Per tagliare la testa al toro, poi:
sono decenni che mi chiedo cosa porti lle persone dense di contenuti (fotografici) a discutere di standard e "flussi di lavoro" (definizione che mi fa pensare da sempre all'idraulica fisiologica)
Invece che delle proprie fotografie, frutto di immaginazione e pensiero, realizzate tra mille difficoltà di adattamento, proprio a quelle pastoie cui il mezzo (in ogni periodo) ha costretto il fotografo.
Non solo l'inglese come barriera linguistica (o il russo, ovviamente) ma il più delle volte discussioni all'arma bianca su dettagli infinitesimi che poi alla resa dei conti restano appannaggio di poche fasi e certamente molto meno importanti , rispetto quella creativa e realizzativa.
Perchè una fotografia, per essere efficace, non ha bisogno dello spazio colore più adatto, come vi state affannando a definire per la miliardesima volta (non solo voi, ovviamente) ma dello spazio mentale più ampio possibile, al momento della sua ideazione/realizzazione.
Pazienza se il blu della confezione di pasta non sia stato stampato come avremmo voluto, dal laboratorio che asininamente rappresenta lui il collo dell'imbuto finale.
Ciò che importa è che il senso della luce e del colore siano stati trasmessi a chi debba acquistare il prodotto.
O il messaggio...