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happygiraffe

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Blog Entries pubblicato da happygiraffe

  1. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Le Six et Satie. Musiche di Auric, Durey, Honegger, Milhaud, Poulenc, Tailleferre e Satie.
    Pascal e Ami Rogé, pianoforte.
    Onyx Classics 2020.
    ***
    Nel tripudio discografico di celebrazioni del 250 anniversario di Beethoven, un po’ di musica francese giunge come una boccata di aria fresca. E quale musica più anti-germanica potrebbe esserci se non quella del cosiddetto Gruppo dei Sei, musica nata alla fine della grande guerra, sulla spinta dell’antagonismo bellico e di sentimenti nazionalistici, in antitesi alla pesantezza teutonica di Wagner.
    I compositori in questione sono Darius Milhaud, Arthur Honegger, Francis Poulenc, Germaine Tailleferre, Georges Auric e Louis Durey che, sotto l’influsso di Satie e Cocteau, ebbero un momento di coesione intorno al 1920, quando un critico musicale creò per loro la definizione di “Gruppo dei Sei”, sulla scia del russo “Gruppo dei Cinque”. In realtà questa vicinanza fu effimera e ognuno di loro seguì poi la propria strada, com’è normale.
    Se il rifiuto della tradizione tedesca è evidente, il tentativo di scrollarsi di dosso l’impressionismo di Debussy fu solo apparente: evidenti sono i numerosi riferimenti allo stile del grande compositore francese, pur sotto un abito ormai molto diverso.
    E’ musica per lo più disimpegnata, spesso scherzosa e brillante, divertente da ascoltare, nazionalista sì, ma al tempo stesso aperta a tutte le influenze musicali che attraversarono Parigi in quegli anni.
    Ascoltandola oggi stupisce per la sua modernità e viene quasi da dire che questa musica è invecchiata molto meglio di quella di tanti compositori venuti dopo.
    Pascal Rogé, qui accompagnato dalla moglie Ami, è un pianista straordinario, sicuramente uno dei migliori nel rendere al meglio il repertorio francese (ricordo una bellissima integrale di Poulenc e tanti altri bei dischi). Negli ultimi anni ha inciso spesso in coppia con la moglie con ottimi risultati.
    Un disco che mi ha regalato degli autentici momenti di buonumore (cosa rara di questi tempi) e che mi sento di consigliare anche a chi ha poca familiarità con questo repertorio.
  2. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Erik Satie, John Cage, pezzi vari per pianoforte.
    Bertrand Chamayou, pianoforte.
    Erato, 2023.
    ***
    L'accostamento tra Erik Satie e John Cage è molto insolito e prima vista potrebbe apparire privo di senso. Da un lato il compositore francese, ribelle, eccentrico, fuori dagli schemi, una figura chiave della scena musicale parigina dei primi 20 anni del '900. Dall'altro John Cage, compositore americano tra i più importanti delle avanguardie del secondo dopoguerra. Se tutti abbiamo ascoltato almeno una volta la prima delle 3 Gymnopédies di Satie, John Cage è solitamente ricordato per 4'33", opera che prevede che l'esecutore non suoni nulla per 4 minuti e 33 secondi. 
    Eppure Chamayou nelle belle note di copertina ci racconta di essere approdato a Satie proprio studiando Cage e scoprendo l'ammirazione del compositore americano per il francese. Del resto Satie fu il primo ad avere l'idea di mettere degli oggetti sulle corde del pianoforte, inventando di fatto il "pianoforte preparato", che fu poi largamente usato da Cage. 
    Chamayou ci presenta in questo disco una perfetta sequenza di brevi brani di entrambi i compositori, che chiarisono come sia stato profondo il segno lasciato da Satie su Cage. Il tono è spesso intimo e malinconico. 
    La mia perplessità iniziale è stata spazzata via al primo ascolto. Questo disco è un luminoso omaggio a due dei compositori più strambi e innovativi del loro periodo da parte di un pianista che si dimostra ancora una volta uno dei migliori talenti della sua generazione.


     
  3. happygiraffe
    Mahler: das Lied von der Erde
    Robert Dean Smith, tenore. Gerhild Romberger, contralto.
    Budapest Festival Orchestra, Direttore Ivan Fischer.
    Channel Classics 2020
    ***

    Mahler: das Lied von der Erde
    Robert Dean Smith, tenore. Sarah Connolly, contralto.
    Rundfunk-Sinphonieorchester Berlin, Direttore Vladimir Jurowski.
    Pentatone 2020
    ***

    Mahler: das Lied von der Erde
    Yves Saelens, tenore, Lucile Richardot, contralto.
    Het Collectief, Direttore Reinbert De Leeuw.
    Alpha 2020
    ***
    Il Canto della Terra, composto negli ultimi anni di vita di Mahler, rappresenta probabilmente uno dei punti più alti della su arte. E’ un’opera particolare, che Mahler definisce sinfonia, ma che curiosamente non rientra nel computo delle sue sinfonie (scaramanzia?). E’ composto da sei lieder orchestrali per tenore e contralto, su testi tratti da un’antologia di poesie cinesi curata da Hans Bethge, di cui l’ultimo, il meraviglioso Der Abschied, dura quanto gli altri cinque messi insieme.
    Fu composto nel periodo buio che seguì la scomparsa della figlia primogenita di Gustav e Alma a soli cinque anni nel 1907, anni in cui il loro matrimonio entrò in crisi e in cui a Mahler fu diagnosticata una patologia cardiaca che lo portò alla morte nel 1911. 
    i coniugi Mahler cercarono rifugio dal loro dolore in Val Pusteria, nei pressi di Dobbiaco, dove Gustav si fece costruire una piccola capanna per poter comporre. E fu quindi nei boschi ai piedi delle Dolomiti che portò a compimento nel 1908 il Canto della Terra, che però fu rappresentato postumo solo nel 1911.
    Opera figlia di un dramma personale, ma anche così rappresentativa di un periodo storico che stava per svanire, ha avuto interpretazioni storiche di grande valore (Walter, Klemperer, Jochum, Berntein, Kubelik) con voci straordinarie (Ludwig, Ferrier, Wunderlich, Haefliger, tra gli altri). 
    Stupisce vedere nel 2020 uscire in contemporanea tre nuove incisioni del Canto del Terra di ottimo livello. Si tratta di tre produzioni che hanno però degli elementi distintivi.
    Vediamole ordine cronologico di registrazione.

    Ivan Fischer
    La prima è quella pubblicata da Channel Classics che vede la Budapest Festival Orchestra diretta da Ivan Fischer. Robert Dean Smith è il tenore, Gerhild Romberger il contralto. Si tratta di una registrazione effettuata a marzo del 2017.

    Vladimir Jurowski
    La seconda esce per Pentatone e si tratta di una registrazione live di un concerto che si è tenuto nel mese di ottobre del 2018 alla Philarmonie di Berlino. La Rundfunk-Sinphonieorchester di Berlino è diretta da Vladimir Jurowski. Ritroviamo anche qui Robert Dean Smith, a distanza di un anno e mezzo dalla prova con Fischer, e Sarah Connoly come contralto.

    Reinbert De Leeuw
    La terza e più recente esce per Alpha ed è quella più particolare. Si tratta di un arrangiamento per quindici strumentisti più le due voci eseguito dallo stesso Reinbert De Leeuw, che qui è anche alla direzione. Le voci sono quelle di Yves Saelens e Lucile Richardot. La registrazione è del gennaio del 2020. Fu il canto del cigno di De Leeuw, che morì il mese successivo.
    Come dicevo si tratta di tre interpretazioni di grande spessore. 
    Nel primo dei tre, Fischer può contare su un’orchestra, la sua orchestra, in forma smagliante e su un’ottima coppia di cantanti. Smith domina la partitura con naturalezza. La Romberger pure, ma mi è parsa meno emotivamente coinvolta e coinvolgente rispetto alle grandi interpreti del passato. Diciamo che interpreta il ruolo con un maggiore understatement. L'affiatamento tra direttore e orchestra è tale, che la Budapest Festival Orchestre sembra essere un'emanazione del pensiero di Fischer.

    Robert Dean Smith, protagonista delle versioni di Fischer e Jurowski.
    La versione di Jurowski ha i pregi (tanti) e i difetti (pochi) di un live: al di là della magnifica prova orchestrale, sono le voci che fanno la differenza. Smith, a distanza di un anno e mezzo dalla registrazione con Fischer, sembra aver maturato ancora di più la propria parte o forse l’esibizione dal vivo gli dà quell’adrenalina in più che gli fa fare un’ulteriore salto di qualità. La Connoly da un lato ci emoziona più della Romberger con Fischer, dall’altro ci lascia un po’ perplessi per un vibrato che a tratti (ahimè nei momenti più belli) sembra essere fuori controllo.

    Sarah Connoly
    Dovendo scegliere tra Fischer e Jurowski (scelta davvero difficile!), probabilmente sceglierei il primo, perché offre il risultato più omogeneo (la Connoly in certi momenti non mi è proprio andata giù, non me ne voglia).

    Gerhild Romberger
    Il terzo Canto della Terra, quello di De Leeuw, è davvero particolarissimo. De Leeuw sceglie di arrangiare la partitura riducendo l’immenso organico orchestrale di Mahler ad appena una quindicina di strumentisti (qualcuno suona due strumenti). L’effetto è davvero particolare e devo dire che non sembra assolutamente di ascoltare una versione semplificata o addirittura impoverita del capolavoro mahleriano, quanto piuttosto un Canto della Terra portato ai suoi elementi essenziali, in cui ogni musicista dà il meglio di sé. I cantanti, Yves Saelens e Lucille Richardot, offrono un’ottima prova, ma a differenza dei loro colleghi hanno forse la vita più semplice, non dovendo rivaleggiare con un’orchestra di grandi dimensioni, ma con un ensemble da camera.

    Lucille Richardot
    In questi mesi bui, queste pagine pregne di un senso commiato e di febbrile malinconia, mi hanno offerto quella consolazione che solo la musica può dare. Fischer, Jurowski e De Leeuw e i loro splendidi musicisti e cantanti le interpretano in modo diverso, ma con uguale sottigliezza e profonda immedesimazione.
    Pur andando la mia preferenza a Fischer, raccomando caldamente l’ascolto di tutte e tre le versioni!
  4. happygiraffe
    Fotografo controverso, osannato da alcuni, disprezzato da altri, Martin Parr ha certamente lasciato il segno nel linguaggio fotografico degli ultimi 30 anni.
    Parr è noto per aver documentato la società inglese nei suoi aspetti più bizzarri e apparentemente banali, così come alcuni aspetti della società contemporanea come consumismo, turismo e cibo, con un'umorismo e uno stile facilmente riconoscibili.
    La prima raccolta di immagini a colori fu esposta a Londra nel 1986 con il titolo di "The Last Resort". Era stata realizzata a New Brighton e scatenò interminabili dibattiti e polemiche.

     

     

     

     

     

    Le immagini di Parr hanno il potere di far sorridere, ma anche di infastidire, di far riflettere e di far riflettere su noi stessi e sui nostri comportamenti.
    La prima volta che vidi questo foto rimasi molto turbato.
    Successivamente Parr si è occupato del turismo di massa e dei suoi riti tribali e nel 1995 pubblica Small World.

     

     

     

     

     

     

     

    Dice Parr della sua fotografia:"La cosa fondamentale che esploro costantemente è la differenza tra la mitologia di un posta e la sua realtà. ...Ricorda che io faccio fotografie serie mascherate da divertimento. Fa parte del mio mantra. Rendo le immagini accettabili in modo da trovare un pubblico, ma in profondità succedono molte cose che non sono immediatamente visibili in superficie. Se vuoi vederle allora puoi vederle".
    Parr fotografa a distanza ravvicinata, usa colori molto saturi e impiega spesso un flash ad anello.
    Fotografo bulimico, le sue immagini sono innumerevoli, ma sempre intorno ad alcuni temi per lui fondamentali.

     



     

     

     

     

     
    Le sue immagini sono inconfondibili: il suo spiccato sense of humour, a volte diventa sarcasmo e ad alcuni può apparire perfino snob, ma Parr ne ha per tutti a prescindere dagli strati sociali di appartenenza.
     

     

     

     

     

     
    L'inclusione come membro permanente della prestigiosa agenzia fotografica Magnum Photos nel 1994 avvenne a seguito di un accesso dibattito tra gli altri membri. 
    Parr dichiarò che "i fotografi Magnum si sentono come in dovere di partire per una crociata...in posti con carestia o guerre...mentre io esco e giro l'angolo dove c'è il supermercato, perché questa per me è la prima linea".
    Sorprendentemente nel 2014 fu eletto presidente di Magnum Photos.
     
    In un recente lavoro del 2016 documenta una zona dl West Yorkshire conosciuta come il triangolo del rabarbaro:



     
    Per chi fosse interessato ad approfondire:
    Martin Parr - Sito Web
    Martin Parr - Blog
     
    Nota: tutte le foto qui mostrate sono opera di Martin Parr e hanno l'unico scopo di illustrare la sua opera.
     

     
     
     

     
  5. happygiraffe
    Mendelssohn: Vatiations sérieuses Op.54, Romanze senza parole, Phantasie Op.15.
    Rachmaninov: Scherzo da "Sogno da una notte di mezza estate" Op.61.
    Peter Donohoe, pianoforte.
    Chandos, 2023.

    ***
    Con questo secondo volume delle Romanze senza parole di Mendelssohn Peter Donohoe conclude il percorso iniziato a gennaio del 2022 con la prima raccolta:
     

    Le Romanze senza parole furono composte in un arco di tempo piuttosto lungo, tra il 1829 e il 1945. e pubblicate in otto raccolte di sei brani ciascuna. Si tratta di brevi brani di due, tre minuti al massimo, caratterizzati da uno stile intimo e cordiale e da una tecnica non virtuosistica. Donohoe non li esegue in ordine cronologico, ma li mischia in modo da offrire un'esperienza di ascolto più varia e interessante. Donohoe affronta questi brani con un tocco leggero e brillante e con consumato mestiere. Detto questo, per quanto graziose possano essere le Romanze senza parole e per quanto queste miniature possano essere giustamente ricordate come dei piccoli capolavori, alla lunga possano stancare (mia personalissima opinione e ricorrente esperienza con questi brani  ), non avendo il Mendelssohn quelle caratteristiche che rendono alle mie orecchie più interessanti i suoi compositori coevi: la visionaria e appassionata follia di Schumann, la febbrile disperazione di Chopin, la tragica malinconia di Schubert, il diabolico e irrequieto virtuosismo di Liszt.
    E così il nostro Donohoe, come aveva già fatto nel primo volume di questa raccolta, ben fa ad accostare altri brani alle Romanze. Il disco si apre infatti con le frizzanti Variations sérieuses e si chiude con la meno nota Phantasie Op.15 sulla canone irlandese "The last rose of summer" e infine il diabolico arrangiamento di Rachmaninov dello Scherzo dal Sogno di una notte di mezza estate, che ci risveglia dopo un'ora e venti di intime e morigerate confessioni romantiche.
    Nel complesso un ottimo disco, suonato in maniera ideale dall'irreprensibile Peter Donohoe.
     
  6. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    César Franck (1822-1890)
    - Prélude, Choral et Fugue, M.21
    - Prélude, Aria et Final, M. 23
    - Quintetto per pianoforte, M. 7
    - Prélude da Prélude, Fugue et Variation, M. 30
    Michel Dalberto, pianoforte, Novus Quartet.
    Aparté 2019.
    ***
    Il pianista francese Michel Dalberto raccoglie in questo disco alcune tra le pagine più belle di musica da camera scritte dal compositore belga César Franck: il famoso Prélude, Choral et Fugue del 1884, il Prélude, Aria et Final, composto due anni più tardi e il Quintetto per pianoforte del 1879, eseguito qui insieme al Novus Quartet.
    Sono brani che Dalberto ha nel proprio DNA: è proprio lui a dirci nelle belle note di copertina di aver studiato il Prélude, Aria et Final al Conservatorio di Parigi con il grande Vlado Perlemuter, a sua volta allievo del grandissimo Alfred Cortot.

    Sia il Prélude, Choral et Fugue che il Prélude, Choral et Fugue sono opere caratterizzate da una complessa struttura architettonica, caratterizzata dalla forma tripartita e da quella ciclica, così ricorrente in Franck, così come da una scrittura che trae molto dall'organo.
    Se è evidente l'ispirazione bachiana e religiosa del primo dei due pezzi, dal tono mistico e solenne, il secondo invece è di carattere sicuramente più profano e più visibilmente virtuosistico.
    L'esecuzione di Dalberto è semplicemente magistrale, per la chiarezza della polifonia, la lucidità interpretativa, il senso della struttura e per la palette di colori che riesce a estrarre dallo strumento, un meraviglioso Boesendorfer Vienna Concert 280.
    Mi lascia più perplesso la seconda parte del programma dedicata al quintetto per pianoforte e archi in fa minore, considerato insieme alla famosa sonata per violino e pianoforte in la maggiore e al quartetto in re maggiore una delle composizioni cameristiche più significative di Franck. Dalberto è accompagnato dal Novus Quartet, una giovane compagine coreana, giù piuttosto nota. Ho trovato la loro interpretazione piuttosto cerebrale, a tratti anche aspra, complessivamente non particolarmente emozionante. Se si prende come paragone l'esecuzione del quartetto Amadeus con Clifford Curzon (Ed.BBC Legends), così vivace, trascinante e ricca di pathos, si capisce di essere ad una distanza siderale rispetto al Novus con Dalberto.

    Il disco si chiude con il Prélude dal Prélude, Fugue et Variation, trascrizione della versione originale per organo: semplicemente meraviglioso! Tre minuti di musica celestiale. 
    Così si chiude il disco e subito viene il desiderio di rimetterlo dall'inizio!
     
    Notevole la qualità della registrazione, realizzata alla Salle Philarmonie di Liegi, che restituisce molto bene la gamma timbrica e dinamica del pianoforte.
    Disponibile in 96/24.
  7. happygiraffe
    Mozart, sonate per pianoforte K.280, K.281, K.310, K.333.
    Lars Vogt, pianoforte.
    Ondine, 2019.
    ***
    Le sonate per pianoforte di Mozart non sono probabilmente quanto di meglio il genio di Salisburgo abbia composto, ciò nonostante alcune di esse sono dei veri e propri gioielli e, nella loro apparente semplicità, rappresentano comunque una sfida per chi li esegue, che si trova costretto a scegliere delle linee interpretative ben precise.
    C’è chi le suona mettendo in evidenza l’aspetto rococò, elegante e lezioso, chi invece accosta all'equilibrio neoclassico delle raffinatezze timbriche che forse sarebbero più appropriate per Debussy.
    Il pianista Tedesco Lars Vogt, che qui esegue le sonate K.280, K.281, K.310 e K.333, segue un approccio più diretto e vivo, grazie anche a qualche libertà espressiva, e riesce a caratterizzare molto bene il diverso carattere di ognuna di queste sonate.
    Nella K.280, che risente ancora dell’influenza di Haydn nei movimenti veloci, ci stupisce il lungo Adagio per l’intensità emotiva e il senso di profonda tristezza che Vogt riesce a imprimere al brano.
    Se la K.281 scorre più spensierata, è la K.310 il cardine del disco. Vogt ne fa emergere con grande immediatezza l’elemento tragico, come poche altre volte ho sentito, pur mantenendo quell'equilibrio delle emozioni così tipico della musica di Mozart. Questa è la prima tra le sonate di Mozart in tonalità minore e deve il suo carattere così insolitamente concitato sia alle difficoltà del suo soggiorno parigino nel 1778, segnato anche dalla morte della madre, sia anche al desiderio di adattarsi, alla sua maniera, a uno stile musicale più drammatico in voga in quegli anni a Parigi.
    La K.333 è gioiello di grazia, eleganza e fantasia, con l’allegretto finale che prende a modello lo stile del concerto per pianoforte e orchestra.
    E' un disco che ho trovato molto convincente, con Vogt bravissimo nel far parlare in maniera diversa ciascuna della quattro sonate, ma sempre in modo vario e molto naturale, senza mai essere eccessivamente cerebrale o sofisticato. Difficilmente ascolto più di due sonate di Mozart di fila senza avvertire un po’ di noia, ma qui le cose sono andate molto diversamente e arrivato alla fine del disco l’ho riascoltato dall'inizio con molto piacere!
    Buona la qualità dell’incisione, disponibile anche in formato liquido a 48/24, e interessante anche il libretto, che contiene un’intervista a Lars Vogt su queste quattro sonate.
     
  8. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Alina Ibragimova (violino), Cédric Tiberghien (piano)
    Mozart Violin Sonatas
    Hyperion 2017
    ***
     
    Manca ancora il quinto volume per completare questa bella integrale delle sonate per violino e pianoforte di Mozart, ma già è un fioccare di premi e menzioni per Alina Ibragimova e Cédric Tiberghien.
    A dire il vero sorprende la scelta dei due artisti di dedicarsi alla registrazione di tutte le sonate per violino e pianoforte, che sono trentasei, non tanto per il numero, quanto per il livello compositivo molto poco omogeneo.
    Le prime 16 sonate furono composte da Mozart a un'età compresa tra i sette anni e i 10 anni, mentre le successive furono composte dopo una pausa di dodici anni tra il 1778 e il 1788. Nelle sonate di gioventù è il pianoforte che ricopre il ruolo principale, mentre il violino svolge un ruolo di accompagnamento, secondo una tendenza allora in voga. Erano pensate per essere eseguite in casa e molto probabilmente per mettere in risalto le capacità del giovane pianista.
    Il livello delle sonate successive varia molto a seconda delle circostanze in cui ciascuna sonata fu composta, principalmente dal committente e dalla bravura del violinista destinato a suonarla. Per fare un esempio la bellissima K454 fu eseguita davanti all'Imperatore Giuseppe II e suonata dalla violinista italiana Regina Strinasacchi, celebre a quei tempi, mentre la successiva e deludente K547, ultima delle sonate, fu probabilmente pensata, sebbene mai pubblicata in vita, per essere venduta come sonata facile a musicisti principianti.
    Tuttavia, anche le partiture più semplici possono portare a risultati sorprendenti quando affidate a musicisti di questo calibro.
    Alina Ibragimova è una violinista russa, cresciuta a Londra, Cédric Tiberghien è un pianista francese. Suonano insieme ormai da più di dieci anni e si sente!  
    E' notevole la fluidità che riescono a imprimere al discorso musicale. Anche nelle sonate più semplici, la raffinatezza, la vitalità, la sensualità delle loro interpretazioni sono totali. Cédric Tiberghien ha un ruolo di primissimo piano e non delude: con un suono molto articolato e limpido, e un uso molto parsimonioso del pedale, rende perfettamente lo stile mozartiano. Ibragimova è sublime nell'intrecciarsi con le linee del pianoforte, in modo spontaneo e naturale, sempre originale, anche nelle numerosi parti ripetute.
    Anche se, in tutta onestà, ad un ascolto prolungato le sonate giovanili possono diventare rapidamente stucchevoli e forse avrebbe potuto avere un senso non inciderle proprio, questa integrale rappresenta un punto di riferimento certo per chi fosse interessato a questo repertorio.

  9. happygiraffe
    Questo articolo è stato scritto e pubblicato da Silvio Renesto il 15 agosto 2016 su nikonland.eu.
     
    La fotografia di Nick Brandt è unica, fortemente coinvolgente ed ha un solo scopo:  celebrare, non documentare, la bellezza, di più, la  grandezza della natura africana minacciata di distruzione. Nick Brandt fotografa per  consegnare questa natura  alla memoria, prima che scompaia, ma  lo fa nella speranza che qualcuno si muova in tempo per preservare quel che ne rimane.
    Nick Brandt nasce nel 1964 in Inghilterra, studia pittura e cinematografia alla Saint Martin's School of Art. All'inizio degli anni 90 si trasferisce negli USA dove dirige alcuni video musicali di successo tra cui uno con Michael Jackson.
     
     
     
    Nel 1995, durante le riprese di uno di questi video (Earth Song) ambientato in Tanzania, si innamora della natura e degli animali d'Africa. Per alcuni anni cerca di trasmettere senza successo le sue sensazioni nei confronti di questa terra.
    Poi ha un'intuizione, esprimerà questo sentimento tramite la fotografia, ma una fotografia diversa.
     
    Brandt infatti sceglie di fotografare in un modo completamente diverso da quasi tutti gli altri fotografi naturalisti. Le sue immagini sono molto lontane dalla vivacità di colori e dal dinamismo che si incontra nella quasi totalità della fotografia naturalistica di oggi. 
     

     
    Nick Brandt fotografa in bianco e  nero su pellicola medio formato e non usa teleobiettivi potenti perchè, secondo lui, sono di ostacolo nel catturare l'essenza degli animali, secondo Brandt, con gli animali è come con le persone, non puoi rivelarne la personalità con un ritratto  ripreso da lontano a loro insaputa.
    Devi essere vicino, presente (viene da chiedersi cosa faccia o cosa abbia per non venire mangiato dai leoni o calpestato da un elefante, come è successo ad altro fotografo famoso, Peter Beard, che se l'è cavata per un soffio).
    Afferma di amare le "sorprese" e le "imperfezioni"  della pellicola, come la luce interagisce in modo inaspettato con il negativo.
    Secondo lui le foto troppo perfette tecnicamente non necessariamente sono migliori o più interessanti.
     

     
     
    Dal 2000 inizia il suo progetto fotografico: non documentare, ma celebrare, la bellezza, direi la grandezza, della natura africana minacciata di distruzione, per consegnarla alla memoria, prima che scompaia, nella speranza che qualcuno si muova per preservare almeno quel che ne rimane.
     
    Il suo lavoro si concretizza in una trilogia di libri i cui titoli formano in sequenza un'unica frase: "On This Earth", "A Shadow Falls", "Across The Ravaged Land" (ossia "Su questa Terra" "Si proietta un'Ombra", "Su di una terra devastata"), oltre a numerosissime mostre.
     
     

     
     

     
     

     
     
     
    Nel 2010 esasperato dal contrabbando di avorio, causa della strage degli elefanti, diviene co-fondatore della Fondazione Big Life, per la conservazione della fauna (e della natura) dell'Africa Orientale, a questo proposito scrive:"There’s little use being angry and passive. Much better to be angry and active." Ossia "serve a poco essere arrabbiati e passivi,. Molto meglio essere arrabbiati e fare qualcosa".
    Come non essere d'accordo.
     
     

     
    La "cosa"  bianca è un cranio di elefante.
     
     

     
     

     
    Nel 2016 pubblica una mostra/installazione ed un  libro intitolati "Inherit the dust" (eredita la polvere) nella quale tramite una serie di imponenti foto panoramiche documenta l'impatto umano nell'Africa Orientale luoghi dove un tempo gli animali vagavano liberi, ora non più. In ogni location, pannelli a  grandezza naturale degli animali sono sovrapposti ad un ambiente di affollamento urbanistico, fabbriche, discariche e cave. 
     
     
     

     

    Non entro nel merito dell'aspetto conservazionistico, perchè lo ritengo un argomento lungo e complesso. Mi limito alla fotografia. 
    E' mia opinione che le sue foto siano il contrario (o comunque molto differenti come approccio) di quello che normalmente si intende come fotografia naturalistica, dove l'animale in genere viene rappresentato in modo da minimizzare o se possibile annullare (o almeno si finge di annullare) la presenza del fotografo.
    Inoltre le sue foto, a mio parere, hanno un certo/elevato grado di elaborazione, non so se digitale o "tradizionale", visto che parte da una pellicola.
     

     
     

     
    Ma questo non è  un giudizio negativo, al contrario.
    Le fotografie di Brandt non vogliono essere neutre oppure accattivanti rappresentazioni della vita animale, vogliono invece essere personali, appassionate testimonianze di un patrimonio di bellezza senza eguali, che  è già in gran parte perduto e presto scomparirà se nessuno farà nulla (come ahimé ritengo probabile). Le foto di Nick Brandt non sono descrizioni, sono... grida. 
     

     
     
    I suoi animali sono fieri, maestosi  o teneri, spesso tragici in un senso shakesperiano, una grandezza sconfitta dalla avidità e dalla meschinità (o forse dalla cinica, puramente darwiniana competizione di una specie molto, molto più aggressiva di quanto farebbero pensare i sui denti poco aguzzi).
     
     
     
     

     
     
     
     

     
     
    Le foto sono per me bellissime  e se non sono "spontanee" nel senso del purismo naturalistico poco importa. Toccano il cuore (a chi ne ha uno). E questo è quel che conta.
    Sono immagini forti, mi ricordano un po' alcune della "Genesi" di Salgado però, pur condividendo a volte  la possanza, quelle di Brandt sono intrise, di tristezza. Avete mai visto l'espressione di un gorilla allo zoo? Fiera e triste, così.
     
    Silvio Renesto per Nikonland
     
     
     
     
     
     
    PS, Tutte le foto sono prese da Internet e © Nick Brandt
     
    PPS Non guardate negli occhi uno scimpanzè invece, avendo il 96% del nostro DNA, un po' della "cattiveria" umana traspare...
     
  10. happygiraffe

    Recensioni : Novità dell'anno
    Impressioni, brevi recensioni e suggerimenti sulle uscite discografiche del 2023.
    Si comincia con i botti con questo sfavillante disco di Patrizia Kopatchinskaja e Fazil Say, che interpretano pagine di Janáček, Brahms e Bartók. Qui la recensione completa:
     
  11. happygiraffe

    Recensioni : orchestrale
    Bottesini: Gran Duo concertante
    Piazzolla: Le Grand Tango
    Rota: Divertimento concertante Ödön Rácz, contrabbasso.
    Noah Bendix-Balgley, violino.
    Franz Liszt Chamber Orchestra
    Speranza Scapucci, direttore.   Deutsche Grammophon, 2019   *** Ammetiamolo, tra gli strumenti ad arco il contrabbasso è sicuramente quello più trascurato dai compositori, pur rivestendo un ruolo fondamentale all'interno dell'orchestra.  Stupisce quindi vedere che DG pubblichi un disco interamente dedicato a musiche per contrabbasso.
    Qui è il virtuoso ungherese Ödön Rácz che si cimenta con alcune delle pagine più note (agli esperti!) composte per questo strumento: il Gran Duo Concertante di Bottesini e il il Divertimento Concertante di Nino Rota.
    Giovanni Bottesini (1821-1889) fu un celebre contrabbassista, compositore e direttore d'orchestra ottocentesco, noto come il "Paganini del contrabbasso". Fu autore di diverse composizioni per questo strumento, tra cui questo Gran Duo concertante, qui nella trascrizione per contrabbasso e violino dall'originale (meno nota) per due contrabbassi. 
    Si tratta di un bel pezzo di bravura, assolutamente godibile. Ho trovato tuttavia più interessante la seconda parte del programma, con il Divertimento Concertante per contrabbasso e orchestra di Nino Rota (1911-1979). Notissimo e prolifico compositore di musica per film (realizzò 157 colonne sonore!), Rota ebbe anche una consistente produzione di musica classica tradizionale di stampo neoclassico.
    Questo Divertimento Concertante ha una storia particolare. Bisogna sapere che Rota insegnò a lungo al Conservatorio di Bari e ne fu direttore dal 1950 fino al 1977. Nella stanza sopra il suo ufficio dal 1967 si tenevano i corsi di contrabbasso tenuti dal grandissimo virtuoso Franco Petracchi, che gli commissionò un'opera per il suo strumento. Il Divertimento fu composto tra il 1967 e il 1969. Se il secondo movimento, " Marcia", riprende scherzosamente alcuni degli esercizi che Petracchi faceva fare ai suoi allievi e che il povero Rota era costretto a sentire tutti i giorni dal piano di sotto, il terzo movimento "Aria", fu in origine composto per la colonna sonora del film "Dottor Zivago", progetto che poi per varie ragioni fallì e fu affidato a Maurice Jarre, che ci vinse l'Oscar.
    Il Divertimento Concertante è un lavoro brillante, pieno di humour e di momenti vivaci, così come di momenti più riflessivi e malinconici, come nel terzo movimento. Ricorda spesso il Prokofiev più sereno e scherzoso.
    Ödön Rácz è un grande: suona il suo contrabbasso con una sensibilità difficilmente immaginabile e riesce a farlo cantare con la grazia e la dolcezza dei suoi fratelli più piccoli.
    In sintesi, un disco molto piacevole, che raccomando volentieri!
  12. happygiraffe
    Pēteris Vasks: concerto per violino "Distant Light", "Summer Dances", Quartetto per pianoforte.
    Vadim Gluzman, violino, Orchestra sinfonica della radio finlandese, direttore Hannu Lintu.
    Nelle "Summer Dances":  Vadim Gluzman e Sandis Šteinbergs violini.
    Nel quartetto per pianoforte:  Vadim Gluzman,  Ilze Klava, Reinis Birznieks e Angela Yoffe.
    BIS 2020
    ***
    Onestamente non conoscevo affatto il compositore lituano Peteris Vasks e sono capitato per caso su questo disco, seguendo semplicemente il percorso del violinista israeliano Vadim Gluzman dopo la bella prova nel Trio di Tachikovsky.
    E onestamente sono rimasto molto sorpreso dalla bellezza, inattesa, del concerto per violino Tālā Gaisma ("Luce lontana"), piatto forte di questo disco.
    Vasks è un compositore lituano, nato nel 1946, che negli ultimi decenni ha avuto un discreto successo, inizialmente anche grazie all’attività del suo compatriota Gidon Kremer, che si è prodigato per diffonderne l’opera.

    Tornando al concerto per violino, si tratta di una composizione del 1997 di circa 33 minuti, in cui i 5 movimenti inframezzati dalle cadenze del solista si susseguono senza soluzione di continuità. Il linguaggio impiegato si basa fondamentalmente sull’armonia tradizionale, senza complicare troppo la vita dell’ascoltatore. Il tono è mesto e struggente, come fosse una lunga meditazione che apre le porte a numerose domande che però non trovano risposte. Gluzman, accompagnato con grande sensibilità dalla compagine dell’orchestra sinfonica della radio finlandese diretta da Hannu Lintu, è semplicemente perfetto nel restituirci le emozioni di queste pagine. E parlando di emozioni, era da tempo che non ne provavo di simili per una composizioni di musica contemporanea.

    Al concerto per violino segue una bella raccolta di brevi brani intitolata Vasaras dejas (“danze estive”) per due violini, di recentissima composizione (2017) .Sono poco più di 10 minuti di musica. Il tono è allegro e spensierato, estivo per l’appunto. Qui Gluzman è accompagnato dal bravo Sandis Šteinbergs, violinista lituano in passato leader della Kremerata Baltica.
    Chiude il disco il Quartetto per pianoforte del 2001. Si tratta di un lavoro piuttosto lungo (38 minuti in questa edizione), in sei movimenti. Qui Gluzman suona insieme a Ilze Klava, Reinis Birznieks e Angela Yoffe. Ho trovato questa composizione interessante, ma certamente meno coinvolgente delle prime due e soprattutto del concerto per violino.
    Il disco si conclude così dopo ben 84 minuti di musica. Vasks è stato una scoperta interessantissima, che mi ha spinto ad ascoltarne altri dischi sulla scia dell’entusiasmo. Difficilmente, però, si ritroverà altrove l’intensità di questa interpretazione del suo concerto per violino!
    Consigliato!
  13. happygiraffe
    È un universo piuttosto animato e affollato quello che Robert Schumann ricreava con le sue composizioni per pianoforte! Personalità complessa e profondamente intrisa di cultura letteraria, Schumann amava affidare le varie sfaccettature del suo io a diversi personaggi che popolano i suoi lavori: a cominciare dal focoso e battagliero Florestano e il suo opposto, il sensibile e malinconico Eusebio, i due protagonisti della “lega dei compagni di Davide” che si battono contro il conservatorismo dei cosiddetti filistei; ma poi abbiamo anche i compositori suoi contemporanei Paganini e Chopin, le amiche Chiarina ed Estrella, le maschere della commedia dell’arte (tutti questi in Carnaval), un bambino e un poeta (in Kinderszenen), un cacciatore e addirittura un uccello profeta (in Waldszenen).
    Ma anche quando non compaiono esplicitamente nei titoli, sono i suoi due alter ego Florestano e Eusebio, con i quali Schumann firmava anche i suoi articoli sulla Neue Zeitschrift für Musik, la rivista musicale che aveva fondato insieme al suo insegnante e futuro suocero, che ricorrono più spesso in tutta la sua musica.
    Compositore e pianista al tempo stesso, almeno fino a quando non si infortunò gravemente alla mano e dovette cessare l'attività di concertista, Schumann compose moltissimo per il suo strumento. Ad eccezione delle tre sonate e della Fantasia, le opere pianistiche di Schumann sono prevalentemente raccolte di pezzi brevi, a volte brevissimi, incisivi, debordanti di folgoranti idee musicali, con uno stile compositivo immediatamente riconoscibile. 
    Qui di seguito abbiamo un elenco di ottimi dischi dedicati alla musica per pianoforte di Schumann. Nella selezione abbiamo spaziato nell'arco di diversi decenni, senza però andare fino alle incisioni storiche eccessivamente datate.
    Cominciamo dai russi e dal sommo Richter, che ci ha regalato incisioni meravigliose dedicate a Schumann.
    Qui le sue strepitose Waldszenen:

    La Fantasia:

    Memorabile anche questo disco della Regis (ma che ricompare periodicamente sotto altre etichette) con gli Etudes Symphoniques e i Bunte Blaetter:

    Un altro grandissimo interprete schumaniano è stato il mitico Horowitz, con un approccio totalmente agli antipodi da quello di Richter.
    Qui nelle Kinderszenen e nella Kreisleriana:

    Qui invece alle prese con Humoreske e terza sonata:

    Ci piace segnalare tra i russi anche il bravissimo Youri Egorov, purtroppo scomparso giovanissimo:

    Lasciando i pianisti russi, ma rimanendo ad Est, arriviamo a Geza Anda, purtroppo ultimamente un po' trascurato dalle etichette discografiche. Ricordo un doppio album della DG dedicato interamente a Schumann, ma ormai fuori catalogo da un pezzo. Vi propongo questo disco della Testament:

    Tra i tedeschi come non citare il grandisimo Wilhelm Kempff. Un economico cofanetto contenente cinque dischi incisi tra la fine degli anni '60 e gli inizi degli anni '70:

    C'è poi la generazione fortunata di Argerich, Pollini, Perahia, Ashkenazy e Lupu, ormai tutti oltre i 70 anni. Ecco alcuni dei loro migliori dischi dedicati a Schumann.
    Le Davidsbuendlertaenze di un giovane Perahia che rivelano la sua straordinaria affinità per il compositore tedesco:

    al quale fa idealmente seguito questo disco in cui un Perahia più maturo affronta la Kreisleriana e la prima sonata:
     
    E poi l'incantevole Schumann di Radu Lupu:

    agli antipodi dall'energico Pollini, sia in versione giovanile:

    che più matura:


    Non dimentichiamo l'integrale realizzata da Ashkenazy, già nell'era digitale, ora disponibile a un ottimo prezzo:

    Anche con Schumann la zampata felina di Martha Argerich ha lasciato il segno:

    In questi ultimi anni, invece, il polacco Piotr Anderszerwski si rivelato per uno dei migliori interpreti di Schumann. Bellissimo questo disco:

    Chiudiamo questa carrellata con le memorabili Waldszenen di Arcadi Volodos in questo bellissimo disco dal vivo:

    Chiudiamo qui la nostra personalissima selezione dedicata a chi voglia lanciarsi nel mondo di Schumann. Ovviamente se volete segnalarci altre incisioni, potete farlo qui di seguito!
  14. happygiraffe
    Piotr Naskrecki è una figura particolare nel mondo della macrofotografia: scienziato e fotografo allo stesso tempo.  Usa la fotocamera per documentare le sue ricerche, ma anche per trasmettere al mondo la bellezza delle piccole creature che ci circondano, troppo spesso sconosciute o trascurate.
    Ebbi modo di intervistarlo "telematicamente" qualche tempo fa e questo mio contributo è in parte basato sul nostro scambio di email.
    Naskrecki ha lavorato al Museum of Comparative Zoology (Museo di Zoologia Comparata) all’Università di Harvard, a Cambridge, Massachussets (USA) e all'Università del Connecticut. La sua ricerca è incentrata soprattutto sull’evoluzione degli insetti ma  è anche coinvolto in numerosi progetti scientifici e di divulgazione correlati con la conservazione delle foreste pluviali tropicali.
    Il suo interesse per la macrofotografia è iniziato una ventina d'anni fa quando la moglie gli ha regalato per Natale una Nikon N 6006 (F601).  Dall'uso della fotocamera come mezzo per illustrare gli organismi su cui lavorava al fare della fotografia  una passione il passo è stato breve. Non è interessato fotografare uccelli o mammiferi, perché trova che il piccolo mondo che ci circonda sia molto più affascinante. Attualmente usa soprattutto  fotocamere ed obiettivi Canon.
     
    Come fotografo cerca sempre di portare alla luce la bellezza di quei soggetti che  sfugge ai nostri occhi per via delle dimensioni del mondo in cui noi siamo abituati a vivere. Rendendo i soggetti più grandi del reale, Naskrecki ci porta alla loro scala, permettendoci di vedere strutture, simmetrie e forme normalmente nascoste.

    Una splendida Mantide tropicale

    Nemia,  un Neurottero tropicale

    Typophyllum un ortottero mimetico
    Nello stesso tempo cerca di ricreare la prospettiva e la tridimensionalità di questo microscopico mondo. Per questo usa spesso i grandangoli (15-35mm) con un tubo di prolunga corto, in modo da focheggiare molto vicino pur mantenendo una prospettiva ampia e notevole profondità di campo in modo da cogliere l’ambiente in cui vive il soggetto.
     

    Un ortottero del Mozambico, ambientato.
     
     
     

    Un altro ortottero tropicale
    In altri contesti usa obiettivi macro e, per soggetti molto piccoli, come le formiche lavora a rapporti di riproduzione molto elevati sfruttando il Canon MPE 65mm, che arriva a 5:1.

     
    Se vuole includere qualcosa di più del solo soggetto centrale, usa grandangoli tradizionali
    Le sue gallerie sono diverse (ma ugualmente spettacolari), rivelando posture insolite, oppure interazioni fra (minuscoli) organismi, che per  venire ripresi, richiedono abilità ed esperienza. Per ottenere questi risulta occorre una grande conoscenza del soggetto. Ogni volta che inizia un nuovo progetto fotografico, comincia documentandosi approfonditamente in quanto una buona preparazione fondamentale se si è interessati al comportamento animale. Si può persino arrivare ad osservare e documentare comportamenti che nessun altro ha mai visto prima.
    Naskrecki rimane comunque  prima uno scienziato e poi un fotografo. Usa la fotografia principalmente per documentare il suo  lavoro e come strumento educativo alla comprensione del comportamento animale e alla
    conservazione della natura.

    Raganella tropicale, Papua Nuova Guinea

    Pronto al duello... Granchio del Costarica
     
    Ma a parte la documentazione scientifica,  quando fotografa,  il  messaggio principale che Naskrecki cerca di trasmettere con le sue foto è che esiste un mondo bellissimo e complesso costituito da organismi di cui  pochissima gente sa qualcosa. Si tratta invece di membri affascinanti, coloratissimi e di fondamentale importanza per la sopravvivenza delle comunità biologiche. Spesso sono minacciati quanto  i panda e le tigri, ma ricevono poca attenzione dal pubblico e dai conservazionisti, solo perché in pochi sanno della loro esistenza. Mostrarli da vicino è il primo passo per apprezzarli e proteggerli.

    Piotr Naskrecki, (dal sito Uconn Today)
    Non perdetevi il suo interessantissimo sito:
    http://www.insectphotography.com/
    E il suo fantastico Blog:
    https://thesmallermajority.com/
     
    NOTA: Tutte le foto sono (c) di Piotr Naskrecki, qui mostrate solo allo scopo di illustrare la sua opera ad esclusione del suo ritratto, preso dal sito Uconn Today.
    DISCLAIMER: All the photos shown here are (c) by Piotr Naskrecki, published here only to illustrate his  work, apart for his portrait, taken from the site Uconn Today.
     
  15. happygiraffe
    Sono poco più di 3 settimane che mi diverto con la Z8 e mi sembra di averla da sempre. Dopo un po' di studio iniziale e una volta settata per quello che voglio fare, il resto è uro divertimento. Devo solo preoccuparmi di inquadrare il soggetto, al resto ci pensa lei con il suo autofocus "telepatico" (come mi diceva oggi Silvio). 
    Il passaggio dalla D810 è stato rapido e felice. Quello che apprezzo di questa fotocamera più di ogni altra cosa è l'autofocus: affidabile e reattivo, sbaglia davvero pochissimo, e con copertura di tutto il fotogramma. A seguire la stabilizzazione che permette di scendere molto con i tempi e per finire il display orientabile, per me una novità. che permette molta versatilità nelle riprese.
    Questo capolavoro di tecnologia ha tutto quello che da tempo sognavo in una fotocamera. E magicamente mi ha fatto tornare la voglia di fotografare!
    Qui di seguito qualche foto fatta per le strade di Milano. Tutte con il 24-120 f/4.

    Milano, CityLife.

    Milano, CityLife.

    Milano, Porta Volta.

    Milano, Passeggiata Boris Pasternak.

    Milano, Porta Volta. Un gruppo di ragazzi mi ha chiesto di fotografarli e io li ho accontentati!

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi. Altissime modelle asiatiche.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi. Un bravo musicista di strada. L'accoppiata con la foto precedente dei due ciclisti mi fa venire in mente un verso di una canzone di Paolo Conte:"i sax spingevano a fondo, come ciclisti gregari in fuga" 

    Milano, Via Paolo Sarpi. Un spettacolo di strada.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Via Paolo Sarpi.

    Milano, Piazza dei Mercanti di domenica mattina.

    Milano, Galleria Vittorio Emanuele. Due poliziotti a cavallo (e che cavalli! erano delle bestie bellissime!) posano per un fotografo (immagino per qualche calendario). Di lì a poco uno dei cavalli avrebbe sbavato copiosamente sul fotografo.

    La Z8 ha messo a fuoco sull'occhio del cavallo.

    Milano, Via Palazzo Reale.

    Milano, CityLife.

    Milano, CityLife.

    Milano, CityLife.

    Milano, Galleria Vittorio Emanuele.

    Milano, Via Santa Radegonda.

    Milano, Via Santa Radegonda.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Via Torino.

    Milano, Via Torino.
    C'è anche qualche foto a colori:

    Milano, Porta Nuova.

    Milano, Galleria Vittorio Emanuele.

    Milano, Galleria Vittorio Emanuele. La variopinta signora che si fa in selfie in bicicletta mi ha fatto molto ridere!

    Milano, Piazza del Duomo.

    Milano, Piazza del Duomo. La vie en rose!
     
    Spero di non avervi ammorbato con tutte queste foto. Avevo un po' di ritardo da recuperare!
     
  16. happygiraffe
    Prokofiev, sonate per pianoforte n.4, 7, 9.
    Alexander Melnikov, pianoforte.
    Hamonia Mundi 2019
    ***
    Ritorna a Prokofiev l'imprevedibile ed eclettico pianista russo Alexander Melnikov. Dopo il primo disco, che comprendeva le sonate 2, 6, 8, questa seconda registrazione contiene tre sonate, le n. 4, 7, 9, molto diverse tra loro per stile e periodo di composizione. Se la settima sonata è probabilmente una delle pagine più note per pianoforte di Prokofiev, le altre due sono decisamente meno conosciute.
    Nella quarta sonata (1917), piuttosto cupa e introspettiva, così come nella più serena e comunicativa nona sonata (1947), Melnikov è davvero superlativo nel restituirci emozioni, contrasti improvvisi, cambi di colori e ritmi, con una sensibilità e una poesia poco comuni. Questa sua magistrale interpretazione della nona sonata è probabilmente una delle migliori in discografia.
    Mi ha lasciato invece piuttosto perplesso nella settima sonata (una delle tre sonate "di guerra"), affrontata da un lato con grande intensità, dall'altro con un'insolita e sorprendente prudenza. Se nella versione di Richter (che ne fu il primo esecutore, dopo averla imparata in soli quattro giorni) ci sembra di sentire i colpi dei cannoni e le bombe che esplodono, se nell'altra famosa interpretazione, quella di Pollini, siamo pervasi da una furiosa disperazione, sembra che qui Melnikov abbia meno successo nel trovare una propria visione interpretativa di questo lavoro, sicuramente più appariscente e virtuosistico rispetto alle altre due sonate del disco, più posate e reticenti. Il diabolico e difficilissimo ultimo movimento in 7/8 viene affrontato con insolita e disarmante lentezza, che rende priva di senso l'indicazione di "Precipitato" del compositore.
    Peccato, ma anche poco male, perché il disco è comunque da ricordare per le altre due sonate.
    Un altro passo falso di questo disco, purtroppo, è la qualità della registrazione, realizzata nei celebri Teldex Studio di Berlino: nonostante la dinamica e i timbri del pianoforte siano ottimamente restituiti, l'immagine del pianoforte sembra quasi quella di un'orchestra, con gli alti tutti a sinistra, i medi in mezzo e i bassi tutti a destra. Una scelta davvero incomprensibile da parte di un etichetta di livello come Harmonia Mundi.

  17. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Chopin, Sonate per pianoforte n.2 Op.35 e n.3 Op.58, Notturno Op.48 n.2, Barcarolle Op.60.
    Rafał Blechacz, pianoforte.
    DG 2023.
    ***
    Rafał Blechacz, ritorna all’amato Chopin con questo disco che contiene la seconda e la terza sonata.
    Da quando ha vinto nel 2005 il concorso Chopin, che ha lanciato la sua carriera e gli ha fatto ottenere un contratto con la prestigiosa etichetta DG, Blechacz sembra essersi mosso sempre con una certa cautela in un mondo musicale che fagocita i giovani talenti in una specie di tritacarne di dischi e concerti.
    Pochi dischi e di qualità, con Chopin a farla da padrone, ma con graditi fuori programma (Bach e Debussy).
    Questo ritorno a Chopin ci chiarisce, se ce ne fosse bisogno, il motivo del primo premio al concorso Chopin del 2005. Senza mezzi termini, Blechacz è probabilmente il migliore interprete del compositore polacco in circolazione!
    Interpretazioni energiche e vibranti, prive di sentimentalismi, con una straordinaria limpidezza del suono, ma soprattutto una grande fluidità nel dipanare il discorso musicale senza indugiare in manierismi, con un rubato molto naturale. Insuperabile e commovente nei movimenti lenti in pianissimo (il secondo tema della celeberrima marcia funebre della seconda sonata e il Largo della terza sonata). A fare da contorno alle sonate il Notturno op.48 n.2 e la Barcarolle.
    Sono pagine molto note del repertorio pianistico (al punto che personalmente mi erano venuto un po’ a noia) e sono numerosissime le incisioni di riferimento, ma è bello riascoltarle in questa lettura di Blechacz, in cui tutto scorre alla perfezione.
    Buona anche la qualità della registrazione, effettuata agli studi Teldex di Berlino.
    Un disco che non esito a raccomandare.
  18. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    "The Diabelli Project", musiche di Beethoven e molti altri.
    Rudolf Buchbinder, pianoforte.
    DG, 2020.
    ****
    Veterano del circuito pianistico internazionale, Rudolf Buchbinder è un grandissimo esperto del repertorio classico viennese e tedesco e specialmente della musica di Beethoven. Nel corso degli anni ha inciso varie integrali delle sonate, dei concerti e indiscutibilmente ha un rapporto molto stretto con le celebri variazioni Diabelli.
    Conoscete probabilmente la storia di queste variazioni. Anton Diabelli, compositore, pianista e soprattutto editore (fu il primo editore di Schubert), nel 1819 ebbe questa trovata, che oggi definiremmo di marketing, di chiedere a diversi compositori dell’epoca di scrivere una variazione su un suo breve valzer (assai mediocre, in verità). Risposero tantissimi musicisti, la maggior parte dei quali oggi completamente dimenticati, ma tra di essi troviamo anche nomi noti come Schubert, Moscheles, Hummel, Czerny e un giovanissimo Liszt. 
    Beethoven, inizialmente poco interessato alla proposta di Diabelli, cambiò ben presto idea e nell’arco di quattro anni compose un lavoro monumentale costituito da ben 33 variazioni sul tema originale di Diabelli. Fu una delle sue ultime composizioni per pianoforte e, insieme alle ultime 5 sonate, un vero e proprio lascito alle successive generazioni di pianisti e compositori. 
    Il buon Diabelli decise di pubblicare in due volumi tutti i contributi ricevuti: il primo con le variazioni di 50 diversi compositori (tra i quali anche l’Arciduca Rodolfo, compositore dilettante) e il secondo con il lavoro di Beethoven. Poteva ben dirsi soddisfatto il nostro editore austriaco!
    Ma torniamo al nostro disco, intitolato “The Diabelli Project”, il progetto Diabelli. 
    Buchbinder ritorna a incidere quest’opera monumentale dopo averla portata in concerto per diversi decenni, ma non si ferma qui. Il pianista austriaco fu anche il primo ad aver registrato tutto il primo libro di variazioni, quello ormai (giustamente) dimenticato contenente i lavori degli altri compositori. Per l’occasione ne riprende una manciata, otto per la precisione, che propone in chiusura di disco. Ma Buchbinder nel suo omaggio al progetto originario di Diabelli va oltre e prova a renderlo più attuale, chiedendo a 12 compositori contemporanei, di generazioni e provenienze diverse, di scrivere la loro variazione sul tema di Diabelli: Krzysztof Penderecki (*1933), Rodion Shchedrin (*1932), Brett Dean (*1961), Max Richter (*1966), Jörg Widmann (*1973),  Toshio Hosokawa (*1955), Lera Auerbach (*1973), Brad Lubman (*1962), Philippe Manoury (*1952), Johannes Maria Staud (*1974), Tan Dun (*1957), Christian Jost (*1963). In questo disco ne ripropone undici (manca la variazione di Penderecki, per ragioni che ignoro).
    Chiaramente l’ascolto si divide in tre parti. Nella prima il pianista austriaco esegue le famose variazioni Diabelli di Beethoven, rivelandoci tutta la sua arte e la sua consumata esperienza con queste pagine, con le quali ha ormai un rapporto di intima affinità. L’ho trovata un'ottima esecuzione che mi ha fatto conoscere un Buchbinder diverso da quello che ricordavo.
    Nelle variazioni moderne, che occupano la parte centrale del disco, si riconoscono stili diversi e modi diversi di affrontare questo “compito”. Alcune mi sono piaciute, altre meno, ma ho certamente apprezzato l’idea di attualizzare l’intuizione di Diabelli e di mischiare tradizione e innovazione.
    L’ultima parte del disco con una manciata di variazioni dei contemporanei di Beethoven, riporta i lavori di Johann Nepomuk Hummel, Frédéric Kalkbrenner, Conradin Kreutzer, Franz Liszt, che nel 1819 aveva 8 anni, Ignaz Moscheles, Franz Xaver Wolfgang Mozart, figlio del più famoso genitore, Franz Schubert e Carl Czerny. Sono probabilmente i compositori più significativi tra i cinquanta del primo volume di variazioni, detto questo, oggi queste pagine sono poco più di una curiosità.
    In conclusione, non posso che raccomandarvi questo disco, che rappresenta fin qui una delle proposte più interessanti e originali nel 250° anniversario della nascita di Beethoven!
  19. happygiraffe
    Arnold Schoenberg, Concerto per violino e orchestra, Verlkaerte Nacht.
    Isabelle Faust, violino.
    Swedish Radio Symphony Orchestra, Daniel Harding.
    Verlkaerte Nacht: Isabelle Faust e Anne Katharina Schreiber, violini, Antoine Tamestit e Danusha Waskiewicz, viole, Christian Poltéra e Jean-Guihen Queyras, violoncelli.
    Harmonia Mundi, 2020.
    ***
    La violinista tedesca Isabelle Faust è solita spaziare con facilità in un repertorio molto ampio che va da Bach alla musica del ‘900. Non sorprende quindi vederla ritornare alla seconda scuola di Vienna, dopo la bella incisione del concerto di Berg con Abbado del 2012, questa volta con un disco interamente dedicato a Schoenberg, contenente il concerto per violino e orchestra e Verklärte Nacht.

    Composto tra il 1934 e il 1936, negli anni travagliati e bui che seguirono la partenza dalla Germania nazista e il suo trasferimento in America, il concerto per violino e orchestra Op.36 fu dedicato ad Anton Webern ed eseguito per la prima volta nel 1940 a Filadelfia sotto la direzione di Leopold Stokovski. Al violino c’era Louis Krasner, lo stesso che nel 1936 aveva eseguito per la prima volta a Barcellona il concerto per violino di Berg.
    E’ un lavoro particolare: da un lato il linguaggio dodecafonico e una scrittura straordinariamente impegnativa per il solista (lo stesso Schoenberg scherzando diceva che il violinista “dovrebbe possedere una mano sinistra con sei dita”), dall’altra una struttura classica molto tradizionale in tre movimenti e soprattutto un lirismo davvero intenso.

    La Faust è davvero bravissima nell’insufflare passione ed energia a queste pagine e a dominare le difficoltà della partitura con assoluta scioltezza, ottimamente accompagnata da un attento e sensibile Daniel Harding e dall’orchestra sinfonica della radio svedese. Faust e Harding riescono a trovare il sottile equilibrio tra innovazione e tradizione di questo concerto, ma soprattutto a convincere l’ascoltatore che non è necessario essere profondi conoscitori delle tecniche compositive dodecafoniche per cogliere la bellezza di queste pagine.
    Nella seconda parte del disco Isabelle Faust abbandona Daniel Harding e la compagine svedese per riunirsi con un gruppo di amici nell’interpretazione di quella che è una delle opere forse più note di Schoenberg, Verklärte Nacht, qui nella meno nota versione originale per sestetto d’archi del 1899. 
    Curiosamente Verklärte Nacht è un poema sinfonico composto per un complesso da camera, un sestetto d’archi appunto. Solo successivamente, nel 1917, fu arrangiato per orchestra d’archi.
    Verklärte Nacht fu la prima composizione strumentale di rilievo di Arnold Schoenberg. Lo stile compositivo guarda ancora al contesto tradizionale del sinfonismo tardo romantico tedesco, con abbondanza di materiali cromatici “tristaniani”.
    La musica segue con precisioni le varie fasi del testo poetico di Richard Dehmel, scrittore all’epoca molto in voga. Rispetto alla versione per orchestra d’archi, la versione per sestetto guadagna in essenzialità e trasparenza quello che perde in ricchezza sonora.
    Qui la Faust è accompagnata da un gruppo di straordinari artisti: Anne Katharina Schreiber, secondo violino, Antoine Tamestit e Danusha Waskiewicz, viole, Christian Poltéra e Jean-Guihen Queyras, violoncelli. Insieme ci accompagnano in questo percorso musicale e poetico, fino all’incredibile ultimo movimento che lascia l’ascoltatore letteralmente a bocca aperta.
    In conclusione è un disco che riconcilia, se ce ne fosse il bisogno, con un compositore considerato purtroppo ancora oggi “difficile”. Complimenti alla grandissima Isabelle Faust (e ad Harmonia Mundi) per il coraggio di pubblicare un disco di musica non certo popolare e complimenti a tutti gli artisti coinvolti per la passione e l’amore con i quali hanno ridato vita a queste pagine!

  20. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Schubert: Trii per pianoforte n.1 e 2, Trio per pianoforte op.148 D.897 "Notturno", Rondò op.70 D.895 "Rondeau brillant", Sonata D.821 "Arpeggione".
    Christian Tetzlaff, violino, Tanja Tetzlaff, violoncello, Lars Vogt, pianoforte.
    Ondine, 2023.
    ***
    Questo è un disco molto particolare e con una storia molto toccante.
    E’ l’ultima registrazione di Lars Vogt insieme agli amici di una vita, Christian e Tanja Tetzlaff, prima della sua scomparsa prematura nel 2022 a soli 51 anni.
    All’epoca dell’incisione Vogt era già sofferente e fu proprio in quel periodo che gli fu diagnostica la malattia.
    Con Christian e Tanja Tetzlaff li lega un percorso artistico comune di 25 anni, costellato da tanti dischi di musica da camera, e una lunga amicizia.
    Questo penso sia il loro primo o uno dei primi dischi insieme, del 2003:

    Ma ce ne sono tanti altri che immancabilmente li ritraggono insieme in copertina:



    E questi che ritraggono Lars e Christian decisamente più giovani:



    Ma veniamo a quest’ultimo disco, che contiene alcune delle più belle pagine di musica da camera di Franz Schubert: i due trii op.99 e 100 e la sonata “arpeggione” per violoncello e pianoforte.
    Quello dei Trii è un Schubert maturo, ormai lontano dall’intrattenimento mondano e salottiero, prossimo alla morte nonostante la giovanissima età (il povero Schubert morì a soli 31 anni).
    In questo senso il secondo Trio in mi bemolle maggiore, sicuramente il piatto forte del disco e uno dei massimi capolavori della musica da camera tout court, ha un carattere tragico e carico di angoscia, nonostante la consueta bellezza schubertiana delle linee melodiche.
    E il terzetto Vogt-Tetzlaff riesce a esprimerci tutta l’angoscia e il dramma dell’animo di Schubert, nascosti sotto l’apparente bellezza e perfezione di queste pagine immortali. Spesso queste opere (e Schubert in generale) vengono interpretate prestando più attenzione al fascino della melodia e alla perfezione del suono e dei timbri, in qualche modo compiacendo l’ascoltatore, che non a far emergere le angosce sotterranee del compositore.
    Qui invece a chi ascolta si propone un messaggio più impegnativo, più difficile, lontano da qualsiasi sentimentalismo, ma infinitamente più emozionante. I suoni sono a volte aspri, la dinamica molto ampia, dai pianissimo quasi impercettibili ai fortissimo molto…forti, com’è giusto che sia!
    Si sente che i tre interpreti, ormai all’apice delle loro capacità tecniche, hanno investito tutto loro stessi in queste pagine, per farci arrivare qualcosa di più del semplice bel suono.
    Il libretto del disco contiene una lunga e toccante intervista a Christian e Tanja Tetzlaff, nella quale parlano dell’amico Lars, delle sessioni di registrazione e di Schubert.
    Ci riportano queste parole di Vogt:
    "Mi sembra che tutto, almeno nella mia vita, si sia sviluppato verso questo Trio in mi bemolle maggiore", ha scritto in un messaggio dopo aver ascoltato la registrazione. "Se non rimane molto tempo, allora è un degno addio".
    Il disco contiene anche per altri brani del tardo Schubert, tra cui il Notturno per trio, D897, di struggente semplicità, il Rondò per violino e piano, D895, e la famosa Sonata per arpeggione, che Tanja Tetzlaff e Vogt rappresentano con grande naturalezza e intesa. Sono però le esecuzioni dei due trii che definiscono questo disco. Sono però le esecuzioni dei due trii a definire questo set. Naturalmente esistono già molte belle esecuzioni di queste opere, a partire da quella Eugene Istomin, Isaac Stern e Leonard Rose degli anni ‘60, ma questa sicuramente si pone come un nuovo riferimento tra quelle recenti.
    Caldamente raccomandato.

  21. happygiraffe

    Recensioni : Musica da Camera
    Franz Schubert, quartetti per archi n.14 "La morte e la fanciulla" e n.9
    Chiaroscuro quartet
    BIS 2018
    ***
    Il quartetto n.14 di Franz Schubert, composto nel 1824,  rappresenta probabilmente uno dei vertici più alti del repertorio romantico per quartetto d'archi. Viene chiamato "La morte e la fanciulla" perché il tema del secondo movimento venne ripreso dal lied omonimo composto dallo stesso Schubert nel 1817 su testo di Matthias Claudius.
    Il quartetto Chiaroscuro, guidato dalla brava violinista russa Alina Ibragimova, ha la particolarità di suonare su strumenti d'epoca (con corde di budello e archetti classici), ma questo elemento mi è parso secondario rispetto alle emozioni che mi ha regalato questo disco.
    Quello che più di tutto mi più mi ha colpito di questa registrazione e che mi ha fatto letteralmente riscoprire e apprezzare nuovamente questo lavoro è l'esattezza della scelta dei tempi. Prendiamo ad esempio il celebre secondo movimento, eseguito in 11'48'', quasi due minuti in meno di quella che è la prassi (penso all'Italiano o più recentemente al Pavel Haas). Questo riporta il movimento all'indicazione dell'autore di "Andante con moto", togliendo un eccesso di dolente pesantezza al brano, ma senza perdere in drammaticità, anzi.
    Per il resto una lettura tesa, che non manca di pathos, energia, contrasti, raffinatezza timbrica. 
    Dopo tante emozioni, passa onestamente in secondo piano il quartetto giovanile n.9, che preso singolarmente rimane tuttavia un piccolo gioiello.
    La qualità della registrazione, infine, rende giustizia alla bravura degli artisti. Palcoscenico sonoro piuttosto ampio. Disponibile in 96/24.
  22. happygiraffe
    Mi è capitato di ascoltare negli stessi giorni due dischi dedicati a Schubert di due artisti molto diversi tra loro e così ho deciso di farli salire sul ring per una sfida all'ultima nota.
    Signore e signori, preparatevi a un incontro senza pari. Da un lato l'esuberante georgiana Khatia Buniatishvili, classe 1987, dall'altro lo schivo pianista tedesco Alexander Lonquich, classe 1960.
    Partiamo dalla veste grafica.
    Khatia si presenta come una novella Ophelia, vestita di bianco e semi-annegata in acque torbide:

    Se da un lato vien da pensare al celebre Lied "La morte e la fanciulla", visivamente questa immagine richiama la celebre Ophelia del pittore preraffaellita John Everett Millais:

    Passiamo alla copertina del disco di Lonquich, dove ci appare un primo piano del pianista con gli occhi chiusi, di tre quarti, in penombra, con uno sfondo nero:

    Per una strana associazione della mia mente stramba, a me questa immagine ha fatto venire in mente il Kurtz di Marlon Brando in Apocalypse Now di Coppola:

    Per fortuna, appena aperto il libretto Lonquich ci appare in un ritratto vagamente più rassicurante con gli occhi aperti:

    Dovendo scegliere tra le due, la mia preferenza va a Khatia, per aver avuto il coraggio di posare nell'acqua gelida pur di realizzare questa copertina 
    Copertina: Khatia Vs Alexander 1-0.
    Passiamo ora ai programmi dei due dischi:
    Khatia Buniatishvili esegue di Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 4 Improvvisi Op.90, D.899
    - Ständchen, trascrizione di Franz Liszt S. 560/7 dal Lied D.957/4
    Alexander Lonquich invece esegue di Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.19 D.958
    - Sonata per pianoforte N.20 D.959
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 3 Klavierstucke D.946
    Il disco si intitola 1828, anno in cui furono composte queste opere e anno in cui morì il giovane Franz.
    Decisamente più denso e impegnativo il programma presentato da Lonquich.
    Voto sul programma: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Proseguiamo e andiamo a leggerci i libretti che accompagnano i due dischi.
    Cominciamo da quello della Buniatishvili.
    Al di là di altri due ritratti della giovane georgiana sempre immersa nelle stesse acque fredde e torbide della copertina, il libretto ci stupisce per un breve saggio della stessa pianista intitolato "Note di una femminista", dove ci parla del lato femminile, della vulnerabilità e della grande sensibilità di Schubert. Rimango un po' perplesso e rimango in ogni caso convinto che il femminismo sia una cosa ben diversa da quanto ci dice Khatia.
    Passo al libretto del disco di Lonquich, dove trovo un saggio anche in questo caso scritto dall'interprete stesso. Lonquich analizza le quattro opere in programma, fornendo spunti e rimandi molto interessanti. Davvero un'ottima lettura, che ci serve anche per capire le scelte interpretative.
    Anche per il libretto non c'è storia...
    Voto sul libretto: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Passiamo ora alla parte più gustosa: il confronto tra le due interpretazioni.
    Le scelte dei due pianisti non potrebbero essere più diverse. In verità, ho trovato entrambi i dischi spiazzanti, ma per motivi opposti. 
    La lettura della Buniatishvili, che come sappiamo mira a esaltare l'aspetto femminile di Schubert, tende a restituirci un'atmosfera ovattata di calma assoluta, in cui ogni asperità appare smussata, ogni contrasto appiattito. Il rischio che corre è che le "celestiali lunghezze" di Schubert (come le aveva definite Schumann), diventino dei languidi momenti di torpore. La sonata D.960 scivola via con dolcezza, senza troppi sussulti, se non fosse per alcune repentine accelerazioni e decelerazioni, che spesso non sembrano giustificate. Anche i quattro improvvisi op.90 non lasciano il segno e confermano l'impressione di un'interpretazione che, nonostante le intenzioni, non vada mai in profondità.
    Ho trovato anche la lettura di Lonquich piuttosto spiazzante e ammetto di aver ascoltato il disco più volte prima di ritrovarmici. Il suo è uno Schubert molto diverso da quello al quale siamo abituati. Diciamo innanzitutto che Lonquich sembra non voler fare molto per compiacere l'ascoltatore: Il timbro è spesso spigoloso e duro, dimentichiamoci il suono morbido e raffinato di un Brendel o addirittura di Zimerman e lo Schubert intimo e consolatorio che ci ha tramandato la tradizione. Al contrario di Khatia, i contrasti vengono portati all'estremo e ogni piccola asperità della partitura viene enfatizzata, restituendoci uno Schubert tormentato, in cui la tensione drammatica viene amplificata nota per nota, creando un collegamento evidente con l'ultimo Beethoven. Si percepisce che quella di Lonquich è una visione maturata a lungo nel corso degli e che questa interpretazione è il frutto di un'analisi e di uno studio che hanno scavato a fondo la partitura. Il risultato può essere più o meno persuasivo (personalmente ho apprezzato di più la 958 e la 960 del resto del programma) e soprattutto può convincere o meno l'ascoltatore, abituato ad ascoltare uno Schubert generalmente molto diverso da questo, ma comunque penso che meriti un grande rispetto. 
    Dovendo scegliere tra le interpretazioni di Khatia e Alexander, anche qui non ho dubbi. La lettura di Lonquich, per quanto spiazzante e molto personale, lascia il segno e rimane impressa nella memoria. Quella di Khatia, non me ne voglia!, l'ho trovata acerba e superficiale.
    Voto sull'interpretazione: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Un'ultima nota sulla qualità della registrazione dei due dischi. 
    Il pianoforte della Buniatishvili mostra un'enfasi eccessiva sul registro medio-basso, che appare gonfio  e riverberante, pur mantenendo una mano destra leggibile e chiara. Molto più omogeneo e limpido il suono del pianoforte di Lonquich, anche se un po' "asciutto", reso in ogni caso in maniera più realistica e convincente dagli ingegneri del suono dell'Alpha, che battono a sorpresa quelli di Sony.
    Voto sulla qualità della registrazione: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Siamo arrivati alla fine della nostra sfida: Alexander Lonquich sconfigge senza troppa fatica Khatia Buniatishvili, con il punteggio finale di 4 a 1.

    Ci farebbe piacere vedere un pianista del calibro di Lonquich più presente sul mercato discografico e sicuramente ci fa piacere vedere che l'etichetta Alpha gli abbia permesso di realizzare questo disco.
     
    ***
     
    I due contendenti di questa sfida:
    Khatia Buniatishvili, Schubert.
    - Franz Schubert, Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - Franz Schubert, 4 Improvvisi Op.90, D.899
    - Franz Schubert, Ständchen, trascrizione di Franz Liszt S. 560/7 dal Lied D.957/4
    Sony Classical, 2019.
    _____
    Alexander Lonquich, 1828.
    Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.19 D.958
    - Sonata per pianoforte N.20 D.959
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 3 Klavierstucke D.946
    Alpha, 2018.
  23. happygiraffe
    Mi è capitato di ascoltare negli stessi giorni due dischi dedicati a Schubert di due artisti molto diversi tra loro e così ho deciso di farli salire sul ring per una sfida all'ultima nota.
    Signore e signori, preparatevi a un incontro senza pari. Da un lato l'esuberante georgiana Khatia Buniatishvili, classe 1987, dall'altro lo schivo pianista tedesco Alexander Lonquich, classe 1960.
    Partiamo dalla veste grafica.
    Khatia si presenta come una novella Ophelia, vestita di bianco e semi-annegata in acque torbide:

    Se da un lato vien da pensare al celebre Lied "La morte e la fanciulla", visivamente questa immagine richiama la celebre Ophelia del pittore preraffaellita John Everett Millais:

    Passiamo alla copertina del disco di Lonquich, dove ci appare un primo piano del pianista con gli occhi chiusi, di tre quarti, in penombra, con uno sfondo nero:

    Per una strana associazione della mia mente stramba, a me questa immagine ha fatto venire in mente il Kurtz di Marlon Brando in Apocalypse Now di Coppola:

    Per fortuna, appena aperto il libretto Lonquich ci appare in un ritratto vagamente più rassicurante con gli occhi aperti:

    Dovendo scegliere tra le due, la mia preferenza va a Khatia, per aver avuto il coraggio di posare nell'acqua gelida pur di realizzare questa copertina 
    Copertina: Khatia Vs Alexander 1-0.
    Passiamo ora ai programmi dei due dischi:
    Khatia Buniatishvili esegue di Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 4 Improvvisi Op.90, D.899
    - Ständchen, trascrizione di Franz Liszt S. 560/7 dal Lied D.957/4
    Alexander Lonquich invece esegue di Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.19 D.958
    - Sonata per pianoforte N.20 D.959
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 3 Klavierstucke D.946
    Il disco si intitola 1828, anno in cui furono composte queste opere e anno in cui morì il giovane Franz.
    Decisamente più denso e impegnativo il programma presentato da Lonquich.
    Voto sul programma: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Proseguiamo e andiamo a leggerci i libretti che accompagnano i due dischi.
    Cominciamo da quello della Buniatishvili.
    Al di là di altri due ritratti della giovane georgiana sempre immersa nelle stesse acque fredde e torbide della copertina, il libretto ci stupisce per un breve saggio della stessa pianista intitolato "Note di una femminista", dove ci parla del lato femminile, della vulnerabilità e della grande sensibilità di Schubert. Rimango un po' perplesso e rimango in ogni caso convinto che il femminismo sia una cosa ben diversa da quanto ci dice Khatia.
    Passo al libretto del disco di Lonquich, dove trovo un saggio anche in questo caso scritto dall'interprete stesso. Lonquich analizza le quattro opere in programma, fornendo spunti e rimandi molto interessanti. Davvero un'ottima lettura, che ci serve anche per capire le scelte interpretative.
    Anche per il libretto non c'è storia...
    Voto sul libretto: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Passiamo ora alla parte più gustosa: il confronto tra le due interpretazioni.
    Le scelte dei due pianisti non potrebbero essere più diverse. In verità, ho trovato entrambi i dischi spiazzanti, ma per motivi opposti. 
    La lettura della Buniatishvili, che come sappiamo mira a esaltare l'aspetto femminile di Schubert, tende a restituirci un'atmosfera ovattata di calma assoluta, in cui ogni asperità appare smussata, ogni contrasto appiattito. Il rischio che corre è che le "celestiali lunghezze" di Schubert (come le aveva definite Schumann), diventino dei languidi momenti di torpore. La sonata D.960 scivola via con dolcezza, senza troppi sussulti, se non fosse per alcune repentine accelerazioni e decelerazioni, che spesso non sembrano giustificate. Anche i quattro improvvisi op.90 non lasciano il segno e confermano l'impressione di un'interpretazione che, nonostante le intenzioni, non vada mai in profondità.
    Ho trovato anche la lettura di Lonquich piuttosto spiazzante e ammetto di aver ascoltato il disco più volte prima di ritrovarmici. Il suo è uno Schubert molto diverso da quello al quale siamo abituati. Diciamo innanzitutto che Lonquich sembra non voler fare molto per compiacere l'ascoltatore: Il timbro è spesso spigoloso e duro, dimentichiamoci il suono morbido e raffinato di un Brendel o addirittura di Zimerman e lo Schubert intimo e consolatorio che ci ha tramandato la tradizione. Al contrario di Khatia, i contrasti vengono portati all'estremo e ogni piccola asperità della partitura viene enfatizzata, restituendoci uno Schubert tormentato, in cui la tensione drammatica viene amplificata nota per nota, creando un collegamento evidente con l'ultimo Beethoven. Si percepisce che quella di Lonquich è una visione maturata a lungo nel corso degli e che questa interpretazione è il frutto di un'analisi e di uno studio che hanno scavato a fondo la partitura. Il risultato può essere più o meno persuasivo (personalmente ho apprezzato di più la 958 e la 960 del resto del programma) e soprattutto può convincere o meno l'ascoltatore, abituato ad ascoltare uno Schubert generalmente molto diverso da questo, ma comunque penso che meriti un grande rispetto. 
    Dovendo scegliere tra le interpretazioni di Khatia e Alexander, anche qui non ho dubbi. La lettura di Lonquich, per quanto spiazzante e molto personale, lascia il segno e rimane impressa nella memoria. Quella di Khatia, non me ne voglia!, l'ho trovata acerba e superficiale.
    Voto sull'interpretazione: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Un'ultima nota sulla qualità della registrazione dei due dischi. 
    Il pianoforte della Buniatishvili mostra un'enfasi eccessiva sul registro medio-basso, che appare gonfio  e riverberante, pur mantenendo una mano destra leggibile e chiara. Molto più omogeneo e limpido il suono del pianoforte di Lonquich, anche se un po' "asciutto", reso in ogni caso in maniera più realistica e convincente dagli ingegneri del suono dell'Alpha, che battono a sorpresa quelli di Sony.
    Voto sulla qualità della registrazione: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Siamo arrivati alla fine della nostra sfida: Alexander Lonquich sconfigge senza troppa fatica Khatia Buniatishvili, con il punteggio finale di 4 a 1.

    Ci farebbe piacere vedere un pianista del calibro di Lonquich più presente sul mercato discografico e sicuramente ci fa piacere vedere che l'etichetta Alpha gli abbia permesso di realizzare questo disco.
     
    ***
     
    I due contendenti di questa sfida:
    Khatia Buniatishvili, Schubert.
    - Franz Schubert, Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - Franz Schubert, 4 Improvvisi Op.90, D.899
    - Franz Schubert, Ständchen, trascrizione di Franz Liszt S. 560/7 dal Lied D.957/4
    Sony Classical, 2019.
    _____
    Alexander Lonquich, 1828.
    Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.19 D.958
    - Sonata per pianoforte N.20 D.959
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 3 Klavierstucke D.946
    Alpha, 2018.
     
  24. happygiraffe
    Franz Schubert: sonata per pianoforte D. 959, minuetti D.334, D.335, D.600.
    Arcadi Volodos, pianoforte.
    Sony Classical 2019.
    ***
    Arcadi Volodos è uno dei migliori pianisti in circolazione per tecnica e sensibilità. Incide di rado, ma quando lo fa lascia il segno, come fu il caso nel 2017 con un disco straordinario dedicato a Brahms o nel 2013 con un album dedicato a Mompou, senza dimenticare lo splendido disco live a Vienna di qualche anno prima.

    n questo disco ci propone come piatto forte la sonata D. 959 di Schubert, accompagnata da tre minuetti (D.334, D.335, D.600).
    Volodos suona la 959 incredibilmente bene: ogni nota, ogni frase, ogni accento sono perfettamente resi e calibrati. Si sente che ci sono dietro anni di studio approfondito. L'Andantino del secondo movimento è qualcosa di commovente per la bellezza del timbro e la profondità dell'interpretazione. Tuttavia...sì, purtroppo c'è un tuttavia...tuttavia, dicevamo, è talmente bello assaporare voluttuosamente ogni nota, ogni impercettibile cambiamento di dinamica o di espressione, che forse si perde di vista il quadro d'insieme. La sensazione è quella di un lavoro iper-interpretato, per carità meravigliosamente bene, però a scapito di un po' di freschezza e spontaneità, che probailmente sarà più facile trovare nelle sue esecuzioni dal vivo.
    Siamo agli antipodi rispetto alla lettura aspra e spiazzante di Lonquich, ma anche da quella più lineare e diretta di Piemontesi, che ha dalla sua un gran senso dell'architettura del brano.
    Questa tendenza alla cura massima del dettaglio viene portata agli estremi nei tre graziosi minuetti che completano il disco. Gamma timbrica da capogiro, tempi un po' rilassati, stiamo assistendo ad un vero e proprio esercizio di stile, tanto da risultare quasi stucchevole una volta passata l'ammirazione per il gesto tecnico.

    In conclusione, questo disco, per quanto bello, soprattutto nella prima parte, mi ha lasciato un po' l'amaro in bocca. Pur rimanendo immutata l'ammirazione per le capacità di Volodos, da un artista del suo calibro mi aspetto sempre qualcosa in più (Ma per lui l'asticella è davvero alta!). 

  25. happygiraffe
    Franz Schubert, sonate per pianoforte D.959, D.959, D.960.
    Francesco Piemontesi, pianoforte.
    PentaTone 2019
    ***
    In quest’ultimo anno non sono mancate le registrazioni interessanti dedicate alle ultime sonate di Schubert: dall’affascinante lettura di Schiff su fortepiano (qui), alla tormentata versione di Lonquich (qui accostato alla melliflua e meno convincente Buniatishvili), per finire con la prova iper-raffinata di Volodos (qui).
    Ora anche il talentuoso pianista ticinese Francesco Piemontesi si mette alla prova con la triade delle ultime sonate, dopo gli ultimi dischi dedicati ai primi due libri delle Années de Pèlerinage.
    Come abbiamo già avuto modo di scrivere riguardo al suo Liszt, Piemontesi è un pianista che sembra aver raggiunto in questi anni uno stato di grazia, sia dal punto di vista tecnico che interpretativo e questo Schubert ne è una conferma.
    Ritroviamo qui il Piemontesi grande narratore che avevamo conosciuto in Liszt: ci accompagna con estrema naturalezza nei solitari paesaggi musicali dell’ultimo Schubert, passando dalla quiete alla sommessa disperazione, dall’intima palpitazione dei passaggi più scherzosi allo sconforto più drammatico. Lo fa con grande finezza e eleganza, rendendosi completamente invisibile e totalmente al servizio della musica.
    E nonostante le “celestiali lunghezze” di Schubert possano spesso indurre torpore, non è fortunatamente il caso qui. Piemontesi riesce a rendere l’architettura dell’opera nella sua complessità e al tempo stesso la cura del dettaglio, con una capacità di controllo magistrale.
    Siamo ancora una volta di fronte a un disco importante di un artista solido e maturo, che entra di buon diritto tra i miei riferimenti degli ultimi anni.
    Notevole anche la qualità della registrazione (che ho ascoltato in formato liquido 96/24), realizzata nella bella acustica della Salle de musique a La  Chaux-de-Fonds in Svizzera. Il pianoforte è reso in maniera assolutamente realistica in tutto lo spettro, con timbri caldi e rotondi e un'immagine ben centrata e coerente.

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