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  1. Mi piacciono i film di fantascienza, azione, supereroi, fantastici e certo horror compresi i B movies, divertenti quanto improbabili. Il primo Predator, B movie d'eccellenza, uscito nel 1987, considerato una cavolata e nvece diventato un cult, mi è piaciuto da matti. L'espressività da statua Moai di Schwarzenegger, la stretta di mano fra lui e Carl Weathers con esplosioni di bicipiti, le frasi mitiche sia del team di Marines ("ma stai sanguinando" "non ho tempo per sanguinare!") o dello stesso Schwarz ("Oh ma sei un mostro orribile!") sono memorabili. L'alieno stesso, il Predatore, che scende sulla Terra per partite di caccia era intrigante, persino simpatico. Stereotipo pre 2000? Va bene. Al primo predator è seguito un... sequel, un altro, poi un terzo, tutti dimenticabili. A qualcuno è venuta anche l'idea di mescolare la saga di Alien con quella di Predator, con risultati di un'idiozia rara (ispirandosi ad un videogioco se non sbaglio). Ora, per Disney è in uscita, con gran clamore, "Prey" una specie di prequel, che racconta una partita di caccia del Predator in America in epoca Coloniale. MI incurisisce molto e vorrei vederlo, anche se ho qualche riserva dopo aver visto il trailer. Stereotipo attuale? La protagonista è una ragazzina nativa americana al posto di un colossale Marine? Vabbè quello ci può stare (sarà per via dell'uguaglianza di genere, valorizzazione delle minoranze ampliare il pubblico includendo anche i ragazzi?), però, in fondo è un qualcosa sul tipo Davide vs Golia. Non mi darebbe poi troppo fastidio, nonostante io sia un vecchio di mente rigida. Basta che la storia sia decente. Poi ho visto il trailer, quello che mi ha fatto rabbividire è la scena al secondo 0.26-0.27. La ragazzina di 15 anni vede un Grizzly, ben lontano, che si sta facendo i fatti suoi e cosa fa? Prende il suo arco e gli tira una freccia. Che c'è di male? 1) Ma voi avete mai provato a tirare con un arco che non sia un compound (quello a carrucole) o un arco giocattolo da villaggo turistico? Un arco efficace, che tiri lontano richiede una notevole forza fisica per essere usato. L'arco nei tempi antichi era un'arma prettamente maschile (a parte Diana, ma lei era omologabie ai supereroi), Invece lo stereotipo cinematografico è che dato che è sottile sta bene con le ragazze. Questo lo dicono gliesperti, ma anch'io ho praticato per un po' tiro istintivo (quello senza bilancieri e mirini, all'antica) con un arco ricurvo da 55 libbre (il minimo da competizione maschile) ed era un bell'impegno. 2) Siete da soli (vabbè con un cane) nella foresta, vedete un Grizzly, non un Criceto, lontano, che bontà sua vi ignora, e gli tirate una freccia , così tanto per farvi inseguire? Ok, si capisce che tutta la scena è per creare un'entrata drammatica del Predator ma se è questa l'astuzia dell'eroina che sconfigge l'alieno ipertecnologico siamo messi male. Arrivo al punto. Un film, che sia B movie o meno può essere improbabile, surreale, qualsiasi cosa, ma la sceneggiatura deve avere una propria coerenza. Non si devono far fare cose palesemente stupide, o senza alcun senso. Questo è quello che rovina il film, trasformandolo da un film d'azione/tensione in una comica. A quel punto si guarda il film per vedere quante fesserie ci hanno messo dentro, ma è un'altra cosa. Invece nelle ultime produzioni sembra proprio che gli sceneggiatori abbiano abolito la coerenza o peschino a caso scene scritte su dei biglietti dentro un cesto. Vale, purtroppo per gli ultimi Alien, Marvel, la Saga di Star Wars (soprattutto!), dove i protagonisti fanno cose a caso e la CGA rimedia a tutto? Non ci sto. Vedrò comunque Prey, perchè lo Yautia (il Predator) è troppo simpatico, sperando che la frecciolina al grizzly sia l'unico inciampo. Immagini prese da internet, copyright degli aventi diritto. PS Un ottimo "corto" su Predator è questo che vi propongo sotto, è un "fan made", con pochi mezzi riesce a coinvolgermi più delle mega produzioni ufficiali. E' stato girato in tre giorni con un budget di 500 dollari. Guardatelo, sono solo 9 minuti, e sappiatemi dire.
  2. Una chiacchierata sull'altra mia grande passione, se a qualcuno interessa, buona lettura . Esagerando ma non troppo: I vecchi film di Kung Fu anni '70 (e in fondo anche molti di quelli successivi) erano fatti un po' con lo spirito da film porno : la trama era poco più che una scusa per far vedere quello che davvero interessava, cioè i combattimenti. Se i combattimenti non erano belli, si restava delusi. Bruce Lee non deludeva mai Bruce Lee con i Nunchaku, che rese famosi (pochi sanno che Nunchaku è il nome giapponese, in cinese si chiamano Shuang jie gun). Bruce Lee non ha bisogno di presentazioni, è l'icona del kung fu sia cinematografico che, fino ad un certo momento, anche praticato. Nel web trovate tutto e anche di più su di lui. Questa è solo una piccola riflessione su un aspetto particolare, il suo successo cinematografico-televisivo Cos'aveva di speciale Bruce Lee? A parte un volto accattivante ed una fisicità ineccepibile (era sciolto, veloce ed aggraziato come un gatto nei movimenti e, per le sue dimensioni, anche potente) Bruce Lee è stato uno dei primi "marzialisti" a rendersi conto che quasi tutte arti marziali tradizionali cinesi (leggi i vari stili di Kung Fu classico) nel tempo avevano perso per strada gran parte della loro essenza , diventando più che altro delle coreografie. Mentre il gesto esteriore diventava sempre più elaborato e spettacolare, andava privandosi di sostanza, finendo in un "vuoto agitare di mani" come disse lui stesso in un'intervista. Al di là del discorso marziale, anche a livello cinematografico i combattimenti coreografati diventavano sempre più degli stereotipi sempre uguali e pochissimo realistici. Quasi noiosi. A quattordici anni mi entusiasmavo, ma in realtà quelle dita intrecciate... Artigli ovunque! Bruce Lee cambiò le cose. Se non ne siete convinti, fate un esperimento: prendete uno spezzone di film cinese di kung fu precedente a Bruce Lee e paragonatelo con uno tratto dai suoi migliori film come "Dalla Cina con Furore" oppure con il bellissimo combattimento con Chuck Norris ambientato nel Colosseo. Nei primi vedrete delle sequenze di uno-due -tre uno due tre: un infinito scambio di tecniche con un ritmo sempre costante, un colpo uno una parata, un colpo l'altro, strane prese, complicati giochi di mano e di piede. Nel film di Bruce Lee no, il ritmo è vivace e spezzato, i colpi sono semplici e verosimili (siamo comunque al cinema) si alternano movimenti veloci a quelli più statici, con un'impressione di maggiore realismo e grande coinvolgimento. Le sue tecniche se così vogliamo chiamarle, poi sono enormemente più credibili, quasi niente colpi a braccia tese, calci pugni e proiezioni che, fatte salve le esagerazioni cinematografiche, si sarebbero potute benissimo vedere in un combattimento vero, con colpi di anticipo, finte, cambiamenti di posizione e saltelli da pugile. Un sano diretto alla bocca dello stomaco Bruce Lee e Chuck Norris (che doveva perdere per contratto ) un bel gancio, niente strani ricami. Una presa realistica, Bruce Lee sta martirizzando un giovane Jackie Chan ai suoi esordi cinematografici Questo grande senso del ritmo, prestanza e modernizzazione delle tecniche fu la chiave del suo successo cinenatografico. La mitica serie Tv "il Calabrone Verde", il protagonista doveva essere il giustiziere (Van Villiams), ma in pochissime puntate il suo maggiordomo/autista/artista marziale Kato (Bruce Lee, naturalmente ) gli rubò totalmente la scena. Pensate che nel suo primo film di Hong Kong (arrivato da noi tardi, con il nome "Il furore della Cina colpisce ancora") fino all'ultimo gli sceneggiatori erano indecisi su chi rendere protagonista. In origine doveva essere un altro e Bruce Lee doveva fare "l'amico che muore per scatenare la vendetta" , dopo aver visto il suo modo di muoversi e portare i colpi in sequenza "sincopata", decisero di invertire i ruoli e fare protagonista Bruce Lee. Attualizzando le scene di combattimento di Kung Fu grazie anche al suo spiccato senso del ritmo da ex-ballerino oltre che all'esperienza marziale, Bruce Lee ha rivoluzionato il modo di coreografare i combattimenti. Nei vecchi film era enfatizzato questo o quello stile di Kung fu e i combattimenti erano in pratica dimostrazioni di sequenze proprie di questo o quello stile. Nei film di Bruce lee non si parla di stili, è puro combattimento, sempre cinematografico, cioè sono coreografie, ma più entusiasmanti, perchè quasi ci credi. I calci "adottati" da Bruce Lee funzionano ancora oggi nelle MMA. Il suo film di maggior successo, "dalla Cina con Furore" è stato rifatto dopo la sua morte con altri protagonisti di grido, ad esempio Jet Li e poi , mi pare, Donnie Yen. Mi hanno deluso; intendiamoci, Jet li è bravissimo (è stato campione assoluto di Wushu, il kung fu per così dire "acrobatico"), ma non è la stessa cosa. Nella pratica marziale "vera" anche Bruce Lee era partito da uno stile di Kung fu classico, il Wing Chun, un metodo di combattimento molto pratico e diretto, di solito a corto raggio, originario della Cina meridionale, ma praticato in tutto il mondo. Un giovane Bruce Lee che si allena al classico "uomo di legno" del Wing Chun. Se volete farvi un'idea del Wing Chun, peraltro arte marziale molto "solida" di cui ho gran rispetto, è quello con cui Donnie Yen ci appesta da anni con performances da supereroe Marvel in un film dopo l'altro, i vari "Ip Man" 1,2, 3... Ip Man fu sì maestro di Bruce Lee ma non fece NIENTE o quasi di quello che si vede nei film con Donnie Yen. Il Wing Chun dunque diede un'impostazione di base a Bruce Lee, che lui integrò con tutto quello che riteneva efficace, sia orientale che occidentale, Aveva capito che il combattimento evolve nel tempo per cui si deve adeguare la pratica, che le cose complicate difficilmente (molto) funzionano nella realtà e che allenarsi con il il combattimento preordinato senza sparring serve a poco o nulla. Bruce Lee che prova con Dan Inosanto, una tecnica di incontro. Dan Inosanto (credo sia ancora vivo) è un grande maestro di Kali filippino (arte marziale molto pratica per cui estremamente valida!), e compare come avversario in uno dei film di Bruce Lee. Lui e Dan Inosanto studiarono inseme e Dan Inosanto fu accreditato istruttore di Jeet Kune do, lo stile fondato da Bruce Lee. In questa scena Bruce Lee usa due bastoni di media lunghezza, arma tipica del Kali filippino. Il suo Jeet Kune Do o Jun Fan, o quel che è, in fondo è un metodo di combattimento che piuttosto che insegnare tecniche insegna a diventare fluidi e reattivi, anzi proattivi. NOTE INTEGRATIVE Non parlo nel blog dei Wuxia, le opere cinematografiche a volte sfarzosissime, anche belle, vagamente simili ai nostri fantasy, dove l'irreale è parte integrante perciò necessaria. Il blog è sulla rivoluzione operata da Bruce Lee in campo cinematografico, non sull'efficacia nel combattimento sua o di chicchessia, nè si intende approfondire questo o quell'altro discorso su uno o l'altro stile di kung-fu e relativa reale o presunta efficacia, se no si finisce nelle sabbie mobili. In più il discorso è riferito solo alle arti marziali Cinesi antiche. SOLO PER I FANATICI. Del degrado delle arti marziali cinesi dal punto di vista combattivo si era già accorto qualcuno, molto prima di Bruce Lee , negli anni '20-30, un grande Maestro, Wang Xiangzhai, proprio per questo fondo' uno stile (che ho avuto l'onore di praticare seppur brevemente) fondato sul consolidamento della struttura, coltivare l'intenzione, niente forme preordinate e combattimento a contatto. il Da Cheng Quan. Piacque persino agli occupanti Giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale tanto che un ufficiale giapponese maestro di Karate, tale Kenichi Sawai lo imparò e tornato in patria elaborò una versione molto combattiva, il Taikiken. Tutto quanto scritto è un'opinione personale soggettiva, supportata da studi e in alcuni casi dalla pratica, ma se riscontrate errori, è possibile ed è solo colpa mia. correzioni ben accette. Aperto alle discussioni purchè ...serene. Foto da internet.
  3. Nel 1968, e non è un caso, in Giappone uscì il primo numero della rivista Provoke, creata da alcuni giovani fotografi. Provoke perchè si trattava di una rivista d'avanguardia, di fotografia sperimentale (per l'epoca). Tra i fondatori c'erano dei critici, degli scrittori, ed i fotografi Yutaka Takanashi e Takuma Nakahira. Yutaka Takanashi Yutaka Takanashi Takuma Nakahira, la Notte Ai quali si unirono Shomei Tomatsu, quello che con più forza (o più rabbia?), a mio parere trasmise la tensione della società giapponese di quel perodo e il dramma post atomico. Coinvolgenti e terribili le foto dal suo portfolio Chewing Gum and Chocolate: Ragazza giapponese che vuole essere "Afro" O dall'album Coca Cola: Questo Movimento fu strettamente legato al momento storico che il Giappone stava vivendo. Anche in quel Paese il 1968 fu un anno ricco di tensioni politiche e sociali: La rapidissima industrializzazione post bellica, l'urbanizzazione selvaggia, il ricordo del disastro atomico, la pressante occidentalizzazione imposta dapprima dagli USA e poi assorbita dall'establishment nipponico stesso, aveva portato uno sconvolgimento dei valori tradizionali e ad una forste sensazione di oppressione e privazione dei diritti. I primi ad agitarsi furono gli studenti che formarono organizzazioni di protesta, occupando i campus universitari e per chiedere una maggiore libertà intellettuale contro il conformismo generale (per inciso è di quest’anno -2022-, non dell’epoca feudale la notizia di un ricorso al tribunale di una studentessa dai capelli castani naturali che rifiutava di tingersi i capelli di nero come richiesto dalle regole della sua scuola), contro la guerra nel Viet-Nam (il Giappone era pieno di basi militari USA) e tanto altro. Nell'ottobre del '68 decine di migliaia di studenti occuparono i campus e vi furono violenti scontri con la polizia. Le cose poi andarono calmandosi ma il segno rimase. Fotografi e editori di Provoke si posero nella scia di questi movimenti, offrendo la loro visione sovversiva delle regole, con l’intento di sfidare l’estetica corrente attraverso il linguaggio fotografico. Il loro motto era “Are, Bure, Boke” (grana/durezza, mosso, sfuocato), ossia la rovescia dei canoni classici, quasi un’estetica delle foto “sbagliate”, opposto al culto del rigore tecnologico “all’occidentale” imposto dalla società Giapponese in ascesa economica. Altri elementi che si aggiunsero all’ Are, Bure, Boke furono Sakka (attrito) e Sakeme (lacerazione). Uno dei più noti membri di questa corrente, anche se si unì in un secondo momento, è Daido Moriyama, a cui ho dedicato un altro blog, il quale raccontava che a volte non inquadrava nemmeno, scattava e basta, a sensazione, il suo corpo era la fotocamera. Uscirono solo tre numeri di Provoke, tuttavia bastarono per dare alla rivista ed ai fotografi una risonanza internazionale, influenzando profondamente la street photography a livello internazionale. Per i fondatori di Provoke l’esperienza della realtà era frammentaria e così doveva essere la fotografia, non era necessariamente documentativa e nemmeno estetica pura, piuttosto era vista come un modo di cogliere frammenti di realtà che trasmettessero un messaggio emotivo, politico, un’impressione non esprimibile con le parole. Il loro modo di fotografare sfruttava la fotocamera come fosse un mezzo dotato quasi di vita propria che consentiva di fermare in modo quasi incoscio un momento in cui tra il soggetto e la realtà si incontravanor’ da qui il rfiuto di concentrarsi sui criteri classici di composizione e luce e più sul caso e l’impulso emotivo. Questo a volte portava a foto quasi illeggibili come in Hiroshi Yamazaki Hiroshi Yamazaki, il sole anela al mare. Le luci sono fari di autoveicoli. O nel caso di Kohei Yoshiyuki ad un voyeurismo estremo. Dalla serie "Al Parco" . Yoshiyuki fotografava le notti di un parco pubblico di Tokyo: incontri di amanti, prostitute, omosessuali, e guardoni. Quello che colpiva Yoshiyuki non erano tanto gli atti erotici delle coppie, quanto i gruppetti di guardoni nascosti dietro ai cespugli per spiare. Questi osservavano le coppia prima da lontano poi sempre più da vicino, spingendosi fino a toccarli nei casi più estremi. Gli amanti soggiacevano perchè era l'unico modo di incontrarsi in un Giappone all'epoca soffocato dalla repressione sessuale. Moriyama in un’intervista disse che la fotografia non poteva essere arte, ma dire che le fotografie erano documentazione non portava comunque da nessuna parte; piuttosto si potrebbe dire che le fotografie sono documenti che in qualche modo indefinito vanno oltre la pura documentazione. Chiaramente questa visione non poteva che essere soggettiva, la visione del singolo individuo e non un punto di vista collettivo delle proteste o della situazione politica generale. Altri famosi fotografi fecero parte di questa corrente per poi prendere strade più personali, come ad esempio Nobuyoshi Araki che si dedicò decisamente alla fotografia di nudo/erotica. Araki, my Wife, Tokyo. Provoke fu dunque una corrente fotografica di rottura che non solo lasciò il segno, ma che propose una via diversa, controversa ma stimolante, di vedere la fotografia. Non ne scrivo per semplice divulgazione, ma con sentimento. Sono profondamente attratto da questa fotografia rude, a volte arrabbiata, a volte proprio sporca, sopra le righe senz'altro, ma che descrive un vivere, un soffrire, un godere, a tinte forti ed intense. Se fossi capace di fare fotografia di street, la farei così. Foto prese da internet.
  4. Prendo spunto da una breve video intervista di Alex Majoli vista su facebook. Alla domanda circa le fonti dalle quali un fotografo avrebbe dovuto attingere per la sua formazione, lui risponde escludendo in modo espliciti i testi di fotografia, in particolare i volumi fotografici! E' un concetto che ho già visto o letto esposto da altri professionisti, seppure ognuno a modo suo. Ovviamente detto così colpisce l'attenzione ed è strano e, verrebbe di rispondere, anche poco sensato, eppure ha un senso. Il concetto di base, per come lo interpreto io, è che ognuno di noi mette nelle foto che scatta il proprio essere, la propria sensibilità, le proprie tendenze o manie. Chi è precisino, chi odia il buio e vuole immagini luminose, chi evita lo sguardo del modella/modello e chi invece lo cerca sempre... insomma noi stessi. Ed ecco che alimentare la nostra conoscenza leggendo libri di poesia o di narrativa, andando al cinema per vedere commedie o drammi, visitare musei per ammirare sculture e dipinti, ma anche ascoltare buona musica e cimentarsi in attività sportive per noi piacevoli contribuendo a costruire una coscienza ed allargare le nostre vedute e la nostra sensibilità, così da dare al nostro cervello concetti potrà assorbire ed elaborare per poi riversarli, spesso a livello inconscio, nelle nostre foto. Io ho avuto modo di sperimentare questo meccanismo durante il mio viaggio in Africa. Sono partito per un safari fotografico senza aver mai fotografato animali, davvero, nemmeno in uno zoo o bioparco che sia. E nemmeno avevo letto volumi sull'argomento; per mancanza di tempo sono partito quasi a digiuno di esempi o di tecniche. Avevo solo quello che ho visto in TV o sul web. Eppure mi sono reso conto che, scattando, inseguivo delle situazioni specifiche, soprassedevo dallo scattare in alcune situazioni perché la scena non era come la volevo. E mi sono accorto anche che, nella composizione, seguivo dei canoni precisi, come se il senso estetico che mi guida quando fotografo una modella in studio fosse lo stesso anche per un leone o per una giraffa ripresi libero nel loro ambiente. Io credo che questo sia un'aspetto importante nella vita di un fotografo, non tanto perché non possiamo seguire solo le orme di altri, ma proprio per capire che un'arte come la fotografia non si alimenta da sola ma pesca da tutto ciò che ci circonda. Tanto più oggi che tutti hanno uno strumento fotografico e che il numero di immagini prodotto è addirittura ridondante. My two cents.
  5. Fotografie di Silvio Renesto e Gianni Ragno Testo di Silvio Renesto Un fenomeno culturale. Fino a pochi decenni fa il Tai Chi Chuan (Taijiquan, secondo la translitterazione moderna) in Italia era quasi sconosciuto. Capitava di vederlo nei documentari sulla Cina, dove venivano mostrate numerose ed ordinate folle che nei parchi facevano qualcosa che sembrava una strana ginnastica lenta. Negli anni Settanta/Ottanta era già una moda negli USA: Fra personaggi dell'epoca che praticavano il Taijiquan c'erano il fisico-saggista Fritjof Capra, autore de "Il Tao della Fisica" (1975) e Benjamin Hoff, che ne scrive, un po' fantasiosamente, nel suo "Tao di Winnie Pooh" (1982, libro più che delizioso) Ne scrive anche la pediatra e psicanalista francese Francoise Dolto, confrontandolo con lo Yoga. Nello stesso periodo il Taijiquan ha fatto la sua timida comparsa in Italia, insieme ad altri stili di kung-fu, con l'arrivo dei primi maestri cinesi. Dalla fine degli anni '90, grazie a numerose dimostrazioni pubbliche delle varie scuole, anche da noi la pratica del Taijiquan all'aperto si è diffusa, ed oggi molte persone si allenano nei parchi cittadini, da sole o in gruppo, con indubbio effetto coreografico e i suoi seguaci non suscitano più (tanta) curiosità o sconcerto. Il Taijiquan è ormai così famoso che dal 1999 si celebra la "Giornata Mondiale del Taijiquan", di solito il secondo sabato di Aprile. Parco Sempione Nei parchi ,Praticato nel parco, all'ombra degli alberi, si aggiunge una sensazione liberatoria, quella di muoversi in armonia con l'ambiente che ci circonda. In gruppo, all'aperto è ancora meglio, si lavora con una maggiore sintonia e serenità di spirito. Come molte altre discipline fisiche, il Taijiquan sembra dare di più quando praticato nel verde. Parco Sempione Ed è così che di solito si immagina il Taijiquan. Una mia collega ha addirittura deciso di studiarlo dopo essere rimasta affascinata da alcune scene del film Calendar Girls in cui Helen Mirrell e le sue amiche lo praticano su un bel prato di collina. Il Taijiquan all'aperto è dunque diventato un fenomeno di costume. Giardini di Porta Venezia Inizio della pratica. Parco Trotter. Per questioni logistiche ho scelto di illustrare il Taijiquan all'aperto nei parchi di Milano, con la collaborazione delle scuole che lì lo praticano (che ringrazio sentitamente per la cortesia e disponibilità), ma è ormai così comune, che avrei potuto fare lo stesso reportage in quasi tutte le città italiane. Afferrare la coda del passero. Parco Sempione L'airone (o la Gru) apre le ali. Giardini di Porta Venezia Cos' è il Taijiquan e perchè ha successo. N.B. Quanto segue è frutto della mia trentennale esperienza pratica e di documentazione. E' un quadro forzatamente incompleto e in parte soggettivo, certamente può differire da quel che avete letto o sentito. Se qualche lettore non condivide, sarò felice di approfondire, ma in ambito più consono di un forum fotografico. Taijiquan (Tai Chi Chuan) vuol dire Pugno/Pugilato/Lotta (Quan/Chuan) della Suprema Polarità, o Supremo Principio (Tai Chi/Taiji, rappresentato dal simbolo taoista bianco e nero dello Yin/Yang). Sorvolando su miti e leggende inverificabili riguardo l'origine (ad es. vecchi monaci taoisti che sognano gru e serpenti in lotta...), Taijiquan è il nome che tra il 1700 ed il 1800 è stato dato ad un' arte marziale giudicata talmente elegante ed efficace da meritarsi questo titolo quanto mai impegnativo. Il suo fondatore, Yang Lu Chan, (detto Yang l'Invincibile), la chiamava invece Mienquan (boxe di cotone), oppure Huaquan, (boxe che neutralizza), oggi è lo Stile Yang di Taijiquan. Il nome Taijiquan venne poi esteso alle arti che Yang Lu Chan avrebbe studiato per elaborare il suo metodo (soprattutto lo Stile Chen, risalente al 1300-1400), che a stili derivati (Wu, Sun e tanti altri.), così che oggi si ha una numerosa "famiglia di stili" di Taijiquan, basati su concetti comuni, ma ognuno con le sue caratteristiche. Il più diffuso fuori dalla Cina è proprio lo lo stile Yang.Il Taijiquan comprende pratiche a corpo libero e con armi (spada, sciabola, bastone ecc.) da soli e in coppia. Aggiustarsi il vestito (mantello), postura tipica dello stile Chen. Parco Sempione Il ventaglio è un' arma (aveva in origine le stecche di acciaio appuntite) che è stata introdotta successivamente nel bagaglio tecnico del Taijiquan, ma è molto coreografico. Parco Trotter. La ragione del successo. E' un'arte marziale diversa dalle altre, è considerata interna, perchè fra l'altro, il movimento e l'espressione della forza partono dal "centro" propagandosi come un'onda (dai piedi al tronco, dalla spina dorsale alle braccia). Altre arti marziali cinesi e giapponesi hanno una notevole componente "interna", ma il Taijiquan si distingue per il modo lento di praticare le "forme". Le "forme" (Lu in Cinese, Kata in Giapponese), sono presenti in quasi tutte le arti marziali tradizionali, sono delle sequenze di movimenti, un compendio delle tecniche proprie dell'arte. Il praticante le ripete per perfezionarsi nell'esecuzione, acquisire ritmo, potenza, equilibrio, coordinazione e concentrazione (nel senso di "presenza mentale"). Le "forme" vengono di solito eseguite con velocità e potenza, come se si stesse combattendo contro un avversario. Nel Taijiquan invece si eseguono le forme molto lentamente, almeno all'inizio, per consolidare e connettere le parti del corpo, sentire gli spostamenti del peso, lo scorrere del movimento e così via. Le "tecniche" sono poco esplicite, a volte quasi incomprensibili per chi osserva (anche per qualcuno che le pratica). Anche i nomi piuttosto poetici,, come è lo stile cinese, giocano un certo ruolo (Il nome spiega in modo allegorico il concetto della postura). Il serpente scende dalla collina. Stile Yang Parco Trotter. Afferrare l'ago in fondo al mare. Parco Trotter La pratica lenta e silenziosa ha una indubbia eleganza coreografica specialmente in gruppo, e non esprime violenza. Apparentemente facile (ma a farlo bene è l'esatto contrario), è associata a concetti taoisti e di medicina tradizionale, per cui attrae le persone non interessate alle arti marziali. Come ginnastica fa bene? Se si impara da un valido istruttore e si pratica come si deve fa molto bene perchè, sviluppa la capacità di "mettere in connessione" tutto il corpo, elimina le tensioni eccessive che "bloccano"; insegna come distribuire il peso nei movimenti, migliora l'equilibrio e la scioltezza, soprattutto articolare, ottenendo una struttura fisica solida ma non rigida, che contrasta efficacemente gli effetti dell'avanzare dell'età. I movimenti formano delle spirali, così che l' intero corpo è coinvolto, direi "massaggiato", ad ogni movimento, con effetti molto positivi per tutto l'organismo. Stile Chen. Parco Sempione La lentezza e la corretta esecuzione hanno effetto tonico sulla circolazione e sulla muscolatura profonda, soprattutto del tronco. Con il Taijquan si allena anche la mente perchè i movimenti sono complessi e ci vuole attenzione in quel che si sta facendo. In questo senso è "meditazione in movimento" perchè si impara a sentire il proprio corpo, ad averne consapevolezza in ogni momento. Questo attiva il cervello e il sistema nervoso in generale, con effetto rigenerante. Così praticato, il Taijiquan è molto valido e diverso da una ginnastica stereotipata. Una volta diventati esperti, sentire il movimento che attraversa il corpo, è molto appagante. In tutti questi aspetti somiglia ad alcuni tipi di danza (e ad altre arti marziali tradizionali). Frusta semplice (o singola, tradurre dal cinese ha sempre un margine di incertezza). Giardini di Porta Venezia. Non sembra (più) un'arte marziale. Oggi la stragrande maggioranza di chi pratica Taijiquan, soprattutto nello stile Yang, lo fa per la salute e per rilassarsi. Ma non è sempre stato così.Il capostipite del clan dei Chen era un militare e i suoi discendenti erano famosi per la loro abilità nel combattere, soprattutto con la lancia. Yang Lu Chan e i suoi figli addestravano la guarnigione imperiale. Yang Bahn Hou, Uno dei figli di Yang Lu Chan, aveva fama di combattente spietato, temuto dai suoi stessi studenti. Allora il Taijiquan era veramente un'arte marziale.L'allenamento era ben diverso da oggi: Intenso, quotidiano, per molte ore al giorno, comprendeva posizioni statiche per rafforzare il corpo, forme lente per connetterlo, forme veloci per esprimere la forza in modo esplosivo e penetrante. Ci si addestrava al combattimento contro avversari a mani nude e con armi, a piena forza e velocità. L'evoluzione "salutistica" iniziò a partire dagli anni '30 in Cina, quando un discendente della famiglia Yang iniziò ad ammorbidire la pratica, almeno in pubblico, enfatizzando l'aspetto benefico per la salute, a scapito di quello marziale. I movimenti fisicamente più impegnativi vennero eliminati dalla forma lenta e le forme veloci furono man mano trascurate e per lo più andarono perse. La pratica a due venne ridottaad alcuni esercizi di base. Si recuperarono trattati che collegavano la pratica con il Taoismo e la Medicina Tradizionale Cinese. Questa "svolta terapeutica" ebbe grande successo; la popolarità dello stile Yang aumentò enormemente e col tempo altri stili di Taijiquan si adeguarono, con qualche eccezione (come lo stile Chen), che mantenne, una componente più marziale. Nello stile Chen sono presenti molti movimenti "esplosivi" tipici del Taijiquan marziale. Parco Sempione L'evoluzione "morbida" venne accentuata in Occidente da correnti di pensiero "alternative" che adottarono il Taijiquan come pratica meditativa "Yoga in movimento"oppure arte marziale non violenta (un ossimoro...), arricchita di significati che i fondatori non si sarebbero immaginati (Yang "l'Invincibile" non sapeva nemmeno scrivere...). Ad oggi, gran parte dei praticanti di ogni livello, soprattutto nello stile Yang, non ha mai provato a confrontarsi con un avversario "deciso". Il Taijiquan si può praticare lentamente per la salute. Parco Trotter Parco Sempione. Ma c'è chi continua a studiare anche la parte marziale Negli ultimi anni però si è visto aumentare l'interesse per un Taijiquan un po' più concreto in alcune scuole Yang; mentre lo stile Chen (che fa ampio uso della forza "esplosiva") sta riscuotendo maggior successo. E' importante, non perchè si debba studiare il Taijiquan per combattere, ma perchè gli aspetti marziale e terapeutico sono strettamente legati: se non si conosce il significato dei movimenti è difficile ottenere i desiderati benefici per la salute. Solo sapendo che in quel movimento si sta deviando, tirando, spingendo o colpendo, l'intenzione guida il corpo a muoversi in modo corretto, regola lo spostamento del peso, la tensione muscolare, l'equilibrio, e aiuta a mantenere la struttura. Se non c'è la consapevolezza del gesto, questo rimane un movimento astratto e ci si ritrova allora con una strana ginnastica che non rafforza granchè nè corpo nè mente. La pratica delle armi del Taijiquan oggi ha sicuramente poco senso dal punto di vista combattivo (a meno che non si decida di andare in giro con una sciabola), ma rimane ugualmente utile, perchè aumenta le capacità di coordinazione e rende più impegnativo mantenere equilibrio e connessione.Chi invece fosse attratto proprio dall'aspetto marziale tradizionale del Taijiquan, trovando le scuole in cui questo viene insegnato, avrà molto da scoprire. Una diversa intepretazione di "sistemare il vestito". Giardini di Porta Venezia Nota bibliografica. Se volete informarvi sulla storia del Taijiquan, per lo stile Yang consiglio caldamente due libri:Douglas Wile (curatore) Yang Family Secret Transmissions. Sweet Chi PresseYang Jwing-Ming Tai Chi Secrets of the Yang Style. YMAA Publication Center.Sono due traduzioni degli insegnamenti (orali) trascritti dai discepoli diretti delle prime generazioni degli Yang, commentate in modo approfondito. Gli autori sono due esperti, (un sinologo docente universitario Douglas Wile, un noto maestro di Arti Marziali Yang Jwing-ing). Partendo da background diversi concordano sostanzialmente nelle interpretazioni.Chi volesse invece sapere di più su tutto il Taijiquan, la via più breve è il monumentale sito di Peter Lim Tian Tekhttp://www.itcca.it/peterlim/Abbastanza accurato, molto completo, sufficientemente documentato e di gran (e ripeto gran) lunga meglio di tanti libracci infarciti di panzane.Lasciate stare invece i manuali e le derive troppo filosofeggianti. Come avrete forse notato nel leggere l'articolo, ho omesso volontariamente i nomi delle scuole da me fotografate, delle scuole in cui ho studiato e non ho dato consigli su dove e da chi andare. Questo per non fare pubblicità a qualcuno a scapito di qualcun altro. Pregherei quindi anche chi commenta, qualora fosse praticante, di evitare di citare scuole, nel bene o nel male. Commentate le mie foto, discutete del lato sociale, culturale, storico o tecnico ma asteniamoci tutti da (auto)promozioni. Note fotografiche: per fotografare una forma di una qualsiasi arte marziale in cui i soggetti non si fermino in posa apposta per il fotografo, è meglio sapere qualcosa di quella disciplina, per individuare i momenti significativi. Questo vale ancora di più per il Taijiquan dove i singoli movimenti, pur essendo lenti, fluiscono uno nell'altro senza soluzione di continuità (se i praticanti sono bravi) per cui non si hanno degli stop fra un movimento e l'altro. Il rischio è di cogliere i movimenti in anticipo o in ritardo mancando l'espressione finale del gesto. L'altra difficoltà è che i praticanti nei parchi mostrano di vari livelli di esperienza all'interno di uno stesso gruppo; a volte l'esecuzione dei movimenti è sincrona, con effetto piacevole, altre volte invece c'è chi è in anticipo e chi in ritardo o ha posture strette o larghe; e il risultato "fermato" dall'immagine è disarmonico. Spesso di questo ci si accorge solo quando si selezionano le immagini, al momento della ripresa è difficile avere una vista d'insieme.
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