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  1. Il 26 ottobre u.s. mi sono recato al Salone dell’Auto e Moto d’Epoca a Bologna, in quanto appassionato dei tempi in cui le automobili avevano un’anima ed erano riconoscibili dal rombo dei motori, erano diverse esteticamente ed ogni costruttore aveva il suo stile inconfondibile. Ecco, non erano anonime e brutte come quelle odierne, anche se molto comode. Durante la visita al salone, circa 12 Km. di camminata fra i vari immensi stand, sono riuscito a riempire una scheda da 64gb con la Z 7 ed il 24/120, scattando in modalità silenziosa e Iso auto. La modalità silenziosa aiuta con i rari visitatori sensibili verso chi fotografa ed attendono lo scatto prima di avvicinarsi. Non sentendo rumore restano in attesa, permettendo al sottoscritto di fare varie foto con calma. Tuttavia, nonostante fosse il giorno di preapertura, con il costo del biglietto doppio rispetto agli altri giorni, il salone era, comunque, frequentato da una nutrita presenza di visitatori. Mentre riguardavo le foto notavo che, fino agli anni ’70/80 l’auto italiana non era seconda a nessun competitore europeo, per bellezza e per prestazioni. Infatti, eravamo validi competitori sul mercato e nello sport, dove spesso alle minori potenze rispondevamo con una maggiore fantasia. Purtroppo, nel 1980, quando Agnelli decise di affidare a Romiti (finanziere) la presidenza della Fiat, è iniziata la decadenza dell’industria automobilistica italiana. La Lancia che fino all’ora produceva la Thema fini in pochi anni a produrre solo la “Y”, la Fiat dalla Croma e la Uno, riuscì a partorire auto come la Palio e la Duna. L’’Alfa Romeo, che avrebbe dovuto essere un fiore all’occhiello, passò da un disastro all’altro, snaturata nei motori e nella tradizionale trazione posteriore (ripresa solo dopo la scelta di Marchionne al vertice delle Fiat). In pratica l’Alfa fu “Fiattizzata” come del resto anche la Lancia. Oggi, dopo il breve sussulto d’orgoglio infuso dal compianto Marchionne, gli Eredi della famiglia Agnelli hanno decretato la fine dell’auto italiana. Questa prefazione uesto mi è servita per introdurre una serie di foto, solo documentative, delle auto italiane presenti al Salone, a dimostrazione di quanto eravamo bravi nel settore e che hanno lasciato un segno nelle varie epoche di appartenenza. Inoltre, mi ha permesso di esternare la mia profonda delusione su quello che è accaduto ad uno dei settori trainanti della nostra economia. Dal 1900 al 1940 Fiat 18/24HP del 1908 Fiat Tipo 6 del 1910 Fiat 520 6C del 1928 Anche questa è una Fiat, la 1500 6C Turolla del 1938 come sopra Monaco Trossi con motore stellare di 16 cilindri a due tempi del 1935 Lancia Aprilia Boneschi del 1937 come sopra Alfa Romeo 6C 1750 SS del 1929 come sopra O.M. 665 S Superba del 1929 Auto Avio Costruzioni 815 (8 cilindri 1500 di cilindrata) del 1940 – La prima auto costruita interamente da Enzo Ferrari. Dal 1940 al 1960 Ferrari 166 MM (Mille Miglia) del 1950 come sopra Fiat 1100 S “Gobbone” del 1948 Anche questa è una signora Fiat, la 8V coupé del 1954 Lancia Aurelia B50 Vignale disegnata da Michelotto del 1951 Lancia D23 Spider Pininfarina 6C. del 1953 Lancia Aurelia B20 del 1953 come sopra Lancia D24 Spider Pininfarina 6C. del 1953 Lancia Appia C83 camioncino del 1957, eravamo bravi anche a fare i pick up Alfa Romeo 6C 2500 Sport – Cabriolet “Touringa” Superleggera del 1943 come sopra Alfa Romeo Corto Gara del 1952 coupé Touring superleggera Alfa Romeo 1900C SS coupé Zagato del 1954 Alfa Romeo Giulietta Sprint Veloce Coupé 1300cc del 1955 Alfa Romeo Giulietta Spider del 1958 come sopra, con a vista il bellissimo bialbero Alfa sopra e sotto - Alfa Romeo Giulietta Sprint Speciale (Carrozzeria Bertone ma disegnata da Franco Scaglione) del 1959 come sopra Alfa Romeo 2600 Sprint Carrozzeria Bertone disegnata da Giugiaro del 1960 Maserati A6 GCS barchetta del 1953 come sopra come sopra Maserati 420M/58 Eldorado Special del 1958 Maserati Birdcage Tipo 61 del 1959 come sopra sopra e sotto - Cisitalia 202 Pininfarina del 1947, una vettura è esposta al MOMA di New York Cisitalia 202 Mille Miglia Pininfarina del 1952 come sopra Dal 1961 al 1975 Ferrari 250 GT spider California passo corto del 1961 Ferrari 250 GTE Coupé 2+2 del 1962 come sopra sopra e sotto - Ferrari 265 GTB muso lungo del 1965 Come sopra Ferrari Dino 206 GT del 1968 Alfa Romeo Giulia TZ del 1964 come sopra sopra e sotto - Alfa Romeo Giulia Sprint GTA del 1965, sullo sfondo Carlo Chiti il creatore dell'Autodelta Alfa Romeo Giulia Super 1600 del 1965 Alfa Romeo Giulia GT Junior del 1967 Alfa Romeo GTV 2000 del 1972 Alfa Romeo GTV 2000 tributo GT AM del 1972 Alfa Romeo 33TT12 del 1975 sopra e sotto - Lo stupendo, anche esteticamente, motore bialbero in alluminio con i due carburatori doppio corpo Weber dell’Alfa Romeo. Bello anche come soprammobile. come sopra come sopra Lancia Flaminia Coupé GTL del 1961 sopra e sotto - Lancia Flavia Zagato del 1965 Lancia Flavia Coupé 1800 del 1966 sopra - Lancia Fulvia M&F special del 1969 -creata Da Claudio Maglioli e Cesare Florio per competere in gare come l’allora Targa Florio e la 1000 Km del vecchio Nurburgring Lancia Fulvia HF 1600 del 1970 Lancia Stratos del 1973 Osca 1600P sperimentale del 1963 Fiat Dino Spider 2.0 del 1969 Fiat Dino 2400 Coupé del 1970 Fiat 124 Spider Abarth del 1975 Maserati 3500 GT del 1963 sopra e sotto - Maserati Quattroporte del 1965 Maserati 3500 GTI Sebring del 1965 sopra e sotto - Lamborghini Miura P400S del 1968 In questa sede ho omesso di parlare di costruttori del calibro di De Tomaso, Iso Rivolta e Bizzarrini, in quanto vetture prodotte in Italia, ma spinte da propulsori 8V Chevy made in America. Auto comunque bellissime come le De Tomaso Mangusta e Pantera, la Iso Grifo, nonché la Bizzarrini GT 5300 Strada. Merita una menzione il Livornese Giotto Bizzarrini, al quale si deve anche la collaborazione su diverse auto ad iniziare dall’Alfa Romeo Giulietta, dalle Ferrari 250 Testa Rossa, 250 SVB, 250 California, fino alla 250 GTO. Per Lamborghini lavorò alla 350 GTV motore compreso, oltre a collaborare con Giugiaro per definire la citata Iso Grifo. Inoltre, con Carlo Chiti, entrambi fuoriuscita dalla Ferrari in modo burrascoso, fondarono l’ATS con i capitali del Conte Giovanni Volpi di Camerata, già titolare della Scuderia Serenissima. Oggi a dare lustro alle quattroruote “made in Italy” restano solo i marchi presenti nel Modenese, la famosa terra dei motori, che racchiude in un triangolo Ferrari, Lamborghini e Pagani, che producono supercar in numeri limitati. Non cito la Maserati perché adesso è in vendita pure il nuovo stabilimento voluto da Marchionne e quindi non voglio neanche immaginare che futuro avrà questo nobile marchio. Ps. Un grazie a chi ha avuto la costanza di arrivare fin qui. Mi preme, inoltre, precisare che al Salone sono rappresentati anche i più illustri marchi stranieri, che hanno esposto auto bellissime, restaurate o conservate in maniera maniacale.
  2. Essere appassionato di arti marziali tradizionali per me significa non solo praticarle, ma anche approfondire la parte culturale e storica. Quando si parla di arti marziali (tradizionali, no MMA ed altri sport da combattimento) si pensa all’Oriente, alla Cina con i suoi mille stili di Kung-fu, al Giappone con il Karate, il Jujutsu l’Aikido ecc.), all’Indonesia e così via. Particolare di affresco che rappresenta monaci combattenti, parete del Monastero di Shaolin Donna cinese praticante di Kung Fu, anni trenta circa. Ma… sarebbe ben strano che l’Europa non avesse avuto arti marziali tradizionali, con tutte le guerre le sommosse, i duelli, le congiure… Infatti le ha, o meglio le aveva. La differenza con l'Oriente penso che sia perchè da noi in Europa l’avvento precoce delle armi da fuoco ed altre questioni socio politiche le hanno fatte dimenticare in gran parte o sono state trasformate radicalmente in discipline sportive come la scherma, la lotta e il pugilato, così sembrerebbe sia rimasta solo qualche rievocazione storica dall’accuratezza a volte buona, a volte discutibile. Invece no, da molti anni in Europa c’è un rinnovato e profondo interesse nel recupero di queste tradizioni marziali e ci sono molte associazioni, anche da noi in Italia, che si dedicano alla pratica della “scherma storica” e ricercano attivamente documenti e testimonianze di queste antiche discipline. Dal sito della HEMA (Historical European Martial Arts) che ha numerose scuole in Italia. Anni fa incontravo sul treno che mi porta a casa dal lavoro un maestro di “scherma” medievale con cui ho fatto lunghe chiacchierate ed ho conosciuto in varie occasioni altri appassionati praticanti (un paio sono stati miei studenti all’Università) che mi hanno incuriosito, così mi sono interessato, ma solo a livello di storia e cultura. La difficoltà principale nello studio della scherma storica, mi si raccontava, sta nel fatto che essendosi interrotta o quasi la tradizione, rimangono quasi solo dei documenti, che sono molto rari. Da un antico codice medievale Uno dei più interessanti e completi è il Flos Duellatorum “Il florilegio dei duellatori” un manuale tecnico scritto all’inizio del 1400 da Fiore de’ Liberi da Premariacco, un maestro d’armi friulano (Premariacco è vicino a Cividale del Friuli) di grande fama, il primo maestro di scherma italiana di cui sia rimasta traccia scritta (si sa di altri grandi maestri italiani prima di lui, ma di loro non si hanno documenti). Fiore insegnò presso diverse Signorie, e numerosi suoi allievi si distinsero come validi combattenti. Per desiderio del marchese d’Este Fiore stese un trattato, il Flos Duellatorum appunto, dove riassumeva le sue conoscenze sul combattimento corpo a corpo con e senza armi. Il suo trattato ebbe un enorme successo ai tempi e esercitò una grandissima influenza sullo sviluppo della scherma italiana. Purtroppo con i secoli andò quasi perduto, oggi ne esistono solo tre copie (due originali ed una copia se non erro anastatica), non complete. La dedizione e la buona volontà di alcuni appassionati membri di associazioni di scherma storica hanno però reso disponibili delle copie anche in pdf, che sono a disposizione di tutti. Inutile dire che me ne sono scaricata una , corredata da un interessante introduzione ad opera del curatore che ha anche inserito chiare spiegazioni. E’ una specie di manuale, un quaderno tecnico potremmo dire in cui Fiore de’ Liberi illustra con disegni e didascalie vagamente poetiche (in uno strano mix di latino e volgare/veneto) i suoi metodi di combattimento. Le figure sono statiche, ossia “congelano” uno, raramente due momenti dell’applicazione di ogni tecnica, in cui chi applica (il “magister”) ha una coroncina in testa, chi subisce no. Questa staticità rende spesso difficile l’interpretazione, ma non del tutto impossibile. Le tecniche poi sono “avanzate”, ossia il manuale non è rivolto a principianti a cui si devono insegnare le basi, ma è una sintesi di tecniche di alto livello, rivolte ad uomini che hanno già un buon bagaglio di pratica e di esperienza e vogliono perfezionarsi, perché allora non era un gioco né uno sport. Va da sè quindi che pensare di imparare dal Flos duellatorum, senza un background di scherma e lotta è ridicolo, come fa notare il curatore. Quello che si può fare, da parte di gente già preparata, sperimentare delle possibili applicazioni e vedere se funzionano. (c) Christian Heusch, applicazione di una tecnica di scherma storica di scuola tedesca. Questo è un altro mandarte in terra e ligadura E contra tal presa non è la persona ben segura Che impressione mi ha fatto? Come chiunque l’abbia letto o studiato, sono ammirato. Si capisce che si è di fronte ad un maestro che ha una conoscenza completa, eclettica. Il termine Scherma come lo intendiamo oggi è riduttivo, perché c’è dentro di tutto. Il combattimento a mani nude che è all’inizio, è basato suprattutto su leve, strangolamenti, proiezioni e meno su percosse (un’eredità delle discipline di lotta), poi si passa a mani nude contro daga, daga contro spada, spada contro spada (quanti modi inaspettati ci sono di usare una spada!), tecniche di disarmo, uso del bastone, combattimento a cavallo o a piedi contro un cavaliere e così via. Votato all’efficacia estrema, ci sono tantissime tecniche “sporche”: è un manuale “militare”, non si tratta di combattimento d’onore “cortese”. Cum lo mio bracio stanco lo drito t'ò ligado Et de molte feride sarai apresentado Lo vecio che in terra tu sei subito per andar De questo tente certo, mo non de levar. Curiosamente ma non troppo, perchè tutti gli uomini hanno due braccia e due gambe, ci ho ritrovato molte tecniche a mani nude presenti nelle arti orientali, soprattutto jujutsu. Addirittura, grazie a Fiore de’ Liberi ho capito il senso di alcune figure delle forme di spada del Tai Chi Chuan il cui significato è spiegato in modo fumoso dal 99% dei maestri di Tai Chi. Fantastico. La pratica di queste arti marziali occidentali per me ha una ragion d’essere non solo come disciplina del corpo ma anche come conservazione di un patrimonio storico culturale, al pari delle opere d’arte. La non grande diffusione da noi, oltre che alla scarsa conoscenza della loro esistenza (ma questo sta rapidamente cambiando) penso sia dovuta al fatto che per praticarle occorrono attrezzature costose (servono armi adeguate e protezioni adeguate) ed il loro studio richiede profonda dedizione, Sempre da un sito HEMA. L'attrezzatura per gli allenamenti è ricca e costosa e per chi vuole praticare in armatura ancora di più! Inoltre la “chimera” della difesa personale si applica di meno (anche se a ben vedere le tecniche a mani nude illustrate da Fiore non hanno nulla da invidiare a quel che si fa oggi, anzi…).
  3. Il Cane è stato quasi certamente il primo animale addomesticato dall'Uomo, lo dice la Paleontologia e lo conferma la Genetica. 20.000 anni fa, durante l'ultimo massimo glaciale, l'Uomo, ancora solo cacciatore/raccoglitore, aveva a che fare con il Lupo, a volte avversario temibile ma al tempo stesso onorato. In più parti del mondo indipendentemente, in quei tempi antichissimi, l'uomo ha addomesticato una specie di Lupo oggi estinta (lo dice la Genetica), specie da cui discendono sia il Cane domestico che il Lupo Grigio attuale (Cane e Lupo "attuale" sarebbero quindi sotto-specie sorelle, nate da una specie madre -sempre di Lupo, si possono incrociare facilmente e l'hanno sempre fatto). Ventimila (ma qualcuno sostiene anche trentamila) anni fa, il Lupo ancestrale si aggirava intorno agli accampamenti umani, probabilmente in cerca di scarti di cacciagione. Erano brutti tempi, molta della fauna di erbivori di cui si nutriva era estinta o divenuta rara. Si pensa che il Lupo fosse spesso costretto a .. fare lo Sciacallo. Foto Silvio Renesto. Già nel Paleolitico uomo e lupo (quello "antico") iniziarono così a frequentarsi, nel bene e nel male, e l'uomo selezionò quei cuccioli più obbedienti ed amichevoli, facendone un guardiano ed un aiuto nella caccia. Poi venne tutto il resto, una storia molto lunga intricata ed affascinante, ma io ho raccontato del cane solo per parlare dei Gatti. Il Lupo, come la Capra, poco dopo, e molto tempo dopo la Mucca, l'Asino e poi gli altri, sono stati addomesticati perchè erano utili e perchè erano facili da addomesticare. Come animali sociali, avevano già una gerarchia e ubbidivano ad un capo, bastava quindi selezionare i più docili (i più infantili) e sostituire l'uomo al capo branco. I Lupi hanno un preciso ordine sociale all'interno del branco che comprende intensi rapporti fra gli individui. Foto Silvio Renesto. Il Gatto selvatico invece era, ed è ancora un animale solitario, territoriale e intollerante dei propri simili, cioè non aveva nessuna delle caratteristiche per diventare un animale domestico. L'Uomo nella preistoria lo cacciava, per lui era fonte di cibo e di pelliccia, quindi il Gatto, oltre al carattere, aveva ben poche ragioni per essere amichevole. E allora cos'è successo? Il Gatto ha deciso di "addomesticarsi" (almeno un po', chi lo sa) da solo. Molto, molto tempo dopo l'addomesticamento del cane, 10.000 anni fa circa, l'uomo diventò agricoltore e sedentario, a cominciare da due luoghi: la Mezzaluna fertile (il tratto di terre comprese fra i due fiumi Tigri ed Eufrate, dove sorsero le prime grandi civiltà, i Sumeri e gli altri) e la Valle del Nilo. la coltivazione genera un surplus di risorse di cibo che devono essere immagazzinate, e queste quantità di cibo attirano i roditori, prede di elezione del Gatto. Così in quelle zone, il Gatto selvatico nordafricano (Felis silvestris lybica), una delle quattro o cinque sottospecie di Gatto selvatico, si è arrischiato ad avvicinarsi agli insediamenti umani, attratto dall'abbondanza di prede. Il Gatto selvatico Nordafricano (Felis silvestris lybica). Foto da Internet Il Gatto selvatico europeo (Felis silvestris silvestris). Le differenze fra le due sottospecie sono soprattutto legate la clima e all'ambiente, l'europeo è più tozzo e con gambe più corte per conservare il calore e muoversi nel sottobosco fitto, il nordafricano è più snello e sottile con zampe più lunghe per disperdere meglio il calore e perchè vive in zone più aperte con vegetazione più rada. Foto Silvio Renesto Questo ha portato a diverse conseguenze, da una parte l'uomo ha riconosciuto l'utilità del gatto per il controllo dei roditori, dall'altra il gatto "libico" ha iniziato ad avere meno paura dell'uomo e, per necessità ,se voleva approfittare dell'abbondanza di cibo, anche a tollerare di più i propri simili, diventando un po' (poco) più sociale. Abbiamo quindi le prime "colonie feline". Naturalmente nessun Gatto ha fatto questi ragionamenti, è la Selezione Naturale: intorno agli insediamenti umani i più sociali e tolleranti avevano accesso a più risorse, vivevano più a lungo e si riproducevano di più, trasmettendo la "socialità" (controllata da una serie di geni che regolano alcuni ormoni, ma non chiedetemi di più) ai loro discendenti. Questa minore aggressività e maggiore confidenza si è cominciata ad estendere anche nei confronti dell'uomo. Il Gatto cominciò a frequentare gli insediamenti, e poi le case degli uomini, di sua volontà, mantenendo però il suo carattere indipendente. Il Gatto selvatico in Europa invece ha mantenuto il suo carattere.. scontrosissimo. Intanto l'Uomo nel Mediterraneo ha cominciato a considerare il Gatto una preziosa risorsa. Il primo ritrovamento di Gatto sicuramente domestico risale a 9500 anni fa ed è stato trovato a Cipro. Possiamo dire che era domestico perchè è stato seppellito in una tomba e perchè Cipro come isola non ha mai avuto Gatti e siccome nessun Gatto si sognerebbe di traversare a nuoto dei bracci di mare, l'unico modo in cui quel Gatto è potuto arrivare a Cipro è perchè qualcuno ce l'ha portato, su di una nave, magari come cacciatore di topi, oppure già come animale di compagnia. Lo stesso è accaduto nell'antico Egitto, e qui vediamo meglio l'altro fattore che ha giocato a favore del rapporto uomo-gatto (in tutto il mondo): il gatto diventa un animale da compagnia: Rispetto ad altri cacciatori di topi (mustelidi, manguste ecc.), il gatto è più "carino" (gli inglesi hanno la parola giusta "cute") le mascelle corte, la testa tonda gli occhi grandi e frontali come i nostri, sono caratteri che ricordano i cuccioli (anche umani), quindi il Gatto, oltre ad essere utile, "piaceva". La testa rotonda e le piccole dimensioni inducono tenerezza per questi piccoli killer. Foto Silvio Renesto Gli egiziani tra i primi lo adottarono come animale da compagnia, e poi loro ne fecero una divinità, ma il Gatto appare in molti miti e racconti delle civiltà orientali (ma anche tra i Vichinghi ). In questo affresco egizio che rappresenta un sontuoso pranzo di una coppia, si vede un gatto seduto sotto alla sedia, che mangia un pesce, quasi sempre il gatto è raffigurato sotto alla sedia della donna (abito lungo). Il Gatto dell'affresco ha il tipico mantello di Felis silvestris lybica, ed ha ancora la grossa riga scura sul dorso tipica dei Gatti selvatici e assente nel Gatto domestico. Da Internet . Altro frammento egiziano in cui il Gatto è raffigurato come uccisore di Serpenti (figurativamente, con un coltello!). Altro buon motivo per essere amato da quelle parti. Da internet Raffigurazione del più antico Gatto di cui si conosca il nome: Nedjem (Dolcezza). Da Internet. Il Gatto ha anche un altro asso nella manica, non ha bisogno di assumere vitamina C dal cibo, per cui non si ammala di scorbuto, così può essere portato sulle navi e nutrito con cibo secco anche per lunghi viaggi, senza necessità di cure particolari e fare il suo servizio da acchiappatopi. Dagli Egiziani ai mercanti Fenici (e ai Romani) e poi ovunque. Come compagno dei marinai, il Gatto è arrivato in tutto il mondo. Il resto è storia (troppo lunga). Solo un paio di notizie di "colore": Il Gatto selvatico nordafricano ha un mantello con una leggera striatura appena evidente, un po' più marcata sulle zampe. Il Soriano o Tabby, come il mio Vincent, è una delle varietà domestiche più antiche (Nel Medioevo veniva chiamato anche Gatto di Cipro), ha sempre delle strisce che formano una M sulla fronte, e può essere macchiettato, tigrato o con strisce a spirale. Il nome Soriano viene da Soria (Siria, siamo sempre lì), il nome Tabby viene dal francese Taffetà, una stoffa setosa e lucida che anticamente era prodotta regione dell'Attabi (Irak, sempre da quelle parti). Un Soriano/Tabby corrucciato con la sua M sulla fronte. Foto Silvio Renesto Vecchia foto di un Vincent ancora giovincello, con la sua M da Tabby. Nei Gatti il colore rosso aranciato è quasi sempre legato al sesso maschile (ci sono eccezioni) . Foto Silvio Renesto. Più tardi, nella Grecia antica sono apparsi i primi gatti neri e solo poi quelli macchiati, segno che come per le mucche, i cani e i cavalli sono avvenuti cambiamenti genetici dovuti alla "civilizzazione". Sembrerebbe che il mantello nero abbia preceduto quello macchiato. Foto Silvio Renesto. Un Soriano (c'è la M e le striature) ed un "Tuxedo" (bianco e nero come l'abito da cui ha preso il nome). Attenzione non si tratta di nomi di razze ma solo di tipi di colorazione. Foto Silvio Renesto Le "razze" feline create in tempi moderni sono un'altra storia ancora, non sempre bella, a mio parere.
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