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Mostra il contenuto con la massima reputazione di 20/02/2020 in Commenti blog

  1. Ciao Massimo. Diciamo che questa uscita è stata una sorta di esperimento: da un lato volevo rendermi conto dei limiti di un corpo macchina e obiettivi nella resa di una situzazione di luce particolare. Dall’altro una prova di cosa sarei stato capace di tirar fuori in un versante dove la luce, sempre lei, è diversa dal solito. Il rischio di ottenere delle ciofeche era abbastanza elevato, e credo con la 11 di esserci andato vicino, anche se mi è servita per sapere fino a dove posso arrivare con l’attrezzatura che ho. Per rispondere più esattamente alle tue domande, la nebbia come il deserto non ha punti di riferimento ai quali siamo abituati. Ciò in alcuni provoca un senso di ansia, un po’ come quelli che nuotano (bene) in piscina ma sono terrorizzati quando sono in mare, non necessariamente aperto. Quando il vuoto prende il sopravvento sul pieno, il nulla invade un qualcosa, cambia anche la percezione di quello che vediamo e la mediazione della nostra mente tramuta in sensazioni magari spiacevoli quello che è un panorama "semplicente" diverso. La scena vuota consente però di concentrarsi solo su quel poco che vedi, accorgendoti che il poco assume un significato che altrimenti sfuggirebbe. In questo senso c'è una analogia tra i particolari fotografati all’inizio e la presunta insignificanza dei pali - particolari appunto - che acquistano dignità proprio perchè ci sono solo loro. Devo dire poi che sono stato introdotto e indotto verso questo sentiero da alcune scene di “Amarcord" (F. Fellini) dalle riprese de "La giusta distanza” (C. Mazzacurati) e dalla passione visibile negli occhi luccicanti di alcuni locali incontrati in varie occasioni, quando parlavano della loro terra: un posto che che non avrebbero cambiato con nulla al mondo. Ho cercato di capirne il motivo, che non è solo "ognuno ama il posto dov’è cresciuto".
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