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Nel 1968, e non è un caso, in Giappone uscì il primo numero della rivista Provoke, creata da alcuni giovani fotografi. Provoke perchè si trattava di una rivista d'avanguardia, di fotografia sperimentale (per l'epoca). Tra i fondatori c'erano dei critici, degli scrittori, ed i fotografi Yutaka Takanashi e Takuma Nakahira. Yutaka Takanashi Yutaka Takanashi Takuma Nakahira, la Notte Ai quali si unirono Shomei Tomatsu, quello che con più forza (o più rabbia?), a mio parere trasmise la tensione della società giapponese di quel perodo e il dramma post atomico. Coinvolgenti e terribili le foto dal suo portfolio Chewing Gum and Chocolate: Ragazza giapponese che vuole essere "Afro" O dall'album Coca Cola: Questo Movimento fu strettamente legato al momento storico che il Giappone stava vivendo. Anche in quel Paese il 1968 fu un anno ricco di tensioni politiche e sociali: La rapidissima industrializzazione post bellica, l'urbanizzazione selvaggia, il ricordo del disastro atomico, la pressante occidentalizzazione imposta dapprima dagli USA e poi assorbita dall'establishment nipponico stesso, aveva portato uno sconvolgimento dei valori tradizionali e ad una forste sensazione di oppressione e privazione dei diritti. I primi ad agitarsi furono gli studenti che formarono organizzazioni di protesta, occupando i campus universitari e per chiedere una maggiore libertà intellettuale contro il conformismo generale (per inciso è di quest’anno -2022-, non dell’epoca feudale la notizia di un ricorso al tribunale di una studentessa dai capelli castani naturali che rifiutava di tingersi i capelli di nero come richiesto dalle regole della sua scuola), contro la guerra nel Viet-Nam (il Giappone era pieno di basi militari USA) e tanto altro. Nell'ottobre del '68 decine di migliaia di studenti occuparono i campus e vi furono violenti scontri con la polizia. Le cose poi andarono calmandosi ma il segno rimase. Fotografi e editori di Provoke si posero nella scia di questi movimenti, offrendo la loro visione sovversiva delle regole, con l’intento di sfidare l’estetica corrente attraverso il linguaggio fotografico. Il loro motto era “Are, Bure, Boke” (grana/durezza, mosso, sfuocato), ossia la rovescia dei canoni classici, quasi un’estetica delle foto “sbagliate”, opposto al culto del rigore tecnologico “all’occidentale” imposto dalla società Giapponese in ascesa economica. Altri elementi che si aggiunsero all’ Are, Bure, Boke furono Sakka (attrito) e Sakeme (lacerazione). Uno dei più noti membri di questa corrente, anche se si unì in un secondo momento, è Daido Moriyama, a cui ho dedicato un altro blog, il quale raccontava che a volte non inquadrava nemmeno, scattava e basta, a sensazione, il suo corpo era la fotocamera. Uscirono solo tre numeri di Provoke, tuttavia bastarono per dare alla rivista ed ai fotografi una risonanza internazionale, influenzando profondamente la street photography a livello internazionale. Per i fondatori di Provoke l’esperienza della realtà era frammentaria e così doveva essere la fotografia, non era necessariamente documentativa e nemmeno estetica pura, piuttosto era vista come un modo di cogliere frammenti di realtà che trasmettessero un messaggio emotivo, politico, un’impressione non esprimibile con le parole. Il loro modo di fotografare sfruttava la fotocamera come fosse un mezzo dotato quasi di vita propria che consentiva di fermare in modo quasi incoscio un momento in cui tra il soggetto e la realtà si incontravanor’ da qui il rfiuto di concentrarsi sui criteri classici di composizione e luce e più sul caso e l’impulso emotivo. Questo a volte portava a foto quasi illeggibili come in Hiroshi Yamazaki Hiroshi Yamazaki, il sole anela al mare. Le luci sono fari di autoveicoli. O nel caso di Kohei Yoshiyuki ad un voyeurismo estremo. Dalla serie "Al Parco" . Yoshiyuki fotografava le notti di un parco pubblico di Tokyo: incontri di amanti, prostitute, omosessuali, e guardoni. Quello che colpiva Yoshiyuki non erano tanto gli atti erotici delle coppie, quanto i gruppetti di guardoni nascosti dietro ai cespugli per spiare. Questi osservavano le coppia prima da lontano poi sempre più da vicino, spingendosi fino a toccarli nei casi più estremi. Gli amanti soggiacevano perchè era l'unico modo di incontrarsi in un Giappone all'epoca soffocato dalla repressione sessuale. Moriyama in un’intervista disse che la fotografia non poteva essere arte, ma dire che le fotografie erano documentazione non portava comunque da nessuna parte; piuttosto si potrebbe dire che le fotografie sono documenti che in qualche modo indefinito vanno oltre la pura documentazione. Chiaramente questa visione non poteva che essere soggettiva, la visione del singolo individuo e non un punto di vista collettivo delle proteste o della situazione politica generale. Altri famosi fotografi fecero parte di questa corrente per poi prendere strade più personali, come ad esempio Nobuyoshi Araki che si dedicò decisamente alla fotografia di nudo/erotica. Araki, my Wife, Tokyo. Provoke fu dunque una corrente fotografica di rottura che non solo lasciò il segno, ma che propose una via diversa, controversa ma stimolante, di vedere la fotografia. Non ne scrivo per semplice divulgazione, ma con sentimento. Sono profondamente attratto da questa fotografia rude, a volte arrabbiata, a volte proprio sporca, sopra le righe senz'altro, ma che descrive un vivere, un soffrire, un godere, a tinte forti ed intense. Se fossi capace di fare fotografia di street, la farei così. Foto prese da internet.
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Catturare il Tempo di Diego Mormorio
Silvio Renesto ha pubblicato una discussione in Fotografia e Grandi Fotografi
Un piccolo libro quanto mai accattivante questo di Diego Mormorio, autore, fra tante cose, di diversi libri sui rapporti tra fotografia filosofia e letteratura (che, confesso, non ho mai letto). Questo libro mi ha attratto perchè ha un approccio differente, narra la storia della fotografia (in breve , sono 114 pagine) a partire dal tempo di posa. Passa quindi dal "costruire" l'attimo (dalla "Veduta dalla finestra di Gràs" di Niépce, 1826-7 che richiese otto ore di esposizione, o la fotografia del Boulevard du Temple di di Daguerre del 1839 quando il lustrascarpe e il suo cliente dovettero restare in posa per due ore) al cogliere l'attimo con le istantanee. Una lettura agile, simpatica e gradevolissima accompagnata da una nutrita serie di fotografie "ghiotte" dal punto di vista storico e di costume. Insomma mi è piaciuto.