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happygiraffe

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Blog Entries pubblicato da happygiraffe

  1. happygiraffe
    Franz Schubert, Winterreise D.911.
    Ian Bostridge, tenore, Thomas Adés, pianoforte.
    Pentatone 2019
    ***
    Il tenore inglese Ian Bostridge è molto legato al Winterreise, il famoso e magnifico ciclo di lieder di Franz Schubert. E’ l’opera con la quale debuttò nel 1993, l’aveva incisa nel 1997 per un documentario e l’aveva già portata su disco nel 2004 con Leif Ove Andsnes, in un’ottima interpretazione.

    Bostridge con Andsnes.
     
    Bostridge è un cantante con un timbro e uno stile così particolari, che solitamente il pubblico si divide tra fervidi ammiratori e inaciditi detrattori.
    Non essendo né l’uno, né l’altro, mi sono approcciato a questo disco, senza particolari pregiudizi, con solo un lontano ricordo della sua precedente incisione con Andsnes e natualmente la conoscenza di tante altre versioni, comprese quelle relativamente recenti di Goerne (con un grande Eschenbach al pianoforte) e Kaufmann.
    Al pianoforte troviamo Thomas Adés, compositore inglese tra i più famosi e eseguiti in questi anni, che già aveva collaborato con Bostridge in lavori propri. Insieme hanno eseguito Winterreise durante una serie di concerti in Europa e negli Stati Uniti e questo disco è la registrazione dal vivo di una serata alla Wigmore Hall di Londra a Settembre del 2018.

    Bostridge con Adés in concerto.
    La voce di Bostridge è così peculiare che il primo ascolto può essere sorprendente o sconcertante. Non stupisce certo per il bel timbro e, come dicevo sopra, la reazione può essere di amore o odio. Quello che però rende questo disco a mio avviso straordinario è l’assoluta autenticità della sua interpretazione. Bostridge si è calato nel ruolo e lo abita “dal di dentro” con una naturalezza e una ricchezza di accenti che mette i brividi. Probabilmente, trattandosi di una registrazione dal vivo, anche questo ha contribuito al pathos della sua lettura, insieme a certe libertà espressive che in studio di registrazione difficilmente si prendono.
    Thomas Adés si rivela un partner di prim’ordine, non tecnicamente sopraffino come un Andsnes o un Eschebanch, ma assolutamente efficace nella resa musicale. Adés sceglie uno stile più equilibrato e rassicurante che mette in risalto proprio la tormentata espressività di Bostridge.
    Tante le differenze con la registrazione con Andses nel 2004, com’è normale che sia. Su tutte segnalo l’insolita lentezza di Die Krähe, probabilmente due volte più lento di qualsiasi altra edizione, che acquista così un carattere del tutto nuovo, tra il misterioso e lo spettrale.
    In conclusione, questo è un disco che per me è stata una vera e propria rivelazione e che, per la potenza della narrazione più che per la bellezza del canto, merita di stare al fianco delle migliori letture del Winterreise.
    Ottima la qualità della registrazione, con gli ingegneri della Pentatone che riescono a metterci di fronte agli interpreti, senza farci percepire la presenza del pubblico.
  2. happygiraffe

    Recensioni : Vocale
    Robert Schumann:
    - Sechs Gesänge, Op. 107
    - Romanzen und Balladen, Vol. II, Op. 49
    - Drei Gesänge, Op. 83
    - Zwölf Gedichte, Op. 35
    - Vier Gesänge, Op. 142
    Christian Gerhaher, baritono.
    Gerold Huber, pianoforte.
    Sony 2018
    ***
    Schumann fu senza dubbio il maggiore autore di Lieder dopo Schubert e fu con lui che il Romanticismo in letteratura e in musica trovarono il più alto punto di incontro. Non può che far piacere, quindi, apprendere che il bravissimo liederista tedesco Christian Gerhaher abbia intrapreso l'incisione dell'integrale del corpus dei lieder di Schumann, che dovrebbe arrivare a termine nel 2020.
    Intorno ai Kerner-Lieder Op.35, terzo ciclo per importanza dopo i Dichterliebe Op.48 e i Liederkreiss Op.39, che occupano la parte più cospicua del programma, Gerhaher ha posto delle raccolte decisamente meno note, ma non per questo meno interessanti: Op.107, Op.49, Op.83 e i Vier Gesänge Op.142 che contengono 2 brani che erano destinati ai Dichterliebe.
    Nel testo che accompagna il disco (e finalmente un libretto fatto come si deve!) lo stesso Gerhaher ci spiega che considera queste opere non come delle semplici raccolte di brani, ma come elementi di un più ampio disegno che va formare una vera e propria "drammaturgia lirica".
    La voce di Gerhaher è incredibilmente bella, calda, ricca di sfumature. Noto solo una lieve durezza nell'estremo del registro acuto, ma il baritono tedesco arrivato alla soglia dei 50 anni, ha classe, tecnica e mestiere da vendere. Gerold Huber, suo partner di lunga data, lo accompagna al pianoforte con grande sensibilità e attenzione, rivelando un'alchimia poco comune.

    Per il tipo di repertorio, che amo moltissimo, e per la naturalezza e la profondità dell'interpretazione, questo disco è uno dei miei preferiti tra quelli usciti nel 2018. Una vera e propria sorpresa, in un ambito, quello dei lieder, che ultimamente mi è parso un po' sterile. Da ascoltare e riascoltare!
    Per maggiori informazioni sulle opere contenute in questo disco, vi rimando all'ottimo testo di Gerhaher contenuto nel libretto (in tedesco o inglese).
  3. happygiraffe
    Robert Schumann, integrale dei lieder.
    Christian Gerhaher (baritono), Anett Fritsch, Julia Kleiter, Christina Landshammer, Sybilla Rubens, Camilla Tilling (soprani), Stefanie Iranyi, Wiebke Lehmkuhl (mezzosoprani), Martin Mitterrutzner (tenore), Gerold Huber, James Cheung (pianoforte).
    Sony Classical, 2021.
    Cofanetto da 11 CD oppure disponibile in streaming su Qobuz in 96-724.
    ***
    Arriva finalmente a compimento l'integrale dei Lieder di Schumann da parte del baritono tedesco Christian Gerhaher, affiancato dal pianista Gerold Huber e da una compagine di altri 8 cantanti. Dello Schumann di Gerhaher avevamo gia parlato su queste pagine (Qui e ancora qui) e questo bel cofanetto di ben 11 CD arriva a suggello di un percorso iniziato nel 2004.
    Se da un lato vengono ripresi alcuni dischi recenti, Frage e Myrthen del 2018 e 2019, e meno recenti, come Melancholie del 2007 e alcune registrazioni del 2004, dall'altro questa raccolta è ricca di novità e di qualche significativa rilettura, come ad esampio di Dichterliebe e dell'Op.90.
    Gerhaher è uno specialista di Schumann e la sua voce ambrata e così ricca di sfumature fa meraviglie. Le sue interpretazioni si adeguano alle diverse opere e al periodo in cui furono composte: dai toni vibranti e ardenti delle opere giovanili a quelli più riflessivi e tormentati dei lavori della maturità. Prevale comunque spesso la sensazione di uno Schumann intimo e perso in un suo mondo interiore. Qui siamo nel cuore del Romanticismo, dove musica e letteratura vanno a braccetto, producendo risultati artistici di sublime bellezza. 
    Incantevoli anche le composizioni nelle quali Gerhaher, che nel complesso fa la parte del leone, si alterna o si unisce agli altri cantanti, che certamente non sfigurano (quasi) mai. Si distinguono le bravissime Julia Kleiter e Camilla Tilling.
    Accompagna i dischi un sostanzioso libretto di più di 200 pagine, che purtroppo non riporta la traduzione dei testi tedeschi.
    Sembre molto buona la qualità della registrazione, che riesce a mantenere una certa coerenza, nonostante l'arco temporale ampio delle diverse incisioni.
     
  4. happygiraffe
    Robert Schumann, Myrthen Op.25.
    Christian Gerhaher, baritono, Camilla Tilling, soprano, Gerold Huber, pianoforte.
    Sony Classical, 2019
    ***
    Christin Gerhaher e Gerold Huber riprendono l'integrale dei lieder di Robert Schumann cominciata un anno fa. Se il primo disco della raccolta affiancava ai relativamente noti Kerner Lieder Op.35 dei brani decisamente meno conosciuti, questo secondo disco è interamente dedicato a uno dei cicli più popolari di Schumann, Mythen Op.25, composto nel 1840 quando, dopo anni di composizioni per pianoforte, il compositore tedesco si gettò improvvisamente nella scrittura di questi lieder, poi raccolti in quattro quaderni e offerti in dono a Clara alla vigilia del loro matrimonio.
    Il tono è di vibrante ardore giovanile, siamo ancora ben lontani dai tormenti delle raccolte successive, con qualche sorprendente eccezione, quale ad esempio l'incredibile e misterioso Aus den hebräischen Gesängen, che potrebbe essere stato composto diversi decenni dopo.
    I testi attingono da brani di 9 poeti diversi, che spaziano da Rückert a Goethe, da Byron a Heine, e non sembrano seguire un filo logico, come ad esempio in Dichterliebe, tuttavia Gerhaher nelle belle note che accompagnano il disco ci descrive come in realtà i quattro quaderni seguano una certa struttura formale.
    A Gerhaher si affianca in questo disco il soprano svedese Camilla Tilling. I due cantanti si dividono equamente i diversi lieder, con la voce chiara e brillante della Tilling che ben si accoppia al timbro caldo e ambrato di Gerhaher. Huber conferma di essere molto di più di un semplice accompagnatore attento e sensibile.
    Se il primo capitolo di questa integrale era, nella mia personalissima classifica, ai primi posti tra i dischi del 2018, questo secondo capitolo balza subito in vetta tra i migliori dischi del 2019. La musica è splendida, gli interpreti sono straordinari e perfettamente affiatati e la qualità della registrazione rende loro giustizia.
    Segnalo il breve saggio di Gerhaher nelle note di copertina, ahimè solo in inglese e tedesco.

  5. happygiraffe
    Igor Stravinsky: Concerto per violino e orchestra in re maggiore e composizioni da camera.
    Isabelle Faust, violino; Les Siècles, dir.François-Xavier Roth.
    Harmonia Mundi, 2023.
    ***
    Ho sempre trovato Stravinsky un compositore piuttosto controverso. Geniale nel rompere con la tradizione con l’innovativa e scandalosa (per il pubblico parigino del 1913) Sagra della Primavera, eclettico nel passare successivamente a un linguaggio volto alla reinterpretazione dei modelli classici, per poi clamorosamente approdare alla musica dodecafonica e seriale, ma a modo suo, ovvero con un occhio rivolto al tempo stesso alla musica polifonica rinascimentale. 
    Prolifico ogni oltre misura, difficile da etichettare, a volte mi chiedo cosa rimanga di Stravinsky a 110 anni da quella serata di maggio al Théatre des Champs-Elisées in cui sconvolse il pubblico parigino e mi accorgo che mi trovo ad apprezzare più il suo periodo neoclassico di quelli precedenti, per non parlare di quello successivo dodecafonico.
    In quest’ottica, del tutto personale, mi è piaciuto moltissimo questo disco della violinista tedesca Isabelle Faust con l’orchestra Les Siècles, nota per il fatto che suona strumenti dei primi del ‘900, e del suo direttore François-Xavier Roth.
    Questo disco idealmente segue questi due dischi, entrambi del 2021:


    Qui il concerto per violino occupa gran parte del programma, per la restante parte parte composto da musica da camera.
    Composto nel 1931, il concerto per violino si discosta completamente dai modelli del concerto romantico e tardoromantico, puntando invece a un’oggettività neoclassica, priva di sentimentalismi e virtuosismi. In quello che la Faust chiama un concerto brandeburghese del XX secolo, il violino dialoga principalmente con gli strumenti a fiato in una partitura quasi cameristica, orchestrata magistralmente in un gioco di colori e richiami timbrici, in cui l’orchestra Les Siècles, dal suono così diverso da quello lussureggiante e setoso delle moderne orchestre, fa meraviglie.
    Questa lettura del concerto mi ha stupito per il grande equilibrio, la chiarezza della trama e la raffinatezza timbrica, con la Faust che dialoga con gli altri strumenti senza mai volerli sovrastare.
    Seguono il concerto alcune brevi composizioni da camera: i tre pezzi per quartetto d’archi del 1914 (sensazionale il terzo!), il Concertino per quartetto d’archi (1920) in un unico movimento, l’incantevole e elegante Pastorale nella trascrizione del 1933 per violino (al posto della voce), oboe, corno inglese, clarinetto e fagotto e per finire il brevissimo doppio canone per quartetto d’archi.
    Tirando le somme, un disco eccellente e ottimamente registrato, con una versione finalmente convincente del concerto per violino e una serie di composizioni di camera che è stato un piacere scoprire.

     
     
     
  6. happygiraffe
    Tchaikovsky, Trio per pianoforte Op.50 TH 117
    Babajanian, Trio in fa diesisi minore
    Schnitke, Tango (Arr.Sudbin)
    Vadim Gluzman, violino; Johannes Moser, violoncello; Yevgeny Sudbin, pianoforte.
    BIS, 2020
    ***
    Ammettiamolo, Il Trio per pianoforte di Tchaikovsky, piatto forte di questo disco, è un’opera che speso risulta di difficile esecuzione, e spesso anche di difficile ascolto, per la sua lunghezza (48 minuti in questa edizione), per la sua particolare struttura bipartita, per il bilanciamento tra i tre strumenti e per il rischio di scivolare in una lettura eccessivamente enfatica e retorica.
    I tre interpreti di questo disco, gli ottimi Vadim Gluzman al violino, Johannes Moser al violoncello e Yevgeny Sudbin al pianoforte, riescono nel miracolo di restituirci tutta la poesia e lo slancio di questo Trio, convincendo nella maniera in cui riescono a tenere insieme i due movimenti, senza operare tagli (come fecero altri illustri predecessori) e raggiungendo un perfetto amalgama delle voci dei tre strumenti.
    Sudbin con il suo tocco leggero e articolato e una gamma timbrica incredibile, in cui si fondono alla perfezione lo Stradivari di Gluzman e il Guarnieri di Moser, riesce a dare coesione alla struttura così variegata, senza soffocare gli altri due strumenti con una partitura in effetti eccessivamente sbilanciata verso il pianoforte.
    Interessante e personale il secondo pezzo del disco, il Trio del compositore armeno Arno Babajanian del 1952. Ci sono echi di Shostakovich e Kachaturian, ma onestamente dopo il romanticismo di Tchaikovsky ho fatto fatica a passare a questa opera composta 70 anni dopo in un contesto molto diverso. Probabilmente altri accoppiamenti sarebbero stati migliori.
    Chiude il disco come una sorta di bis la trascrizione dello stesso Sudbin di un Tango di Schnitke composto nel 1974 per due violini, orchestra d’archi e clavicembalo.
    In sintesi un disco da avere per la magnifica interpretazione del Trio di Tchaikovsky, che nelle ultime settimane ho ascoltato e riascoltato innumerevoli volte.
    Ottimo il lavoro degli ingegneri del suono della BIS, che ci rendono un’immagine equilibrata e omogenea, con i tre strumenti sempre in rilievo.
  7. happygiraffe
    Tchaikovsky: Gran Sonata Op.37, Le Stagioni.
    Nikolai Lugansky
    Naïve Classique 2017
    ***
    Quando parliamo di Tchaikovsky è difficile che il pensiero vada subito alle sue composizioni per pianoforte, eppure la sua produzione pianistica fu piuttosto intensa. Si tratta per lo più di brani "leggeri" destinati a un'esecuzione da salotto.
    Fa eccezione la sua seconda sonata per pianoforte in sol maggiore, Op.37a, composta nel 1878. E' una composizione decisamente ambiziosa che gli costò diversi mesi di lavoro. Tchaikovsky rese omaggio al genere della sonata per pianoforte, ormai passato di moda da qualche decennio, (ma destinato a rifiorire proprio in Russia nei decenni a seguire), con lo sguardo rivolto al modello di Schumann.
    E' un'opera caratterizzata dal contrasto tra il tono eroico e monumentale del primo movimento e il carattere più intimo e lirico del secondo movimento. Lo scherzo e il finale riportano un clima più gioioso, se vogliamo tradizionale, a una composizione che al primo ascolto può lasciare un po' spiazzati per una certa sua disomogeneità. 
    Dimenticata poi per diverso tempo fu il grande pianista sovietico Sviatoslav Richter a riscoprirla e a riproporla al pubblico. Per chi fosse interessato, ricordo un bel disco dell'etichetta Melodiya con la sonata di Tchaikovsky e i Quadri di Mussorgsky.
    Tutt'altra musica i 12 pezzi "caratteristici" delle Stagioni. Composti su commissione di Nikolay Matveyevich Bernard, editore della rivista "Il Novellista", si tratta di 12 brevi pezzi che furono pubblicati mensilmente nel 1876. Bernard propose un sottotitolo per ogni mese dell'anno e Tchaikovsky ne ricavò 12 gradevolissime piccole composizioni. Alcune sono delle vere e proprie gemme e anche piuttosto note, come la Barcarolle (Giugno) e la Troika (Novembre),  suonato spesso da Rachmaninov come bis nei suoi concerti.
    Veniamo ora all'interpretazione di NIkola Lugansky.

    Per chi non lo conoscesse Lugansky è un pianista russo e uno dei migliori della sua (e non solo della sua) generazione. Allievo della grande Nikolaeva, si è affermato già negli anni '90 come interprete straordinario di Rachmaninov, Chopin e Prokofiev. Ha una tecnica straordinaria, un suono cristallino e uno stile interpretativo molto elegante, sobrio e poco incline al sentimentalismo.

    E così sono anche queste sue letture di Tchaikovsky, sobrie, eleganti e pulite. Lugansky è perfettamente a suo agio e convincente sia nei passaggi più drammatici e tempestosi (primo movimento della sonata) , sia in quelli più intimi e lirici (secondo movimento della sonata). Alcuni potrebbero sentire la mancanza di un po' di trasporto nella sua interpretazione, specialmente perché stiamo parlando di un autore come Tchaikovsky. E allora possiamo sempre fare riferimento all'incisione della Sonata del grande Richter (Melodiya), mentre per per Le Stagioni mi sentirei di raccomandare il disco di Pletnev (Erato 2005), che ha un approccio decisamente più fantasioso.
    In conclusione un ottimo disco che copre un repertorio poco frequentato. Mi sento di dire, però, che probabilmente non è uno dei dischi migliori del pur sempre bravissimo Lugansky.
  8. happygiraffe
    Michael Tilson Thomas:"You come here often?"; Teddy Abrams, Concerto per pianoforte.
    Yuja Wang, pianoforte; Louisville Orchestra, dir.Teddy Abrams.
    DG 2023
    ***
    Yuja Wang, oltre essere una pianista fenomenale, è anche una ragazza estroversa e esuberante. Basta ascoltare qualche intervista o guardare il suo abbigliamento ai concerti o anche solo la copertina di questo disco per capirlo.
    E si deve essere divertita molto a suonare i pezzi di questo disco, composti per lei dagli amici Teddy Abrams e Michael Tilson Thomas.

    Il concerto per pianoforte di Abrams doveva essere un pezzo da affiancare in concerto alla Rhapsody in Blue di Gershwin, che ha il difetto di durare solo 16 minuti, ma poi il nostro compositore si è fatto un po' prendere la mano e ne è uscito un pezzo di circa 40 minuti. E' una sorta di pastiche che contiene un po' di tutto, da Gershwin appunto, ai musicals, alla musica da film (e forse pure da telefilm) e molto altro, pensato per mettere in risalto le mirabolanti qualità tecniche della Wang. E' musica leggera, frizzante, spensierata e divertente. Fa battere il ritmo con il piede e mette di buon umore. Si ascolta volentieri, insomma, ma 40 minuti sono tanti e può diventare un po' stucchevole.
    Apre il disco un breve pezzo del direttore d'orchestra e compositore Michael Tilson Thomas "You come here often", lo stile è sempre molto brillante, ma più riflessivo. Perfetto per i bis pirotecnici dei concerti di Yuja!
    In sinstesi un programma molto brillante, suonato divinamente dalla Wang (e come poteva essere diversamente?), di facile ascolto, ma non so di quanto facile riascolto (forse quando abbiamo bisogno di tirarci su il morale?). 
     
     
     
  9. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Schubert, Fantasia “Wanderer” D 760 op. 15
    Berg, sonata per pianoforte op.1
    Liszt, sonata per pianoforte in Si minore S 178
    Seong-Jin Cho, pianoforte
    DG 2020
    ***
    Vincitore del Concorso Chopin nel 2015, il coreano Seong.Jin Cho è ormai un pianista affermato, con un contratto stabile con DG e ormai già qualche disco al suo attivo. Qui ci propone un programma tanto bello quanto impegnativo: la Fantasia Wanderer di Schubert, la sonata di Berg e quella di Liszt per concludere.
    Cho possiede una tecnica ineccepibile: un fraseggio elegante, una gamma timbrica sgargiante, un virtuosismo mai appariscente. 
    Il suo Schubert è di alto livello, tecnicamente immacolato, con un controllo e una resa dell’architettura del brano impeccabile. Tuttavia mi sento di dire che è convincente, ma non sconvolgente. Al giovane Cho manca ancora qualcosa. La sua Wanderer non ha l’impeto di un Richter, il furore di un Pollini, l’introspettiva complessità di un Brendel, la follia di un Sofronitsky. E’ come se ci fossero un controllo e una reticenza eccessivi, quando invece ci sarebbero voluti un po’ di rischio e di slancio in più.
    La bellissima sonata di Berg viene eseguita con una sensibilità straordinariamente acuta. È ben presente quel senso di inquietudine che in fondo la accomuna con le altre due opere di questo disco. Cho è in grado di rendere alla perfezione la filigrana dei vari piani sonori, le impennate e le decelerazioni della musica, con una palette timbrica di prim’ordine. Rispetto alla lettura di Pollini, che guarda avanti alla musica degli anni successivi, Cho ha un approccio più tradizionale.
    È la sonata di Liszt, che chiude il disco, il brano che mi ha convinto di più. Tutto il virtuosismo di Cho è al servizio della diabolica partitura del grande compositore ungherese e questa volta c’è anche quello slancio che finora ci era mancato. Certo è che non mancano le grandi interpretazioni di questa sonata ed è sempre difficile per un giovane pianista poter dire qualcosa di nuovo. Il risultato è comunque di tutto rispetto.
    Ripensando a questo disco nel suo complesso, mi sento assolutamente di consigliarlo. Mi rimane comunque l’impressione di trovarmi di fronte a un ottimo pianista dotato di grandissimi mezzi, ma che ancora deve trovare la sua strada dal punto di vista interpretativo, quella strada che gli permetterebbe di lasciare il segno. Se lo confrontiamo con i suoi quasi coetanei, non trovo né l’elettrizzante fantasia di Benjamin Grosvenor, né lo slancio e l’intellettualismo di Igor Levit o la felina naturalezza di Yuja Wang. Poco male, va bene anche così. Vorrò dire che il meglio deve ancora venire.
    Modificato 9 Maggio 2020 da Eusebius
  10. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Tchaikovsky: Nocturne Op. 10 No. 1; Le stagioni Op. 37a: X. Ottobre, XI. Novembre; Diciotto pezzi Op. 72: X. Scherzo-fantaisia, V. Meditazione.
    Prokofiev: quattro Etudes Op.2.
    Rachmaninov: Variazioni su un tema di Chopin Op.22
    Tianxu An, pianoforte.
    Alpha Classics, 2022.
    ***
    Del pianista cinese Tianxu An si era parlato nel 2019 per una brutta avventura che gli capitò durante le finali del celebre premio Tchaikovsky. Salito sul palco per suonare il primo concerto di Tchaikovsky, dopo un breve momento di confusione, il presentatore parlando in russo annunciò qualcosa al pubblico, che lui evidentemente non colse. Fu così che l’orchestra diretta da Vassily Petrenko prese a suonare un altro brano, la Rapsodia su un Tema di Paganini, che era il secondo pezzo in programma. Il pianista mostrò un grande sangue freddo e dopo aver perso il primo attacco e qualche momento di smarrimento, portò a casa in qualche modo il pezzo. Si classificò quarto e questo scherzetto gli costò una posizione migliore, ma la giuria, che gli aveva in ogni caso proposto di eseguire di nuovo il brano, cosa che lui rifiutò di fare, gli concesse un riconoscimento speciale per il coraggio e la concentrazione dimostrati!

    Nella foto, un più che perplesso Tianxu An osserva il direttore Petrenko al concorso Tchaikovsky del 2019.
    A distanza di tre anni e superato il trauma di aver vissuto il peggior incubo di ogni concorrente, il nostro Tianxu An si ripresenta al pubblico con il suo disco di debutto dedicato a tre grandi compositori russi: Tchaikovsky, Prokofiev e Rachmaninov.
    Già dalle prime note si dimenticano tutte le disavventure passate di Tianxu An.
    La selezione di 5 brani di Tchaikovsky (notturno Op.10n.1, Ottobre e Novembre dalle Stagioni, Scherzo-Fantasia e Meditazione dall’Op.72) mostra un’ottima affinità per questo compositore, con interpretazioni caratterizzate da sensibilità e immaginazione, suono pulito e articolato e un’impressionante palette timbrica.
    Con i 4 studi Op.2 del giovane Prokofiev si cambia ritmo. Tianxu An li suona con grande slancio, suono potente quando serve e tutta la verve che occorre. Un’ottima prova per questi pezzi che per la loro rarità in discografia valgono da soli il prezzo del disco.
    Si passa poi al pezzo forte, vale a dire le variazioni su un tema di Chopin di Rachmaninov. Tianxu An è assolutamente a suo agio sia nei momenti più lirici che in quelli più virtuosistici. E’ una composizione che personalmente trovo assai stucchevole, ma An sa il fatto suo e il pezzo tiene bene dalla prima all’ultima variazione.
    Nel complesso un ottimo recital di un brillante giovane artista di 22 anni, che speriamo di non veder passare come una meteora.
    Registrazione esemplare: suono realistico, vivido, croccante!
  11. happygiraffe
    Variations on folk songs, musiche di Beethoven, Kuhlau, Doppler, Walckiers.
    Anna Besson, flauto; Olga Pashchenko, pianoforte.
    Alpha, 2020.
    ***
    Lo sapevate che le due opere che precedono e seguono nel catalogo beethoveniano la monumentale e metafisica sonata per pianoforte op.106 sono due ben più leggere raccolte di arie e variazioni su temi popolari per flauto e pianoforte?
    La flautista Anna Besson, accompagnata al pianoforte da Olga Pashchenko, ci accompagna in un giro per l’Europa della prima metà dell’ottocento, con un programma di musiche che prendono origine da canti popolari.
    Si comincia con la bellissima Fantasia pastorale ungherese di Franz Doppler, virtuoso del flauto oltre che compositore, per poi proseguire con una selezione delle due raccolte di “temi variati per flauto e pianoforte” Op 105 e op.107 di Beethoven, opere facili e orecchiabili, ma non prive di fascino. Tra le due raccolte ascoltiamo il movimento lento della Grande Sonata Op.83 n.1 di Frederich Kuhlau, “Variazioni su un’aria antica svedese”. Il programma si conclude con il rondò “auvergnat” di Eugène Walckiers e le splendide Arie Valacche Op.10 ancora di Doppler.
    Le due artiste suonano su magnifici strumenti d’epoca dai quali sfoderano una gamma di timbri di grande fascino, riuscendo a restituire splendidamente il carattere di ogni brano. 
    Con questo disco Anna Besson e Olga Pashenko ci fanno conoscere un repertorio poco conosciuto e se vogliamo leggero, ma non per questo poco godibile.
    Un piccolo gioiello!
  12. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Sándor Veress, Trio per archi.
    Bela Bartók, Quintetto per pianoforte.
    Vilde Frang (violino), Barnabás Kelemen (violino), Lawrence Power (viola), Nicolas Altstaedt (violoncello), Alexander Lonquich (pianoforte).
    Alpha, 2019
    ***
    E' sempre bello quando il caso ci fa fare scoperte interessanti! Ho ascoltato questo disco più che altro spinto dalla curiosità per il quintetto di Bartók e sono invece rimasto folgorato dal Trio per archi di Sándor Veress, compositore ungherese poco conosciuto, che probabilmente meriterebbe maggiore attenzione.
    Veress fu allievo di Bartók e Kodaly all'Accademia di Budapest e sostituì quest'ultimo alla cattedra di composizione fino al 1949 anno in cui preferì trasferirsi a Berna, per sottrarsi alle imposizioni del regime comunista, dove insegnò composizione e visse fino alla morte, avvenuta nel 1992. Tra i suoi allievi vi furono György Ligeti e György Kurtág, ma anche il celebre oboista e poi direttore d'orchestra Heinz Holliger, che si è fatto promotore delle composizioni di Veress.
    Davvero bello e intenso il Trio per archi, in cui Vilde Frang, Lawrence Power e Nicolas Altstaedt si tuffano con straordinaria partecipazione e bravura. E' una composizione del 1954 in due movimenti, ricca di contrasti e momenti sorprendenti.
    Mi ha appassionato di meno il quintetto per pianoforte di Bartók. Si tratta di una composizione giovanile (1903-1904, Bartok aveva 22-23 anni) che viene eseguita di rado,  ma non per questo non interessante. E' un lavoro denso, appassionato, di chiara ispirazione romantica e con forti echi brahmsiani. Si ascolta molto volentieri. La mia perplessità è legata solo al fatto che non ha proprio niente a che vedere con il Bartok che conosciamo. Se fosse stato il lavoro di un altro compositore, probabilmente lo avrei apprezzato di più, sapendo invece che l'autore è Bela Bartók, mi viene invece da considerarlo per quello che è: un lavoro giovanile, bello, per carità!, ma anacronistico e avulso dal corpus delle composizioni per le quali l'ungherese è entrato nella storia della Musica.
    Ad ogni modo questo disco, realizzato in collaborazione con il Festival internazionale di musica da camera di Lockenhaus, ha il grosso merito di proporci due autentiche rarità, eseguite alla perfezione da un gruppo di ottimi artisti. E mi ha lasciato con la voglia, che appagherò al più presto, di andare ad ascoltare altre composizioni di Veress!
     
  13. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Eugène Ysaÿe (1858-1931): Poème élégiaque Op 12
    César Franck (1822-1890): Sonata per violino in La maggiore
    Louis Vierne (1870-1937): Sonata per violino in Sol minore Op 23
    Lili Boulanger (1893-1918): Nocturne
    Alina Ibragimova, pianoforte, Cédric Tiberghien, pianoforte.
    Hyperion Records, 2019
    ***
    Ruota tutto intorno alla figura imponente del violinista belga Eugène Ysaÿe il programma di questo disco e se a prima vista il pezzo forte sembrerebbe la celebre sonata di Franck, in realtà già dal primo ascolto si capisce che i piatti di contorno sono più sostanziosi di quello che saremmo pronti a pensare.
    Il disco si apre proprio con una composizione dello stesso Ysaÿe, il Poème élégiaque Op.12 del 1893. E' un brano di atmosfera di quindici minuti scarsi, dal fascino misterioso e intimista, ispirato alla scena della tomba di Romeo e Giulietta. Il libretto ci informa che nella "scène funébre" centrale la corda di sol del violino viene accordata sul fa, ottenendo così un colore più cupo, simile alla viola.

    Eugène Ysaÿe
    Segue la famosa sonata di César Franck, forse una delle sonate per violino e pianoforte più eseguite e conosciute in assoluto. Composta nel 1886 fu il regalo di nozze di Franck a Ysaÿe e quest'ultimo ne fu il primo esecutore e la portò al successo in Francia e nel mondo. Si tratta di uno dei vertici della musica da camera francese, composta in forma ciclica, motivi uguali si ritrovano infatti in tutti i movimenti, e caratterizzata da uno straordinario equilibrio strutturale e da un'inventiva melodica trascinante, specialmente nell'ultimo famosissimo movimento, composto secondo un procedimento a canone, con la melodia che si intreccia e si insegue da uno strumento all'altro in modo irresistibile. 
    L'intesa e l'affiatamento tra i due interpreti sono assoluti, si sente eccome che Ibragimova e Tiberghien suonano insieme da anni. Il suono della russa è morbido e dolce, dal canto suo il pianista francese riesce a estrarre dei timbri incredibili dal suo Steinway. Nel complesso è un'interpretazione che mi ha colpito per la sua sensibilità e profondità, ma soprattutto per la naturalezza con cui il discorso musicale si dipana nel corso dei quattro movimenti, mantenendo al contempo delicatezza, grande chiarezza e trasporto.
    E arriviamo così alla sonata per violino Op.23 di Vierne e qui la domanda che mi sono posto immediatamente è stata:"ma chi diamine è Vierne?" 
    E' un nome che probabilmente è noto agli amanti della musica per organo: Vierne è stato dal 1900 al 1937 organista della cattedrale di Notre-Dame, il cui organo, che all'epoca versava in pessime condizioni, fu restaurato grazie ai fondi che lo stesso Vierne riuscì a raccogliere nel corso di una tournée in Europa e America. Vierne da giovane aveva vinto anche un premio di violino al Conservatorio di Parigi e nel corso della sua vita fu anche compositore, nonostante la sua quasi cecità gli imponeva di scrivere la musica in Braille, e un noto improvvisatore all'organo.
    Fu così che Ysaÿe commissionò a Vierne, allievo e ammiratore di Franck, una sonata per violino, che fu poi pubblicata nel 1908. Il violinista la eseguì per la prima volta con successo in quello stesso anno e continuò a portarla in concerto anche l'anno seguente.
    Se si può a tratti sentire l'influsso di César Franck, in realtà il linguaggio di Vierne appartiene al tempo in cui è stata composta: siamo ormai ai primi del '900 e Vierne è nato 48 anni dopo Franck. Basta l'attacco divertito e ironico del primo movimento per accorgersene.

    Louis Vierne
    Il disco si chiude con un breve Nocturne di Lili Boulanger (sorella della più celebre Nadia, morta a 24 anni nel 1918) del 1911, che chiude il disco con grande delicatezza, così come si era aperto.
    Tirando le somme, questo è un disco che mi è piaciuto molto: prima di tutto per la capacità di impostare un programma di grande fascino, in grado di affiancare a un brano arcinoto come la sonata di Franck, altri molto meno conosciuti, ma in grado di reggere il confronto; in secondo luogo per la straordinaria bravura e l'affiatamento dei due interpreti. Da ultimo va menzionata la qualità irreprensibile della registrazione, che rende giustizia alla bravura di Ibragimova e Tiberghien.
  14. happygiraffe
    E’ uscita da poco un sontuoso cofanetto di 48 cd dedicato al pianista tedesco Walter Gieseking (1895-1956). Non è disponibile digitalmente, ma Warner ha comunque pubblicato diversi album in formato liquido rimasterizzati in alta risoluzione.
    Gieseking fu un pianista straordinario e un personaggio curioso e geniale. Nacque in Francia, a Lione, dove il padre entomologo soggiornò diversi anni alla ricerca di nuovi lepidotteri da catalogare, e fino a 16 anni studiò il pianoforte praticamente da autodidatta. Fu solo al rientro in Germania che si iscrisse al conservatorio di Hanover, ma nel frattempo aveva studiato un repertorio già sorprendentemente ampio. Si dice che Gieseking passasse molto più tempo a studiare le partiture lontano dal pianoforte, che non a esercitarsi sul suo strumento. Dotato di una memoria formidabile, memorizzava i pezzi semplicemente leggendoli e analizzandoli. 
    La sua carriera di pianista prese il volo nel periodo tra le due guerre, quando si esibì in tutta Europa e spesso anche negli USA.
    Più difficile fu invece la ripresa dell’attività concertistica nel secondo dopoguerra, specialmente negli USA, dove veniva accusato di collaborazione culturale con il regime nazista. Nel 1947 venne prosciolto da queste accuse, ma è solo del 1953 il suo ritorno trionfale alla Carnegie Hall di New York.
    Gieseking ebbe un’importanza notevole nella storia del disco: fu il primo a incidere le opere integrali di Claude Debussy e Maurice Ravel, incisioni per le quali viene ricordato ancora oggi. Sorprendono ancora oggi la raffinatezza timbrica del suo modo di suonare, così come la sensibilità e la fantasia con cui era in grado di dar vita alle pagine di quei compositori. Fu probabilmente il primo a creare un mondo sonoro, che ancora oggi associamo a quella musica.


    Riascoltare oggi il suo Debussy e il suo Ravel, così come Mozart, le cui sonate incise integralmente, ci permette di (ri-)scoprire un pianista di una finezza straordinaria.
    Sono davvero incredibili le sonorità che riesce a creare in alcune pagine di Ravel e Debussy. Mi vengono in mente, ad esempio, Ondine da Gaspard de la nuit di Ravel e Des pas sur la neige dai Préludes di Debussy.

    Una curiosità finale sul personaggio: come suo padre, anche Gieseking coltivava la passione delle farfalle, al punto che due sottospecie di farfalla hanno preso il suo nome: Giesekingiana e Walteri
     
  15. happygiraffe
    Mieczysław Weinberg (1919-1996): Tre pezzi per violino e pianoforte, Trio per pianoforte Op. 24, Sonata per violino e pianoforte n.5 Op.136bis.
    Gidon Kremer (violino), Yulianna Avdeeva (pianoforte), Giedre Dirvanauskaite (violoncello).
    DG 2019
    ***
    Il violinista lettone Gidon Kremer sembra ormai completamente ossessionato dal compositore polacco Mieczysław Weinberg, tanto da poter essere ormai a buon diritto considerato un vero e proprio paladino della sua opera. 
    Il disco di cui parliamo segue infatti questo del 2019:

    e questo, sempre del 2019 e osannato dalla critica:

    e poi questo del 2017:

    e prima ancora questo disco del 2014:

    Una vera e propria ossessione, dicevamo, per un compositore che morì nel 1996 e che solo da pochi anni è uscito dall'oblio. Weinberg ebbe davvero una vita molto travagliata: nato in Polonia nel 1919, per sfuggire dai nazisti scappò prima a Minsk, poi in Uzbekistan e infine si rifugiò a Mosca, grazie all'aiuto dell'amico Shostakovich. Ma i suoi guai non erano finiti: nel 1949 le sue opere finirono nella lista nere dell'URSS delle creazioni artistiche tacciate di "formalismo" e nel 1953 venne addirittura arrestato. Fu solo con la morte di Stalin e l'intercessione di Shostakovich che Weinberg venne finalmente riabilitato, rimanendo tuttavia per il resto della sua vita (morì nel 1996) ai margini della vita culturale sovietica e componendo principalmente per il cinema, il teatro e la televisione.
    Fu un compositore molto prolifico, autore di ben 22 sinfonie, 17 quartetti, sinfonie da camera, 6 sonate per pianoforte, 8 per violino e 6 per violoncello.
    In questi ultimi anni stiamo assistendo a una vera e propria riscoperta di un compositore davvero meritevole di maggiore attenzione. Pur con alti e bassi il suo reperorio contiene vere e proprie gemme, come il quintetto per pianoforte o il trio Op.24 (1945) contenuto in questo disco. Si sente l'influsso di Shostakovich, ma il linguaggio di Weinberg è personale e sa catturare l'ascoltatore con la sua potenza espressiva. Molto bella e intensa anche la sesta sonata per violino e pianoforte, composta quasi quattro decadi più tardi, nel 1982. Più giovanili e acerbi i Tre pezzi per violino e pianoforte, composti a 15 anni, e che si ispirano chiaramente a Szymanowski.
    Straordinari i tre interpreti, Yulianna Avdeeva al pianoforte, Giedré Dirvanauskaité al violoncello (già collaboratrice di Kremer nella Kremerata Baltica), guidate dal veterano Gidon Kremer.
    Straordinaria anche il lavoro svolto dagli ingegneri della Deutsche Grammophon, che sono riusciti a metterci davanti i tre strumenti con un realismo impressionante. Dinamica ampia, gamma timbrica raffinata, ottima immagine e amalgama tra gli strumenti.
    Un disco che raccomando caldamente e che ripaga ampiamente gli sforzi dei tre interpreti di portare la nostra attenzione su un compositore del '900 che avrebbe meritato maggiore fortuna.

    Gidon Kremer e Giedré Dirvanauskaité 

    Yulianna Avdeeva
  16. happygiraffe

    Recensioni : orchestrale
    Weinberg: sinfonie 3 e 7; concerto per flauto n. 1.
    City of Birmingham Symphony Orchestra, Deutsche Kammerphilarmonie Bremen, Dir.Mirga Gražinytė-Tyla.
    Kirill Gerstein, clavicembalo; Marie-Christine Zupancic, flauto.
    DG 2022.
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    Da qualche anno è in corso una vera e propria riscoperta dello sfortunato compositore polacco Mieczysław Weinberg (1919-1996). Due artisti si sono fatti paladini di questa riscoperta: il violinista Gidon Kremer, di cui avevamo parlato QUI, e la direttrice lituana Mirga Gražinytė-Tyla, qui al suo secondo disco per DG dedicato interamente a Weinberg.

    Weinberg ebbe una vita sfortunata, fuggì dai nazisti dalla Polonia all’URSS dove venne accolto a braccia aperte dai sovietici che lo accusarono di formalismo (peccato mortale per i compositori dell’epoca) e lo arrestarono pure. Solo alla morte di Stalin poté riprendersi, ma componendo più che altro per cinema, teatro, tv e addirittura spettacoli circensi.
    Nonostante questo, compose tantissimo, addirittura 22 sinfonie e 17 quartetti. Tutta musica che si sta riscoprendo di recente. Non tutta meritevole di attenzione, ma ci sono in ogni caso opere davvero interessanti, caratterizzate da un linguaggio sempre personale.
    Il disco si apre con la sinfonia n.7 per orchestra d’archi e clavicembalo del 1964, cupa, ma non tragica, caratterizzata da interventi del clavicembalo, qui affidato addirittura a Kirill Gerstein, piuttosto stranianti, che alla fine lasciano all’ascoltare più dubbi che risposte.
    Decisamente più brillante, ironico e godibile il concerto per flauto Op.75 del 1961. Bravissima la flautista Marie-Christine Zupancic, ben sostenuta dalla City of Birmingham Symphony Orchestra.
    Chiude il disco l’ambiziosa terza sinfonia, frutto di una genesi molto complicata. Iniziata nel 1949, composta cercando di reinterpretare e in qualche modo aggirare i dettami delle autorità, criticata dall’”Unione dei Compositori Sovietici”, rimaneggiata e tenuta in un cassetto in attesa di tempi migliori, vale a dire la dipartita di Stalin e l’arrivo di Krusciov, è un’opera densa e molto intensa, ma al tempo stesso caratterizzata da una ricca inventiva melodica. Certamente riflette il clima del momento, ma personalmente la trovo di grande fascino.
    Nel complesso un ottimo disco, ben registrato, con un’ampia gamma dinamica, che aggiunge dei nuovi tasselli alla riscoperta di un compositore rimasto molto a lungo nell’ombra.
     
  17. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Yuja Wang, the Berlin recital.
    Musiche per pianoforte di Rachmaninov, Scriabin, Ligeti, Prokofiev.
    Deutsche Grammophon 2018
    ***
    Esce per DG la registrazione di un concerto della pianista Yuja Wang tenutosi alla Philarmonie di Berlino a giugno del 2018.
    Già da alcuni anni inserita nella centrifuga dello star system musicale, la trentaduenne pianista cinese riesce a mantenere un livello qualitativo sempre altissimo, migliorando anno dopo anno. Sarà merito anche della scelta di tenere pochissimi concerti da solista, nonostante il suo fittissimo calendario, privilegiando il repertorio con orchestra e la musica da camera, scelta che probabilmente la preserva da una logorante e per molti versi alienante routine, permettendole un proficuo e continuo scambio con altri musicisti.
    Tornando al concerto berlinese, Wang propone un bel programma tutto novecentesco e per tre quarti russo. Esegue brani di Rachmaninov, Scriabin, Ligeti e Prokofiev, tutti autori che ha in repertorio da diversi anni e per i quali, penso a Prokofiev e Rachmaninov, ha una spiccata familiarità. 
    Si comincia con alcuni pezzi di Rachmaninov: dal celebre preludio op.23 n.5, non proprio un pezzo semplice per iniziare un concerto, passando ai due études-tableaux op.39 n.1 e op.33 n.3 e chiudendo con il magnifico preludio op.32 n.10.
    Se il preludio op.23 n.5 è reso con straordinaria bellezza e passione, mi hanno convinto leggermente di meno gli étude-tableaux (si può fare il confronto con il magnifico disco di Stephen Osborne del 2018 per Hyperion) e il preludio op.32 n.10, a mio avviso reso con maggiore tensione emotiva da Nikolai Lugansky (Harmonia Mundi 2018).
    Si passa così alla Sonata n.10 Op.70 di Scriabin. Questa breve sonata in un solo movimento (12 minuti scarsi) rappresenta uno dei momenti più alti del pianismo di Scriabin, che la definì “sonata d’insetti” per il suo tentativo di cogliere il battito vitale e solare dell’elemento naturale che ci circonda. E’ un pezzo molto interessante (e incredibilmente impegnativo) anche per il suo ricorso al trillo come elemento non tanto ornamentale, bensì strutturale della composizione. L’interpretazione di Yuja Wang è bella e intensa, regalandoci qui il momento più alto di tutto il concerto. Siamo lontani dall’elettrizzante eccitazione della celebre interpretazione di Horowitz. Wang ci conduce con grande semplicità dai misteriosi sussurri delle battute iniziali al successivo svolgimento palpitante e frenetico, in  un climax reso con molta coerenza e incredibile limpidità.
    Seguono tre brevi études del compositore ungherese György Ligeti (n.3 “Touches bloquées), n.9 “Vertige”, n.12 “Désordre”). L’abilità tecnica di Wang non ha problemi a domare questi pezzi famosi per la difficoltà, ma qui non è solo questione di bravura: la pianista cinese ci mette molto altro e il confronto con l’edizione considerata di riferimento, quella del chirurgico Pierre Laurent Aimard, parla chiaro.
    Il programma si conclude con la Sonata per pianoforte n.8 op.84 di Sergej Prokofiev. Ultima delle tre sonate “di guerra” del compositore russo, quest’opera si differenzia dalle altre due per l’impronta decisamente meno drammatica. E’ una sonata lunga e complessa da rendere in modo coeso da un estremo all’altro. Qui alla Wang, che si distingue per brillantezza e effervescenza e per la delicatezza con cui affronta l’Andante sognando del secondo movimento, manca probabilmente la tensione e l’energia di un Gilels (che fu il primo a eseguire in pubblico questa sonata) o di un Richter (celebre la sua registrazione per DG). Ma i nostri sono altri tempi, Gilels e Richter avevano storie e culture molto lontane da quella della giovane pianista cinese.
    Il disco si conclude qui, ma DG ci concede la possibilità di acquistare separatamente un supplemento, che penso sia disponibile solo in formato “liquido”, con i sfavillanti bis che hanno chiuso il concerto e che immagino abbiano lasciato il pubblico in estasi:

    Tirando le somme, complessivamente un ottimo concerto, elettrizzante dalla prima all'ultima battuta, che a mio avviso ha raggiunto l'apice con la Sonata n.10 di Scriabin. 
    Molto buona la qualità dell'incisione, che ci fa dimenticare la presenza del pubblico (applausi solo alla fine e rumori del pubblico poco percepibili), con un pianoforte reso in modo convincente, con buona dinamica e immagine. Solo nei primi minuti si avverte un po' di saturazione nei fortissimo, problema poi risolto dagli ingegneri del suono nel resto del concerto.
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