Igor Levit, pianoforte.
Sony Classical 2013/2019
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Ormai è chiaro che Igor Levit è un pianista a cui piace darsi degli obiettivi ambiziosi: esordio impressionante con le ultime sonate di Beethoven, poi tutte le partite di Bach, poi un triplo album con Goldberg, Diabelli e le bizzarre variazioni di Rzewski, nel 2018 un personalissimo e densissimo concept album, Life. Ora arriva addirittura l’integrale delle 32 sonate di Beethoven! Incisa tra la fine del 2017 e i primi mesi del 2019, recupera le sonate 28-32 dal suo disco di esordio del 2013.
Ma al di là della sua passione per le sfide, quello che impressiona sempre di Levit è la solidità delle sue scelte interpretative. Questa integrale colpisce per la coerenza e per la linearità dello stile attraverso tutto il ciclo di sonate. Analizzando i tempi utilizzati (questione perennemente dibattuta), Levit segue chiaramente la tradizione di Schnabel, che privilegia tempi veloci e accentua i contrasti tra movimenti veloci e movimenti lenti. E’ un Beethoven vigoroso, energico e scattante. E’ una scelta netta, da tenere in considerazione sulla base delle proprie preferenze.
C’è continuità anche nel modo in cui è stato “ripreso” il pianoforte dagli ingegneri del suono, nonostante le registrazioni si siano svolte in tre luoghi diversi in periodi diversi. Non è un pianoforte come solitamente siamo abituati ad ascoltare, con microfoni molto vicini e un suono pulito e analitico con separazione tra i vari registri e se vogliamo poco realistico, ma è un pianoforte come potremmo sentirlo in una sala da concerti, ampio, con i registri ben amalgamati tra loro, ma meno “radiografico”. E’ un fatto questo che condiziona di molto tutta l’esperienza di ascolto. Si può perdere qua e là qualche sfumatura o qualche dettaglio, ma probabilmente si guadagna in impatto emotivo. Personalmente ho sempre trovato che questo tipo di registrazioni mi facciano rivivere molto di più l’esperienza del concerto.
Prime sonate (1795-1800)
Già dalle prime sonate, spesso punto di debole di altre integrali, così rivolte alla tradizione classica di Haydn e Mozart, ma già cariche di idee nuove, si capisce che il Beethoven di Levit è già tutto proiettato verso il futuro. I tempi sono piuttosto rapidi, le dinamiche accese. Pur mantenendo uno sguardo riconoscente verso il passato, lo Sturm und Drang è già arrivato. Questo è messo sempre più in evidenza man mano che si passa dalle prime sonate Op.2 via via verso letture sempre più energiche delle 3 sonate Op.10, dell'Op 13 "Patetica", fino all'Op.22 che chiude il periodo delle prime sonate, ma che già precorre il gruppo delle sonate di mezzo.
Sonate Centrali (1801-1814)
Con il gruppo delle sonate cosiddette centrali si va nel cuore della produzione beethoveniana ed è qui che emergono le capacità introspettive di Levit, che riesce con facilità ad andare sotto la superficie a cogliere l'essenza di ogni sonata. E’ un Beethoven energico e grintoso che vola sui tasti, ma con profondi momenti di riflessione nei movimenti lenti.
Sono tanti i momenti degni di nota: una “Marcia funebre” cupa e intensa, una “Pastorale” di rara sensibilità, una "Appassionata" da ricordare, assolutamente viscerale e spericolata; la "Waldstein" ha un avvio sprintosissimo e un finale pirotecnico. Se devo proprio trovare qualche punto negativo, sorprende qua e là (e anche nelle sonate del primo gruppo) una certa fretta nei movimenti finali e nelle battute conclusive, quasi che il pianista avesse fretta di chiudere lo strumento e andarsene.
Ma se guardiamo a questo gruppo di sonate nel loro insieme, sono evidenti da un lato la sicurezza, davvero senza esitazioni, del pianista nelle proprie scelte interpretative, dall'altra anche la volontà di mettersi in gioco e di prendersi dei rischi, anche a scapito di quella perfezione tanto ricercata in studio di registrazione. In questo senso questa integrale, anche per come è stata registrata, riporta all'ascoltatore le emozioni che di solito si possono provare in un’esecuzione dal vivo. Pur essendo un musicista di grande personalità, non ho trovato in queste esecuzioni quel desiderio di stupire a tutti i costi che spesso caratterizza le interpretazioni di un repertorio così frequentato. C’è anzi un rispetto per la lettera, ma soprattutto per lo spirito di questa musica, che vorremmo vedere più spesso (Vedi ultimo disco di Pogorelich).
Sebbene Levit non abbia adottato scelte eccessive o estreme (Pollini in alcune sonate è stato ben più radicale), certamente alcuni potranno desiderare un po' più di respiro o un approccio più misurato o più contemplativo.
Ultime sonate (1816-1822)
Le ultime 5 sonate di questa integrale sono riprese dallo splendido disco di esordio del 2013. L'approccio si fa più riflessivo, specie nei movimenti lenti eseguiti con grandissima intensità (Op.101, Op.106) ad evidenziare il contrasto coni movimenti veloci eseguiti con il consueto vigore (si ascolti il primo movimento della "Hammerklavier", così febbrile e concitato).
La capacità di rendere con lucidità l'architettura dell'opera nella sua interezza, dote davvero rara, qui è assoluta, così come l'abilità nell'accompagnare chi ascolta in un viaggio nella musica.
Riascoltando oggi l'Op.111, a distanza di qualche anno dalla sua uscita e con l'ascolto freschissimo di questa integrale, mi rendo maggiormente conto di qualche passaggio leggermente troppo lento per i miei gusti, ma stiamo davvero parlando di dettagli.
Ormai non ci devono più stupire le capacità e la maturità interpretativa e intellettuale di questo pianista. Quest'ultima fatica di Levit ne è un'altra riprova.
Pur non mancando le integrali di peso (da quelle storiche di Schnabel, Backhaus, Kempff, Gilels, purtroppo non completa, Arrau, poi quelle di Brendel, Pollini, Barenboim, Kovacevich, fino ai giorni d'oggi con quella di Biss, ormai quasi completata), questa nuova integrale, costruita con una visione sicura, lucida e coerente, è destinata a essere ricordata.
E ora che ha archiviato in una manciata di anni le 32 sonate e le variazioni Diabelli, forse Levit si dedicherà ai 5 concerti?
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