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Mostra il contenuto con la massima reputazione di 27/10/2020 in Blog Entries

  1. Come quella del Castello Sforzesco, la colonia felina del Cimitero Monumentale è fra le pochissime colonie feline di Milano site in un contesto suggestivo. Milano conta centinaia di colonie feline, ma la maggior parte si trova in zone degradate, oppure di difficle accesso, a volte pericolose. Un altro paio sarebbero anche suggestive, quella del Tumbùn de San Marc o quella dei ruderi romani di Via Brisa, ma contano ormai solo uno-due gatti. La colonia felina del Cimitero Monumentale conta oltre una ventina di gatti. A differenza di quelli del Castello, che sono più o meno confinati in una zona della piazza d'armi o nei fossati, questi hanno libero accesso a tutto il Cimitero, che è enorme, e sono divisi in diverse "bande" che si sono spartite il territorio. Grazie alla disponibilità delle volontarie e dei volontari che li accudiscono, ho potuto individuare le zone più frequentate, altrimenti avrei potuto girare per un'intera mattina prima di vedere un gatto. Il mio scopo era riuscire a ricavare un portfolio e se fossi riuscito a raccogliere abbastanza immagini interessanti, farne un libro come per il Castello. Ero partito piuttosto fiducioso, ma mi sono reso conto che il "Progetto Monumentale" si sta rivelando più complesso del precedente. Credo che, ampiezza del territorio a parte, i motivi siano almeno due, ma se qualcuno di voi ha delle altre opinioni in merito lo ascolterò leggerò con molto interesse! Il motivo principale è la location, estremamente suggestiva, ma fin troppo presente, mentre il Castello Sforzesco come architettura si prestava ottimamente da quinta per ambientare i soggetti, qui le statue e i monumenti finiscono per creare sfondi troppo variegati quindi creare una certa confusione, oppure troppo significativi con il rischio che finiscano per competere col soggetto. E' molto impegnativo creare una relazione corretta fra il "soggetto gatto" e il contesto monumento/ambiente evitando che il gatto finisca per sembrare una comparsa casuale nella foto di un cimitero. Il secondo motivo è che, a parte qualche eccezione, i gatti sono più diffidenti, mi sono trovato costretto ad usare quasi sempre il 70-300 perchè non si lasciavano avvicinare, mentre avrei voluto usare più spesso una focale grandangolare per inquadrature un po' più ad effetto. Questa gatta fa eccezione, al contrario di quasi tutti i suoi compagni, non ha alcuna paura e se ne sta da sola lungo il viale centrale ad aspettare i visitatori per ricevere coccole. Con lei infatti ho potuto usare anche il grandangolo. Se invece si "stringe" sul soggetto si rischia di decontestualizzare, per cui ci si ritrova con dei gatti che sarebbero potuti essere stati da qualsiasi parte, come in questo caso: Una bella gatta che però potrebbe essere ovunque. Anche qui l'amico/a nero/a è bello, ma non si capisce bene dove sia. Per evitare questo rischio ho cercato sempre di includere elementi di contesto, anche appena un accenno. In certi casi sono venuti accostamenti interessanti, anche se non proprio nello spirito originario del progetto, ma bisogna essere flessibili . In postproduzione ho cercato spesso di creare atmosfere un po' gotiche, che era la mia intenzione originale. in altre occasioni ho cercato di attenuare gli elementi di sfondo che potevano distrarre, "sviluppando" in toni alti. Funziona? Forse sì, ma temo di finire per avere foto disomogenee nello stesso portfolio, o meglio due portfolii dal carattere opposto. Per quel che avevo in mente sarebbe stato meglio un cimitero di stile anglosassone, di quelli con alberi, cespugli e con le lapidi decrepite, suggestive ma non invadenti. In ogni caso credo che mi dovrò prendere una pausa "forzata", la userò per pensare se e come continuare. Nota tecnica: Tutte foto scattate con Nikon Z 6, 24-70 f4 S e 70-300 f4-5.6 P (tramite FTZ). Il 70-300P va benissimo sulla Z 6, lo abbiamo scritto in tanti e lo confermo, che peccato non sia Z nativo. Aggiornamento ottobre 2023, ho fatto un altro giro: Queste sono state scattate con Nikon Z8 e 24-200mm Z.
    4 punti
  2. Per la genesi del progetto ed i dettagli di costruzione vi rimando a questo altro blog : qui presento le foto in studio del modello sostanzialmente finito. Anche se nella realtà per un modellista un modello non è mai veramente finito. Dopo un pò di tempo ci si ritorna per migliorare qualche cosa o cambiare un dettaglio. Comunque l'M 60 A1 Blazer è diventato un Magach 6B, ovvero la versione migliorata del M60. L'esercito israeliano dal 1948 agli anni '80 ha avuto fame di armamenti e munizioni, perchè privo di industrie militari nazionali. Praticamente acquistando qualsiasi cosa ci fosse sul mercato, dalle eccedenze di magazzino delle nazioni europee, all'usato, al nuovo. Arrivando anche a riciclare materiale in condizioni accettabili catturato al nemico nelle varie guerre arabo-israeliane sostanzialmente fino al 1967. Quindi nelle formazioni di carri dell'IDF si possono vedere a seconda delle epoca, M4 Sherman insieme a Centurion inglesi, M48 acquistati dalla Germania ed M60 arrivati in soccorso dall'US ARMY. Insieme a Tiran di varie versioni, sostanzialmente carri russi T54-T55-T62 catturati e occidentalizzati in Israele. L'M60 americano si rivelò una grossa delusione. Gigantesco, enorme, altissimo, delicato, con consumi bestiali. Poco protetto, veniva passato in due dai T-72 che egiziani e siriani riversarono in colonne durante la guerra dello Yom-Kippur dell'ottobre 1973. Ma anche con il T-62 era in difficoltà. Oltre tutto non aveva un sistema di puntamento efficiente, il cannone era impreciso e sensibile al calore del deserto del Sinai. Per questo le perdite furono enormi (anche del 50% degli effettivi) già nei primi 3 giorni di guerra. Vittima sia dei carri avversari che della fanteria munita di rpg e di missili anticarro, con l'aviazione israeliana che era impegnata dai SAM disposti dall'altra parte del canale di Suez. Il governo sudò freddo e fu solo grazie all'abilità di Kissinger se non si arrivò al peggio (si racconta che gli A4N aveva già un carico di bombe nucleari pronte per l'attacco disperato per alleggerire la pressione sul confine). La guerra poi si risolse con l'impiego congiunto di fanteria e artiglieria, utilizzando i carri solo per sfruttare il successo. Ma la lezione venne imparata e mentre si pensava ad un carro nazionale pensato per le esigenze specifiche dei due fronti meridionale e settentrionale, i carri in servizio vennero tutti elaborati. L'M60 (ma anche l'M48 di provenienza tedesca ) venne sottoposto a modifiche importanti. La corazzatura diventò tripla, in grado di 4 sul frontale al cannone del T-72 e ai lati e dietro a quello del T-62. Mentre venne applicata la corazzatura reattiva ERA su torretta e frontale, per ridurre gli effetti degli anticarro. Il cannone venne sostituito con un pari calibro da 105mm L7 Vickers, sostanzialmente lo standard occidentale, coibentato per resistere al calore. E vennero modificate anche le dotazioni e soprattutto, l'armamento leggero per gli scontri urbani. Per liberare le strade da ostacoli, molti carri vennero modificati per portare un vomere anteriore in acciaio, da usare per spostare veicoli fermi o abbattere piccoli ostacoli. Mentre altri vennero dotati di pala da dozer M9, altri ancora di dispositivi di rotolamento anti-mine. Così l'M60 rimase in servizio nelle varie versioni 6B per altri venti anni, quando venne sottoposto ad ulteriori modifiche con l'applicazione di grembiulature e una torretta composita pensata sull'esperienza del Merkava. Con l'ingresso in servizio del Merkava, i carri più vecchi cominciarono ad essere radiati. Adesso il Merkava, aggiornato alla versione IV è sostanzialmente l'unico carro in servizio nell'IDF, anche in versione ambulanza corazzata e trasporto truppe. Se c'è una cosa che difetta all'IDF è il personale addestrato, quindi c'è la massima attenzione alla protezione dei soldati, anche quando sono feriti. Una ambulanza che può resistere ai colpi dei controcarri (praticamente un carro senza torretta) è il massimo per evacuare rapidamente i feriti dalla linea del fronte. Ma veniamo al mio modello, idealmente da ambientare nel 1982-1985 durante le operazione nel Libano meridionale, dopo l'attentato all'ambasciata americana di Beirut. Sulla base del modello originale, ho autocostruito in cartoncino, plastica e stucco il vomere anteriore che ho fissato allo scafo con Superglue. Ho anche ricostruito del tutto il cestello posteriore della torretta e l'ho coperto poi con tela (il cestello originale in grigliato di metallo si riempie di sabbia e tutto quello che c'è dentro (le dotazioni dell'equipaggio oltre ai ricambi) diventa inservibile. La finiture - che è la parte che più mi diverte - è partita da una base di primer nero, poi sovrapposto di strati sfumati di verde oliva, di grigio Sinai e di marrone-rossastro. Tutti acrilici Vallejo passati ad aerografo. Dopo l'invecchiamento e la sporcatura, ho fissato tutto con una abbondante passata di vernice opaca trasparente per artisti (costa un decimo di quella per modellisti). Il risultato non è male, considerando che erano 35 anni che non mi dedicavo a questo passatempo. Di seguito vi propongo una serie di scatti fatti in studio con varie tecniche. il set - sotto la supervisione di Jessica, impiega tre softbox ottagonali parabolici su altrettanti flash di studio da 600 W/s. Il treppiedi è un Manfrotto 055 con una testa con attacco Arca Swiss. Il notebook con Helicon è un vecchio modello Dell, pilota la Z7 via cavo USB-C. Il grosso degli scatti è stato fatto con i flash, sia in focus-stacking che in scatto singolo. Qualcuno per cambiare in luce continua. Naturalmente i focus-stacking hanno tutto a fuoco mentre gli scatti singoli, anche ad f/16 non possono essere così puliti. flash luce continua normalmente io uso f/8 con la Z7 e il 24-70/2.8 per evitare la diffrazione, ma qui avevo bisogno di una via intermedia per fare liberamente anche gli scatti a mano libera con la stessa impostazione di luce. Che non è artistica ma del tipo commerciale, senza ombre. Gli scatti che seguono sono singoli, quelli sopra sono 20 in stacking. mostro questo, fatto in luce naturale ad f/4 che è tutto sfuocato per mostrare il diverso effetto gli altri sono tutti con i flash e ad f/16, Vedo adesso che ho dimenticato di fare anche uno scatto del fondo dello scafo, usurato. Farò ammenda quando fotograferò il T-80. Spero che questo set sia di un qualche interesse per i presenti. In ogni caso ... ho intenzione di continuare con queste cose di qui a primavera Due parole sul "set". Sul tavolino coperto di tavole di legno su cui in genere fotografo tutto il mio still-life formale in studio, ho messo delle tavolette di ardesia accostata. Ho poi nascosto le giunzioni con uno strato di sabbia da costruzione. Ho tenuto luce e bilanciamento del bianco sul tono che vedo nei film sul Medio Oriente. La parete di fondo è nera. In queste foto - scatti in origine in Jpg nativo della Z7 - non c'è post-produzione.
    2 punti
  3. Quest’anno, complicato per tanti aspetti, avevo voglia di tranquillità, solitudine e contatto con la natura. Ho scelto questa terra a me sconosciuta e devo dire che ho centrato in pieno le mie aspettative: borghi silenziosi, paesaggi per me inconsueti, contatto con gli animali. Pochi giorni, fortunati e piacevoli. Da tenere in serbo come una ricchezza interiore. Ho suddiviso idealmente il viaggio in due filoni, esposti separati per comodità, che comunque fanno parte di un insieme indivisibile. 1) i borghi; 2) il paesaggio e gli animali con incontri ravvicinati e non. Avevo con me D850 (63% delle foto) e D5 (37%). Come ottiche il AF S 14-24 (15%); AF S 24-70 (29%); AF S 24 1.4 (1%); AF S 70-200 FL (6%); Af P 70-300 (17%); AF S 500 PF (31%). Le foto sono state sviluppate con Silver efex pro 2 per il b/n, le rimanenti con LR 9.4 e C. One ver. 20 per Nikon. Uso quest’ultimo da due mesi circa. Non mi trovo bene in assoluto con uno dei due programmi, probabilmente perchè non ho ancora affinato l’esperienza con Capture One, mentre conosco meglio LR. In ogni caso se con quest’ultimo mi sono trovato meglio nello sviluppo dei paesaggi e in alcuni frangenti (raddrizzamento automatico, posizionamento firma, mascheratura della nitidezza, iterazione con silver efex pro 2, possibilità di unire foto), C.O. è più agevole con la gestione dei livelli (anche se per la mia abilità la definizione delle maschere resta imprecisa nonostante molti affermino il contrario), il controllo del tono, nella velocità delle elaborazioni. Ma magari riprenderò l’argomento su topic aperti da altri sulla questione, una volta approfonditi alcuni punti. Ho sofferto la mancanza di un polarizzatore nelle riprese relative alla Valle del Tirino: quelle acque così cristalline e pure meritavano di più. Le foto sono tante. Uno potrebbe anche stancarsi. Nel caso, prendetele a piccole dosi. Non ho ritenuto di dover aprire titoli diversi perchè secondo me ciò avrebbe frantumato in piccole parti una esperienza che va considerata nella sua diversa interezza. I Borghi Il primo, base per alcuni giorni, è Santo Stefano si Sessanio, disteso su di una collina. Il piccolo paese ha pochi abitanti e alcuni anni fa molte abitazioni sono state restaurate e fanno parte del cosiddetto "albergo diffuso”, una iniziativa tendente a riqualificare il tessuto urbano compromesso dall’abbandono e anche dal sisma del 2009. E’ anche famoso per le coltivazioni delle lenticchie che ho assaporato con vero piacere. Santo Stefano di Sessanio 1 2 Camminando... 3 4 5 6 7 8 Castel del Monte 9 10 Calascio 11 12 13 Navelli 14 15 Castrovalva Il paesino dove si è soffermato anche Maurits Cornelis Escher noto incisore e grafico olandese 16 17 Scanno 18 19 20 sulla strada per lago Racollo 21 22 23 con qualche incontro strada facendo 24 gente di pochissime parole e grande saggezza 25 26 c’è anche lui come in ogni viaggio.. Rocca Calascio, location di alcuni film, sicuramente molto suggestiva. Fortezza militare eretta fin dall’anno 1380 in un punto strategico dal quale si domina il panorama a 360°. Ha una storia molto interessante per chi volesse approfondire. 27 28 29 30 31 la chiesetta di Santa Maria della Pietà a pianta ottagonale (XVI - XVII ) 32 33 sulla via del ritorno le sorprese non mancano 34 35 aveva puntato qualcosa... 36 verso Campo Imperatore 37 38 39 il sentiero si inerpica e il tempo minaccia 40 ma lo spettacolo è impagabile 41 42 43 44 un gheppio appostato osserva il territorio 45 ... mi fissa e sembra non gradire l'intrusione 46 il sole gioca con le nuvole 47 48 49 50 51 la Valle del Tirino . Il piccolo fiume che la attraversa ha acque terse e di una purezza che dalle mia parti non ci sono più, anche grazie alle risorgive che lo alimentano lungo il percorso. Un po’ come il Sile 52 52 bis 53 54 55 56 57 lasciata la Valle si arriva a Civitella Alfedena, nel Parco nazionale d’Abruzzo, ultima tappa 58 dove “loro" sono di casa e tu l'estraneo 59 60 anche qualche lupo, quasi in cattività dato che sono inseriti in uno spazio delimitato. Vederli in natura liberi è tutt’altra cosa. Così mi intristiscono. 61 62 sua maestà 63 64 65 imperturbabile sotto un diluvio 66 verso i Monti della Meta 67 68 dopo una scarpinata... 69 si odono i loro bramiti in tutta la valle 70 71 72 73 lago Barrea la tempesta del mattino si è acquietata 74 si torna dopo gioni intensi e pieni 75 passando ancora una volta per Scanno 76 Una esperienza ricca di spunti da approfondirte anche grazie a Alberto Ghizzi Panizza che ho avuto il piacere di conoscere nell’ultima parte del viaggio. Una persona davvero squisita, dote rara di questi tempi.
    1 punto
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