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happygiraffe

Nikonlander Veterano
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  1. Japanese Breakfast: Jubilee. Album Pop/Rock decisamente godibile e divertente. Una boccata d'aria fresca. I vari siti di musica lo mettono tra i migliori dischi del 2021.
  2. Il gain è su low (HL= Headophone, Low gain). Ho provato a metterlo su high, ma è eccessivo. Sì, ho visto che aggiungendo due ponticelli si ottiene un suono più caldo, ma mi pare già piuttosto caldo così. Questo R2R-11 ha un carattere decisamente diverso rispetto al cuginone Master 11. Intanto proseguo con il rodaggio. Kingwa raccomanda 500 ore...
  3. Sono contento che ti sia piaciuto. Questi due li conosci?
  4. Già dalle prime impressioni, l'upgrade rispetto al sistema che utilizzavo in precedenza, DAC+ ampli separati con costo comparabile all'audio-gd, è notevole. Sembra di passare dalla notte al giorno o di utilizzare un sistema di valore 10 volte superiore.
  5. Appena consegnata dal corriere questa nuova verione del DAC/Pre/Ampli cuffia R2R-11 di Audio-GD. Questo mk2 è stato significativamente cambiato rispetto alla versione precedente. Lo userò come DAC+Ampli cuffia da scrivania per ascoltare la musica quando lavoro al pc. Ne riparlerò meglio quando avrà fatto un po' di rodaggio
  6. Decisamente più vivace l’ultimo disco di Dr.Lonnie Smith. Ultimo in tutti i sensi, perché Smith è mancato a settembre del 2021. Dr Lonnie Smith fu un grande dell’Hammond B-3. Nella prima traccia come cantante troviamo addirittura Iggy Pop. Se vi piace il jazz-funk, qui troverete di che divertirvi.
  7. Molto raffinato e spirituale, ma in questo momento lo trovo…soporifero. Bel disco, però.
  8. E questa la mia presentazione sul sito: Da bambino mi mettevo in piedi sul divano e dirigevo i Berliner Philarmoniker nella quinta di Beethoven al posto di Karajan. Crescendo mi misi a suonare il pianoforte pensando di essere Richter. Poi, purtroppo o per fortuna, l'età adulta mi ha portato lontano dai miei sogni di bambino e oggi mi occupo di quanto di più lontano ci possa essere dalla musica o dalle arti in generale. E' rimasto l'amore per la musica, soprattutto classica, per i dischi e, quando si presenta l'occasione, per la musica ascoltata dal vivo. Per fortuna, rispetto all'epoca di quando ero bambino, la tecnologia ha fatto qualche passo avanti: oggi si può accedere facilmente e in modo più economico a un archivio sterminato di dischi di ogni epoca e al tempo stesso i mezzi di riproduzione della musica sono infinitamente migliori e permettono di realizzare ottimi impianti con cifre assolutamente impensabili fino a pochi anni fa. Le audiocassette e i vinili sono oggetti che lascio volentieri agli amanti del vintage: ormai la mia collezione di dischi è tutta in formato liquido su un hard disc, quando è possibile in HD. In ambito musicale le mie preferenze vanno al repertorio pianistico e cameristico romantico e novecentesco, ma sono curioso per natura e non mi pongo limiti. Adoro Bach, Mozart e Beethoven. Mi piace l'opera (da Mozart a Strauss), ma non ho occasioni di ascoltarla dal vivo, per cui non la frequento più di tanto. Schumann e Brahms i miei eroi, ma anche Chopin e Liszt, che ho cominciato ad apprezzare da poco. E poi Debussy e Ravel, se capita anche Berg, Webern e Schoenberg, poi Bartòk, Prokofiev, Shostakovich. La musica del secondo novecento e contemporanea l'ho frequentata in passato, oggi molto meno. Tendo a prediligere compositori che abbiano mantenuto un linguaggio ancora fruibile per un ascoltatore che non abbia un diploma di composizione e tra questi penso all'ungherese Kurtàg. Con la musica sinfonica ho un rapporto un po' conflittuale, con la musica vocale ancora di più, a meno che non ci sia un baritono a cantarla. Se mi chiedessero di scegliere tre composizioni da portare sull'isola deserta, non avrei dubbi. Ne sceglierei una sola: le Nozze di Figaro! In realtà, come vi sarete accorti, non ascolto solo musica classica, ma anche tanto jazz e musica rock, alt-rock, pop, etc, da Otis Redding ai Radiohead.
  9. Kamasi Washington, la cosa più bella che ci abbia regalato il jazz in questi anni. La prima volta che l'ho ascoltato è stato un choc che mi ha riportato indietro nel tempo al mio primo ascolto di "A love supreme" di Coltrane. Nella sua musica si ritrovano influenze di Coltrane, appunto, Pharoah Sanders, Gato Barbieri, Sun-Ra, Weather Report e molto altro. Questa traccia, molto godibile, è contenuta nel monumentale album di debutto, The Epic, un capolavoro in tre dischi di una potenza devastante.
  10. Un disco decisamente notturno e malinconico. Una delle ultime pubblicazioni del grandissimo bassista Charlie Haden, qui in compagnia del bravo pianista cubano Gonzalo Rubalcaba.
  11. Ossignore, questo disco è fantastico! Sto ascoltando il quarto concerto per pianoforte di Nikolai Kapustin, compositore, pianista e jazzista russo, scomparso nel 2020. Giustamente Frank Dupree lo definisce il Gershwin moscovita. Il resto devo ascoltarlo, ma questo concerto per pianoforte è davvero sorprendente, divertente e pieno di gioia!
  12. Bruce Liu è il vincitore dell'ultimo concorso Chopin, che si è tenuto poco tempo fa. DG pubblica questo album con una selezione di pezzi registrati dal vivo durante il concorso. Beh, è un bellissimo recital chopianiano. Liu suona in maniera raffinata ed elegante e, soprattutto, con molto carisma. Lo aspetto con interesse alla prima vera prova discografica.
  13. Schubert, sonate per pianoforte D840 e D960. Jean-Marc Luisada La dolce volta, 2021. *** Non ho mai amato il pianista francese Jean-Marc Luisada, che identifico con uno stile affettato, volto a impreziosire e evidenziare ogni minimo dettaglio della partitura, ma incapace di coprenderne la struttura più ampia. Mi sono dovuto ricredere ascoltando questa bellissima interpretazione della sonata D960 di Schubert, vivace, fresca e mai monotona (stiamo parlando di un'opera che dura più di 40 minuti e di Schubert, mica Beethoven). Spettacolare anche la qualità dell'incisione. Chapeau!
  14. Eh, ecco dov'era finita! Purtroppo questo cofanetto non è disponibile online. Questo era il vinile originario, in due dischi: Mi vengono i brividi all'idea di dover spezzare un unico movimento di 80 minuti su quattro facciate...così, giusto per lanciare un'amichevole frecciata agli amanti del vinile
  15. Dmitri Shostakovich, 24 Preludi e Fughe Op.87. Ronald Stevenson, Passacaglia on DSCH. Igor Levit, pianoforte. Sony Classical, 2021. *** Igor Levit negli ultimi anni si è imposto come uno dei migliori pianisti della sua generazione, distinguendosi da un lato per le scelte di repertorio che danno ampio spazio a compositori e composizioni meno noti, dall’altro come l’uomo delle incredibili maratone pianistiche (l’ultima sua follia che mi viene in mente è la diretta su YouTube di Vexations di Érik Satie, 18 ore di musica!). Levit è un pianista colto e intelligente che affronta la sala d’incisione con grandissima serietà e preparazione. Quest’ultimo disco ci offre un’altra prova ciclopica: i 24 preludi e fighe Op.87 di Shostakovich e la meno nota Passacaglia su D.S.C.H. di Ronald Stevenson, per un totale di 3 ore e 50 minuti di musica. Era il 1950 quando Dmitri Shostakovich (1906-1975), che aveva allora 44 anni, fu chiamato a Lipsia come giurato di una rassegna che celebrava il secondo centenario della morte di Bach. In quello stesso contesto conobbe la giovane pianista russa Tatjana Nikolaeva, vincitrice del concorso pianistico. Fu in quell’occasione che decise di rendere un omaggio a Bach, componendo una serie di 24 preludi e fughe per pianoforte, che percorrevano tutte le tonalità maggiori e minori, così come aveva fatto Bach nel Clavicembalo ben temperato, ma questa volta non in ordine cromatico, bensì secondo il circolo delle quinte (Do-Sol-Re-La-Mi ecc. dove al maggiore segue il relativo minore). Era la sequenza già adottata da Chopin nei suoi 24 Preludi, op.28. Una prima parziale esecuzione avvenne per mano dello stesso compositore nel 1951, ma l’opera fu bollata di “formalismo” dal regime sovietico (in pratica non era conforme al realismo social-popolare al quale gli artisti dovevano piegarsi in quegli anni). Fu la stessa Tatjana Nikolaeva ad eseguire integralmente i Preludi e Fughe in pubblico nel 1952 e ad assicurarne la pubblicazione. Pur nell’evidente omaggio a Bach, il linguaggio di quest’opera è lontano da ogni manierismo e anzi si apre a un ampio ventaglio di stili e caratterizzazioni diversi: da lirico a marziale, da epico a introspettivo, da sfrenato a dolente, da serio a sarcastico. Ed è nella precisa e raffinata restituzione di tutti questi diversi caratteri che si rivela la maestra di Igor Levit. Ascoltiamo la soave evocazione delle primo preludio in do maggiore, o l’andamento misterioso del quarto preludio e fuga in re maggiore. E poi l’iridescente e gioiosa settima fuga in la maggiore, resa con una delicatezza commovente, seguita dall’ironica marcetta dell’ottavo preludio, che porta a quello che forse è il capitolo più introspettivo e doloroso di tutta l’opera, la lunga fuga in Fa diesis minore. La vivace immediatezza della successiva fuga in Mi maggiore ci riporta gioia e speranza. Si arriva così alla conclusione della prima metà, con Levit che ci porta dagli abissi del dodicesimo preludio alla sfrenata cavalcata della fuga in 5/4! Il provocativo sarcasmo del quindicesimo preludio è restituito in maniera implacabile e la successiva fuga in re bemolle maggiore, velocissima, ci trascina in un feroce vortice in cui si arriva a sfiorare l’atonalità. Il preludio e fuga che seguono, arrivano alle nostre orecchie come una soave e lunga consolazione. Il suono delicato e morbido di Levit è di commovente bellezza. Si arriva così all'ultimo grandioso preludio e fuga al quale il pianista riesce a conferire un senso di tragica inesorabilità, pur mancando nel finale di imprimere quel furioso cambio di tempo, indicato nella partitura e eseguito da molti altri pianisti. Tatjana Nokolaeva registrò tre volte i Preludi e Fughe Op.87, nel 1962, 1987e 1990 e per molti anni queste incisioni sono state considerate un riferimento assoluto nella discografia. Grandi pianisti russi come Richter e Gilels ne incisero purtroppo solo una manciata. C’è una testimonianza discografica dello stesso Shostakovich che ne esegue un discreto numero in questo disco molto interessante: In tempi più recenti si ritrovano diverse incisioni (addirittura ce n’è una di Keith Jarrett), delle quali ricordo quella notevole di Alexander Melnikov per Harmonia Mundi, purtroppo non disponibile su Qobuz, ma reperibile comunque su altri siti. Quest’ultima di Igor Levit si pone a mio avviso come il nuovo riferimento assoluto per chi si voglia avvicinare a quest’opera. Veniamo ora alla seconda parte di questo disco, la Passacaglia su DSCH di Ronald Stevenson (1928-2015), compositore scozzese conosciuto solo agli addetti ai lavori e decisamente meno noto di Shostakovich. Socialista, pacifista, obiettore di coscienza, Stevenson fu un compositore, ma anche un grande virtuoso del pianoforte, ponendosi sulla scia di Busoni. E’ ricordato principalmente proprio per questa Passacaglia, famosa per essere un’opera in un unico movimento (in realtà contiene delle suddivisioni) della durata di circa 85 minuti. Composta nel 1963, la Passacaglia è un omaggio dichiarato allo stesso Shostakovich. DSCH è il monogramma musicale ideato dallo stesso Shostakovich: D.Sch., D–Es–C–H, che nella notazione tedesca equivalgono infatti ai nostri Re, Mi bemolle, Do, Si. Il compositore russo usò queste 4 note in molte sue composizioni, come una vera e propria firma. Lo stesso motivo è alla base della lunga serie di variazioni di Stevenson che compongono la Passacaglia. Stevenson la suddivide in tre grandi parti: la prima che riunisce l’iniziale Sonata, una suite di danze e altri pezzi brevi, il secondo che ricorda più una fantasia composta da variazioni di carattere molto diverso e études, il terzo contenente una poderosa tripla fuga. Quest’opera monumentale contiene diversi riferimenti e influenze musicali (oltre a Shostakovich, scorgiamo Liszt, Busoni, Messiaen, fino alle manifeste citazioni finali del Dies Irae e del monogramma di Bach, B.A.C.H.), così come storici (da uno slogan di Lenin, alle vittime dell’Olocausto, passando per l’Africa emergente). Si tratta di un lungo viaggio, che richiede tempo e concentrazione all’ascoltatore, ma che può regalare molte soddisfazioni. Pochissime le incisioni alternative, tra le quali quella di John Ogdon, che però non è più reperibile. Questa versione di Levit sicuramente si pone come un riferimento, non solo per le capacità tecniche con le quali supera le difficoltà della partitura, ma per la capacità di tenere insieme una struttura così lunga, articolata e complessa. Tirando le conclusioni, questo è un disco monumentale che impegna l’ascoltatore in un lungo tour de force, ma che da un punto di vista artistico e intellettuale è probabilmente una delle migliori produzioni discografiche degli ultimi anni.
  16. Tre grandi jazzisti, un’intesa perfetta. Disco davvero magnifico.
  17. Uh, grazie Mauro, mi sono divertito a leggere e ad ascoltare. Per la nostra felicità la musica di Bach si offre a molteplici possibilità interpretative, dalle più ortodosse alle più bizzarre (notevole quella di the art of moog), ma, anche restando all’interno delle letture più tradizionali, tra la versione di Gould e quella di Richter c’è un mondo. (magnifico Frédérick Haas che suona il clavicembalo in infradito!)
  18. Disco bellissimo, tutto norvegese, dal compositore (Grieg) agli interpreti: l’astro nascente Lise Davidsen, soprano dotato di straordinari mezzi vocali, e Leif Ove Andsnes, ottimo pianista, molto a suo agio in questo repertorio. Il ciclo Haugtussa che apre il disco è splendido, peccato che non abbia la minima idea di cosa parli, perché Qobuz non mette a disposizione il libretto con i testi, ma per quel che mi riguarda la Davidsen potrebbe cantare anche l’elenco del telefono e a me piacerebbe ugualmente!
  19. Il vecchio Bohm con un giovane Pollini in stato di grazia. Un K.488 di bellezza apollinea. Uno dei miei dischi preferiti.
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