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  1. M&M
    Confesso di essere un vero misantropo. Non per causa d'altri.
    Non è come per Alceste (il Misantropo di Moliere) che non crede negli uomini perchè é stato tradito.
    Sono proprio così. Uno dei giorni più tragici della mia vita è stato il 1° ottobre 1969, il primo giorno di scuola. Ricordo che non capivo cosa ci facessi là e perchè c'erano tutte quelle persone.
    Ma questa è un'altra storia, ne riparlerò magari in un altro blog quando finalmente terminerà definitivamente la scuola.
    Al contrario del mio rapporto con le persone (che non odio, ci mancherebbe, solo che per ogni minuto passato con persone fuori di casa mia, ho bisogno di passare un numero congruo di minuti al sicuro tra le mie cose).
    Dicevo che diversamente, il mio sodalizio con i cani è una cosa che trascende ogni considerazione. Va oltre le parole, oltre ciò che si può confessare. Nella realtà é un rapporto ineffabile.
    Sono sempre stati i miei veri amici, i miei compagni di ogni attività, ogni giorno, da che mi ricordo.
    Nove anni fa, era un momento difficile. C'era stato da pochissimo un passaggio generazionale in casa, molto doloroso e anche i cani di casa si avvicinavano al momento di godersi il meritato riposo.
    Arthur, il primo Jack Russell Terrier della mia vita, comprese fin dal primo momento che doveva cambiare le cose.
    Riempì la vita dei vecchi cani (che ci accompagnarono solo per pochi altri anni) costringendoli a tornare a giocare e anche delle persone, specie di mia madre, rimasta improvvisamente sola in casa per la prima volta in vita sua.

    Arthur modello, a sei mesi
    Arthur correva tutto il giorno. Giocava. Anzi, no, combatteva con le palle.
    Ne aveva una enorme collezione che teneva rigorosamente inventariata sotto il letto. Guai se gliene mancava una. Riusciva a ritrovarla in pochissimo tempo dopo aver rovistato ovunque, spostato porte, cuscini, smontato letti.
    In quel periodo lavoravo a Bologna e quando tornavo, al venerdì, impazzito di gioia saltava ovunque, inarrestabile, per manifestarmi quanto gli ero mancato.
    Dormiva sul mio petto quando io guardavo il Gran Premio. Anche quello del Giappone o dell'Australia di mattino presto.
    Abbaiava come un cane grande, riconoscendo se stava arrivando BRT o GLS (capirete il viavai di corrieri che c'è sempre in casa mia).
    Assalendo senza tema quelli neri, per i quali non ha avuto mai una grande confidenza. Non per razzismo, solo che non gli andavano troppo a genio, come al sottoscritto.
    Quando poteva, scappava dal cancelletto per andare dall'altro lato della strada a lasciare il suo segno, di monito ai tanti cani della via che si avventuravano con i padroni dalla nostra parte.
    Morto il vecchio terrier bianco a 16 anni,  il vecchio Fritz e il vecchio Sean non erano mai stati dei gran giocherelloni e lo guardavano seriosi.
    Così gli procurai altri due fratellini della sua taglia. Con i quali condivideva i giochi ma mai le sue palline. Anche quando quelli cercavano di rubargliele.
     
    Arthur insegna al suo piccolo amico Blakey, come si gioca, ma guaio se si prendeva una della sue palline !
    Ma è sempre stato lui il capo naturale. Quello che chiamava gli altri per uscire a giocare. O chiamava me quando era il momento di rientrare.
    Un capo, no, un vero Re, un Re bretone, che faceva onore al suo nome, o un re vichingo, indomabile, dal primo giorno in cui l'ho scelto a prima vista tra i suoi fratelli.
    Ad oggi.












     
    Indomabile anche nella difficoltà, quando un fa anno gli è stata diagnosticata una malattia incurabile.
    Con pazienza lo abbiamo accudito e lui ci ha ricambiato con una forza d'animo inimitabile, se non per un capo vichingo, pur sentendo che giorno dopo giorno gli mancavano le forze.
    Trascinandosi fino agli ultimi giorni, sempre con una pallina in bocca, anche a rischio di cadere a terra sfinito, per riprendere fiato.
    Abbiamo cercato di dargli almeno una parte dell'amore incondizionato che ha mostrato ogni giorno della sua vita per ognuno di noi.
    Di ricompensarlo per il ruolo guida e per averci aiutati ad andare avanti in momenti difficili, dandoci l'esempio delle cose che contano.
    11 pollici di altezza, 8 chili di peso. Ma la forza di un gigante.
    Ci ha lasciati oggi alle 13:08, avrebbe compiuto 9 anni il 24 di ottobre, dopo due settimane di infermità cui si è opposto con ogni fibra della sua sconfinata forza d'animo, nell'ultima battaglia, contro forze purtroppo soverchianti.
    Forse vi sembrerà retorico quello che sto scrivendo ma per la prima volta in vita mia, pur provando un dolore inconsolabile provo allo stesso tempo la stessa gioia che provava lui vedendomi tornare a casa dal lavoro.
    Ho sepolto decine di cani, ho sofferto ma oggi è veramente un giorno indimenticabile come lo è stata tutta la sua vita.
    Arthur, è stato un privilegio conoscerti e vivere con te. In tuo onore stanno suonando le fanfare della Royal Fireworks di Handel.
    Sono sicuro che dove sei ora sei già il capo.
    Conto di venirti a cercare quando sarà il momento. Aspettami.

    Arthur I, 24 ottobre 2009 - 30 settembre 2018. Il suo ultimo viaggio verso il regno degli eroi non poteva cominciare senza le sue palline preferite che certo non poteva lasciare incustodite.
  2. M&M
    All'inizio ci fu un timido tentativo di chiamarle EVIL Camera. Electronic Viewfinder  Interchangeable Lens Camera, ovvero l'acronimo inglese per indicare fotocamere ad ottica intercambiabile con mirino elettronico.
    Ma EVIL in inglese correntemente è riferito a Il Male.
    E si può capire che chiamare una intera categoria di fotocamere ... il Male sembri brutto.
    Peraltro molte di queste fotocamere in effetti il mirino elettronico nemmeno ce l'hanno, come la Nikon AW1 di qualche anno fa, da usare sott'acqua a braccia tese :

    quindi si è passati rapidamente ad un altro termine, un neologismo coniato per l'occasione : mirrorless
    Mirrorless fa riferimento alla parola "mirror" che in inglese significa specchio con il suffisso "less" che in parole composte inglesi crea aggettivi che negano la parola stessa.
    Quindi mirrorless significa nel linguaggio comune senza specchio (forse sarebbe stato altrettanto o più corretto lackmirror ma probabilmente non sarebbe stato altrettanto di immediato effetto).
    Perciò questa categoria di fotocamere si è caratterizzata più per l'assenza di qualcosa - lo specchio - che per avere qualche nuova qualità.
    Un termine che si é andato in fondo a sovrappore con fotocamere che già esistono e che sono sempre esistite. Perchè di fotocamere tradizionali (non digitali, senza mirino elettronico e/o senza mirino o con mirino diverso) senza specchio ce ne sono sempre state.
    E' sempre stata a rigor di termine mirrorless la Leica M, lo stesso si può dire per le Nikon SP, o le telemetro Contax e Zeiss.
    Ma anche gli ovetti Olympus erano senza specchio.
    E continuano ad esserlo tutte le compattine, le vecchie fotocamere usa e getta. Quelle a mirino galileiano etc. etc.
    Ma a parte la confusione, la chiamiamo così per essere priva di qualche cosa, in particolare questa cosa qua :

    il blocco mirror-box della Nikon D800
    mirroless sembra passato come termine comunemente accettato. Come fosse un privilegio, un segno distintivo, un qualche cosa ... in più.
    Eppure in inglese, normalmente, ogni aggettivo con suffisso "less" non viene visto in senso positivo, al contrario.
    Ne cito qualcuno :
    worthless : privo di valore
    meaningless : senza senso
    senseless : insensato
    homeless : senza casa
    moneyless : senza denaro
    penniless : squattrinato
    careless : sbadato, senza cura
    tasteless : privo di gusto
    e via di seguito ce ne sono a decine.
    I pochi che possono avere un significato positivo, come fearless (senza paura) o painless (senza dolore) in realtà non hanno lo stesso significato di parole positive come coraggioso o indolore.
    Potremmo vedere un vantaggio in un apparecchio wireless (senza cavi) ma questo non lo caratterizzerebbe affatto in nessuna delle sue funzioni. Come cordless, pensiamo sia un telefono senza il tradizionale cavo a muro ma potrebbe essere anche un trapano elettrico a batteria.
    Lascerei il termine topless come uno degli aggettivi più accattivanti della lista, ma anche questo se associato all'aggettivo titless, diventerebbe worthless di un secondo sguardo (ometto la traduzione, è  solo un gioco di parole da parte di chi è convinto che non ci può essere vero amore sotto la quarta misura di reggiseno  ).
     
    Insomma la questione è questa. Ci stiamo riferendo alle - probabili - fotocamere del futuro per l'assenza di quella che è la caratteristica base delle reflex, il cui funzionamento non può prescindere dalla presenza dello specchio.
    E non per le peculiarità proprie dei nuovi sistemi.
    E qui il gioco si fa più duro.
    La Nikon D850 già dispone di funzionalità che la avvicinano a quelle di una mirrorless ... in modalità live-view a specchio alzato

    ma niente impedirebbe a Nikon, se il mercato richiederà una futura D900 o comunque un modello aggiornato della Nikon D850 di integrarla con :
    - sensore stabilizzato
    - sensore di tipo stacked oltre che BSI
    - autofocus di tipo dual o quad-pixel cooperante con quello, già presente, a differenza di contrasto
    in questo modo quella ipotetica reflex Nikon del futuro, in live-view avrebbe sostanzialmente tutte le potenzialità delle migliori mirrorless, restando comunque una reflex se utilizzata a specchio abbassato.
    Non ci sarebbe nulla di strano giacchè nessuna di queste tecnologie viene da mondi alieni del futuro e nulla vieta a Nikon di implementarle in una futura reflex.
    Richiederebbe di usare la reflex a specchio alzato e su treppiedi o a braccia tese, ma potremmo avere, pixel-shift, stabilizzazione integrata, 20 o più scatti al secondo in silenzioso e senza oscuramento del display.
    E qualsiasi altra funzionalità che gli ingegneri Nikon volessero aggiungere, presente o meno sul mercato in modelli della concorrenza.
    E quindi ?
    Quindi sto dicendo che al momento le mirrorless si caratterizzano per novità che non sarebbero a stretto rigore di loro esclusiva pertinenza ma che sono state implementate per creare ragioni di vendita.
    Ma in fondo sono macchine "abbastanza" tradizionali ad ottica intercambiabile, il più delle quali dispone di mirino elettronico

    il mirino elettronico opzionale per la Nikon 1 V3, modello DF-N1000
    Dunque, concludiamo questo ragionamento ?
    Insomma, con la discesa imminente di Nikon e Canon nelle mirrorless in formato 24x36mm ci sarà una intera categoria di macchine che si caratterizzerà per l'assenza dello specchio ma con funzionalità - stresso il concetto - non così discoste da quelle della fotocamere tradizionali.
    Non è il caso che da qui in avanti i progettisti comincino a pensare in modo creativo per darci realmente prodotti più avanzati ?
    Finalmente si libereranno dallo specchio, non avranno più il timore che, rompendolo, si carichino anni e anni di sfortuna in casa !
    Non vorrei fare un trattato di grammatica inglese, non ne sono in grado e non è il caso ma anche in inglese c'è un suffisso che invece, all'opposto di less valorizza una qualità positiva.
    E' ful, quello di powerful, di beautiful, di wonderful.
    Troviamo una caratteristica positiva di queste mirrorless e valorizziamo quella anzichè la semplice assenza di un oggetto che di per se, per decine di anni ci ha ben servito (lo specchio).
    E se non c'è, perchè in fondo le mirrorless quello sono, delle reflex ... senza specchio : ebbene mettiamocela dentro in quelle future !
    Le chiameremmo wonderful cameras e non mirrorless cameras 
  3. M&M
    Questo articolo è stato scritto e pubblicato originariamente il 13 febbraio 2013 da Mauro Maratta su nikonland.eu.
     
     
    Mostrano tutte le loro imperfezioni i soggetti ritratti da Michael Comte ma paiono tanto naturali anche quando posano.
    Forse perché le foto stesse di Comte sono imperfette tecnicamente.

     

    Eppure é evidente sempre la presenza del fotografo nel taglio, nella posa e specialmente nella situazione.

    Tra il mondo della modo e della pubblicità ma anche tanto vicino allo sport, specie motoristico, Comte, svizzero di Zurigo, classe 1954, riesce comunque, anche quando lavora per Playboy a mantenere un taglio personale.
    Le sue foto sono sempre ritratti, vivi, palpitanti mai di maniera.

     

    e, per quanto possibile a seconda del contesto, umani, come in questo ritratto di Mohammed Alì già piegato dalla malattia :


     

     


    Formatosi come restauratore, fotografo autodidatta, a venticinque anni ebbe il primo incarico fotografico, nella moda a Parigi per Karl Lagerfeldt.
    Dal 1981 lavorò a New York per Vogue per poi trasferirsi a Los Angeles.
    Descrive se stesso come incapace di fermarsi, quando non percepisce più un senso di allarme deve spostarsi.
    Nel tempo ha potuto fotografare i personaggi più famosi del mondo dello spettacolo e dello sport, ha seguito le campagne pubblicitarie di marchi come Revlon e Ferrari, lavorando inoltre per Vanity Fair ed altre prestigiose riviste internazionali.
    Parallelamente ha avviato una personale attività come reporter e documentarista.

     


    Sicuramente ha ereditato la passione per l'avventura e la meccanica dal nonno Alfred Comte, pioniere dell'aeronautica elvetica.

    Adattare una situazione alle qualità del soggetto non é mai facile.
    Eppure sembra esserlo per Comte.

    Guardate questi tre ritratti di tre grandi stilisti, molto diversi tra loro come rappresentano perfettamente i loro caratteri :


     

    Il misterioso Giorgio Armani

     

    Dolce e Gabbana

     

    Yves Saint-Laurent con il cagnolino
    Si diceva della capacità di estrarre le personalità dei caratteri ritratti :

     

    Una Carla Bruni colorata

     

    E un fantastico Boy George

    E se sembra di maniera questo Carl Lewis :

     

    mostra invece tutto il suo carattere spavaldo questo Eros Ramazzotti in tenuta equestre :

     

    mentre del tutto lontano dal personaggio pubblico sembra questo Michael Schumacher in barca con la moglie mentre si lascia andare in tenerezze :

     


    Viceversa portano tutto il carattere aggressivo dei primi anni di carriera questi due ritratti di Sharon Stone e Sonia Braga :


     

     


    o l'enigmatico Jeremy Irons dell'affare Von Bulow :

     


    ma mai alternativi come questa Pamela Anderson inedita (ma sarà questa la vera Pam o quella sfolgorante con una sesta chirurgica di Sante D'Orazio ?) :

     


    o questo Sylvester Stallone floreale :

     


    Elogio Dell'Imperfezione. Ebbene, imperfezione dei soggetti ma anche della messa a fuoco, del rispetto per le regole di composizione, perfino per la corretta esposizione alle volte.
    Eppure, forse per questo, quanta umanità nei suoi personaggi :


     
      







    Andando a personaggi imperfetti, Michael Comte ha espresso un lungo sodalizio fotografico con l'ex First Lady francese, Carla Bruni. Le loro foto hanno recentemente raggiunto quotazioni stellari:

     
     

     




    Ma secondo me sono di gran lunga più interessanti le prove con Helena Christensen, altra musa di Comte :


     
     


    Comunque basta sfogliare il web per trovare foto di Comte. Io vi invito anche a visitare il suo sito.

    Tutte le foto, riportate qui per scopi divulgativi/accademici sono ©Michel Comte. 
  4. M&M
    Questo articolo è stato originariamente scritto e pubblicato da Mauro Maratta su nikonland.eu il 6 febbraio 2014.
    Io preferisco fotografare il palcoscenico dopo che gli attori se ne sono andati
     
     
     
    Lettiere per Ostriche, Studio, Isole Chausey, Francia, 2007 © Michael Kenna
     
     
    Ho scelto di fotografare l'assenza di persone, la memoria della loro presenza, le tracce che si lasciano dietro
     
     
    Gradini e foglie. © Michael Kenna
     
      
    Produzione di alghe, Studio #10, Xiapu, China. 2010 © Michael Kenna
     
    Anzichè le onde del mare, a volte posso desiderare una morbida superfice nebbiosa. Quando voglio il movimento o le scie delle stelle, allungo l'esposizione. Certe volte arrivo a 10 o a 12 ore di esposizione
     
     
    La luna sopra Puget Sound, Seattle, Washington, USA. 2013 © Michael Kenna
     
     
    Cacciatori di luna sul Mar Nero, Odessa, Ucraina. 2013 © Michael Kenna
     
     
    Milford Sound, Studio #2, New Zealand. 2013 © Michael Kenna
     
    Trovo che il bianco e nero sia più malleabile e misterioso del colore, è una interpretazione della realtà più che un riflesso della realtà. Non mi interessa copiare e descrivere ciò che vedo. Sono più interessato ad entrare in sintonia con ciò che fotografo. Il colore è troppo specifico per me. Vediamo tutto a colori per tutto il tempo. Le fotografie a colori non hanno alcun appeal per me
     
     
    Parete di Budda, Palazzo d'estate, Pechino, Cina. 2007 © Michael Kenna
     
     
    Il ponte di Podolsko-Voskresensky, Studio #2, Kiev, Ucraina. 2013 © Michael Kenna
     
     
    Il Caino di Vidal, Giardini delle Tuileries, Parigi, Francia. 2010 © Michael Kenna
     
     
    La Torre Eiffel, Studio #7, Parigi, Francia, 2007 © Michael Kenna
     
    Sono sempre stato affascinato da pittori come Turner, Picasso e Kandinsky
     
     
    Alberi nel ghiaccio, Cheongsong, Gyeongsangbukdo, Sud Korea, 2011 © Michael Kenna
     
     
     
    Veduta di Thalys, Brussels, Belgio. 2010 © Michael Kenna
     
     
    Veduta di Shanghai, Cina,  2011 © Michael Kenna
     
     
    Barche sul Fiume Ross, Hanoi, Vietnam, 2008 © Michael Kenna
     
     
    La spiaggia di Copacabana , Rio de Janeiro, Brasile, 2006  © Michael Kenna
     
     
    Il mio fotografo giapponese preferito è Daido Moriyama. Lo è per diversi motivi, probabilmente perchè per lo più é l'opposto di ciò che faccio io
     
     
    Reti da pesca e il monte Daisen, Yatsuka, Honshu, Giappone, 2001   © Michael Kenna
     
     
     
    Steccato su per la collina, Studio #2, Teshikaga, Hokkaido, Giappone, 2002  © Michael Kenna
     
     
    isole di Pier e Nakashima, Lago Toya, Hokkaido, Giappone, 2002 © Michael Kenna
     
     
    Ritratto di albero, Studio #3, Wakoto, Hokkaido, Giappone, 2002 © Michael Kenna
     
     
    38 pali, Nagahana, Honshu, Giappone, 2002 © Michael Kenna
     
    Io sono interessato alle interrelazioni, giustapposizioni e interazioni tra i paesaggi e le strutture che noi, umani, lasciamo nel paesaggio.
    Storie, impronte, evidenze, tracce, atmosfere e storie
     
     
    Praga, Cecoslovacchia, 1992 © Michael Kenna
     
     
    Praga, Cecoslovacchia, 1982 © Michael Kenna
     
     
    Cento e quattro uccelli, Praga, Cecoslovacchia, 1992 © Michael Kenna
     
     
    Stazione di Branik, Praga, Cecoslovacchia, 1992 © Michael Kenna
     
     
    Chrysler Building, Studio #3, New York City, USA, 2006 © Michael Kenna
     
    Qualche volta mi lascio ispirare da altri fotografi come Bill Brandt, Josef Sudek, Eugene Atgét
     
     
    Il battello del Fiume Hudson , New York City, USA, 2000 © Michael Kenna
     
     
    Le Torri Gemelle, New York City, USA, 2000 © Michael Kenna
     
     
    Portatrice di torce, Praga, Cecoslovacchia, 1990 © Michael Kenna
     
    comincio andando nelle stesse location che si vedono nelle loro fotografie, come hanno fotografato, perché lo hanno fotografato, cosa hanno visto
     
     
     
     
    uccello in volo sopra San Marco, Venezia 1990 © Michael Kenna
     
     
     
    ***
     
    Michael Kenna è nato nel 1953 nel Lancashire, in Inghilterra. Ultimo di numerosi fratelli e sorelle è stato l'unico ad avere la fortuna di continuare gli studi. Ha frequentato l'istituto d'arte e poi l'accademia fotografica dove si è specializzato nella stampa. Negli anni '80 si è trasferito a San Francisco dove ha continuato a fare lo stampatore.
    Finora ha fotografato esclusivamente a pellicola con medio formato principalmente in 6x6, raramento in 4x5''. Sono rare le sue fotografie a colori, principalmente per occasionali richieste commerciali.
    Sa che prima o poi dovrà fare i conti con il digitale e non ne fa un dramma perchè vede che sia la chimica che le carte continuano ad essere sempre più rare da reperire.
    Ha luoghi che ama fotografare particolarmente (oltre all'Inghilterra, gli Stati Uniti, l'Estremo Oriente, Praga, l'Ucraina, l'Italia) e che torna a visitare periodicamente.
    Durante le lunghe esposizioni notturne (che possono durare anche 10-12 ore) si rilassa e non fa assolutamente nulla. E' un lusso che é felice di potersi permettere in quei frangenti.
    La sua ispirazione viene da ciò che vede e cerca di vedere attraverso un mezzo che dia una interpretazione del reale, non che riproduca il reale.
    Non si fa problemi ad ammettere che spesso trae da altri fotografi l'idea e lo fa nel modo più semplice. Se lo ispira Sudek, va nella Praga di Sudek a vedere con i suoi occhi ciò che Sudek ha visto e ha fotografato.
    Ovviamente stiamo parlando di fotografia intesa come gesto artistico e raramente documentario.
    Nelle sue fotografie l'uomo non c'è. Ci sono le sue tracce. Come nei romanzi di Simak, dove i cani raccontano attorno al fuoco le storie degli uomini che un giorno hanno conosciuto e che si sono estinti ...
    Per certi versi è il fotografo della sua generazione che vanta il maggior numero di imitazioni. Probabilmente una parte degli introiti della vendita di filtri ND1000 e big stopper dovrebbe essere versata a lui.
     
    ***
     
    Adoro Michael Kenna perchè la sua fotografia è il mio opposto. Lui è mite e paziente per quanto io sono impetuoso e impaziente.
    Lui ama luci eteree, bianchi smorti e paesaggi nebbiosi per quanto io concepisco solo luci intense, colori accesi, ombre scurissime, il fuoco contro la bruma.
    Io sono un umanista, fotografo le persone anche se non ne sono particolarmente attratto. Lui non fotografa le persone che per la loro assenza.
    In un certo senso il soggetto è lo stesso, cambiano i tempi. Probabilmente in fondo è la stessa cosa, solo una diversa, profonda, sensibilità.
     
    Il sito di Michael Kenna è pieno di notizie e di suoi lavori, questo racconto fotografico del suo lavoro, forzatamente parziale per non esagerare con gli spazi, prende vita da diverse interviste da lui rilasciate. Quindi è lui che ci parla, con le sue foto e il suo pensiero.
     
    Grazie Mr. Kenna  
  5. M&M
    Il negozio di New Old Camera nel cortile sito tra la centralissima Dante e la meno conosciuta Via Rovello, è un punto di riferimento nazionale da decenni, per gli appassionati di materiale fotografico e di fotografia.
     

    una delle vetrine del negozio principale
     
    Io l'ho visto crescere nel tempo, quasi da quando ha aperto e l'ho visto trasformarsi anno dopo anno.
    Adesso il negozio ha una struttura importante, con tanti addetti.
     
    Se il nome del negozio voleva sin dall'inizio indicare la volontà di trattare sia materiale nuovo che usato, è indubbio che la sua fama è più che altro legata al mondo dell'usato.
    Usato di tutti i marchi e di tutti i formati.
     

    un bel modello di Nikon in vetrina. Di quando Nikon era Nikon ...
     

     
    Ma chi pensa che New Old Camera sia solo usato sbaglia. E' già da un bel pezzo che il negozio tratta direttamente il materiale nuovo, anzi, per molti marchi rappresenta l'eccellenza :
     

     
    ed é addirittura tra i negozi selezionati a trattare come specialista, la nuova Fujifilm GFX 50S o la nuova Hasselblad X1D, apparecchi che non troverete in ogni negozio.
     

     
    Ma per quello che conosco io il grande Ryuichi Watanabe, proprietario e dominus della società NOC, tutto questo non basta.
     
    Il mercato fotografico è in una fase di difficoltà e di transizione.
    Se fino a qualche anno fa i grandi marchi mettevano in vendita il materiale nuovo sicuri di vendere tutto, oggi i volumi di vendita sono in netto calo, una frazione dei tempi d'oro.
    Un contesto in cui, per accaparrarsi maggiori quote di vendita, i vari marchi lanciano continuamente novità interessanti, spesso sovrapposte.
     
    Non possiamo nascondercelo, ce lo confermano i fatti.
    Il negozio tradizionale a bordo strada che offre semplicemente la vendita al miglior prezzo è destinato a scomparire.
    Anzi, molti negozi, anche un tempo molto noti, hanno chiuso.
    E quelli che non sono in via di trasformazione, non godono di ottima salute.
    C'è la concorrenza della vendita online e c'è l'informazione via web che corre veloce.
    E' difficile competere ad armi pari e bisogna inventarsi qualche cosa per continuare ad operare più serenamente.
     
    Ryuichi ha una ricetta a tutto ciò. Il suo negozio vuole essere un punto di riferimento per quelli cui la voce o la notizia del web non basta.
     
    Quelli che vogliono confrontarsi di persona, vogliono sentire dalla voce di un esperto se la tal macchina o il tal obiettivo è la risposta alle loro esigenze.
     
    Ma soprattutto vogliono toccare e provare di persona l'oggetto del desiderio.
     
    E' nato così il servizio "demo". Con la collaborazione di alcuni marchi illuminati, viene messa a disposizione della clientela una grande quantità di materiale che può essere visionato e provato direttamente in negozio.
    Chi crede che si tratti solo di oggetti entry-level di poco conto dia un'occhiata alla lista : c'è anche tanta roba molto costosa che viene tenuta in giacenza appositamente per noi.
     
    Infatti non è materiale destinato alla vendita ma sta comunque in vetrina pronto da essere utilizzato.
     

    la vetrina del materiale "demo" di Nikon, ci sono anche la Nikon D500 e la Nikon D5 che ci sono state gentilmente date in test l'anno scorso.
     
    Infatti noi stessi abbiamo potuto sfruttare questa opportunità, potendo in alcuni casi offrire un test in anteprima solo grazie alla gentilezza di NOC che non finiremo mai di ringraziare.
     
    Nel tempo abbiamo provato in prestito temporaneo da NOC :
     
    01/04/2016 - Nikon D5 : semper fidelis (test/prova) 
    30/04/2016 - Nikon D500 : primo impatto (test/prova/review)
    14/07/2016 - Leica SL : la regina delle mirrorless vista da un nikonista doc (test/prova)
    19/10/2016 - Olympus PEN-F : noblesse oblige (test/prova)
    04/06/2017 - Fujifilm GFX 50S : piccola o grande ? (test/prova)
     
    e scusate se vi sembra poco !
     
    A seconda del valore dell'apparecchio - sia un corpo Leica, sia un obiettivo Sigma o un kit Olympus - varia la durata del tempo a disposizione del cliente.
    La presa di contatto può avvenire in negozio, oppure fuori dal negozio, per le strade vicine.
    Ma c'è anche la possibilità, per particolari modelli, di avere un prestito per un periodo più lungo, anche di un giorno.
    Purchè, ben inteso, l'utilizzo sia strettamente legato al test : NOC non offre noleggio !
     
    Naturalmente le condizioni dipenderanno molto dal fatto se siete un cliente conosciuto o meno. Vi saranno proposte le normali procedure di cautela che possono andare dal semplice documento di identità fino ad un eventuale deposito cauzionale.
     
    Ma tutto con la massima cortesia e disponibilità che sono le peculiarità che rendono diverso NOC dagli altri negozi.
     
    Ma non basta.
     
    Dicevo che l'altro punto su cui Watanabe insiste è il contatto con professionisti, operatori del settore, grandi fotografi in grado di mostrare direttamente al potenziale acquirente le potenzialità degli apparecchi presentati.
     
    Nel nuovo Meeting Point di NOC, di fronte al negozio principale
     

     
    si svolgono frequentemente appuntamenti (iscrivetevi alla newsletter per avere gli aggiornamenti settimanali : sono veramente tanti)
     

     
    e se è normale che ci siano le presentazioni dei vari marchi, come quello dello scorso 25 febbraio di Sigma cui io ho partecipato come Sigma Ambassador per l'Italia
     
       
     
    sono altrettanto frequenti le giornate di fotografia operativa con tutor e maestri, spesso gratuiti o con quote di partecipazione convenienti, promossi con la collaborazione degli amici di NOC.
     
    Io credo che solo queste iniziative possano riavvicinare gli appassionati ad un mondo che negli ultimi anni si è eccessivamente spersonalizzato e virtualizzato.
    E credo allo stesso tempo che sia nell'interesse di chi vuole informarsi in maniera veramente consapevole prendere contatto ed approfittare di queste iniziative.
     
    Che sia il semplice 'demo' quello che fa per voi, oppure una giornata di contatto e formazione con ciò che già possedete o che vorreste comperare, rifletteteci sopra e andate da NOC.
     
    Naturalmente dovreste poi sentivi moralmente impegnati ad acquistare da loro ciò che vi viene gentilmente offerto in dimostrazione. La vostra fedeltà consentirà loro di continuare ad espandere l'offerta : è nell'interesse di tutti.
     

  6. M&M
    Sono certo che ad un certo punto le mirrorless supereranno in prestazioni le reflex.
    Ma al momento mi danno la stessa sensazione delle automobili elettriche : una grande promessa per un futuro ... elettrizzante.
    Ma al di là dei proclami di VW e Mercedes all'ultimo salone di Parigi, per il momento autoelettrica significa :
    - costo superiore del 50% rispetto ad una pariclasse a combustibile fossile
    - prestazioni scadenti per contenere il consumo
    - autonomia inadeguata per chi ha da fare più del tragitto casa-lavanderia.
     
    Le mirrorless sono ragazze carine con la minigonna e gli stivaletti con il tacco ma, se si va oltre le promesse e le novità, le cose sono diverse.
    Anche la mirrorless più professionale ha i suoi limiti (parlo della Leica SL) e non può essere confrontata con la Nikon D5, macchina che si permette anche di costare (molto) di meno oggi.
     
    Ovviamente io qui sto parlando avendo in mente esclusivamente quelle che sono le mie abitudini di scatto e le mie esigenze.
    Ognuno ha il suo mileage personale, ovviamente e potrà non trovarsi d'accordo con me (e poco me ne importa, bontà sua, gli auguro di essere felice con la sua ... racchietta !).
     
    Io non sono interessato ad usare ottiche vintage e il manual focus l'ho abbandonato 20 anni fa, nel secolo scorso.
    In più, o non fotografo, oppure faccio migliaia di scatti consecutivi, sempre a cose vive che non sempre sono disposte a stare ferme per me.
    Il mirino elettronico sarebbe una bella innovazione, se almeno in tutte le condizioni fosse pari a quello ottico. Ma così non è.
     
    Quindi, eccovi I MIEI motivi perchè per il momento - e credo nel medio termine - continuerò ad essere un fotografo da reflex :
     
    1) l'autofocus. Non esiste una mirrorless che abbia un autofocus reattivo, preciso, rapido, affidabile, disponibile in tutte le condizioni di illuminazione (specie a basse luci o in controluce) come la migliore reflex disponibile oggi.
    Ci sono progressi nelle ultime generazioni ma ancora siamo lontani. La presenza di un sensore separato (e di un processore dedicato come è il caso di Nikon D5 e D500) fa ancora la differenza rispetto ai pixel accecati (o alla vecchia differenza di contrasto stile compattona) di tutte le mirrorless. E poi l'autofocus si deve poter comandare rapidamente con il pollice.
    Ma ci pensate avere 399 punti di messa a fuoco e spostarsi solo in orizzontale e in verticale come a battaglia navale ?
    Il joistick è un must. E Nikon ce l'ha in dotazione da lustri (anche prima con il multiselettore su tutte le direzioni, fin dalla Nikon F5 del 1996).
     
    2) il mirino. Il mirino della Leica SL è bello. Anche quello della Fujifilm X-T2 lo è e, mi dicono, anche quello della nuova Olympus OM-D EM-1 Mk II. Ma in condizioni limite - parlo per esperienza - anche il mirino da 4.4megapixel della Leica SL si oscura o si abbaglia. E non piglia più né pesci né galline !
     
    3) l'ergonomia. Piccolo è bello, va bene. Ma non se va a detrimento dei comandi. Per controllare al meglio l'autofocus e rendere l'esperienza d'uso gratificante, io ho bisogno di uno - meglio di due - joistick di controllo dell'autofocus. E del controllo fisico tramite comandi fisici dedicati di tutte le funzioni della fotocamera. Il menù per me è una cosa che si utilizza una volta al giorno. Qualche volta anche di meno.
    In più, piccolo è bello ma se la macchina è full-frame, oramai anche Sony ha dimostrato che le ottiche sono grosse, anche più grosse di quelle delle reflex. E per usare con tranquillità un obiettivo grosso, il corpo macchina deve essere adeguatamente dimensionato e pesante. E' questione di fisica e di baricentri ! Montate una Sony A7 su un 600mm e capirete di cosa sto parlando.
    In quanto alla costruzione, io spesso fotografo sotto l'acqua battente, zuppo fino alle ginocchia. Non è che in quel momento io mi possa preoccupare della tenuta di fotocamera e obiettivo. Che non devono mai smettere di funzionare, almeno finchè reggo fisicamente io
     
    4) l'autonomia. Bella la nuova Sony A99 Mk II, fa un sacco di scatti al secondo con l'autofocus ed ha un buffer praticamente illimitato. Peccato però che la batteria permetta circa 400 scatti CIPA. Il chè ad occhio e croce significa che si deve cambiare la batteria circa dopo 20 secondi di scatti continui
    Io con la D5 posso lavorare una intera giornata e fare 12.000 scatti saturando solo una delle due schede XQD montate. Poi, alla bisogna, metto un'altra batteria e non vado avanti per altri 20 secondi. Ma per tutta l'intera nottata
     
    5) le schede di memoria. Possiamo anche mettere due schede SD dentro ad una mirrorless ma se il sistema è sbilanciato, saturato il buffer la macchina si siede e finchè non finisce di scrivere noi non possiamo lavorare (mi è capitato con la Leica SL, non racconto favole). Con una D5 o una D500 abbiamo un buffer virtualmente illimitato perchè viene scaricato in tempo reale sulle XQD in dotazione. Schede che anche in lettura al PC si permettono di andare a centinaia di megabyte al secondo di trasfer rate
     
    6) il flusso di lavoro. X-Trans ? Dual-Pixel ? Foveon ? Se tutto quanto non è supportato dal software di sviluppo - che è, per standard di mercato, l'ambiente Adobe - mi spiace ma per aprire un file e svilupparlo ci vogliono minuti (esperienza fatta sia con le Fujifilm che con le Sigma). E se uno scatta - come me - centinaia di migliaia di scatti l'anno, il tempo non è una variabile indipendente ... perchè, non so a voi ma a me, non lo regalano !
     
    7) il profilo di sviluppo. Questa è una mia fisima, lo ammetto. Ma la più grande innovazione degli ultimi anni di Nikon secondo me è il profilo Flat, ben simulato anche da Adobe. Il profilo Flat mi permette di previsualizzare gli scatti al naturale, senza tutta quell'enfasi di contrasto che invece è tanto di moda oggi. Così valuto perfettamente l'esposizione (che io sbaglio di rado, al massimo di 1/3 di EV) e so già come mi posso aspettare di trovare l'immagine al computer.
    Aggiungo infine che - forse per abitudine - io detesto il carico folle di saturazione - specie su rossi e porpora - su contrasto e sulle ombre chiuse che tanto va di moda in casa Fujifilm e Leica. La neutralità del file Nikon invece mi consente di lavorare sereno, senza dovermi immaginare come sarà la foto, perchè a monitor è del tutto differente da quella che vedo nel reale.
     
    8) Il corredo di ottiche, di accessori, di flash, di dispositivi progettati per le reflex. E' talmente vario ed ampio (e, soprattutto, già in larga parte in casa mia) che mi fa pensare a quando ci sarà la stessa disponibilità per le mirrorless.
    Lo ammetto, l'idea stessa di avere un doppio corredo mi fa venire le bolle viola sulle braccia e poi, voi di Fujifilm, ce l'avete un trasmettitore TTL per il mio flash Godox ? O per un Profoto ? E voi, di Leica, ce l'avete ? Com'è che Hasselblad ha usato il sistema iTTL Nikon per la sua mirrorless ?
    E un supertele autofocus e stabilizzato da 800mm ce l'avete ? No ?
     
    Ecco le mie motivazioni che, come dicevo, per ora e per un pò di anni a venire, mi faranno lavorare principalmente con le reflex (Nikon).
     
    Per le mirrorless c'è tempo e finchè non metteranno i denti del giudizio, continuerò a vederle come dei (bei e promettenti) prototipi.
     
    Il mio cuore invece continua a palpitare per una adorabile Nikon D5x che mi faccia smettere di pensare con rammarico al mio amore perduto D3x ...
  7. M&M

    Recensioni : Musica da Camera
    UN INVITO DAGLI SCHUMANN
    Trio Dichter, Théotime Langlois de Swarte, Hanna Salzenstein, Fiona Mato
    harmonia mundi, 25 agosto 2023, formato 96/24, via Qobuz
    19 tracce, 1h : 19m : 10s
    ***

    Il titolo, evocativo, noi lo tradurremmo più appropriatamente "Dagli Schumann", vuole in qualche modo rievocare un invito musicale nel salotto di Casa Schumann, con Clara e Robert perfetti padroni di casa, in una delle loro tante residenze temporanee di Lipsia, Dresda o Dusseldorf.
    I due coniugi solevano "aprire la porta del loro soggiorno" agli amici, dove condividere i loro pensieri sulla musica che li avevano commossi ed ispirati, mentre i loro figli giocavano attorno a loro, riempiendo la stanza di risate gioiose.
    Non solo musica "loro" ma anche del passato e di altri autori del loro tempo, naturalmente. Secondo le inclinazioni e l'estro della stagione.

    “Regnerà un’oscurità da sogno nella stanza con i fiori alla finestra, o quella azzurra con il pianoforte a coda
    e incisioni su rame – e desidereremo soltanto amarci e restare fedeli l'uno all'altro [...] Tu mi guiderai così
    dolcemente quando ne avrò bisogno – mi dirai dove ho fatto un passo falso e anche dove ho realizzato qualcosa di bello – e lo voglio
    lo stesso per te – dovresti amare Bach in me, io dovrei amare Bellini in te – suoneremo spesso il pianoforte a quattro mani.’

    Per mantenere l'atmosfera fedele anche sul piano sonoro, l'intero programma sfrutta il suono di un pianoforte Bösendorfer della seconda metà del XIX secolo; un pezzo unico per
    ricchezza timbrica che ha ispirato e guidato gli interpreti. Come il timbro degli strumenti di fabbricazione italiana per gli archi: il violino è di Nicolò Gagliano e il violoncello è di Pietro Guarneri di Venezia.
    Ovviamente corde di budello, che producono una sonorità rotonda e calda, in perfetto complemento al suono del pianoforte storico.

    “Un nuovo capitolo della vita si è concluso con successo, anche se non senza preoccupazioni, per cui dobbiamo farlo con tutto il cuore : grazie al Cielo. Il primo settembre ci ha regalato una bambina grazie alla mia Clara. Le ore che lo precedettero furono
    dolorose; Non dimenticherò mai la notte del primo settembre, un mercoledì. C'erano tante cose in pericolo; ad un certo punto mi sopraffaceva così tanto che non sapevo come trattenermi. Ma poi ho riposto la mia fiducia nella forte costituzione di Clara,
    il suo amore per me – come potrei descriverlo tutto. Dieci minuti prima delle undici del mattino la piccola era là, in mezzo a lampi e tuoni, perché c'era un temporale nel cielo. Ma ai primi suoni – la vita era di nuovo luminoso e amorevole davanti a noi: eravamo benedetti dalla felicità. Quanto sono orgoglioso di avere una moglie che, 
    oltre al suo amore e alla sua arte, mi ha fatto anche un regalo del genere. Adesso le ore volano tra gioia mista a preoccupazione."

    Il disco ruota attorno ad una serie di opere di Robert Schumann : i movimenti di apertura e chiusura da Kinderszenen (Scene d'infanzia, 1838 – ‘Von fremden Ländern und Menschen’ (“Di terre e popoli stranieri”) e “Der Dichter spricht” (“Il poeta parla”) in un arrangiamento per pianoforte, violoncello e violino – insieme al suo Trio n.2,
    Op.80, un'opera importante a cui Clara era particolarmente affezionata. Sebbene la realizzazione di quest'opera abbia seguito da vicino quella del trio precedente, quest'opera è più esuberante e ottimista e, secondo le parole dello stesso compositore, "rende un'atmosfera più gradevole" e impressione immediata.’ Il primo movimento è pieno di speranza, alternato ad episodi vivaci e pieni di luce del sole e quelli più sognanti e teneri. Il secondo movimento presenta una melodia dal respiro lungo e marcato dall'interiorità. Segue un terzo movimento, una sorta di lenta barcarola costruita sull'imitazione canonica tra violino e violoncello, poi tra pianoforte e violino: nel quarto ed ultimo movimento ritroviamo gli accenti agogici del primo, con un episodio centrale evidenziato da una scrittura contrappuntistica e una coda fiammeggiante piena di energia in costante aumento.

    Naturalmente non potevano mancare due dei lieder più romantici di Robert, cantati in modo molto convincente dal baritono Samuel Hasselhorn. ‘Widmung’ (da Myrthen, 1840), che Robert Schumann regalò a Clara il giorno delle nozze, conferisce all'espressione dell'amore un aspetto quasi dimensione trionfante, mentre "Meine Rose" (dalla Sechs Gedichte von N. Lenau und Requiem, Op.90) costituisce la sua dimensione più controparte intima e tenera.
      
    L'altra protagonista principale di questo salone è ovviamente Clara, un'interprete prodigiosa, una pianista universalmente ammirata e compositrice di talento che fu costretta a mettere in pausa la sua carriera per dedicarsi al suo ruolo di moglie e madre.

    Ci sono alcuni brani eseguiti troppo raramente che ci ha lasciato Clara (solo una quarantina circa di numeri d'opera in tutto). In questo caso è l'Andante molto ad aprire i Drei Romanzen (1853), notevole per la sua incredibile invenzione e libertà – molto “viennese” ante litteram – e il sublime Notturno per pianoforte solo, preso dalle molto precedenti Soirées Musicales (1836), scritte quando Robert le aveva appena fatto la sua dichiarazione d'amore. 

    “Continuiamo il nostro studio delle fughe [di Bach]. … Robert sottolinea i passaggi in cui il tema ricorre continuamente. Lo studio delle fughe è molto interessante e mi dà molto piacere. Robert mi ha rimproverato aspramente; Lo ero stato
    raddoppiando un passaggio in ottave, e così aveva aggiunto una quinta voce, incompatibile con la scrittura in quattro parti. Quanto aveva ragione per sgridarmi! Ma quanto mi è dispiaciuto non averlo indovinato io stesso!"

    Leggendo il programma, ci potremmo interrogare su alcuni pezzi. Perché un preludio di Bach e un pezzo di Scarlatti si intromettono in questo programma ottocentesco? La scelta di quei pezzi testimonia la nostra voglia di raccontare la storia di una coppia di pianisti e soprattutto delle loro attività quotidiane. Robert e Clara avrebbero ripercorso i preludi di Bach e fughe insieme, per così dire "a quattro mani", ed è evidente dallo studio delle loro opere che la musica di Bach influenzò il loro stile e divenne un modello, proprio come la musica di Mendelssohn. Qui abbiamo il Kleine Präludium in Mi minore, BWV 938 (1720 circa), il cui carattere diretto e istruttivo lo rende un perfetto esempio di ciò che Clara potrebbe aver dato ai suoi studenti da imparare. Quanto a Scarlatti, dall’esame dei programmi di recital di Clara si deduce che suonava spesso la sua musica, specialmente alcune delle sue sonate più virtuosistiche. Robert, invece, ha mostrato poca predilezione per quella che considerava pura pirotecnica: musica troppo "decorativa", in breve

    Accanto ai modelli della coppia va menzionato anche il loro più caro amico, Felix Mendelssohn. Clara si era esibita più volte sotto la sua direzione al Gewandhaus di Lipsia prima di sposare Robert, di cui Felix era il padrino una delle loro figlie. Fu solo la sua prematura scomparsa (avvenuta nel 1847, a soli 38 anni) a porre fine a questo rapporto quasi fraterno relazione. Qui troviamo un'opera per pianoforte a quattro mani, Andante et Allegro assai vivace (1841), di cui Clara è dedicataria.

    I salotti di casa Schumann furono anche l’occasione per scoprire giovani talenti promettenti. Robert l'aveva già fatto mostrò il suo interesse e la sua ammirazione per l'originalità salutando l'arrivo di Chopin all'inizio del 1831 con le parole "Via i cappelli , signori, un genio!" Così fu anche per Niels Gade, che nel 1840 aveva appena composto la sua prima sinfonia e lo inviò a Mendelssohn, allora direttore stabile del Gewandhaus di Lipsia. Quest'ultimo, pieno di entusiasmo, lo inserì subito nel programma del concerto e convocò personalmente il giovane danese, nominandolo poi suo assistente. Lì Gade conobbe Robert e tra i tre artisti nacque una bellissima amicizia, Schumann lo riteneva un compositore eccezionale. La presenza di Gade presso gli Schumann è qui illustrata da uno dei suoi Akvareller (Acquerelli): un'elegia trascritta per violino e pianoforte e contrassegnata da un lirismo teneramente ardente, evocativo di Frédéric Chopin.
    Solo leggermente più giovane, Theodor Kirchner arrivò a Lipsia nel 1838, dove divenne anche un protetto di Mendelssohn e Schumann. Entrò nel Conservatorio appena fondato da Mendelssohn e, nello stesso anno, nel suo raccomandazione, ottenne il posto di organista presso la chiesa di Winterthur. Compositore prolifico, Kirchner ha lasciato un
    un'opera immensa (per parlare solo del pianoforte, i numeri d'opera sono quasi mille!). Il “Lied ohne Worte” dal suo Bunte Blätter (1888) per trio con pianoforte è una sorta di “doppio” omaggio: ricorda il Lieder ohne di Mendelssohn Worte (1835-1845) e Bunte Blätter di Schumann (1836-1849), entrambi per pianoforte solo. 

    Infine, la figura di Johannes Brahms, ovviamente compare in più punti del nostro programma. Brahms è il più assiduo degli “ospiti” a casa degli Schumann: lo é dal 1853 – tre anni prima della morte di Robert. Qui è rappresentato, nei temi dell'infanzia nel suo amatissimo Wiegenlied (Lullaby, 1868) ma anche della musica tradizionale che deve essere stata molto presente nella vita di tutti i giorni, alla quale gli Schumann come Brahms hanno attinto folklore per molte delle loro composizioni. La 'Schwesterlein' è tratta dai 49 Deutsche Volkslieder di Brahms (49 canzoni popolari tedesche, pubblicata nel 1894, ma iniziata nel 1854), così come i due brani tratti da Fünf Stücke im Volkston di Robert Schumann  per violoncello e pianoforte (1849), testimoniano questa influenza popolare.

    «La musica adesso si è fermata, almeno esteriormente. […] Ora devo concludere. Si è già fatto buio.’
     
    Il retro del disco con il ricco programma, rappresentato da scelte ipotizzate dagli interpreti.

    Il disco è caratterizzato da un suono caldo ma una registrazione abbastanza bassa, del resto gli strumenti scelti e la configurazione non si prestano a volumi da sala da concerto perché si voleva preservare l'atmosfera da salotto e i toni scuri, tardo autunnali ma caldi, dettati dai colori del salotto.
    La registrazione è comunque bellissima e il sentimento che prevale è, ma non ci sarebbe bisogno di dirlo, l'amore. Con cui sono state scritte le musiche e con cui venivano e vengono eseguite ancora oggi.
  8. M&M

    Recensioni : Pianoforte
    Busoni : Elegien, Toccata, Sonatina super Carmen
    Bach/Busoni : Toccata, Adagio e Fuda BWV 564
    Peter Donohoe, pianoforte
    Chandos 1/8/2021, formato HD, via Qobuz
    ***
    Questo é il primo disco di Peter Donohoe per Chandos. Ma non è il primo dedicato a Busoni. Ricordo il Concerto per pianoforte e orchestra del 1988 che seguiva la prima registrazione assoluta fatta da Ogdon nel 1967.
    Pianista raffinato, colto, con una tecnica trascendente ed impegnato ad esplorare le più intricate trame della musica pianistica del periodo decadente, come lo considerava Busoni, cioé dopo Liszt.
    Rimando alle note scritte da Donohoe per spiegare il suo rapporto con Busoni che caratterizzano la chiave di lettura di questo impegnativo disco. Le riporto sotto perché difficilmente io saprei riassumerne il carattere senza travisarne magari il senso ma senza in alcun modo voler ledere i diritti d'autore. Vogliamo invece con questa recensione rendere giustizia sia al "nostro" Busoni, spesso trascurato ingiustamente in patria, e allo stesso Donohoe che se ne fa apostolo.


    Cominciamo dal suono, teso e con volumi sinfonici. In questo disco non c'è un attimo di tregua. Difficile "digerirlo" per intero tutto di seguito.
    Né, credo, l'avrebbe voluto Busoni, essendo le composizioni a programma distanti tra loro.
    La monumentale Toccata è del 1921 (Busoni mancherà nel 1924) e riporta in calce una citazione di Frescobaldi : ‘Non è senza difficoltà che si arriva al fine’. E come non capirlo.
    Le Sei Elegie e la Berceuse sono del periodo matura (1909), la Sonatina super Carmen è ancora del periodo ultimo (1920) mentre la Toccata su Bach BWV 564 è del 1899.


    Andando all'interpretazione di Donohoe, devo dire che l'intero disco mi lascia un pò perplesso, nonostante le recensioni entusiastiche che ha avuto in patria.
    La Toccata, ascoltata per mano del grande Ogdon mi sembra meno brillante, un pò limitata nelle dinamiche. Molto scura.
    Impressione che rilevo anche nelle Elegien, al limite dell'oppressivo.
    Il feeling diventa alla lunga stancante e quando che il Bach/Busoni finale mi faccia cambiare idea, invece al confronto con la grandiosa, vivida e brillante interpretazione della stessa pagina di Horowitz, purtroppo resto ancora deluso.
    Pure le Elegien che non sono un ascolto che raccomando in una giornata come quella odierna - qui da me c'è il cielo cupo - ascoltate da Carlo Grante (Music and Art of America 2019) mi sembrano più ... "elegiache", rotonde, voluminose e ... a tema secondo le indicazioni in tedesco o in italiano dell'autore.
    Insomma, disco pregevole, ottimamente registrato che contribuisce allo sforzo di conoscenza di un'autore importante ma molto sottovalutato ma che nell'insieme mi sembra più sacerdotale che musicale.
    Mi sbaglierò ma rimando ai confronti citati per una visione più gratificante, se non sul piano musicologico, credo su quello musicale.

    Una nota dell'esecutore
    Il tradizionale repertorio di recital pianistico tradizionale era – almeno fino alla fine dell'era romantica – dominato principalmente dagli stili germanico e, successivamente, russo, più forse l'opera più associata al pianoforte, quella di Chopin. Le opere pianistiche dei compositori italiani raramente figuravano nei programmi di recital. Ciò continuò fino al ventesimo secolo, essendo l'Italia per lo più associata all'opera e ad altre musiche vocali dalla fine del diciottesimo secolo. Poi la fine dell'ottocento vide i grandi cambiamenti stilistici in gran parte determinato dall'ondata di influenza della musica - molto spesso con caratteristiche nazionali basate sulla musica popolare - da molti altri paesi, in particolare la Francia (Saint-Saëns, Debussy, Ravel, Fauré), i paesi nordici (Grieg, Sibelius, Nielsen ), Spagna (Albéniz, Granados), Ungheria (Liszt, Bartók), Russia (Mussorgsky, Rachmaninoff, Stravinsky) e, soprattutto per questi scopi, Italia (Busoni, Casella, Malipiero, Respighi).
    Principalmente per questo motivo, la mia conoscenza delle opere pianistiche italiane era molto scarsa, finché un giorno, nel 1981, fui avvicinato da un brillante musicologo e storico, John C.G. Waterhouse (1939 – 1998), specializzato (anche se non esclusivamente) nella musica italiana, in particolare quella scritta in tempi più recenti. Esattamente il motivo per cui mi ha chiesto specificamente di creare un programma di recital basato sulla musica per pianoforte italiana del secolo, allora presente, si perde nella notte dei tempi, ma comunque lo ha fatto. Ed è stato un momento molto significativo nel mio sviluppo; così facendo mi ha fatto conoscere diversi lavori solisti straordinariamente gratificanti di cui ero stato quasi totalmente all'oscuro fino a quella fase della mia vita musicale.
    Al centro di questi c'erano ovviamente le opere di Busoni, originario del nord Italia dove la consapevolezza della cultura, in particolare austro-germanico, dei paesi confinanti era al suo apice. Era un vero vagabondo e ha vissuto e lavorato in molte parti diverse del mondo, assorbendo influenze culturali da diversi centri europei, oltre a Mosca e Boston. Le sue naturali capacità pianistiche erano probabilmente pari a quelle di Liszt, la sua conoscenza musicologica era sconfinata. La sua consapevolezza della fine di un'era musicale verso la fine del secolo, il suo spirito audace nel tentativo di aprirne una nuova e la sua profonda comprensione e rispetto per la musica del passato, in particolare quella di Bach, Mozart, Liszt e Chopin – fece di Busoni un protagonista del tempo. Queste qualità si fondevano con la sua personalità, una straordinaria combinazione di malizia, diabolicità e visione megalomane – quest'ultima esemplificata dal suo immenso Concerto per pianoforte – che ne fece una figura affascinante. Quest'ultimo lavoro ha giocato un ruolo molto importante nel mio apprendimento e nella mia esperienza di performance durante il decennio successivo alla mia associazione con il professor Waterhouse, un periodo che è culminato in una registrazione live di un CD dei BBC Proms del 1988.
    Per me, all'epoca, si è rivelata una curva di apprendimento molto ripida, ma per la quale sarò sempre in debito con il signor Waterhouse. Le prime opere che mi presentò furono le Elegien di Busoni, due delle quali incluse in quel recital spartiacque che ha creato per me. Ricordo di essere stato particolarmente colpito dall'atmosfera e dalle correnti sotterranee del secondo, 'All' Italia!', in cui Busoni mostra non solo affetto per il suo paese natale, ma un lato oscuro molto inquietante, e offre una panoramica completa della sua caratteristica originale scrittura pianistica. Certo, c'è un'influenza molto evidente da parte di Liszt, ma c'è anche un'esplorazione completamente indipendente del mondo sonoro dello strumento, in particolare il conflitto tra tonalità maggiori e minori, una caratteristica che Busoni ha usato sempre di più man mano che la sua musica maturava. Le altre sei Elegie completano una serie di grandi opere che costituiscono un distillato di ciò che Busoni rappresentava; presentano ogni stato d'animo immaginabile: mistero, religiosità, umorismo, birichinata, calma maestà - tutti sono rappresentati in uno stile davvero originale che trabocca di sperimentazione armonica e imprevedibilità, e una capacità di rendere il suono del pianoforte molto più ampio di un solo strumento.
    Esplorare le sue altre opere per pianoforte è stata inevitabilmente una grande gioia per me - è stato citato un artista importante che ha affermato che la Toccata di Busoni è la musica più difficile che abbia mai suonato; Non andrei così lontano, ma è sicuramente immensamente impegnativo, così come la Sonatina super Carmen. Tuttavia, tra i più esigenti, e al allo stesso tempo più gratificante, è la precedente trascrizione di Busoni della sublime Toccata, Adagio e Fuga in do maggiore di Bach, originariamente per organo. La Toccata, in particolare, mi ha sempre colpito come uno dei brani più gioiosi della storia della musica strumentale, e la trascrizione di Busoni certamente fa emergere quella gioia.
    Il contributo di Busoni alla storia musicale del Novecento è inestimabile e mi sento molto arricchito dai diversi decenni della mia esposizione ad esso.
    © 2021 Peter Donohoe
     
  9. M&M

    Tematiche Audio
    Bene, parliamo di un argomento che va a braccetto con i tempi moderni ma che farà arricciare le narici e raddrizzare i peli ai puristi.
    Puristi di che ?
    Non so, vedete voi.
    Io sono passato da tempo al 100% al Computer Audiofilo e quindi sinceramente di certe argomentazioni tardo ottocentesche me ne infischio.
    In fondo credo siano battaglie di retroguardia e non voglio nemmeno perdere troppo tempo a rintuzzare i contrattacchi del nemico in fuga.
    Che continuino a pascersi nelle loro incertezze.
    Qui le cose sono molto più chiare.
    Dismesso l'elettrodomestico musicale (il lettore CD) da lustri e passato tutto in digitale puro con un software che fa da lettore dentro ad un bel computer, non vedo perchè legarsi le mani evitando di andare oltre.
    Avete presente la risposta dei vostri bellissimi diffusori in camera anecoica con cui vi siete convinti di fare l'acquisto ideale a suo tempo ?
    Tutte balle, valide solo in quell'ambiente.
    Ma nel vostro, bene che vi vada, tra riflessioni, risonanze, rimbalzi, vetri e finestre, le cose saranno di gran lunga differenti.
    E quindi il suono che sentirete e a cui vi abituerete sarà ben diverso da quello che il progettista ha immaginato e ... vi ha venduto.
    Non ci credete ? Dotatevi di un microfono USB da poche decine di euro (come il miniDSP UMIK-1 che uso io) e un programma di misurazione free come REW e lo vedrete in pochi minuti.
    Poi vi farete domande sciocche che non meritano grandi risposte.
    E' così e non ci si può fare molto. Tappeti, trappole per i bassi, sofà e controsoffitti non vi aiuteranno molto a rendere lineare, pulita e coerente la risposta dei vostri diffusori in ambiente.
    Tenete conto che sicuramente sarà diversa la risposta dei due diffusori tra loro. E che difficilmente vi riuscirà di sistemarla semplicemente spostando un diffusore avanti o indietro.

    questa è la risposta dei due canali dei miei nuovi DIP 2, due affari enormi di cui sto parlando su queste pagine.
    Li ho concepiti, progettati, costruiti e regolati io me medesimo da solo.
    Utilizzando la tecnologia che il 21° secolo ci mette a disposizione.
    Fa spavento, vero ?
    Eppure sarà facilmente simile anche quella dei vostri, purchè non abitiate in una camera anecoica o in un teatro greco.
    Che si può fare ?
    Si può ricorrere all'equalizzatore. Vi ricordate quei cosi in voga negli anni '70 e '80 del secolo scorso pieni di cursori ?
    Quelli belli si chiamavano parametrici e consentivano di fare correzioni oculate. Normalmente ad orecchio.
    E chi ha un orecchio tarato bene ?
    Per di più su un numero limitato di frequenze.
    Oggi ci sono strumenti digitali che ci consentono di intervenire manualmente sulle singole gamme di frequenza inserendo filtri precisi con un fattore di merito adeguato alla bisogna.
    Ma su una figura così tormentata vi immaginate quanto tempo ci vorrà ?
    E cosa fare, per esempio, sulla figura impulsiva, così ... smorta ?

    o sul ritardo delle varie gamme di frequenza.
    E sulla differenza tra i canali sul punto di ascolto ?
    Appunto, lavoro improbo, soggetto a ... soggettività, lungo e sempre troppo artigianale per una mente aperta ma che sul piano dell'audio bada al suono : bello, pulito, preciso, nitido. Come da progetto delle mie DIP21 (leggetevi gli altri articoli al riguardo ... quando saranno in linea, se vi va).
    E allora ?
    E allora si fa intervenire l'intelligenza artificiale, si chiamano gli specialisti e si lavora alla radice del problema.
    Una società svedese ha preso il nome di un grande fisico inglese, Paul Dirac, autore di una equazione che è diventata famosa come ... l'equazione dell'amore (parliamo di meccanica quantistica applicata ai fermioni) ed ha sviluppato un sistema di correzione automatico della risposta in ambiente che viene applicata all'ascolto domestico, agli studi di registrazione, agli auditorium e alle automobili.
    La trovate a questo indirizzo. Collabora con grandi case (BMW, Bentley, Rolls Royce, Theta, Nad, Oppo, Huawei ...) ma rende disponibile il suo sistema anche ai privati come noi.
    Il suo software - Dirac Live Room Correction - é disponibile in due versioni : quella normale stereo (cui farò riferimento in questo articolo) e quella più evoluta ad 8 canali per il theather (tematica che non mi sfrizzola moltissimo).
    Il sistema si compone di due parti, uno che si occupa delle misure, ed uno che si occupa di applicarle alla periferica audio utilizzata per la riproduzione della musica.

    Come funziona ?
    Sulle prime viene richiesto di individuare l'ambito e la periferica di uscita.
    Il campionamento disponibile va dal formato CD (44100 Hz) a 192.000 Hz, più che sufficienti per i normali usi (per frequenze più elevate sarà necessario sottocampionare).

    quindi il microfono, necessario per le misurazioni :

     
    si dovranno impostare i livelli opportuni perchè la misurazione sia compatibile con il sistema regolando i cursori in dotazione :

    io ho montato il mio microfono (acquistato online da Audiophonics di Bordeaux) su un normale treppiedi da studio fotografico, con lo spike a vite da 3/8''.
    L'ho regolato perchè l'altezza dosse pari a quella della mia testa (altezza orecchie) nella normale posizione di ascolto (poltroncina a rotelle da ufficio : siamo nel mio studio, non nella sala d'ascolto).
    A questo punto si passa nella fase di effettiva misurazione.
    E' possibile scegliere tra sedia, sofa e auditorium.
    A seconda dei casi saranno proposte più misurazioni in posizioni differenti.
    Ad ogni passaggio si farà una misurazione e poi si sposterà il microfono come proposto.
    Il sistema ad ogni misurazione emette un segnale a tutta banda (dalle frequenze più basse a quelle più alte) di circa 12 secondi, dopo di che elabora il segnale e lo accantona.
    Vi consiglio di tapparvi le orecchie perchè dopo un pò dà fastidio ! Il mio cane infatti mi ha lasciato infastidito al secondo fischio ad alta frequenza.

    nella parte bassa della finestra qui sopra vedere la figura della forma d'onda nei vari impulsi.
    Finite le misurazioni si potrà procedere e verrà visualizzato il responso finale.
    Qui c'è una rappresentazione mediata della risposta in ambiente dei due canali sovrapposti (modulati dalle diverse risposte intorno ai due diffusori, l'asimmetricità della stanza, la presenza a sinistra della finestra, a destra di un mobile davanti alla parete, io medesimo messo da qualche parte, etc. etc.).
    E' la figura in azzurrino sullo sfondo blu.
    Terribile, vero ?
    Un basso profondo a picco fino a sensibilità esagerate che poi precipita e recupera solo nel medio basso, per poi decrescere con una ondulazione impossibile da correggere a mano.
    Il medio è quasi esemplare ma la variabilità è comunque elevata.
    L'alto è a doppia campana con un avvallamento all'incrocio tra i midrange e il tweeter che da manuale non ci dovrebbe essere ma, peggio, una differenza tra i due canali che fa paura.
    In arancione viene proposta una risposta in frequenza ideale, detta di target, cui il sistema vorrebbe allineare i diffusori.

    é possibile modificarla a mano secondo le proprie necessità.
    Io sapendo che il grosso delle registrazioni di musica è pensato per chi possiede minidiffusori senza woofer o, peggio, cuffie e cuffiette con risposte sui bassi ridicole, ho modulato i bassi sotto ai 150 Hz un pò all'ingrosso, come era da propositi del mio progetto delle DIP21 : avere un basso possente su un medio articolato e pulito.
    A queto punto si dice al sistema di regolare l'ottimizzazione del sistema che viene normalizzato così :

    per quanto riguarda la risposta. Il punto flat del basso è a 24 Hz, ben al di sopra della media dei diffusori migliori al mondo.
    E l'impulso è questo, molto, molto realistico, considerando che stiamo parlando di 2 pannelli che sommano quasi 3 mq di superficie con 18 driver complessivi e che, soprattutto, emettono da entrambe le superfici.

    Salviamo il filtro e il progetto per poterlo utilizzare.

    Insomma, banalmente che cosa ha fatto il nostro Dirac ?
    Ha creato una serie di filtri (un elevato numero, anche migliaia) piccoli e ravvicinati, che vanno a manipolare la risposta dei due diffusori, allineando al contempo anche i due canali e la loro risposta nel tempo.
    Tenendo conto di tutti i parametri effettivamente misurati nel mio ambiente nelle mie condizioni di ascolto.
    Ok, bello. Ma come si utilizza questo filtro ?
    Dirac Audio Processor
    C'è un altro tool messo a disposizione da Dirac che si installa automaticamente all'avvio del computer e che va ad impossessarsi della periferica audio (in questo caso un DAC Audio-GD) per manipolarne in tempo reale la risposta in frequenza.
    Si presenta con questa finestrella qui.

    e si possono caricare fino a 4 filtri differenti, selezionando quale poi utilizzare.
     

    ho chiamato il mio semplicemente UNO, immaginando in queste settimane di messa a punto del mio sistema ne progetterò diversi e mi piacerà confrontarli tra loro.
    Il DAP può essere regolato in modo fine per ottenere aggiustamente ad orecchio in caso sentissimo la necessità di farlo (non è, per ora, il mio caso).

    in termini di risposta tra i due canali e di intervento del processore

    come sia, da questo momento la risposta in frequenza del sistema sarà quella imposta e non più quella effettiva.
    Ad una prima prova di ascolto ho riscontrato in modo netto ed evidente la differenza di qualità, pulizia e, soprattutto di sensazione di ricostruzione tridimensionale della scena sonora, praticamente con tutti i genere musicali, anche quelli - non ci avrei creduto - più beceramente "elettronici".
    Ne riparlerò quando descriverò nel complesso le DIP21 ma in questo articolo monografico mi premeva parlare del Dirac Live Room Correction, un must have secondo me, quanto lo sono oramai la riproduzione musicale digitale direttamente da computer, i DAC, i cross-over digitali e i collegamenti bilanciati tra le elettroniche.
    Il prezzo di acquisto è sensibile (389 euro cui aggiungere i 79 del microfono) ma secondo me ne vale la pena.
    Sicuramente ne guadagnerà il vostro sistema di ascolto molto più che cambiando .... tutti i componenti secondo quella malattia che a più riprese colpisce tutti gli audiofili.
    Ma su questo sito siamo musicofili e quindi cerchiamo la via migliore per ottenere il massimo da quello che abbiamo deciso di utilizzare.
    Alla prossima !

     
  10. M&M
    ENGLISH VERSION


    HIFIMAN Deva is the second bluetooth headphone from Hifiman after Ananda.
    It uses the same approach and aims to flexibility of use, allowing for different input options:
    wired, traditional connection to a desktop amp USB cable, for PC/Mac connection wireless, using Bluetooth 5.0 protocol You can turn Deva into a wireless headphone using the new Hifiman Bluetooth module, the “Bluemini”, which replaces the traditional wire and includes an USB socket for charging the battery and the control buttons.
    Nothing extraordinary so far, right? but when we add that this is – as the other premium Hifiman models – a planar headphone using the new “supernano” diaphragm and we look at the price, which is entry-level considering Hifiman pricelist, then we can call it a miracle.
    Moreover, while Ananda BT doesn’t have the wired traditional option, the Deva has it, for all the cases where a wireless connection is not possible or when we want to enjoy the sound of an analogic amp.
    Basically, Deva is placed under Sundara and ideally replace the glorious HE.400, at least in terms of pricing and market segmentation, but with an ease of use remarkably improved. However we should not forget that the official retail price of Sundara and HE-400 was 450€, whereas Deva starts at 349€.
    Specification :
    circumaural, open-back, planar magnetic headphone  impedance: 18 Ohm weight: 360g sensitivity: 93.5dB 3.5mm TRRS audio cable With its 25g Bluemini dongle dongle includes Blueetooth receiver,  USB-C port, built-in DAC and 230mW Amp.
    The dongle also adds the battery needed to support approximately 7-10 hours of playback per charge.Bluemini supports file resolutions up to 192 KHz/24 bit via USB and 96/24 in wireless mode, using a Qualcomm CSR8675 chipset.

     
    From Hifiman website, the new “supernano” diaphragm, used also in other premium Hifiman headphones of the latest generation.


    Some detail of the Bluemini, the dongle is primary responsible of the wireless connectivity of Hifiman Deva.
    Top-notch integration and build quality: only 25g including the plastic shell.
     
    Unboxing :
    The classic black Hifiman cardboard box, pretty solid, showing both on front and back sides the new Bluetooth feature.

     

     

    Even inside the box, the packaging is premium, similar to HE-400.

    The cables available: 3.5mm audio cable, 3.5mm to 6.3mm converter, 2m USB-A/USB-C cable and the dongle that turns the headphone into wireless.

    User manual.

    The look has colors similar to HE-1000, but the shape of the pads and the mechanic are closer to Sundara and HE-400.
    Brown colors and silver finishing make them modern and lively.

    The swiveling ear cups make the Deva comfortable over my years.
    The headband is soft, upholstered and strong.
    If I really had to find a negative point, it would be the visible screws, but on the other hand they make any possible replacement of a damaged component easier.

    It’s an open-back headphone such all the planar headphones of this series and the external part of the pad is well protected by a metal honeycomb grid.

    The Deva logo is proudly shown, as in other Hifiman models.

    The maximum extension of the headband, for “important” heads.

    The inside of the ear cups is soft in contact with skin. I used Deva while I was biking and didn’t make me sweat.
    The letter showing the left channel and the jimbal of the headband.


    The cable connecting the pads is seated inside the groove under the letter L. It’s pretty well recessed  beneath the surface, therefore I’m not expecting any damage from use over time.

    In the left pad there is the only external connection: it can be used either with the Amp cable or the dongle.

    The pad with the dongle on.

    The other side

    USB socket, confirmation LED, control buttons

     
    So, as a whole, the impression is excellent.
    Build quality is slightly below the other Hifiman models I know, such Sundara and HE-400, but anyway better than the average of headphones from other companies.
    If in the past Hifiman was criticized, not for the sound, but for the build quality and the details, things got significantly better from the second version of the previous generation and the Sundara.
    Let’s not forget that the price for a planar Bluetooth headphone might be quite higher.
    If I had to point out a little flaw, it’s the 6.3mm convertor: while it works perfectly, it doesn’t seat flush once plugged-in, and it’s a bit hard to pull out. I’d rather prefer a screw-on adapter, but it’s really a small thing.
    Measures :
    I coupled the Deva with my desktop amplfier to get a first impression, then I took this opportunity to check the frequency response using my miniDSP ears:

    The frequency response confirmed my impressions during the first listening. A good presentation across the whole frequency range, with very articulated bass, very clear miss and not aggressive highs.

    Frequency response of Deva coupled with Audio-GD R28 preamp.
    The real surprise was the response using the USB-C wire via dongle. Considering the difference of the power outputs (my amp’s output goes up to 7.5W at 32 Ohm, while the built-in amp output is 230mW), I was not really expecting to see two responses so similar.

    Frequency response of the Deva coupled with Audio-GD R28 (in red) and using the Bluemini dongle connected to my laptop via USB-C (in green).
    Not considering some difference due to measurement errors, I see a better bass using the desktop amp (in red) compared to the dongle built-in amp (in green), while it’s the opposite from 1500 to 2000Hz with the dongle showing less damping in this section so important in the audio range.
    In short, either for the optimization studied by engineers, or for the very low impedance of this headphone, this small 25g box is able to make shine a headphone with a quite low sensitivity.
    Comfort :
    The Hifiman Deva is few grams lighter than the Sundara and they have comparable shapes.
    The pads are more comfortable than those of HE-400, but less comfortable compared to the wider pads of Sundara.
    With Bluemini on, even if its weight is only 25g, you can fell some imbalance towards the left ear, but it is not an unbearable discomfort, after a while you don't think about it anymore.
    The pressure over the head and the ears is just right, even for long listening sessions.
    In wireless mode there is no kind of issue, even moving around the room.
    The control buttons are easy to reach and the confirmation sound is nice.
    There are 2 control buttons: the bigger one is for switching on and off and Bluetooth connection.
    The smaller button, close to USB socket, is for turning the battery charge on. When the headphone is simply wired the charge remains off. Even during playback the charge is switched off.

    Beautiful and elegant with its brown and contrasted colors, as the light decreases it gets a darker look, that fits well in a wooden location, both high-tech and stylish.

     

    A round of applause for the Hifiman designers!
     
    Listening test :
    I tested this headphone for a while in all the configurations: analog cable, USB and Blueetooth.
    Then I compared them, in order to give a better idea to the readers, to two very different headphones: my Arya, a premium Hifiman headphone and my personal reference, and the AKG K712 Pro, professional monitor headphones, dynamic, that were considered in a segment slightly superior to Deva when they were marketed.
    Deva’s sound presentation reminds me the HE-400i V2 that I owned until the beginning of the year.
    The bass range has full body and the extension is well articulated.
    Mids are clear and well defined, while highs and very high frequencies are never annoying.
    There is no emphasis in any sound range, but the sound is refined, clearly in line with a planar system, and I find it more enjoyable than the Sundara, that I tested last year.
    Where Sundara is dry and need some equalization to get a more balanced sound, Deva is already excellent out of the box.
    Soudstage is good and I couldn’t find the annoying feeling of hearing the sound inside my head.
    Three-dimensionality is not exaggerated, but we are pretty close. Very good!
    Mids are sweet and clear, but there is no attempt to over-sweeten them.
    The volume is adequate and in all the recordings I listened to there was no need to turn up the volume.
    Well-recorded female voices seem to have everything to gain from these headphones.
    As you know, I listen 99% to classical music, but these headphones go pretty well with any genre.
    But even in less "noble" uses such as Skype, video games with sound effects and movies, the overall balance, without excessive emphasis but also without shortcomings in the range, allow a fruition always in line with expectations.


    The comparison between HIFIMAN Deva, AKG K712 Pro and HIFIMAN Arya.
     

    HIFIMAN Deva: the latest album by Silje Nergaard (jazz-vocal) highlights the singer's voice, while keeping the piano very present. It’s even better in the album with rhythmic accompaniment of 2000 "Port of Call", where the voice is highlighted on a nice bass base and below the rhythmic accompaniment.
    AKG K712 Pro: very cold but realistic piano, you can hear the singer breathing between sentences. We are at the apotheosis of the "monitor" sound as conceived by AKG. In the trio, finally there is generous bass while Silje's "impertinent" voice dominates snares and cymbals. The most interesting performance of the K712 in this listening test.
    HIFIMAN Arya: sweeter than the other ones, low range extended to the extreme but less full of the other two. But here she deserves a kiss! I can hear some sibilance that in the other two headphones wasn’t there.

    HIFIMAN Deva: Mark Knopfler doesn’t keep us waiting too long and after entering with his guitar here is his hoarse voice. I feel like turning up the volume.It is a 1985 record but very well recorded (and remastered here). Bass, mids, treble perfectly calibrated. You can't stop listening to it
    AKG K712 Pro: less engaging as a whole, but Knopfler's voice is more separate from the rest, percussions in great evidence, guitar even more.The sound is cold, different, not necessarily unpleasant. A diametrically opposite interpretation.
    HIFIMAN Arya: Brothers in arms, sweet and soft with the rhythmic section over the head. Compact, dense, convincing sound.

    HIFIMAN Deva: The 1751 Testore Milanese violin played by Franziska Pietsch has a metallic, cold voice that contrasts a lot with the Mediterranean tones of Ravel's violin sonata. The piano that accompanies it is less bright because it is played so as not to overpower the violin.
    AKG K712 Pro: the presentation is similar, but I have to turn up the volume to feel the same balance. The violin is lighter, less metallic, more prominent. But the sound is elegant, light.
    HIFIMAN Arya: here too the violin is not as metallic as with the Deva, on the contrary, it’s sweet, and the piano is very sweet. The sound is fast, delicate.
     

    HIFIMAN Deva: Teodor Currentzis' latest madness and his vision of Beethoven's Fifth Symphony. Perfect tonal balance with generous bass and a majestic orchestral full. Good extension of the soundstage to the outside.
    AKG K712 Pro: there is less impact although the volume is higher. The texture of the violins, however, is very precise, as are the upper harmonics of the wind instruments. It is as if there was a magnifying glass on the right side of the spectrum and the left one was a little compressed.
    HIFIMAN Arya: wide, concert hall sound, without being artificially spectacular. In the third movement every single instrument is heard.

    HIFIMAN Deva: Ton Koopman's "spectacular" Bach in 96/24 edition is bright, clear, fast. You might want a little more pedal but that is certainly not missing in the Passacaglia in C minor which closes the disc.
    AKG K712 Pro: The bass is there but it is behind. Instead the treble is present. The sound is unbalanced and one would like to equalize it, but to avoid any form of contamination I wanted to make this comparison without any filter in between, using the corresponding audio driver directly.
    HIFIMAN Arya: The organ is excellent, the bass is there but it is the full that highlights a tangible thickness in which every single voice is heard.


    HIFIMAN Deva: I close with Lady Gaga's A star is born. The guitar is here, somewhere. The voice of the unsuspected Bradley Cooper seems to me a bit to nasal and a little unbalanced in the medium-high frequencies. Lady Gaga is perfect, exciting, with some echo and the violin in background. Bass without tails and reverberations. And she climbs the stairs to heaven.
    AKG K712 Pro: Shallow is less exciting, the sound is more monitor-like with AKG. The guitar is clear, Bradley's voice is more subtle. Lady Gaga’s voice sounds detached from the rest of the music. But she is more behind than before. And yet the rest is all more subtle.
    HIFIMAN Arya: the scene is the stadium, open wide. Bradley's voice sounds finally like I remembered in the movie. The guitar is not so evident but very delicate, in short he doesn’t look bad compared to Lady Gaga who, when she enters, gets the due applause. Here too, she can sing as high as she wants, Arya follows her even higher. The two voices are well blended.
     
    So, to recap and with the natural subjectivity of such a comparison, I can say that HIFIMAN Deva offers a balanced performance in all types of music, with a coherent sound, favoring bass and medium, with treble not too evident and always without sibilants.
    The performance is more captivating than that of AKG's K712 which have a different setting, with the mids back and increasing highs. It is the Central European monitor sound, designed for long working / listening sessions.
    Compared to Arya - which is 5 times more expensive – Deva is at first more spectacular and more captivating.
    In a quick switch we might even like it more. But Arya’s sound is more refined, intended for educated ears, mids and treble texture is of a higher class and bass is more extensive even if it may seem less powerful.
    In the case of the organ, for example, there is no comparison. But also with chamber music and well-recorded female voices.
    But not everyone will be able to understand it without long listening session. Which is good for the Deva, since you don't need to drain your bank account to buy it.
    What surprised me is that in the comparison I used the amplifier for the two traditional headphones and the Bluemini for the Deva, but it was the Deva that sounded louder and louder.
    With very little power this can makes a show of force.
     

    Coupling :
    I used Deva with the desktop amp in high gain mode. No problems whatsoever (and my amp is able to deliver many watts).
    With iPhone and Android tablet in Bluetooth.
    With a desktop computer using streaming web-services.
    With the Fiio 5 and its built-in amplifier.
    Deva is always an easy load and is always able to play loud.
    I believe they will never be a problem for anyone under any circumstances.
    Conclusions :
    Pro's
    it’s beautiful and well built  capable of classy sound like all HIFIMAN planars flexible, able to play wired and wireless simple to use and not requiring complex setup procedures. When you want to listen to music, they are ready to please you sound is clear, powerful, it needs little power to make it play loud. The soundstage should satisfy everyone with good ears. A little bit raucous with a frequency response that looks like the Harman curve. no equalization required: it sounds good in its natural state and out of the box it doesn’t require any  break-in. After many hours of use, the sound is still the same impressive price / performance ratio. Indeed, miraculous. It’s inexpensive, but it’s difficult to find decent planar cans for the same money, let alone wireless and of this quality Con's
     
    Bluemini is small, compact and light, but still it slightly unbalances the seating over the head Deva is not as comfortable as Sundara and much more uncomfortable than the other two headphones used in the tests (but there is worse, much worse, I assure you) the supplied USB cable is nice, very soft, maybe it could be a meter longer to allow some more freedom. But this is a headphone designed for wireless use mainly the 6.3 mm jack adapter did not convince me, it is not screwed-on, it fits, but it seems that it is not completely housed. It’s more an aesthetic issue than a real one. In a nutshell, I believe that, all in all, starting from flexibility combined with high sound quality, the possibility of working with any source, at this price Deva is given away!
    We hope that HIFIMAN will not change its mind and increase price.
    Does Ananda sound better? It's possible. But Ananda isn't for everyone.
     

  11. M&M
    E' semplice ed immediato, molto più di prima.
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