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  1. Non amo Milano, non la reggo, con il suo casino di automobili, di tram, di metropolitane, di gente che non si guarda in faccia mentre cammina. Seriamente: la detesto. Nonostante ci abbia studiato per troppi anni la mia idiosincrasia per la metropoli dell'Italia produttiva non si è mai attenuata. Però ci torno sempre quando serve e la sera del 16 di marzo 2018 era il caso. E' stato bello condividere questo momento con tre amici di Nikonland oltre che con mia moglie Laura che ha voluto raggiungermi alla Triennale, appena in tempo per l'inizio della conferenza. Scalone centrale della Triennale, la casa del design milanese. Va che bel il faccione di Barbapapà. In attesa di entrare nella sala conferenze. Non spingete signori, di posto ce n'è. Il salone si riempie, a sinistra in pp con camicia a quadretti e occhiali rossi d'ordinanza inforcati in testa: il professor Piazza (Lello). Simona e Massimo "arrotano i coltelli" Siamo qui dopo una lunga giornata di lavoro, dopo aver percorso km ed aver attraversato la città come pellegrini, siamo qui per sentir parlare LIVE l'unico fotografo italiano che è approdato stabilmente a National Geographic America (*); un'occasione da non perdere, almeno per me che seguo Stefano Unterthiner dai suoi esordi dalle pagine di Oasis Musumeci Editore dei primi anni '90, passando dall'Airone dei Lello Piazza e Cesare Della Pietà fino a quel numero di NG Magazine del settembre 2009 dove a pagina 62 lessi "photographs by Stefano Unterthiner". Cribbio: c'era riuscito! (*) fino al 2009 l'unico fotografo italiano che pubblicava con una certa regolarità sull'edizione internazionale di NG Magazine, era Enrico Ferorelli un avvocato di Napoli appassionato di archeologia precolombiana a cui dobbiamo la documentazione dettagliata delle pitture Inca scoperte alla fine degli anni '80 - primi anni '90. A sinistra Lello Piazza, a destra Cesare Della Pietà. Uè bella gente, io lo comperavo il vostro Airone! Mi manca un KASINOOOOOOOO!! Eccolo qui Stefano Unterthiner, a suo agio davanti ad un pubblico amico. In breve chi è Stefano Unterthiner. Valdostano, classe 1970, il suo cognome crucco tradisce qualche discendenza Walser, il popolo del Monte Rosa, e come tale è abituato a scarpinare su per i boschi del Gran Paradiso; da ragazzo impugna una fotocamera e scoppia la scintilla. Giovanissimo poco più che ventenne pubblica le sue foto sulla rivista Oasis. Il suo nome compare spesso accanto a quello di Luciano Ramires storico guardaparco del GranPa nonchè abile fotografo documentarista. La passione per la natura lo spinge a scegliere l'indirizzo di studio, si laurea in Scienze Naturali a Torino quindi parte per il dottorato all'università di Aberdeen in Scozia. La fotocamera F5 ed il 500mm AF-s non li molla mai, le collaborazioni negli anni sono cresciute, arriva all'Airone dove conquista l'attenzione di Lello Piazza (art director come non ne verranno più) e Cesare Della Pietà caporedattore della rivista. I lavori crescono di qualità ed impegno ed inizia a viaggiare per il mondo. A memoria è circa del 2002-2003 un suo servizio sulle scimmie rosse delle foreste costiere di Zanzibar ed un bel reportage sul rinoceronte asiatico. Nel 2004 la consacrazione al concorso WPOY della BBC, vince con uno scatto della volpe (Fred?) davanti allo specchio d'acqua del Leviona in alta Valsavarenche. Stefano a quel tempo ha già pubblicato un libro "Camosci" poi ne verranno altri; l'ultimo è "il sentiero Perduto" sul suo GranPa. Nel 2008-2009 inizia la sua collaborazione (ora stabile) con National Geographic. Con frequenza da "parto di pachiderma" (ma sono questi i tempi di NGM) la rivista più letta la mondo ospita le immagini di Stefano. Accumulo bibliografico Cos'è stato l'incontro di venerdì 16 marzo 2018 a Milano? Più che una "lezione" di fotografia, come nell'intento della AFIP, è stato un incontro tra due amici, Emanuele Biggi (fotografo noto per le sue produzioni micro-macro) e l'ospite Stefano Unterthiner che hanno discorso di fotografia naturalistica, di viaggi, avventure e difesa della natura. Dai racconti di Stefano, e dalle domande che Emanuele gli ha posto, abbiamo avuto testimonianza del senso che ha, che dovrebbe avere, la fotografia, non solo quella della natura. Stefano si è soffermato più e più volte sul concetto di racconto fotogiornalistico dichiarando, ove ce ne fosse bisogno, che la sua Fotografia è nel racconto, nella storia, nel contenuto. Di tutto il duetto di botta e risposta questo è stato il vero passaggio da "lectio magistralis", un passo che probabilmente un organizzatore come Giovanni Gastel, patron di queste iniziative, non si aspettava. Vale la pena entrare più nel dettaglio perchè Stefano ha insistito molto su questo concetto, peraltro a me assai caro. Chi conosce solo le immagini "famose" di Unterthiner potrebbe farsi l'idea di un artista della fotocamera il cui intento è descrivere la bellezza della natura ritagliandola e ridisegnandola attraverso il potente strumento della fotografia. Non è così. Le sue immagini sono il risultato di un percorso di analisi quasi da segugio su un tema specifico, la Storia, appunto, che il fotografo, da bravo giornalista (cioè raconteur) segue come si segue un filo d'Arianna. Nel racconto "giornalistico" sta il carico da 90 del lavoro di Stefano, come nella migliore tradizione della fotografia Geografica, quella in grado di scuotere gli animi e creare miti che spingono altri a percorrere sentieri avventurosi. Un carico che altri grandi autori hanno deciso di non affrontare (Art Wolf per esempio) lasciando alla fotocamera il solo compito di ricercare la meraviglia senza caricarsi dell'onere di un contenuto, anche solo di semplice informativa. Stefano, come diceva di sè il compianto Amedeo Vergani, è un fotogiornalista (scientifico nella fattispecie). Non mi stupisce il pudore di Stefano sulla parola Arte che, ci ha confessato, non la ricerca preferendole il termine più amichevole di Artigianato. Le immagini ammalianti, spettacolari, sono il prodotto di risulta di un autore attento, dall'occhio fresco e curioso, ma ad essere al centro dell'azione del fotografo Unterthiner è la storia narrata dall'insieme delle immagini tra loro coerenti, legate a doppio nodo da connessioni di contenuto. Ed ovviamente non si poteva sorvolare sulla problematica della nuova fotografia della natura che sta diventando, grazie all'uso "social", una specie di palestra senza nessun altra finalità se non la raccolta di un vagone di Like. Doveroso un rimando a pratiche eticamente esecrabili messe in opera da fotografi spregiudicati pur di ottenere la foto cercata. In questo la contraddizione appariva evidente giacché per un professionista le Foto sono ragion d'esistenza, Stefano però ha più volte osservato come esista un limite il cui superamento fa venir meno la funzione e lo scopo stesso della fotografia naturalistica. Intrigante il riferimento agli animali come ad "individui". In effetti chi ha pratica nell'osservazione della natura non può non aver rilevato, nei comportamenti degli animali, atteggiamenti individuali peculiari; le reazioni dei selvatici vanno spesso ben oltre ai fondamentali, in esse non è difficile riconoscere curiosità, talvolta divertimento. Senza entrare nello studio etologico, Unterthiner ci ha confessato come gli sia capitato spesso di cogliere questa specificità; forse questo sentirsi "relatives" è la chiave di volta della fotografia naturalistica di Stefano. Chi scrive queste note nel lontano 1994, causa sonno arretrato, si addormentò aggrappato al teleobiettivo nel mezzo di un gruppo di stambecchi intenti, a loro volta, a recuperare il sonno perduto. Sarà stata la vicinanza con i caproni o semplicemente fare tutti la stessa cosa, ma mi ricordo distintamente di essermi sentito come "accettato" dal nucleo di ungulati. Di quei momenti ho due plasticoni di diapo, un ricordo 24x36 in telaietti 5x5 che ha un valore molto particolare, per me che l'ho vissuto. E del valore della testimonianza della fotografia, del ricordo che in essa si trattiene, Unterthiner ha richiamato l'attenzione di tutti perchè, parole sue, alla fin fine dietro a queste belle forme, a queste composizione colorate c'era lui, il fotografo primo testimone della magnificenza del nostro pianeta. Stefano ed Emanuele, sullo schermo un momento dall'ultimo viaggio in Australia. Il bimbo in veranda è il giovane Unterthiner. Quello fuori NON è un coniglio. A domanda secca di Biggi:" ma il tuo lavoro ha avuto qualche risultato in termini di difesa ambientale?" Unterthiner non si è nascosto dietro un dito. I successi sono molto difficili da perseguire, le problematiche raccontate con la fotocamera spesso sono così grandi che difficilmente l'operato di un uomo, anche se gode di grande visibilità, può avere un impatto significativo. Nel suo piccolo Stefano però una soddisfazione se l'è conquistata. Nel Nord dell'India non ci sono più orsi giocolieri per le strade, le sue foto di quella pratica abominevole che prevede l'espianto dei canini e la perforazione del palato del cucciolo d'orso per "prepararlo" alla corda di comando, hanno ottenuto l'effetto sperato. L'opinione pubblica si è mossa e gli organi di governo sono intervenuti in modo intelligente (non sanzionatorio). In altre situazioni spesso, troppo spesso, il lavoro del fotografo è quello del testimone di eventi ineluttabili. E non è poco, grazie al lavoro di fotografi come Unterthiner nessuno potrà dire "non sapevo". Una bella serata questa alla Triennale e parole su cui riflettere quelle di Unterthiner, parole che ho cercato di riportarvi nella brutalità di una sintesi che non mi appartiene. Mi piacerebbe che chi si diletta in fotografia della natura avesse nelle sue corde questi stessi sentimenti, tenesse in conto che inquadrare un topo piuttosto che un canguro non è solo catturare forme e colori originali o esotiche, ma è un atto di esplorazione del nostro mondo, è un'azione utile a conoscere e a rispettare NANEDDOTO PERSONALE Dunque, nel marzo 2015 mia moglie Laura, io, l'amico Davide e la sua famiglia siamo passati per il forte di Bard a vedere il nuovo WPOY. Una capatina nella bella galleria Unterthiner, proprio ai piedi della rocca, ci stava bene. In quell'occasione conoscemmo Stefano di persona. Le domande mi uscirono a mitraglia e, non so come, si arrivò a quel magnifico scatto subacqueo dei pinguini reali nelle acque gelide delle Croizet. <<Stefano, cosa hai usato per questa foto >> << Ah sì, la D200 con il suo grandangolo (12-24) dentro alla custodia EWA Marine... la busta di plastica, non so se hai presente>> Sì , ho presente bene. Il gelo nel profondo dell'anima. Mia moglie non mi diede il tempo: << Valerio, è arrivato su NGM con il SACCHETTO DE PLASTICA ... fatti delle domande >> Quella foto era pubblicata doppia sul numero di settembre 2009. In questa sera umidiccia di Marzo 2018 ho infilato nello zainetto quella copia di NGM, mi son presentato da Stefano e gli ho chiesto: <<cortesemente Stefano, fammi l'autografo qui accanto. Accanto alla foto ripresa con il SACCHETTO DE PLASTICA!>> << come fai a saperlo ??? >> << Me lo hai detto tu tre anni fa al forte di Bard, tu non ti ricorderai, ma a me certe cose segnano...>
  2. venerdì 16 marzo ore 19:00 Triennale di Milano (viale Alemagna 6), Salone d’Onore STEFANO UNTERTHINER Conversazione con EMANUELE BIGGI Se si riesce,se si trova il tempo varrebbe la pena fare una scappata. L'ingresso è aggratis. Sono quelle conferenze che poi uno se le ricorda tutta la vita, o quantomeno ti fanno sentire una merdasecca ma magari anche no. NOTA L'organizzazione non garantisce l'intervento dei pinguini
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