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Mostra il contenuto con la massima reputazione di 05/07/2019 in Articolo Commenti

  1. Steve McCurry: icona della fotografia moderna. Non è un mistero il fatto che Steve McCurry, americano di Philadelphia del 1950, laureato in Teatro alla Penn University (dopo aver studiato Fotografia e Cinema) sia uno dei personaggi più iconici del mondo della Fotografia moderna. Le brevi biografie che sulla carta stampata e sul web introducono i suoi lavori, non riescono a prescindere dalla citazione della sua icona più famosa, quella del ritratto di Sharbat Gula del 1985, la ragazza della quale il nome si conobbe solo 17 anni dopo, quando la stessa rivista, il National Geographic Magazine, che aveva pubblicato in copertina la foto, ne sponsorizzò la ricerca ed il ritrovamento (in un altro campo profughi...), per realizzare una patetica fotografia dei segni del tempo che ad una profuga afghana avevano prodotto quegli anni, durante i quali, a sua insaputa, era diventata uno dei volti più celebri e riprodotti/venduti del Mondo: icona, appunto. Avesse chiesto le royalties alla rivista, invece dei quattro soldi che le furono regalati (non si sa quanto) insieme a qualche oggetto per renderle più facile l'esistenza, sarebbe diventata forse più ricca di Melania Trump: invece quattro anni più tardi tornò agli onori delle cronache per essere stata incarcerata mentre, con documenti falsi, tentava di rientrare in Afghanistan, invece che a Manhattan...come avrebbe potuto. Perchè allora ne parlo anch'io della foto di Sharbat Gula? Prima di tutto perchè la scelta di quella foto fu dell'art-director della rivista: Steve ne aveva indicata un'altra (che non sappiamo, probabilmente meravigliosa anch'essa) Secondo: per far comprendere come il concetto di ICONA sia assoluto e bidirezionale: celebra Autore e Soggetto dell'immagine (remunera anche altre persone del tutto ignote al pubblico) Steve McCurry ha di certo un pregio: piega la fotografia alle sue regole. Che prevedono modi di scatto e condizioni di illuminazione che DEVONO essere solo quelle. Ed infatti il trait-d'union del suo lavoro è senza dubbio la Riconoscibilità dell'Autore dalle foto scattate (carattere non proprio secondario del concetto di icona) . Una foto di McCurry su di una rivista o un libro fotografico spicca sulle altre perchè abbiamo ormai bene in mente i suoi dettami e le sue categorie di soggetti. Iterazione è anch'essa una delle migliori condizioni per ottenere il risultato sperato e se Steve McCurry, nei suoi primi viaggi in Oriente, (viaggi formativi insieme che produttivi), comincia a definire il suo modus-operandi, quando poi diventerà famoso e premiato, i frutti della sua prima fase, in B/N per contenere i costi ed ottimizzare i trattamenti, si trasferiscono in un esplosione di colore, quando con le sue Nikon comincia ad utilizzare la pellicola più adatta a trasferire il senso del suo linguaggio, la Kodachrome, nelle sue migliori espressioni, quella da 64 e 25 ASA. Kodachrome non è cosa facile da utilizzare in nessun punto della Terra, insomma...non è proprio come nella canzone di Simon e Garfunkel è una invertibile che non consente neppure un terzo di stop di errore in più o in meno: non ha nessuna latitudine di posa, ergo... Steve deve esporre bene ed in condizioni controllate. Predilige le luci tenui delle prime ore del mattino: odia i contrasti elevati, nel caso... non scatta proprio. Motivo per cui le straordinarie sfumature di colore delle sue foto più note sono proprio il modo di Kodak di usare quel mezzo al meglio delle sue possibilità. Tanto icona del suo modo di fotografare che Kodak gli fa dono dell'ultimo rullino mai prodotto, nel 2009, perchè sia Lui ad usare Lei per l'ultima volta: un incontro fra icone che sfocia in 36 fotogrammi con i quali McCurry tenta di lasciare il segno del Tempo trascorso per quella emulsione ed il suo sviluppo K14. Poi arrivano le macchine ipertecnologiche ed il digitale, ma nulla riesca a scomporre il suo way-of-life: niente flash, solo luce ambiente, poca o niente postproduzione (cita spesso altre icone, come HCB o AA ad asseverare le sue scelte), però il Program gli piace e non fa mistero del suo utilizzo: composizione ed inquadratura, luce naturale, non artificiale, colore sopra-ogni-cosa e diaframma aperto su obiettivi luminosi ...ma non troppo: perchè il fotografo si deve integrare nella scena che riprende ed è molto più semplice che ciò sia con obiettivi dalle dimensioni umane e con focale rigorosamente prossima a quella standard, niente wide né tele, ossia il Nikon-sense della produzione a filettatura filtri da 52 e 62mm: diciamo quindi fino alle versioni AF-D e poco oltre gli anni Duemila. Si... Steve McCurry riesce a prendere il meglio dell'evoluzione della fotografia moderna per realizzare i suoi capolavori: Steve McCurry è l'evoluzione personificata dei suoi Miti, quelli studiati al College e conosciuti personalmente alla Magnum Photo, dove entra dopo Sharbat Gula ed il plauso della Robert Capa Gold Medal, guadagnandosi a seguire un palmares di World Press Photo (cinque, dei quali quattro di seguito) e di riconoscimenti che probabilmente alcuni dei suoi Miti non hanno neppure sfiorato. Oggi Steve ha 68 anni e il braccio destro malmesso, ciò che gli impone di utilizzare la macchina fotografica con la sinistra e con un'impugnatura apposita, ma non ha perso quello che ritengo sia il carattere principale che determina e ha concorso a determinare la sua iconicità: la Perseveranza con la quale ha perseguito i suoi progetti fotografici, (cosa che lo distingue in maniera assoluta da chi ritenga sia sufficiente trovare un soggetto e realizzare Lo scatto), che oggi lo assiste nella sua attività da divulgatore fotografico in giro con le sue mostre ai quattro angoli del globo, insieme alla sua attività fotografica attuale, con la quale finalmente si è liberato da etichette che non ha mai sopportato a vantaggio di quella gradita di storyteller, con la quale invece io da sempre ho sentito di qualificarlo. La sua visione dei popoli e delle loro vicende non è quella oggettiva del fotogiornalista, ma è sempre stata a mio parere soggettiva, issima anzi, frutto di studiata riflessione e convincimento personale. E mai avrebbe voluto sapere del destino di Sharbat Gula, temendo di conoscerlo già bene in cuor suo. La sua fotografia rimarrà a ricordarcelo ancora a lungo. Max Aquila per Nikonland 2018
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