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happygiraffe

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Blog Entries pubblicato da happygiraffe

  1. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    After Bach
    Brad Mehldau, pianoforte
    Nonesuch 2018
    Tracklist:
    1. Before Bach: Benediction
    2. Prelude No. 3 in C# Major from The Well-Tempered Clavier Book I, BWV 848
    3. After Bach: Rondo
    4. Prelude No. 1 in C Major from The Well-Tempered Clavier Book II, BWV 870
    5. After Bach: Pastorale
    6. Prelude No. 10 in E Minor from The Well-Tempered Clavier Book I, BWV 855
    7. After Bach: Flux
    8. Prelude and Fugue No. 12 in F Minor from The Well-Tempered Clavier Book I, BWV 857
    9. After Bach: Dream
    10. Fugue No. 16 in G Minor from The Well-Tempered ClavierBook II, BWV 885
    11. After Bach: Ostinato
    12. Prayer for Healing
    ***
    Lo dichiaro subito: parlare su queste pagine di un disco di Brad Mehldau potrebbe apparire un po' strano o fuori contesto, ma a me, che non ascolto solamente musica classica, Mehldau è sempre piaciuto, per cui ammetto candidamente che ho colto il pretesto di questo suo disco di ispirazione Bachiana per parlarne qui su variazionigoldberg.

    Semplificando le cose si può dire che Brad Mehldau sia un pianista jazz tra i migliori della sua generazione. Andando anche un po' oltre si più anche affermare che sia un musicista molto versatile, cogliendo in pieno quella caratteristica del jazz che è quella di prendere costantemente spunto dai temi musicali più disparati. Ma Brad non si è fossilizzato sui soliti standard del Jazz: ascoltando i suoi dischi si trovano interpretazioni di brani che vanno dai Beatles ai Radiohead, da Paul Simon a Nick Drake, da Dylan a Fiona Apple, da Brian Wilson a Kurt Cobain.

    Quello che mi ha sempre affascinato del suo stile, già dal primo ascolto venti anni fa, è la forte presenza di solide radici classiche: pur se il linguaggio musicale è proprio del Jazz, non è difficile ritrovare echi che vanno da Bach a Brahms. E proprio qualche Intermezzo di Brahms è comparso in alcune sue incisioni live, come testimonia il disco "10 Years Solo Live" del 2015.
    Quest'ultimo disco, "After Bach", si spinge oltre. Alcuni preludi e fughe del Clavicembalo ben temperato sono suonati da Mehldau e diventano il punto di partenza per le sue composizioni.
    Un'operazione che potrebbe irritare gli integralisti della musica classica, così come spiazzare i jazzofili più incalliti. 
    Volendo invece accogliere la proposta del versatile pianista americano senza pregiudizi, si può rimanere sorpresi. Le divagazioni di Mehldau sui pezzi del Clavicembalo ben temperato vanno ben oltre un approccio "jazzy". Il suo linguaggio musicale supera i confini del jazz e quella che ne risulta è una scaletta molto omogenea con un affascinante gioco di rimandi tra i brani di Bach e quelli originali.
    L'ho trovato nel complesso un disco molto godibile e sicuramente una delle proposte più interessanti uscite in questo periodo. Lo consiglio a chi non si lasci stranire da questa commistione di generi e lo ascolti con mente e cuore aperti prima di giudicarlo.

  2. happygiraffe
    Il pianoforte sembrava uno strumento ormai maturo e per il quale era difficile prevedere particolari evoluzioni. I grandi produttori come Yamaha e Steinway da decenni producono i loro strumenti senza mostrare particolari tensioni innovative. E' stato il belga Chris Maene negli ultimi anni a dar prova di grande originalità, prima con il pianoforte a coda con corde parallele, sviluppato insieme al pianista e direttore d'orchestra Daniel Barenboim:

    e più recentemente con un pianoforte con la tastiera erognomica, vale a dire curva, in modo che il pianista possa suonare agli estremi della tastiera in maniera più naturale è confortevole:

    Anche in questo modello le corde sono disposte in modo da non sovrapporsi:

    L'idea di questo strumento nasce da una chiacchierata tra l'architetto Rafael Viñoly, Martha Argerich e Daniel Barenboim ed è poi stata realizzata da Chris Maene sulla base del progetto di Viñoly, con la collaborazione di artisti del calibro di Emanuel Ax, Daniel Barenboim, Kirill Gerstein e Stephen Hough. Per la realizzazione del telaio è stata necessaria la consulenza dell'Università di Leuven e di una società di ingegneria.
    Lo strumento ha un aspetto principesco, così come principesco è l'assegno che bisogna staccare per portarselo a casa (330k€ più IVA, per chi fosse interessato).

    Il pianoforte è stato presentato al festival di Verbier la scorsa estate dal pianista Kirill Gerstein. Vi condivido il breve video che gira in rete, dal quale però è difficile farsi un'idea di come suoni davvero. Bisognerà aspettare ancora qualche mese per poterlo ascoltare in qualche disco. 
     
  3. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Gabriel Fauré, Nocturnes.
    Eric Le Sage, pianoforte.
    Alpha, 2019.
    ***
    Gabriel Fauré (1845-1924) fu un compositore particolare: pur rimanendo ancorato a certi modelli compositivi del passato e impermeabile rispetto all'evoluzione del linguaggio musicale suo contemporaneo, e in questo senso fu sempre indietro rispetto ai suoi tempi, sviluppò uno stile originale, raffinato e di grande fascino. 
    I tredici Nocturnes di questa raccolta furono composti nell'arco di mezzo secolo, dal 1875 al 1921, e testimoniano l'evoluzione dello stile del compositore francese. Se i primi si rifanno dichiaratamente al modello di Chopin, con il tempo Fauré sviluppa un linguaggio originale, lirico, meditavo, equilibrato, molto affascinante dal punto di visto armonico. Per carità, non tutti sono ugualmente belli o interessanti, ma ci sono dei pezzi di assoluta bellezza, come il sesto Nocturne, ma non solo quello, dopo il quale lo stile di Fauré si fa via via sempre più spoglio e concentrato.
    E' un peccato che questi brani e questo tipo di repertorio non sia più diffuso e sia praticamente appannaggio dei soli pianisti francesi. 
    Eric La Sage è certamente uno specialista di questo genere di repertorio: ha inciso tutta la musica da camera con pianoforte di Fauré e tutta la musica per pianoforte di Poulenc (oltre all'integrale della musica per pianoforte e da camera di Schumann, ma questa è un'altra storia).
    La Sage sfodera qui una grande sensibilità interpretativa e svolge la matassa del discorso musicale, a tratti anche denso e complesso, con grande chiarezza e naturalezza, e con un'ampia tavolozza di timbri a disposizione.
    Buona la qualità della registrazione, disponibile in formato liquido a 24 bits/88.20 kHz, con il pianoforte reso in modo limpido, omogeneo e coerente.
    In conclusione un disco che consiglio, sia per la scelta del repertorio, molto bello e ingiustamente trascurato, che per la qualità dell'interpretazione.
  4. happygiraffe
    Franz Liszt, Années de pèlerinage première année, Suisse; Légende N.2, Saint François de Paule marchant sur les flots.
    Francesco Piemontesi, pianoforte.
    Orfeo 2018
    ***
    E’ uscito per Orfeo il primo volume delle Années de pèlerinage di Liszt ad opera del trentacinquenne pianista svizzero Francesco Piemontesi, già recensito su queste pagine in alcuni concerti di Mozart.
    Il CD è accompagnato da un DVD contenente un film di Bruno Monsaingeon, celebre regista canadese autore di molti ritratti dei maggiori musicisti del nostro tempo.
    E’ questo il primo capitolo di un progetto più ampio che comprenderà nei prossimi anni anche il secondo e terzo volume delle Années.

    Pubblicato nel 1855, il primo volume degli Anni di pellegrinaggio, dedicato alla Svizzera, raccoglie  materiale composto e rielaborato nell’arco di un ventennio e in parte già pubblicato dall’autore nell’Album d’un voyageur del 1842. Si tratta di una Suite di nove pezzi caratterizzata da evidenti riferimenti sia naturalistici che letterari. I brani sono infatti preceduti da citazioni di Schiller, Byron e Sénancour. 
    In questa raccolta ci sono alcune tra le pagine più belle e celebri che Liszt abbia composto, autentico banco di prova per i più grandi pianisti. Su alcune di esse si sono cimentati i più grandi specialisti lisztiani, dal grande Lazar Berman a Arrau, Kempff, Bolet e Brendel. 
    E proprio il grande pianista austriaco Alfred Brendel è stato uno dei maestri di Francesco Piemontesi, ma il pianista svizzero ha sviluppato un linguaggio proprio, piuttosto diverso da quello del suo maestro.
    Sebbene siano pezzi tecnicamente molto impegnativi, anche se non al livello degli Studi Trascendentali, l’aspetto virtuosistico passa decisamente in secondo piano, dominato in modo magistrale da Piemontesi. che appare sempre tranquillamente a proprio agio con queste pagine, affrontate con una sensibilità e una profondità di lettura poco comuni. Molto diverse le sue interpretazioni ad esempio da quelle di Bertrand Chamayou (Naive, 2011), più rapide, effervescenti e, sì, più virtuosistiche.
    Siamo certamente di fronte a un disco importante di un artista maturo, in grado di competere con i mie riferimenti, anche se forse a Piemontesi manca ancora la sacralità di un Berman o il guizzo di un Brendel.
    Aspettiamo con curiosità i prossimi dischi. Il secondo volume è già stato inciso e dovrebbe essere in uscita nei prossimi mesi.

  5. happygiraffe

    Recensioni : orchestrale
    Thomas Adès, concerto per pianoforte e orchestra, Totentanz.
    Kirill Gerstein, pianoforte, Mark Stone, baritono, Christianne Stotij, mezzo-soprano.
    Boston Symphony Orchestra, direttore Thomas Adès.
    DG 2020
    ***
    Thomas Adès è un artista poliedrico che ama esibirsi sia in veste di pianista, che di direttore d’orchestra, che di compositore.
    Lo avevamo ascoltato  tempo fafa accompagnare al piano Ian Bostridge in un’intensa lettura del Winterreise di Schubert, mentre più di recente lo avevamo ritrovato come direttore delle sinfonie sinfonie di Beethoven. In questo disco dell’etichetta DG compare invece nella duplice veste di compositore e direttore d’orchestra. Si tratta di registrazioni dal vivo che risalgono al 2019, il concerto per pianoforte con Kirill Gerstein, e al 2016, la Totentanz con Christianne Stotijn e Mark Stone.
    Adès è con ogni probabilità uno dei compositori contemporanei più eseguiti e più acclamati, certamente nei paesi anglosassoni, ma non solo.
    Il disco si apre con il concerto per pianoforte del 2018. Sin dalle prime battute appare chiaro che lo sguardo di Adès è rivolto ai modelli del passato: si possono sentire echi di Rachmaninov o di Tchaikovsky, di Bartòk nel secondo movimento, senza dimenticare lo swing frizzante di Gershwin. La scrittura è raffinata, ben assecondata da un Gerstein in forma smagliante, ed il risultato è assolutamente effervescente e spettacolare: possiamo immaginare l’entusiasmo del pubblico che ha assistito a questa esibizione. Se devo però dirvela tutta, al di là del piacere effimero dell’ascolto mi è rimasto poco: il continuo pastiche musicale, per quanto ottimamente organizzato, alla fine sa di maniera e ci dice poco di nuovo. Fosse stato scritto ottanta anni fa, il discorso sarebbe stato probabilmente diverso.
    Più interessante e più personale la seconda parte del programma con la Totentanz del 2013. Si tratta di una composizione per baritono, mezzo-soprano e orchestra. I testi sono tratti da un affresco del XV secolo ritrovato in una chiesa di Lubecca, poi distrutta durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale, che rappresentava diverse categorie sociali in ordine gerarchico discendente, cominciando dal Papa e terminando con un neonato. Tra un personaggio e l’altro c’era una rappresentazione della Morte danzante. Nell’opera di Adès la Morte è rappresentata dal baritono, mentre le figure umane dal mezzo-soprano.
    La partitura è densa e questa volta viene da fare un paragone con i lead orchestrali di Mahler. Ma sono pagine intense e emozionanti e non c’è nulla di manieristico a disturbarci. Christianne Stotijn riesce a caratterizzare i sedici personaggi umani con grande varietà e espressività, Mark Stone è perfetto nel suo ruolo lugubre e diabolico. Accompagnati da una Boston Symphony Orchestra assolutamente concentrata, ci guidano fino ad un finale che toglie il fiato.
    Arrivato alla soglia dei 50 anni Adès è nel pieno della sua maturità creativa e interpretativa. Ultimamente ce lo ha dimostrato in diverse registrazioni. Come compositore in diverse occasioni non ha catturato il mio gusto, ma questa Totentanz, in questa esecuzione, merita un ascolto attento.

    Thomas Adès, alla guida della Boston Symphony Orchestra con Christianne Stotijn e Mark Stone.
  6. happygiraffe
    Franz Schubert, sonate per pianoforte D.959, D.959, D.960.
    Francesco Piemontesi, pianoforte.
    PentaTone 2019
    ***
    In quest’ultimo anno non sono mancate le registrazioni interessanti dedicate alle ultime sonate di Schubert: dall’affascinante lettura di Schiff su fortepiano (qui), alla tormentata versione di Lonquich (qui accostato alla melliflua e meno convincente Buniatishvili), per finire con la prova iper-raffinata di Volodos (qui).
    Ora anche il talentuoso pianista ticinese Francesco Piemontesi si mette alla prova con la triade delle ultime sonate, dopo gli ultimi dischi dedicati ai primi due libri delle Années de Pèlerinage.
    Come abbiamo già avuto modo di scrivere riguardo al suo Liszt, Piemontesi è un pianista che sembra aver raggiunto in questi anni uno stato di grazia, sia dal punto di vista tecnico che interpretativo e questo Schubert ne è una conferma.
    Ritroviamo qui il Piemontesi grande narratore che avevamo conosciuto in Liszt: ci accompagna con estrema naturalezza nei solitari paesaggi musicali dell’ultimo Schubert, passando dalla quiete alla sommessa disperazione, dall’intima palpitazione dei passaggi più scherzosi allo sconforto più drammatico. Lo fa con grande finezza e eleganza, rendendosi completamente invisibile e totalmente al servizio della musica.
    E nonostante le “celestiali lunghezze” di Schubert possano spesso indurre torpore, non è fortunatamente il caso qui. Piemontesi riesce a rendere l’architettura dell’opera nella sua complessità e al tempo stesso la cura del dettaglio, con una capacità di controllo magistrale.
    Siamo ancora una volta di fronte a un disco importante di un artista solido e maturo, che entra di buon diritto tra i miei riferimenti degli ultimi anni.
    Notevole anche la qualità della registrazione (che ho ascoltato in formato liquido 96/24), realizzata nella bella acustica della Salle de musique a La  Chaux-de-Fonds in Svizzera. Il pianoforte è reso in maniera assolutamente realistica in tutto lo spettro, con timbri caldi e rotondi e un'immagine ben centrata e coerente.

  7. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Beethoven, sonate per pianoforte Op.54 e Op.78.
    Rachmaninov, sonata per pianoforte N.2 Op.36.
    Ivo Pogorelich, pianoforte.
    Sony Classical, 2019
    ***
     
    Un disco di Pogorelich dopo più di 20 dall’ultimo? Pubblicato da Sony Classical?? Caspita,  deve essere una roba seria, mi sono detto. Il ritorno in grande stile di Pogorelich, controverso pianista croato, molto famoso  tra gli anni ’80 e ’90, conosciuto per i suoi atteggiamenti anticonformisti e per le sue interpretazioni a cavallo tra il geniale, l’eccentrico e il provocatorio, poi progressivamente scomparso dalla scena discografica e dai circuiti concertistici più importanti.

    Ebbene cos’avrà di nuovo da dirci oggi Ivo Pogorelich, arrivato ai 60 anni?
    Il programma del disco è piuttosto inconsueto e accosta due deliziose sonate di Beethoven, Op.54 e Op.78, alla poderosa seconda sonata di Rachmaninov nella prima versione del 1913.
    L’ascolto, ahimè, è stato sconcertante, per non dire decisamente irritante. 
    Dinamica, tempi, ritmo, tutti strapazzati, dall'inizio alla fine, senza pietà. A volte si fa addirittura fatica a riconoscere la musica o a seguire la linea melodica. E attenzione che qui non stiamo disquisendo di dove sia il punto di equilibrio tra il rispetto della pagina scritta e la libertà dell’interprete, qui siamo ben oltre: qui siamo alla totale mancanza di rispetto per l’ascoltatore (per non parlare del compositore) da parte di un artista evidentemente sopraffatto da un ego ingombrante e non più affiancato dal genio di un tempo, quasi volesse dirci “eccomi sono ancora il grande Pogorelich, anticonformista per contratto, posso permettermi quello che voglio!”.
    Non è certo il croato l’unico artista per così dire eccentrico in circolazione. Prendiamo ad esempio la violinista Patricia Kopatchinskaja, conosciuta per le sue interpretazioni fuori dai canoni. Quando la ascoltiamo suonare, al di là della sua prorompente individualità, percepiamo passione, vitalità, un amore sconfinato per la musica che sta suonando, sentiamo che Patricia ci sta comunicando qualcosa. Tutte cose, invece, tristemente assenti da questo ultimo disco del pianista croato.
    Ma sono certo che come un tempo Pogorelich divideva i pareri di chi l’ascoltava, così anche oggi ci sarà chi griderà con entusiasmo al ritorno del genio croato.
    Per me invece è semplicemente un peccato vedere tanto talento gettato alle ortiche, ma me ne faccio una ragione, metto il disco da parte e guardo altrove. Per fortuna nella discografia non mancano interpretazioni straordinarie di queste composizioni e nel panorama pianistico attuale non mancano artisti seri, di grande talento e che abbiano qualcosa da dirci.
    Una nota sulla qualità dell’incisione, assolutamente lontana dagli standard molto elevati ai quali l’etichetta giapponese ci ha abituato.
    Insomma, un disco da dimenticare velocemente
  8. happygiraffe
    Franz Schubert: sonata per pianoforte D. 959, minuetti D.334, D.335, D.600.
    Arcadi Volodos, pianoforte.
    Sony Classical 2019.
    ***
    Arcadi Volodos è uno dei migliori pianisti in circolazione per tecnica e sensibilità. Incide di rado, ma quando lo fa lascia il segno, come fu il caso nel 2017 con un disco straordinario dedicato a Brahms o nel 2013 con un album dedicato a Mompou, senza dimenticare lo splendido disco live a Vienna di qualche anno prima.

    n questo disco ci propone come piatto forte la sonata D. 959 di Schubert, accompagnata da tre minuetti (D.334, D.335, D.600).
    Volodos suona la 959 incredibilmente bene: ogni nota, ogni frase, ogni accento sono perfettamente resi e calibrati. Si sente che ci sono dietro anni di studio approfondito. L'Andantino del secondo movimento è qualcosa di commovente per la bellezza del timbro e la profondità dell'interpretazione. Tuttavia...sì, purtroppo c'è un tuttavia...tuttavia, dicevamo, è talmente bello assaporare voluttuosamente ogni nota, ogni impercettibile cambiamento di dinamica o di espressione, che forse si perde di vista il quadro d'insieme. La sensazione è quella di un lavoro iper-interpretato, per carità meravigliosamente bene, però a scapito di un po' di freschezza e spontaneità, che probailmente sarà più facile trovare nelle sue esecuzioni dal vivo.
    Siamo agli antipodi rispetto alla lettura aspra e spiazzante di Lonquich, ma anche da quella più lineare e diretta di Piemontesi, che ha dalla sua un gran senso dell'architettura del brano.
    Questa tendenza alla cura massima del dettaglio viene portata agli estremi nei tre graziosi minuetti che completano il disco. Gamma timbrica da capogiro, tempi un po' rilassati, stiamo assistendo ad un vero e proprio esercizio di stile, tanto da risultare quasi stucchevole una volta passata l'ammirazione per il gesto tecnico.

    In conclusione, questo disco, per quanto bello, soprattutto nella prima parte, mi ha lasciato un po' l'amaro in bocca. Pur rimanendo immutata l'ammirazione per le capacità di Volodos, da un artista del suo calibro mi aspetto sempre qualcosa in più (Ma per lui l'asticella è davvero alta!). 

  9. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    "The Diabelli Project", musiche di Beethoven e molti altri.
    Rudolf Buchbinder, pianoforte.
    DG, 2020.
    ****
    Veterano del circuito pianistico internazionale, Rudolf Buchbinder è un grandissimo esperto del repertorio classico viennese e tedesco e specialmente della musica di Beethoven. Nel corso degli anni ha inciso varie integrali delle sonate, dei concerti e indiscutibilmente ha un rapporto molto stretto con le celebri variazioni Diabelli.
    Conoscete probabilmente la storia di queste variazioni. Anton Diabelli, compositore, pianista e soprattutto editore (fu il primo editore di Schubert), nel 1819 ebbe questa trovata, che oggi definiremmo di marketing, di chiedere a diversi compositori dell’epoca di scrivere una variazione su un suo breve valzer (assai mediocre, in verità). Risposero tantissimi musicisti, la maggior parte dei quali oggi completamente dimenticati, ma tra di essi troviamo anche nomi noti come Schubert, Moscheles, Hummel, Czerny e un giovanissimo Liszt. 
    Beethoven, inizialmente poco interessato alla proposta di Diabelli, cambiò ben presto idea e nell’arco di quattro anni compose un lavoro monumentale costituito da ben 33 variazioni sul tema originale di Diabelli. Fu una delle sue ultime composizioni per pianoforte e, insieme alle ultime 5 sonate, un vero e proprio lascito alle successive generazioni di pianisti e compositori. 
    Il buon Diabelli decise di pubblicare in due volumi tutti i contributi ricevuti: il primo con le variazioni di 50 diversi compositori (tra i quali anche l’Arciduca Rodolfo, compositore dilettante) e il secondo con il lavoro di Beethoven. Poteva ben dirsi soddisfatto il nostro editore austriaco!
    Ma torniamo al nostro disco, intitolato “The Diabelli Project”, il progetto Diabelli. 
    Buchbinder ritorna a incidere quest’opera monumentale dopo averla portata in concerto per diversi decenni, ma non si ferma qui. Il pianista austriaco fu anche il primo ad aver registrato tutto il primo libro di variazioni, quello ormai (giustamente) dimenticato contenente i lavori degli altri compositori. Per l’occasione ne riprende una manciata, otto per la precisione, che propone in chiusura di disco. Ma Buchbinder nel suo omaggio al progetto originario di Diabelli va oltre e prova a renderlo più attuale, chiedendo a 12 compositori contemporanei, di generazioni e provenienze diverse, di scrivere la loro variazione sul tema di Diabelli: Krzysztof Penderecki (*1933), Rodion Shchedrin (*1932), Brett Dean (*1961), Max Richter (*1966), Jörg Widmann (*1973),  Toshio Hosokawa (*1955), Lera Auerbach (*1973), Brad Lubman (*1962), Philippe Manoury (*1952), Johannes Maria Staud (*1974), Tan Dun (*1957), Christian Jost (*1963). In questo disco ne ripropone undici (manca la variazione di Penderecki, per ragioni che ignoro).
    Chiaramente l’ascolto si divide in tre parti. Nella prima il pianista austriaco esegue le famose variazioni Diabelli di Beethoven, rivelandoci tutta la sua arte e la sua consumata esperienza con queste pagine, con le quali ha ormai un rapporto di intima affinità. L’ho trovata un'ottima esecuzione che mi ha fatto conoscere un Buchbinder diverso da quello che ricordavo.
    Nelle variazioni moderne, che occupano la parte centrale del disco, si riconoscono stili diversi e modi diversi di affrontare questo “compito”. Alcune mi sono piaciute, altre meno, ma ho certamente apprezzato l’idea di attualizzare l’intuizione di Diabelli e di mischiare tradizione e innovazione.
    L’ultima parte del disco con una manciata di variazioni dei contemporanei di Beethoven, riporta i lavori di Johann Nepomuk Hummel, Frédéric Kalkbrenner, Conradin Kreutzer, Franz Liszt, che nel 1819 aveva 8 anni, Ignaz Moscheles, Franz Xaver Wolfgang Mozart, figlio del più famoso genitore, Franz Schubert e Carl Czerny. Sono probabilmente i compositori più significativi tra i cinquanta del primo volume di variazioni, detto questo, oggi queste pagine sono poco più di una curiosità.
    In conclusione, non posso che raccomandarvi questo disco, che rappresenta fin qui una delle proposte più interessanti e originali nel 250° anniversario della nascita di Beethoven!
  10. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Le Six et Satie. Musiche di Auric, Durey, Honegger, Milhaud, Poulenc, Tailleferre e Satie.
    Pascal e Ami Rogé, pianoforte.
    Onyx Classics 2020.
    ***
    Nel tripudio discografico di celebrazioni del 250 anniversario di Beethoven, un po’ di musica francese giunge come una boccata di aria fresca. E quale musica più anti-germanica potrebbe esserci se non quella del cosiddetto Gruppo dei Sei, musica nata alla fine della grande guerra, sulla spinta dell’antagonismo bellico e di sentimenti nazionalistici, in antitesi alla pesantezza teutonica di Wagner.
    I compositori in questione sono Darius Milhaud, Arthur Honegger, Francis Poulenc, Germaine Tailleferre, Georges Auric e Louis Durey che, sotto l’influsso di Satie e Cocteau, ebbero un momento di coesione intorno al 1920, quando un critico musicale creò per loro la definizione di “Gruppo dei Sei”, sulla scia del russo “Gruppo dei Cinque”. In realtà questa vicinanza fu effimera e ognuno di loro seguì poi la propria strada, com’è normale.
    Se il rifiuto della tradizione tedesca è evidente, il tentativo di scrollarsi di dosso l’impressionismo di Debussy fu solo apparente: evidenti sono i numerosi riferimenti allo stile del grande compositore francese, pur sotto un abito ormai molto diverso.
    E’ musica per lo più disimpegnata, spesso scherzosa e brillante, divertente da ascoltare, nazionalista sì, ma al tempo stesso aperta a tutte le influenze musicali che attraversarono Parigi in quegli anni.
    Ascoltandola oggi stupisce per la sua modernità e viene quasi da dire che questa musica è invecchiata molto meglio di quella di tanti compositori venuti dopo.
    Pascal Rogé, qui accompagnato dalla moglie Ami, è un pianista straordinario, sicuramente uno dei migliori nel rendere al meglio il repertorio francese (ricordo una bellissima integrale di Poulenc e tanti altri bei dischi). Negli ultimi anni ha inciso spesso in coppia con la moglie con ottimi risultati.
    Un disco che mi ha regalato degli autentici momenti di buonumore (cosa rara di questi tempi) e che mi sento di consigliare anche a chi ha poca familiarità con questo repertorio.
  11. happygiraffe
    Mi è capitato di ascoltare negli stessi giorni due dischi dedicati a Schubert di due artisti molto diversi tra loro e così ho deciso di farli salire sul ring per una sfida all'ultima nota.
    Signore e signori, preparatevi a un incontro senza pari. Da un lato l'esuberante georgiana Khatia Buniatishvili, classe 1987, dall'altro lo schivo pianista tedesco Alexander Lonquich, classe 1960.
    Partiamo dalla veste grafica.
    Khatia si presenta come una novella Ophelia, vestita di bianco e semi-annegata in acque torbide:

    Se da un lato vien da pensare al celebre Lied "La morte e la fanciulla", visivamente questa immagine richiama la celebre Ophelia del pittore preraffaellita John Everett Millais:

    Passiamo alla copertina del disco di Lonquich, dove ci appare un primo piano del pianista con gli occhi chiusi, di tre quarti, in penombra, con uno sfondo nero:

    Per una strana associazione della mia mente stramba, a me questa immagine ha fatto venire in mente il Kurtz di Marlon Brando in Apocalypse Now di Coppola:

    Per fortuna, appena aperto il libretto Lonquich ci appare in un ritratto vagamente più rassicurante con gli occhi aperti:

    Dovendo scegliere tra le due, la mia preferenza va a Khatia, per aver avuto il coraggio di posare nell'acqua gelida pur di realizzare questa copertina 
    Copertina: Khatia Vs Alexander 1-0.
    Passiamo ora ai programmi dei due dischi:
    Khatia Buniatishvili esegue di Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 4 Improvvisi Op.90, D.899
    - Ständchen, trascrizione di Franz Liszt S. 560/7 dal Lied D.957/4
    Alexander Lonquich invece esegue di Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.19 D.958
    - Sonata per pianoforte N.20 D.959
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 3 Klavierstucke D.946
    Il disco si intitola 1828, anno in cui furono composte queste opere e anno in cui morì il giovane Franz.
    Decisamente più denso e impegnativo il programma presentato da Lonquich.
    Voto sul programma: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Proseguiamo e andiamo a leggerci i libretti che accompagnano i due dischi.
    Cominciamo da quello della Buniatishvili.
    Al di là di altri due ritratti della giovane georgiana sempre immersa nelle stesse acque fredde e torbide della copertina, il libretto ci stupisce per un breve saggio della stessa pianista intitolato "Note di una femminista", dove ci parla del lato femminile, della vulnerabilità e della grande sensibilità di Schubert. Rimango un po' perplesso e rimango in ogni caso convinto che il femminismo sia una cosa ben diversa da quanto ci dice Khatia.
    Passo al libretto del disco di Lonquich, dove trovo un saggio anche in questo caso scritto dall'interprete stesso. Lonquich analizza le quattro opere in programma, fornendo spunti e rimandi molto interessanti. Davvero un'ottima lettura, che ci serve anche per capire le scelte interpretative.
    Anche per il libretto non c'è storia...
    Voto sul libretto: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Passiamo ora alla parte più gustosa: il confronto tra le due interpretazioni.
    Le scelte dei due pianisti non potrebbero essere più diverse. In verità, ho trovato entrambi i dischi spiazzanti, ma per motivi opposti. 
    La lettura della Buniatishvili, che come sappiamo mira a esaltare l'aspetto femminile di Schubert, tende a restituirci un'atmosfera ovattata di calma assoluta, in cui ogni asperità appare smussata, ogni contrasto appiattito. Il rischio che corre è che le "celestiali lunghezze" di Schubert (come le aveva definite Schumann), diventino dei languidi momenti di torpore. La sonata D.960 scivola via con dolcezza, senza troppi sussulti, se non fosse per alcune repentine accelerazioni e decelerazioni, che spesso non sembrano giustificate. Anche i quattro improvvisi op.90 non lasciano il segno e confermano l'impressione di un'interpretazione che, nonostante le intenzioni, non vada mai in profondità.
    Ho trovato anche la lettura di Lonquich piuttosto spiazzante e ammetto di aver ascoltato il disco più volte prima di ritrovarmici. Il suo è uno Schubert molto diverso da quello al quale siamo abituati. Diciamo innanzitutto che Lonquich sembra non voler fare molto per compiacere l'ascoltatore: Il timbro è spesso spigoloso e duro, dimentichiamoci il suono morbido e raffinato di un Brendel o addirittura di Zimerman e lo Schubert intimo e consolatorio che ci ha tramandato la tradizione. Al contrario di Khatia, i contrasti vengono portati all'estremo e ogni piccola asperità della partitura viene enfatizzata, restituendoci uno Schubert tormentato, in cui la tensione drammatica viene amplificata nota per nota, creando un collegamento evidente con l'ultimo Beethoven. Si percepisce che quella di Lonquich è una visione maturata a lungo nel corso degli e che questa interpretazione è il frutto di un'analisi e di uno studio che hanno scavato a fondo la partitura. Il risultato può essere più o meno persuasivo (personalmente ho apprezzato di più la 958 e la 960 del resto del programma) e soprattutto può convincere o meno l'ascoltatore, abituato ad ascoltare uno Schubert generalmente molto diverso da questo, ma comunque penso che meriti un grande rispetto. 
    Dovendo scegliere tra le interpretazioni di Khatia e Alexander, anche qui non ho dubbi. La lettura di Lonquich, per quanto spiazzante e molto personale, lascia il segno e rimane impressa nella memoria. Quella di Khatia, non me ne voglia!, l'ho trovata acerba e superficiale.
    Voto sull'interpretazione: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Un'ultima nota sulla qualità della registrazione dei due dischi. 
    Il pianoforte della Buniatishvili mostra un'enfasi eccessiva sul registro medio-basso, che appare gonfio  e riverberante, pur mantenendo una mano destra leggibile e chiara. Molto più omogeneo e limpido il suono del pianoforte di Lonquich, anche se un po' "asciutto", reso in ogni caso in maniera più realistica e convincente dagli ingegneri del suono dell'Alpha, che battono a sorpresa quelli di Sony.
    Voto sulla qualità della registrazione: Khatia Vs Alexander 0-1.
    Siamo arrivati alla fine della nostra sfida: Alexander Lonquich sconfigge senza troppa fatica Khatia Buniatishvili, con il punteggio finale di 4 a 1.

    Ci farebbe piacere vedere un pianista del calibro di Lonquich più presente sul mercato discografico e sicuramente ci fa piacere vedere che l'etichetta Alpha gli abbia permesso di realizzare questo disco.
     
    ***
     
    I due contendenti di questa sfida:
    Khatia Buniatishvili, Schubert.
    - Franz Schubert, Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - Franz Schubert, 4 Improvvisi Op.90, D.899
    - Franz Schubert, Ständchen, trascrizione di Franz Liszt S. 560/7 dal Lied D.957/4
    Sony Classical, 2019.
    _____
    Alexander Lonquich, 1828.
    Franz Schubert:
    - Sonata per pianoforte N.19 D.958
    - Sonata per pianoforte N.20 D.959
    - Sonata per pianoforte N.21 D.960
    - 3 Klavierstucke D.946
    Alpha, 2018.
     
  12. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Schubert, Fantasia “Wanderer” D 760 op. 15
    Berg, sonata per pianoforte op.1
    Liszt, sonata per pianoforte in Si minore S 178
    Seong-Jin Cho, pianoforte
    DG 2020
    ***
    Vincitore del Concorso Chopin nel 2015, il coreano Seong.Jin Cho è ormai un pianista affermato, con un contratto stabile con DG e ormai già qualche disco al suo attivo. Qui ci propone un programma tanto bello quanto impegnativo: la Fantasia Wanderer di Schubert, la sonata di Berg e quella di Liszt per concludere.
    Cho possiede una tecnica ineccepibile: un fraseggio elegante, una gamma timbrica sgargiante, un virtuosismo mai appariscente. 
    Il suo Schubert è di alto livello, tecnicamente immacolato, con un controllo e una resa dell’architettura del brano impeccabile. Tuttavia mi sento di dire che è convincente, ma non sconvolgente. Al giovane Cho manca ancora qualcosa. La sua Wanderer non ha l’impeto di un Richter, il furore di un Pollini, l’introspettiva complessità di un Brendel, la follia di un Sofronitsky. E’ come se ci fossero un controllo e una reticenza eccessivi, quando invece ci sarebbero voluti un po’ di rischio e di slancio in più.
    La bellissima sonata di Berg viene eseguita con una sensibilità straordinariamente acuta. È ben presente quel senso di inquietudine che in fondo la accomuna con le altre due opere di questo disco. Cho è in grado di rendere alla perfezione la filigrana dei vari piani sonori, le impennate e le decelerazioni della musica, con una palette timbrica di prim’ordine. Rispetto alla lettura di Pollini, che guarda avanti alla musica degli anni successivi, Cho ha un approccio più tradizionale.
    È la sonata di Liszt, che chiude il disco, il brano che mi ha convinto di più. Tutto il virtuosismo di Cho è al servizio della diabolica partitura del grande compositore ungherese e questa volta c’è anche quello slancio che finora ci era mancato. Certo è che non mancano le grandi interpretazioni di questa sonata ed è sempre difficile per un giovane pianista poter dire qualcosa di nuovo. Il risultato è comunque di tutto rispetto.
    Ripensando a questo disco nel suo complesso, mi sento assolutamente di consigliarlo. Mi rimane comunque l’impressione di trovarmi di fronte a un ottimo pianista dotato di grandissimi mezzi, ma che ancora deve trovare la sua strada dal punto di vista interpretativo, quella strada che gli permetterebbe di lasciare il segno. Se lo confrontiamo con i suoi quasi coetanei, non trovo né l’elettrizzante fantasia di Benjamin Grosvenor, né lo slancio e l’intellettualismo di Igor Levit o la felina naturalezza di Yuja Wang. Poco male, va bene anche così. Vorrò dire che il meglio deve ancora venire.
    Modificato 9 Maggio 2020 da Eusebius
  13. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    '900 Italia. Musiche per pianoforte di Busoni, Alaleona, Malipiero, Lupi, Savagnone, Berio, Cartiglioni, Mosso, Colla.
    Gialnuca Cascioli, pianoforte.
    DG 2019
    ***
    E' davvero interessante il progetto dedicato alla divulgazione del repertorio pianistico del '900 che il pianista e compositore italiano Gianluca Cascioli sta portando avanti da qualche anno.
    Il percorso che ci propone segue un ordine geografico: dopo un primo disco dedico ai paesi dell'Est, diciamo dell'ex Unione Sovietica (Russia, Ucraina, Estonia) e un secondo dedico all'area austro-tedesca, arriva ora questo terzo album dedicato all'Italia.


    Le copertine dei dischi precedenti.
     
    Sono nove i compositori rappresentati in questa antologia che comincia con Ferruccio Busoni (1866-1924) e termina con Alberto Colla, nato nel 1968, passando per una serie di compositori più o meno noti: Domenico Alaleona (1881-1928), Gian Francesco Malipiero (1882-1973), Roberto Lupi (1908-1971), Giuseppe Savagnone (1902-1984), Luciano Berio (1925-2003), Niccolò Castiglioni (1932-1996), Carlo Mosso (1931-1995).
    Ammetto senza vergogna che molti di questi nomi mi erano del tutto sconosciuti, ma non potrebbe essere diversamente, perché tolti Busoni, Malipiero, Berio e Castiglioni, i restanti sono decisamente poco rappresentati in discografia.
    L'ascolto è stato ad ogni modo piacevolmente interessante. Nel selezionare queste opere Cascioli sembra aver seguito il disegno preciso di conquistare l'ascoltatore con un repertorio che sia comprensibile e "ascoltabile" anche e soprattuto per i non specialisti, evitando le avanguardie più ostiche. E noi per questo lo ringraziamo! Apprezziamo molto di più un progetto come questo, che con intelligenza e entusiasmo prova a portare la musica del '900 a un pubblico più ampio, piuttosto che l'ennesima incisione dei 24 Preludi di Chopin.
    In sintesi, un disco sicuramente molto interessante che consiglio a chi abbia voglia di esplorare territori nuovi e autori poco conosciuti.
     
    Riporto per chi fosse interessato la tracklist:
    1 Busoni: 7 Elegien, BV 249 - 7. Berceuse
    2 Busoni: Sonatina No.4, BV 274 "in diem nativitatis Christi MCMXVII"
    3 Alaleona: La città fiorita, cinque "impronte" per pianoforte - 2. Crisantemo
    4 Malipiero: Risonanze - 1. Calmo
    5 Malipiero: Risonanze - 2. Fluido
    6 Malipiero: Risonanze - 3. Non troppo mosso
    7 Malipiero: Risonanze - 4. Agitato, non troppo
    8 Lupi: 6 Studi per pianoforte - 1. Vivo e fresco
    9 Lupi: 6 Studi per pianoforte - 2. Moderatamente mosso
    10 Lupi: 6 Studi per pianoforte - 3. Velocissimo
    11 Savagnone: Prisma armonico, Op. 22 - Preludio No. 1: Allegro
    12 Berio: 6 Encores - 3. Wasserklavier
    13 Castiglioni: Sonatina per pianoforte - 1. Andantino mosso assai dolcino
    14 Castiglioni: Sonatina per pianoforte - 2. Ländler. Allegro semplice
    15 Castiglioni: Sonatina per pianoforte - 3. Fughetta. Allegretto
    16 Mosso: Secondo quaderno per pianoforte
    17 Mosso: Pièce mécanique per pianoforte (in memoria di E.Satie)
    18 Mosso: 22 Preludi per pianoforte - No. 4 Canzone
    19 Mosso: 22 Preludi per pianoforte - No. 11 Allegretto vivo
    20 Mosso: 22 Preludi per pianoforte - No. 14 Allegro marziale
    21 Mosso: 22 Preludi per pianoforte - No. 18 Canzone di culla
    22 Mosso: 22 Preludi per pianoforte - No. 22 Molto allegro, volante
    23 Colla: Notturno IV "Moonbow"
    24 Colla: Notturno VII "Mosarc"
    25 Colla: Notturno IX "Rope bridge"
    26 Colla: Notturno X "Lunar Ephemeris"
  14. happygiraffe
    Arnold Schoenberg, Concerto per violino e orchestra, Verlkaerte Nacht.
    Isabelle Faust, violino.
    Swedish Radio Symphony Orchestra, Daniel Harding.
    Verlkaerte Nacht: Isabelle Faust e Anne Katharina Schreiber, violini, Antoine Tamestit e Danusha Waskiewicz, viole, Christian Poltéra e Jean-Guihen Queyras, violoncelli.
    Harmonia Mundi, 2020.
    ***
    La violinista tedesca Isabelle Faust è solita spaziare con facilità in un repertorio molto ampio che va da Bach alla musica del ‘900. Non sorprende quindi vederla ritornare alla seconda scuola di Vienna, dopo la bella incisione del concerto di Berg con Abbado del 2012, questa volta con un disco interamente dedicato a Schoenberg, contenente il concerto per violino e orchestra e Verklärte Nacht.

    Composto tra il 1934 e il 1936, negli anni travagliati e bui che seguirono la partenza dalla Germania nazista e il suo trasferimento in America, il concerto per violino e orchestra Op.36 fu dedicato ad Anton Webern ed eseguito per la prima volta nel 1940 a Filadelfia sotto la direzione di Leopold Stokovski. Al violino c’era Louis Krasner, lo stesso che nel 1936 aveva eseguito per la prima volta a Barcellona il concerto per violino di Berg.
    E’ un lavoro particolare: da un lato il linguaggio dodecafonico e una scrittura straordinariamente impegnativa per il solista (lo stesso Schoenberg scherzando diceva che il violinista “dovrebbe possedere una mano sinistra con sei dita”), dall’altra una struttura classica molto tradizionale in tre movimenti e soprattutto un lirismo davvero intenso.

    La Faust è davvero bravissima nell’insufflare passione ed energia a queste pagine e a dominare le difficoltà della partitura con assoluta scioltezza, ottimamente accompagnata da un attento e sensibile Daniel Harding e dall’orchestra sinfonica della radio svedese. Faust e Harding riescono a trovare il sottile equilibrio tra innovazione e tradizione di questo concerto, ma soprattutto a convincere l’ascoltatore che non è necessario essere profondi conoscitori delle tecniche compositive dodecafoniche per cogliere la bellezza di queste pagine.
    Nella seconda parte del disco Isabelle Faust abbandona Daniel Harding e la compagine svedese per riunirsi con un gruppo di amici nell’interpretazione di quella che è una delle opere forse più note di Schoenberg, Verklärte Nacht, qui nella meno nota versione originale per sestetto d’archi del 1899. 
    Curiosamente Verklärte Nacht è un poema sinfonico composto per un complesso da camera, un sestetto d’archi appunto. Solo successivamente, nel 1917, fu arrangiato per orchestra d’archi.
    Verklärte Nacht fu la prima composizione strumentale di rilievo di Arnold Schoenberg. Lo stile compositivo guarda ancora al contesto tradizionale del sinfonismo tardo romantico tedesco, con abbondanza di materiali cromatici “tristaniani”.
    La musica segue con precisioni le varie fasi del testo poetico di Richard Dehmel, scrittore all’epoca molto in voga. Rispetto alla versione per orchestra d’archi, la versione per sestetto guadagna in essenzialità e trasparenza quello che perde in ricchezza sonora.
    Qui la Faust è accompagnata da un gruppo di straordinari artisti: Anne Katharina Schreiber, secondo violino, Antoine Tamestit e Danusha Waskiewicz, viole, Christian Poltéra e Jean-Guihen Queyras, violoncelli. Insieme ci accompagnano in questo percorso musicale e poetico, fino all’incredibile ultimo movimento che lascia l’ascoltatore letteralmente a bocca aperta.
    In conclusione è un disco che riconcilia, se ce ne fosse il bisogno, con un compositore considerato purtroppo ancora oggi “difficile”. Complimenti alla grandissima Isabelle Faust (e ad Harmonia Mundi) per il coraggio di pubblicare un disco di musica non certo popolare e complimenti a tutti gli artisti coinvolti per la passione e l’amore con i quali hanno ridato vita a queste pagine!

  15. happygiraffe
    Franz Liszt
    Années de Pèlerinage. Deuxième Année - Italie, S161/R10b
    Légende, S.175: No. 1, St François d'Assise (La prédication aux oiseaux)
    Francesco Piemontesi, pianoforte
    Orfeo 2019
    ***
    Esce per Orfeo anche il secondo volume delle Années de pèlerinage di Liszt, dopo il primo, pubblicato nel 2018.
    Composti durante un viaggio in Italia tra il 1838 e il 1839, questi sette brani traggono ispirazioni dalle arti figurative (come la tela di Raffaello "Lo sposalizio della Vergine" e la statua scolpita da Michelangelo per la tomba di Giuliano de' Medici), così come da opere letterarie (tre sonetti del Petrarca e la Divina Commedia di Dante). Rispetto al primo anno delle Années, l'elemento naturalistico qui è completamente scomparso. Il linguaggio musicale si fa più denso e articolato e richiede all'ascoltatore una maggiore partecipazione e predisposizione.
    Piemontesi dimostra anche in questa seconda raccolta un grande sintonia con queste pagine. Il pianista svizzero predilige sempre l'aspetto della narrazione, quieta e intimista, su quello virtuosistico, che pure è sempre presente in Liszt, ma che qui non è mai protagonista. Forse, se proprio vogliamo muovere un piccolo appunto, questo approccio interpretativo a volte può sembrare anche eccessivamente bilanciato e controllato, ma qui rientriamo nell'ambito delle preferenze personali. Quello che è certo è che Piemontesi rivela ancora una volta una maturità artistica e un dominio tecnico straordinari!
    Notevole anche la qualità della registrazione (che ho ascoltato in formato liquido 96/24), realizzata a Lugano nell'Auditorium Stelio Molo della RSI. Il pianoforte è reso in maniera assolutamente realistica in tutto lo spettro, con un'immagine ben centrata e coerente.
    A questo punto non ci resta che aspettare il terzo volume delle Années!
  16. happygiraffe
    Beethoven, Trio per pianoforte Op.1 n.3 e Op.70 n.2
    Trio Sitkovetsky
    BIS, 2020.
    ***
    Comincia nel migliore dei modi il primo volume di questa nuova integrale  dei trii beethoveniani ad opera del giovane ensemble guidato dal violinista Alexander Sitkovetsky.
    Il numero d’opera non deve trarre in inganno: l’op.1 n.3 fu all’epoca una composizione molto innovativa nel portare questo genere dal repertorio salottiero di intrattenimento ad una dimensione più moderna. Talmente innovativa che l'insegnante del giovane Beethoven, Haydn, pur ammirandone le qualità, ne sconsigliò la pubblicazione, temendo che il pubblico non potesse capirlo. Si tratta in ogni caso del primissimo Beethoven, ancora lontano dall’eroico ardore del periodo centrale o dalle sperimentali astrazioni degli ultimi anni.
    Il Sitkovetsky ci stupisce subito per il suoi timbri pieni ed eleganti e lo slancio naturale e gioioso del fraseggio. I movimenti si susseguono con grande armonia e equilibrio, in un clima luminoso e gaio.
    Segue, a guisa di intermezzo, il graziosissimo Allegretto WoO 39, ultimo pezzo composto da Beethoven per trio, scritto per la giovane Maximiliane Brentano, “per incoraggiarla a suonare il pianoforte”.
    Non potrebbe essere più diversa l’atmosfera del ben più tormentato Trio Op.70 n.2.
    Privo di un movimento lento, questo trio si apre con un’introduzione sommessa in cui gli strumenti a canone introducono il primo tema, cui segue uno sviluppo decisamente più ombroso e passionale. Se l’Allegretto successivo sotto forma di variazioni, ha un carattere più ossessivo, L’Allegretto ma non troppo prende corpo da una splendida melodia nel più pure stile beethoveniano. Il Finale è un misto di esuberanza e virtuosismo, che ci porta a briglie sciolte verso la conclusione.
    Davvero irreprensibili i tre musicisti del Trio Sitkovetsky, sia nel equilibrio tra gli strumenti, con il pianoforte di Wu Qian che non domina mai e il violoncello di Isang Enders sempre perfettamente leggibile, sia nella giudiziosa scelta dei tempi. E’ nel complesso un interpretazione molto naturale e “classica”, ma per niente accademica e priva di qualsiasi affettazione. Aspettiamo il seguito!
    Ottimo anche la qualità della registrazione, che rende bene il suono caldo dell’ensemble con tutte le sue sfumature timbriche e ci restituisce un’immagine omogenea e realistica.
  17. happygiraffe

    Recensioni : Pianoforte
    Beethoven, le sonate per pianoforte.
    Igor Levit, pianoforte.
    Sony Classical 2013/2019
    ***
    Ormai è chiaro che Igor Levit è un pianista a cui piace darsi degli obiettivi ambiziosi: esordio impressionante con le ultime sonate di Beethoven, poi tutte le partite di Bach, poi un triplo album con Goldberg, Diabelli e le bizzarre variazioni di Rzewski, nel 2018 un personalissimo e densissimo concept album, Life. Ora arriva addirittura l’integrale delle 32 sonate di Beethoven! Incisa tra la fine del 2017 e i primi mesi del 2019, recupera le sonate 28-32 dal suo disco di esordio del 2013.
    Ma al di là della sua passione per le sfide, quello che impressiona sempre di Levit è la solidità delle sue scelte interpretative.  Questa integrale colpisce per la coerenza e per la linearità dello stile attraverso tutto il ciclo di sonate. Analizzando i tempi utilizzati (questione perennemente dibattuta), Levit segue chiaramente la tradizione di Schnabel, che privilegia tempi veloci e accentua i contrasti tra movimenti veloci e movimenti lenti. E’ un Beethoven vigoroso, energico e scattante. E’ una scelta netta, da tenere in considerazione sulla base delle proprie preferenze.
    C’è continuità anche nel modo in cui è stato “ripreso” il pianoforte dagli ingegneri del suono, nonostante le registrazioni si siano svolte in tre luoghi diversi in periodi diversi. Non è un pianoforte come solitamente siamo abituati ad ascoltare, con microfoni molto vicini e un suono pulito e analitico con separazione tra i vari registri e se vogliamo poco realistico, ma è un pianoforte come potremmo sentirlo in una sala da concerti, ampio, con i registri ben amalgamati tra loro, ma meno “radiografico”. E’ un fatto questo che condiziona di molto tutta l’esperienza di ascolto. Si può perdere qua e là qualche sfumatura o qualche dettaglio, ma probabilmente si guadagna in impatto emotivo. Personalmente ho sempre trovato che questo tipo di registrazioni mi facciano rivivere molto di più l’esperienza del concerto.

    Prime sonate (1795-1800)
    Già dalle prime sonate, spesso punto di debole di altre integrali, così rivolte alla tradizione classica di Haydn e Mozart, ma già cariche di idee nuove, si capisce che il Beethoven di Levit è già tutto proiettato verso il futuro. I tempi sono piuttosto rapidi, le dinamiche accese. Pur mantenendo uno sguardo riconoscente verso il passato, lo Sturm und Drang è già arrivato. Questo è messo sempre più in evidenza man mano che si passa dalle prime sonate Op.2 via via verso letture sempre più energiche delle 3 sonate Op.10, dell'Op 13 "Patetica", fino all'Op.22 che chiude il periodo delle prime sonate, ma che già precorre il gruppo delle sonate di mezzo.
    Sonate Centrali (1801-1814)
    Con il gruppo delle sonate cosiddette centrali si va nel cuore della produzione beethoveniana ed è qui che emergono le capacità introspettive di Levit, che riesce con facilità ad andare sotto la superficie a cogliere l'essenza di ogni sonata. E’ un Beethoven energico e grintoso che vola sui tasti, ma con profondi momenti di riflessione nei movimenti lenti.
    Sono tanti i momenti degni di nota: una “Marcia funebre” cupa e intensa, una “Pastorale” di rara sensibilità, una "Appassionata" da ricordare, assolutamente viscerale e spericolata; la "Waldstein" ha un avvio sprintosissimo e un finale pirotecnico. Se devo proprio trovare qualche punto negativo, sorprende qua e là (e anche nelle sonate del primo gruppo) una certa fretta nei movimenti finali e nelle battute conclusive, quasi che il pianista avesse fretta di chiudere lo strumento e andarsene.
    Ma se guardiamo a questo gruppo di sonate nel loro insieme, sono evidenti da un lato la sicurezza, davvero senza esitazioni, del pianista nelle proprie scelte interpretative, dall'altra anche la volontà di mettersi in gioco e di prendersi dei rischi, anche a scapito di quella perfezione tanto ricercata in studio di registrazione. In questo senso questa integrale, anche per come è stata registrata, riporta all'ascoltatore le emozioni che di solito si possono provare in un’esecuzione dal vivo. Pur essendo un musicista di grande personalità, non ho trovato in queste esecuzioni quel desiderio di stupire a tutti i costi che spesso caratterizza le interpretazioni di un repertorio così frequentato. C’è anzi un rispetto per la lettera, ma soprattutto per lo spirito di questa musica, che vorremmo vedere più spesso (Vedi ultimo disco di Pogorelich).
    Sebbene Levit non abbia adottato scelte eccessive o estreme (Pollini in alcune sonate è stato ben più radicale), certamente alcuni potranno desiderare un po' più di respiro o un approccio più misurato o più contemplativo. 
    Ultime sonate (1816-1822)
    Le ultime 5 sonate di questa integrale sono riprese dallo splendido disco di esordio del 2013. L'approccio si fa più riflessivo, specie nei movimenti lenti eseguiti con grandissima intensità (Op.101, Op.106) ad evidenziare il contrasto coni movimenti veloci eseguiti con il consueto vigore (si ascolti il primo movimento della "Hammerklavier", così febbrile e concitato).
    La capacità di rendere con lucidità l'architettura dell'opera nella sua interezza, dote davvero rara, qui è assoluta, così come l'abilità nell'accompagnare chi ascolta in un viaggio nella musica.
    Riascoltando oggi l'Op.111, a distanza di qualche anno dalla sua uscita e con l'ascolto freschissimo di questa integrale, mi rendo maggiormente conto di qualche passaggio leggermente troppo lento per i miei gusti, ma stiamo davvero parlando di dettagli. 

    Ormai non ci devono più stupire le capacità e la maturità interpretativa e intellettuale di questo pianista. Quest'ultima fatica di Levit ne è un'altra riprova.
    Pur non mancando le integrali di peso (da quelle storiche di Schnabel, Backhaus, Kempff, Gilels, purtroppo non completa, Arrau, poi quelle di Brendel, Pollini, Barenboim, Kovacevich, fino ai giorni d'oggi con quella di Biss, ormai quasi completata), questa nuova integrale, costruita con una visione sicura, lucida e coerente, è destinata a essere ricordata. 
    E ora che ha archiviato in una manciata di anni le 32 sonate e le variazioni Diabelli, forse Levit si dedicherà ai 5 concerti?

  18. happygiraffe

    Recensioni Cuffie
    Vorrei innanzitutto ringraziare Hifiman che ci ha fornito questi auricolari in cambio della nostra sincera opinione. La nostra analisi sarà quanto più possibile oggettiva e, anzi, comincio subito col dire che in redazione non siamo dei grandi fan degli auricolari, abituati come siamo ad ascoltare musica tramite cuffie tradizionali (quando non con diffusori), comodamente seduti in poltrona. Ho accettato però con entusiasmo l’idea di testare queste “cuffiette” prodotte da un’azienda molto nota in ambito hifi per le sue magnifiche cuffie magnetostatiche.
    E così veniamo a parlare di queste RE 600s V2, evoluzione delle RE 600 lanciate nel 2013 e appartenenti alla  famiglia “premium” del catalogo di Hifiman.

    Si tratta di auricolari con un driver da 8.5mm, un diaframma in Titanio e un magnete in neodimio, pensati per ascolti di qualità su dispositivi portatili.
    Si presentano in una confezione davvero molto, molto bella, che stupisce per la cura che Hifiman ha voluto dedicare a questo prodotto.

    Al suo interno troviamo un’ampia scorta di “tappini”: 3 paia a doppia flangia (small), 2 paia a doppia flangia (medium), 2 paia monoflangia (small), quattro paia in silicone (small e medium). Tra gli accessori anche cinque coppie di filtri extra, nel caso col tempo si presentasse la necessità di sostituirli.

    In più Hifiman fornisce una comoda e compatta custodia da viaggio circolare (contenente ancora altri ear-tips).

    Sono auricolari di taglia piuttosto ridotta e, una volta trovata la coppia di adattatori che meglio si adatta alle nostre orecchie, sono in grado di fornire un buon isolamento dai rumori esterni. L’ingombro limitato e la loro leggerezza li rendono piuttosto comodi da utilizzare. Il cavo, cambiato rispetto alla versione precedente, è di buona sezione e termina con un jack dritto da 3.5mm. Da notare che il cavo è fisso, cosa prevedibile viste le dimensioni dell’auricolare.
    Prova d’ascolto
    Ho dovuto sottoporre questi auricolari ad un lungo rodaggio di circa 100 ore prima che cominciassero a dare il meglio delle loro possibilità. Da nuovi facevo davvero fatica ad ascoltarli. Per questa prova li ho accoppiati al fidato lettore Fiio X5.

    Bassi
    I bassi sono ben presenti, ma mai esagerati, anzi molto equilibrati e di qualità, in linea con l’impostazione molto neutra di queste cuffie. A volte sentiremmo l’esigenza di un basso più pieno e presente, ma servirebbe un driver più ampio per ottenerlo. Come prevedibile si percepisce una certa attenuazione dai 100Hz in giù.
    Medi
    Le medie frequenze sono il vero grande punto di forza di questi auricolari: il suono è aperto e trasparente, le voci umane hanno corpo e presenza e sono riprodotte con grande naturalezza. I timbri degli strumenti sono assolutamente realistici e ben bilanciati.
    Alti
    Le  frequenze medio-alte presentano un buon grado di dettaglio, ma quando messe alla corda da alcuni strumenti (clavicembalo, ma anche pianoforte, chitarre elettriche) ho invece percepito una leggera asprezza che può rendere l’ascolto di alcuni brani un po’ faticoso a chi ha orecchie più sensibili a queste frequenze, come è il mio caso. Andando più su le cose migliorano, anche grazie ad un’evidente attenuazione della parte più alta dello spettro.
    Palcoscenico
    Il soundstage è a mio avviso il secondo punto di forza di queste cuffie: l’immagine riprodotta stupisce molto per ampiezza, profondità e capacità di separare e localizzare con precisione gli strumenti nello spazio e questo non è cosa da poco!
    Conclusioni
    Riassumendo, si tratta di un paio di ottimi auricolari che suonano in modo molto neutrale e ricco di dettaglio e che fanno della linearità nelle medie frequenze il loro punto di eccellenza, insieme a un palcoscenico virtuale davvero sorprendente.
    Nel trarre le conclusioni non si può fare a meno di considerare l’elemento economico. Questi sono auricolari che al momento del lancio venivano venduti a 400$ (negli USA), prezzo che trovo eccessivamente alto per quello che offrono. Oggi si possono trovare a 120€ nel più famoso negozio online del pianeta, mentre sullo store di Hifiman sono proposti in offerta addirittura a 64,99$, anziché a 200$.
    A questo prezzo diventano oggetti decisamente più interessanti e appetibili, con un rapporto qualità-prezzo molto favorevole, che mi rende molto più facile consigliarli a chi sia interessato a questo tipo di dispositivi. Siamo comunque, a mio avviso, ancora lontani da un’esperienza di tipo “audiophile”, come dicono nei paesi anglosassoni, per la quale bisognerà passare a modelli superiori per qualità e prezzo.
    Segnalo l’esistenza di un modello più economico, le RE400, che oggi si trovano intorno ai 60€, che mantengono la stessa impostazione molto neutrale delle RE600S e un’ottima gamma media, ma con prestazioni complessivamente inferiori, che potrebbe interessare chi ha un budget più ristretto.
     
    Pro
    Confezione molto bella, ideale per un regalo
    Leggerezza e comfort
    Dettaglio
    Palcoscenico ampio
    Suono bilanciato e neutrale
    Ampia disponibilità di eartips
     
    Contro
    Cavo fisso
    Basso un po’ esile
    Medio alti a tratti un po’ aspri
  19. happygiraffe
    Luigi Nono, Djamila Boupacha per soprano solo.
    Joseph Haydn, Sinfonia n.49 Hob.I:49.
    Géerard Grisey, Quattre chants pour franchir le seuil.
    Barbara Hannigan, soprano: Ludwig Orchestra.
    Alpha, 2020.
    ***
    La Passione è un disco in tre parti che ruota intorno al tema della morte, in varie forme e varie epoche. Ma passione è anche quel sentimento che Barbara Hannigan infonde in misure straordinaria in queste interpretazioni, nella doppia veste di cantante e direttrice d’orchestra.
    Il programma è sicuramente molto particolare e si apre con una composizione per soprano solo di Luigi Nono, Djamila Boupacha, dedicato alla giovane donna algerina che divenne un caso politico nel 1960, quando, dopo settimane di torture e violenze da parte dei soldati francesi, ebbe il coraggio di dire al giudice che la processava che la sua confessione era stata estorta sotto tortura e di chiedere l’indipendenza dell’Algeria. Il suo caso ispirò un quadro di Picasso, un libro di Simone de Beauvoir e una poesia di Jesus Lopez Pacheco, che fu musicata da Nono nel 1962.
    La voce duttile della Hannigan è assoluta protagonista di questo breve lavoro che dura appena cinque minuti, ma che ci commuove con il suo grido di dolore, ora intimo e sommesso, ora lacerato e urlato.
    Il contrasto con la composizione che segue, la sinfonia n.49 “La Passione” di Franz Joseph Haydn è solo apparente. Le note dolenti che aprono il primo movimento ben si sposano con lo sgomento nel quale ci aveva lasciato il lavoro di Luigi Nono. Ora Barbara Hannigan riposa la voce e impugna la bacchetta di direttrice per guidare la Ludwig Orchestra, compagine olandese con la quale collabora da diverso tempo, in una lettura intensa e ricca di pathos.
    Il piatto forte del disco ancora deve, ancora venire ed è rappresentato dai “Quattre chants pour franchir le seuil” (quattro canti per varcare la soglia), del compositore francese Gérard Grisey, per soprano e 15 strumenti. Sono delle meditazioni in musica sulla morte in quattro parti (la morte dell’angelo, la morte della civiltà, la morte della voce, la morte dell’umanità) cui segue una berceuse in conclusione. I testi dei vari movimenti provengono da epoche e civiltà diverse. Non è una composizione che portò bene al povero Grisey, che scomparve prematuramente poco tempo dopo averla terminata.  È un ‘opera che richiede enormi capacità tecniche ai suoi interpreti, le cui voci si intrecciano e sovrappongono continuamente e addirittura si disgregano letteralmente nel terzo movimento “la morte della voce”.  Ed è un’opera che richiede anche una discreta predisposizione da parte di chi ascolta a recepire questo linguaggio musicale e a lasciarsene coinvolgere.
    Ottimo il libretto che accompagna il disco, con un saggio della stessa Hannigan, tutti i testi delle opere di Nono e Grisey e tante belle foto (segnalo che la bella foto di copertina di Elmer de Haas ritrae la stessa Hannigan sott’acqua come una sirena!).
    Due parole sulla qualità della registrazione, davvero ottima in tutte e tre le parti che compongono questo disco: voce sola, orchestra classica e voce con ensemble. La stessa Hannigan in un’intervista ci spiega del rapporto di straordinaria fiducia che la lega all’ingegnere del suono, Guido Tichelman, che conosce da 25 anni e che, conoscendo ogni piega della sua voce, è in grado di consigliarla e di spingerla sempre al massimo:”è come se mi desse un paio di ali supplementari, proprio nel momento in cui ce n’è bisogno”.
    Un grande disco, non per tutti, ma comunque un grande disco!
  20. happygiraffe
    The Beethoven connection, Vol.1
    Jean-Efflam Bavouzet, pianoforte.
    Joseph Wölfl (1773-1812), sonata Op.33 N.3 (1805).
    Muzio Clementi (1752-1832), sonata Op.50 n.1 (1804-21).
    Johann Nepomuk Hummel (1778-1837), sonata n.3, Op.20 (1807).
    Jan Ladislav Dussek (1760-1812), sonata Op.61, C 211 (1806-1807)
    Chandos, 2020.
    ***
    Si sa che il 2020 è stato un anno di celebrazioni beethoveniane e sono fioccate nuove incisioni delle pagine più o meno celebri del genio di Bonn. Pur avendo già registrato pochi anni fa una bella integrale delle sonate, non si è lasciato trovare impreparato o a corto di idee il bravo pianista francese Jean-Efflam Bavouzet.
    È così che, anziché proporci musiche di Beethoven, ha scelto di offrirci pagine di musicisti contemporanei a Beethoven all’epoca piuttosto noti, ma che oggi sono conosciuti per lo più dagli addetti ai lavori.
    A quei tempi Beethoven non era certo l’unico compositore a scrivere musica per pianoforte (o fortepiano) e se i suoi illustri predecessori (Mozart e Haydn) sono celebri, sappiamo probabilmente meno di che tipo di musica scrivevano i suoi contemporanei. L’intento del disco, ben spiegato nelle ottime note di copertina, è proprio quello di farci capire “il linguaggio comune dell’epoca” e mostrare che i capolavori di Beethoven non originano dal nulla, ma da un contesto musicale florido con cui tanto aveva in comune.
    Bavouzet ci invita quindi a cogliere le influenze di Beethoven sui contemporanei così come le quelle di questi ultimi su Beethoven stesso.
    Sono tutti lavori composti tra il 1804 e il 1809, periodo in cui Beethoven sfornava capolavori come la Waldstein (1803), l’Appassionata (1805) e Les adieux (1810) e, sebbene sia evidente che le sonate di questo disco non vi si avvicinino neanche lontanamente, possiamo cogliere molte affinità, soprattutto con le precedenti sonate beethoveniane.
    La sonata in Mi maggiore di Joseph Wölfl ci stupisce per grazia e fantasia. La sonata Op.50 n.1 di Muzio Clementi è forse la meno interessante del disco, ma è noto quanto il compositore romano contribuì all’evoluzione della tecnica e del linguaggio pianistico di quell’epoca e quanto fosse tenuto in considerazione dallo stesso Beethoven.
    Brillante, virtuosa e audace la terza sonata di Johann Nepomuk Hummel, che all'epoca venica considerato l’erede di Mozart e che fu il successore di Haydn come direttore d’orchestra presso il principe Esterházy.
    Molto bella la sonata in due movimenti Op.61 “elegia armonica” di Jan Ladislav Dussek, quella che più di tutte riesce a guardare avanti nel tempo e che possiamo tranquillamente definire pre-romantica. Con il suo carattere più simile ad una fantasia e suoi ritmi concitati e sincopati del secondo movimento fanno quasi pensare a un Robert Schumann, che all’epoca non era ancora nato!
    Esemplare le interpretazioni di Bavouzet, che riesce a imprimere a ogni sonata il giusto carattere, suonando con la consueta finezza ed eleganza. Come "bonus track" il pianista francese ci propone cinque esempi di affinità tra frammenti di sonate di Beethoven, Clementi Hummel e Dussek.
    Molto buona anche la qualità della registrazioni, che rende giustizia al suono nitido e preciso di Bavouzet e ci presenta un pianoforte piuttosto vicino e con una buona dinamica.
    Onestamente, confesso che quando ho visto che era uscito questo disco, sulle prime ho pensato che fosse di una noia mortale. Sono contento di essere stato smentito e di aver conosciuto compositori e opere di cui ignoravo l’esistenza. A questo punto non mi resta che aspettare le prossime due uscite (si tratta di un progetto suddiviso in 3 dischi), augurandomi che siano altrettanto belli.
  21. happygiraffe
    Piotr Naskrecki è una figura particolare nel mondo della macrofotografia: scienziato e fotografo allo stesso tempo.  Usa la fotocamera per documentare le sue ricerche, ma anche per trasmettere al mondo la bellezza delle piccole creature che ci circondano, troppo spesso sconosciute o trascurate.
    Ebbi modo di intervistarlo "telematicamente" qualche tempo fa e questo mio contributo è in parte basato sul nostro scambio di email.
    Naskrecki ha lavorato al Museum of Comparative Zoology (Museo di Zoologia Comparata) all’Università di Harvard, a Cambridge, Massachussets (USA) e all'Università del Connecticut. La sua ricerca è incentrata soprattutto sull’evoluzione degli insetti ma  è anche coinvolto in numerosi progetti scientifici e di divulgazione correlati con la conservazione delle foreste pluviali tropicali.
    Il suo interesse per la macrofotografia è iniziato una ventina d'anni fa quando la moglie gli ha regalato per Natale una Nikon N 6006 (F601).  Dall'uso della fotocamera come mezzo per illustrare gli organismi su cui lavorava al fare della fotografia  una passione il passo è stato breve. Non è interessato fotografare uccelli o mammiferi, perché trova che il piccolo mondo che ci circonda sia molto più affascinante. Attualmente usa soprattutto  fotocamere ed obiettivi Canon.
     
    Come fotografo cerca sempre di portare alla luce la bellezza di quei soggetti che  sfugge ai nostri occhi per via delle dimensioni del mondo in cui noi siamo abituati a vivere. Rendendo i soggetti più grandi del reale, Naskrecki ci porta alla loro scala, permettendoci di vedere strutture, simmetrie e forme normalmente nascoste.

    Una splendida Mantide tropicale

    Nemia,  un Neurottero tropicale

    Typophyllum un ortottero mimetico
    Nello stesso tempo cerca di ricreare la prospettiva e la tridimensionalità di questo microscopico mondo. Per questo usa spesso i grandangoli (15-35mm) con un tubo di prolunga corto, in modo da focheggiare molto vicino pur mantenendo una prospettiva ampia e notevole profondità di campo in modo da cogliere l’ambiente in cui vive il soggetto.
     

    Un ortottero del Mozambico, ambientato.
     
     
     

    Un altro ortottero tropicale
    In altri contesti usa obiettivi macro e, per soggetti molto piccoli, come le formiche lavora a rapporti di riproduzione molto elevati sfruttando il Canon MPE 65mm, che arriva a 5:1.

     
    Se vuole includere qualcosa di più del solo soggetto centrale, usa grandangoli tradizionali
    Le sue gallerie sono diverse (ma ugualmente spettacolari), rivelando posture insolite, oppure interazioni fra (minuscoli) organismi, che per  venire ripresi, richiedono abilità ed esperienza. Per ottenere questi risulta occorre una grande conoscenza del soggetto. Ogni volta che inizia un nuovo progetto fotografico, comincia documentandosi approfonditamente in quanto una buona preparazione fondamentale se si è interessati al comportamento animale. Si può persino arrivare ad osservare e documentare comportamenti che nessun altro ha mai visto prima.
    Naskrecki rimane comunque  prima uno scienziato e poi un fotografo. Usa la fotografia principalmente per documentare il suo  lavoro e come strumento educativo alla comprensione del comportamento animale e alla
    conservazione della natura.

    Raganella tropicale, Papua Nuova Guinea

    Pronto al duello... Granchio del Costarica
     
    Ma a parte la documentazione scientifica,  quando fotografa,  il  messaggio principale che Naskrecki cerca di trasmettere con le sue foto è che esiste un mondo bellissimo e complesso costituito da organismi di cui  pochissima gente sa qualcosa. Si tratta invece di membri affascinanti, coloratissimi e di fondamentale importanza per la sopravvivenza delle comunità biologiche. Spesso sono minacciati quanto  i panda e le tigri, ma ricevono poca attenzione dal pubblico e dai conservazionisti, solo perché in pochi sanno della loro esistenza. Mostrarli da vicino è il primo passo per apprezzarli e proteggerli.

    Piotr Naskrecki, (dal sito Uconn Today)
    Non perdetevi il suo interessantissimo sito:
    http://www.insectphotography.com/
    E il suo fantastico Blog:
    https://thesmallermajority.com/
     
    NOTA: Tutte le foto sono (c) di Piotr Naskrecki, qui mostrate solo allo scopo di illustrare la sua opera ad esclusione del suo ritratto, preso dal sito Uconn Today.
    DISCLAIMER: All the photos shown here are (c) by Piotr Naskrecki, published here only to illustrate his  work, apart for his portrait, taken from the site Uconn Today.
     
  22. happygiraffe
    Noi di VariazioniGoldberg siamo da diverso tempo estimatori dei prodotti Audio-GD. Questo piccolo apparecchio di cui parliamo oggi non ha tradito le nostre aspettative.
    L’R2R11 Mk2 è un all-in-one che comprende un DAC, un ampli cuffie e un preamplificatore sbilanciato. Si tratta di un apparecchio molto versatile, che può essere usato in varie configurazioni:
    come DAC puro e semplice, senza controllo di volume come DAC e preamplificatore con uscite sbilanciate come DAC e amplificatore per cuffie Prima di descriverne le altre caratteristiche, soffermiamoci un momento sul produttore. Audio-GD è un marchio cinese fondato da un progettista, il mitico Kingwa, che ha fatto esperienza negli USA prima di creare la propria azienda. Audio-GD è specializzato nella produzione di DAC, ma oggi il catalogo è piuttosto ampio e propone offerte di vario tipo, tutte caratterizzate da un rapporto qualità prezzo decisamente ottimo. Sono macchine dall’aspetto essenziale, ma che nascondono al loro interno componentistica di qualità. La resa sonora è sempre assolutamente lineare, da strumenti professionali, senza equalizzazioni che colorano il suono. Insomma tanta sostanza e pochi fronzoli. 
    Torniamo al nostro R2R11 mk2. Rispetto alla versione precedente, è stato completamente ripensato, al punto che avrebbe forse meritato un nome diverso.

    Il modulo di conversione D/A impiega 4 convertitori R-2R a 24 bit integrati e 2 decodificatori DSD nativi. I moduli R-2R e gli stadi di uscita analogici sono alimentati dai 3 gruppi di alimentatori puri di classe A. Per ragioni di economia e per mantenere l’architettura più semplice possibile è stata scelta una tecnologia NOS, ovvero senza sovracampionamento. Questo comporta a un peggioramento del rapporto S/N e della distorsione, cosa che porta, secondo lo stesso Kingwa, ad un suono che può ricordare quello di un valvolare o del vinile.
    Come ingressi digitali sono presenti USB, coassiale e ottico.

    Le uscite sono due RCA sul retro da collegare a un eventuale finale di potenza e un’uscita jack Neutrik con sicura sulla parte frontale.

    L’R2R11 ha sufficiente potenza per pilotare la maggior parte delle cuffie sul mercato. L’ampli per cuffie ha due livelli di guadagno: 12DB a basso guadagno per pilotare cuffie con sensibilità superiore a 95DB e 22DB ad alto guadagno. Volendo si possono aggiungere altri 6dB, inserendo due ponticelli.
    Sul pannello frontale sono presenti un display con caratteri azzurri ben visibili a distanza, la manopola del volume e tre pulsanti. I tre pulsanti permettono di selezionare l’ingresso digitale, di regolare il guadagno e di scegliere tra pre e ampli cuffia. Il display può essere anche oscurato quando non in uso
    Come suona?
    Come avete visto questo apparecchio può essere usato in diverse configurazioni. Premetto che io lo uso solo come DAC+ampli cuffia collegato a un PC. Viste le dimensioni piuttosto contenute (larghezza 240mm, profondità 280mm, altezza 85mm per 3,5Kg di peso), lo utilizzo per gli ascolti in cuffia mentre lavoro al computer. Potrebbe essere in alternativa collegato a un piccolo finale di potenza e a dei diffusori passivi. E’ dotato di un piccolo telecomando, che in quest’ultima configurazione sarebbe sicuramente molto utile.
    Tornando alla domanda di prima: come suona? Suona decisamente bene! Questo R2R11 mk2 ha un suono molto naturale e morbido, timbricamente corretto, con una ricostruzione del palcoscenico sonoro straordinaria.
    Potrei confrontarlo al suo fratellone maggiore, l’Audio-GD Master 11 Singularity che impiego nel mio impianto principale, ma sarebbe un confronto impari, perché il Master 11 è un sistema bilanciato che impiega soluzioni diverse e che si colloca in un’altra fascia di prezzo. A livello di suono, però, posso dire che hanno in comune la ricostruzione della scena sonora e l’impostazione molto neutrale.
    In conclusione, l’R2R Mk2 è una sistema molto versatile e assolutamente ben suonante. Pur collocandosi nella fascia medio-bassa del catalogo Audio-GD, non sfigura nella maniera più assoluta, anzi. 
    Oggi lo trova sul mercato ad un prezzo che oscilla tra i 680€ e i 750€. Considerandone le caratteristiche, si può affermare senza timore di essere smentiti che il rapporto qualità prezzo è assolutamente incredibile.
    Non esiterei a consigliarlo a chi lo voglia impiegare abbinato a cuffie di qualità, pur mancando di un’uscita bilanciata per le cuffie.
     
    Pro
    sistema versatile resa sonora molto musicale palcoscenico  rapporto qualità prezzo Contro
    non è compatto come altri sistemi DAC-Ampli cuffia non ha uscite bilanciate, ma questo lo sapevamo dall'inizio tecnologia senza sovracampionamento con i relativi pro e contro (distorsione elevata)  
    Per le caratteristiche tecniche dettagliate, rimando al sito di Audio-GD: http://www.audio-gd.com/R2R/R11MK2/R11mk2EN.htm
    Per chi fosse interessato, Audio-GD è distribuita in Italia da Spirit Sound: http://www.spiritsoundstore.com
  23. happygiraffe
    Mozart, sonate per pianoforte K.280, K.281, K.310, K.333.
    Lars Vogt, pianoforte.
    Ondine, 2019.
    ***
    Le sonate per pianoforte di Mozart non sono probabilmente quanto di meglio il genio di Salisburgo abbia composto, ciò nonostante alcune di esse sono dei veri e propri gioielli e, nella loro apparente semplicità, rappresentano comunque una sfida per chi li esegue, che si trova costretto a scegliere delle linee interpretative ben precise.
    C’è chi le suona mettendo in evidenza l’aspetto rococò, elegante e lezioso, chi invece accosta all'equilibrio neoclassico delle raffinatezze timbriche che forse sarebbero più appropriate per Debussy.
    Il pianista Tedesco Lars Vogt, che qui esegue le sonate K.280, K.281, K.310 e K.333, segue un approccio più diretto e vivo, grazie anche a qualche libertà espressiva, e riesce a caratterizzare molto bene il diverso carattere di ognuna di queste sonate.
    Nella K.280, che risente ancora dell’influenza di Haydn nei movimenti veloci, ci stupisce il lungo Adagio per l’intensità emotiva e il senso di profonda tristezza che Vogt riesce a imprimere al brano.
    Se la K.281 scorre più spensierata, è la K.310 il cardine del disco. Vogt ne fa emergere con grande immediatezza l’elemento tragico, come poche altre volte ho sentito, pur mantenendo quell'equilibrio delle emozioni così tipico della musica di Mozart. Questa è la prima tra le sonate di Mozart in tonalità minore e deve il suo carattere così insolitamente concitato sia alle difficoltà del suo soggiorno parigino nel 1778, segnato anche dalla morte della madre, sia anche al desiderio di adattarsi, alla sua maniera, a uno stile musicale più drammatico in voga in quegli anni a Parigi.
    La K.333 è gioiello di grazia, eleganza e fantasia, con l’allegretto finale che prende a modello lo stile del concerto per pianoforte e orchestra.
    E' un disco che ho trovato molto convincente, con Vogt bravissimo nel far parlare in maniera diversa ciascuna della quattro sonate, ma sempre in modo vario e molto naturale, senza mai essere eccessivamente cerebrale o sofisticato. Difficilmente ascolto più di due sonate di Mozart di fila senza avvertire un po’ di noia, ma qui le cose sono andate molto diversamente e arrivato alla fine del disco l’ho riascoltato dall'inizio con molto piacere!
    Buona la qualità dell’incisione, disponibile anche in formato liquido a 48/24, e interessante anche il libretto, che contiene un’intervista a Lars Vogt su queste quattro sonate.
     
  24. happygiraffe
    György Kurtág: Complete Works For Ensemble And Choir
    Reinbert de Leeuw,  Asko/Schönberg, Netherlands Radio Choir
    2017 ECM
    ***
    Forse in pochi lo hanno mai sentito nominare e certamente sono ancora meno quelli che hanno mai ascoltato la sua musica, ma György Kurtág può essere considerato uno dei compositori più significativi degli ultimi 50 anni.
    Kurtág ha avuto un percorso biografico e artistico molto tortuoso. Nato in Romania nel 1926, si trasferì presto in Ungheria, a Budapest, dove frequentò l'Accademia di Musica Ferenc Liszt. Fu lì che conobbe il suo amico György Ligeti e la futura moglie Marta. Si diplomò in pianoforte e composizione nel 1955, senza avere la possibilità di studiare con Béla Bartók, che nel 1940, dopo lo scoppio della guerra, si era rifugiato negli USA, dove morì nel 1945. In seguito alla repressione sovietica della rivoluzione del 1956, fu uno dei tanti ungheresi che lasciò il proprio paese e si rifugiò in Francia.
    A Parigi ebbe la possibilità di studiare con Olivier Messiaen e Darius Milhaud e di conoscere la musica di Anton Webern, che lo influenzò profondamente. Intanto nel suo paese il regime aveva bandito molti lavori di Bartók, Schönberg e  Stravinskij. 
    Afflitto da una grave forma di depressione, si rivolse alle cure della psicologa ungherese Marianne Stein, che seppe dare nuovi stimoli al suo percorso artistico.
    Ritornato a Budapest nel 1959, insegnò pianoforte e musica da camera all'Accademia Ferenc Liszt fino ai primi anni '90. Tra i suoi allievi ci furono anche András Schiff and Zoltán Kocsis.
    I primi riconoscimenti internazionali come compositore arrivarono nei primi anni '80 con i Messages of the Late Miss R.V. Troussova per soprano e orchestra da camera; da quel momento la sua carriera di compositore ebbe uno straordinario impulso che lo portò a essere invitato come compositore "in residence" presso la filarmonica di Berlino, poi  conl'Orchestra Sinfonica di Vienna e l'Ensemble InterContemporain.
    Lo stile musicale di Kurtag chiaramente ha subito un'evoluzione nel corso degli anni ed è il frutto di questo intreccio di esperienze storiche e personali, di incontri con vari compositori e diversi linguaggi musicali. Pur essendo musica "colta" contemporanea, lo stile di Kurtág vuole essere il più inclusivo possibile, lontano dal linguaggio spesso ostico e autoreferenziale delle avanguardie.
    Kurtág riesce a dare il meglio nelle forme brevi. Maestro di uno stile conciso, essenziale, dove l'intensità dei suoni e del silenzio può coinvolgere profondamente l'ascoltatore.

    Il disco che vi proponiamo ricopre un'ampio arco temporale della carriera di Kurtág, dai Quattro Capricci Op.9, composti tra il 1959 e il 1970 ai Brefs Messages Op.47 del 2011.
    Il compositore, noto per essere particolarmente meticoloso, è intervenuto personalmente durante la registrazione del disco, dando indicazioni ai cantanti per telefono.
    Il titolo "opere complete per ensemble e coro" non è particolarmente corrispondente, in quanto alcune delle composizioni non prevedono l'impiego della voce umana.
    Trovo che alcune composizioni come i Messages of the Late Miss R.V. Troussova mostrano un po' i segni del tempo, mentre altre, quelle in cui il discorso musicale si fa più conciso, la trama più rarefatta, come Grabstein für Stephan Op.15c, ...quasi una fantasia... Op.27 n.1 e il Doppio Concerto Op.27 n.2 gli intensissimi Songs Of Despair And Sorrow, Op. 18 e i Brefs Messages Op.47 siano i più suggestivi e emotivamente incisivi.

    Reinbert de Leeuw è un interprete di grande esperienza del repertorio moderno e contemporaneo e si dimostra completamente a proprio agio e in particolare sintonia con la musica di Kurtág.
    E' in generale musica da affrontare poco per volta, con la giusta concentrazione e il giusto stato d'animo, ma che può regalare grandi emozioni. 

  25. happygiraffe
    Tchaikovsky: Gran Sonata Op.37, Le Stagioni.
    Nikolai Lugansky
    Naïve Classique 2017
    ***
    Quando parliamo di Tchaikovsky è difficile che il pensiero vada subito alle sue composizioni per pianoforte, eppure la sua produzione pianistica fu piuttosto intensa. Si tratta per lo più di brani "leggeri" destinati a un'esecuzione da salotto.
    Fa eccezione la sua seconda sonata per pianoforte in sol maggiore, Op.37a, composta nel 1878. E' una composizione decisamente ambiziosa che gli costò diversi mesi di lavoro. Tchaikovsky rese omaggio al genere della sonata per pianoforte, ormai passato di moda da qualche decennio, (ma destinato a rifiorire proprio in Russia nei decenni a seguire), con lo sguardo rivolto al modello di Schumann.
    E' un'opera caratterizzata dal contrasto tra il tono eroico e monumentale del primo movimento e il carattere più intimo e lirico del secondo movimento. Lo scherzo e il finale riportano un clima più gioioso, se vogliamo tradizionale, a una composizione che al primo ascolto può lasciare un po' spiazzati per una certa sua disomogeneità. 
    Dimenticata poi per diverso tempo fu il grande pianista sovietico Sviatoslav Richter a riscoprirla e a riproporla al pubblico. Per chi fosse interessato, ricordo un bel disco dell'etichetta Melodiya con la sonata di Tchaikovsky e i Quadri di Mussorgsky.
    Tutt'altra musica i 12 pezzi "caratteristici" delle Stagioni. Composti su commissione di Nikolay Matveyevich Bernard, editore della rivista "Il Novellista", si tratta di 12 brevi pezzi che furono pubblicati mensilmente nel 1876. Bernard propose un sottotitolo per ogni mese dell'anno e Tchaikovsky ne ricavò 12 gradevolissime piccole composizioni. Alcune sono delle vere e proprie gemme e anche piuttosto note, come la Barcarolle (Giugno) e la Troika (Novembre),  suonato spesso da Rachmaninov come bis nei suoi concerti.
    Veniamo ora all'interpretazione di NIkola Lugansky.

    Per chi non lo conoscesse Lugansky è un pianista russo e uno dei migliori della sua (e non solo della sua) generazione. Allievo della grande Nikolaeva, si è affermato già negli anni '90 come interprete straordinario di Rachmaninov, Chopin e Prokofiev. Ha una tecnica straordinaria, un suono cristallino e uno stile interpretativo molto elegante, sobrio e poco incline al sentimentalismo.

    E così sono anche queste sue letture di Tchaikovsky, sobrie, eleganti e pulite. Lugansky è perfettamente a suo agio e convincente sia nei passaggi più drammatici e tempestosi (primo movimento della sonata) , sia in quelli più intimi e lirici (secondo movimento della sonata). Alcuni potrebbero sentire la mancanza di un po' di trasporto nella sua interpretazione, specialmente perché stiamo parlando di un autore come Tchaikovsky. E allora possiamo sempre fare riferimento all'incisione della Sonata del grande Richter (Melodiya), mentre per per Le Stagioni mi sentirei di raccomandare il disco di Pletnev (Erato 2005), che ha un approccio decisamente più fantasioso.
    In conclusione un ottimo disco che copre un repertorio poco frequentato. Mi sento di dire, però, che probabilmente non è uno dei dischi migliori del pur sempre bravissimo Lugansky.
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