anni con i principali ensemble di musica barocca: lo Zefiro diretto da Bernardini (suo il clavicembalo nel magnifico disco dei Brandeburghesi per Arcana), Les Musiciens du Louvre (Minkowski), il Bach Collegium Japan (Suzuki), Les Talens Lyriques (Rousset), Harmonie Universelle (Deuter) e Le Concert des Nations (Savall).
    Quest’ultimo disco è dedicato al primo volume delle Suites per clavicembalo di Handel, pubblicato a Londra nel 1720.
    Tra le diverse Suites Corti inserisce alcune trascrizioni dello stesso Handel delle Ouvertures di alcune opere (Rodenlinda, il Pastor fido, Radamisto, Teseo) e l’arrangiamento per clavicembalo di William Babell di alcune pagine del Rinaldo (Lascia ch’io pianga, tra tutte).
    Ho sempre avuto un parere combattuto su queste pagine di Handel, che fossero eseguite al clavicembalo o al pianoforte, anche da mani illustri, ma qui Corti riesce a riportarle letteralmente in vita, spazzando via qualsiasi perplessità su opere che ormai hanno più di 300 anni di vita alle spalle.
    Quello che Corti riesce a estrarre dal suo strumento (una ricostruzione del 1998 di Andrea Restelli di un esemplare di Christian Vater del 1738) ha del miracoloso: riesce certamente a farlo cantare in modo sublime, ma quello che più stupisce è il volume e l’energia che riesce a produrre, ricordando più il suono potente di un moderno pianoforte o se vogliamo di un organo, che quello minuto e monocorde che normalmente associamo a un clavicembalo.
    Il programma è lungo (quadi 2 ore e mezza di musica) e denso, ma le trascrizioni d’opera sapientemente inserite tra le suites e la maestria di un interprete così brillante e ricco di personalità fanno trascorre il tempo dell’ascolto molto velocemente e con molto piacere.
    Interessante il confronto con la bellissima e recente interpretazione delle prime quattro Suites di Pierre Hantaï. Questione di gusti, ma personalmente mi ritrovo di più nella lettura dell’italiano, più energica e meno leziosa (non me ne voglia Hantaï), e anzi possiamo spingerci ad affermare che anche in Italia ci sono artisti in grado di competere con l’eccellente scuola clavicembalistica francese.
    Ottima la registrazione di Ken Yoshida, che ci rivela ogni minimo dettaglio sonoro dello strumento, un po’ a discapito dell’acustica dell’ambiente.
    Consigliatissimo!
  13. happygiraffe
    Riporto qui questo articolo scritto e pubblicato da Silvio Renesto sul suo blog su Nikonland.
    Da oltre  cinquant'anni Clyde Butcher ha creato emozionanti immagini in bianco e nero dei paesaggi naturali del Nord America. Le sue fotografie trasportano chi guarda nella bellezza primordiale dei vasti orizzonti, dei panorami infiniti e nello splendore,raramente visibile, della wilderness. Le sue immagini sono coinvolgenti e ci rammentano il legame che abbiamo con il mondo della natura.

    Clyde Butcher nacque in Kansas nel 1942. Da bambino disegnava navi o ne costruiva dei modelli con scarti di ferro nell'officina di suo padre lattoniere. Prese una Laurea in Architettura alla California Polytechnic State University. Fu allora che scoprì di non essere bravo a  disegnare e così decise di imparare da solo a fotografare per poter riprodurre i progetti di architettura senza disegnarli. Non avendo i soldi per acquistare una fotocamenra se ne costruì una a foro stenopeico. 
    Negli anni sessanta vide una mostra fotografica di Ansel Adams allo Yosemite National Park, ne rimase così impressionato che cominciò a fotografare in bianco e nero. Nel 1970 lasciò l'architettura e si iniziò a far vedere le sue fotografie in mostre locali. Nel 1971 iniziò una nuova attività "Eye encounter Inc." che consisteva nello stampare e vendere le sue fotografie di panorami selvaggi degli Sati Uniticome decorazioni murali per grandi magazzini. Per aumentare le vendite iniziò ad usare pellicole a colori e fotocamere a formato 13x18cm . Il giro d' affari crebbe vertiginosamente e Eye Encounter divenne una ditta con moltissimi dipendenti. Clyde vendette l'attività nel 1977 a causa dello stress eccessivo e si mise a girare la Florida in barca a vela. Si stabilì con la famiglia a Ft. Myers nel 1980, iniziando a  vendere i suoi paesaggi western a colori e fotografie di  temi diversi.
    Nel 1984 fu portato a visitare una palude di cipressi dentro al Big Cypress National Preserve. Questo, disse, gli rivelò un nuovo mondo. L'immersione nella bellezza della palude lo convinse a ritornare al bianco e nero. 

     


    Dopo la tragica morte del figlio diciassettenne nel  1986, Clyde trovò conforto solo nella vicinanza della natura selvaggia. Decise di tagliare ogni legame con la fotografia a colori e dedicarsi unicamente al bianco e nero. Acquistò una fotocamera formato 20x25 ed un ingranditore ed ebbe inizio la sua nuova vita di fotografo.

    Oltre alle Everglades per le quali è maggirmente famoso, Butcher si è impegnato a immortalare paesaggi naturali di tutto il  mondo. 
    La qualità ed importanza del suo lavoro gli hanno guadagnato ammirazione internazionale.  Butcher ha inoltre realizzato documentari sull'ambiente della Florida e ha pubblicato numerosi libri. 


    Al di là della bellezza intrinseca delle sue immagini, ciò che distingue le opere di Clyde Butcher sono le dimensioni gigantesche delle sue stampe, unite ad una nitidezza che ha dell'incredibile. Scegliendo accuratamente il formato del negativo a seconda dellel dimensionid el soggetto, Butcher riesce a produrre stampe nitidissime di dimensioni oltre i 160x300 cm,  che permettono all'osservatore di immergersi nei suoi panorami .

     

     

     

     

     
    “Cerco di usare la pellicola più grande possibile epr il soggetto che voglio fotografare. Se ho un ampio panorama uso un formato 30x65 (circa). se devo fotografare cose come l'Orchidea Fantasma lavoro con una 20x25" racconta Butcher.

    “Voglio che la gente guardi i miei lavori da vicino” dice Butcher a proposito del suo stampare in grandi dimensioni. “Molti non conoscono quello come si vede:si vede chiaramente solo una piccola parte del tutto e in natura l'occhio scorre continuamente da un particolare all'altro e questo ci da' la percezione dell'insieme. La chiave per riprodurre questa sensazione è la nitidezza. Una stampa  di tre metri e mezzo da un negativo 35mm sembrerà nitida se si rimane a distanza 10 metri, ma se ci si avvicina ad un metro sembrerà molto scarsa. Quindi per calarsi in  un' immagine grande e vederla bene occorre che abbia un dettaglio molto elevato.
    Stampa con una Epson Stylus 4800 or una stampante 11880 con inchiostri  Ultra-chrome K3  e carta Harman Hahnemuhle.
     
     
    Nota:  Qualche mese fa  Clyde Butcher è stato colpito da ictus che gli ha paralizzato il lato destro del corpo, ma ha già ripreso a muoversi con deambulatore ed è confidente che tornerà a fotografare  quanto prima. Glielo auguro di cuore
    Tutto questo e molto altro nel sito di Clyde Butcher
    https://clydebutcher.com
    Le foto sono (C) di Clyde Butcher mostrate qui al solo scopo di  illustrare la sua opera. Photos are (C) by Clyde Butcher shown here only to illustrate his art.
  14. happygiraffe
    È un universo piuttosto animato e affollato quello che Robert Schumann ricreava con le sue composizioni per pianoforte! Personalità complessa e profondamente intrisa di cultura letteraria, Schumann amava affidare le varie sfaccettature del suo io a diversi personaggi che popolano i suoi lavori: a cominciare dal focoso e battagliero Florestano e il suo opposto, il sensibile e malinconico Eusebio, i due protagonisti della “lega dei compagni di Davide” che si battono contro il conservatorismo dei cosiddetti filistei; ma poi abbiamo anche i compositori suoi contemporanei Paganini e Chopin, le amiche Chiarina ed Estrella, le maschere della commedia dell’arte (tutti questi in Carnaval), un bambino e un poeta (in Kinderszenen), un cacciatore e addirittura un uccello profeta (in Waldszenen).
    Ma anche quando non compaiono esplicitamente nei titoli, sono i suoi due alter ego Florestano e Eusebio, con i quali Schumann firmava anche i suoi articoli sulla Neue Zeitschrift für Musik, la rivista musicale che aveva fondato insieme al suo insegnante e futuro suocero, che ricorrono più spesso in tutta la sua musica.
    Compositore e pianista al tempo stesso, almeno fino a quando non si infortunò gravemente alla mano e dovette cessare l'attività di concertista, Schumann compose moltissimo per il suo strumento. Ad eccezione delle tre sonate e della Fantasia, le opere pianistiche di Schumann sono prevalentemente raccolte di pezzi brevi, a volte brevissimi, incisivi, debordanti di folgoranti idee musicali, con uno stile compositivo immediatamente riconoscibile. 
    Qui di seguito abbiamo un elenco di ottimi dischi dedicati alla musica per pianoforte di Schumann. Nella selezione abbiamo spaziato nell'arco di diversi decenni, senza però andare fino alle incisioni storiche eccessivamente datate.
    Cominciamo dai russi e dal sommo Richter, che ci ha regalato incisioni meravigliose dedicate a Schumann.
    Qui le sue strepitose Waldszenen:

    La Fantasia:

    Memorabile anche questo disco della Regis (ma che ricompare periodicamente sotto altre etichette) con gli Etudes Symphoniques e i Bunte Blaetter:

    Un altro grandissimo interprete schumaniano è stato il mitico Horowitz, con un approccio totalmente agli antipodi da quello di Richter.
    Qui nelle Kinderszenen e nella Kreisleriana:

    Qui invece alle prese con Humoreske e terza sonata:

    Ci piace segnalare tra i russi anche il bravissimo Youri Egorov, purtroppo scomparso giovanissimo:

    Lasciando i pianisti russi, ma rimanendo ad Est, arriviamo a Geza Anda, purtroppo ultimamente un po' trascurato dalle etichette discografiche. Ricordo un doppio album della DG dedicato interamente a Schumann, ma ormai fuori catalogo da un pezzo. Vi propongo questo disco della Testament:

    Tra i tedeschi come non citare il grandisimo Wilhelm Kempff. Un economico cofanetto contenente cinque dischi incisi tra la fine degli anni '60 e gli inizi degli anni '70:

    C'è poi la generazione fortunata di Argerich, Pollini, Perahia, Ashkenazy e Lupu, ormai tutti oltre i 70 anni. Ecco alcuni dei loro migliori dischi dedicati a Schumann.
    Le Davidsbuendlertaenze di un giovane Perahia che rivelano la sua straordinaria affinità per il compositore tedesco:

    al quale fa idealmente seguito questo disco in cui un Perahia più maturo affronta la Kreisleriana e la prima sonata:
     
    E poi l'incantevole Schumann di Radu Lupu:

    agli antipodi dall'energico Pollini, sia in versione giovanile:

    che più matura:


    Non dimentichiamo l'integrale realizzata da Ashkenazy, già nell'era digitale, ora disponibile a un ottimo prezzo:

    Anche con Schumann la zampata felina di Martha Argerich ha lasciato il segno:

    In questi ultimi anni, invece, il polacco Piotr Anderszerwski si rivelato per uno dei migliori interpreti di Schumann. Bellissimo questo disco:

    Chiudiamo questa carrellata con le memorabili Waldszenen di Arcadi Volodos in questo bellissimo disco dal vivo:

    Chiudiamo qui la nostra personalissima selezione dedicata a chi voglia lanciarsi nel mondo di Schumann. Ovviamente se volete segnalarci altre incisioni, potete farlo qui di seguito!
  15. happygiraffe
    Sono poco più di 3 settimane che mi diverto con la Z8 e mi sembra di averla da sempre. Dopo un po' di studio iniziale e una volta settata per quello che voglio fare, il resto è uro divertimento. Devo solo preoccuparmi di inquadrare il soggetto, al resto ci pensa lei con il suo autofocus "telepatico" (come mi diceva oggi Silvio). 
    Il passaggio dalla D810 è stato rapido e felice. Quello che apprezzo di questa fotocamera più di ogni altra cosa è l'autofocus: affidabile e reattivo, sbaglia davvero pochissimo, e con copertura di tutto il fotogramma. A seguire la stabilizzazione che permette di scendere molto con i tempi e per finire il display orientabile, per me una novità. che permette molta versatilità nelle riprese.
    Questo capolavoro di tecnologia ha tutto quello che da tempo sognavo in una fotocamera. E magicamente mi ha fatto tornare la voglia di fotografare!
    Qui di seguito qualche foto fatta per le strade di Milano. Tutte con il 24-120 f/4.

    Milano, CityLife.

    Milano, CityLife.

    Milano, Porta Volta.

    Milano, Passeggiata Boris Pasternak.

    Milano, Porta Volta. Un gruppo di ragazzi mi ha chiesto di fotografarli e io li ho accontentati!

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi. Altissime modelle asiatiche.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi. Un bravo musicista di strada. L'accoppiata con la foto precedente dei due ciclisti mi fa venire in mente un verso di una canzone di Paolo Conte:"i sax spingevano a fondo, come ciclisti gregari in fuga" 

    Milano, Via Paolo Sarpi. Un spettacolo di strada.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Piazza dei Mercanti di domenica mattina.

    Milano, Galleria Vittorio Emanuele. Due poliziotti a cavallo (e che cavalli! erano delle bestie bellissime!) posano per un fotografo (immagino per qualche calendario). Di lì a poco uno dei cavalli avrebbe sbavato copiosamente sul fotografo.

    La Z8 ha messo a fuoco sull'occhio del cavallo.

    Milano, Via Palazzo Reale.

    Milano, CityLife.

    Milano, CityLife.

    Milano, CityLife.

    Milano, Galleria Vittorio Emanuele.

    Milano, Via Santa Radegonda.

    Milano, Via Santa Radegonda.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Via Torino.

    Milano, Via Torino.
    C'è anche qualche foto a colori:

    Milano, Porta Nuova.

    Milano, Galleria Vittorio Emanuele.

    Milano, Galleria Vittorio Emanuele. La variopinta signora che si fa in selfie in bicicletta mi ha fatto molto ridere!

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo. La vie en rose!
     
    Spero di non avervi ammorbato con tutte queste foto. Avevo un po' di ritardo da recuperare!
     
  16. happygiraffe
    Robert Schumann, integrale dei lieder.
    Christian Gerhaher (baritono), Anett Fritsch, Julia Kleiter, Christina Landshammer, Sybilla Rubens, Camilla Tilling (soprani), Stefanie Iranyi, Wiebke Lehmkuhl (mezzosoprani), Martin Mitterrutzner (tenore), Gerold Huber, James Cheung (pianoforte).
    Sony Classical, 2021.
    Cofanetto da 11 CD oppure disponibile in streaming su Qobuz in 96-724.
    ***
    Arriva finalmente a compimento l'integrale dei Lieder di Schumann da parte del baritono tedesco Christian Gerhaher, affiancato dal pianista Gerold Huber e da una compagine di altri 8 cantanti. Dello Schumann di Gerhaher avevamo gia parlato su queste pagine (Qui e ancora qui) e questo bel cofanetto di ben 11 CD arriva a suggello di un percorso iniziato nel 2004.
    Se da un lato vengono ripresi alcuni dischi recenti, Frage e Myrthen del 2018 e 2019, e meno recenti, come Melancholie del 2007 e alcune registrazioni del 2004, dall'altro questa raccolta è ricca di novità e di qualche significativa rilettura, come ad esampio di Dichterliebe e dell'Op.90.
    Gerhaher è uno specialista di Schumann e la sua voce ambrata e così ricca di sfumature fa meraviglie. Le sue interpretazioni si adeguano alle diverse opere e al periodo in cui furono composte: dai toni vibranti e ardenti delle opere giovanili a quelli più riflessivi e tormentati dei lavori della maturità. Prevale comunque spesso la sensazione di uno Schumann intimo e perso in un suo mondo interiore. Qui siamo nel cuore del Romanticismo, dove musica e letteratura vanno a braccetto, producendo risultati artistici di sublime bellezza. 
    Incantevoli anche le composizioni nelle quali Gerhaher, che nel complesso fa la parte del leone, si alterna o si unisce agli altri cantanti, che certamente non sfigurano (quasi) mai. Si distinguono le bravissime Julia Kleiter e Camilla Tilling.
    Accompagna i dischi un sostanzioso libretto di più di 200 pagine, che purtroppo non riporta la traduzione dei testi tedeschi.
    Sembre molto buona la qualità della registrazione, che riesce a mantenere una certa coerenza, nonostante l'arco temporale ampio delle diverse incisioni.
     
  17. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Dmitri Shostakovich, 24 Preludi e Fughe Op.87.
    Ronald Stevenson, Passacaglia on DSCH.
    Igor Levit, pianoforte.
    Sony Classical, 2021.
    ***
    Igor Levit negli ultimi anni si è imposto come uno dei migliori pianisti della sua generazione, distinguendosi da un lato per le scelte di repertorio che danno ampio spazio a compositori e composizioni meno noti, dall’altro come l’uomo delle incredibili maratone pianistiche (l’ultima sua follia che mi viene in mente è la diretta su YouTube di Vexations di Érik Satie, 18 ore di musica!). Levit è un pianista colto e intelligente che affronta la sala d’incisione con grandissima serietà e preparazione. Quest’ultimo disco ci offre un’altra prova ciclopica: i 24 preludi e fighe Op.87 di Shostakovich e la meno nota Passacaglia su D.S.C.H. di Ronald Stevenson, per un totale di 3 ore e 50 minuti di musica.
    Era il 1950 quando Dmitri Shostakovich (1906-1975), che aveva allora 44 anni, fu chiamato a Lipsia come giurato di una rassegna che celebrava il secondo centenario della morte di Bach. In quello stesso contesto conobbe la giovane pianista russa Tatjana Nikolaeva, vincitrice del concorso pianistico. Fu in quell’occasione che decise di rendere un omaggio a Bach, componendo una serie di 24 preludi e fughe per pianoforte, che percorrevano tutte le tonalità maggiori e minori, così come aveva fatto Bach nel Clavicembalo ben temperato, ma questa volta non in ordine cromatico, bensì secondo il circolo delle quinte (Do-Sol-Re-La-Mi ecc. dove al maggiore segue il relativo minore). Era la sequenza già adottata da Chopin nei suoi 24 Preludi, op.28.

    Una prima parziale esecuzione avvenne per mano dello stesso compositore nel 1951, ma l’opera fu bollata di “formalismo” dal regime sovietico (in pratica non era conforme al realismo social-popolare al quale gli artisti dovevano piegarsi in quegli anni). Fu la stessa Tatjana Nikolaeva ad eseguire integralmente i Preludi e Fughe in pubblico nel 1952 e ad assicurarne la pubblicazione.
    Pur nell’evidente omaggio a Bach, il linguaggio di quest’opera è lontano da ogni manierismo e anzi si apre a un ampio ventaglio di stili e caratterizzazioni diversi: da lirico a marziale, da epico a introspettivo, da sfrenato a dolente, da serio a sarcastico.
    Ed è nella precisa e raffinata restituzione di tutti questi diversi caratteri che si rivela la maestra di Igor Levit. Ascoltiamo la soave evocazione delle primo preludio in do maggiore, o l’andamento misterioso del quarto preludio e fuga in re maggiore. E poi l’iridescente e gioiosa settima fuga in la maggiore, resa con una delicatezza commovente, seguita dall’ironica marcetta dell’ottavo preludio, che porta a quello che forse è il capitolo più introspettivo e doloroso di tutta l’opera, la lunga fuga in Fa diesis minore. La vivace immediatezza della successiva fuga in Mi maggiore ci riporta gioia e speranza. Si arriva così alla conclusione della prima metà, con Levit che ci porta dagli abissi del dodicesimo preludio alla sfrenata cavalcata della fuga in 5/4!
    Il provocativo sarcasmo del quindicesimo preludio è restituito in maniera implacabile e la successiva fuga in re bemolle maggiore, velocissima, ci trascina in un feroce vortice in cui si arriva a sfiorare l’atonalità. Il preludio e fuga che seguono, arrivano alle nostre orecchie come una soave e lunga consolazione. Il suono delicato e morbido di Levit è di commovente bellezza.
    Si arriva così all'ultimo grandioso preludio e fuga al quale il pianista riesce a conferire un senso di tragica inesorabilità, pur mancando nel finale di imprimere quel furioso cambio di tempo, indicato nella partitura e eseguito da molti altri pianisti.
    Tatjana Nokolaeva registrò tre volte i Preludi e Fughe Op.87, nel 1962, 1987e 1990 e per molti anni queste incisioni sono state considerate un riferimento assoluto nella discografia.

    Grandi pianisti russi come Richter e Gilels ne incisero purtroppo solo una manciata. C’è una testimonianza discografica dello stesso Shostakovich che ne esegue un discreto numero in questo disco molto interessante:

    In tempi più recenti si ritrovano diverse incisioni (addirittura ce n’è una di Keith Jarrett), delle quali ricordo quella notevole di Alexander Melnikov per Harmonia Mundi, purtroppo non disponibile su Qobuz, ma reperibile comunque su altri siti.

    Quest’ultima di Igor Levit si pone a mio avviso come il nuovo riferimento assoluto per chi si voglia avvicinare a quest’opera. 
    Veniamo ora alla seconda parte di questo disco, la Passacaglia su DSCH di Ronald Stevenson (1928-2015), compositore scozzese conosciuto solo agli addetti ai lavori e decisamente meno noto di Shostakovich. Socialista, pacifista, obiettore di coscienza, Stevenson fu un compositore, ma anche un grande virtuoso del pianoforte, ponendosi sulla scia di Busoni. E’ ricordato principalmente proprio per questa Passacaglia, famosa per essere un’opera in un unico movimento (in realtà contiene delle suddivisioni) della durata di circa 85 minuti.

    Composta nel 1963, la Passacaglia è un omaggio dichiarato allo stesso Shostakovich. DSCH è il monogramma musicale ideato dallo stesso Shostakovich: D.Sch., D–Es–C–H, che nella notazione tedesca equivalgono infatti ai nostri Re, Mi bemolle, Do, Si. Il compositore russo usò queste 4 note in molte sue composizioni, come una vera e propria firma.
    Lo stesso motivo è alla base della lunga serie di variazioni di Stevenson che compongono la Passacaglia.
    Stevenson la suddivide in tre grandi parti: la prima che riunisce l’iniziale Sonata, una suite di danze e altri pezzi brevi, il secondo che ricorda più una fantasia composta da variazioni di carattere molto diverso e études, il terzo contenente una poderosa tripla fuga.
    Quest’opera monumentale contiene diversi riferimenti e influenze musicali (oltre a Shostakovich, scorgiamo Liszt, Busoni, Messiaen, fino alle manifeste citazioni finali del Dies Irae e del monogramma di Bach, B.A.C.H.), così come storici (da uno slogan di Lenin, alle vittime dell’Olocausto, passando per l’Africa emergente). 
    Si tratta di un lungo viaggio, che richiede tempo e concentrazione all’ascoltatore, ma che può regalare molte soddisfazioni.
    Pochissime le incisioni alternative, tra le quali quella di John Ogdon, che però non è più reperibile.
    Questa versione di Levit sicuramente si pone come un riferimento, non solo per le capacità tecniche con le quali supera le difficoltà della partitura, ma per la capacità di tenere insieme una struttura così lunga, articolata e complessa.
    Tirando le conclusioni, questo è un disco monumentale che impegna l’ascoltatore in un lungo tour de force, ma che da un punto di vista artistico e intellettuale è probabilmente una delle migliori produzioni discografiche degli ultimi anni.

     
  18. happygiraffe

    Recensioni : orchestrale
    Bottesini: Gran Duo concertante
    Piazzolla: Le Grand Tango
    Rota: Divertimento concertante Ödön Rácz, contrabbasso.
    Noah Bendix-Balgley, violino.
    Franz Liszt Chamber Orchestra
    Speranza Scapucci, direttore.   Deutsche Grammophon, 2019   *** Ammetiamolo, tra gli strumenti ad arco il contrabbasso è sicuramente quello più trascurato dai compositori, pur rivestendo un ruolo fondamentale all'interno dell'orchestra.  Stupisce quindi vedere che DG pubblichi un disco interamente dedicato a musiche per contrabbasso.
    Qui è il virtuoso ungherese Ödön Rácz che si cimenta con alcune delle pagine più note (agli esperti!) composte per questo strumento: il Gran Duo Concertante di Bottesini e il il Divertimento Concertante di Nino Rota.
    Giovanni Bottesini (1821-1889) fu un celebre contrabbassista, compositore e direttore d'orchestra ottocentesco, noto come il "Paganini del contrabbasso". Fu autore di diverse composizioni per questo strumento, tra cui questo Gran Duo concertante, qui nella trascrizione per contrabbasso e violino dall'originale (meno nota) per due contrabbassi. 
    Si tratta di un bel pezzo di bravura, assolutamente godibile. Ho trovato tuttavia più interessante la seconda parte del programma, con il Divertimento Concertante per contrabbasso e orchestra di Nino Rota (1911-1979). Notissimo e prolifico compositore di musica per film (realizzò 157 colonne sonore!), Rota ebbe anche una consistente produzione di musica classica tradizionale di stampo neoclassico.
    Questo Divertimento Concertante ha una storia particolare. Bisogna sapere che Rota insegnò a lungo al Conservatorio di Bari e ne fu direttore dal 1950 fino al 1977. Nella stanza sopra il suo ufficio dal 1967 si tenevano i corsi di contrabbasso tenuti dal grandissimo virtuoso Franco Petracchi, che gli commissionò un'opera per il suo strumento. Il Divertimento fu composto tra il 1967 e il 1969. Se il secondo movimento, " Marcia", riprende scherzosamente alcuni degli esercizi che Petracchi faceva fare ai suoi allievi e che il povero Rota era costretto a sentire tutti i giorni dal piano di sotto, il terzo movimento "Aria", fu in origine composto per la colonna sonora del film "Dottor Zivago", progetto che poi per varie ragioni fallì e fu affidato a Maurice Jarre, che ci vinse l'Oscar.
    Il Divertimento Concertante è un lavoro brillante, pieno di humour e di momenti vivaci, così come di momenti più riflessivi e malinconici, come nel terzo movimento. Ricorda spesso il Prokofiev più sereno e scherzoso.
    Ödön Rácz è un grande: suona il suo contrabbasso con una sensibilità difficilmente immaginabile e riesce a farlo cantare con la grazia e la dolcezza dei suoi fratelli più piccoli.
    In sintesi, un disco molto piacevole, che raccomando volentieri!
  19. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    '900 Italia. Musiche per pianoforte di Busoni, Alaleona, Malipiero, Lupi, Savagnone, Berio, Cartiglioni, Mosso, Colla.
    Gialnuca Cascioli, pianoforte.
    DG 2019
    ***
    E' davvero interessante il progetto dedicato alla divulgazione del repertorio pianistico del '900 che il pianista e compositore italiano Gianluca Cascioli sta portando avanti da qualche anno.
    Il percorso che ci propone segue un ordine geografico: dopo un primo disco dedico ai paesi dell'Est, diciamo dell'ex Unione Sovietica (Russia, Ucraina, Estonia) e un secondo dedico all'area austro-tedesca, arriva ora questo terzo album dedicato all'Italia.


    Le copertine dei dischi precedenti.
     
    Sono nove i compositori rappresentati in questa antologia che comincia con Ferruccio Busoni (1866-1924) e termina con Alberto Colla, nato nel 1968, passando per una serie di compositori più o meno noti: Domenico Alaleona (1881-1928), Gian Francesco Malipiero (1882-1973), Roberto Lupi (1908-1971), Giuseppe Savagnone (1902-1984), Luciano Berio (1925-2003), Niccolò Castiglioni (1932-1996), Carlo Mosso (1931-1995).
    Ammetto senza vergogna che molti di questi nomi mi erano del tutto sconosciuti, ma non potrebbe essere diversamente, perché tolti Busoni, Malipiero, Berio e Castiglioni, i restanti sono decisamente poco rappresentati in discografia.
    L'ascolto è stato ad ogni modo piacevolmente interessante. Nel selezionare queste opere Cascioli sembra aver seguito il disegno preciso di conquistare l'ascoltatore con un repertorio che sia comprensibile e "ascoltabile" anche e soprattuto per i non specialisti, evitando le avanguardie più ostiche. E noi per questo lo ringraziamo! Apprezziamo molto di più un progetto come questo, che con intelligenza e entusiasmo prova a portare la musica del '900 a un pubblico più ampio, piuttosto che l'ennesima incisione dei 24 Preludi di Chopin.
    In sintesi, un disco sicuramente molto interessante che consiglio a chi abbia voglia di esplorare territori nuovi e autori poco conosciuti.
     
    Riporto per chi fosse interessato la tracklist:
    1 Busoni: 7 Elegien, BV 249 - 7. Berceuse
    2 Busoni: Sonatina No.4, BV 274 "in diem nativitatis Christi MCMXVII"
    3 Alaleona: La città fiorita, cinque "impronte" per pianoforte - 2. Crisantemo
    4 Malipiero: Risonanze - 1. Calmo
    5 Malipiero: Risonanze - 2. Fluido
    6 Malipiero: Risonanze - 3. Non troppo mosso
    7 Malipiero: Risonanze - 4. Agitato, non troppo
    8 Lupi: 6 Studi per pianoforte - 1. Vivo e fresco
    9 Lupi: 6 Studi per pianoforte - 2. Moderatamente mosso
    10 Lupi: 6 Studi per pianoforte - 3. Velocissimo
    11 Savagnone: Prisma armonico, Op. 22 - Preludio No. 1: Allegro
    12 Berio: 6 Encores - 3. Wasserklavier
    13 Castiglioni: Sonatina per pianoforte - 1. Andantino mosso assai dolcino
    14 Castiglioni: Sonatina per pianoforte - 2. Ländler. Allegro semplice
    15 Castiglioni: Sonatina per pianoforte - 3. Fughetta. Allegretto
    16 Mosso: Secondo quaderno per pianoforte
    17 Mosso: Pièce mécanique per pianoforte (in memoria di E.Satie)
    18 Mosso: 22 Preludi per pianoforte - No. 4 Canzone
    19 Mosso: 22 Preludi per pianoforte - No. 11 Allegretto vivo
    20 Mosso: 22 Preludi per pianoforte - No. 14 Allegro marziale
    21 Mosso: 22 Preludi per pianoforte - No. 18 Canzone di culla
    22 Mosso: 22 Preludi per pianoforte - No. 22 Molto allegro, volante
    23 Colla: Notturno IV "Moonbow"
    24 Colla: Notturno VII "Mosarc"
    25 Colla: Notturno IX "Rope bridge"
    26 Colla: Notturno X "Lunar Ephemeris"
  20. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Brahms, sestetti per archi.
    Belcea Quartet, Tabea Zimmermann (viola), Jean-Guihen Queyras (violoncello).
    Alpha Classics, 2022.
    ***
    Ricordo un programma del V canale della filodiffusione (oggi Radio3 Classica) che si intitolava “i capolavori della cameristica brahmsiana”. In effetti il termine capolavoro non è usato a sproposito per un compositore che ha saputo arricchire il repertorio cameristico, creando dei nuovi riferimenti assoluti per ogni genere affrontato, che siano quartetti, quintetti, sestetti per archi, sonate per violino e pianoforte, per violoncello e pianoforte, quintetto per pianoforte o per clarinetto, etc.
    I due sestetti per archi, pur essendo opere di un Brahms non ancora trentenne, sono tra le sue prime gemme nell’ambito della musica da camera. Probabilmente in soggezione davanti al modello dei quartetti di Beethoven, Brahms decise di cimentarsi con un organico decisamente insolito e poco esplorato fino a quel momento, quello del sestetto, ossia due violini, due viole e due violoncelli e questo gli diede modo di sperimentare diverse combinazioni dei vari strumenti, trasformando di fatto il sestetto in qualcosa che va ben oltre il concetto di un quartetto vitaminizzato.
    Il quartetto Belcea aveva già fatto meraviglie con questo disco di qualche anno fa contenente i tre quartetti e il quintetto con pianoforte di Brahms:

    In questa nuova incisione sono accompagnati dalla viola di Tabea Zimmermann e dal violoncello di Jean-Guihen Queyras. L’intesa è semplicemente perfetta, dovuta con buona probabilità alla tournée di concerti che hanno preceduto la registrazione e che ha creato un ottimo affiatamento tra i musicisti.
    Fin dalle prime battute del primo sestetto si rimane colpiti dalla trasparenza della trama, con un uso molto discreto del vibrato, dalla raffinatezza timbrica che non sconfina nell’autocompiacimento, dall’infallibile senso del ritmo. Emblematico è il secondo movimento, Andante ma moderato, con il tema stupendamente enunciato dal timbro caldo e vellutato della viola e le variazioni che seguono via via più intricate e ritmicamente complesse. Si ascolti l’incredibile effetto coloristico che ottengono a circa 6’16’’ con le voci degli strumenti ridotte a un sussurro.  L’interpretazione nel suo complesso restituisce un carattere serenamente affettuoso che ben si confà a questo primo sestetto Op.18.
    Più severa e malinconica la lettura del secondo sestetto Op.36, opera più complessa e raffinata da un punto di vista compositivo e figlia di un periodo buio per il compositore, con la scomparsa improvvisa della madre e il fallimento della relazione con il soprano Agathe von Siebold (il cui nome appare traslitterato in note musicali in un tema della viola nel primo movimento). Nelle variazioni del meraviglioso terzo movimento, Poco adagio, il Belcea mette in risalto un sentimento di fragilità e inquietudine, fino ad arrivare ai fremiti e agli slanci, mai troppo consolatori, dell’ultimo movimento. Anche in questo secondo sestetto il suono è terso, preciso, con poco vibrato, la lettura intima e ricca di pathos, ma mai pesante.
    Nel complesso è un disco che mi è piaciuto molto e che sono tornato a riascoltare diverse volte nelle ultime settimane, apprezzandolo ogni volta di più. Non mancano le versioni alternative, da quelle storiche (Stern e amici, Amadeus, Alban Berg) a quelle più recenti (Isabelle Faust e amici, Renaud Capuçon e compagni, gli strumentisti della WDR), ma questa per il momento è diventata il mio personalissimo riferimento.
    Semplicemente magnifica la qualità della registrazione. Sembra realmente di avere i sei musicisti disposti davanti noi.
    Molto consigliato!

  21. happygiraffe
    Stravinsky: Serenata in La.
    Prokofiev: Sarcasms, Op. 17.
    Prokofiev: Sonata No. 8, Op. 84.
    Prokofiev: Cenerentola - Tre pezzi per pianoforte, Op. 95, Gavotta.
    Stravinsky: L'Uccello di Fuoco (Trascrizione di Guido Agosti).
    Prokofiev: Concerto per pianoforte No. 2, Op. 16.
    Stravinsky: Tre movimenti da Petrouchka.
    Scriabin: Concerto per pianoforte Op. 20.
    Daniil Trifonov, pianoforte, Mariinsky (Kirov) Orchestra, Valéry Gergiev.
    DG 2020
    ***
    E’ curioso seguire le carriere parallele di quelli che probabilmente sono le due superstar maschili del pianismo odierno e che casualmente provengono dalla stessa città. Parlo di Igor Levit e Daniil Trifonov, entrambi nati a Nizhny Novgorod (Gorky) a pochi anni di distanza. In realtà, al di la della città natale in comune, le similitudini tra i due si fermano qui. Tanto Levit, che poi ha studiato in Germania, è ancorato al repertorio classico tedesco (Bach, Beethoven, Schumann, Brahms) con puntate nella musica moderna e contemporanea, quanto Trifonov predilige il repertorio pianistico più virtuosistico, da Chopin a Liszt, fino a Rachmaninov. Tanto Levit sembra seguire un approccio più intellettualistico (l’ultimo disco, Encounter, sembra portarci in un viaggio tanto introspettivo e riflessivo da risultare alla fine piuttosto difficile da digerire), quanto Trifonov in quest’ultimo disco sembra divertirsi con gli aspetti più scintillanti e esteriori del modernismo russo dei primi del ‘900.
    “The Silver Age”, così hanno voluto intitolare questo disco, ha un programma molto eterogeneo di musiche per piano solo e per piano e orchestra di Stravinsky, Prokofiev e Scriabin. 
    In realtà forse è proprio il programma il punto debole di questo disco: troppo vasto, poco coeso, con una scaletta poco intuitiva. E cosa c’entra poi il giovanile e chopiniano concerto di Scriabin? Come se si fosse voluto trovare qualcosa per riempire il secondo disco…
    Al di là di queste mie perplessità, ho trovato le interpretazioni di Trifonov in questo disco sempre di ottimo livello quando non straordinarie. A partire dalla Serenata in La di Stravinsky e dai Sarcasmes di Prokofiev, pezzi se vogliamo minori, ma comunque interessanti e piacevoli, resi con grande energia e brillantezza. 
    Segue la misteriosa e sempre difficile da interpretare sonata n.8 di Prokofiev, certamente la meno drammatica del trio delle sonate “di guerra”. I tempi sono misurati, non eccessivamente rapidi nel  primo movimento come spesso si sente da altri pianisti. Pur non mancando momenti di grande poesia, non ho trovato questa interpretazione migliore di altre recenti (Osborne, Melnikov), per non parlare della distanza che la separa dalla potenza evocativa del grande Gilels, ma quelli erano altri tempi e sensibilità diverse.
    Passiamo quindi a quelli che mi sono parsi i momenti migliori di questo doppio album, ovvero le trascrizioni dell’Uccello di Fuoco di Stravinsky di Guido Agosti e quella celebre di Petroucka dello stesso Stravinsky. E’ interessante confrontare entrambi i pezzi con le interpretazioni contenute nell’ultimo bellissimo disco di Beatrice Rana. Se Rana era straordinaria nel ricreare i colori e l’energia dell’orchestra,  Trifonov predilige una lettura di stampo puramente neoclassico: il suono è limpido e cristallino, non sembra di ascoltare alcune delle pagine più difficili del repertorio pianistico del ‘900 (Weissenberg confessava che la prima che ha guardato la partitura di Petrouchka aveva pensato che gli servisse una terza mano!) tanto tutto sembra uscire facilmente dalle mani prodigiose del russo. L’interpretazione di Petrouchka è meno istrionica rispetto ad alcune esibizioni dal vivo che si trovano in rete e anzi ricorda quella che doveva essere la grazia dei balletti russi dei primi del ‘900. 
    Nella seconda parte di questo doppio album, Trifonov è accompagnato dall’orchestra Mariinsky diretta da Gergiev nel secondo concerto di Prokofiev e in quello di Scriabin. 
    Il concerto di Prokofiev suona energico e scintillante, con l’orchestra che ben supporta il suono preciso e ricco di sfumature del suo solista. L’interpretazione è nel complesso di ottimo livello, anche se rispetto ad altre può apparire meno coinvolgente.
    Il concerto di Scriabin, eseguito davvero di rado, è quello che è: un lavoro giovanile, se pur molto brillante, e poco rappresentativo del genio del compositore che ancora doveva rivelarsi. 
    In conclusione, un album che contiene momenti di grande bellezza (la Serenata, i Sarcasmes, l’Uccello di fuco e Petrouchka), ma che soffre di un programma davvero ipertrofico e non sempre allo stesso livello. Trifonov ha comunque due mani straordinarie, per cui, al di là delle nostre preferenze, ne raccomando in ogni caso l’ascolto.
  22. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    After Bach
    Brad Mehldau, pianoforte
    Nonesuch 2018
    Tracklist:
    1. Before Bach: Benediction
    2. Prelude No. 3 in C# Major from The Well-Tempered Clavier Book I, BWV 848
    3. After Bach: Rondo
    4. Prelude No. 1 in C Major from The Well-Tempered Clavier Book II, BWV 870
    5. After Bach: Pastorale
    6. Prelude No. 10 in E Minor from The Well-Tempered Clavier Book I, BWV 855
    7. After Bach: Flux
    8. Prelude and Fugue No. 12 in F Minor from The Well-Tempered Clavier Book I, BWV 857
    9. After Bach: Dream
    10. Fugue No. 16 in G Minor from The Well-Tempered ClavierBook II, BWV 885
    11. After Bach: Ostinato
    12. Prayer for Healing
    ***
    Lo dichiaro subito: parlare su queste pagine di un disco di Brad Mehldau potrebbe apparire un po' strano o fuori contesto, ma a me, che non ascolto solamente musica classica, Mehldau è sempre piaciuto, per cui ammetto candidamente che ho colto il pretesto di questo suo disco di ispirazione Bachiana per parlarne qui su variazionigoldberg.

    Semplificando le cose si può dire che Brad Mehldau sia un pianista jazz tra i migliori della sua generazione. Andando anche un po' oltre si più anche affermare che sia un musicista molto versatile, cogliendo in pieno quella caratteristica del jazz che è quella di prendere costantemente spunto dai temi musicali più disparati. Ma Brad non si è fossilizzato sui soliti standard del Jazz: ascoltando i suoi dischi si trovano interpretazioni di brani che vanno dai Beatles ai Radiohead, da Paul Simon a Nick Drake, da Dylan a Fiona Apple, da Brian Wilson a Kurt Cobain.

    Quello che mi ha sempre affascinato del suo stile, già dal primo ascolto venti anni fa, è la forte presenza di solide radici classiche: pur se il linguaggio musicale è proprio del Jazz, non è difficile ritrovare echi che vanno da Bach a Brahms. E proprio qualche Intermezzo di Brahms è comparso in alcune sue incisioni live, come testimonia il disco "10 Years Solo Live" del 2015.
    Quest'ultimo disco, "After Bach", si spinge oltre. Alcuni preludi e fughe del Clavicembalo ben temperato sono suonati da Mehldau e diventano il punto di partenza per le sue composizioni.
    Un'operazione che potrebbe irritare gli integralisti della musica classica, così come spiazzare i jazzofili più incalliti. 
    Volendo invece accogliere la proposta del versatile pianista americano senza pregiudizi, si può rimanere sorpresi. Le divagazioni di Mehldau sui pezzi del Clavicembalo ben temperato vanno ben oltre un approccio "jazzy". Il suo linguaggio musicale supera i confini del jazz e quella che ne risulta è una scaletta molto omogenea con un affascinante gioco di rimandi tra i brani di Bach e quelli originali.
    L'ho trovato nel complesso un disco molto godibile e sicuramente una delle proposte più interessanti uscite in questo periodo. Lo consiglio a chi non si lasci stranire da questa commistione di generi e lo ascolti con mente e cuore aperti prima di giudicarlo.

  23. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Tchaikovsky: Nocturne Op. 10 No. 1; Le stagioni Op. 37a: X. Ottobre, XI. Novembre; Diciotto pezzi Op. 72: X. Scherzo-fantaisia, V. Meditazione.
    Prokofiev: quattro Etudes Op.2.
    Rachmaninov: Variazioni su un tema di Chopin Op.22
    Tianxu An, pianoforte.
    Alpha Classics, 2022.
    ***
    Del pianista cinese Tianxu An si era parlato nel 2019 per una brutta avventura che gli capitò durante le finali del celebre premio Tchaikovsky. Salito sul palco per suonare il primo concerto di Tchaikovsky, dopo un breve momento di confusione, il presentatore parlando in russo annunciò qualcosa al pubblico, che lui evidentemente non colse. Fu così che l’orchestra diretta da Vassily Petrenko prese a suonare un altro brano, la Rapsodia su un Tema di Paganini, che era il secondo pezzo in programma. Il pianista mostrò un grande sangue freddo e dopo aver perso il primo attacco e qualche momento di smarrimento, portò a casa in qualche modo il pezzo. Si classificò quarto e questo scherzetto gli costò una posizione migliore, ma la giuria, che gli aveva in ogni caso proposto di eseguire di nuovo il brano, cosa che lui rifiutò di fare, gli concesse un riconoscimento speciale per il coraggio e la concentrazione dimostrati!

    Nella foto, un più che perplesso Tianxu An osserva il direttore Petrenko al concorso Tchaikovsky del 2019.
    A distanza di tre anni e superato il trauma di aver vissuto il peggior incubo di ogni concorrente, il nostro Tianxu An si ripresenta al pubblico con il suo disco di debutto dedicato a tre grandi compositori russi: Tchaikovsky, Prokofiev e Rachmaninov.
    Già dalle prime note si dimenticano tutte le disavventure passate di Tianxu An.
    La selezione di 5 brani di Tchaikovsky (notturno Op.10n.1, Ottobre e Novembre dalle Stagioni, Scherzo-Fantasia e Meditazione dall’Op.72) mostra un’ottima affinità per questo compositore, con interpretazioni caratterizzate da sensibilità e immaginazione, suono pulito e articolato e un’impressionante palette timbrica.
    Con i 4 studi Op.2 del giovane Prokofiev si cambia ritmo. Tianxu An li suona con grande slancio, suono potente quando serve e tutta la verve che occorre. Un’ottima prova per questi pezzi che per la loro rarità in discografia valgono da soli il prezzo del disco.
    Si passa poi al pezzo forte, vale a dire le variazioni su un tema di Chopin di Rachmaninov. Tianxu An è assolutamente a suo agio sia nei momenti più lirici che in quelli più virtuosistici. E’ una composizione che personalmente trovo assai stucchevole, ma An sa il fatto suo e il pezzo tiene bene dalla prima all’ultima variazione.
    Nel complesso un ottimo recital di un brillante giovane artista di 22 anni, che speriamo di non veder passare come una meteora.
    Registrazione esemplare: suono realistico, vivido, croccante!
  24. happygiraffe
    Variations on folk songs, musiche di Beethoven, Kuhlau, Doppler, Walckiers.
    Anna Besson, flauto; Olga Pashchenko, pianoforte.
    Alpha, 2020.
    ***
    Lo sapevate che le due opere che precedono e seguono nel catalogo beethoveniano la monumentale e metafisica sonata per pianoforte op.106 sono due ben più leggere raccolte di arie e variazioni su temi popolari per flauto e pianoforte?
    La flautista Anna Besson, accompagnata al pianoforte da Olga Pashchenko, ci accompagna in un giro per l’Europa della prima metà dell’ottocento, con un programma di musiche che prendono origine da canti popolari.
    Si comincia con la bellissima Fantasia pastorale ungherese di Franz Doppler, virtuoso del flauto oltre che compositore, per poi proseguire con una selezione delle due raccolte di “temi variati per flauto e pianoforte” Op 105 e op.107 di Beethoven, opere facili e orecchiabili, ma non prive di fascino. Tra le due raccolte ascoltiamo il movimento lento della Grande Sonata Op.83 n.1 di Frederich Kuhlau, “Variazioni su un’aria antica svedese”. Il programma si conclude con il rondò “auvergnat” di Eugène Walckiers e le splendide Arie Valacche Op.10 ancora di Doppler.
    Le due artiste suonano su magnifici strumenti d’epoca dai quali sfoderano una gamma di timbri di grande fascino, riuscendo a restituire splendidamente il carattere di ogni brano. 
    Con questo disco Anna Besson e Olga Pashenko ci fanno conoscere un repertorio poco conosciuto e se vogliamo leggero, ma non per questo poco godibile.
    Un piccolo gioiello!
  25. happygiraffe
    Scrivo questo pezzo per condividere con voi la bellezza di alcuni luoghi in cui da anni ho la fortuna di passare qualche giorno di ferie.
    Faccio qualche premessa.
    Molti fotografi più seri di me vengono in questi posti solo per fotografare queste montagne straordinariamente belle. Youtube è piena di video di gente che condivide i propri viaggi fotografici nelle Dolomiti, riprendendo sempre le stesse cime, dagli stessi luoghi. Si alzano all'alba per cogliere i primi raggi di sole indorare le cime, dormono in camper sui passi di montagna.
    Ecco, io non sono tra questi. Io il mio è il punto di vista dell'escursionista.

    Non voglio portarmi sulle spalle troppa attrezzatura pesante. Non posso portarmi dietro la macchina quando arrampico o faccio ferrate impegnative. Voglio godermi la camminata, la giornata all'aperto, i colori, gli odori dei prati e dei boschi. Se poi capita l'occasione giusta e ho dietro la macchina fotografica, beh, ne approfitto! Tante volte ho rimpianto di non averla avuta con me e di essermi dovuto accontentare di qualche scatto con lo smartphone.
    Molte altre volte mi sono trovato nel posto giusto, ma con la luce sbagliata, come qui:

    In fondo non importa, sono contento così.
    Altre volte il cielo minaccioso, che preoccupa l'escursionista che non vuole prendersi tanta acqua, regala al fotografo una luce e dei contrasti incredibili, come nelle foto che seguono, dove ho messo insieme due diverse gite negli stessi posti, ma con condizioni meteorologiche molto simili.
    Siamo dalle parti del Passo Giau, luogo mitico per ciclisti, motociclisti e fotografi!




    Motociclisti e fotografi dal fiato corto spesso si fermano al rifugio al passo, ignorando che dopo una camminata non eccessivamente lunga, ma assai ripida nell'ultimo tratto, si arriva in uno dei posti più fiabeschi che abbia mai visto:


    Qui un'altra vista della Re Gusela (la montagna che sovrasta passo Giau):

    E qui i Lastoi de Formin e la Croda da Lago visti proprio dalla Ra Gusela in un contesto un po' lunare:

    Quest'estate ho avuto modo di passare più volte nella zona Lagazuoi, Fanis, Tofane, attraversando la magnifica Val Travenanzes.
    Quando si è "in alto" i panorami sono letterlamente vertiginosi:





     

    Man mano che si scende gli scenari si fanno più rassicuranti 




    Così come sono rassicuranti e piene di magia le cime dei monti quando il sole al tramonto le accende di arancione:

    L'imponente parete della Tofana di Rozes e qui sotto le Cinque Torri in compagnia di Nuvolau e Averau:

    Molto amate da noi fotografi sono le cime riflesse negli specchi d'acqua, come qui il Becco di Mezzodì che si riflette nel lago Federa (purtroppo non nelle condizioni migliori):

    O qui il Lagazuoi che si specchia nel microscopico lago Limedes:

    Altre volte le mie gite mi portano in luoghi meno spettacolari e fotogenici, ma altrettanto piacevoli:




    Un'emozione particolare mi prende quando riesco a vedere qualche animale, che sia una comunissima marmotta (marmottina in questo caso):

    o uno dei tanti caprioli:

    O i più schivi camosci (quelli bisogna proprio andarseli a cercare, avere fortuna e occhi buoni, possibilmente anche un buon binoccolo Nikon):


    Siamo arrivati alla fine di questa lunga carrellata di immagini. Spero di avervi messo un po' di voglia di visitare questi luoghi nell'unico modo in cui si può conoscerli veramente, ossia camminando . 
     
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