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  1. Giulio Cesare in Egitto, l'opera di Handel che più di altre rese l'autore una superstar internazionale dell'epoca. Eh, se ci fossero stati i Grammy Awards ... A parte gli scherzi l'impegno grandioso vide altrettanto grandioso successo con repliche su repliche tra il 1724 e il 1737. Un caso più unico che raro dato che spesso in quei tempi la popolarità di un'opera lirica non durava una stagione, tano era ricca la produzione, per lo più italiana, in tutta Europa in quegli anni. Ma Handel ci credeva e pur avendo "riciclato" di fatto un libretto molto più vecchio (quello di Giacomo Francesco Bussani del 1677), scrisse musica tanto ispirata da richiedere due prime parti di rilievo assoluto, la prima diva, Francesca Cuzzoni nella parte di Cleopatra - la protagonista vera dell'opera, nominalmente dedicata nella storia a Cesare - e al contraltista Francesco Bernardi, detto il Senesino nella parte di Cesare. Le parti del canto sono otto in totale, alla prima c'erano almeno sei cantanti italiani madrelingua. L'orchestra non è leggera, con violini e viole, basso continuo, legni completi (due flauti dolci, traverso, due oboi, due fagotti), quattro corni e tromba, con parti sulla scena anche per arpa, viola da gamba e tiorba. l'opera ripresa nella prima metà del secolo scorso dopo duecento anni di abbandono conta numerose registrazioni, probabilmente quella di Handel che ne conta di più al giorno d'oggi. E naturalmente tutte le primedonne - soprani e semmosoprani - di oggi si sono cimentate o nell'opera completa o nelle arie principali che la caratterizzano. La fortuna dell'opera risiede certamente nella ricchezza melodrammatica della trama, tessuta con grande perizia da Handel con una maestosa orchestrazione inframmezzata da arie magistrali. Il risultato, consegnato alla storia, è senza pari secondo il mio punto di vista. Tra le arie più belle e fortunate dell'opera, dedicate alla parte di Cleopatra ci sono certamente la celeberrima "Piangerò la sorte mia" e "Se pietà di me non senti". Due arie in forma A-B-A col da capo che lascia all'interprete libertà espressiva con ornamenti e fioriture, richiedendone al contempo estensione, forza, cambio di registro, ora pianissimo, ora fortissimo, ora lirico, ora drammatico. In un primo momento stavo scegliendo solo la seconda ma poi riascoltandole entrambe ho deciso di usare entrambe queste due arie per un confronto tra primedonne di oggi, cantanti di grande temperamento e con voci realmente barocche per quanto ne possa capire io. Dicevo che sono innumerevoli le registrazioni di queste arie, e si capisce bene il perchè. Senza voler fare torto a nessuna cantante contemporanea, ho scelto le quattro che preferisco e in ordine rigorosamente alfabetico : Natalie Dessay Simone Kermes Magdalena Kozena Roberta Invernizzi Due parole su Francesca Cuzzoni, una delle prime dive e certamente la primadonna per Handel a Londra dove la convinse a trasferirsi per le sue stagioni teatrali in qualità di autore ed impresario con un ricchissimo contratto di 2.000 sterline, una cifra stratosferica se consideriamo che con poco più di 20.000 sterline si armava una nave di linea da battaglia della flotta inglese a metà del '700. Francesca Cuzzoni aveva 29 anni alla prima del Giulio Cesare. Viene descritta come tozza e piccola, tutt'altro che avvenente, senza grandi qualità sceniche ma con una grande estensione vocale e una voce d'angelo o da usignolo. Non particolarmente tecnica ma in grado di incantare l'uditorio. Una donna difficile da trattare dentro e fuori dal palco, passata alla notorietà anche per eventi scellerati e morta in povertà dopo che la voce le sfiorì verso i 50 anni. Per tutta la sua carrierà dovette misurarsi con i più celebri castrati (Senesino e Farinelli per esempio) e le loro straordinarie capacità tecniche. Ma anche con una rivale più attrezzata di lei sia sul piano della pura tecnica, Faustina Bordoni, un soprano capace di mettere in difficoltà gli stessi castrati, sia su quello della presenza scenica, capacità teatrali, semplice bellezza. Sono celebri due aneddoti che la riguardano - oltre alla precipitosa fuga dopo la misteriosa morte del marito a Londra - uno nel quale Handel stesso, la minacciò "fisicamente" di defenestrarla sollevandola per i fianchi verso la finestra se non avesse cantato un'aria come lui l'aveva scritta e un altro si lasciò andare in insulti scurrili sull'onorabilità della rivale (contraccambiata, ovviamente) per poi passare alle mani durante una rappresentazione in cui cantava con la Bordoni, presente una principessa della famiglia reale. Non una Cleopatra nel senso in cui la immaginiamo dopo che Elizabeth Taylor l'ha rappresentata al cinema nell'aspetto, ma certo una donna dotata di grande temperamento fuori dalle scene. Un demonio, come la epitetò Handel. E due parole sulle due arie. "Se pietà di me non senti", atto secondo, scena ottava e preceduta da un recitativo con orchestra "Che sento? Oh Dio!" che carica l'aria drammatica dell'aria che segue. Recitativo : Che sento? Oh dio! Morrà Cleopatra ancora. Anima vil, che parli mai? Deh taci! Avrò, per vendicarmi, in bellicosa parte, di Bellona in sembianza un cor di Marte. Intanto, oh Numi, voi che il ciel reggete, difendete il mio bene! Ch'egli è del seno mio conforto e speme. aria : Se pietà di me non senti, giusto ciel, io morirò. Tu da pace a' miei tormenti, o quest'alma spirerò. archi, fagotto, soprano, continuo il recitativo è attaccato all'aria e ne è il drammatico preambolo. Cesare è fuori con i soldati per rintuzzare la minaccia di Tolomeo mentre Cleopatra nel palazzo si scopre realmente innamorato di Cesare e cessa di fingere. "Piangerò la sorte mia", atto terzo, scena terza Piangerò la sorte mia, sì crudele e tanto ria, finché vita in petto avrò. Ma poi morta d'ogn'intorno il tiranno e notte e giorno fatta spettro agiterò. testo appena più articolato e di forma opposta a quella dell'aria precedente. L'aria è nella classica forma A-B-A con il B molto vivace (ultime tre versi) e i due A adagi, il da capo prevede fioriture e abbellimenti sui primi tre versi. *** Le nostre quattro primedonne ci consegnano le loro interpretazioni in età certamente più matura (a parte la più giovane, la Kozena che quando ha registrato Cleopatra aveva la stessa età della Cuzzoni) ma sicuramente nel pieno della maturità artistica. Certamente sono quattro interpreti di grande temperamento e di evidente presenza scenica. Per il confronto ho scelto registrazioni recenti o molto recenti e in particolare secondo il gusto odierno. L'opera come ho scritto è stata riscoperta solo negli anni '30 del secolo scorso ma è negli ultimi decenni a cavallo del nuovo secolo che ha rivisto nascere l'antico splendore. Il mio intento non è comunque quello di valutare una mera riproduzione immaginaria ma fedele di quella che poteva essere la performance della nostra Cuzzoni ma leggere l'interpretazione di quattro cantanti in fondo molto differenti già a partire dalla scuola e dalle origini. Due latine e due mitteleuropee, tutte con differente curriculum, carriera, ranking internazionale. Tutte legate a grandi ruoli di primo piano nella musica barocca nelle rispettive scuole interpretative - generalmente filologiche - dell'ultimo periodo. Simone Kermes : La Diva, Handel arie per Cuzzoni, 2009 "Se pietà" : 09:47 "Piangerò" : 07:21 Natalie Dessay : Cleopatra, arie dal Giulio Cesare, 2011 "Se pietà" : 09:08 "Piangerò" : 06:21 Roberta Invernizzi : Queens, arie di Handel, 2017 "Se pietà" : 10:10 compreso il recitativo "Piangerò" : 06:17 Magdalena Kozena : Giulio Cesare in Egitto, 2002 "Se pietà" : 09:21 "Piangerò" : 06:04 La Kermes idealmente per me rassomiglia di più alla Cuzzoni. E' fredda e immobile, il canto e leggero ma la voce bellissima, canta apparentemente senza sforzo. Le due arie vengono dalla registrazione in singolo e non dalle opere e questo potrebbe influire. Ma parliamo di una cantante d'esperienza consumata ed avendola ascoltata in altri dischi e in altro repertorio, sempre per lo più barocco, posso intuire che il suo sia proprio uno stile distaccata. Purtroppo non l'aiuta una dizione che spesso incespica in scivoloni tipicamente mitteleuropei. La Dessay è la più vivace sulla scena e in questo non tradisce il suo esordio come attrice. La sua Cleopatra usa gli artifici propri del suo ruolo, tanto da andare in scena con un busto che riproduce il seno nudo. La voce è più sottile delle altre ma più modulata. In generale tende ad eccedere con le fioriture, c'è molta libertà nella sua interpretazione in questo allineata ed assecondata dalla sua partner alla direzione d'orchestra, la vivace Emmanuelle Haim. Anche qui siamo in riprese dell'opera portata in scena, e questo certamente aiuta. Ma ho visto video di questa cantante che anche durante le prove, mentre legge con gli occhiali la partitura, la canta allo stesso modo e mostra temperamento ed esuberanza. La Kozena è l'unico mezzosoprano del gruppo, certamente un mezzo leggero, tanto che per lo più esegue repertorio per soprano, come in questo caso. Il suo taglio è drammatico, con una voce più di gola rispetto alle altre. L'orchestra, di scena, è possente con piena preponderanza di bassi. Canta impostato, va sugli acuti portando la melodia col tremolo. Cambia velocità e piglio nella "cadenza" con l'orchestra che la incalza e il tremolo diventa più coloratura sulle vocali finali. Ripresa ancora più in sordina della prima strofa con abbellimenti contenuti. Resta il tono molto drammatico e di grande efficacia. La Invernizzi è l'unica madrelingua del novero dizione perfetta e modula a piacere ogni sillaba, comprendendone perfettamente il significato. Ha grazia, eleganza, non ha una voce perfetta ma la sua è una passione vera quando anche una regina ritiene di non doversi contenere. *** Conclusioni. E' difficile seguire il filo di quattro - comunque notevoli - interpretazioni di arie che sono capolavori assoluti della storia dell'Opera Lirica senza ascoltarle insieme. Mentre vi invito - se volete - ad ascoltarle per conto vostro (se non avete i dischi le trovate - credo tutte - su Youtube) e non volendo assolutamente voler fare una graduatoria o esprimere giudizi di merito, concludo confermando le mie impressioni già annotate mentalmente durante i primi ascolti. Simone Kermes è regale, con una voce cristallina, ma tanto distaccata da non rendere credibile la sua parte nella regina del Mediterraneo, donna di tanta passione capace di far innamorare ogni uomo al suo cospetto. Sembra dire, dando per scontato, io son bella, e tanto ti basti. Non c'è tragedia, più delusione, non c'è indignazione, più forse un contenuto disprezzo. Natalie Dessay cerca di ammaliarci come avrebbe fatto Cleopatra, più con le sue arti che con la bellezza. E ammicca dicendo, son brava, son brava, son brava. Lo è, lo sappiamo. Forse in certi momenti lo mette anche sin troppo in mostra, però. Magdalena Kozena ... sembra effettivamente sempre una Maddalena Penitente, super-drammatica, sebbene non a livelli di isteria come quando più recentemente ha interpretato ... effettivamente la Maddalena nella Passione di Bach con il marito alla direzione. Tocca, certamente. Sembra che da un momento all'altro ci possa penetrare il petto con un pugnale, più che uno stiletto. Ammetto che 10 anni fa mi ha molto colpito. Adesso un pò meno, però. Roberta Invernizzi è una Cleopatra molto personale. Dignitosa come una regina ma appassionata come una donna. Capace di avvolgere la musica con le sue parole, portando la musica di Handel ad un livello superiore di comprensione. Non è una tragedia consumata, c'è la rassegnazione di chi ha dovuto giocare un ruolo datole dal destino, ed ha perso. Certamente é una donna che ha vissuto, amato, sofferto. Non è la perfezione, non ci può essere perfezione nell'interpretazione personale, guai ci fosse, ci sarà sempre qualche cosa da dire in futuro. Ma è quanto di più toccante io possa dire di aver sentito sinora, senza al contempo indulgere in autocompiacimento o voglia di apparire. Però qui mi fermo e lascio a voi ulteriori argomentazioni.
  2. Il Concerto per violino e orchestra Op. 35 di Chaikovsky è donna ? Si direbbe di si a vedere le ultime interpretazioni disponibili sul mercato. A quelle "storiche" della Mutter, della Mullova e della Kyung Wha Chung, aggiungiamo : Patrizia Kopatchinskaya, 2016 Lisa Batiashvili, 2017 Julia Fischer, 2007 Nicola Benedetti, 2011 Vilde Frang, 2012 Baiba Skride, 2008 Janine Jansen, 2008 Hilary Hahn, 2011 Arabella Steinbacher, 2015 Susanna Yoko Henkel, 2012 Akiko Sawanai, 2001 e sicuramente qualche altra edizione mi è sfuggita (considerando solo questo secolo !). Una bella scelta di cui magari approfondiremo altre interpretazioni in futuro e per non restare ai classici, tipo Heifetz-Barbirolli 1937 Modificato 7 Dicembre 2017 da Hannes
  3. Una premessa a carattere personale. Non amo particolarmente il violino. E' troppo piccolo e suona in una gamma di frequenze cui io sono sensibilissimo. In più, per le sue caratteristiche, chi lo suona, per trarne il meglio, deve avere caratteri che io in genere non apprezzo. Poi, penso la stessa cosa dell'oboe, del sax soprano e ... dei soprani in genere. Dipenderà dalla gamma di frequenze. In ogni caso, ovviamente apprezzo molta musica per violino e in particolar modo i grandi concerti per Violino e Orchestra, a cominciare da quello di Beethoven per finire con quello di Britten passando per quello di Sibelius. Giusto per mettere le cose in chiaro, questo non è il mio terreno ideale. In questa occasione metterò a confronto l'interpretazione recente del grande Concerto per Violino e Orchestra di Chaikovsky che è certamente tra le mie composizioni preferite (per violino e dell'autore). Sarebbe facile (ma inutile, non trovate ?) parlare di Heifetz o di Oistrakh. E invece, no, due giovani interpreti dell'ultima generazione in piena carriera concertistica. Solo due parole su questo concerto. Petja lo ha scritto appena dopo la tragica esperienza del matrimonio. Una esperienza che probabilmente sottovalutò e che lo segnò profondamente. Il concerto è stato scritto dopo la separazione (formale) dalla moglie e durante un soggiorno in Svizzera. Il compositore non conosceva lo strumento e il concerto sin da subito si è rivelato piuttosto ostico per i violinisti contemporanei che ne rifiutarono l'esecuzione. Evidentemente con il tempo le cose sono cambiate. La tecnica, l'insegnamento e gli strumenti sono progrediti e adesso è normalmente in cartellone anche e soprattutto da parte delle agguerrite violiniste dell'ultima generazione. Tutta la composizione sembra scritta sulla lama di una sciabola che delimita i confini dell'amarezza e della gioia liberatoria. Confini che restano labili per tutta la durata dei 35 minuti circa dei tre movimenti che è in tonalità Re maggiore ma spesso tutt'altro che trionfale come pretenderebbe tale tonalità. A tratti il solista suona sopra il pieno dell'orchestra ("fa strillare lo strumento" come ebbe modo di scrivere la critica dell'epoca) e comunque non ci sono momenti di pausa (pensiamo al rapporto invece tra orchestra e violino dei concerti di Beethoven o di Brahms) o di relax. Il movimento centrale è un delicato cantabile con il violino che danza e ricama, sopra gli arpeggi di legni ed archi, quasi pattinasse. Il finale è esplosivo improvviso - non c'è pausa con il movimento lento - e liberatorio. Amarezza e malinconia (quasi) scomparse. Nel concerto ci sono due cadenze molto impegnative. E sia nel primo che nell'ultimo movimento svariati assoli del solista. Patrizia, l'elfo con il violino Patrizia Kopatchinskaja MUSICAETERNA Teodor Currentzis Patrizia Kopatchinskaja e Chaikovsky dalle foto dell'album, un servizio fotografico sul "matrimonio" tra i protagonisti del disco in puro stile della russia zarista un momento dell'interpretazione del concerto dal vivo nel 2014. Come se Patrizia avesse bisogno di essere incitata da Teodor ! Patrizia è del 1977. Viene dalla Moldavia e la sua famiglia è abituata a suonare in gruppo musica popolare. Viene sul palco a piedi nudi con i suoi camicioni e la sua personalità straripante si riversa sull'orchestra e sul pubblico. Non si ferma un istante, con l'espressione del volto rafforza quello che sta suonando e parla, parla, parla anche quando non può parlare. Allora lo fa con gli occhi. Parla con il direttore, parla con gli altri musicisti (sovente si volta dalla loro parte, quasi a chiamarli e incitarli), parla con il pubblico. Queste sue qualità istrioniche si riflettono nella sua musica. Il suo modo di suonare è libero e cerca per quanto possibile di scegliersi partner con le stesse qualità. Di recente ha collaborato con la Saint Paul Chamber Orchestra, dove tutti, chi più chi meno, improvvisano, suonando in piedi. L'unione con personalità forti e ricche come Fazil Say o, in questo caso, Teodor Currentzis mette sull'avviso l'ascoltatore. Currentzis e il suo complesso hanno come programma quello di rinnovare l'interpretazione di musiche un pò sopite - a loro modo di pensare - coinvolgendo il pubblico ed emozionandolo. Nessuna combinazione potrebbe essere più esplosiva di quanto si sente in questo concerto. Per confronto, la stessa Kopatchinskaja nello stesso concerto e con la direzione di un musicista molto ortodosso come Fedoseyev e un'orchestra russa dedicata all'autore, sembra mordere il freno. Tempi lenti, senza accelerazioni, il direttore che la guarda quasi ad ammonirla. Non combinare guai come tuo solito. Ma con Currentzis le cose vanno all'opposto. Altro che freni, dacci dentro. E si sentono le scintille. Il suono è modulato in ogni nota, i tempi cambiano dentro ogni frase. Gli accenti, ora i sussurri, ora gli strilli. Scene da un matrimonio ? Fatto sta che la prima volta che ho ascoltato questa interpretazione ho esclamato : ma questa mi sta a pigliare per il culo ! Accelera, decelera, a tratti non la si sente e un momento dopo esplode. E quello là - il direttore - che la fa correre ancora di più. E la cadenza ? Arcate e pause. Pause, arcate e pause. Accenni. Riprese. Sibili. Pause e sincopi. Ma quale Chaikovsky ? Denso di passione fino all'impossibile, all'ultimo viene da alzarsi in piedi per ... ? Applaudire o lanciare broccoli e pomodori ? Perciò l'ho lasciato sedimentare per un pò di mesi. L'ho riascoltato dopo aver risentito tutte le versioni che ho. Milstein, Heifetz, Perlman, Vengerov, Jansen, Fischer ... Niente, non ce un'altra interpretazione come questa. Estremo, eppure una boccata d'aria. Di forza, di vita. Di gioia di vivere e di fare musica insieme. Non vi piacerà, lo so. Ma io adoro Patrizia e ve lo raccomando comunque. Solo ascoltatelo con lo spirito ironico e appassionato con cui lo hanno inciso loro. Poi mettetelo via. Prendete la vostra versione di riferimento. Ascoltate quella. Prendete l'ultima incisione disponibile sul mercato. Ascoltate anche quella. Poi risentite Patrizia. E ditemi che sarebbe successo se l'avesse conosciuta Chaikovsky Nicola, la danzatrice sull'acqua Nicola Benedetti Czech Philarmonic Orchestra Jakub Hrusa Decca Nicola Benedetti (per noi italiani è difficile immaginare che non sia un violinista maschio, pugliese con quel nome proprio) è figlia di un italiano e di una scozzese. E' cresciuta in Scozia, ha studiato in Inghilterra, nelle migliori scuole (Menuhin School ma con una maestra di scuola moscovita che ha preparato anche Alina Imbragimova e Corina Belcea, quindi una GRANDE maestra). E' del 1987 e per i suoi meriti musicali ha ricevuto la medaglia dalla Regina Elisabetta II. In generale ascolto con preconcetto i dischi che recano in copertina belle ragazze sorridenti. E' facile che il contenuto sia differente. Ma è un preconcetto che in questo caso non vale. La violista ha mezzi notevoli e suona con piglio, personalità e con grazia. Durante il concerto - accompagnata da una delle più belle orchestre del mondo e con una guida all'altezza - è padrona della scena in ogni momento. Sembra che danzi senza mai forzare. L'interpretazione - a giudizio di uno che di violino (lo dicevo) ne capisce poco - è semplicemente perfetta. In perfetta scuola russa. E per dominare un testo come questo, di personalità e carattere ce ne vogliono tanti. Non chiediamole di aggiungere altro che buon gusto, grazia e tecnica sopraffina. E ricordiamoci che c'è anche sangue italiano nel cuore di quel suono terso e appassionante. Conclusioni Naturalmente ci sono le grandi interpretazioni del passato. Ogni grande violinisti di ogni epoca ha in repertorio questo concerto da 120 anni e più. Accantoniamole e concentriamoci su queste. Oggi il concerto per violino di Chaikovsky è donna. E qui abbiamo due delle interpretazioni più interessanti, appassionanti e vivaci disponibili. Patrizia mi affascina in ogni nota, mi sorprende, mi coinvolge, mi incuriosisce. Ma Nicola, nel pieno rispetto della tradizione, riesce a trovare sonorità che a tratti mi commuovono. Avendole entrambe, perchè non ascoltarle a seconda dei momenti ? Pareggio meritato, con merito per entrambe
  4. Metto le mani avanti, non vorrei che sparaste su di me, anzichè sul tradizionale pianista, non sono qui per farvi perdere tempo ma questo "Confronto" non è esattamente sulle due interpretazioni del celeberrimo e hollywoodiano secondo concerto di Rachmaninov ma su due prodotti confezionati per il mercato discografico del 2017. Leggevo ieri un editoriale di un quotidiano nazionale in cui si esamina lo stato dell'andamento degli incassi al botteghino del cinema americano. Il prodotto perdente è quello che invece è stato tradizionalmente quello vincente, il maschio bianco indipendente e sicuro di se. Mentre è vincente il prodotto al femminile con Wonder Woman- Gal Gadot e l'ultima Jedi - Daisy Ridley a farla da padrone. Due belle, giovani, forti e vincenti, non americane, donne. E così pare che continuerà per il 2018, con una larga messe di vittorie ai Golden Globe e agli Oscar. E pensavo quanto non sia dissimile il panorama discografico dove l'elemento visuale si scontra con una fruzione che per lo più é audio. Ma sanno bene Universal (marchio cinematogravico che possiede tra gli altri Decca) e Sony (attigua a Sony Picture e Columbia) come si debba fare per raggiungere determinati target di vendite. Non che si debba tirare sul pianista bianco e maschio (però non mi vengono in mente in questo momento pianisti neri noti al grande pubblico in campo classico) perchè lo fa già da se. Il panorama è ancora dominato da attempati vecchioni, che si ostinano ad occupare spazio discografico che potrebbe essere liberato per chi abbia qualche cosa di nuovo da dire (non fatemi dire i nomi, li avete li sulla punta della lingua) mentre i giovanotti si rivelano spesso fuochi di paglia e false promesse. Non sono di primissimo pelo le due protagoniste di questa sfida ma se possiamo considerare a tutto titolo una superstar, la mitica Kathia Buniatishvili, è praticamente una recluta la "nostra" Vanessa Benelli Mosell. Che il prodotto discografico sia improntato sulle due giovani più che sul programma, lo dimostrano anche le seconde copertine (vi risparmio le foto interne, alcune veramente oltre misura) dove Kathia per una volta lascia gli sgargianti abiti con cui fascia le sue prosperose forme, generosamente concesse al pubblico nei suoi concerti, per vestirsi di mistero con un trench nero, in una atmosfera ferroviaria, che richiama alla mente fughe notturne lontane dai bolscevichi. più semplici quelle che evidenziano i tratti di Vanessa, in bianco e nero sul lato B in contrasto con il colore glamorous della copertina aggiungiamo un programma differente ma incentrato sul compositore dei pianisti, Rachmaninov, con due dei suoi concerti più proposti nella storia. Voi lo sapete, non è necessario che ve lo ricordi, ci sono due tipi di concerto per pianoforte. Quelli scritti da un pianista per mettere in evidenze le sue doti di pianista (è il caso di gran parte di quelli di Mozart, ad esempio, dei primi tre di Beethoven, di quelli di Chopin e di Liszt e, appunto di quelli di Rachmaninov) e quelli scritti da un compositore che sa sfrutturare il contrasto tra pianoforte e orchestra per andare oltre il lato puramente sinfonico, estetico o quello semplicemente solistico (è il caso dei due concerti di Brahms, di quello di Schumann, di quelli di Shostakovich e di Prokofiev, tra gli altri). Quindi non c'è niente di meglio per confezionare il prodotto da vendere delle due majors che inserire dentro a copertine stuzzicanti un programma semplicente pianistico come è questo caso che possa raggiungere anche i palati meno raffinati. Mi fermo qui in questo lungo preambolo, mi scuserete, concluderò il mio pensiero dopo la recensione delle due prove. Rachmaninov Concerto per Pianoforte e Orchestra No. 2 in Do minore, Op. 18 Variazioni "Corelli" Vanessa Benelli Mosell accompagnata dalla London Philarmonic Orchestra diretta da Kirilli Karabits. Decca 2017 Vanessa Benelli Mosell è una pianista italiana che si è perfezionata all'estero. Le sue performance con le musiche di Stockhausen hanno suscitato l'interesse dell'autore stesso che l'ha chiamata a se per perfezionarne l'interpretazione prima di morire. Ha già diversi dischi all'attivo, uno dei quali dedicato ad uno strano incrocio tra Stockhaseun e Skriabin e uno recentissimo dedicato a Debussy, sempre di Decca. Ho ascoltato il primo e devo dire che la tecnica - precoce, possiamo considerarla certamente una enfant-prodige che suona in pubblico dall'infanzia e che a 30 anni sul piano tecnico non ha più nulla da imparare - é sopraffina. Ma mentre non posso dire nulla sui lavori di Stockhausen che per me potrebbero essere il sottoprodotto della messa a punto di un programma di calcolo basato su predizioni casuali, il suo Skriabin manca completamente di coinvolgimento e di profondità. Il disco di cui ci occupiamo, sostanzialmente ben suonato (ma pessimante registrato, neanche fosse autoprodotto in economia o subappaltato per risparmiare e non il progetto di un marchio storico come Decca) conferma il mio primo pensiero. E' una pianista che certamente si farà se avrà modo e tempo di dedicarsi a quello che le piace di più e se l'inserimento nello star-system cui pare la vogliano ficcare a forza, non le farà mancare gli stimoli necessari. A differenza della Buniatishvili non è qui per stupirci con tempi e ottave sensazionali, ha il giusto approccio a partiture che fino a pochi anni fa erano alla portata di pochissime donne e di pochi uomini ben sviluppati sul piano fisico. Sembra preparare i passaggi con la giusta enfasi ma poi manca nel dunque. Lo stesso nelle Variazioni "Corelli", lavoro che potrebbe mettere in luce qualità differenti in un pianista ma che Vanessa sembra esegua più che altro per impegni contrattuali. La vedremo, spero, prossimamente, con un repertorio tedesco magari a lei (e a me) più congeniale. Rachmaninov Concerto per Pianoforte e Orchestra No. 2 in Do minore, Op. 18 Concerto per Pianoforte e Orchestra No. 3 in Re minore, Op. 30 Khatia Buniatishvili accompagnata dalla Orchestra Filarmonica Ceca, diretta da Paavo Järvi. Sony Classical 2017 La pianista georgiana ritorna alla registrazione con l'orchestra dopo quattro anni di emissioni puramente solistiche. L'ultimo che mi ricordo - terribile - Motherland, non mi ha lasciato un ricordo indelebilmente positivo. Ma naturalmente non è stata assente dalle scene, facendosi accompagnare da grandi direttori d'orchestra sui palchi di tutto il mondo. In questa prova c'è l'eccellente Paavo Jarvi con la grande orchestra Filarmonica Ceca nel compito di tenere a freno la forza della nostra protagonista. Sui mezzi di Kathia non c'è molto da dire, la tecnica è eccezionale tanto da poter mettere ottave degne di Horowitz in cavalli di battaglia come questi. Purtroppo - e questa è una conferma alla regola - la sua forza e "prepotenza" è sempre tale da considerare ogni sua esibizione - dal vivo, video, come in disco - come se fosse una battaglia, una corsa in cui conta solo arrivare in fondo senza fare errori. I tempi quindi vanno al servizio della capacità di non steccare mai ma senza andare a fondo di una trama che, purtroppo, in questi due concerti è anche difficile da trovare, sebbene si possano trovare grandi interpretazioni altrove. Riesce a salvare dal disastro il consumato valore di Jarvi che in alcune circostanze impedisce alla pianista di sollecitare l'orchestra ad un parossismo che avrebbe conseguenze difficili da recuperare. Ne viene fuori comunque una performance di carattere, che risulterà godibile per chi non conosce molto a fondo questa musica o per chi ama questa pianista. Sentire come disbriga i passaggi più impegnativi la Buniatishvili è sempre uno spasso. E ovviamente lei sceglie le cadenze più difficili e mentre chiude un passaggio si volta soddisfatta dalla parte dell'orchestra e del direttore (cfr. video con Zubin Metha al festival della Georgia dove si è esibita di recente). Il confronto che mi viene spontaneo - e restiamo quindi nel tema di queste tigri della tastiera - è con la coetanea cino-americana Yuja Wang, che esibisce la stessa forza e la stessa veemenza - pur con leve decisamente meno potenti - ma che alla prova del nove, dove conta il calore e l'espressione, riesce a trovare cose che probabilmente la georgiana non sa nemmeno che esistono. Sarebbe stata una splendida decatleta, è un peccato che in fondo tutta questa forza sia difficile da incanalare per avere risultati duraturi nel mondo della musica. Parafrasando il Professor Rattalino - ai tempi lo scrisse della ben più elevata Martha Argerich che mi pare di ricordare abbia in simpatia la Buniatishvili - speriamo che in futuro perda un pò di questa energia e riesca a trovare spazio nella propria agenda di impegni in giro per i palcoscenici per farci sentire della vera musica. Finora io l'ho trovata interessante solo - guarda caso - in una esibizione a quattro mani con la più raffinata Wang In estrema sintesi, un disco per i veri fan di questa pianista che credo vinca alla grande e con distacco il confronto con l'italiana cui questo repertorio credo non dica molto sul piano personale. *** Che dire per concludere ? Nella sfida - ti piace vincere facile ? - ha la meglio, e facilmente, la Buniatishvili. Ma la sua è secondo me, una vittoria di Pirro. La Benelli Mosell avrebbe ben altro da serbarci, nel suo repertorio, se trovasse la grinta e la forza che un'altra pianista nostrana - Beatriche Rana - sta mostrando, con prove più personali e con un carattere che la differenza di età apparentemente dovrebbe far prevalere al contrario. Chi perde è il panorama discografico, con prodotti sostanzialmente superflui come questi, come si troverà spazio per altro, di meglio ? Per fortuna l'esperimento similare, portato a termine con l'ultima generazione di belle e vivaci violinista, ha la fortuna di poter contare su una qualità di offerta superiore, perchè ci sono molte violiniste di carattere e con una sensibilità raffinata (cito a caso Jansen, Faust, Kopatchisnkaya, Fischer, Ibragimova, Frang per non dimenticare Lisa Batiashvili che pur georgiana, non è nemmeno cugina di Kathia) che già senza timore di sembrare blasfemi, producono prove all'altezza delle migliori interpretazioni del passato. E tutto questo A DISPETTO di patinate copertine. Il pianoforte evidentemente richiede più tempo. Speriamo.
  5. M&M

    Nuova Nikon Z fc

    Ricordiamoci che in settembre verrà distribuito anche questo "necessorio" : Nikon GR-1 che io ho già ordinato.
  6. M&M

    Prossime Nikon : facciamo chiarezza

    La N2014 ha il GNSS integrato
  7. Tokyo, Pallanuoto, Jeff Cable, USA Canon EOS R3 + Canon 200-400/4 TC
  8. E potendo scegliere ? Sabi, Dorka, Edit, Mia ?
  9. Meglio così perché so per certo che diverse modelle aspettano di essere fotografate da te
  10. La vita è bella Gabriele ! Sempre e comunque.
  11. Bene Silvano. Però non ci hai spiegato da cosa derivi la tua necessità di avere la possibilità di selezionare la prima tendina dell'otturatore meccanico, anziché affidarti alla macchina.
  12. Io vorrei che Nikon continuasse a distinguersi a questo modo, cioè mantenendo una mappa di cosa sarà proposto in materia di obiettivi nel prossimo periodo in modo preciso e impegnandosi a rispettare il piano di immissione sul mercato. Sarebbe un modo abbastanza economico anche se impegnativo in termini di marketing, di mantenere il contatto con la clientela che la sta seguendo in questa avventura mirrorless. Dando anche un segnale importante a chi resta alla porta, dubbioso. Ma in particolare per quanto mi riguarda, sarebbe importante sapere che altro verrà proposto nel breve-medio periodo - arco di 3 anni al massimo - per orientarmi nei miei acquisti. Mi spiego meglio. In roadmap ci sono due obiettivi che ancora mi interessano. L'85/1.2 e il 200-600/5.6-6.3. Ma se nella roadmap di ottobre/dicembre comparissero anche un 105/1.4 da ritratto e un 180-400/4 con TC integrato o un supertele Z PF, tipo l'agognato 600/5.6 o un 400/4 con TC integrato, beh, decisamente aspetterei quelli L'85mm non è più una focale che uso spesso e tutto sommato l'85/1.8 mi basta. Mentre il 200-600 come gamma di focali mi attira. Ma se ci fosse un obiettivo di fascia superiore con prerogative migliori, mi orienterei diversamente In questo senso, sapere cosa uscirà, permette di pianificare meglio gli acquisti, risparmiando tappe intermedie non del tutto allineate con i propri bisogni con il relativo "spreco" di risorse meglio allocabili anche se su spese superiori.
  13. ultima "roadmap" Nikkor Z disponibile aggiornata con le ultime novità di giugno. Secondo le promesse Nikon porterà a compimento questa lista di obiettivi entro l'anno o, al massimo entro marzo 2022. Con l'uscita degli obiettivi elencati e, quasi certamente, con un altro paio di corpi Nikon Z, Nikon avrà un sistema già piuttosto maturo anche se per niente completo. Concentrandoci sul fronte obiettivi, Nikon potrebbe decidere di mantenere la roadmap anche per il futuro, aggiornandola anche dopo il completamento di questo programma. Ma sarebbe sostanzialmente l'unica a farlo, perchè nessuna delle concorrenti lo fa allo stesso modo. Quindi potremmo vedere continuare gli annunci ma senza un quadro sinottico di cosa attenderci nei prossimi anni. A voi farebbe piacere che Nikon mantenesse questo genere di approccio, oppure no ? Rispondete al sondaggio semplice semplice che vi proponiamo. E, se volete, aggiungete nei commenti che obiettivi vorreste che Nikon proponesse nel triennio 2022-2024, spiegando però chiaramente perchè li vorreste e perchè non vi basta ciò che ci è già stato già promesso. Grazie. ______________ M&M
  14. Direi che possiamo affermare, come dicono gli anglosassoni, che la prova sta nel pudding. Ovvero che il deludente andamento dei contest in corso (quello appena conclusosi e gli altri aperti da tempo e con partecipazione al minimo "sindacale") non abbia altre scusanti, che non il sostanziale disinteresse. Da settembre ci sarà un ultimo tentativo con il tema libero a rotazione settimanale (la foto della settimana). Se anche quell'esperimento non andrà in porto, non date come al solito, la colpa all'Admin che su questo versante si è speso oltre le sue inclinazioni
  15. Vivaldi : Argippo RV Anh. 137 Opera-pasticcio con arie di Pescetti, Hasse, Porpora, Galeazzi, Fiorè e Vinci e Libretto di Domenico Lalli Prima rappresentazione al Teatro Sporck, Praga, 1730 Manoscritto rinvenuto a Darmsdt nel 2011 e questa è la prima esecuzione integrale nell'edizione critica redata nel 2019 da Bernardo Ticci Emőke Baráth soprano ARGIPPO Marie Lys soprano OSIRA Delphine Galou contralto ZANAIDA Marianna Pizzolato contralto SILVERO Luigi De Donato basso TISIFARO Europa Galante Fabio Biondi direttore Naive 2020, vivaldi edition vol.64 opere teatrali, formato HD, via Qobuz, 49 tracce per 2 ore e 2 minuti *** Abbiamo molte tracce di quest'opera ma nessuna certezza. Esistono due copie dei libretti e la commissione ma quanto di Vivaldi e quanto delle altre firme ci sia in questa composizione non si sa. Quella che ascoltiamo, inserita nella benemerita monumentale raccolta dedicata a Vivaldi da Naive al volume 64 è la ricostruzione di Bernardo Ticci del 2019 di quello che in realtà è un pasticcio di Vivaldi perduto , creato nel 1730 per l'impresario veneziano Antonio Peruzzi da mettere in scena a Vienna e Praga. La vicenda e la trama sono deboli e sinceramente imbarazzanti (Bengala, Gran Mogol, figlia disonorata, rogo e via spropositando) e se non fosse per lo sforzo grandioso di Fabio Biondi che da vita ad ogni singola nota dell'opera neanche fosse l'Oratorio di Natale di Bach e la qualità del cast non sarebbe particolarmente degno di nota. Ma c'è tanta di quella vita in queste arie e persino nei recitativi, se si resiste ad un leggero moto di repulsione dopo la bella sinfonia iniziale. Certo arrivare al terzo atto conclusivo é difficile ma si riesce, proprio per la qualità della compagine impegnata e per tutte le bollicine effervescenti che il grande Biondi riesce a spruzzare ovunque. Brani salienti (secondo me). Atto 3, scena 2 : Vado a morir per te (Osira) di Andrea Stefano Fiorè Melodrammatica ma intensa, forse la più elevata ispirazione dell'intera opera qui portata con forza e passione da Marie Lys Atto 3, scena 3 : Vi sarà stella clemente (Argippo) altrettanto delicata ed apprezzabile Atto 3, scena 5 : Se la bella tortorella (Silvero) E' una vera gemma con l'accompagnamento del violino di Biondo che improvvisa, fiorisce, arricchisce la parte cantata con in sottofondo la tiorba. E Marianna Pizzolato qui è un credilissimo contraltista ma tutta la sua parte rende Silvero persino simpatico, pur essendo il cattivo dell'opera. Atto 1, scena 1 : Se lento ancora il fulmine (Zanaida) Riconoscibilissimo Vivaldi in questa aria portata in disco da Cecilia Bartoli qualche tempo fa e qui sinceramente "doppiata" da Delphine Galou che nel timbro ricorda l'italiana ma rispetto a quella ha più modulazione, più coloritura e con un tono ben più pieno, capace certo anche in scena e non solo in disco. Atto 1, scena 4 : Anche in mezzo a perigliosa (Argippo). Anche questa aria ripresa dalla Bartoli. Aria di bravura con trilli ed acuti estremi. La Barath la rende al meglio. Complessivamente una prova eccellente. Resta un'opera non memorabile, per questo dimenticata ma nelle mani di Fabio Biondi e dell'Europa Galante siamo tornati alla corte Imperiale Asburgica in quel 1730. Ve la consiglio anche oltre la semplice curiosità. Queste registrazioni Naive non sono sempre all'altezza dello sforzo degli artisti. Qui siamo nella media.
  16. Handel : Saul HMV 53 Philarmonia Baroque Orchestra & Chorale diretta da Nicholas McGegan Performance dal vivo 2019, pubblicata il 5 giugno 2020, formato 192/24, ascoltata via Qobuz *** Saul non è un'opera lirica, è un oratorio. Ma non è un oratorio come il Messiah, per nulla. Si, la rappresentazione è in forma di concerto, i cantanti leggono le parti, non ci sono scene. Ma se i temi sono biblici - Giudea, Re Saul, il futuro Re David, i filistei e la guerra con Israele - la vicenda è tutt'altro che religiosa, anzi. Ma all'epoca il pubblico londinese ne aveva le tasche piene dell'opera lirica drammatica all'italiana e soprattutto, delle star canore italiane e delle loro bizze. Di qui la serie di oratori di Handel che inseguiva il gusto del suo pubblico pagante da buon impresario e produttore. Vicende bibliche dense di dramma, spesso di morte, tradimento, intrighi, gelosie, amori felici e meno felici. Insomma tutti gli ingredienti dell'opera liriche, per cui io metto questo genere al confine, formalmente oratori (per la forma, la grande presenza del coro e delle corali, decisamente più invadenti che nelle opere liriche, più giocate su recitativi e arie) Qui i recitativi sono del tutto tagliati, sinceramente non so se ci fossero in origine, ma non credo. McGegan comunque ha contenuto in 2 ore e 20 il tutto, forse pensando al suo, di pubblico, quello americano del Walt Disney Concert Hall di Los Angeles dove è stata ripresa dal vivo quest'opera. La compagine è di primo livello anche se lontana dalla quotidianità di noi europei. E segna anche la fine del lungo sodalizio del britannico purosangue McGegan con la Philarmonia Baroque Orchestra che ha portato ad alti livelli nel repertorio di inizio settecento. L'organico strumentale è sontuoso, praticamente tutto su strumenti contemporanei con Handel. Abbiamo doppio accompagnamento con cembalo e organo (all'organo il cembalista Jory Vinikour, interprete a sua volta di dischi solistici barocchi). Nonostante la vicenda un pò pesante, il tono di McGegan è al solito resta leggero. Anche la celebre marcia funebre del terzo atto che accompagna Saul nel regno dell'aldilà e che ha fatto lo stesso con statisti nel corso della storia, inclusi George Washingon e Wiston Churchill, è resa con toni non troppo scuri. E nel complesso il direttore resta fedele a se stesso. Insomma se non seguiamo i testi, continua a non essere il Messiah, non ci sono i bambini, ma è quell'Handel. Edizione degna di essere tenuta in considerazione e che vi suggerisco di ascoltare se vi interessa questo repertorio. La registrazione è dal vivo, registrata con qualità adeguata ma ad un livello un filo troppo basso e con qualche strumento particolare (tipo il trombone) che si perde nel tutti. Applausi, finali, meritati, per questi americani impegnati a questo livello nel barocco inglese, a volte un pò acerbi e magari un pochino sguaiati ma genuini come sempre.
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